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Riassunto Aminta di Torquato Tasso, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Italiana

Riassunto degli atti dell'Aminta

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 20/07/2023

leilajoudary
leilajoudary 🇮🇹

5 documenti

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Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Aminta di Torquato Tasso e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! domenica 25 giugno 2023 Aminta Prologo, I atto, II atto, III atto, IV atto, V atto Prologo: Nel prologo compare Amore che si presenta vestito da pastore. Prologo con un andamento argomentativo. Le fonti di Tasso tendono a stratificarsi nel corso della sua scrittura, quindi in un determinato pezzo di testo di opera è molto probabile che lui non abbia in mente solo una fonte, ma più fonti, cosa che accade molto raramente. La componente tragica dell’Aminta è fondamentale e ci si può rifare ad Ippolito, figlio di Teseo e di un’amazzone, opera di Euripide. Figura prologante è Afrodite, questo conferma che l’apparizione sulla scena di una divinità è un tratto tipicamente tragico. Afrodite è la madre di Amore (prologante di Aminta). Qui Afrodite rivendica il suo potere esattamente come fa Amore nel prologo di Aminta, dicendo che fosse conosciuta tra tutti, sia dagli Dei maggiori che dagli uomini. Un altro esempio che si può ritrovare anche in Aminta è l’introduzione dei personaggi dell’opera da parte della Divinità, che introduce anche un primo accenno di trama nonché il modo in cui agirà. La prologante si deve nascondere e porre in un altro luogo quando entreranno in scena e i personaggi, in quanto la scena non può essere condivisa tra Divinità ed esseri umani. L’Aminta si rifà in modo incalzante a questa tragedia greca, sia negli espedienti letterari scelti nel prologo e sia per la trama, ma c’è anche una diversità profonda: la risoluzione del conflitto è, nella tragedia di Euripide, la morte di entrambi, mentre in Tasso la risoluzione è l’innamoramento di chi non condivide e ricambia il sentimento. Un altro testo noto a Tasso è l’epillio di Amore fuggitivo di Mosco. Mosco è un poeta bucolico (temi relativi a figure che vivono in spazi naturali). La letteratura poetica greca è fatta da idilli, un sottotipo di idillio è l’epillio cioè un piccolo epos, i protagonisti sono qui figure mitologiche che vengono trattate con lo stile bucolico. 1 In questo epillio è Venere che parla e promette una ricompensa a chi la aiuterà a trovare Amore→ vv.32-37 prologo Aminta: Amore promette baci a chi lo aiuterà a nascondersi dalla madre. Tasso dunque si serve di fonti di tradizione diversa. Avanzamento stilistico operato da Tasso→L’Aminta può rifarsi ai poeti bucolici, alla tragedia greca. Il prologo nella sua struttura dipende dalla tragedia, i contenuti invece sono ripresi dai componimenti idillici. Amore ha alcuni stilemi retorici nel suo discorso tra cui le correctiones: figure per cui si dice non X ma Y. I personaggi sono caratterizzati da scelte argomentative variate: figure che si spiegano in una figura che è per sua natura duplice. Seneca dice che Cupido è intrinsecamente doppio, infatti Amore è bambino nell’aspetto ma è adulto. Atto I Scena prima Già le prime battute servono a dare un’intonazione all’opera, c’è un personaggio che sostiene un argomento e un altro che, invece, non ne vuole sapere nulla e risponde in opposizione. Il prologo di Amore è in endecasillabi sciolti, ed è la soluzione scelta comunemente dalle pastorali, ma quando Dafne appare sulla scena Tasso cambia il metro, con lei si alternano settenari ed endecasillabi, e poi Silvia, però, non usa mai settenari, ma solo endecasillabi, e questo va avanti per tutta la scena, quindi l’alternanza metrica è una scelta d’autore e ciò significa che il verso settenario ha una funzione particolare, ovvero quella del Patos in cui il verso breve esprime una situazione di agitazione, che può essere sia psicologica che sentimentale. Dafne fa un largo uso di figure di analogie, che sono molto efficaci, e in questo passo fa la sua prima apparizione dell’età dell’oro, ed è come se lungo l’opera tutti i personaggi dessero la loro propria visione di questo periodo storico, in cui gli uomini erano in pace con gli animali e non c’erano nemmeno conflitti. Il tema dei cibi saporiti nell’età del loro lo si può trovare anche in Dante, nel purgatorio XXIII “lo secol primo, quant’oro fu bello, fé savorose come fame le ghiande, e nettare con sete ogni ruscello”, ma Dafne non loda il secolo dell’età dell’oro, non lo rimpiange. Dafne non fa una laudatio temporis acti (lode del tempo passato), usa quest’epoca ma ribalta il valore di questo riferimento. I personaggi sono portatori di diversi punti di vista. 2 questo modello: Silvia ricambia il bacio di Aminta in modo ingenuo, il gesto è privo di qualsiasi forma di erotismo. In quest’occasione Aminta trova l’occasione di parlare a bassa voce con Silvia. Scena interessante perché qui viene fatto riferimento a un gioco presente a corte, il gioco del segreto per cui si sta in cerchio e ci si comunica qualcosa a bassa voce. La domanda che viene posta è un segreto ma la risposta è comune. A quel punto gli altri devono indovinare la domanda. Quando Aminta dice le prime parole a Silvia introduce il tema della morte. Anche aitare è una forma tipicamente lirica. Silvia reagisce con un rossore in volto: segni di vergogna che compaiono in Silvia anche quando Dafne le parla. Poi viene nominato un altro personaggio: Mopso. Questo è uno dei punti più ambigui dell’Aminta. È interessante dal punto di vista argomentativo. Digressione dalla trama che occupa un centinaio di versi. La nominazione di Mopso induce Tirsi a parlare. Fino ad ora era stato reticente rispetto all’espressività di Aminta. Tirsi è indotto qui a raccontare suscitando anche l’interesse di Aminta. Mopso fornisce un quadro fortemente critico della corte. In seguito la critica della corte verrà rovesciata. Parole estranee alla poesia ma tipiche della prosa. Il fatto che Tasso inserisca una critica alla corte è significativo dal punto di vista argomentativo. È un procedimento ambiguo che Tasso sfrutta per poi lodare la corte. La critica non è superficiale, ma l’Aminta ha l’intento di omaggiare la corte→ambiguità profonda. Poi l’atto continua col CHORO Coro in cui ci sono ragionamenti piacevoli. I cori dell’Aminta sembrano echeggiare sospesi nell’aria, come dice un filosofo tedesco. I cori si situano in una posizione separata rispetto ai personaggi dialoganti. Il coro è portatore di una visione, di un’ideologia. Posizione che non corrisponde a quella di nessun personaggio introdotto fino ad ora. La forma di questo primo coro è proporzionata a quella del primo atto per lunghezza. La forma riprende la canzone di Petrarca Chiare, fresche et dolci acque: 5 stanze e congedo. Il coro torna sul tema dell’età dell’oro: rievocazione di un tempo mitico passato in cui le condizioni sociali erano diverse. Dafne ne parla ma il coro assume una 5 posizione diversa. Il coro è portatore di una laudatio temporis acti. Il coro loda l’età dell’oro tramite correctiones. Le ragioni della laudatio sono diverse rispetto a quelle tradizionali. L’unico motivo per cui il coro loda l’età dell’oro era l’assenza dell’onore. L’onore era un concetto usato invece a corte. L’onore è vano, non ha senso. L’onore non è nulla nella prospettiva di una società pastorale. L’onore ci ha resi schiavi. Le sofferenze che porta l’onore non si mescolavano alle dolcezze della vita pastorale. Prima era in uso un’altra legge: la legge dell’onore arriva dopo. Nell’età dell’oro c’era la legge che diceva «S’ei piace, ei lice»→se piace è lecito Questo è collegato alla critica anti cortigiana che ha espresso Mopso. La corte è il luogo in cui si sviluppa l’onore. L’ambiguità dell’opera si sta amplificando. L’onore impedisce di saziare il desiderio amoroso e induce anche a coprire le bellezze. La ritrosia, l’evitamento dell’eros che pratica Silvia, secondo il coro è uno degli effetti dell’onore. In questa prospettiva il comportamento di Silvia non è naturale, ma è riconducibile al codice dato dall’onore quindi intrinsecamente cortigiano. Atto II All’inizio dell’atto secondo c’è l’unico monologo dell’opera da parte del Satiro, se non per il prologo, ed è una sorta di ricalco anche delle parti precedenti, ovvero dalla successione al prologo di due atti dialogati; la struttura nei primi due atti è uguale. Il satiro si astiene da qualsiasi tipo di interlocuzione. Il secondo atto costituisce un’eccezione in quanto è composta da tre scene più il coro, e la prima scena si articola con un monologo del satiro, tecnica dialettica che è ripetutamente utilizzato nella tradizione pastorale ferrarese. Nell’Aminta l’azione teatrale è del tutto composta da dialoghi, tramite i quali si articola, e il satiro si trova in una situazione di esclusione ed estromissione, anche per classe sociale e perché è diverso da pastori e ninfee, cosa che invece non era solita nella tradizione ferrarese in quanto c’erano vari satiri e anche altri personaggi appartenenti non alla classe dei pastori o a quella delle ninfee. Il Satiro è isolato, in altre pastorali invece ci sono più satiri. Il Satiro nelle pastorali ferraresi è comico, viene beffato. I suoi piani, che sono di violenza, non vanno a buon fine. Il Satiro è l’incarnazione di un desiderio senza freni, in relazione con alcune strutture ideologiche dell’opera→ elogio dell’età dell’oro, età in cui non c’è l’onore nei rapporti sociali. Un tempo i rapporti 6 erano liberi, dettati solo dal desiderio. Il Satiro è un personaggio separato, considerato del passato perché in lui i meccanismi dell’onore non intervengono. È un personaggio senza inibizione. Inoltre nell’Aminta il Satiro non è un personaggio comico. I moduli retorici del Satiro nelle pastorali sono svolti in maniera diversa. Satiro nell’Aminta: elaborazione di una coscienza di sé e risoluzione di mettere in pratica un piano. Scena prima Manca Silvia, la forza di Silvia è il silenzio, in un’opera che si fonda sul dialogo Silvia sta in silenzio. Qui i due personaggi più esperti per età parlano e trovano delle posizioni comuni, una prospettiva comune su cui pianificare il congiungimento dei due giovani. Forte del confronto con Dafne, Tirsi torna in dialogo con Aminta. Dialogo diverso rispetto al primo atto. L’attacco del Satiro si raccorda bene con alcuni aspetti retorici del primo atto: arriva come personaggio metaforico l’Ape: quando Aminta racconta l’astuzia del bacio il comparante analogico è l’ape. Comparazione tra l’ape e l’amore: puntura modesta quella dell’ape, puntura letale quella di Amore. Il Satiro si esprime con la stessa retorica di Aminta→Tasso ci fa sospettare nel Satiro una specie di oscurità. I desideri non taciuti dal Satiro sono gli stessi di Aminta. Si articolano anche i due topos caratteristici dei satiri nella tradizione: l’offerta dei doni e l’espressione della propria bellezza. Nell’articolazione del primo topos lui le porta tre doni, dei fiori, delle mele e del miele, che lei rifiuta, e qui ritorna la struttura ternaria. Nonostante questa descrizione, dove la bellezza è espressa attraverso doppie negazioni, il satiro dice che non viene amato non per il suo aspetto, ma per il suo status sociale, in quanto quello che conta è soltanto l’oro e non i beni che lui aveva da offrire, come campi, frutti e alberi etc. Scena seconda Dafne e tirsi I due personaggi, nella seconda scena del secondo atto, stanno già colloquiando da un po' in quanto Tirsi è già andato da Daphne a farle delle richieste, ovvero 7 dove Aminta sarebbe dovuto rimanere, lui non lo trovo più, tornando quindi al punto di partenza dell’atto dove lui non trova il giovane e chiede informazioni al coro. Scena seconda Questa scena si apre con Aminta che si rivolge a Daphne alludendo ad un fatto accaduto poco prima e di cui il lettore non sa nulla esplicitamente e che verrà poi raccontato apertamente in un secondo momento da Daphne: la donna aveva salvato Aminta da darsi la morte con un dardo. Aminta dice a Daphne che l’aver visto il corpo di Silvia è un tormento perché adesso sa ancora meglio cosa sa di non poter avere. Il nome del personaggio che entra in scena, con un dialogo fra sé e sé, ovvero Nerina, è un riferimento ad una dama di corte di nome Renata Nighisuola; alla sua prima battuta, detta tra sé e sé, la ragazza anticipa la notizia che dovrà dare: la morte di Silvia; Nerina infatti svolge il ruolo di messaggera. La mancanza di una risposta alla domanda di Aminta riguardo la morte di Silvia è ciò che dà sospensione. Dopo questo momento inizia la rhesis di Nerina, che racconta i fatti successivi alla fuga di Silvia: la ragazza, dopo essersi rivestita, torna alla sua consuetudine come se nulla fosse, quindi torna alla caccia, e da un momento all’altro sbucò un lupo con la bava insanguinata (rimando al leone del mito), e Silvia tirò una freccia sul capo del lupo, facendo scappare il lupo di nuovo dentro il bosco, con la ragazza che segue l’animale all’interno del bosco con un dardo, seguita poco dopo anche da Nerina. Seguendo le orme della donna e del lupo, addentrandosi, la ninfa vede i segni della morte di Silvia, il suo velo e il dardo (non solo si rifà di nuovo agli elementi del mito, ma utilizza l’amplificazione, aggiunge quindi elementi alle fonti che utilizza), per poi vedere anche delle ossa che vengono leccate da sette lupi (altra amplificazione). Dopo aver raccontato i fatti accaduti, Nerina porge il velo insanguinato di Silvia ad Aminta, che deduce la morte dell’amata. Aminta inizia subito dopo a parlare con l’utilizzo di settenari, tipici del turbamento psichico, in cui ripete di voler morire in quanto in quel momento si trova all’apice del suo dolore, ma Daphne cerca di fargli cambiare idea, per renderlo di nuovo razionale, proprio com’è Daphne in quel momento. Il coro anticipa il proseguimento della vicenda. 10 Atto IV Scena prima Il quarto atto è l’atto di Silvia, in cui è presente in tutta la prima scena e la sua presenza è anche dialogante, in più c’è la sua trasformazione in cui la donna diventa consapevole di ciò che lei prova, anche se non lo chiama amore ma pietà; inoltre, durante questo suo cambiamento cambia anche il suo modo di dialogare, in quanto sembra far propria la capacità retorica di Aminta. A questo punto inizia la rhesis di Silvia, in cui spiega i fatti accaduti da dopo che lei sparisce all’interno del bosco, ricollegandosi alle parole di Nerina, e attraverso ciò si spiega il malinteso che si era venuto a creare: le ossa non erano di Silvia ma di un animale morto e quando il lupo la vide, le andò incontro e lei cercò di affrontarlo solo con l’arco e, siccome non poteva vincere, decide di scappare per mettersi in salvo. Il velo non lo perde, ma decide di disfarsene in quanto l’aveva intoppata nella fuga e quando lei torna a casa, vede Daphne; quest’ultima, in seguito, spiega che malinteso di fosse creato, ovvero lei e Aminta che la credevano morta, e poi le dice come Aminta avesse intenzione di uccidersi. A questo punto la retorica di Silvia inizia a cambiare e si vede come il destino del ragazzo non le è indifferente, dicendo che se lui è morto per la sua morte, dato che lei è viva deve vivere anche lui, e decide quindi di andarlo subito a cercare, sempre istintiva e pronta all’azione, come lo sarà anche nel quinto atto quando i due si incontrano ed è lei che prende l’iniziativa e fa iniziare l’azione. Silvia passa anche un momento di pentimento del suo rigore eccessivo, momento in cui la sua pietà è al massimo ed è il momento in cui, rimandando ad un passo del prologo di Amore, la divinità scoccherà il dardo dell’amore nel cuore della giovane; Silvia si rende anche conto della sua crudeltà e se ne pente. Scena seconda Qui Silvia trova la forza di rivolgersi al Nuntio. Chiede che lui le riveli tutto perché ritiene di dover soffrire in quanto causa della morte di Aminta. Non c’è alcuna intenzione di nascondere il ruolo ricoperto da Nuncio, in questa scena sono presenti svariati Rhesis e anche vari messaggeri; l’arrivo di Nuncio costringe Tasso a segmentare la scena. Il passo aristotelico tratto dalla “Poetica” anticipa e aiuta a comprendere la scena di seguito -> Terrore e pietà; orrore e pietà→sentimenti che deve indurre 11 la tragedia nella concezione Aristotelica anche se i fatti non avvengono davanti gli occhi degli spettatori. Quando Nuncio parla, lui dice esattamente che prova pietà e orrore nonostante lui non abbia ne visto e ne sentito, esattamente come detto dal filosofo. La prima battuta di Silvia è pronunciata tra sé e sé, quindi in realtà non interrompe inizialmente Nuncio; la retorica di Silvia è totalmente cambiata, cambiamento iniziato dalla scena precedente della presunta morte di Aminta, ed è la retorica di un amante e usa delle allocuzioni per rivolgersi al suo cuore. L’aggettivo alpestre, inizialmente utilizzato per Lei dalla divinità Amore nel prologo, è adesso utilizzato da Silvia stessa nel parlare di sé ed è un altro aspetto che esprime il suo cambiamento di pensiero. La continua antitesi tra vita e morte iniziata in questo atto, continua e si approfondisce, e in seguito, con la battuta di Nuncio, inizia la prima rhesis della scena, ovvero sta raccontando al lettore e anche a Silvia il suo assistere alla morte di Aminta, a cui chi legge e gli altri personaggi non hanno assistito: dice che Aminta ha detto di voler morire come lui pensa che Silvia sia morta, quindi sbranato dai lupi, dicendo che vorrebbe fare la morte che fece la sua vita (altra antitesi vita e morte), ma in più c’è una fonte per precisa, ovvero la Historia Novellamente ritrovata, quindi la prima versione di Romeo e Giulietta. Dopo il velo insanguinato di Silvia, prova che Nerina mostra come prova della morte della giovane, Nuncio mostra il drappo di seta delicata che si era strappato dalla cinta di Aminta quando lui cercò di salvarlo dal suicidio, quindi c’è un parallelismo dell’evidenza delle due prove della morte di uno dei due amanti. Da questo punto in poi tutti i versi di Silvia sono in settenario, cosa mai capitata prima, con una retorica ricca di antitesi, sempre continuando soprattutto quelle tra vita e morte. Anche quando Silvia parla della sua finta morte che ha portato apparentemente alla vera morte di Aminta, Tasso fa un altro rimando alla prima versione di Romeo e Giulietta, ovvero “se voi per la mia finta morte morite, che debb’io per la vostra non finta fare?”. Nell’ultimo verso il coro esprime il potere supremo di Amore. È come se Amore con la sua forza rendesse persino le cose mortali immortali: iperbole sul potere di amore. 12
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