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riassunto antropocene, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

riassunto sulla crisi dell' antropocene e del futuring nel campo artistico e sociologico

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 01/06/2021

studenti-iuav
studenti-iuav 🇮🇹

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Scarica riassunto antropocene e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! COS’è L’ ANTROPOCENE Antropocene (/ænˈθrɒp.əˌsiːn) è stato diffuso come termine ambientale all’alba del ventunesimo secolo dall’olandese Paul Crutzen, vincitore del premio Nobel e pioniere della chimica dell’atmosfera. Questo termine definisce un’epoca geologica che inizia con il primo impatto rilevante dell’uomo sulla geologia e sugli ecosistemi della Terra, compreso il cambiamento climatico provocato dall’attività dell’uomo. All’Antropocene viene collegata la tesi che la specie umana è diventata una forza geologica, nel senso che gli effetti delle sue attività sono paragonabili a quelli dei processi naturali (caduta di asteroidi, glaciazioni, spostamenti tettonici) che hanno esercitato un decisivo influsso sulle condizioni di abitabilità del pianeta. «Non esiste un Antropocene, ma molti “Antropoceni”, che si sovrappongono e giustappongono nelle analisi dei ricercatori che ne fanno il proprio oggetto di ricerca. O meglio esistono solo prospettive sull’Antropocene» Nell’Antropocene si cerca un’evidenza che congiunga una fine e un inizio. Ma quale fine? Per molti si tratta della fine della natura intesa come realtà esterna al mondo umano: fonte inesauribile di materie prime e di simboli, oggetto di sfruttamento e di nostalgia, di canto e di conoscenza. Questa accezione pessimistica e semplicistica, si riscontra nella nascita di libri sulla “fine della natura” o espressioni come “la natura siamo noi” . Tuttavia l’ambizione dell’homo sapiens di lasciare un segno indelebile sulle rocce, sugli oceani e sull’atmosfera, per via del suo istinto predatorio animale e quindi naturale, non gli permette di trasformarsi in ciò che curerà e ristabilirà equilibrio tra uomo e natura( ad esempio i mantra dell’ambientalismo che trovano dure repliche nell’Antropocene). Uomo e natura si trovano in una sorta di nastro di Möbius (MOBIUS) che non ha distinzione tra esterno e interno. Una teoria rivede nella “scienza del sistema Terra”, l’idea di Terra e quindi uomo-natura come singolo sistema, che comprende sfere “accoppiate” caratterizzate da limiti, punti di non ritorno, feed back loop e altre forme di dinamica non lineare. Il futuro geologo dell’Antropocene si candida a essere una sorta di interfaccia, di strato, di intercapedine tra i due lati della soglia epocale, tra il passato e il futuro ignoto. A differenza infatti dello sguardo rivolto a eventi accaduti nel remoto passatom, tipico del geologo tradizionale, lo scienziato nell’epoca dell’Antropocene guarda al futuro e lo studia nella modalità del futuro anteriore. Il tempo planetario e il tempo della civiltà umana, diventano tempo dell’inizio e tempo della fine. Tale contrazione non è solo frutto di estreme speranze nello sviluppo sostenibile, ma anche delle paure dell’Apocalisse, dell’ultima catastrofe suscitate da un presente che sfugge al nostro controllo e sembra consumarsi inesorabilmente. La militante Naomi Klein mostra come non basti sovrapporre al riscaldamento globale le vicende del capitalismo e del neoliberismo, come fanno molti ecomarxisti, e nemmeno tradurre l’intreccio di tutte le forme di vita in una teoria generale della realtà. La “maglia” dell’ecologia contemporanea “senza natura” ha cambiato in molti modi l’ambientalismo e di conseguenza invita a lavorare sulle relazioni e le differenze tra fenomeni disparati. La geologia non è storia contemporanea, porta con sé il retaggio del passato e l’incognito del futuro. Il suo intreccio con le attività umane è indice di una pluralità di tempi e di ritmi della crisi ecologica e socio-economica in atto. È quindi necessario pensare e interpretare insieme esperienze discrepanti, ognuna con il suo ritmo di sviluppo, con le sue formazioni interne e il suo sistema di relazioni esterne, che coesistono e interagiscono le une con le altre nella modalità simile al contrappunto musicale. LASCIARE UNA TRACCIA La parola “traccia” comunemente è usata per indicare le impronte, le orme lasciate sul terreno o sulla neve da piedi umani o di animali selvatici, da ruote o da sci, e, per estensione, il solco di un carro e la scia di un aereo nel cielo. In montagna e nei boschi, può essere sinonimo di un percorso o di un sentiero senza precisa delimitazione, che appare e scompare. Ampio è l’uso figurato di questo termine come indizio, residuo, inezia. L’ambito delle tracce sconfina chiaramente con l’evanescenza. L’idea della specie umana come forza geologica è potente e complessa perché parla di un’orma dell’attività umana pietrificata, sprofondata nella materia e nel tempo, resa irriconoscibile, e difficilmente decifrabile con gli strumenti oggi disponibili della conoscenza scientifica. Tracce chimiche, nucleotidi radioattivi, frammenti di plastica e di metalli rari usati nella fabbricazione di smartphone e computer, sono i nuovi “tecnofossili”, sedimenti che sopravvivranno nelle rocce per milioni di anni. Tra la miriade di significati che stanno alimentando il dibattito sull’Antropocene, un’unica cosa sembra fuori discussione: l’umanità è arrivata a scrivere sulle rocce, a lasciare tracce non più riconducibili al tempo della breve vita umana. Chi leggerà la scrittura sulle rocce, le tracce dell’umano che stanno entrando di diritto nel deep time geologico? Che tipo di tracce sono quelle lasciate nella terra incognita del futuro plasmato dall’impatto umano sull’ambiente ? In questo immaginario c’è un futuro geologo (umano, postumano?) che leggerà diligentemente le nostre ossa, plastiche e veleni , in una Terra abitata dai nostri discendenti nel 2200 o nel 2500, che ci considereranno alieni o barbari che hanno devastato il loro stesso habitat. C’è chi ritiene che si tratti di un’incarnazione mitica dell’anthropos, fantasma del passato e voce spettrale che viene dal futuro, attore e spettatore di un’unica storia, quella dell’umanità intesa come entità universale indifferenziata TRACCE NATURALI, TRACCE TECNOLOGICE. Il Deutsches Museum di Monaco ospita una Anthropocene Wunderkammer, parte di una delle più grandi mostre sull’Antropocene che dal 2014 si è articolata in molteplici iniziative. Tra le opere esposte c’è quella della scrittrice e biologa della conservazione Julianne Lutz Warren intitolata “Hopes Echo”. Essa riguarda l’huia (Heteralocha acutirostris), un uccello della Nuova Zelanda estinto all’inizio del XX secolo a causa della distruzione del suo habitat e alla caccia sfrenata per ottenere le piume nere e avorio della sua coda. Gli huia scomparvero prima dell’invenzione delle tecniche di registrazione. I Maori impararono a imitare il canto degli huia per attirare gli uccelli in trappola. Nel 1954 un neozelandese di origine europea registrò un Maori che fischiava la sua imitazione del grido di uno huia.Una versione del loro canto è sopravvissuta quindi grazie a una strana serie di passaggi arrivando a noi come una sorta di fossile sonoro. Julianne Ludz Warren espone quella che definisce la “traccia sonora delle voci sacre degli uccelli estinti riecheggianti in quella di un uomo morto riecheggiante da una macchina che riecheggia oggi nel mondo”. Ecco un esempio di elegante lettura delle tracce del dominio e della tecnologia umana in un singolo evento di estinzione di una specie di uccelli e di ciò che ne resta. Così come tracce naturali si trasformano e si distruggono attraverso un processo di archiviazione artificiale, viene da riflettere su come effettivamente capire quali sono tracce ora come ora, come identificarle. Infatti questo concetto muta nel momento in cui la memoria stessa diventa traccia.
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