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Riassunto "Apprendimento e formazione nelle organizzazioni", Sintesi del corso di Comportamento Organizzativo

Il riassunto è breve e conciso, utilissimo per l'esame e per accrescimento personale.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 02/07/2024

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Scarica Riassunto "Apprendimento e formazione nelle organizzazioni" e più Sintesi del corso in PDF di Comportamento Organizzativo solo su Docsity! APPRENDIMENTO E FORMAZIONE NELLE ORGANIZZAZIONI RIASSUNTO Introduzione Definiamo apprendimento un processo di acquisizione che comporta un cambiamento più o meno permanente che deriva dall’esperienza o dalla pratica. Definiamo, invece, formazione un’azione pianificata e compiuta dagli esperti che ordina delle esperienze di apprendimento che portano, a loro volta, a cambiamenti di abilità o di atteggiamento. La formazione, in particolare, consiste in un ampio ventaglio di interventi finalizzati allo sviluppo di competenze nei lavoratori (anche quelli già inseriti nel contesto organizzativo) e che si sviluppa nel corso del tempo. Una posizione di rilievo viene ricoperta dalla formazione nelle organizzazioni. In tali contesti, in particolare, si parla spesso di formazione continua, intendendo con questa espressione una formazione come fondamentale strumento di gestione e sviluppo delle risorse umane nei contesti di lavoro con l’obiettivo di evitare l’obsolescenza delle competenze. In quest’ottica la formazione non deve essere concepita come mera ancora di salvezza nei momenti di crisi. Nel complesso possiamo adoperare la formazione per la riqualificazione, per acquisire nuove skills e, infine, per diffondere e consolidare una cultura organizzativa. Le tre componenti centrali del processo di acquisizione delle competenze all’interno di un’organizzazione sono l’individuo, l’organizzazione stessa e il processo formativo. Tali componenti non sono intese in termini isolati ma sono interconnesse da una serie di processi intermedi. In particolare tra individuo e organizzazione dobbiamo considerare le risorse psicosociali (autostima, motivazione e credenze), il background professionale, la partecipazione a gruppi di lavoro nonché il clima e la cultura organizzativa. Tra organizzazione e processo formativo è necessario considerare la struttura degli interventi formativi, l’analisi del lavoro e quella organizzativa, i modelli di gestione delle risorse umane e le strategie organizzative. Tra il processo formativo e l’individuo dobbiamo considerare, infine, i metodi e gli strumenti formativi, l’analisi delle persone, le motivazioni e la personalità (evidentemente diverse per ciascuno di noi) e i processi cognitivi (memoria e attenzione). Latham e Latham hanno utilizzato la metafora delle due solitudini per descrivere l’incomunicabilità tra scienziati e operatori nell’ambito della GRU. Da un lato i ricercatori si occupano di ideare modelli teorici, misurare variabili ed elaborare dati. Dall’altro i professionisti risolvono problemi contingenti rispondendo a criteri di razionalità ed economicità. In tal modo la ricerca rischia di divenire astratta e gli interventi scarsamente sostenuti da modelli teorici. Una possibile integrazione tra i due mondi è la ricerca-azione. Capitolo I - L’evoluzione della psicologia della formazione La psicologia della formazione ha avuto un percorso lento di consolidamento, a partire dagli studi della psicologia dell’educazione. • Il primo riconoscimento della psicologia della formazione è avvenuto a cavallo fra le due guerre mondiali, nell’ambito della psicologia industriale e della sicurezza sul lavoro (nelle miniere e nei lavori ferroviari). • Nella seconda metà del secolo scorso, invece, la disciplina si sviluppa in un contesto noioso e abbastanza teorico. Lo sviluppo della psicologia della formazione può essere ricostruito considerando quattro pietre miliari (segnano il cammino evolutivo della disciplina, indicando le problematiche trattate e le questioni teoriche, di ricerca e di intervento emergenti) che, riferendosi a ventenni differenti (1949; 1971; 1992; 2001), segnano il cammino evolutivo della disciplina… Lo stato nascente Il contributo di McGehee è generalmente considerato il primo sistematico bilancio relativo allo studio degli aspetti psicologici della formazione in ambito industriale. L’autore sottolinea la scarsa maturità del contesto formativo sul piano professionale, e lo scarso interesse sui temi della formazione nella letteratura psicologica nei periodi confrontati. Di fatto, i processi formativi sono ancora affidati a lavoratori esperti o a capi intermedi, senza l’assistenza di professionisti del settore o uffici dedicati espressamente allo scopo. Tuttavia, negli anni ’50 si inizia a dare una risposta a una serie di domande cruciali dal punto di vista metodologico e tecnico: chi deve essere formato? (analisi delle operazioni svolte dai singoli lavoratori); quale deve essere il contenuto della formazione? (analisi del lavoro); quali metodi devono essere usati nella formazione? (strutturazione del disegno formativo); chi deve essere il formatore? (preparazione dei trainers); come valutare la formazione? (utilità, rilevanza ed efficacia delle azioni formative). Ciò che propone McGehee è di dare un più consistente retroterra scientifico agli studi del settore attraverso l’elaborazione di strumenti per la diagnosi del fabbisogno formativo e la verifica dell’affidabilità e validità di strumenti di job e task analysis. Un altro contributo nello stesso periodo deriva da Lindahl nel 1945, il quale, in un’ottica comportamentista e con un’eccessiva fiducia nei metodi quantitativi, analizza i movimenti di lavoratori esperti per adoperarli come prototipo formativo per gli inesperti (si dedica la problema dell’addestramento degli addetti al taglio di sottili dischi di tungsteno per apparecchiature elettriche: questo consente di definire uno standard operativo ottimale che prevede il coordinamento dei movimenti di mani e piedi, il ritmo della velocità di taglio, la pressione esercitata dal piede che non deve essere eccessiva per evitare danneggiamenti ecc.... Il confronto fra la prestazione del neofita con la performance ottimale viene adottato come metodo formativo. Gli spunti della ricerca di Lindhal sono paradigmatici di una psicologia della formazione allo stato nascente caratterizzata da una dominante impostazione comportamentista; un’elevata fiducia nei metodi quantitativi; una acritica adesione alle esigenze di produttività, di efficienza e razionalità delle organizzazioni del lavoro. In questo panorama i parametri di riferimento per il successo sono riduzioni dei tempi e il raggiungimento dell’efficienza produttiva. La fase costitutiva Lo scenario riportato da Campbell nella rassegna del 1971 descrive una psicologia della formazione ancora fragile e priva di un proprio corpus di teorie e metodi, anche se ricco di materiale quasi-sperimentale con scarse verifiche empiriche e valutazioni sistematiche. Nel complesso si sottolinea in quegli anni l’esigenza di intraprendere attività di valutazione formativa supportate da metodologie ben strutturate, con una certa predilezione per l’approccio sperimentale. Negli stessi anni Kirkpatrick crea un modello gerarchico di valutazione degli esiti formativi, individuando quattro livelli di esiti della formazione: reazioni dei partecipanti nei confronti del programma formativo (gradimento e soddisfazione); apprendimenti conseguiti (conoscenze, abilità e competenze); cambiamenti nel comportamento lavorativo; risultati in termini di miglioramento tangibili a livello individuale e organizzativo. Tale modello è gerarchico in quanto ogni livello di esiti incide sugli altri di ordine più complesso. Si affacciano sulla scena di quegli anni, inoltre, nuovi approcci, come l’Organizational Development (OD), in cui formazione e sviluppo del personale occupano un posto di rilievo, e l’istruzione assistita dal computer (CAI). Campbell ritrova nella letteratura psicologica di varia matrice una serie di sviluppi teorici che costituiscono punti di riferimento chiave per il consolidamento di una psicologia della formazione su base scientifica. c) una concezione attiva del soggetto in formazione, considerato come dotato di motivazioni, aspettative e atteggiamenti; un attore che interagisce con il contesto prima, durante e dopo l’esperienza formativa; d) una prospettiva che vede il processo formativo dentro un complesso contesto organizzativo con l’attribuzione di importanza ai fattori pre-training (le condizione di realizzazione della formazione) e post-training (le condizioni per il trasferimento delle conoscenze nel contesto di lavoro). Il contributo della psicologia cognitiva Verso la fine degli anni ‘80 vi è stata una forte contaminazione tra due ambiti di ricerca, quello delle scienze cognitive e quello della psicologia della formazione. In modo particolare, la progettazione di interventi formativi ha risentito dell’influenza di quelle teorie e studi cognitivi che hanno contribuito a spiegare come le persone apprendono e acquisiscono le competenze. In questo ambito, un significativo impatto è stato esercitato dal modello di Anderson che delinea l’acquisizione di abilità attraverso un progressivo processo cognitivo secondo una struttura di obiettivi gerarchizzati a più stadi. Un primo passo nell’apprendimento di competenze è dato dall’acquisizione di un sapere dichiarativo: le conoscenze relative a fatti e cose utili per compiere un determinato compito. Tali conoscenze fattuali sono rese operative attraverso un processo compilativo che permette di integrare tra loro diversi tipi di processi necessari per svolgere la prestazione: cognitivi, motori, percettivi e attentivi. I fatti e le informazioni acquisite nello stadio dichiarativo sono trasformati in conoscenza utilizzabile sul piano pratico. Il terzo stadio consente di tradurre questa conoscenza in sapere procedurale (conoscere come fare le cose). L’ipotesi di Anderson di un percorso progressivo dalla conoscenza dichiarativa al sapere procedurale, dall’acquisizione di informazioni generali all’utilizzo di sapere pratico contestualizzato ha delle evidenti ricadute sulla costruzione dei percorsi formativi. Differenti tecniche formative risultano appropriate per differenti stadi di sviluppo delle conoscenze. Nelle prime fasi del processo sono fondamentali tecniche basate sulla trasmissione di conoscenze. Per contro, le fasi successive del processo richiedono un significativo ancoraggio ad esperienze pratiche e gli obiettivi formativi possono essere formulati in termini di miglioramento della prestazione. Molti altri studi cognitivi relativi all’acquisizione di abilità complesse hanno avuto una notevole influenza sulla progettazione formativa. Tannenbaum e Yukl sintetizzano tale condizionamento attraverso la descrizione di alcuni esempi: • trattamento automatico delle informazioni:i compiti complessi sono solitamente costituiti da componenti routinarie e da elementi non routinari. I primi possono essere appresi e acquisiti mediante la pratica continua sino a divenire appunto automatici. Sono messi in atto senza richiedere dispendio di energie cognitive significative. I compiti non routinari, invece, richiedono maggiore dispendio di energie cognitive, un grado di attenzione più elevato e il ricorso da parte del soggetto ad abilità complesse di diagnosi, problem solving, recupero mnestico e ideazione. Anche in questo caso, i risultati derivanti dalle scienze cognitive hanno implicazioni dirette in particolare sulla sequenza logica di un’attività formativa e sulla necessaria integrazione tra addestramento e acquisizioni di abilità complesse; • schemi e modelli mentali:la concettualizzazione delle operazioni da svolgere, la raffigurazione mentale di materiali da utilizzare così come la prefigurazione cognitiva della situazione in cui si opera possono costituire un fondamentale elemento preparatorio per agire correttamente di fronte a compiti complessi. In questo caso si utilizza il termine di apprendimento concettuale (conceptual learning) per definire una serie di processi mentali preparatori che facilitano l’acquisizione di abilità e l’esecuzione di un compito. In questo caso la formazione è orientata al pensiero e all’elaborazione mentale e non solo al comportamento lavorativo; • metacognizione:con tale termine si intendono indicare i processi coinvolti nell’acquisizione di conoscenza. L’attenzione è rivolta alle attività di self-monitoring, di ricerca del feedback e agli stili cognitivi. Il processo formativo Il contributo di Tannenbaum e Yukl mette in evidenza una serie di significativi sviluppi nella ricerca, nei metodi e nelle applicazioni che riguardano il processo formativo. Per processo formativo si intende quella sequenza di azioni che caratterizzano il percorso tipico di realizzazione dell’attività formativa: l’analisi del fabbisogno formativo, la progettazione dell’intervento, la sua realizzazione, la valutazione degli esiti. In generale si conviene che l’analisi del fabbisogno sia costituita da un’osservazione sistematica di tre distinte entità coinvolte nel processo formativo: l’organizzazione, il compito, le persone. Per quanto riguarda l’analisi organizzativa si abbandona progressivamente una prospettiva di analisi organizzativa centrata sui deficit di competenze sui quali concentrare l’intervento formativo. Si afferma invece l’esigenza di individuare le attività formative che sono più coerenti con le strategie e gli obiettivi di sviluppo dell’organizzazione. Sul piano dell’analisi dei compiti lavorativi si nota un progresso nei metodi di job e task analysis e un serio lavoro di verifica circa l’utilità e l’efficacia delle varie pratiche diagnostiche. La formazione è considerata alla stregua di un investimento (finanziario e di risorse umane) che può contribuire in diversa misura alla realizzazione delle strategie aziendali. Si notano avanzamenti significativi nei metodi di analisi del lavoro e dei compiti che si concentrano sulla ricostruzione dei processi mentali che anticipano l’azione. Si incentra l’analisi sempre più sui processi cognitivi e meno sul coordinamento motorio, lo sforzo fisico e il comportamento osservabile. La tecnica del think-aloud (pensare ad alta voce), utilizzata per raccogliere informazioni descrittive sul lavoro cognitivo, favorisce la redazione di protocolli verbali che descrivono cosa il soggetto pensa, quali informazioni elabora e quali problemi risolve prima di agire. Infine, sul piano dell’analisi individuale, l’interesse si è focalizzato sullo studio di particolari gruppi di lavoro che esprimono esigenze molto differenziate in termini di fabbisogno di competenze e che pongono richieste molto diverse tra loro in termini di metodi di formazione. Behavioral modeling (tendenza da parte degli individui di adattare stili di azione e atteggiamenti a quelli esibiti da modelli di riferimento reali o simbolici). Numerosi contributi hanno permesso di sviluppare conoscenze sull’efficacia e applicabilità di vari metodi formativi con particolare riguardo alle tecniche di simulazione, ai giochi formativi, all’adozione delle tecnologie computerizzate per la formazione programmata e alla formazione basata sul behavior modeling. Tali tecniche di simulazione e gioco devono essere inserite all’interno di un disegno formativo articolato, devono prevedere un percorso progressivo di acquisizione di abilità e competenze complesse e devono essere seguite da momenti formativi in cui si possa riflettere sul trasferimento delle abilità acquisite in contesti reali. La tecnica del modello comportamentale trae origine dalla teoria dell’apprendimento sociale di Bandura e da alcune ipotesi relative all’apprendimento vicario. L’apprendimento, secondo questa prospettiva, può avvenire se vi è la presenza di alcune componenti cognitive e motivazionali: • l’attenzione del soggetto verso un modello, • la ritenzione e l’organizzazione mentale del comportamento osservato, • la riproduzione del comportamento e la motivazione ad adottare il comportamento esibito dal modello. Nel campo della formazione, tale impostazione teorica si è tradotta nella tecnica del behavioral modeling training (BMT) con l’utilizzo di videoregistrazioni, role playing e simulazioni. L’impostazione prevalente della tecnica è di far acquisire nuovi stili di azione attraverso la diretta modificazione comportamentale. In un esempio di modello centrato sulla corretta gestione del personale: Ogni sessione formativa in questo ambito comincia con: 1. l’introduzione al problema, 2. la presentazione di un documento visivo che descrive un comportamento efficace di un supervisore su determinati aspetti critici, 3. la discussione di gruppo dell’efficacia del modello nel produrre i comportamenti desiderati, 4. l’utilizzo del comportamento osservato in una situazione di role playing di fronte al gruppo in formazione 5. e il feedback da parte del gruppo in formazione circa l’efficacia nel mettere in atto il comportamento desiderato. Alcuni considerano la BMT come una delle più efficaci tecniche formative mentre i più critici la considerano come adatta solamente a quei processi formativi incentrati su specifici comportamenti chiaramente definiti e dunque meno efficace nella formazione manageriale o riferita a competenze relativamente complesse. Motivazioni, atteggiamenti e self efficacy Una consistente novità, rispetto agli anni precedenti, riguarda l’interesse dedicato alle caratteristiche psicosociali del trainee (il soggetto in formazione). In particolare, numerosi studi sono interessati a rilevare i fattori individuali che possono predire il successo di un’attività formativa. Per questo vengono elaborati, applicati e validati dei trainability (la capacità di un soggetto di trarre benefici da un corso di formazione) test, cioè delle prove che dovrebbero indicare in che misura una persona può portare a termine con successo un percorso formativo. Ma le novità più importanti riguardano il rilievo attribuito alle motivazioni, agli atteggiamenti e alle aspettative dei soggetti in formazione. Di fatto le persone con motivazioni più elevate al momento dell’inizio dell’attività formativa sono quelle che mostrano un miglior pattern di apprendimento, reagiscono in modo più favorevole alla formazione e utilizzano in modo efficace le abilità apprese nei luoghi di lavoro. Importante è anche la self-efficacy, cioè la convinzione psicologica di essere grado di portare a termine un compito, realizzare un progetto o superare un ostacolo. Di fatto le persone che iniziano un’attività formativa con elevato sentimento di autoefficacia, avranno più successo nel padroneggiare il processo di apprendimento. In definitiva, da una visione estremamente razionale e quasi ingegneristica della formazione si passa al progressivo riconoscimento della componente psicosociale come fattore che interviene in modo decisivo a determinare la riuscita e l’efficacia di un’azione formativa. Il contesto organizzativo In quegli anni si afferma, inoltre, una prospettiva che analizza le attività formative, non come realtà chiuse e impermeabili ai fattori esterni, ma come complesse e dinamiche esperienze sociali e organizzative. In quest’ottica, la formazione può essere interpretata come un delicato strumento organizzativo di gestione delle risorse umane. Essa, non solo favorisce lo sviluppo di abilità e competenze, ma può generare aspettative di crescita professionale e di avanzamento di carriera, indurre sentimenti di frustrazione, provocare una percezione di ingiustizia organizzativa, divenire una componente di scambio nell’ambito del contratto psicologico che si renderli familiari e adattarli agli schemi preesistenti. 2. Il trattamento delle informazioni bottom-up procede invece senza la mediazione dell’esperienza passata e il ricorso alla MLT. I nuovi stimoli influenzano direttamente la struttura della conoscenza e l’azione del soggetto. Altrettanto decisivi sono i processi di comprensione e di generazione della conoscenza. Di fatto, l’apprendimento è sempre un processo attivo che comporta una manipolazione dei dati in ingresso da parte del soggetto. Senza questa manipolazione si rischierebbe l’acquisizione di conoscenza inerte, depositata in memoria ma non pienamente compresa e che il soggetto non riuscirebbe ad applicare concretamente. Un ulteriore processo che interviene nell’apprendimento è quello attentivo. L’attenzione può essere considerata alla stregua di una risorsa scarsa che il soggetto può allocare per diversi utilizzi. Nell’apprendimento viene indirizzata a sostegno della MBT per selezionare e dare priorità a diversi tipi di dati e a diversi tipi di processi. Nel processo formativo è fondamentale il trasferimento delle competenze acquisite dal training al contesto di lavoro. Bisogna quindi adattare le competenze acquisite al contesto: ulteriore manipolazione cognitiva. È quindi fondamentale il processo di generalizzazione che permette di applicare uno schema, una procedura, una regola, in una situazione che non è identica a quella del training. Le indicazioni sui processi cognitivi coinvolti nell’apprendimento hanno permesso di mettere in luce alcuni snodi critici nella costruzione delle competenze e nel loro trasferimento dalla formazione al lavoro: ▪ snodo 1: i limiti della MBT:la pianificazione di attività formative deve tenere in debita considerazione questo limite di lavoro della mente umana ed evitare il più possibile la ridondanza attraverso pratiche di cognitive load management. È fondamentale, in particolare, prevedere un percorso modulare che parta dall’apprendimento degli elementi essenziali del job. Si fornirà così una struttura portante di riferimento sulla quale in seguito costruire competenze via via più complesse, anche con la formazione sul lavoro. Inoltre, attività pratiche ricorrenti e distribuite a intervalli regolari nel percorso di apprendimento sono efficaci in termini di memorizzazione di lungo termine. Infine, la pratica più diffusa per limitare il sovraccarico della MBT è quella di produrre risposte automatiche attraverso un’intensa e ripetuta pratica; ▪ snodo 2: favorire la comprensione e la generazione:grazie ad attività proattive di acquisizione di competenze si possono rendere più fluidi alcuni importanti processi cognitivi. La funzione generativa dell’apprendimento può essere stimolata grazie un continuo coinvolgimento dei formandi nel costruire relazioni tra ciò che stanno apprendendo e il loro bagaglio pregresso di conoscenze ma anche grazie alle esercitazioni, ai progetti e agli ambienti formativi che devo essere il più possibile simili ai contesti lavorativi. Importante sembra anche essere l’apprendimento collaborativo; ▪ snodo 3: promuovere il transfer:l’apprendimento generativo rappresenta una delle modalità per facilitare il transfer. Anche attraverso gli esempi l’apprendimento risulta più rapido, profondo e soddisfacente. Più in generale, il problema del transfer può essere affrontato creando situazioni formative dentro il contesto di lavoro. A questo proposito, si è sviluppato l’approccio dell’apprendistato cognitivo. Il soggetto in formazione è inserito in un ambiente reale e gli viene richiesto di affrontare differenti compiti, problemi e situazioni direttamente tratti dall’ambiente di lavoro. Gli esperti costituiscono un modello comportamentale e possono svolgere funzioni di coaching. In generale, tutte le soluzioni di apprendimento situato favoriscono il transfer proprio perché tendono a ridurre la distanza e a esaltare la similitudine tra contesto di apprendimento e contesto della performance. I processi cognitivi devono essere maggiormente contestualizzati, esaminando l’interconnessione tra diversi ambiti di conoscenza, il rapporto tra conoscenza e prestazione e il ruolo dell’esperienza. Un passo avanti significativo in tale direzione è stato fatto grazie agli studi sull’ expertise. Si tratta di un consistente filone di ricerca che ha tentato di affrontare l’acquisizione e la natura delle competenze ricostruendo processi mentali complessi di soggetti implicati nello svolgimento di un compito articolato. Il soggetto esperto è colui che possiede un ampio bagaglio di conoscenze e di competenze procedurali in uno specifico ambito costruite attraverso l’esperienza e la formazione. Tale bagaglio, associato a processi specializzati, gli permette di eseguire prestazioni di alto livello, sopra la media o eccezionali, in modo stabile e continuativo. Emergono, pertanto, due aspetti specifici che caratterizzano l’expertise: il possesso di conoscenze e competenze e la prestazione sopra la norma. L’accento sull’uno o sull’altro aspetto ha dato vita a due approcci complementari di ricerca sul tema dell’expertise. Il primo approccio centrato sulla competenza considera la quantità e qualità di sapere, l’organizzazione della conoscenza, la capacità di mentali funzionali come fattori che definiscono l’expertise. Il secondo approccio, centrato sulla differenza di prestazione, considera esperto colui che esibisce una performance sopra la media o, in alcuni casi, eccezionale (i cosiddetti best-performer). Le differenze tra esperti e non esperti e tra prestazioni eccezionali e medie possono essere esaminate in base ad alcune categorie concettuali: a) conoscenza:l’expertise si caratterizza per la qualità dell’organizzazione del sapere (modelli mentali, schemi, strutture, concatenazioni), per la più stretta interconnessione tra conoscenza e prestazione e più elevate meta-competenze, per il sapere tacito che riguarda prevalentemente aspetti trasversali e non specialistici della prestazione e, infine, per la metacognizione, un insieme di elementi conoscitivi che riguardano la consapevolezza delle risorse possedute e la capacità di monitorare e regolare costantemente i processi di acquisizione e utilizzo delle competenze; b) comprensione dei problemi:gli esperti dedicano più tempo alla comprensione del problema, prima di affrontarlo, e attivano una ricerca di informazioni più estesa e al largo raggio. Inoltre, adottano una strategia relazionale che permette di considerare il problema come strettamente connesso al contesto generale in cui è inserito; c) definizione di obiettivi e pianificazione:i soggetti con più esperienza operano maggiormente nella definizione di obiettivi, con particolare riguardo a scopi di lungo termine. Per quanto concerne, invece, la pianificazione, essa risulta un’attività quasi automatica. Pertanto viene trascurata nella ricostruzione delle attività svolte; d) utilizzo di feedback:le persone esperte tendono a ricercare più regolarmente dati che possono informare sull’andamento del loro operato. Soprattutto, attivano forme di automonitoraggio, verificando con regolarità l’andamento e la qualità della propria prestazione; e) comunicazione e cooperazione:gli esperti, in rapporto agli altri, sembrano più abili nella comunicazione, soprattutto a fronte di situazioni complesse. Inoltre, sono più in grado di sostenere un gruppo nel raggiungimento di obiettivi, di alimentare la cooperazione, di dare aiuto e feedback agli altri. Pertanto, la persona esperta e il best-performer non sono semplicemente coloro che hanno appreso di più e meglio, sono invece coloro che possiedono: la capacità di proceduralizzare, rendere operativo il proprio sapere; La capacità di mettere in relazione la conoscenza con le caratteristiche ambientali e le richieste del compito; la capacità di autoregolare i processi mentali e il comportamento implicati nell’esecuzione di un compito. Altri fattori sembrano giocare un ruolo fondamentale nel definire la prestazione competente: aspetti motivazionali come il bisogno di riuscita e la motivazione ad apprendere degli individui; un orientamento generale del soggetto verso l’autoapprendimento e lo sviluppo individuale continuo. Expertise e processi formativi Grazie all’approccio centrato sull’expertise si è messo in evidenza il ruolo fondamentale dell’esperienza nella proceduralizzazione e automatizzazione di alcune pratiche lavorative, i processi cognitivi di elaborazione di schemi e mappe mentali e la rilevanza delle metacognizioni nel regolare i processi di apprendimento e la prestazione. In particolare, le principali conseguenze degli studi sull’expertise in termini di costruzione di processi formativi sono: - analisi del fabbisogno formativo:tale analisi non dovrà soffermarsi solo sugli aspetti esteriori e comportamentali della prestazione, ma dovrà approfondire le attività mentali che guidano, coordinano e gestiscono la prestazione. Inoltre, all’esperto sarà richiesto di descrivere la competenza tacita che sottende la prestazione e quali procedure attiva per il monitoraggio e il controllo della propria azione; - definizione del progetto formativo:l’attenzione dei formatori è diretta sul problema dell’integrazione tra conoscenze dichiarative e sapere procedurale, tra acquisizione di mappe mentali e il loro utilizzo pratico, tra apprendimento di sequenze di operazioni e loro automatizzazione. Uno dei temi centrali della progettazione formativa è costituito quindi dall’equilibrio che si deve trovare tra una più tradizionale formazione sui concetti, le regole e le teorie e una formazione costruita attraverso la pratica, l’esercizio e la simulazione di situazioni reali; - transfer delle competenze dalla formazione al lavoro:è importante considerare le metacognizioni che influenzano il processo di transfer. Alcune metacognizioni, infatti, sono particolarmente indicate per favorire un proficuo utilizzo delle competenze nel contesto di lavoro. Ad esempio, il percorso formativo può facilitare il soggetto nell’anticipare quali sono le potenziali difficoltà che potrà incontrare nel contesto di lavoro, nell’elaborare strategie adeguate di fronteggiamento e controllo emozionale per gestire al meglio situazioni nuove e richieste del compito particolarmente sfidanti e nell’identificare quali sono le principali fonti di aiuto che potrà utilizzare nel contesto di lavoro. L’expertise adattiva si manifesta in situazioni poco familiari, nella creazione di nuove procedure operative, nel dare risposta a problemi poco strutturati e mal definiti e nell’integrare simultaneamente e in modo originale diversi tipi di conoscenza. L’esperto, in questo caso, è colui che sa individuare quando le procedure standard di lavoro devono essere cambiate per dare risposte adeguate alle mutate circostanze; È colui che sa affrontare con successo le novità ambientali, la variabilità situazionale e l’imprevisto. Vi è una maggiore attenzione ad abilità che permettono alla persona di mettere in sintonia il proprio sapere, la natura del compito e le caratteristiche del contesto organizzativo. In questo panorama il training design dovrà concentrarsi su una serie di possibili soluzioni: • l’approccio della scoperta guidata:basato sul metodo induttivo, sulla sperimentazione diretta, sulla possibilità di apprendere mediante l’inferenza di regole, principi e strategie; • l’apprendimento basato sull’errore: strategia che valorizza il compimento di errori come opportunità per rivedere le proprie strutture di conoscenza, per prestare attenzione a determinati comportamenti critici e per ristrutturare modelli mentali scorretti o troppo semplificati; • l’apprendimento di metacognizioni:le strategie formative che promuovono la percezione di padronanza del soggetto sul processo formativo sembrano incrementare ▪ controllo emotivo il soggetto cerca di controllare emozioni e pensieri che possono produrre tensione, preoccupazione e ansia legate al processo di apprendimento; ▪ controllo motivazionale si traduce in procedure mirate a sostenere l’interesse e a evitare il naturale declino delle risorse attentive con il tempo; ▪ monitoraggio dell’apprendimento permette di mettere in atto comportamenti correttivi qualora si valuti un ritardo negli apprendimenti o il mancato raggiungimento di determinati obiettivi. Capitolo III – L’individuo nei processi formativi La formazione è principalmente un'attività organizzativa finalizzata al miglioramento delle prestazioni di lavoro e al conseguimento di obiettivi produttivi. Allo stesso tempo è una risorsa per la gestione delle risorse umane,che può favorire lo sviluppo individuale nelle organizzazioni, garantire crescita, innovazione e più soddisfacenti condizioni di lavoro. In questo contesto si vuole quindi valorizzare una prospettiva individuale lasciando sullo sfondo il contesto organizzativo, i vincoli imposti dall'ambiente, gli obiettivi sopra individuali. Stili di apprendimento individuali, intelligenza, motivazioni, tratti di personalità, valori e atteggiamenti delle persone sono fattori decisivi che condizionano, nelle diverse fasi di realizzazione, il processo formativo. Influenzano la definizione del fabbisogno di competenze, condizionano la scelta di metodi e strumenti didattici, esercitano un peso decisivo sui processi di apprendimento e di acquisizione delle competenze e agiscono sugli esiti di lungo periodo della formazione. Tutti questi elementi fanno sì che l’esperienza formativa sortisca esiti molto diversi da individuo a individuo. In altri termini, le caratteristiche personali nella formazione possono essere considerate come fattori antecedenti, un input nel sistema che influenza in modo significativo l’andamento del processo di trasmissione delle competenze e gli esiti. Sarebbe quindi interessante analizzare: 1. cosa la persona informazione porta con sé al momento dell'ingresso in un'attività di training, 2. quali variabili possono coinvolgere il soggetto nell'apprendimento e nella partecipazione alle attività di sviluppo delle competenze, 3. e come l'attività formativa possa essere predisposta per massimizzare l'esperienza di apprendimento. Si può ipotizzare che vi siano alcune caratteristiche individuali come la personalità, la self- efficacy, le abilità cognitive e la motivazione che costituiscono potenziali fattori di influenza sugli esiti del processo formativo. Questi ultimi possono essere intesi come output diretti per l’individuo (apprendimento, acquisizione di competenze e cambiamento di atteggiamenti) o outcomes di secondo livello, connessi cioè con la vita delle organizzazioni (trasferimento delle competenze nel lavoro, miglioramento della prestazione e nuove posizioni di carriera). L’abilità cognitiva è intesa come la capacità mentale di trattare ed elaborare le informazioni, come dotazione di risorse cognitive specifiche di una persona che le permettono di agire in modo adeguato in diversi contesti. Questa definizione si basa sull'intelligenza intesa come processo che comprende il funzionamento della memoria di lavoro, della memoria a lungo termine e una serie di altre attività cognitive svolte in modo più o meno rapido, preciso e originale dalle persone: la velocità di processamento delle informazioni, la rapidità di apprendimento, la modalità di integrazione di nuovi dati informativi nel sistema di conoscenza. Le abilità cognitive sono studiate grazie a un singolo fattore generale (fattore g) che raggruppa diversi tipi di capacità cognitive (ragionamento aritmetico, rapidità percettiva, conoscenza verbale, velocità di codifica, conoscenza matematica, abilità spaziale). L’ipotesi di fondo è che il fattore g sia un rilevante elemento differenziale che spiega gli output del processo formativo, la qualità e la quantità dell’apprendimento e, di conseguenza, il livello della prestazione di lavoro. A questo proposito, il modello proposto da Colquitt, LePine e Noe prevede che le abilità cognitive esercitino un duplice ruolo nel processo formativo: • influenzano gli esiti della formazione:soggetti che hanno una migliore dotazione in termini di fattore g avranno più facilità nell’acquisire conoscenza dichiarativa, nel costruire competenze e nel modificare atteggiamenti; • influenzano l’autoefficacia percepita pre-training delle persone:soggetti con più elevate abilità cognitive accederanno alle attività formative dotati anche di una più forte convinzione circa i propri mezzi e capacità. Numerose ricerche confermano che l'intelligenza, la fluidità di ragionamento, la comprensione verbale, la capacità di elaborazione complessa delle informazioni tendono a favorire i processi di apprendimento in ambito formativo. Vi sono, tuttavia, delle questioni ancora aperte nell’interpretare il ruolo delle abilità cognitive nel processo formativo. Il primo problema riguarda l’esclusività del fattore g nello spiegare la qualità e la quantità dell’apprendimento che va a escludere l’importanza di altri fattori psicologici di natura non- cognitiva, come la personalità. Si tratta ovviamente di una posizione estrema, in parte smentita da ricerche successive. Di fatto, abilità cognitive e motivazioni sembrano agire su due piani ortogonali fra di loro ma complementari nell'influenzare gli esiti della formazione. L'autoefficacia percepita, inoltre, sembra costituire un anello di congiunzione fra abilità cognitive e motivazione ad apprendere. Una seconda questione riguarda il fatto che, se da un lato è chiaro che le abilità cognitive sono risorse fondamentali per favorire l’apprendimento, dall’altro non è ancora completamente definito in che modo esse intervengano sul trasferimento di competenze dalla formazione al lavoro e sulla prestazione post-training. Un terzo aspetto riguarda la mancata considerazione delle componenti sociali che caratterizzano la genesi e l’utilizzo di tali risorse intellettuali. Inoltre, si possono manifestare dubbi su una lettura esclusivamente in termini mono- fattoriali. Gli approcci cognitivi più recenti hanno teso a valorizzare i differenti processi di funzionamento attraverso i quali sono elaborate le informazioni, rilevando una pluralità di componenti dell'agire intelligente. Si è quindi dedicata attenzione alle componenti procedurali dell'intelligenza: l’intelligenza, almeno secondo il modello triarchico di Sternberg, è un costrutto multidimensionale. Possiamo individuare, in particolare, componenti che riguardano il controllo e monitoraggio delle attività, componenti esecutive e componenti relative all’acquisizione delle informazioni e all’apprendimento. Gli individui possiedono tali dotazioni in modo differenziato. Il comportamento componenziale intelligente fa riferimento alle tradizionali componenti dell'intelligenza: elaborazione delle informazioni, apprendimento, pianificazione, anticipazione. A sua volta si articola in sottocomponenti a conferma di una interpretazione multidimensionale delle abilità cognitive. Il comportamento contestuale intelligente è proprio di quelle persone che tendono a selezionare l’ambiente ottimale, ad adattarsi a esso o a modificare le caratteristiche per renderle più vicine ai propri interessi e valori. L'intelligenza è definita all'interno del contesto nel quale l'individuo si trova ad agire: non è generalizzabile a diversi ambienti, ma è specifica e contestualizzata. Un comportamento contestuale intelligente è proprio di quelle persone che tendono a selezionare l'ambiente ottimale, ad adattarsi ad esso o a modificarne le caratteristiche per renderle più vicine ai propri interessi e valori. Il comportamento esperienziale intelligente si manifesta quando gli individui devono affrontare situazioni nuove e trasformare le loro risposte in routine automatizzate. Leva intellettuali sarebbero molteplici relativamente autonome e farebbero riferimento alle diverse aree cerebrali di attivazione punto e sulla base di questo modello che hanno preso spunto gli studi sull’expertise, infatti l'expertise può essere considerata come una forma di sviluppo specifica di particolari abilità cognitive. Tali interpretazioni procedurali e multidimensionali delle abilità cognitive hanno delle dirette implicazioni per la progettazione formativa. “È possibile disegnare programmi formativi adatti ai diversi profili di abilità cognitive e che tengano conto dei punti di forza e di debolezza degli individui?” Vari autori hanno cercato di dare una risposta a questa domanda: Secondo Carter sono due le dimensioni che costituiscono l’abilità cognitiva generale (abilità di comprensione verbale e abilità di ragionamento) e che conducono a esiti di apprendimento diversi a seconda del metodo formativo adottato. In quest’ottica diversi tipi di abilità cognitiva consiglierebbero diverse soluzioni formative. Secondo Dormann e Frese i programmi formativi devono incoraggiare a considerare l’errore come fonte di apprendimento in quanto consente di ridefinire gli schemi operativi adottati. L'adozione di metodi formativi basati sulla scoperta e che incoraggiano l'autonoma sperimentazione delle persone devono essere calibrati su popolazioni adatte a questa sfida cognitiva il ricorso ai metodi a fronte di un gruppo informazioni non in grado di valorizzare gli elementi peculiari rischierebbe di avere conseguenze negative sul piano degli apprendimenti e percepita. In particolare, persone con più elevate abilità cognitive valorizzano meglio questo tipo di metodologia: esibiscono una migliore prestazione e un più elevato livello di autoefficacia post- training rispetto a individui con basse abilità cognitive. L'interesse nei confronti della motivazione ad apprendere è connesso alla necessità di rilevare il ruolo giocato da fattori non strettamente cognitivi nel processo di apprendimento e nel miglioramento della prestazione di lavoro. La motivazione alla formazione è stata definita come la direzione, l’intensità e la persistenza di comportamenti individuali diretti all’apprendimento nei contesti formativi e l’intenzione di profondere un consistente impegno e sforzo nel seguire un particolare programma formativo. Considerando la complessità dell’esperienza formativa, si possono elencare almeno tre tipi di motivazioni, concettualmente distinte, che entrano in gioco nel comportamento delle persone: a) motivazione a partecipare ad attività di promozione delle competenze e di sviluppo individuale: risultano quindi importanti bisogni e aspettative riferite a socialità, riuscita, realizzazione e strumentalità; b) motivazione ad apprendere nuovi saperi, a costruire nuove competenze e ad assumere nuovi atteggiamenti: in questo caso riguarda il commitment verso l'attività formativa, il grado di investimento affettivo e l'energia erogata nella partecipazione alle attività; c) motivazione a utilizzare i contenuti della formazione per scopi individuali e organizzativi: in questo caso riguarda l'utilizzo delle risorse acquisite durante l'attività formativa nella scelta comportamentale. I limiti concettuali e di misura nel campo della motivazione alla formazione derivano in parte dal riferimento a teorie classiche sulla motivazione umana. La modalità più Comune di affrontare il tema della motivazione nelle ricerche in ambito sentimento di efficacia da parte del soggetto nell’eseguire adeguatamente il compito. L’autoefficacia percepita pre-training è strettamente connessa con la motivazione ad apprendere. L’autoefficacia come output del sistema formativo ha invece riflessi significativi sul transfer e sull’utilizzo delle competenze in ambito lavorativo. Se attraverso l’intervento formativo si ottiene, oltre all’acquisizione di competenze, un incremento nella fiducia delle proprie specifiche capacità da parte dei partecipanti, allora si potranno avere effetti positivi anche nella modifica delle pratiche lavorative e nell’uso delle nuove capacità acquisite. Numerose ricerche sono state realizzate per individuare eventuali tratti di personalità connessi con la trainability degli individui. In particolare, è importante tenere in considerazione due variabili disposizionali: l’orientamento allo scopo e la coscienziosità. L’orientamento allo scopo è considerato come un tratto disposizionale piuttosto stabile, anche se potenzialmente condizionabile da fattori situazionali, che caratterizza il comportamento degli individui. Esso si fonda su due dimensioni distinte. Alcuni individui sono orientati verso obiettivi di apprendimento (learning goal orientation); altri individui sono più orientati verso obiettivi connessi con la prestazione (performance goal orientation). Il profilo di una persona orientata all’apprendimento è caratterizzato dal desiderio di sviluppare competenze e saperi, di accrescere costantemente e aggiornare le conoscenze e di padroneggiare la situazione. Il profilo di una persona orientata alla prestazione, invece, è caratterizzato dal desiderio di dimostrare la propria competenza, di ottenere valutazioni positive circa il proprio operato e di evitare situazioni in cui possa essere giudicato negativamente. Il primo orientamento matura in persone convinte che le abilità siano malleabili mentre il secondo è tipico di persone che considerano l’abilità e l’intelligenza come entità statiche. Svariate ricerche hanno confermato che l’orientamento all’apprendimento rappresenta uno stile di risposta favorevole nei contesti formativi. In generale, comunque, i risultati migliori in termini di acquisizione di competenze e innalzamento della self-efficacy a seguito di un training sono ottenuti dalle persone con orientamento all’apprendimento e abilità cognitive e levate. - Le persone con questo orientamento tendono ad avere una più elevata autoefficacia percepita, a mostrare maggior impegno, a ricercare più intensamente feedback sul loro operato e attrarre insegnamento dagli errori commessi sono più attivi nella costruzione di meta competenze, più abili nell'organizzare strutture e conoscitive e coerenti e adottano strategie di apprendimento più elaborate. Nel complesso giungono ad ottenere maggiori benefici dalla formazione, ma anche a generalizzare e a trasferire le competenze della formazione al lavoro. - Viceversa, le persone orientate alla prestazione risultano più riluttanti a partecipare ad attività di training virgola non valorizzandone l'utilità e benefici. Possono inoltre assumere comportamenti difensivi in quanto considerano il training come particolarmente minacciante perché si tratta di un contesto sociale dove conoscenze e competenze possedute sono risultare inadeguate e dove vi è una consistente probabilità di essere valutati negativamente. Tuttavia le caratteristiche dell'organizzazione di lavoro o la struttura del processo formativo possono spingere le persone ad abbandonare un orientamento centrato sulla performance e incoraggiare l'orientamento all'apprendimento. È stato inoltre dimostrato un effetto di interazione fra fattori disposizioni e fattori situazionali: persone con elevato orientamento all'apprendimento, ma inserite in un contesto orientato alla prestazione virgola non hanno mostrato differenze nell'apprendimento rispetto a persone con un orientamento disposizione alla prestazione. Viceversa le persone con orientamento disposizione alla prestazione inserito in un contesto orientato all'apprendimento hanno raggiunto esiti formativi migliori rispetto agli altri. un orientamento all’apprendimento in persone con basse abilità cognitive è considerato maladattivo. Fattori situazionali possono influenzare l’orientamento disposizionale, modificandolo, accentuandolo o temperandone la portata e l’intensità. La coscienziosità è quel tratto di personalità che distingue una persona determinata, caratterizzata da perseveranza, orientamento alla riuscita, impegno nel portare a termine i compiti, affidabilità e migliore organizzazione delle attività. Martocchio e Judge hanno ipotizzato che l’effetto della coscienziosità sull’apprendimento sia mediato da due variabili psicologiche che esercitano effetti contrastanti. 1. La prima variabile è l’autoefficacia percepita. Soggetti più coscienziosi si ritiene abbiano una più elevata autoefficacia percepita che può esercitare, a sua volta, un ruolo positivo sulla motivazione ad apprendere e sull’acquisizione di saperi e competenze. 2. La seconda variabile moderatrice è costituita dall’autoillusione positiva: una tendenza da parte dell’individuo di trascurare le osservazioni critiche, evitare pensieri negativi, non dare importanza a errori e fallimenti perché particolarmente orientato alla riuscita e al successo. Tale valutazione illusoria non giova all’apprendimento. Infatti, l’autoillusione può essere considerata come una strategia difensiva tesa a tutelare l’immagine di sé. Facendo riferimento ad alcune indicazioni sul ruolo dell’individuo nella formazione sono opportune ulteriori considerazioni. La prima considerazione che appare evidente è che la dimensione soggettiva gioca un ruolo essenziale nei processi formativi. Ciò significa che le attività di ideazione, progettazione, realizzazione e valutazione di azioni formative non possono essere costruite senza avere la consapevolezza di quali sono le caratteristiche dei partecipanti. La seconda considerazione di carattere generale è che si può individuare un profilo psicologico ottimale del “buon cliente-utente” della formazione e, parallelamente, si può definire una sorta di sindrome di disadattamento alla formazione. Le persone che potranno beneficiare maggiormente degli esiti della formazione sono quelle che vedono un forte legame tra la loro azione, il loro impegno, l’investimento di risorse e i risultati ottenuti. I modelli considerati fino a ora fanno ricorso a un insieme di variabili personali a carattere quasi-disposizionale, per poi cercare di individuare alcuni fattori situazionali che interagiscano con esse. Se ne ricava una visione parcellizzata e artificiale della persona, che viene studiata come insieme di variabili isolate. Ciò conduce a un deficit di conoscenze relative al ruolo di una serie di fattori personali-esperienziali nella formazione: a) la qualità delle risorse psicosociali a disposizione della persona (come la qualità delle esperienze formative pregresse) può condizionare l’assetto motivazionale e gli esiti dell’esperienza formativa. L’analisi delle caratteristiche individuali dovrebbe partire dalla dotazione personale in termini di competenze, aspettative, risorse affettive e relazionali, bisogni e progetti. A partire da tali elementi, l’azione formativa può essere strutturata per favorire, oltre all’acquisizione di competenze professionali, processi di empowerment e di orientamento nel percorso di carriera; b) la qualità del rapporto tra individuo e organizzazione può giocare un ruolo significativo sulla motivazione a partecipare alla formazione, sugli apprendimenti e sulla volontà di trasferire le competenze acquisite dal training al lavoro. In quest’ottica, si vuole incoraggiare una analisi pre-training degli individui indirizzata a comprendere come le persone vivono la propria posizione nell’organizzazione, come percepiscono il sistema di gestione delle risorse umane e quali opportunità e rischi si aspettano dal programma formativo; c) un ruolo determinante sugli esiti del training può essere giocato da progetto di carriera individuale. L’analisi su questo tema si può configurare su più piani: come si caratterizza il progetto di carriera individuale; in che misura la formazione è considerata dal lavoratore come un’opportunità per la realizzazione del proprio disegno di carriera; in che modo si realizza il progetto di carriera in rapporto all’organizzazione di appartenenza. Ciò che preme segnalare, in conclusione, è che la diagnosi della persona che entra in un percorso formativo merita di essere approfondita, andando oltre gli aspetti disposizionali in precedenza indagati. I diversi tipi di partecipanti ai corsi possono essere dislocati lungo un ipotetico continuum. Esso è caratterizzato, ad un polo, dalla situazione ottimale in cui il formatore ha a che fare con partecipanti motivati, con elevate abilità cognitive e con profili di personalità funzionali all’apprendimento. Al polo opposto si trova la situazione più problematica dove l’utenza risulta poco motivata, con scarse convinzioni di autoefficacia, con ridotte abilità cognitive e con profili di personalità disfunzionali. La situazione ottimale potrà prevedere modalità didattiche aperte, centrate sul partecipante, con l’adozione di metodologie che favoriscano l’esplorazione cognitiva, l’apprendimento mediante la scoperta, l ragionamento, l’induzione e l’analisi degli errori. Il formatore ha principalmente il ruolo di facilitare i processi di apprendimento, di procurare risorse informative e relazionale e di fornire consiglio alle scelte che i partecipanti sono chiamati a effettuare. La situazione più problematica sarà caratterizzata da una struttura formativa ben definita per dare modo al partecipante di cogliere la natura del percorso, le tappe che lo caratterizzano e gli obiettivi generali e intermedi da raggiungere. Il formatore, in questo caso, riveste i panni del programmatore e del regolatore del flusso informativo. Tra queste due architetture formative estreme, fortemente sbilanciate sulla personalizzazione e l’autonomia l’una, sulla strutturazione e l’addestramento l’altra, stanno infinite soluzioni operative che possono essere adottate per rispondere al meglio alle caratteristiche, alle risorse e alle aspettative dei partecipanti. Capitolo IV – Il processo formativo La formazione nelle organizzazioni è un essenziale strumento di costruzione delle competenze a livello individuale, di gruppo e organizzativo. Essa agisce su conoscenze, competenze e atteggiamenti producendo cambiamenti che dovrebbero rendere più efficace l’azione degli individui nelle organizzazioni. Le conoscenze fanno riferimento all’acquisizione di saperi che possono avere diversi livelli di specializzazione. Le competenze, anche definite skills, sono apprese e riflettono l’applicazione riuscita di risorse conoscitive nel risolvere problemi o produrre risultati. Gli atteggiamenti costituiscono gli orientamenti generali del soggetto, i sistemi di credenze su sé stesso, il contesto sociale e organizzativo circostante. La formazione intesa come un processo: intenzionale per dare risposta a fabbisogni ed esigenze identificabili; che va pianificato secondo modalità e stadi ben definiti che rispecchiano l’impostazione del processo di problem-solving; che avviene perlopiù in un contesto specificamente deputato all’apprendimento, separato da quello lavorativo. Il primo presupposto invita a considerare il training come processo sistemico, regolato con un approccio tendenzialmente razionale e centrato su fabbisogni identificati da parte dei membri dell’organizzazione che a vario titolo si occupano di formazione e sviluppo delle risorse umane. Il secondo presupposto pone al centro dell’attenzione l’architettura del disegno formativo che potrà essere realizzato seguendo passaggi ben definiti e praticando scelte secondo un percorso logico ragionevolmente prevedibile. Il terzo presupposto rende saliente il momento del transfer, cioè del passaggio delle competenze dal contesto formativo al contesto di lavoro. Una serie di consolidati modelli per la pianificazione delle attività formative su cui si concentra buona parte della letteratura sono da ricondurre ai cosiddetti sistemi educativi o tecnologie educative. Si tratta di un set di strumenti, metodi e contenuti che, combinati tra loro, prevedono lo sviluppo di programmi in ambito educativo e formativo. prestazione del bagaglio di conoscenze, competenze e atteggiamenti già in possesso di un lavoratore l'analisi verte quindi sull'attuale livello di competenze messe in atto nel posto di lavoro nel confronto di queste rispetto a standard attesi appunto per questi motivi solitamente l'analisi delle persone si svolge in modo congiunto con l'analisi del lavoro e dopo che l'analisi organizzativa è stata completata. Essa punta all'individuazione dei potenziali partecipanti all'attività formativa e alla precisazione del loro fabbisogno rispetto a quanto stabilito nei termini di job Analysis. Wexley e Latham propongono, in particolare, due passaggi fondamentali per condurre l’analisi delle persone allo scopo di individuare il fabbisogno formativo. a) Il primo passaggio consiste nella valutazione dell’attuale prestazione. Se l’esito di questa prima fase è positivo, cioè si rileva la presenza di uno scarto tra prestazione del singolo e parametri generali di efficienza e produttività, allora si passa al secondo step analitico. b) Questo consiste nella diagnosi più approfondita delle competenze dell’operatore. Le procedure più in uso in questa fase sono: l’autodiagnosi delle competenze dell’operatore, il colloquio individuale e l’affiancamento di un supervisore. Il modello fin qui analizzato parte dal presupposto che il problema nasca da particolari deficit di prestazione o carenze nella struttura delle competenze, e quindi limitato ad un circoscritto numero di situazioni. I fattori che danno impulso ad attività formative però sono innumerevoli e possono scaturire da problematiche più complesse: L’innovazione tecnologica è un ulteriore fattore di impulso alla formazione, così come l’innovazione di prodotti e servizi su richiesta dei clienti e utenti. Infine, un fabbisogno formativo può emergere anche in rapporto a progetti di carriera, ad aspirazione di mobilità verticale e di sviluppo del proprio bagaglio di competenze da parte di singoli individui che l'organizzazione intende valorizzare. In questi casi l'organizzazione deve affrontare il potenziale di sviluppo delle persone, il bagaglio di competenze possedute e il loro grado di trasferibilità in altre situazioni lavorative, la motivazione individuale ad affrontare un percorso formativo, il grado di fiducia nei propri mezzi e il sentimento di autoefficacia percepita e le aspettative i progetti di carriera dentro l'organizzazione. Con gli elementi raccolti in fase di analisi del fabbisogno formativo è possibile affrontare la progettazione dell’intervento formativo. Si tratta di costruire un processo formativo il più possibile favorevole all’apprendimento, alla ritenzione e al trasferimento delle conoscenze nel contesto di lavoro. La progettazione formativa consiste nella definizione di obiettivi formativi, contenuti formativi, principi formativi per favorire l'apprendimento, metodi e strumenti, modalità di valutazione del percorso formativo, aspetti relativi alla concreta realizzazione dell'attività formativa. Gli obiettivi formativi rappresentano l’input fondamentale per la progettazione del piano formativo e per orientare la sua realizzazione. Dalla definizione degli obiettivi discendono poi le scelte relative ai contenuti formativi da inserire nel percorso: quali conoscenze, competenze e atteggiamenti devono essere trasmessi perché soggetto in formazione possa giungere con successo all’acquisizione delle competenze prefissate. Gli obiettivi formativi costituiscono una guida che indica in quale direzione orientare i contenuti formativi. In sostanza, i contenuti formativi costituiscono la traduzione operativa dell’obiettivo. L'obiettivo formativo tenta di definire le competenze traguardo da raggiungere al termine dell'attività formativa. Quanto più tali obiettivi saranno specificati in modo dettagliato e verificabile, tanto più sarà agevole valutare l'acquisizione di saperi e competenze e il cambiamento di atteggiamenti. I contenuti formativi costituiscono la traduzione operativa dell'obiettivo specificano quali saperi e competenze e atteggiamenti e il soggetto dovrà padroneggiare per raggiungere gli obiettivi prefissati. Progettare un intervento formativo è un’attività composita affrontabile utilizzando conoscenze, metodi e strumenti provenienti da diversi ambiti disciplinari. In particolare, sono importanti alcune linee guida: ▪ coerenza i metodi didattici e l’insieme del percorso formativo dovrebbero essere progettati in modo coerente con i processi cognitivi, fisici e psicomotori dei soggetti coinvolti, nella direzione di favorire la padronanza del soggetto su contenuti formativi; ▪ feedback nelle attività formative si dovrà fare ampio uso di forme di feedback in quanto hanno una valenza informativa e motivazionale; ▪ pratica più attiva è la produzione dell’apprendimento, più agevole sarà la memorizzazione e l’utilizzo delle informazioni; ▪ autoefficacia le scelte didattiche e gli strumenti di valutazione dovranno essere progettati con il proposito di innalzare l’autoefficacia percepita delle persone e di alimentare aspettative positive circa il successo del percorso formativo; ▪ personalizzazione I metodi dovranno essere personalizzati in funzione delle attitudini e delle precedenti conoscenze dei soggetti. Sul tema della coerenza tra obiettivi formativi, caratteristiche del soggetto e strategie formative si sono soffermati numerosi contributi. In particolare, Gagnè, Briggs e Wager individuano cinque diversi prodotti o esiti dell’apprendimento: competenze intellettuali, strategie cognitive, informazioni verbali, atteggiamenti e capacità motorie. Gli autori ritengono che per ciascuna categoria di apprendimento sia necessario individuare diverse pratiche formative e diverse condizioni operative per ottimizzare il processo di acquisizione delle competenze. In ogni caso, la progettazione formativa va intesa come una sequenza di scelte e operazioni caratterizzate da estrema coerenza interna. Per quanto riguarda, invece, gli interventi di feedback (il quale deve essere personalizzato), essi possono essere definiti come delle azioni intraprese da agenti esterni per produrre informazioni che riguardano un aspetto della prestazione nello svolgimento di un compito. In termini generali offrire informazioni esterne sulla qualità di una prestazione può avere effetti positivi sulla prestazione stessa. Per avere effetto il feedback deve essere accuratamente percepito dal soggetto, deve essere collegato a specifici comportamenti o prestazioni, deve essere proposto con una certa parsimonia, deve essere in una certa misura “personalizzato” e la fonte che offre feedback deve risultare credibile. Secondo Kluger e DeNisi l’attivazione di un processo di apprendimento a seguito di feedback sulla prestazione si può avere a fronte di tre condizioni: 1. il feedback è di tipo negativo (identifica una discrepanza tra il modo di eseguire un determinato compito e il modo in cui si dovrebbe svolgere secondo un esperto: ci sono due chance: abbandono o ridimensionamento dei propri obiettivi); 2. il soggetto si rende conto che ulteriori sforzi individuali non contribuiscono a ridurre la discrepanza; 3. il soggetto è convinto di poter colmare con successo la discrepanza. Il feedback può quindi stimolare la motivazione individuale verso l’attenzione verso nuove forme di apprendimento. Vari studi sulla costruzione dell’expertise confermano che un fattore determinante della prestazione esperta è costituita dall’acquisizione di automatismi attraverso la pratica. Grazie alla pratica, la prestazione diviene via via più efficiente e fluida, è richiesto un minore sforzo per compierla, le risorse cognitive e attentive possono essere utilizzate per altri scopi; dall’applicazione di un comportamento basato su regole e algoritmi, tipico del neofita, mediante la pratica si può giungere a un più rapido recupero dalla memoria della risposta appropriata. In realtà, alcuni autori affermano che l’eccesso di attività pratica può rivelarsi non ottimale per i processi di ritenzione e transfer. 1. Di fatto, la ripetizione dello stesso set di risposte a richieste del compito costanti, che di solito si traduce nelle situazioni di training pratico, può non rivelarsi efficace nel contesto di lavoro, in quanto il soggetto può non essere in grado di far fronte alla rilevante variabilità delle situazioni lavorative. 2. Inoltre, la facilitazione della prestazione, tipica del training attraverso la pratica, può indurre il soggetto a un minore sforzo nelle attività di elaborazione e adattamento delle risposte. 3. Infine, la presenza di costanti feedback esterni sulla prestazione può inibire l’elaborazione di interpretazioni autonome sulla qualità della performance da parte del soggetto. Una delle decisioni che i progettisti della formazione devo prendere riguarda la quantità appropriata di training da proporre ai partecipanti. Particolare interesse hanno destato i meccanismi di acquisizione di automatismi e il loro ruolo nell’incrementare la ritenzione e nel facilitare l’esecuzione di una prestazione. Altri studi si sono occupati della strategia dell’overlearning: si basa sulla deliberata prosecuzione delle attività formative anche dopo l’acquisizione da parte del soggetto della padronanza nel portare a termine un dato compito. A dispetto dei risultati positivi conseguiti( sembra favorire un significativo incremento nella ritenzione e conduce l'acquisizione di automatismi comportamentali, la stabilizzazione della risposta comportamentale la possibilità di avere ulteriori feedback sulla propria altezza della propria esecuzione sembrano essere i processi che conducono ad una maggiore ritenzione e quindi il compito può essere svolto con un ridotto carico cognitivo liberando risorse per altre attività mentali), si può ritenere che l’overlearning sia una pratica adatta ai soli processi formativi di carattere addestrativo, dove è facilmente definibile il compito da ripetere (es: assemblare un fucile). Un altro esempio di studi dedicati alle strategie formative con significativi risvolti psicologici è costituito dall’apprendimento collaborativo. Si tratta di protocolli formativi in cui le persone sono formate secondo procedure collettive. L’apprendimento collaborativo è risultato efficace in vari contesti in quanto offre l’opportunità di apprendere non solo dagli istruttori, ma anche dall’osservazione e dal confronto con i colleghi. Un ulteriore ambito di studi è dedicato alle condizioni di efficacia della formulazione basata sulla simulazione e su giochi. La progettazione di simulazioni e giochi permette di ricreare condizioni e situazioni di lavoro molto simili a quelle reali, attraverso le quali addestrare e formare il personale. Altre forme di simulazione sono costituite da metodi formativi come il role-playing, basati sull’approccio del modellamento comportamentale. La riproduzione di un comportamento da parte di un soggetto può favorire l’apprendimento mediante la sperimentazione diretta, il feedback ricevuto dagli altri e l’acquisizione di consapevolezza. comportamentali e nel comporre mentalmente una più complessa articolazione del compito. La valutazione, in questo ambito, si è tradizionalmente basata sull’osservazione del comportamento della persona nell’eseguire concreti compiti o simulazioni che implicano il ricorso a una data competenza; 5. acquisizione automatismi prestazione con un più blando monitoraggio consapevole del soggetto. Per misurare l’acquisizione di automatismi sono adottate diverse strategie di indagine che si rifanno al paradigma del compito secondario. Si chiede al soggetto di compiere, oltre al compito primario, un secondo compito. Mano a mano che aumenta l’automaticità nell’eseguire il compito primario, migliorerà anche la prestazione nel compito secondario. La stabilizzazione della prestazione nei due compiti è considerata come un indicatore di acquisizione di automatismi; 6. atteggiamenti la valutazione relativa all’acquisizione di atteggiamenti si appoggia sulle metodologie elaborate in psicologia sociale nell’ambito del cambiamento di atteggiamenti e opinioni. Le prospettive più diffuse prevedono studi longitudinali pre- post training per verificare l’effettivo cambiamento di atteggiamenti a seguito dell’intervento formativo. Le modalità di misura più adottate sono quelle basate su self- report mediante questionario e puntano a verificare la direzione, la forza e l’intensità dell’atteggiamento; 7. motivazioni gli strumenti di misura utilizzati sono generalmente questionari strutturati in cui è richiesto al soggetto di descrivere alcuni stati motivazionali. Si è precedentemente parlato del transfer of training cioè l'uso delle capacità e competenze acquisite nella formazione per migliorare la prestazione nello specifico ambiente di lavoro. Perché il transfer avvenga il soggetto non solo deve apprendere e memorizzare ma deve anche generalizzare l'uso delle competenze e applicarle in contesti diversi da quello formativo. È possibile identificare un continuum di situazioni e di teorie del transfer (Noe, 1998). Ad un polo estremo, l’operazione del trasferimento può essere intesa come trasposizione di comportamenti appresi dalla formazione alla prestazione di lavoro; all’altro polo, si può intendere il trasferimento come complesso processo di adattamento e di autonoma elaborazione del soggetto circa gli usi più appropriati delle competenze al contesto di lavoro. Il primo caso è più adatto a descrivere attività addestrative relative a compiti che prevedono l’esecuzione precisa e ripetuta di alcune routine o riguarda l’uso di particolari apparecchiature. Il tema del transfer è affrontato secondo la teoria degli elementi identici che si fonda sui principi del condizionamento operante. Il trasferimento può essere massimizzato dalla presenza di condizioni molto simili nell’ambiente formativo e nell’ambiente di lavoro. Un approccio intermedio è denominato della generalizzazione dello stimolo che si fonda sui principi della teoria dell’apprendimento sociale e del modellamento comportamentale. Il trasferimento, secondo tale approccio, è meno automatico e distale. Esso prevede l’abilità del soggetto nell’applicare le competenze acquisite anche in contesti lavorativi che non presentano esattamente le caratteristiche della condizione formativa. Lungo il continuum vi sono poi situazioni formative più articolate, fondate su una pluralità di competenze e dove vi sono ampi margini di interpretazione delle condizioni di lavoro. Il transfer è considerato come un complesso processo cognitivo di acquisizione, memorizzazione, recupero e interpretazione delle informazioni. Secondo tale modello, il trasferimento dipende essenzialmente dall’abilità del soggetto nel recuperare saperi e competenze nelle situazioni di lavoro più adatte. Infine, all’altro polo del continuum si trovano situazioni e modelli interpretativi fondati sul self- management delle competenze. Tale modello si applica laddove sono in gioco competenze pregiate e un elevato livello di discrezionalità operativa. Il self-management prevede che la persona nel training transfer utilizzi con elevata discrezionalità i saperi in diversi contesti di lavoro e in diverse situazioni professionali, sia flessibile nell’uso delle competenze e nell’adattarle a diverse problematiche lavorative e valuti l’uso appropriato dei vari saperi acquisiti secondo procedure di autoregolazione e automonitoraggio. Si può ritenere che il successo del transfer dipenda da alcuni attributi individuali, dalle caratteristiche del percorso formativo e da alcune qualità dell’organizzazione di lavoro. A livello individuale, può esserci un mancato trasferimento perché il soggetto che ha preso parte ad un’attività di training ritiene di non padroneggiare in modo adeguato le competenze apprese. Tale tipo di difficoltà può essere aggirata con l’inserimento di numerose opportunità di testare le competenze progressivamente acquisite dai formandi. Sempre a livello individuale, il mancato transfer può essere causato dalla convinzione personale che le nuove competenze non siano effettivamente utili per svolgere meglio il proprio lavoro. A livello di progetto formativo, il transfer può non avvenire perché non sono raggiunti gli obiettivi formativi o perché l’esperienza formativa non è in grado di promuovere la detenzione di materiale a medio-lungo termine. È necessario in questo caso “rinfrescare” periodicamente le competenze apprese mediante moduli formativi che permettano di recuperare i contenuti e di aggiornarli con nuove competenze. A livello organizzativo la nozione più sviluppata è quella di clima organizzativo favorevole al transfer, cioè la percezione condivisa di condizioni organizzative favorevoli all’uso delle competenze acquisite nel contesto di lavoro. Vari aspetti sono considerati come indicatori di un clima favorevole al transfer: affiancare un lavoratore esperto alle persone che rientrano a lavoro dopo un periodo di formazione; alleggerire le richieste di efficienza e di produttività nei periodi immediatamente successivi al periodo di training; utilizzare durante il training attrezzature simili a quelle presenti sul lavoro. (vedi tabella pagina 182). Capitolo V – Formazione nelle organizzazioni La formazione nelle organizzazioni rappresenta una serie di interventi organizzativi pianificati rivolti alle risorse umane che operano su conoscenze competenze e comportamenti dei dipendenti. Il fine è il miglioramento della prestazione. Alla fine del capitolo questa definizione dovrebbe risultare eccessivamente semplice. L’apprendimento nelle organizzazioni è un processo complesso e continuo che va ben oltre l’erogazione dell’attività di training. È importante sottolineare anche il ruolo proattivo delle persone nel costruirsi in modo autonomo e discrezionale i propri percorsi di crescita professionale, al di là dei disegni organizzativi. Vi sono almeno tre aspetti che rendono la questione della formazione nelle organizzazioni più complessa di quanto possa sembrare in apparenza. In primo luogo, la formazione non è l’unico strumento organizzativo che si occupa di apprendimento e di acquisizione di competenze nei luoghi di lavoro. Il quadro degli interventi si arricchisce con le attività di sviluppo del personale (valorizzazione dei dipendenti attraverso la valutazione costante e la stima sul loro potenziale) e di gestione delle carriere (pianificare I percorsi organizzativi nel tempo). In secondo luogo, la formazione non è l’unico strumento di gestione delle risorse umane. Vi sono altre pratiche organizzative quali, ad esempio, il reclutamento e la selezione del personale, finalizzate alla migliore allocazione e utilizzo del capitale umano nelle organizzazioni. In terzo luogo, vi sono stati importanti mutamenti all’interno delle organizzazioni e nella struttura delle forze di lavoro che hanno messo in discussione il tradizionale modo di intendere la costruzione delle carriere organizzative e le relazioni tra individuo e organizzazione. Le organizzazioni oggi sono meno disposte, rispetto al passato, a premiare la fedeltà e a garantire la stabilità ai propri dipendenti. Nello stesso tempo, esse si attendono dai dipendenti capacità di innovazione, flessibilità nel gestire diversi compiti organizzativi e competenze pregiate. Dal canto loro, i lavoratori tendono a costruire la propria carriera secondo una prospettiva individuale, attraverso lo sviluppo delle competenze per incrementare la propria occupabilità e avere più credenziali che favoriscano la mobilità e lo sviluppo professionale. La quantità e qualità di formazione da erogare per i propri dipendenti è funzione della capacità di una organizzazione di reclutare e selezionare personale già in possesso di una serie di requisiti professionali. Più in generale, le attività formative sono funzione delle strategie di staffing di una organizzazione. Per strategie di staffing si intendono quelle decisioni aziendali che riguardano dove e come acquisire nuovi membri, in quale posizione collocarli e attraverso quali criteri favorire la mobilità di carriera. Le attività formative in una organizzazione divengono un elemento di pianificazione strategica aziendale, una forma fondamentale d’investimento per realizzare macro-obiettivi organizzativi. Vi è quindi una stretta interdipendenza fra caratteristiche di un'azienda e tipo di attività formative punto il ruolo delle caratteristiche aziendali risulta evidente se si pensa allo stadio di sviluppo di una singola impresa (cioè, fase di espansione, di consolidamento, di crisi) alle sue caratteristiche strutturali (cioè sede unica o più sedi nazionale o multinazionale di piccole e medie o grandi dimensioni) e al suo modello organizzativo. Noe individua quattro tipi di strategie aziendali (intrecciando caratteristiche organizzative e attività formative) prevalenti e per ciascuna di esse riporta le implicazioni significative in termini di politiche formative: ➢ concentrazione (riduzione dei costi e aumento della produttività sviluppo delle forze di lavoro esistenti e training on the job); ➢ crescita interna (sviluppo dei prodotti e innovazione promuovere la cultura dell’innovazione e della qualità); ➢ acquisizioni (integrazione con altre organizzazioni:favorire processi di integrazione tra culture); ➢ disinvestimento (riduzione delle attività:assistenza all’outplacement). Le linee strategiche di sviluppo dell'organizzazione possono giungere a condizionare anche aspetti specifici dei programmi formativi moe suggerisce che tale influenza si esercita su una serie di aspetti che riguardano: ➢ la quantità di formazione prevista il livello di analisi del fabbisogno formativo ➢ il target di riferimento della formazione ➢ l'attivazione di iniziative formative ➢ l'importanza relativa attribuita alla formazione rispetto ad altri strumenti di gestione delle risorse umane. Se si pensa alle odierne organizzazioni complesse, si può sintetizzare il ruolo assunto dalla formazione secondo un cammino evolutivo evidenziato da Martocchio e Baldwin. Gli autori individuano, come primo passo di tale cammino, un ruolo tradizionale della formazione focalizzato sull’insegnamento di conoscenze e competenze professionali. Un secondo passo è rappresentato dalla formazione come strumento di attuazione delle strategie aziendali. In quest’ottica la formazione può assolvere l’importante funzione di adeguamento continuo delle competenze degli operatori alle domande emergenti. Un terzo passo, infine, è quello che vede la formazione come strumento per creare e condividere conoscenza. In quest’ottica, la formazione è intesa come strategia per incrementare il capitale umano dell’organizzazione, non solo in termini di sapere e di competenze professionali, ma anche come trasmissione della cultura organizzativa, di intervento motivazionale sui membri e di miglioramento continuo delle pratiche produttive. acquisizione di nuova conoscenza dichiarativa, organizzazione della conoscenza e strategie di soluzione dei problemi. Meno rilevanti appaiono gli effetti sulla sfera affettiva e motivazionale. Per quanto concerne le occasioni formative non pianificate dall’organizzazione che favoriscono la crescita delle competenze professionali, un concetto da considerare è quello di serendipità. Questo termine descrive una modalità conoscitiva che presuppone intuizione, flessibilità e apertura all’esperienza. Secondo il principio della serendipità si trovano cose non cercate, si ottengono risultati inattesi e si valorizzano esiti imprevisti. Nell’ottica di una formazione permanente, London e Smither hanno elaborato il concetto di career related continuous learning. Le persone possono intraprendere in modo deliberato delle attività formative di varia natura allo scopo di incrementare conoscenze e competenze rilevanti per la propria carriera. È in questo modo che innescano un processo di apprendimento continuo. È possibile individuare alcuni fattori personali e situazionali che tendono a facilitare o a inibire tale tipo di intraprendenza alla formazione continua connessa con la carriera. Inoltre, è possibile evidenziare un processo che si caratterizza in diverse fasi: a) fase pre-learning:caratterizzata dalla capacità diagnostica delle persone nell’individuare una discrepanza tra il proprio bagaglio di competenze e quanto può essere richiesto dall’attuale occupazione o da futuri sviluppi di carriera. I principali fattori individuali che favoriscono l’attivazione di tale fase sono la tendenza all’automonitoraggio, la ricerca di continui feedback e l’apertura all’esperienza. Fattori situazionali, invece, riguardano compiti lavorativi sfidanti, contesto organizzativo dinamico e struttura produttiva dei confini deboli oltre che cambiamenti tecnologici, organizzativi e occupazionali; b) fase di apprendimento:fattori individuali che possono facilitare il processo di apprendimento sono il sentimento di autoefficacia percepita, locus of control, autostima positiva, estroversione e proattività. Tra i fattori situazionali che facilitano la fase di apprendimento rivestono invece un ruolo primario l’esistenza di figure di supporto che incoraggiano a intraprendere il percorso di apprendimento e i potenziali benefici che possono essere ricavati dall’acquisizione di nuovi saperi e competenze; c) fase di applicazione dell’apprendimento:riguarda la traduzione operativa delle competenze apprese. I fattori personali che possono favorire il successo in questa fase sono la coscienziosità, la capacità di pianificazione e l’orientamento alla riuscita della persona. Fattori di contesto riguardano la presenza di rinforzi che spingono il soggetto a utilizzare le nuove competenze e un clima organizzativo generale favorevole all’innovazione e alla sperimentazione di nuove procedure operative. Sintetizzando quanto emerso fino ad ora: • nelle organizzazioni vi sono varie opportunità di apprendimento oltre alle normali attività pianificate di formazione; • La formazione rappresenta un elemento integrante delle strategie di un'organizzazione; • La formazione è una componente essenziale del più ampio processo di gestione e pianificazione delle risorse umane; • La formazione è un'attività fortemente condizionata dai vincoli e dalle risorse, dal clima e dalla cultura, dalla struttura e dal sistema socio tecnico dell'organizzazione. Kozlowski e Salas denunciano un’enfasi eccessiva data ai processi di acquisizione delle conoscenze e competenze e segnalano una scarsa attenzione verso l’altra componente essenziale della formazione: l’applicazione di conoscenze e competenze nel contesto organizzativo. Pertanto gli autori propongono un approccio multilivello: individuale, di gruppo e organizzativo. Nel progettare un’attività formativa, nel realizzarla, nel valutarne il grado di successo sarà indispensabile esplicitare a quale livello di intervento si intende operare e su quale piano si intendono produrre degli esiti di cambiamento. Ciò significa riconoscere nelle diverse fasi del processo formativo la presenza di istanze collettive e l’influenza di fattori contestuali. Un secondo elemento previsto dal modello è costituito dal contenuto delle attività organizzative. In particolare, gli autori distinguono due macrocategorie di contenuti: l’aspetto tecnico- strutturale dell’organizzazione e i processi umani. La dimensione strutturale si focalizza su caratteristiche tangibili, concrete e visibili del sistema organizzativo mentre il fuoco sui processi umani si concentra su aspetti meno tangibili come la cultura e il clima. Il modello cerca di integrare aspetti strutturali e sociali, componente formale e informale della vita organizzativa. Un terzo elemento portante del modello teorico è dato dalla congruenza. Essa costituisce la condizione necessaria per mantenere un equilibrio entro e tra i diversi livelli e fattori dell’organizzazione. Tale congruenza dovrebbe essere pervasiva su tutti i livelli di analisi appena descritti. A livello individuale ci dev’essere coerenza tra competenze tecniche e abilità di gestione dei processi sociali. A livello di gruppo ci deve essere coerenza tra strutture di coordinamento, processi di gruppo e leadership. A livello di sistema organizzativo ci deve essere coerenza tra strategie, strutture e tecnologie da un lato e cultura e obiettivi organizzativi dall’altro. Dal modello appena esposto si possono trarre alcune implicazioni operative. Le più stimolanti riguardano la formazione rivolta ai team all’interno di organizzazioni di lavoro complesse: i cosiddetti hight-performance team (HPT): si tratta di team che ad esempio operano nelle sale chirurgiche o nelle cabine di pilotaggio, per cui la loro prestazione non è costituita dalla somma dei contributi dei singoli membri ma è l'esito di una complessa articolazione fra compiti di natura specialistica virgole forme di cooperazione, modalità di coordinamento e integrazione ruoli. Per gruppi di questo tipo, è necessario che le attività formative siamo progettate ed erogate tenendo in considerazione i seguenti principi. ➢ In primo luogo, dalle fasi di analisi del fabbisogno formativo, sino alla erogazione dell’attività formativa e alla valutazione degli esiti, l’unità di analisi è il team nella sua interezza. Ciò significa porre al centro dell’attenzione alcune competenze collettive, che sono ovviamente dipendenti dal livello di competenze individuali, ma che possono essere manifestate ed espresse solo a livello di gruppo: competenze di coordinamento degli sforzi individuali all’interno del gruppo; competenze di monitoraggio del gruppo; competenze relative alla presa delle decisioni e al problem-solving collettivo; competenze relative alla conduzione del gruppo. ➢ In secondo luogo, è necessario che le attività formative integrino al proprio interno la componente tecnologico specialistica e la componente relativa ai processi umani. Ciò significa puntare a un alto livello di congruenza tra competenze tecniche e abilità di regolazione dei processi umani per rendere la performance collettiva efficace. ➢ In terzo luogo, l’obiettivo formativo è quello di stimolare la costruzione di modelli mentali condivisi che riguardano interpretazione consensuale del contesto, la rappresentazione condivisa del sistema tecnologico, le modalità di coordinamento ed esecuzione del compito costruita e ricostruita grazie le pratiche lavorative formative e il sistema di attese reciproche sui ruoli attribuiti a ciascun membro del gruppo. Vista la grande varietà di HPT risulta difficile presentare un repertorio esaustivo di potenziali contenuti formativi. Tuttavia, è possibile elencare qualche area di contenuto su cui la formazione può intervenire: condurre simulazioni, affinare le modalità comunicative tra i vari membri del team, costruire una visione condivisa dei valori e rendere consapevoli i membri del gruppo circa l’importanza dell’interdipendenza, della fiducia reciproca e della responsabilità che ciascuno si assume nel ricoprire un determinato ruolo. Considerando il livello di analisi dell’organizzazione, si può fare ricorso alla vasta letteratura sui temi dell’apprendimento organizzativo, della learning organization e del knowledge management. L’organizzazione può apprendere perché accumula esperienza, include routine che si consolidano nel tempo, assimila conoscenza dall’esterno, costruisce la propria identità organizzativa composta da miti, simboli e tratti distintivi. A questo proposito, Blacker classifica quattro tipi di conoscenza organizzativa: 1. Oggettivata:radicata nella tecnologia, nelle procedure e nelle norme; 2. Incorporata:insita nelle competenze dei membri dell’organizzazione; 3. Assimilata:generata e conservata nei processi di generazione di senso; 4. Mentallizzata:le competenze degli attori chiave. L’apprendimento nelle organizzazioni può essere inteso come un prodotto sociale che si struttura in varie forme e secondo modalità non completamente predeterminate, variabili e talvolta inconsapevoli. Si basa sull’acquisizione di nuove informazioni e conduce a un cambiamento costante dei modelli di comportamento esistenti. L’apprendimento organizzativo è un processo continuo che caratterizza tutte le organizzazioni. Tale processo può essere categorizzato in quattro componenti: ▪ acquisizione di conoscenza:può essere costituita dai sistemi di conoscenze importati dei vari membri dell’organizzazione (apprendimento congenito), generata mediante sperimentazione diretta (apprendimento sperimentale), acquisita attraverso le esperienze di terzi (apprendimento vicario) acquisita con “l’innesto” di nuovi elementi, cioè selezionando e incorporando individui o gruppi esterni all’organizzazione e dotati di competenze sinora non possedute, o acquisita attraverso la continua ricerca di informazioni; ▪ distribuzione di informazioni:riguarda la diffusione e condivisione dei saperi acquisiti. Elemento chiave in tale ottica è costituito dalle cosiddette comunità di pratiche, cioè gruppi di individui che creano, condividono e alimentano un sistema di conoscenze professionali basate sull’esperienza diretta al di là delle prescrizioni formali e di quanto appreso nell’attività di training; ▪ interpretazione delle informazioni:processo che permette di generare significati e produrre schemi concettuali condivisi di interpretazione della realtà. In ogni caso sembra più funzionale ai processi di apprendimento organizzativo la convivenza di interpretazioni non conformiste e alternative tra loro; ▪ memoria organizzativa:elemento fondamentale per conservare, richiamare, utilizzare tramandare la conoscenza. Capitolo VI – La formazione per i lavoratori anziani La figura del lavoratore anziano è sempre più al centro dell’attenzione delle politiche attive dell’impiego e di interventi mirati a carattere nazionale o europeo. L’invecchiamento della popolazione, le migliori condizioni di salute generale in età avanzata e le politiche di progressivo innalzamento dell’età pensionabile dovrebbero spingere la presenza nei luoghi di lavoro di persone over 50 verso percentuali sempre più significative. In realtà, se si guarda al trend storico dell’ultimo secolo, si nota un progressivo ringiovanimento delle forze di lavoro. Questo accade per svariate ragioni: affermarsi di forme di tutela pensionistica, baby boom, downsizing, sviluppo tecnologico e conseguente riduzione del lavoro umano. Di fatto, gli anziani sono vittime di svariati stereotipi negativi: sono ritenuti meno adatti a intraprendere processi di aggiornamento e di riconversione delle competenze professionali, sono considerati meno produttivi e meno flessibili. È certo che oggi esiste una concreta esigenza di valorizzare maggiormente le risorse e le capacità produttive di una fascia crescente di lavoratori che hanno superato i cinquant’anni. Ciò per promuovere una più elevata qualità della vita delle persone che hanno superato la mezza età e si apprestano a transizioni psicosociali impegnative, quali la gestione della tarda carriera, 3. confronto sociale:i diversi gruppi di riferimento utilizzati per condurre la valutazione sul proprio grado di obsolescenza. L’obsolescenza professionale può essere considerata come l’esito di un complesso processo in cui intervengono fattori: personali (livello di istruzione, motivazioni, aspettative, aspirazioni, bagaglio di competenze possedute, carriera); lavorativi (complessità del compito, tipo di evoluzione tecnologica nello specifico job); organizzativi (strategie formative, politiche di gestione delle risorse umane, clima favorevole all’aggiornamento e supporto organizzativo). Pazy identifica 11 schemi cognitivi che hanno diversi gradi di funzionalità e di efficacia per far fronte al rischio obsolescenza e per guidare le decisioni di intraprendere attività di aggiornamento: - isolati dentro la propria nicchia temporale la padronanza sulle competenze necessarie per svolgere l’attuale lavoro è considerato come requisito sufficiente, senza la necessità di attingere a nuovi sistemi di conoscenze; - processo ciclico a due fasi la costruzione delle competenze è vista come l’esito di un ciclo in due fasi: una intensiva di apprendimento; una seconda dedicata al lavoro e all’applicazione di quanto imparato. Pertanto, l’aggiornamento è visto come attività limitata a certe fasi temporali; - evoluzione incrementale la costruzione della competenza è vista come processo graduale, impersonale, che avviene quasi indipendentemente dalle scelte del soggetto; - conoscere molto in pochi ambiti l’aggiornamento è focalizzato su pochi temi, tralasciando quelli non di diretta pertinenza con la propria specializzazione; - conoscere poco in molti ambiti questo schema enfatizza l’importanza di un sistema ampio e differenziato di conoscenze, senza la definizione di ambiti prioritari; - contare sull’esperienza professionale chi aderisce a questo schema tende a confidare molto sull’esperienza professionale che costituisce la risorsa su cui generare competenze aggiuntive; - al passo con il mercato le tendenze di mercato costituiscono l’oggetto principale di aggiornamento e specializzazione; - la centralità del risultato chi aderisce a tale schema tende a ignorare il problema dell’obsolescenza e delle competenze. È il risultato che deve essere preso in esame e non le varie componenti che lo possono generare; - tutti sulla stessa barca l’obsolescenza è vista come un problema di gruppo, da affrontare insieme ai colleghi; - la centralità del reparto chi aderisce a questo schema considera importante che l’aggiornamento delle competenze resti elevato a livello di unità di lavoro, al di là della ripartizione delle competenze tra singoli individui; - aggiornamento per diletto si tratta di una prospettiva individuale che pone al centro dell’interesse il soddisfacimento di bisogni di ordine superiore, non dettati dalle condizioni di lavoro. La scarsa attenzione dedicata dalle organizzazioni di lavoro al rischio obsolescenza e alla formazione per il lavoratore anziano può essere spiegata dalle teorie economiche. Gli assunti fondamentali di queste teorie possono essere così riassunti: a) l’insieme di conoscenze, capacità e competenze è considerato come un capitale umano che può far lievitare il grado di contabilità e la capacità produttiva dell’individuo; b) la formazione, così come il percorso educativo e l’acquisizione di esperienza, sono considerati strumenti fondamentali di accumulazione di tale capitale individuale; c) l’utilità dell’investimento in capitale umano è valutata alla stregua di qualsiasi altro investimento di natura finanziaria, cioè in termini di remunerazione del capitale investito; d) prima di investire in formazione, il singolo lavoratore cerca di prevedere il potenziale ritorno in termini di incremento del proprio salario e della propria occupabilità; e) allo stesso modo, il datore di lavoro valuta i benefici potenziali dell’investimento in formazione in termini di miglioramento della prestazione e dell’efficacia organizzativa. Secondo questa interpretazione il capitale umano del lavoratore anziano ha un basso profilo di remunerazione in quanto rischia una inesorabile declino dovuto ai processi di obsolescenza delle competenze soprattutto nei periodi di forte innovazione tecnologica e organizzativa. In quest’ottica, alti costi e limitato periodo di pay-back renderebbero improbabile l’investimento organizzativo sul capitale umano anziano. D’altro canto, lo stesso ragionamento utilitaristico sarebbe applicato nelle decisioni del lavoratore anziano. Tale impostazione del problema della formazione rivolta alle forze di lavoro più anziane appare estremamente debole sotto numerosi punti di vista. Dal punto di vista delle decisioni del singolo individuo, il modello si concentra prevalentemente su spiegazioni di natura economico-finanziaria e non considera importanti fattori psicosociali che possono intervenire sul comportamento dei lavoratori. Di fatto, appare semplicistico ritenere che le persone applichino funzioni economiche per decidere se vale la pena investire in attività di sviluppo professionale a breve e medio termine. Dal punto di vista delle decisioni organizzative, i limiti del modello neoclassico sono altrettanto evidenti. Il calcolo temporale relativo al periodo di pay-back dell’investimento in formazione appare astratto. Di fatto, appare riduttivo un calcolo della remunerazione dell’investimento sono in termini di periodo di permanenza dell’individuo nell’organizzazione. Una spiegazione alternativa a quella economica fa riferimento agli stereotipi che guidano le scelte del management delle organizzazioni di lavoro per definire le politiche di sviluppo delle competenze dei propri dipendenti. Da alcune ricerche emerge che i lavoratori anziani sono considerati meno propensi ad accettare le nuove tecnologie, poco adattabili al cambiamento, meno capaci di apprendere e meno interessati all’aggiornamento professionale. In ogni caso si è convinti che la partecipazione degli anziani ad attività formative non sia il semplice esito di una decisione individuale, ma vada esaminata come prodotto dell’interazione tra l’individuo e l’organizzazione. Quest’ultima ha il compito di offrire opportunità di formazione per i propri dipendenti e creare un clima favorevole allo sviluppo di competenze e all’innovazione, indipendentemente dall’età delle persone. In questo modo si va a incrementare la motivazione ad apprendere e a ottenere migliori risultati nella prestazione di lavoro. Elemento critico per la formazione delle persone anziane è costituito dalla capacità del soggetto di mantenere un’accettabile plasticità cognitiva. In ogni caso la gestione dei tempi di apprendimento appare cruciale. Numerosi dati confermano la necessità, per i più anziani, di affrontare in modo autonomo e individualizzato la cadenza e il ritmo dell’apprendimento. Nel complesso, il lavoratore anziano alla necessità di avere chiare istruzioni su cosa deve fare, capire senza ambiguità la natura del compito, mantenere il controllo sul proprio percorso di apprendimento, evitare il più possibile il ricorso alla memoria a breve termine, avere tempi più lunghi per consolidare le conoscenze e ottenere rapidi feedback sul percorso di apprendimento. Da tali principi sono scaturite alcune applicazioni pratiche. Una metodologia che ha avuto particolare successo è denominata activity learning. È basata sull’assunzione che con l’utenza anziana la formazione debba focalizzarsi sull’attività e sull’esercizio in compiti con gradi differenti di difficoltà e si debbano ridurre al minimo la descrizione, la memorizzazione e l’ambiguità. Su tali basi si fonda anche il discovery method il quale prevede che l’apprendimento sia basato essenzialmente sul fare, con il minimo ricorso alle istruzioni verbali. La scoperta attraverso l’esecuzione di compiti permette l’individuazione autonoma della migliore via per eseguire un determinato compito. Inoltre, alla fase di scoperta autonoma mediante attività pratica, devono far seguito sessioni di confronto e discussione con colleghi e supervisori al fine di consolidare i saperi acquisiti. Questi assunti e le relative metodologie hanno indicato la traccia su cui si sono poi avviate altre sperimentazioni e studi applicativi negli anni successivi. È il caso del modello di Downs e Roberts (CRAMP). Questo modello è essenzialmente centrato sulla distinzione di cinque tipi di apprendimento che implicano diverse strategie formative: comprensione (capire i contenuti formativi); riflesso (acquisire skills percettive e motorie); atteggiamenti (modificare atteggiamenti); memoria (memorizzazione di dati); procedurale (apprendere come operare in specifiche situazioni). Alcune raccomandazioni a beneficio dei formatori che si confrontano con un’utenza matura possono riguardare: ▪ favorire l’accesso alla formazione: favorire la motivazione; ▪ adattare struttura e metodi formativi:strutturare azioni formative grazie all’analisi del lavoro. È indispensabile mantenere il più possibile la familiarità fra nuove competenze da acquisire ed esperienza che il soggetto in formazione già possiede. I tempi dell’apprendimento devono essere strutturati in funzione dei ritmi, solitamente più lenti, delle persone in età avanzata. Inoltre, le attività formative dovranno prevedere modalità di organizzazione delle informazioni e dei materiali adeguate alle caratteristiche e alle peculiarità dell’anziano. Dovranno essere facilitati i processi di comprensione e memorizzazione da parte di un’utenza potenzialmente in difficoltà in tali compiti cognitivi. Infine, dovrà essere favorita una partecipazione attiva; ▪ dare consapevolezza sull’importanza della formazione del lavoratore anziano: sarà necessario orientare atteggiamenti e opinioni in funzione dell’acquisizione di una maggiore consapevolezza circa le difficoltà e le peculiarità che caratterizzano il rapporto tra lavoratore anziano e processo formativo. Nell’ottica di una personalizzazione della formazione è necessario considerare alcune linee guida: a) calibrare la formazione rispetto alle aspettative future del lavoratore anziano:solo grazie a un’accurata diagnosi delle caratteristiche psicosociali del lavoratore e dei suoi progetti di carriera sarà possibile modulare il percorso formativo, la sua intensità e durata, i contenuti formativi e i metodi didattici; b) orientare e dare consapevolezza:il soggetto si può appropriare in una certa misura del proprio destino formativo e professionale. L’esito auspicato è un migliore ancoraggio delle iniziative formative future all’esperienza passata del soggetto e una più chiara identificazione del percorso di sviluppo da intraprendere; c) valorizzare l’autoformazione:nelle fasi avanzate del ciclo di vita, i processi formativi anche a carattere professionale potrebbero garantire all’individuo un più elevato grado di autodeterminazione, di ricerca e di esplorazione autonoma. L’oggetto dell’autoformazione diverrebbe l’esplorazione, il rispecchiamento e l’introspezione.
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