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Riassunto Arendt-la responsabilità individuale sotto dittatura, Appunti di Filosofia

Arendt-la responsabilità individuale sotto dittatura

Tipologia: Appunti

2021/2022
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Caricato il 15/03/2022

ettorefoschi97
ettorefoschi97 🇮🇹

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Scarica Riassunto Arendt-la responsabilità individuale sotto dittatura e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! La responsabilità personale sotto la dittatura. (Di Hannah Arendt). Paragrafo 1.1: Il mio libro ‘La banalità del male’ ha stimolato una controversia sollevando dei problemi morali di ogni tipo alcuni dei quali non erano mai stati pensati. Con la realizzazione della ‘Banalità del male’, la mia intenzione era quella di offrire soltanto un resoconto del processo Eichmann e porre in evidenza il fatto, per me scioccante, che questo processo smentiva le nostre teorie sul male. Dal processo Eichmann infatti, la Arendt ricaverà l'idea che il male perpetrato da Eichmann - come dalla maggior parte dei tedeschi che si resero corresponsabili dell'Olocausto, fosse dovuto non a un'indole maligna, ben radicata nell'anima quanto piuttosto a una completa inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni.  Nell’opera ‘La banalità del male’ la Arednt ci dice che Eichmann sapeva quindi il destino degli ebrei da lui deportati, e malgrado questo ed il senso di disagio non fece nulla per impedirlo; si costrinse anzi a lavorare con più zelo, per bilanciare le sue repulsioni. Di fronte alle prove che Eichmann aveva coscienza di quanto provocato dalle sue azioni, il suo avvocato dichiarò che egli aveva agito per ragion di Stato. Chi fu davvero in grado di mantenere "intatta la coscienza" nella Germania nazista? Di fatto in Germania "la coscienza in quanto tale era morta. Pochissimi si opposero fin dall'inizio senza esitazioni. La rara posizione di "queste persone, che sul piano pratico non poterono mai far nulla, essi avevano conservata intatta la capacità di distinguere il bene dal male, non avevano mai avuto crisi di coscienza". Eichmann organizzava il trasporto degli ebrei tra i vari campi, i quali accettavano senza ribellioni e pronti a collaborare, tranquillizzati dai capi delle comunità ebraiche – che avevano salva la propria vita e quella di altri ebrei illustri in cambio del silenzio. Secondo la Arendt, se gli ebrei non si fossero lasciati nelle mani dei capi ebraici, almeno il 50% di loro si sarebbe salvato; e alla maniera di Eichmann si comportò il resto della Germania: alla fine della guerra molti dichiararono di essere sempre stati “internamente contrari” alle soluzioni naziste, ma di aver messo da parte le proprie convinzioni personali. La loro morale era data dalla società che avevano intorno e venivano presto sostituite inconsciamente dalla morale che il Führer propagandava. La sentenza riconobbe Eichmann responsabile di crimini contro gli ebrei, favorendone lo sterminio e crimini contro l'umanità, ma con l’accusa che egli avrebbe solo reso possibile lo sterminio, ma non lo avrebbe messo in atto personalmente. Eichmann stesso si sentì vittima di un'ingiustizia, ed era profondamente convinto di star pagando per le colpe degli altri: dopotutto, lui era solo un burocrate che faceva il proprio lavoro, ed incidentalmente, questo coincideva con un crimine. Nessuno degli accusati si sentiva responsabile dell’olocausto, stavano solamente svolgendo il proprio lavoro. Secondo la Arendt la sentenza non fu del tutto soddisfacente. Si sarebbe dovuto finalmente definire un soddisfacente motivo per cui Adolf Eichmann – come qualsiasi gerarca nazista – sia stato condannato, poiché come a Norimberga si sollevò il problema che egli non avesse violato alcuna legge già in vigore. Ciò che Eichmann aveva fatto era rendersi responsabile, commettendo crimini contro gli ebrei, di attentare all'umanità stessa, minando il diritto di chiunque a esistere ed essere diverso dall'altro. Per quanto riguarda lo stato psicologico di Eichmann egli non era affatto anormale semplicemente non aveva idee e non si rendeva conto di quel che stava facendo. Era semplicemente una persona completamente calata nella realtà che aveva davanti: lavorare, cercare una promozione, riordinare numeri sulle statistiche, ecc. Questa lontananza dalla vera realtà e la mancanza di pensiero critico sono il presupposto fondamentale della tentazione totalitaria, che tende ad allontanare l'uomo dalla responsabilità del reale, rendendolo meno di un ingranaggio in una macchina. La corte sostenne che alle azioni manifestamente criminali non si deve mai obbedire e che questo principio che esiste nel diritto di ogni paese. Ma come si può distinguere il crimine quando si vive nel crimine? Era questo che il processo ad Adolf Eichmann avrebbe dovuto spiegare. Egli si aggrappò al principio della "Ragion di Stato" per giustificare i suoi crimini. In realtà però, la Ragion di Stato si appella ad una certa necessità connessa ad una situazione di emergenza al fine di conservare l'ordine legale vigente, mentre il Terzo Reich si fondava su principi criminosi. In tale condizione, in pochi seppero in sostanza distinguere il bene dal male. Nel pensiero della Arendt l'essere il braccio intenzionalmente inconsapevole di qualcun altro, ed è qualcosa di estremamente comune e banale, che il potere può organizzare e utilizzare quando gli conviene. La cosa più sorprendente se pensiamo che stiamo parlando di un processo che doveva mettere per forza capo ad un giudizio, è che mi sia stato obiettato il fatto di giudicare era in sé una cosa sbagliata: nessuno poteva giudicare, nessuno che non fosse stato lì, presente ai fatti. Questo sia detto per inciso era esattamente l’argomento avanzato da Eichmann contro la corte. In effetti esiste nella nostra società, una diffusa paura di giudicare. Dietro il non volere giudicare si cela il dubbio che nessuno sia responsabile o possa rispondere agli atti che ha commesso. Non ha validità la fallacia del concetto di colpa collettiva secondo il quale tutti i tedeschi sarebbero colpevoli e tutto il passato tedesco andrebbe messo sotto accusa, un concetto questo che lava alla fine tutti i peccati, poiché se tutti sono colpevoli nessuno lo è. Laddove prevale il concetto di colpa collettiva non resta più nessuno da chiamare per nome. Ciò su cui vorrei attirare l’attenzione è quanto debba essere ormai radicato in noi il timore di emettere un giudizio, di fare dei nomi, di formulare un’accusa, specialmente nei confronti di persone, vive o morte, che hanno avuto molto potere, se ci riduciamo a ricorrere a manovre intellettuali del genere. Per fortuna esiste ancora nella nostra società un’istituzione, il tribunale, dove è impossibile sfuggire alle proprie responsabilità dove ogni giustificazione di carattere astratto o generico crolla, dove vengono giudicate persone in carne ed ossa che hanno commesso atti perfettamente umani, ma hanno violato quelle leggi che noi tutti riteniamo essenziali per l’integrità della nostra comune umanità. Paragrafo 1.2: Mi sembra opportuno sostenere che lo scalpore creato dal mio mettermi a giudicare dimostra come a mio avviso sia scomodo per molti di noi confrontarsi con i problemi morali. Una scomodità sperimentata anche nell’ambiente in cui mi sono formata. La mia primissima educazione in campo morale ha fatto sì che fossi oltraggiata ma che non fossi sconvolta dalla condotta bestiale delle truppe scelte nei campi di concentramento infatti le opinioni naziste erano già note a tutti da anni. Il nuovo regime dopo il ’33 poneva solo un rompicapo politico ovvero l’intrusione della criminalità nella sfera pubblica. Tutto ciò era per noi terribile e pericoloso, ma n-on sollevava comunque alcun problema morale. Questi problemi morali sorsero in seguito con il fenomeno dell’allineamento: ovvero con il sorgere dell’ansia di non Nei processi contro i crimini di guerra gli imputati e i loro avvocati hanno spesso sostenuto che tali crimini andavano intesi come ‘atti di Stato’, oppure che erano stati commessi per ‘ordine dei superiori’:  La teoria che sta dietro agli Atti di Stato prevede che il potere sovrano può essere costretto, in particolari situazioni a fare uso dei mezzi criminali, se e quando è in gioco la sua stessa esistenza. La ragion di stato non può essere fermata da considerazioni di carattere giuridico o morale. Secondo questa teoria, l’atto di Stato può essere paragonato all’atto individuale di autodifesa. Tale elemento però non può stare in piedi infatti i crimini dei regimi totalitari non furono dettati dalla necessità del momento al contrario si potrebbe addirittura dire sostenere che il regime nazista avrebbe potuto sopravvivere e avrebbe potuto pure vincere la guerra se non avesse commesso i suoi efferati delitti. Ancora più rilevante è l’argomento della ragion di Stato, su cui si basa quello degli Atti di Stato, afferma che i crimini del genere vengono commessi entro un contesto di legalità mantenuto in vita da tali crimini. Ciò che la teoria politica della ragion di Stato e il concetto giuridico di atti di Stato non riescono a cogliere è il fatto che ci troviamo qui di fronte ad un sovvertimento totale della libertà. Il discorso andrebbe rovesciato: non era l’atto criminale a costituire l’eccezione alla regola che doveva servire a mantenere il partito al potere, erano gli occasionali atti non criminali a costituire l’eccezione alla legge nazista, atroce regola in vigore.  Per quanto riguarda invece gli ‘ordini dei superiori’ il presupposto è che di regola gli ordini non siano criminali e che per questa ragione chi riceve gli ordini sia in grado di distinguere un ordine criminale da un altro che non lo è. In termini giuridici gli ordini cui bisogna disobbedire sono ordini palesemente illegali. Il singolo individuo ha diritto a disobbedire all’ordine ricevuto, se quest’ordine si segnala con chiarezza per la sua eccezionalità. Ma il problema con i regimi totalitari è che questo marchio di eccezionalità pesava sugli ordini che non erano criminali. Una corte israeliana ha definito in una sentenza che:’il sentimento della legalità deve essere ricerca nel profondo dell’umana coscienza, anche da parte di coloro che non hanno conoscenza dei libri di legge.’ Secondo me però questo si rivela insufficiente quando le cose prendono davvero una brutta piega perché tutti gli imputati agivano in un contesto in cui ogni atto legale era un crimine. Anno dopo anno infatti gli ordini illegali si sono susseguiti. Tali crimini hanno contribuito a creare un nuovo ordine. Si tocca il punto solo quando si afferra che lo sterminio di persone innocenti è accaduto nel quadro di un ordine legale senza che nemmeno ci sia una cogente necessità. Gli assassini e i loro complici non credevano fino in fondo in una morale stabile, ma a loro bastava che ogni cosa si svolgesse per volontà del Fuhrer le cui parole avevano forza di legge. Secondo l’avvocato di Eichmann la morale era un insieme di costumi e maniere, che può tranquillamente essere sostituita da un'altra, così come si cambiano le buone maniere a tavola. Ora rispondiamo ad alcune domande fondamentali:  I non partecipanti, definiti irresponsabili dalla maggioranza dei concittadini, furono gli unici che osarono giudicare da sé e furono in grado di farlo non perché disponessero di un migliore sistema di valori o perché avevano ben piantati nello loro teste i vecchi standard di moralità. Al contrario l’esperienza dimostra che furono proprio i membri della società rispettabile, quella uscita illesa dalla campagna morale e intellettuale condotta dai nazisti nelle prime fasi del regime a cedere per primi. Essi non fecero che cambiare un sistema di valori con un altro. Direi dunque che i non partecipanti furono coloro le cui coscienze non funzionarono in modo automatico. Essi si chiesero fino a che punto avrebbero potuto vivere in pace con la propria coscienza se avessero commesso certi atti e decisero che era meglio non far nulla, non perché il mondo sarebbe così cambiato per il meglio, ma perché questo era l’unico modo in cui avrebbero potuto continuare a vivere con sé stessi. Il requisito per il giudizio verso la moralità è la predisposizione a vivere assieme a sé stessi. In questa prospettiva il totale collasso morale della società rispettabile durante il regime di Hitler può insegnarci che in tali circostanze coloro che hanno certi valori etici e ci tengono alle norme e agli standard morali non sono gente affidabile. Molto più affidabili si rivelano i dubbiosi o gli scettici. I migliori tra tutti sono quanti hanno una sola certezza: qualunque cosa accada dovremmo continuare a convivere con noi stessi. (responsabili verso la propria coscienza).  Che dire dell’accusa di irresponsabilità rivolta a quei pochi che decisero di lavarsi le mani di quanto stava accadendo intorno? Penso che dovremmo tutti ammettere che esistono situazioni estreme in cui non ci possiamo assumere la responsabilità di quanto accade nel mondo. L’impotenza o la completa mancanza di potere è a mio parere una scusa valida.  Riflettiamo su coloro che non soltanto presero parte agli eventi ma pensarono anche che fosse loro dovere fare qualunque cosa venisse loro richiesta. La loro difesa è sempre uguale: ogni organizzazione esige che si presti obbedienza alle leggi del Paese. L’obbedienza è una virtù politica di prim’ordine senza la quale nessun corpo politico potrebbe sopravvivere a lungo. Ma obbedienza non significa acconsentire, la fallacia del ragionamento risiede nell’equazione che si stabilisce tra consenso e obbedienza. Un adulto acconsente mentre un bambino obbedisce. In questo caso ciò che va sottolineato è che nessuno, per quanto forte, potrebbe mai compiere alcunché nel bene o nel male senza l’aiuto degli altri. Senza l’obbedienza rivolta verso il leader e la sua impresa, egli non potrebbe fare alcunché, resterebbe impotente. Dobbiamo solo immaginare per un istante che cosa sarebbe accaduto a questi regimi se abbastanza gente avesse agito irresponsabilmente, negando il proprio sostegno anche senza scatenare una ribellione o una resistenza attiva, per capire quanto possa essere efficace un’arma come questa. (disobbedienza civile). Ad ogni modo la ragione per cui possiamo considerare questi nuovi criminali, che non hanno mai commesso un crimine di propria iniziativa, comunque responsabili dei loro atti è che non esiste obbedienza in faccende di carattere politico o morale. La domanda da rivolgere a quanti parteciparono e obbedirono agli ordini non è tanto ‘perché hai obbedito?’ quanto ‘Perché hai dato il tuo sostegno?’. Ne trarremmo tutti un gran profitto se riuscissimo a eliminare per sempre il dannoso termine ‘obbedienza’ dal nostro vocabolario politico e morale. Se riuscissimo a farlo, potremmo forse riacquistare un po’ di fiducia in noi stessi.
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