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Riassunto Arte Contemporanea: Le avanguardie storiche - J.N. Covre, Sintesi del corso di Arte

Riassunto dal volume sulle avanguardie storiche di J.N.Covre Fauves - Brucke - Cubismo - Orfismo - Der Blaue Reiter - Futurismo - Avanguardia russa e sovietica - De Stijl - Architetti e gli "ismi"

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 20/02/2016

zimbiste
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Scarica Riassunto Arte Contemporanea: Le avanguardie storiche - J.N. Covre e più Sintesi del corso in PDF di Arte solo su Docsity! 1 LE AVANGUARDIE STORICHE: I FAUVES, LA BRUCKE E IL CUBISMO Il legame tra questi 3 movimenti d’avanguardia è stato oggetto negli studi recenti di riflessioni e revisioni critiche sostanziali: idea di una successione dal primo all’ultimo è il primo preconcetto dal quale bisogna liberarsi, andando parallelamente a puntualizzare sui rispettivi limiti cronologici. Termine “Fauve”: nasce in occasione del Salon D’Automne del 1905, utilizzato dal critico Vauxcelles per indicare carattere spontaneo e aggressivo del colore presente in Matisse e nei suoi amici (ma quel tipo di pittura si muove già da almeno 2 anni in tale direzione), ed è anche riferito al pubblico e critici, “belve” di cui a sua volta sarebbe vittima l’artista. L’associazione della Brucke nasce a Dresda nello stesso anno, ma bisognerà aspettare almeno tre o quattro anni per vedere le prime opere inquadrabili in un fenomeno espressionista tedesco Per quanto riguarda il Cubismo, la sua data di nascita non può porsi semplicisticamente nel 1907, come si vedrà; ma è soprattutto l’idea del superamento dei Fauves da parte dei cubisti e di una loro crisi prodotta dal nuovo movimento d’avanguardia che va rivista radicalmente. Una linea Fauves prosegue vitalissima ben oltre il 1907, andando a influenzare in maniera più o meno marcata le altre avanguardie. In tutto questo, un ruolo sostanziale giocano l’influenza di Cezanne, raramente considerato fra le componenti fondamentali dei Fauves, oltre che del Cubismo, e al tempo stesso anche le sperimentazioni della scultura. Il preconcetto sotteso a tanti fraintendimenti è che una rivoluzione basata sulla violenza eminentemente cromatica sia meno riflessiva e duratura rispetto a un’altra apparentemente di maggiore rigore formale, basata sulla struttura lineare e plastica. La pittura dei fauves non sarebbe concepibile senza la sperimentazione cromatica di Delacroix, nei cui esiti astratti si era radicato Gustave Moreau; nel 1895 Matisse, insieme a Rouault e ad altri futuri fauves, inizia a frequentare proprio l’atelier Moreaux all’Ecole Des Beaux-Arts, e questo lo segnerà profondamente per la libertà del colore che ne costituisce un principio fondamentale. 2 Anche il successivo rapporto di Matisse con Signac riconduce nel solco romantico (fascino dell’esotico, del primitivo, dell’Oriente), rivolgendo lo sguardo oltre la tradizione occidentale. Ora è il colore a costituire lo spazio del quadro e ad esprimere l’emozione , o il senso interiore della composizione, autonoma dalla realtà visiva. Nei primi anni del secolo, muovono i primi passi con lo sguardo rivolto al Neoimpressionismo, soprattutto di Signac: Matisse è il più lucido, e non per nulla sarà anche l’unico a dare un cenno teorico su questa fase, e il più sensibile alla mitica armonia tra uomo e natura. Tutti hanno ben presenti anche gli altri fenomeni del Postimpressionismo: Gauguin e i Nabis, Van Gogh, Cézanne, la cui influenza riappare prepotente a partire dal 1906. Tra il 1904/1905, “Lusso, calma e voluttà” di Matisse, dimostra il ruolo trainante dell’artista: frutto di un’ampia cultura (il titolo è tratto da “Invito al viaggio” di Baudelaire; il tema delle bagnanti, in particolare quella di destra, da Cézanne; la presenza della natura morta dalla “La colazione sull’erba” di Manet), oggi è posto a conclusione del percorso del Musee d’Orsay. L’artista prende le mosse dalla tecnica del puntinismo (Signac, svuotandola di ogni funzione ottico-scientifica: la ricostruzione del tono locale nella retina dello spettatore non gli interessa, i punti si dilatano in piccole macchie di colore puro su sfondo bianco, assumendo un’andatura ritmica nelle diverse zone del quadro. Il ritmo dal sapore Art Nouveau è presente nei rami dell’albero a destra, che crea un’asse portante nella composizione, evitandone la dispersione in assenza di prospettiva lineare, senza turbare con la sua posizione asimmetrica, il ritmo dei contrasti cromatici (toni caldi). Va sottolineato che, dopo circa un anno, la prima idea del celebre “La felicità di vivere” riprende la struttura pointilliste di questo quadro, e solo nella realizzazione definitiva salda i piccoli tratti di colore in stesure piatte (con figure riconoscibili) Per Matisse la pittura è uno stile di vita, per i suoi amici è piuttosto ricerca in termini eminentemente visivi: in “Piccola baia a La Ciotat”, 1907, Braque, il procedimento tecnico sembra analogo a quello di Matisse, ma con differenze: usa pochi, essenziali elementi (un orizzonte, riflessi caldi e controriflessi contrastanti, tratti orizzontali al centro, rapide stesure diagonali sul cielo e sul terreno); tuttavia, Braque dovrà compattare i suoi tratti diversamente direzionati, dare un suono più saturo al colore riducendo intervalli bianchi, un lavorio presente nei paesaggi del 1906/1907, fino al 5 La trasposizione della ricerca strutturale nella scultura rappresenta una delle vie per superare l’immediatezza istintiva dell’espressione: oltre che da Matisse, è praticata anche da Derain, che vi inserisce anche il tentativo di appropriarsi di un linguaggio ispirato alla scultura negra combinata con altre sollecitazioni primitiviste (Nudo in piedi; Figura accovacciata; o in dipinti, come “Le bagnanti”, dove solidifica e semplifica Cézanne, con tre figure abbozzate con sobria semplicità, con un accenno di plasticità che esclude sia la scomposizione prospettica di Picasso, sia la scomposizione della pennellata di Cézanne). La vitalità dell’esperienza fauve non può misurarsi sulla svolta intrapresa da Derain, Vlaminck o Dufy in una direzione più sintetica che cubista, bensì sulla possibilità di una strutturazione della forma che non passi attraverso la negligenza del colore a vantaggio del disegno; di conseguenza, sulla sua incidenza in altre, diverse esperienze, prima tra tutte l’orfismo. Ruolo del primitivismo nella svolta verso una nuova strutturazione della forma intrapresa dai Fauves, anche attraverso il ricorso alla scultura, in un dialogo serrato con la pittura: artisti come Modigliani e Brancusi, connessi alle esperienze dell’Ecole de Paris e all’astrattismo degli anni ’20. Modigliani, assolutamente non assimilabile ad alcuna esperienza di recupero del classicismo o ritorno all’ordine, perché mai mirò a una rivoluzione formale: i caratteristici colli lunghi e i suoi occhi privi di sguardo nascono da un arcaismo che sintetizza riferimenti plurali, dall’antichità egizia o greco-romana all’arte tribale. Brancusi, estraneo a tutte le forme di astrazione, intento solamente a elaborare, dai riferimenti primitivistici, le proprie suggestioni mitiche, o strutture verticali che si librano nell’aria, sviluppa la poesia purissima di marmi e bronzi levigati quasi più dal pensiero che dalla mano, ovoidi perfetti come concetti platonici, ma anche intensamente lirici (Maiastra, uccello dal magico canto della sua patria) L’espressionismo della Brucke Al confronto con altri movimenti d’avanguardia, la pittura di quello tedesco appare più impacciata sul piano tecnico formale, più esplosiva su quello della motivazione comunicativa: bisogno di trasmettere all’esterno la propria interiorità, con un’urgenza e una spinta emotiva tali da rovesciare spesso questa esigenza nel suo contrario, ossia nell’incomunicabilità. 6 Ai pittori del “Ponte” sta a cuore non la “composizione” controllata, bensì l’esplosione di un disagio profondo, di un malessere oscuro e antico (urlo primordiale, che nasce da una stratificazione complessa, radicata nell’individuo e nella storia) Cause riconducibili al problematico rapporto con l’evoluzione della società, l’industrializzazione e urbanizzazione tedesca, in un arco più ristretto di anni rispetto altri paesi europei; in secondo luogo, risentono non tanto di una sperimentazione pittorica passata, quanto di una speculazione filosofica e poetica di grande complessità e vastità. Hanno soprattutto come eredità il romanticismo di Friedrich, fondato sull’”occhio interiore”: le sue forme taglienti e spigolose, il senso religioso della natura, il conflitto dell’uomo di fronte all’immensità del creato continueranno ad agire, nell’arte tedesca, fino al Surrealismo ed oltre. Gli artisti tedeschi, non avendo avuto in pittura un impressionismo e postimpressionismo, ma una stagione simbolista di altissimo livello, avranno come modelli di riferimento non tanto il Neoimpressionismo e Gauguin, ma il tormento esistenziale di Van Gogh, l’immedesimazione in una natura enigmatica di Munch. E’ con l’espressionismo tedesco che il “brutto” entra sistematicamente in una poetica, e con esso tutto il negativo che gli artisti avvertono nella scena urbana, negli edifici, luoghi di incomunicabilità e corruzione. Tematiche: penetrare nel segreto della natura, paesaggi popolati di nudi che si mimetizzano tra alberi e stagni, nature morte, tematiche urbane, oggetti o deformazioni della figura femminile. I dipinti più caratteristici della Brucke non appartengono ai primi 4 o 5 annidi vita dell’associazione; e un’intensa attività grafica è presente nelle prime mostre, nella tecnica prediletta della xilografia, a testimonianza che il problema della forma pittorica non è al centro degli interessi, almeno in un primo momento, e la scelta dell’incisione su legno si riallaccia alla volontà di riprendere una tecnica tipicamente tedesca. Il riferimento primitivistico poi prevalente nei dipinti è il gotico, in questi anni considerato prerogativa della cultura medievale tedesca, piuttosto che francese (strutture triangolari, spigolose, e in una sorta di trasposizione della scultura nella pittura, che emerge in modo prepotente nelle incisioni, al punto da ipotizzare che tutta la pittura espressionista tedesca dipenda dalla pratica della xilografia) Le incisioni della Brucke in realtà adottano il rapporto con la superficie lignea in un 7 modo del tutto nuovo: l’elemento lineare retrocede di fronte alla tendenza ad ottenere dallo scavo nella matrice ampie zone di nero su bianco, lasciando in evidenza le venature sul legno, la sua qualità materica, e al tempo stesso la violenza dell’intervento manuale su di esso. “Bambina in piedi” di Heckel (1910), non ancora donna ma già privata della serenità e dell’innocenza della fanciullezza, presenta un’immagine sproporzionata, goffa, dolente, sprigionante un’anima smarrita dai grandi occhi persi nel vuoto. Una xilografia è il manifesto della Brucke inciso nel 1906 da Kirchner in caratteri gotici semplificati, in cui la vaghezza dei contenuti è pari alla perentoria violenza della dichiarazione, che ha come punti salienti l’esaltazione della libertà e della gioventù, e il desiderio di stabilire una comunicazione. L’idea del ponte ricorre in questi anni come sinonimo di passaggio, collegamento, unione; il ponte è un’ancora di salvezza nel tentativo disperato di ritrovare nella società un rapporto umano, è un appello alla comunicazione e alla fratellanza. Tuttavia, un quadro come “Fratello e sorella” di Heckel, del 1911, presenta anche la tragica difficoltà di questi rapporti. I protagonisti esprimono e creano inquietudine: non si guardano, sono rivolti verso lo spettatore senza fissarlo, quasi sfuggendolo, in un interrogativo che può apparire una richiesta di aiuto. Tutto è costruito su moduli triangolari e spigolosi, persino il dito della mano cui si appoggia il mento nel tipico atteggiamento della malinconia; dall’indistinzione del fondo emergono soprattutto gli occhi socchiusi della ragazza e quelli spalancati della figura maschile, quasi rannicchiata sul fianco della sorella in una sorta di infantile impotenza. Un tema particolarmente caro ai pittori della Brucke è quello delle figure nude in un paesaggio, che corrisponde anche a uno stile di vita anticonformista, di libertà a contatto con la natura. “Bagnanti ai laghi di Moritzburg” (1910) di Pechstein consente di riconoscere la distanza presa da un soggetto della pittura francese certamente noto, ma trasposto in un significato differente. C’è in primo piano un dialogo tra un uomo e una donna stesi sull’erba, come sul Dejeuner sur l’herbe di Manet, due figure in piedi, una chinata ed una accovacciata, come nelle Bagnanti di Cézanne. Ma qui non c’è alcun richiamo al mito e all’armonia, né alcun intento costruttivo: pesanti masse di fogliame ed erba e un carattere quasi bozzettistico negli atteggiamenti dei corpi , dai caratteristici toni violenti e antinaturalistici, creano una sorta di disordine deliberato; è proprio questo rovesciamento di una 10 (Salone d’autunno) del 1913 non ci sono più, e con loro sono scomparsi anche i fauves e Picasso: Walden li ha sostituiti con l’orfismo, Delaunay, i futuristi, la Blaue Reiter, Chagall, Mondrian. Un altro rapporto appare singolare e importante nell’ambito della rivista ed è quello tra l’architetto Loos e il pittore e drammaturgo Kokoschka: i due potrebbero sembrare agli antipodi, il primo con la sua apparente freddezza, il secondo con la tragica drammaticità dei suoi soggetti letterari e il dinamismo nervoso della sua pennellata; ma non è così. L’espressionismo di Kokoschka ha matrici ed esiti alquanti diversi da quelli dei pittori della Brucke: egli esordisce come ritrattista, in opere in cui penetra profondamente la psicologia del personaggio, rivoluzionando la prassi della somiglianza fisionomica, sostituita da un’atmosfera resa da sguardi, gesti, pennellate; più tardi affronta altri temi, tra cui quello religioso. Nei quadri di figura sospende le immagini nel vuoto, contro uno sfondo plumbeo privo di distinzioni oggettive e spaziali. “La sposa del vento” del 1914, è uno dei suoi dipinti di tematica spiritualistica: la sua pennellata dissolve i contorni e la consistenza dei corpi svirgolando con un andamento irregolare in bagliori improvvisi: in questa ostentazione in chiave cromatica della linea si può individuare l’eredità dall’arte di Klimt. Il dipinto rende un’ atmosfera tempestosa in una personificazione universale dell’abbraccio tra maschile e femminile, in una sorta di religiosità laica simile a quella dei soggetti religiosi. Il fatto non è in sé drammatico, come non lo sono i soggetti dei suoi ritratti, ma l’elemento d’inquietudine emerge dalla vibrazione della pennellata, e l’atmosfera si allinea a quella degli espressionisti tedeschi, distinguendosi tuttavia per una sorta di cruda oggettività e irrealtà sfuggente. C’è un processo di scarnificazione del repertorio della tradizione, una drastica semplificazione iconografica, una secca risposta alle esigenze della società accompagnata dal più schietto rifiuto del bello. Il Cubismo Una complessa revisione critica ha investito il movimento che nella prima ondata delle avanguardie storiche segna la rivoluzione più radicale e lascia un’impronta fondamentale nelle tendenze geometrizzanti dell’arte non figurativa. Un problema particolarmente discusso consiste nel ruolo svolto all’interno del cubismo dalla coppia Picasso-Braque da un lato e, dall’altro, dal gruppo che continua a presentare le proprie opere nelle esposizioni pubbliche, in particolare nel Salon des Independants, dove una sala dei cubisti viene individuata nel 1911. Picasso e 11 Braque hanno firmato un contratto in esclusiva con il gallerista Henry Kahnweiler, teorico e scrittore, che ha contribuito a fornire del cubismo l’immagine unilaterale in seguito contestata. Le opere dei due grandi del cubismo non sono note e diffuse in realtà come quelle di Gleizer, Le Fauconnier, Leger e Gris, inizialmente molto legato a Picasso, ma che svolgerà un ruolo importante nel passaggio al cubismo sintetico. Il termine “Cubismo” nasce dalla penna di Vauxcelles, ancora una volta abile a sintetizzare una tendenza, e nasce in un’accezione non certo positiva: “bizzarrie cubiche” sono individuate, nel 1909, nei paesaggi dipinti da Braque nel 1908. “Case a L’Estaque” di Braque presenta una solida architettura sorretta da due tronchi d’albero; al centro, figure stereometriche rendono un brano di paesaggio in cui rocce, case, fogliame non hanno un riscontro mimetico, ma si incastrano con lo stesso valore plastico in una costruzione ascensionale, dove gli elementi vicini e lontani sono ugualmente presenti gli uni sugli altri e i colori sono drasticamente ridotti per esaltare i volumi in una ricostruzione mentale del brano naturale. Il punto di partenza del processo è Cézanne, anche se in un certo senso egli era “più avanti” rispetto alle loro posizioni, come nelle ultime versioni della Sainte-Victoire o nei paesaggi della Chateau-noir dipinti tra il 1904 e 1906: il cubo emergeva dalla consistenza delle macchie regolari di colore e non da un processo di stereometrizzazione dei dati naturali. L’inizio della fase protocubista di Picasso viene in genere fissato nel quadro “Tre donne”, 1907-1908, il cui tema delle bagnanti di Cézanne è ripreso amplificando e solidificando in moduli stereometrici la struttura a blocchi, riducendo ulteriormente il colore a due toni fondamentali, ocra e verde, ed eliminando la sensazione del vuoto e dell’aria. La figura di sinistra riprende la posizione della donna col braccio alzato dietro al collo presente in Cézanne e nelle “Demoiselles d’Avignon”, quadro che segna un punto di svolta nella pittura di Picasso. Il pittore proviene dalle cosiddette fasi blu e rosa, dal colore dominante che ne caratterizza la produzione, sperimentando suggestioni parigine in ritratti e scene di ambienti notturni di accentuata crudezza: ritratti sommessi di amici o figure povere, dimesse, silenti e quasi svuotate di consistenza corporea. Nel 1906, al termine del periodo rosa, appare infine con l’Harem e gli studi che vi si affiancano, il tema delle Demoiselles. Il grande quadro, al quale lavora per 6 mesi, con una sterminata serie di bozzetti preparatori, è il frutto di un’esperienza umana che si traduce in una rivoluzione profonda del concetto di pittura: Fernande, la sua compagna, lo ha lasciato, ed è iniziato un periodo di sbandamento, in cui l’artista ha 12 iniziato anche a frequentare bordelli. Di qui il titolo, che ricorda una strada famosa per questa attività. La prima idea del dipinto presenta a sinistra uno studente di medicina che scosta la tenda per entrare, mentre al centro del gruppo di donne c’è un marinaio: il giovane esitante e l’uomo a suo agio sono le due anime di Picasso, che sta saggiando nuove vie anche per la pittura. Con il procedere degli studi per il quadro, assistiamo alla scoperta dell’arte primitiva, l’arte africana, la riscoperta della pittura di Cézanne attraverso il tema delle bagnanti; è soprattutto l’arte negra, intesa come ritorno alle origini e al tempo stesso struttura ideografica e strumento magico, a liberare Picasso dalla impostazione narrativa: alla fine il dipinto sostituisce le forme arrotondate con quelle spigolose e con i tratteggi tipici della scultura negra, rinuncia alle due figure maschili, abbandona l’estensione orizzontale per assumere nel verticalismo e nel ritmo più serrato una funzione quasi totemica. Non è ancora cubismo, ma è la rottura con tutto ciò che è venuto prima. Il quadro resta per molti anni nello studio del pittore, mostrato solo a pochi amici; il cubismo nasce quando l’operazione intellettuale sull’immagine prende le distanze dalla sensibilità, superando la tradizionale dipendenza dalle sensazioni e persino dalle emozioni (anche se del travaglio dell’artista resta qui traccia profonda, avvertita dai contemporanei). Che Picasso e Braque, a partire dal 1908, lo abbiano fatto in modo indubbiamente più geniale, non esclude che, insieme con Derain e Matisse, siano partiti dallo stesso problema (e non che Derain sia l’iniziatore di Picasso, come detto da Apollinaire). Oltre l’accostamento tra le Bagnanti di Derain dell’inizio del 1907, Les demoiselles d’Avignon di Picasso e, a ruota, le sue Tre donne, c’è un altro confronto che chiarisce la nascita del cubismo su fronti diversi, ed è quello tra il “Nudo blu” di Matisse, il “Nudo con drappeggio” di Picasso e il “Grande nudo” di Braque. E’ importante sottolineare come i tre pittori abbiano affrontato quasi contemporaneamente il tema, derivato da una bagnante di Cézanne, della figura femminile con una gamba piegata ad angolo, che imprime una torsione e un contromovimento all’intera struttura. In sintesi, si può pensare che una scultura, poi tradotta in pittura, di Matisse abbia dato il via a questo gioco di articolazione di forme risolto, da Picasso, in strutture triangolate, solcate da segni prevalentemente rettilinei e vicini anche al tipico tratteggio della scultura negra, e soprattutto in una spazialità fortemente ambigua, dove la figura, plasticamente articolata insieme allo sfondo e all’aria che la circonda, può tanto leggersi in piedi quanto immaginarsi sdraiata e vista dall’alto. L’ambiguità spaziale è anche nella soluzione di Braque, il quale 15 Nell’ottobre del 1912 i cubisti dei Salons espongono per proprio conto in una galleria privata, dando alla mostra la denominazione di “Section d’Or”. La sezione aurea allude alla componente di una geometria utilizzata per evidenziare l’armonia della pittura, collegata ad un certo ermetismo di derivazione neopitagorica; da un lato ci sono presenti tendenze astrattive, dall’altro tendenze di un cubismo narrativo con un forte residuo simbolista. Comune a tutti è la contestazione del carattere intellettualistico delle esperienze di Braque e Picasso, il loro presunto carattere statico, il monocromo cui si oppone una nuova attenzione per il colore. “Il lavabo” di Gris: il dipinto presenta l’interno di una sala da bagno, cui si accede da una tenda scostata e di cui si intravede sullo sfondo una persiana che filtra la luce, illuminando e dissolvendo al tempo stesso le cose, nella sua tipica tonalità argentea. Il quadro è costruito su moduli quadrangolari e circolari in rapporti proporzionali, in cui qualcuno ha visto l’applicazione anche del principio della sezione aurea (rapporto particolarmente armonioso tra due misure tale che la maggiore sta alla minore come la somma delle due sta alla maggiore). In questa griglia geometrica, gli oggetti non sono rappresentati realisticamente, ma si “leggono” attraverso etichette integre e attraverso particolari decorativi, molto dettagliati anche se avulsi dagli oggetti stessi. La tecnica del collage qui si estende, oltre ai pezzi di carta, ad un elemento che ha stupito i contemporanei e la cui presenza non è mai stata del tutto spiegata: un frammento di specchio, che funge da richiamo allo spettatore. Una tendenza in un certo senso opposta a quella di Gris si può individuare in “La trebbiatura” di Gleizer: qui i gesti e i personaggi si rivelano da alcuni particolari, citati come in Gris, ma non avulsi dai soggetti cui si allude, bensì a essi connessi come attributi “narrativi”. Il tono bruno dominante è rotto qua e là da tocchi di colore vivo e l’intera composizione è dinamica, giocata più su sezioni curvilinee che rette, non lontana da certi quadri futuristi, in particolare nelle volute delle nuvole. Ma sono soprattutto il soggetto e la grande dimensione del dipinto ad essere lontani dal “cubismo analitico”, tanto che è stato coniato per questo tipo di pittura l’appellativo di “cubismo epico”: interesse per tematica rurale e l’esaltazione del lavoro dei contadini, lontana dallo spirito tipicamente urbano dei compagni di strada. La Section d’Or viene così a configurarsi come una cerniera tra il cubismo e tendenze che da esso si stanno differenziando. Picabia vi espone opere come la “Danza alla 16 sorgente”; Duchamp, con sei opere presentate, colpisce con “Nudo che scende una scala”, in cui affronta il tema di una rappresentazione cinematica, ma colpisce anche, soprattutto al nostro sguardo retrospettivo, con l’enigmatico “Il re e la regina circondati da nudi veloci”. Non è probabile che Braque e Picasso siano rimasti scossi dalla Section d’Or: troppo forte è la loro posizione, grazie a Kahnweiler, sul piano del mercato, troppo contrastanti le contestazioni dei dissidenti; tuttavia si nota intorno a questo momento un netto impulso alla semplificazione geometrica e, poco a poco, una reintroduzione del colore. Per entrambi sono soprattutto le nuove tecniche sperimentate nel corso del 1912 a maturare il passaggio ad una fase in cui l’oggetto non è più imprigionato dalla struttura che ne sostituisce l’apparenza esteriore, e riemerge nitido da un’idea tutta mentale. Spesso si tratta di una sagoma sottilmente tratteggiata a carboncino, ritagliata nella carta, attraversata da altri segni che alludono all’oggetto o a ciò che gli sta intorno, con citazioni, sovrapposte e non contaminate le une dalle altre, di profili, carte da parati, finto legno e altri elementi extrapittorici frammisti al colore, simboli da leggere e interpretare per entrare nell’ambiente attraverso un processo non puramente visivo, ma totalmente cerebrale o emozionale. Braque evoca, in “Aria di Bach”, (1913-1914), la sagoma dello strumento dietro alla copertina dello spartito che vi proietta una lieve ombra; ne risultano quattro quadrangoli irregolari, asimmetrici e equilibrati, pure presenze mentali sulla citazione di un oggetto perfettamente presente ed assolutamente non rappresentato. La scultura di Picasso negli anni del cubismo sviluppa un discorso interferente con i papiers colles e i collages, di cui sembra interpretare le istanze proiettandole nello spazio, con un procedimento che incontra altre esperienze e prelude a sviluppi condotti da altri artisti in varie direzioni. L’artista, prima di affrontare i papiers colles, nel 1912, dispone nell’aria strumenti musicali in carta, per poi passare a sperimentare altri materiali: tra il 1914 e 1915 un “Violino” in metallo dipinto realizza in una sorta di bassorilievo la struttura piramidale, semplificata e governata dalle rette, tipica di un dipinto cubista “sintetico”, con l’intrusione di forti cromatismi e motivi decorativi numerosi in questa fase. Ma altre sculture (come Bicchiere d’assenzio), sviluppano una vena più fantasiosa e organica, che sembra preludere a opere surrealiste. 17 Al pari di altri movimenti delle avanguardie, il cubismo alle soglie della guerra pone termine al suo discorso più specifico, per riaffacciarsi nelle direzioni del ritorno all’ordine, dell’astrattismo geometrico, del surrealismo etc. L’Orfismo L’autonomia del “cubismo orfico” rispetto al cubismo è il risultato di studi e impostazioni critiche relativamente recenti (riconoscimento di un’ala dissidente all’interno dell’universo cubista, la distanza di Delaunay dai cubisti, rilevata parallelamente all’esigenza di precisare una intenzionalità non “astratta” tanto in Braque e Picasso quanto nei “cubisti dei Salons”) Nel marzo del 1913 Apollinaire pubblica “Meditazioni estetiche. I pittori cubisti”, dove sono raccolti scritti a partire dall’ottobre 1912, il mese della Section d’Or e del Salon d’Automne che presenta nuove tendenze; i pittori cubisti non rientrano più nella sua tendenza più amata. Nel febbraio 1913, pubblicando “La pittura moderna”, identifica come le due nuove tendenze più significative il cubismo di Picasso e l’orfismo di Delaunay. In “Meditazioni estetiche” Apollinaire individua quattro tendenze, definite “cubismo scientifico”, “cubismo fisico”, “cubismo orfico”, “cubismo istintivo”; nella prima tendenza cita Picasso, Braque, Gleizer, Metzinger, Gris; la seconda non è un’arte pura e la quarta è una tendenza europea che si avvicina all’orfismo. La differenza fra cubismo scientifico e cubismo orfico consiste nel fatto che il primo sarebbe “l’arte di dipingere nuove strutture con elementi formali tratti non dalla realtà della visione, ma dalla realtà della concezione”, il secondo “l’arte di dipingere nuove strutture con elementi attinti non alla sfera visiva, ma interamente creati dall’artista stesso, e da lui dotati di una possente realtà”. Nelle parole di Apollinaire va sottolineata la novità, rispetto ai movimenti francesi precedenti, di una pittura svincolata dalla realtà, tanto visiva quanto razionalmente concepita, e quindi di una pittura non-oggettiva, e inoltre l’accento posto sull’ebbrezza del colore e della luce, anche se il richiamo al “soggetto” sublime implica la presenza simbolica di un contenuto appartenente ad una realtà superiore. L’Orfismo non è, come si vede, un movimento, ma un termine felice applicato soprattutto alla pittura di Delaunay, poi divenuto quasi insostituibile per indicare un clima esteso a componenti di diversi movimenti d’avanguardia. Orfeo è colui che trascina il creato con il fascino della musica e del canto, con il loro potere che supera la morte e si estende nell’eternità ed è anche colui che guarisce 20 Duchamp e Balla, ad essersi interessato agli sperimentatori della visualizzazione di una figura in movimento. Il “Nudo che scende una scala” di Duchamp, 1912, nella sua seconda versione, presenta una figura automatizzata come una macchina, in un andamento opposto rispetto al ritmo ascendente e all’equilibrio bilaterale caratterizzanti tutte le esperienze cubiste e che ha creato non pochi spunti di confronto con le contemporanee, e diversamente motivate, esperienze dei futuristi italiani. In questo, come in altri dipinti, Duchamp è interessato soprattutto al problema della rappresentazione astratta del movimento, che il suo amico Kupka ha dedotto dalle rappresentazioni grafiche di Marey. Non la pluralità prospettica dei cubisti lo interessa, né l’esaltazione della vita urbana, quanto piuttosto la messa in discussione della funzione della pittura, non solo come rappresentazione, ma anche come interpretazione in chiave formale della realtà, in un momento in cui l’artista è pronto a integrare o sostituire la pittura con altri procedimenti di tipo concettuale. Il tema della discesa nel “Nudo”, quello del doppio movimento, anche in senso fisico e psicologico, del treno che corre e della figura che oscilla nel corridoio, nel “Giovane triste”, la bizzarria del soggetto e l’allusione all’amatissimo gioco degli scacchi ne “Il re la regina circondati da nudi veloci”, sono tutte vie convergenti verso una desacralizzazione degli elementi tradizionali della pittura attraverso un uso strumentale dell’indagine sul rapporto spazio-tempo, entro il fondamentale interesse per la trasformazione del materiale stesso dell’invenzione artistica. Le serie delle “Forme circolari” di Delaunay rappresenta il culmine della sua esperienza non-figurativa, avviandosi a trionfare al Salone d’Autunno del 1913 a Berlino, distaccandosi definitivamente da ogni sospetto di collisione col cubismo. Rispetto alla serie delle “Finestre”, l’effetto di dinamismo ottico, l’alternarsi di curve e controcurve, la saturazione di un colore intensissimo che non accetta intervalli di bianco oltre al motivo dell’astro accecante, creano nella “pittura pura” un’atmosfera quasi orgiastica. Le forme circolari (Sole, Luna, Simultaneo) intrecciano una tematica astrale, complicata dal riferimento ad un principio maschile e uno femminile e alla possibile suggestione di un’eclissi di Sole, con l’effetto di un contrasto simultaneo dei colori. Possibili influenze con Kandinskij. 21 Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro) Ultimo movimento avanguardista nato in Europa prima della Guerra Mondiale (nato a Monaco nel 1911); la formazione e le poetiche dei singoli artisti sono diversissime e nonostante questo è il movimento meno tormentato da polemiche al suo interno. Creare un collegamento tra aspirazioni diverse: tra il sostrato romantico tedesco, le sperimentazioni formali parigine e lo spiritualismo del mondo russo, tra i musicisti, i pittori e il mondo del teatro (senso cosmopolita e interdisciplinare); considerato nel suo complesso il luogo dove è nata la pittura non-figurativa. L’esordio consiste in una prima mostra nel 1911, seguita dalla pubblicazione dell’Almanacco con la stessa denominazione, nel 1912. Il termine, al di là della semplificazione nel ricordo di Kandinskij, rispecchia lo spiccato spiritualismo, implicito nel significato attribuito al colore blu, e la componente romantica, che incarna nella figura del cavaliere la missione salvifica dell’artista. Le due anime dell’impresa sono Kandinskij e Marc: il primo è il teorico delle armi più affilate e si confermerà poi come la personalità dominante del gruppo; il secondo è l’organizzatore più attivo, il più aperto e conciliante anche nei rapporti esterni. LA caratteristica del gruppo è l’eterogeneità della provenienza , sia per i paesi d’origine che per le relazioni e interessi culturali. Tedeschi sono Marc e Macke, malinconico e inquieto nelle sue meditazioni filosofiche e religiose il primo, espansivo e meno problematico il secondo; Klee è svizzero, Kubin austriaco, i quali portano nell’ambiente monacense la loro esperienza grafica e uno spiccato interesse per l’inconscio, più distaccato nel primo, più morboso nel secondo; i russi, con Kandinskij, Javlenskij , i quali innestano nel movimento una componente spiritualistica che si fonde con il sostrato romantico tedesco. L’Almanacco contiene saggi su temi di arte figurativa e musicali, stesi dai due redattori e da autori invitati, riproduzioni di opere contemporanee, del passato, in chiave di lettura comparata, opere appartenenti all’area extraeuropea, nonché alcuni spartiti di musicisti contemporanei. Presenza massiccia della musica e un’estrema eterogeneità dei riferimenti al “primitivo”, in cui non sono più privilegiate le già sperimentate aree africane e giapponesi, ma fenomeni meno noti; il primitivismo si estende a cose come le figurine del teatro d’ombre egiziano o le pitture su vetro degli exvoto bavaresi. Fra gli autori contemporanei, va notata la presenza dei futuristi, degli artisti delle primissime avanguardie russe, di Delaunay. 22 Kandinskij fa la parte del leone, con tre contributi, il primo (Il problema delle forme) sulla pittura, il secondo (Sulla composizione scenica) sul tema dell’”arte monumentale”, mentre il terzo (Il suono giallo) consiste in un esempio di rappresentazione scenica creata in base alla teoria annunciata nello scritto precedente (alla fine del 1911 è uscito “Lo spirituale nell’arte”). La poetica di Kandinskij si fonda su alcuni nuclei fondamentali, che condizionano in misura diversa i compagni. Il problema della forma passa in secondo piano rispetto l’esigenza di esprimere quanto detta la “necessità interiore”, obbedendo alla capacità intrinseca di linee e colori di trasmettere immediatamente, senza riferimento a oggetti o codici linguistici prestabiliti, la sensibilità dell’animo. In questo processo i mezzi espressivi possiedono una libertà assoluta e costruiscono la composizione pittorica secondo un suono interiore, come è capace di fare la musica e come è già stata capace di rendere la parola usata dai simbolisti. L’artista potrà realizzare con più forza la sua costruzione servendosi del linguaggio delle altre arti, in quella che definisce “l’opera d’arte monumentale”, costituita da forme e colori, e insieme suoni, elementi poetici e movimenti del corpo: dunque pittura, musica, poesia e ritmo della danza. Inoltre, nel suo percorso di liberazione dalla rappresentazione oggettiva, è capace di raggiungere anche la liberazione dalla Materia, realizzando l’era dello Spirito. La liberazione dalla rappresentazione oggettiva non implica, in linea teorica, l’annullamento dell’oggetto, poiché può aver luogo attraverso due vie apparentemente opposte, ma convergenti verso il medesimo fine: la “massima astrazione” e il “massimo realismo”, in ultima analisi coincidenti, poiché nella prima è eliminato il fattore oggettivo, nella seconda, attraverso la resa dell’oggetto nella sua nuda risonanza interiore, è eliminato il fattore artistico esteriore della rappresentazione. L’artista non riproduce, ma ricrea l’emozione provata di fronte al mondo, colpito dal potere che hanno gli oggetti, non come tali ma per l’effetto delle loro linee e dei loro colori già da essi “astratti”, di suscitare emozioni, le quali possono a loro volta essere ricondotte all’esterno, nell’opera d’arte, veicolate dalle stesse linee e dagli stessi colori, indipendenti dagli oggetti cui erano originariamente associati. L’influenza delle idee di Wagner sulla nuova forma del dramma musicale, sintesi, nell’opera d’arte complessiva, di musica, poesia e pittura, è indubbia; tuttavia nei suoi saggi teorici, Kandinskij prende le distanze da Wagner, ritenendo che la sua non fosse una sintesi, ma una giustapposizione delle arti in base a criteri esteriori, e forse avvertendo il rischio di una dipendenza dal musicista, divenuto sinonimo di un tardo 25 sono esposti dall’autore in un’appendice a “Sguardi al passato”. Tutto era iniziato con un dipinto su vetro intitolato “Diluvio”; il tema lo affascinava, ma non riusciva a dimenticare le definizioni oggettive e renderlo secondo il puro suono interiore della parola “diluvio”, finché in un momento di ispirazione ha potuto, di getto, creare il quadro. Qui l’artista individua due centri, con un lato più calmo e disteso e uno più agitato; quindi, all’interno dello stesso dipinto, una lotta tra principi opposti. Altri aspetti significativi presenti in tutte le opere astratte di questa fase “lirica”: l’indeterminatezza spaziale, il significato evocativo e compositivo del bianco e la nostalgia della sua terra. Quest’ultimo fattore, insieme alla possibilità di cogliere piccoli, fulminanti segni rievocanti una precedente iconografia legata al folklore russo e a temi religiosi, hanno aperto la possibilità di leggere in termini di sincretismo religioso molte opere dell’artista russo. In questo quadro, potrebbe assumere questo ruolo la piccola barca a tre remi, che ritorna pressoché identica in altri dipinti, riferibile forse alla mitologia pagana e poi trasformata in un geroglifico simbolo di salvezza. Klee non è circoscrivibile nei limiti di questo movimento: inizia in questo clima per poi trasporre la spiritualità kandinskijana in una diversa inclinazione ad inserire temi romantici in un gioco di rimandi tra realtà e ricordi riemergenti nell’inconscio, individuale e collettivo. “Sulla cima del monte”, 1917, consente di leggere ancora un repertorio di triangoli ascensionali, campanili, una croce, soli, stelle, ma il tutto è fatto ruotare come in un caleidoscopio fino a capovolgersi, entro l’incastro di una cornice di triangoli girevoli. Il Futurismo Il futurismo italiano è, fra le avanguardie storiche, quella che ha subito le discussioni più accese a livello internazionale, nonché divergenti interpretazioni sulla sua periodizzazione e sull’approccio critico. Una delle ultime nate nella prima ondata, è quella che più aggressivamente segna una rottura con il passato e aperture all’antiarte del Dadaismo. Il Futurismo nasce dalle dichiarazioni scritte prima che nelle opere, in parte per l’influenza letteraria di Marinetti, in parte per la determinata volontà d’azione di gruppo. Al “Manifesto del Futurismo” del 1909 pubblicato su Le Figaro, seguono nel 1910 il “Manifesto dei pittori futuristi” e “La pittura futurista. Manifesto tecnico”, con le firme di Balla, Boccioni, Carrà, Russolo e Severini. Entrambi sono improntati soprattutto sulle idee di Boccioni (Manifesto tecnico della scultura futurista) 26 Elementi futuristi sono solo adombrati nelle opere dei 5 pittori dipinti nel 1910 ed appaiono invece nel corso del 1911. Alcuni tratti comuni: la polemica contro il “passatismo”; l’esaltazione dell’ambiente urbano insieme alle nuove tecnologie e all’illuminazione elettrica; il fascino della macchina, della velocità, del dinamismo universale; la scomposizione del colore e della forma operata dalla luce e dal movimento. Nell’autunno del 1911, inoltre, Boccioni e i suoi compagni si recano a Parigi, dove avviene il contatto diretto del futurismo col cubismo. Se molti tratti comuni caratterizzano i pittori futuristi, diverse sono le inclinazioni individuali; in particolare Boccioni e Severini si distinguono da Balla, anche per i loro maestri ideali. Quanto quest’ultimo è di tendenza realista, più tecnico e sperimentatore, più incline alla discontinuità stilistica, Boccioni è più idealista, teorico e meditativo, sensibile ed eternamente insoddisfatto, e fin dall’inizio si prospetta una divergenza tra la matrice romana e una milanese di futurismo; Severini è il più estroverso, innamorato dei locali notturni e del tema urbano vissuto nelle valenze meno problematiche e più felicemente vitali. Russolo dal punto di vista formale si muove tra Boccioni e Balla, con una forte tendenza al recupero di temi simbolisti; Carrà, il più legato a componenti anarchiche, passa dalla lezione divisionista a quella cubista. Entrambi dimostrano, nel 1913, un fortissimo interesse al rapporto con la musica. Le componenti esoteriche sono riscontrabili in tutti, anche se in momenti differenti. Tutti, tranne Balla, che nel 1915 con la pubblicazione di “La ricostruzione futurista dell’universo” aprirà la strada verso il secondo futurismo, ben presto volgono le spalle all’avanguardia. “Tre donne” di Boccioni (1909-10) e “La lampada ad arco” di Balla (1910-11) appartengono a una fase in cui il futurismo è già nato, pur non potendo definirsi pittoricamente futurista. La figura femminile davanti a una finestra è un tema a lungo studiato da Boccioni, e più volte trattato nella fase propriamente futurista per segnalare una compenetrazione tra la vita urbana e la coscienza dell’individuo. La donna controluce, qui la madre con la sorella e la sua tenera amica Ines, muove da uno studio di filamenti pittorici e da un’analisi delle qualità allusive della luce che dissolve la materia. Nell’intimità di una casa e del soggetto stesso, nella semplificazione degli abiti e nell’esaltazione del bianco con i suoi riflessi e le sue trasparenze, nella scompaginazione spaziale, ma soprattutto nella trasfigurazione di una scena di interno in una pioggia di raggi luminosi che legano nella stessa corrente 27 energetica i volti, le stoffe, l’aria, si trovano già le radici che porteranno l’artista a realizzare, nel 1912, la più potente e monumentale visione filosofica, bergsoniana e probabilmente anche einsteiniana, di “Materia”. “Lampada ad arco”(1910-11), anche se falsificata postuma la data al 1909, un tentativo di strenua difesa di Balla da un temporaneo allontanamento tra lui e i futuri compagni di strada. Per quasi un decennio l’artista ha sperimentato temi realisti, concentrandosi anche sulla tecnica divisionista, caratterizzandosi già come “Balla il notturno”, utilizzando anche un taglio fotografico in immagini decentrate e colte con un’immediatezza da istantanea o sfumate in toni rigorosamente grigi. Ma Balla è soprattutto attratto dal realismo: “La giornata dell’operaio”, un trittico dove è scandita una giornata lavorativa dal mattino al ritorno a casa; insieme al tema del paesaggio urbano di Villa Borghese. Tutto questo percorso va tenuto presente quando osserviamo la svolta nel grande quadro “Lampada ad arco”: la rappresentazione del motivo reale è praticamente scomparsa, per lasciar spazio al motivo simbolico della luce artificiale che si confronta con la luna e la sommerge. Anche l’oscurità della notte è vinta dal propagarsi dei raggi franti in piccoli segmenti acutangoli dai colori vivi dell’iride; la semplificazione estrema del soggetto in favore del linguaggio fondato su effetti luminosi è una conquista fondamentale nel percorso dell’artista: la lampada ad arco non può più considerarsi elemento statico, poiché il movimento dei colore conduce l’effetto oltre il quadro, in una espansione illimitata. La prima e la seconda versione del trittico degli “Stati d’animo” (Quelli che vanno; Gli addii; Quelli che restano) di Boccioni sviluppano l’elemento della memoria, l’idea del quadro come “sintesi di quello che si ricorda e di quello che si vede”. “La strada entra nella casa” e “Visioni simultanee” centrano tale problema sulla compresenza dell’agito e del vissuto nell’ambiente urbano e nella coscienza di chi vi si immerge; la luce e il movimento della strada fanno accartocciare le case, risucchiano verso il basso la figura affacciata ed esplodono verso l’interno del balcone, in un processo di scomposizione che ricorda la Tour Eiffel di Delaunay; idea di “linea-forza”, ossia “la scomposizione di un oggetto per mezzo delle sue linee, la quale non guidata da leggi fisse, ma variabile a seconda della personalità caratteristica dell’oggetto, che poi è la sua psicologia e l’emozione di colui che lo guarda” Anima dell’oggetto Gli altri artisti, pur condividendo la stessa poetica, manifestano tendenze personali. 30 derivanti da icone bizantine (“Contadina con secchi e un bambino”, 1912); su questa esperienza si innesta l’influenza futurista, che lo porterà a una svolta fondamentale nella sua pittura. Tra il 1914 e 1915, “Un inglese a Mosca”, presenta accostamenti tra oggetti e personaggi che non hanno una contiguità nella realtà quotidiana; ampie porzioni geometriche di colori puri e dalla stesura uniforme si collegano a forme scomposte secondo un linguaggio in genere riferito a una influenza cubista seguita ad un presunto contatto diretto con Picasso, e accostate a scritte ed elementi di collage. Certo è piuttosto il collegamento con il cosiddetto linguaggio “transrazionale” o zaum. Inoltre, nei suoi scritti, Malevic riferisce al 1913 la nascita del noto “Quadrato nero”, esposto invece nel 1915 alla Ultima mostra futurista a Pietrogrado. Egli retrodata il “Quadrato nero”, che scatena uno scandalo nell’ambiente russo per il nulla e il deserto, nel quale i critici non vedono alcun significato, all’anno in cui conosce Matjusin e Krucenych, rispettivamente autori della musica e del testo poetico della piece teatrale “Vittoria sul sole”, con scenografie di Malevic stesso: tra gli schizzi, va segnalato un quadrato metà bianco e metà nero, considerato primo germe dei dipinti astratti eseguiti dal 1915. Il primo manifesto futurista russo è apparso nel 1912 nella pubblicazione “Schiaffo al gusto del pubblico”, organizzata da David Burlijuk; un’altra manifestazione che si colloca tra orfismo e futurismo, brillante ed effimera, è il raggismo. I suoi protagonisti, Larionov e Goncarova, dopo aver conosciuto la pittura francese, hanno già percorso l’esperienza primitivista e cubofuturista, tendendo ad accentuarne la componente russa. Il soggetto sembra retrocedere di fronte alle leggi della pittura “quale entità autonoma”, occupandosi delle forme spaziali conseguite con l’intersezione di raggi riflessi da vari oggetti e delle forme individuate dall’artista. Elementi raggisti appaiono nel 1912, ma non in opere astratte, e in effetti in opere ancora legate ad un soggetto. Uno dei migliori esiti di Larinov è “Luci nella strada” del 1913, una composizione di cunei appuntiti in toni caldi, gialli e rossi. In “Il ciclista” di Goncarova, del 1913, viene adottata una struttura più decisamente futurista; poco dopo, entrambi abbandonano questa esperienza e scelgono di dedicarsi alla scenografia. Le opere suprematiste create nel 1915 e nell’anno successivo interrompono bruscamente il percorso cubofuturista, presentando su un campo bianco stesure di colore totalmente piano chiuse in forme geometriche, tra le quali è prediletto il quadrilatero, e in seguito forme ovoidali grigie; esse ruotano liberamente in una 31 spazialità ambigua, talvolta si sovrappongono creando la sensazione di scaglionarsi a diverse distanze e gli assi di rotazione divergono per angoli di difficile valutazione ad un’osservazione immediata. Questa libera composizione nello spazio è un residuo della formazione futurista e al tempo stesso è indice di una concezione non “razionale” della geometria. I primi dipinti presentano forme estremamente semplici (“Quadrato nero”, “Otto rettangoli rossi”); i titoli rigorosamente astratti non ne escludono altri, che alludono a un soggetto, non reso mimeticamente riconoscibile secondo le consuetudini rappresentative, e includono a volte il termine “realismo” e quello di “quarta dimensione”: è il caso di “Realismo pittorico: ragazzo con zaino. Masse di colore della IV dimensione”, che presenta due semplici quadrati, uno nero e uno rosso più piccolo e lievemente ruotato. È evidente l’aspirazione alla purezza, ma al tempo stesso il carattere concreto dell’approccio alla realtà, presentata, e non rappresentata, attraverso essenze che ricordano l’idea neoplatonica della bellezza e delle forme geometriche e che non si comprendono senza ricorrere alle pratiche di meditazione orientale, diffuse nell’ambiente in cui l’artista si è formato. Fondamentale il riferimento alle idee di Uspenskij: opposta alla logica meccanicista vi è una intuizione creatrice; e l’idea del nulla e del vuoto precede l’esperienza dell’infinito. A questa fonte l’artista appare ancora più prossimo quando, nel 1918, crea la serie del “Bianco su bianco”, avviata dal modello assolutamente essenziale del quadrato bianco decentrato nel dipinto e ruotato rispetto ai suoi assi. A questa fase di produzione corrispondono brevi testi, come lo “Specchio suprematista”, dove si identifica la conoscenza dello “zero” con quella di Dio, della natura e della bellezza, con la conoscenza dell’assoluto: “Sono uscito dal bianco, sono approdato al bianco, e sono giunto nell’abisso: qui è il suprematismo”. Nel 1919, smette di dipingere, dedicandosi a un’intensa attività teorica e storico- critica, per poi tornare a dipingere quasi un decennio dopo. Il Costruttivismo, che si identifica nei suoi obiettivi con lo scritto “Programma del gruppo produttivista”, di Rodcenko e Stepanova, attorno al quale si riuniranno Popova, la Exter, era già nato a partire da prima della Rivoluzione del 1917; e si erano già manifestate le divergenze dal suprematismo, cui pure tutti loro devono molto. Tatlin espone i suoi “Controrilievi” negli stessi ambienti di Malevic, e la polemica è già implicita nell’uso che fanno dell’angolo della sala espositiva: Malevic pone in alto, sull’angolo tra le due pareti, il suo “Quadrato nero”, con evidente 32 riferimento alla posizione privilegiata in cui e posta, nelle izbe, l’icona russa; Tatlin usa l’angolo per sottolineare la problematica spaziale delle sue opere, che non intendono essere né bassorilievo, né scultura a tutto tondo, anzi in assoluto nemmeno scultura, ma riflessione sulla dimensione architettonica dei nuovi materiali. Di formazione più fauve che cubista, egli ha conosciuto anche i futuristi (influenza di Picasso, scultura di Boccioni e Balla). Realismo e produttivismo, pur con molti punti comuni, costituiscono due anime profondamente diverse nel movimento artistico rivoluzionario: entrambi critici nei confronti delle prime avanguardie, solo il secondo contesta il concetto stesso di arte, affermandosi come momento di superamento della divisione tra arte, produzione industriale, architettura e progettazione urbanistica, gettando le basi per ogni futura riflessione sulla trasformazione del concetto di creatività. La dimensione estetica è dunque fondamentale per Gabo e Pevsner, a fianco di un’esaltazione della vita, troppo spesso reiterata nel manifesto per non essere significativa di una riflessione filosofica fondata tanto sulla concretezza del fatto, dell’oggi, quanto sulla bellezza dell’esistenza e sulla fede nell’arte. Rifiutando il colore, la linea, il volume e i ritmo statici, i due artisti concentrano la loro ricerca sulle forme di “spazio e tempo”. A confronto della fredda oggettività che in genere contrassegna le opere del produttivismo, le loro composizioni si librano nella luce leggere a seconda del punto di vista, usando materiali di vetro, ferro tirato in lamine sottili, o la plastica (“Fontana” di Pevsner, 1925). Un particolare spicco ha avuto Alexandra Exter, per l’esperienza peculiare del suo dinamismo cromatico, vicino ai Delaunay: tra il 1916 e i primi anni di vita del costruttivismo, produce dipinti di un’astrazione sfrenata, di estrema accensione cromatica e libertà formale, non riconducibili a un modello univoco (“Dinamica dei colori”); la sua vivacità nell’invenzione di forme, inafferrabili secondo una geometria tradizionale, è frutto di una particolare predisposizione favorita dalla marginalità rispetto ai maggiori centri di cultura pittorica. Le sue opere sono una rara testimonianza di un felice passaggio da un cubofuturismo sui generis ad un costruttivismo liberamente interpretato. 35 scomposizione di piani di un soggetto reale, ma un addensarsi di tratti prevalentemente rettilinei (tra cui una piccola croce in alto a sinistra), intorno ad un asse centrale, dove la pennellata diventa più fitta. Da questa struttura l’effetto ascensionale risulta rafforzato, mentre il tono dorato e il finto passe-partout alludono a uno spazio metafisico, che raccorda la griglia dipinta all’ambiente reale. Anche “Molo e oceano” può considerarsi un dipinto sorprendente nel panorama europeo. Nato da numerosi studi sulla verticale di un semplice molo, che si inoltra a incontrare perpendicolarmente la linea orizzontale del mare, risolve i disegni preparatori in un dipinto a olio totalmente astratto, strutturato da brevi tratti e piccole croci nere su un ovale. Si tratta probabilmente del primo monocromo della pittura del Novecento, considerato, è vero, da Mondrian un risultato provvisorio, ma sviluppato fino a “Composizione con linee” del 1917. Questa sospensione dei colori “sporchi” dell’esperienza cubista sembra il ponte alla reintroduzione dei tre colori primari nel dipinto, per arrivare alla purezza del rosso, del blu e del giallo. Inoltre l’ottagono costituisce una sorta di passaggio all’esperienza della struttura “a diamante” di alcuni dipinti, ovvero della cornice romboidale in cui si inseriscono quadrangoli di colore piano separati da rigorose verticali e orizzontali, con l’aggiunta di più sottili croci inscritte. Il bianco assoluto resterà costante sullo sfondo dei dipinti astratti di Mondrian, a eccezione di alcune composizione a scacchiera. Nel 1921, tra i primi esempi paradigmatici della nuova struttura in cui sarà identificata l’intera esperienza dell’artista, è una serie di dipinti dallo stesso titolo, “Composizione con rosso, giallo e blu”. La sottile cornice bianca fa definitivamente parte integrante dell’opera, escludendo ogni possibile altra cornice atta a separare lo spazio ideale del dipinto dallo spazio fisico. Le barre nere ortogonali si incrociano a definire i campi di colori primari e di grigio, disposti in orizzontale e verticale, perfettamente calibrati nella posizione e nelle dimensioni, affinché qualcosa non prevalga a turbare l’equilibrio assolutamente asimmetrico, mentre le barre di divisione non giungono fino al termine della tela o della porzione di colore, con una interruzione che ne rafforza il ritmo sincopato e il suggerimento di una struttura completabile, per incastri successivi, all’infinito. È questa asimmetria e questa sorta di non-finito a rendere possibile un incredibile numero di dipinti dalla struttura costante, senza che uno solo ripeta le forme di un altro. 36 Le “Controcomposizioni” di Van Doesburg nel 1924 sembrano presentare gli stessi ingredienti, ma il loro uso, come dice lo stesso titolo, va in direzione contraria. Gli elementi si basano “sulla neutralizzazione di direzioni positive e negative per mezzo della diagonale e, per quanto riguarda il colore, per mezzo della dissonanza. I rapporti equilibrati non sono un risultato definitivo”. Mondrian non tollera questa divergenza e abbandona De Stijl. La diagonale è la direzione del movimento per eccellenza, e rende instabili le controcomposizioni, dove tra l’altro i quadrangoli colorati sembrano uscire sbadatamente dalla cornice del dipinto e, nella “Controcomposizione XIII”, sono addirittura troncati fino ad assumere una struttura triangolare o a sezione di triangolo, suggerendo uno spostamento da destra a sinistra. Il fine comune dei membri della rivista “De Stijl” si basa sull’intenzionalità di un’arte astratta, di un nuovo rapporto tra l’arte e la vita, sul superamento, attraverso un linguaggio universale, dell’”individualità degli artisti”, su un carattere moderno e una coscienza razionale, sull’estensione alle diverse arti plastiche e sull’aspirazione a un collegamento europeo. Non si intende affatto subordinare l’arte alla politica: è su questo punto che emergeranno differenze e contraddizioni. In Mondrian e in Van Doesburg si nota un diverso rapporto con il futurismo, oltre che con il dadaismo: nella pittura del primo troviamo un interesse per il ritmo, non per il movimento, mentre il secondo ama indubbiamente il movimento e i contrasti, assai più dell’armonia e dell’equilibrio. Gli architetti e gli “ismi” Negli anni in cui nascono le prime avanguardie storiche si assiste ad una rivoluzione, forse la più determinante per le sue future sorti, anche negli sviluppi dell’architettura. La rivoluzione in architettura solo in pochi casi si ricollega direttamente a quella che investe pittura e scultura, letteratura e altre arti; nei casi in cui esistono dei parallelismi, ci si trova davanti a sfasamenti temporali tra le due tendenze (futurismo architettonico si manifesta in un momento in cui la prima avanguardia italiana entra in crisi). Questo sfasamento temporale, insieme ad altre considerazioni, induce a reimpostare il problema dei rispettivi rapporti e a verificare se non sia meglio definire le coordinate di un’architettura coeva ai singoli “ismi”, che 37 condivida con essi istanze parallele ma specifiche all’interno del proprio linguaggio, piuttosto che improbabili e non verificate somiglianze sul piano delle poetiche. Nelle prime avanguardie storiche si può individuare un comune denominatore nel rifiuto della rappresentazione, accompagnato dalla ricerca di una realtà specifica tutta interna alla struttura dell’opera; le sperimentazioni architettoniche del primo decennio del secolo presentano una comune tendenza ad eliminare ogni riferimento storicistico agli stili del passato, informando il nuovo edificio ad una qualità estetica strettamente legata all’uso dei nuovi materiali e ad un nuovo rispetto della funzione. L’eliminazione del concetto tradizionale di “bellezza” corrisponde alla riduzione o totale eliminazione dell’ornamento, un radicale processo di semplificazione. Infine, gli stessi riferimenti alla cultura simbolista che hanno nutrito le prime avanguardie si ritrovano nel rapporto intrecciato dai giovani architetti con la produzione dell’Art Nouveau, di cui si intende superare l’aspetto più edonistico e legato all’ornamento. La tensione della linea retta, la dominante degli spigoli marcati e dei moduli quadrangolari sono elementi prevalenti nell’architettura e negli oggetti d’uso prodotti negli anni delle prime avanguardie. Questo trova riscontro, nelle arti figurative, nella tendenza di molti artisti, da cui sono esenti solo Matisse e Kandinskij. Dalla monotonia delle figure elementari tradizionali si discostano, in questo periodo, alcune persistenze dell’Art Nouveau e le istanze del cosiddetto espressionismo architettonico. Renato De Fusco, in un generale riferimento agli sviluppi dell’architettura moderna, ha individuato, sul finire dell’Ottocento, lo svolgimento parallelo di due linee, una riferibile alla tendenza dell’Einfuhlung e l’altra a quella dell’astrazione (o pura visibilità), categorie utili ma non valide in astratto. Con il termine “protorazionalismo” si indicano le tendenze del I Novecento, successive all’Art Nouveau e precedenti alla cesura segnata dalla Bauhaus a Weimar nel 1919, in cui si rifiutano tanto i riferimenti agli stili storici quanto gli ornamenti sovrapposti alla struttura dell’edificio, la quale è creata in stretto rapporto con le potenzialità estetiche dei nuovi materiali e adeguata alla funzione cui deve assolvere, pur in assenza di una espressa consapevolezza o di un definito programma in tal senso. Le forme in cui sono concepiti i mobili e gli oggetti disegnati da Van de Velde si semplificano, le incurvature diventano essenziali. Apparentemente opposto nella sua freddezza, Loos contesta un’architettura formalisticamente improntata al concetto di bellezza e contestatore soprattutto
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