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Riassunto Autobiografia di Vittorio Alfieri, Appunti di Storia dell'Educazione

Riassunto in preparazione dell'esame di Storia dell'Educazione della professoressa Luana Salvarani.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 28/10/2023

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Scarica Riassunto Autobiografia di Vittorio Alfieri e più Appunti in PDF di Storia dell'Educazione solo su Docsity! VITTORIO ALFIERI, VITA SCRITTA DA ESSO (1790-1803) ED. SONZOGNO 1874 È un testo importante per la formazione dei giovani delle classi colte ed è un’autobiografia in cui vengono riepilogati i passati dell’infanzia, l’adolescenza ecc. Non è un testo idealizzato ma ci racconta le difficoltà e gli aspetti meno piacevoli della vita di un aristocratico, quindi, cosa vuol dire crescere come un aristocratico. Si parlerà di privilegi sul piano materiale ma anche molti vincoli e carenze di cure e accompagnamento sul piano morale; è una storia che ci dipinge una autorappresentazione, Vittorio Alfieri è uno scrittore che scrive questo libro a più riprese ma non la termina perché muore. Racconta la sua giovinezza in balia degli eventi con periodi di vizi dove ancora non aveva trovato la sua strada però possiede i mezzi nonostante non abbia obiettivi precisi. Questo testo è intrecciato con la storia, ovvero è a cavallo del 700 e dell’800, perciò Rivoluzione francese, età napoleonica (molto letta come opera patriottica). Egli parlava bene il piemontese ed il francese ma non conosceva l’italiano letterario, e fu uno sforzo che enfatizza il suo percorso di scrittore, imparare l’italiano letterario. È una storia che ha dei punti in comune con Benjamin Franklin con il tema dell’autodisciplina e degli obiettivi precisi, ma diverso è il contesto e la mentalità, valori diversi e c’è una ricerca inquieta di una identità e non è storia di self man perché lui nasce ricco e lo aiuta sul piano materiale, però non ha vita facile, a differenza di Franklin che si fa da solo. C’è l’evidenza delle fragilità interiori di un bambino affidato al precettore che si trova in povertà affettiva che non potevano fare molto. È un libro nuovo per la tradizione letteraria italiana e per un periodo ha grande successo formativo in Italia unita ed è stato molto letto. L’edizione dell’800 ed anche moderna dato che ha una sua lingua. Mostriamo il frontespizio per le caratteristiche di edizione economica. Sovracoperta fatta dopo dalla biblioteca per conservarla. Di facile acquisto. Lettura della prefazione: Eugenio Camerini letterato molto famoso ce lo presenta come un patriota e ci cita dei passi dalle sue poesie e dalle sue tragedie, Alfieri famoso per testi teatrali, ce lo propone con un concetto patriottico, come una specie di profeta che vedeva l’Italia unita. Ci fa capire perché viene sentito come autore importante e proposto nelle scuole come testo formativo. Cita autori che commentavano Alfieri, e ci descrive l’opera di Alfieri. La vita parte con una introduzione dell’autore, che ce la presenta con una citazione di Tacito e vediamo il richiamo alle vite antiche e ci dice i suoi motivi che ci ricorda che ha scritto questa biografia per amore di me stesso. Introduzione Alfieri spiega le ragioni per la scrittura dell’opera. Dichiara di non voler giustificare scuse di falsa modestia, e che ogni biografia è scritta per amor proprio, qualità della quale sono forniti tutti gli uomini e in particolare poeti ed artisti in generale. Ci sono, però, alcuni elementi che mirano a guadagnare la benevolenza dell’interlocutore, come quando vengono nominati i “pochi estimatori della sua opera”. Alfieri dice di scrivere per loro, in quanto sa che le sue opere prima o poi verranno precedute da una biografia, di cui preferisce essere direttamente l’autore. Ammette che potrebbe omettere degli eventi, ma assicura che però non scriverà falsità, cosa che invece potrebbe accadere se l’autore della sua biografia fosse uno scrittore pagato dagli editori. La biografia viene organizzata in cinque parti, ovvero le cinque fasi della vita: 1. Puerizia 2. Adolescenza 3. Giovinezza 4. Età adulta 5. Vecchiaia Al momento della stesura dell’introduzione, Alfieri dichiara di essere occupato nella scrittura della 4 sezione, e di aver notato di scrivere meno di getto di quanto accadesse precedentemente. Lo scopo della biografia è lo studio di un uomo, e l’autobiografia è perciò il caso più lodevole di biografia perché l’autore non può conoscere nessuno meglio di sé stesso. L’introduzione è chiusa da una dichiarazione stilistica: la scrittura sarà semplice in quanto l’argomento è personale e istintivo. Epoca prima Puerizia Abbraccia nove anni di vegetazione. Cap.1-> nascita e parenti Questo capitolo racconta i primi novi anni di Alfieri, e con il termine vegetazione, presente nel titolo, Alfieri, paragona la sua crescita ad una pianta, alla cura e crescita come una pianta. Racconta brevemente la sua famiglia. Nella nostra mentalità contemporanea dove non esiste l’aristocrazia come classe sociale per noi il lavoro è importante, ma lui non ha mai lavorato, noi siamo più figli dei valori della biografia di Franklin. Ci tiene a sottolineare che suo padre è sempre stato un uomo onesto e non contaminato da nulla e lo manteneva con animo più puro e posato. Il padre muore presto. L’ideale della moderazione che si ripete insistentemente da Plutarco, Marco Aurelio e continua qui come uomo sereno perfetto senza sbavature, l’idea romantica viene più tardi dal romanticismo tedesco, basato sulla creatività e la trasgressione arriva dopo, i piaceri e i vizi sono qualcosa da superare come dice lo stesso Alfieri. Per Alfieri, essere nato in un contesto di nobile, gli portò la possibilità di poter dispregiare proprio quella classe senza essere visto come invidioso o vile. Il racconto della morte del padre viene, quasi, sentita come se fosse colpa sua-> il fatto che lo andasse a trovare tutti i giorni, per Alfieri, poteva essere la causa della sua morte. Dopo questo evento, Alfieri, inizia il racconto anche con un tono di freddezza, non è esplicita come cosa, ma lo si percepisce dalla descrizione di alcuni parti nel testo. Anche nel raccontare il successivo matrimonio di sua madre ha un tono freddo, non di critica ma si capisce, probabilmente, un suo disaccordo. I sentimenti non sono lineari e semplici verso la madre. Un po’ di freddezza nel raccontare la morte e il matrimonio nuovo della madre, ci fa capire i sentimenti verso la famiglia che non sono così lineari e semplici. Cap.2-> reminiscenze dell’infanzia. In questo capitolo, Alfieri, come ricordo di questa età, non parla di sua mamma, o magari della balia, ma ricorda suo zio. Uno zio gentile che gli dava ottimi confetti, e di cui si ricorda le sue scarpe squadrate. Proprio la vista di queste scarpe, simili a quelle dello zio, gli fa ricordare il sapore dei confetti. Il secondo ricordo è quello di sua sorella Giulia, la sorella che veniva considerata la prediletta, con la quale Alfieri vive in casa del patrigno. Questo è il ricordo più brutto, perché Giulia viene mandata a studiare in un convento di Asti-> “Tutti gli amori dell’uomo, benché diversi, hanno lo stesso motore” -> ogni separazione dà sempre lo stesso tipo di sofferenza, in quanto l’amore parte sempre alla stessa Abbraccia otto anni d’ineducazione Cap.1-> partenza dalla casa materna, ed ingresso nell’accademia di Torino e descrizione di essa. Era un ragazzino con dei soldi in tasca e paga i signori per farlo correre in calesse, e paga perché vada a cavallo veloce. L’incontro con la città viene descritto come una celebrazione era qualcosa di emozionante e lo dipinge in modo positivo, il piccolo Vittorio aveva sofferto per la mancanza di stimoli e divertimenti. Lui voleva essere grande però soffriva molto la lontananza da casa. Il saper dipingere i contrasti era qualcosa di nuovo. In accademia lo zio non sapeva gestire il ragazzo vivace e lo manda in collegio (dal punto di vista educativo continuava ad essere solo come quando ero a casa con il precettore). Anche la madre sul piano affettivo non gli dava molto e non lo faceva sentire protetto e al sicuro. Questo tipico nell’aristocrazia dell’epoca. Queste istituzioni totali erano viste come modo ottimo per la formazione, modo infallibile per la formazione dei giovani. C’era una grande varietà di esperienze con formatori di alto livello o con formatori un po’ meno formati. Ci sottolinea la debolezza nella formazione della morale, quella di carattere nella formazione dei modelli di riferimento. Alfieri non aveva quello di cui aveva bisogno. Debolezza della formazione morale e dei modelli di riferimento. Libera docenza: I più grandi studiavano come all’università ed esisteva un sistema diverso sempre con l’idea della libera docenza, che le lezioni venivano erogate dai professori, non studi rigidi, ma percorsi di studi individuale, conseguire il titolo non era necessario, chi voleva impegnarsi in date professioni doveva avere il titolo ed erano quelle che nel medioevo erano le arti maggiori: medicina, diritto, teologia. Non più tanto attuale teologia ma le altre due richiedevano formalmente un titolo, su tutto il resto resta tutto molto fluido rispetto alle altre professioni intellettuali. Non era necessario avere tanti laureati. Alle altre professioni si accedeva per famiglia. Restavano lì come alloggio e sorveglianza per il patrimonio e la reputazione. Alcuni attendevano in casa gli studi militari, formazione fisica per la carriera militare. Il suo rapporto con il clero non era buono, ma con il suo precettore ha parole di affetto non di stima dicendo che era ignorante, ma questi erano più ignoranti e rozzi. Alfieri mai sarà solidare alle classi popolari, da aristocratico guarda con un occhio di netto disprezzo del popolo, non attendiamoci un atteggiamento democratico, quindi ci dice che questi assistenti che ci sorvegliavano erano delle persone del popolo che andavano li senza stipendio e solo per essere alloggiati li per provare a studiare la teologia, se Franklin avrebbe elogiato la voglia di studio che proviene dalle classi popolari, lui li disprezza e sono lì senza nessuna formazione e dice che sono ignoranti e che non avrebbero fatto niente. Rampolli della più alta aristocrazia erano destinati a far parte della corte in un’ala separata. Venivano collocati in mezzo ad esempi che ci veniva additati come cattivi esempi perché a teatro che per noi era off limits da usare solo per alcune occasioni, ma come luogo da non usare. Molti venivano in Italia per motivi climatici. Giro delle grandi città italiane e per loro non era un collegio, ma quasi un albergo, perché erano ospiti paganti, e “noi eravamo circondati da giovani che avevano stile di vita diverso dal nostro”. Loro facevano scuola di ballo per le danze di sala e per la scherma passavano dalle gallerie del primo appartamento. Il pomo proibito dell’albero, del bene e del male, chi ha costruito il collegio, ovvero il progettista che ha progettato le attività del servizio non è capace perché ha strutturato l’accademia in modo che i ragazzi sottoposti a una forte rigidità vedendo sempre esempi opposti: prima di tutto non capivamo perché regole diverse e poi desideravamo delle attività dei divertimenti degli altri e qualcosa di proibito e lui attribuisce a questo modello che vedeva il periodo da lui definito come il periodo dei vizi dove spende tutto e non si riesce a trattenere per quello che gli è stato proibito prima, per lui era stato controproducente. Parte educativa era nulla e nociva, la parte culturale era scadente. Usa un episodio sulle gare di memoria che venivano incoraggiate tra i ragazzi, per noi strana quest’enfasi sulla memorizzazione, però ricordiamo che era fondamentale sapere a memoria per potersi ispirare, riferimenti che si imparavano a memoria perché non c’era altro modo per sapere le cose. Ci evidenzia nella memorizzazione quanto fosse competitivo e voleva vincere a tutti i costi e quando perdevo insultavo il rivale e piangevo pieno di collera, però non ero rancoroso, non ci si picchiava. Lui evidenzia quanto la bellezza si mescoli nei maschi e nelle femmine. Non mescola i giudizi morali e giusti e sbagliati intreccio delle cose nel giudicare la persona mai obiettivamente, perché non esiste un rigore ed obiettività, ma mescolando la mente e la ragione che si intersecano. Non sempre senza secondi fini. La bellezza mi porta a giudicare in modo non obiettivo. Vi era una legittimazione su temi che non erano mai stati analizzati e perché si parlava di altro nelle biografie eroiche solo grandi imprese, atti di coraggio e virtù e di guidare e reprimere le passioni, e non se ne doveva parlare per la formazione di un giovane se non sotto forma di repressione e delegittimazioni delle passioni che erano da superare con digiuni e razionalità. Per questo il contesto formativo non veniva proposto al popolo per difficoltà delle letture ed anche perché curare l’anima era un lusso per le persone ricche e di solito ricevevano norme di comportamento e poco altro. Preadolescenza: ero così attratto dalla poesia pieni di cavalieri come l’Orlando furioso con storie di fantasia e di magia ed anche sensualità letteratura molto attraente per un giovane. Ho scambiato dei polli per leggere quei libri. Un mio compagno che era famelico raccontava storie e per farlo voleva dei polli, saltavo la domenica questo pasto buono per sentire le storie. Mi avevano insegnato il latino, ma poi non ero capace di leggere un autore italiano, c’è una forte critica al sistema educativo. Alfieri parlava francese e piemontese e la scrittura era in fiorentino illustre che era la lingua che si stava diffondendo in Italia. La cura fisica: quando ero piccolo mi hanno dato tanto cibo e coccolato, qui invece il cibo era poco e si mangia male, ero piccolo di statura e mi ammalavo molto. In Torino c’erano i parenti della madre, ma anche un cugino del padre. Ci parla dello zio paterno architetto del re che sapeva di belle arti era buono e disponibile e affezionato a lui e questo zio sapeva fare qualcosa. Cap. 2-> primi studi pedanteschi e mal fatti. Alfieri viene stabilito nel terzo appartamento, nella camerata di mezzo. Era stato affidato ad un certo Andrea, una guardia che si trovò a doversi occupare, male, di Alfieri. Il giorno dopo la sua entrata in Accademia, fu esaminata, dai professori, la sua capacità negli studi, e fu giudicato per poter entrare in Terza. Il maestro di quella classe era Don Degiovanni, prete che, per Alfieri, aveva minor affetto e sollecitudine verso Alfieri stesso. Passato quell’anno, 1759, Alfieri fu promosso all’Umanità; il maestro era Don Amatis, un prete di molto ingegno e sagacità, e di sufficiente dottrina, e sotto questo maestro, Alfieri, riconosce di aver appreso di più. In tutto quell’anno i suoi costumi si conservarono ancora innocenti e puri. In questo momento, Alfieri, si vede colpito dalla lettura di Ariosto, che lo porta a fare un baratto per ottenerlo. Cap.3-> a quali de’ i miei parenti in Torino venisse affidata la mia adolescenza Problema della salute di Alfieri, e la sua educazione affidata a suo zio, che lui definisce un semi-zio. Nel periodo di questi due anni di Accademia, Alfieri riconosce di aver appreso pochissimo, peggiorò la sua salute, e il non dormire abbastanza. A Torino, per Alfieri, non rimanevano tanti parenti, se non un suo semi-zio, il conte Benedetto Alfieri, primo architetto del re che alloggiava nello stesso teatro da lui costruito. Quel Conte che era un bravo uomo, amava e accarezzava Alfieri. Cap.4-> Continuazione di quei non studi. Non essendoci nessuno che in qualche modo controllasse Alfieri, andava a perdere i suoi anni migliori non imparando nulla. Allo stesso tempo era diventato il continuo scherno dei suoi compagni, che lo denominavano con il titolo di carogna. Durante tutto questo periodo, Alfieri era molto spesso malato e nel frattempo aveva iniziato lo studio della filosofia. Gli studi di filosofia si facevano fuori dall’Accademia, nella vicina Università, dove si andava due volte al giorno. La mattina si faceva la scuola di geometria, poi quella di filosofia, ossia la logica. Alla età di tredici anni era filosofo, che lo porta alla classe dei Grandi. Cap.6-> Debolezza della mia complessione: infermità continue; ed incapacità d’ogni esercizio; massimamente del ballo, e perché. In questo capitolo, lo zio di Alfieri viene nominato viceré della Sardegna e lascia Alfieri con un nuovo tutore. Alfieri ha più libertà economica, anche perché non è più sotto la guida del servitore Andrea, che sfruttava la sua posizione per rubargli dei soldi. Si passa poi al racconto degli ultimi anni di studi, rivolti alla preparazione per diventare avvocato. Nello stesso periodo, Alfieri, si ammala nuovamente alla testa; perciò, è costretto a portare una parrucca, a causa della quale ricevette parecchi scherni; con questo impara che reagire prima di essere attaccati è una delle cose migliori. Parla di un incontro con la duchessa di Parma, mentre era ancora ad Asti. Cap.7-> Morte devo zio paterno. Liberazione mia prima. Ingresso nel primo appartamento dell’accademia. Lo zio di Alfieri muore, e avendo, Alfieri, quattordici anni diventa padrone delle sue ricchezze, e ha solo un curatore patrimoniale. Essendo molto giovane, ed avendo una grande fortuna, Alfieri inizia a dedicarsi all’ozio. Innanzitutto, dichiara di non voler più studiare come avvocato, e lo trasferiscono nel Primo Appartamento, ovvero la parte dell’Accademia dove ci sono per di più ragazzi francesi ed inglesi, che si dedicano solo allo studio. Successivamente, chiede di poter essere mandato alla Cavallerizza ed imparare ad andare a cavallo; facendo così trascorre parecchie giornate con alcuni compagni tra cavalcate, riposo e fare come voleva. Inoltre, racconta di spendere molto in denaro, vestiti e di aver tratto giovamento nel suo sviluppo fisico, in quanto riesce a crescere in statura e riprendere i capelli. Il servitore Andrea gli era stato tolto perché era sempre ubriaco e non era una grande guida, ma perdeva l’unico pseudo amico che aveva e si rende conto che l’affetto per Andrea era qualcosa che attenuava la sua solitudine, ora tolto Andre e con il solo tutore si ritrova ad essere privo di qualsiasi appoggio. Alla conclusione mette a verbale di essere diventato veramente sé stesso, di essere diventato quello che aveva pensato di sé alle origini, di essere l’ultimo dei grandi classici e l’ultimo dei poeti (Realizzazione di qualcosa che era stato detto al lettore e annunciato da alcuni segnali progressivamente sviluppati). L’autobiografia è spesso storia di formazione e spesso è storia di auto- formazione, cioè chi scrive l’auto biografia lo fa raccontando un percorso evolutivo nel quale si parte da un punto per arrivare ad riprese con tappe a Lucca, Pisa e Livorno; Livorno è la città che più piace all’autore proprio per la sua somiglianza a Torino, e per mare. Il viaggio riprese, e fermatosi a Siena, arrivò poi a Roma. Roma era una città che apprezzava molto poco, ad eccezione di alcuni elementi architettonici. L’autore racconta dello stupore dei suoi amici verso le meraviglie dell’Italia. Cap.2-> Continuazione dei viaggi, liberatomi anche dall’ajo. Il viaggio continua per Napoli. Nel percorso, però, incontrano un intoppo perché Francesco Elia si rompe un braccio; allo stesso tempo però, questa caduta di Elia, gli fa acquistare ancora più ammirazione da parte di Alfieri, in quanto riesce a risolvere da solo la situazione. Arrivato a Napoli. In questo momento Alfieri ha diciotto anni, e non sa ancora cosa fare della sua vita. Alfieri, non cerca nessuno, nessun legame né amichevole, né amoroso, in quanto comprende che il suo interesse, al momento, è esplorare e rimanere il più lontano possibile da quella che era la sua casa. È interessante notare anche la sua riflessione verso il suo carattere: Alfieri riconosce di essere una persona che non fa male di proposito, ma di avere una sorta di disagio legato al fatto di non avere né amore né uno scopo nella vita. Questo secondo capitolo, si conclude con la partenza di Alfieri per Venezia. Cap.3-> Proseguimento de viaggi. Prima mia avarizia. Alfieri giunge a Roma, dove si rasserena nell'aver trovato un quartiere che poteva consolarlo, visto il sudiciume che, al contrario, aveva incontrato a Napoli. È interessante notare come il senso di malinconia e noia, accompagni ancora il protagonista, accanto alla smania di voler ripartire subito. A causa di questo sentimento, e dell’insensibilità che ogni giorno si faceva sempre maggiore, Alfieri si perse le cose belle che Roma aveva da offrire; perciò, si limitò a quelle quattro o cinque cose di cui quella città ridonda. Durante questo soggiorno, Alfieri, quotidianamente, si recava dal Conte di Rivera, ministro di Sardegna, signore anziano, che dava preziosi, ottimi e luminosi consigli ad Alfieri. Una mattina, in una di queste visite, Alfieri dovette ammettere come la ruggine sopra il suo intelletto fosse così densa; capitò a causa di un testo dell’Eneide, di Virgilio. Il Conte iniziò a intonare con entusiasmo quei versi, e Alfieri si accorse di non ricordarseli, nonostante, sei anni prima, gli ebbe tradotti e saputi a memoria. Questo fatto fece sì che Alfieri non si presentò più dal conte. In questa sua seconda visita a Roma, fu introdotto dal Papa, allora Clemente XIII. Per mezzo del conte di Rivera, Alfieri riuscì a portare a termine il suo terzo raggiro, presso la corte paterna di Torino, ottenendo il permesso di viaggiare per un altro anno, con la possibilità di visitare Francia, Inghilterra e Olanda. Per questi suoi nuovi viaggi, però, si presentò un problema di origine economica; infatti, Alfieri fu costretto a restringere le sue spese, per poter portare avanti queste nuove visite. Cap.4-> Fine del viaggio d’Italia; e mio primo arrivo a Parigi. Alfieri riparte da Venezia, soggiorno per il protagonista alquanto noioso, per concludere il suo viaggio in Italia, arrivando a Genova. A Genova, non essendoci il ministro di Sardegna, e non conoscendo nessuno altro se non il suo banchiere, non passò molto tempo prima che Alfieri si rattristasse. Però, fu proprio il banchiere che presentò ad Alfieri un cavaliere suo amico, Carlo Negroni. Carlo Negroni, aveva passato gran parte della sua vita in Francia, a Parigi, e vedendo Alfieri così invogliato ad andarvi, diede il suo parere verso quella città. Inizialmente, Alfieri, non prestò attenzione e fiducia a quei giudizi; lo farà alcuni mesi dopo quando arriverà proprio a Parigi. Una delle ragioni per cui Alfieri teneva fortemente ad andare a Parigi, era per il teatro. Cap.5-> Primo soggiorno in Parigi. In questo quinto capitolo viene descritto il primo soggiorno di Alfieri a Parigi. Alfieri non ne fa una descrizione del tutto positiva: non apprezza il fabbricato, il goticismo delle chiede, la vandalica struttura dei teatri, le pessime architetture; al contrario sembra trovare affascinanti i giardini, l’eleganza e la frequenza degli stupendi paesaggi, dalla sublime facciata del Louvre. Quella prima impressione di Parigi, gli si scolpì nella mente, anche ancora ventitré anni dopo, quando scrive, gli dura ancora negli occhi. Prima che ripartisse per Londra, l’ambasciatore propose ad Alfieri, di presentarsi alla corte di Versailles, e Alfieri accettò per la sua curiosità di vedere una corte più grandi, rispetto a quelle che aveva visto precedentemente. Alla corte si presentò nel 1768, quando come sovrano c’era Luigi XV; in questa occasione, Alfieri, assisti a delle funzioni in occasione del Capodanno. Epoca quarta Virilità Abbraccia trenta e più anni di composizioni, traduzioni, e studi diversi Cap.1-> Ideate, e stese in prosa francese le due prime tragedie, il Filippo, e il Polinice. Intanto un diluvio di pessime rime. Siamo nell’epoca quarta, epoca della virilità, dove Alfieri ha ventisette anni. Ed è qui che vuole diventare autore di tragedie. Prende la decisione, però, di scrivere tragedie in lingua italiana, lingua poco padroneggiata da lui, in quanto mai parlata in famiglia e poco esercitata negli anni precedenti. Il risultato si evidenzia nello scarso risultato linguistico della sua prima opera in italiano, Cleopatra. Alfieri spiega di trovarsi a metà strada, in quanto sa di essere bravo nell’invenzione di storie e la descrizione dei sentimenti umani, ma di dover rifare svolta della strada dietro di sé, per riappropriarsi delle competenze dell’italiano. Anche in questa situazione, Alfieri, usa la falsa modestia, per spiegare come il suo carattere a quel tempo fosse alquanto presuntuoso e come sia stato per lui un atto di grande umiltà lo scegliere di ricominciare degli studi quasi scolastici di grammatica. Per migliorare il suo apprendimento in montagna, sul confine francese; idea che si rivelò poco produttiva, in quanto il suo compagna di studi è l’abate Aillaud, ex di alcuni suoi compagni di accademia. L’abate gli consiglia di iniziare dei grandi classici della letteratura italiana, e Alfieri, con un grande sforzo, riesce a leggere l’intera opera di Tasso, Dante, Ariosto e Petrarca; Petrarca è tra gli autori della tradizione italiana, quello che gli va meno a genio. Le difficoltà di Alfieri non è tanto il comprendere i riferimenti degli autori, quanto il fatto che spesso non capisce la lingua vera e propria. L’ultima parte del capitolo viene dedicata ad un libro che Alfieri fatica a leggere quando è vicino ai trenta anni, ma che racconta avrebbe poi detto molte volte più avanti con l’età, ovvero il Galateo di Giovanni Della Casa. Cap.2-> Rimessomi sotto il pedagogo a spiegare Orazio. Primo viaggio letterario in Toscana. Alfieri, essendo da mesi sullo studio dell’italiano, si volle concentrare sullo studio del latino. Per fare questo, si munì di un pedagogo che lo potesse aiutare. Il pedagogista, avendo visto Alfieri in difficoltà con Fedro, gli diede Orazio, dicendogli-> “Dal difficile si viene al facile”. Lo studio di Orazio fu complesso, ma gli portò frutto nell’aiuto della grammatica. Nell’aprile del 76, Alfieri partì per la Toscana per imparare a parlare, ascoltare e sognare, accompagnato da due uomini, una chitarra e le speranze della futura gloria. Passando per Parma, Alfieri, conobbe il celebre stampatore Bodoni, ed entrò per la prima volta in una stamperia. Giunto a Pisa, incontrò i più celebri professori, e nelle sei sette settimane che rimase in quella città, si occupò della tragedia di Antigone, verseggiò Polinice. Nel soggiorno, sempre a Pisa, tradusse anche la Poetica di Orazio in prosa con chiarezza e semplicità. Così come per Seneca. Cap.3-> Ostinazione negli studi più ingrati. Ad ottobre tornò a Torino, in quanto non si era organizzato per poter soggiornare di più in Toscana. Nel frattempo che si trova a Torino, si interessa di un autore in particolare, Sallustio. La brevità, l’eleganza di quello storico, lo avevano colpito parecchio, e si concentrò con una certa cura per tradurlo. Arrivò per Alfieri, un momento di grande consolazione; accadde quando portò a Tana, le sue rime. Dopo tanto tempo e lungo lavoro, egli ebbe solo che giudizi positivi verso il suo sonetto, al quale Tana ebbe veramente poco fa ridire. Successivamente ai tre scritti precedenti, Alfieri ne scrisse altri, come se si fosse dischiusa una nuova fonte; ne uscirono sonetti amorosi, ma senza un amore che li dettasse. Per puro esercizio di lingua e di rime, aveva iniziato a descrivere le bellezze palesi di una amabile e leggiadra Signora. Alla fine di questo capitolo, Alfieri, probabilmente deluso, decide di ritornare in Toscana. Cap.19-> Principio dei tumulti di Francia, i quali sturbandomi in più maniere, di autore mi trasformano in ciarlatore. Opinione mia sulle cose presenti e future di questo regno. Alfieri vive un periodo difficile e di tensione, in quanto con la Rivoluzione Francese vede in pericolo sia i privilegi dei nobili, sia la sua pensione depositata presso il regno di Francia. Nel frattempo, le tragedie arrivano anche in Italia, dove hanno un certo successo. Alfieri scrive che ancora una volta ha scritto poco e lentamente, preferendo sempre scrivere il vero, che scrivere di più solo per aver maggior gloria e maggiori guadagni. Alfieri adesso ha quaranta anni, ed è arrivato con la sua autobiografia al presente, e spiega che la rileverà solo dopo quindici anni, o per raccontare dei nuovi generi letterari che in quel momento pensa di sperimentare, o per iniziare una quinta epoca, quella del rimbambimento. Lascia poi istruzioni nel caso in cui muoia senza poter continuare e rivedere l’opera. Chiede che, l’opera, venga eventualmente tagliata e rifinita stilisticamente, ma che non vengano né aggiunti, né tolti eventi. Quest’opera, infatti, è l’unica in cui Alfieri dice di aver scritto non per il suo ingegno come nelle altre, ma facendo operare prevalentemente in suo cuore, e quindi l’opera è più personale, spontanea e quindi anche meno raffinata stilisticamente. Proemietto-> Alfieri spiega che sono passati tredici anni da quando aveva terminato di scrivere le sue memorie. Ora ha cinquantacinque anni, sa di non aver molto tempo, perciò, dopo aver corretto ciò che aveva già scritto, decide di raccontare quanto successo negli anni successivi. Sottolinea che questa parte sarà più breve, e sarà anche l’ultima. Cap.20-> fInita interamente la prima mandata di stampa, mi do a tradurre Virgilio e Terenzio; e con quale fine il facessi. Continua la quarta epoca, mentre si trova a Parigi, ozioso e angustiato, incapace di creare nulla. Una volta finito di scrivere, Alfieri di dedica alla traduzione di Virgilio e Terenzio, per rimanere allenato a verseggiare. Il suo obiettivo sarebbe iniziare poi a scrivere delle commedie. Gli unici risultai sono l’Abele e la stesura di un Conte Ugolino, che però non vedrà mai la luce. Visto il continua delle tensioni in Francia, Alfieri e la contessa d’Albany vanno prima in Bretagna e poi decidono di fare un viaggio in Inghilterra. Cap.21-> Quarto viaggio in Inghilterra e in Olanda. Ritorno a Parigi dove ci fissiamo davvero, costrettivi dalle due circostanze. Alfieri e Luisa viaggiano per l’Inghilterra, ma sono poi costretti a fare rientro in Francia, poiché solo con dei particolari documenti possono rimanere ancora in possesso dei loro averi. Durante il viaggio, Alfieri, rivede casualmente Penelope, la donna della quale era diventato amante durante il suo secondo soggiorno a Londra. Rivedendola, ritorna una sorta di affetto, e scambia con la donna due lettere. Non nasconde però niente a Luisa, alla quale racconta tutta la storia durante il viaggio, i due fanno ancora brevi deviazioni in Belgio, dove si trova la famiglia della donna. Cap.22-> Fuga di Parigi, donde per le Fiandre e tutta la Germania tornati in Italia ci fissiamo in Firenze. Alfieri fa ritorno a Parigi, con la sua compagna. Però capiscono che è meglio andarsene al più presto dalla città che ormai è governata dai rivoluzionari. Con tanta fatica, Alfieri riesce a procurarsi dei opera da tradurre se supererà i 60 anni. Alfieri si scusa per aver, a volte, raccontato degli episodi troppo frettolosamente, ma si giustifica spiegando che ciò è accaduto perché era sempre molto occupato nelle altre opere letterarie. E ci dice che chiude la sua biografia come opera chiusa, mentre Franklin la lascia incompiuta che la scrive fino all’ultimo giorno e non gli interessa se la lascerà incompiuta perché lui è uomo di azione prima e poi letterato e poi se ne occupano i suoi eredi, qui in Alfieri vuole che tutto sia a posto per cui le dà una chiusura era scrive dicendo che scriverà le conclusioni. Franklin a 80 anni non si dava per vecchio anzi diceva mentre scriveva la costituzione americana che si apriva un mondo nuovo, Alfieri ci dice che io faccio parte di un mondo vecchio è come se ci dicesse che il mondo dell’antico regime finisse con lui. È la fine di un’epoca che stava finendo con tempi diversi. E mi do per vecchio e non ho più voglia di capire il mondo attorno a me. 28 anni di continuo studiare…non del tutto vera perché anche facendo i conti perché da lì in poi c’è la dedizione assoluta al lavoro. Alla fine della mia vita ho imparato il greco ed è un modo di dare degli incapaci ai suoi precettori. Erano inetti e sono ancora a 54 anni e mezzo a fare la guerra a questa lingua. Si autodisciplina perché ama le regole se le regole le dà lui. Non accetta nessun regole che gli venga imposta. Gli piace governare nel suo modo che è uno specchio che ci dice che sono dei compiti autoassegnati. Gli piace dire che non farà più niente, ma gli piace dire di Cicerone che tradurrà dopo i 60 anni. Si dipinge come un vecchio colto dalla demenza senile, ha 54 anni, anche nell’800 per un uomo del suo ceto non è età da decrepito, ma gli piace dipingersi come decrepito per rappresentarsi come alla fine di un ciclo. Lo dice autoironicamente, però lo dice e ci dice di essersi visto come un personaggio un autore famoso anche che entra nel futuro e anche nella storia. Mi sono reso conto di interpretare con disinvoltura questi autori classici. Lettore ridi di me, della mia vanità, però ce la racconta. E gli sembra giusto che la sua vita venga coronata dalla collana. Qui si dichiara morto anche se non è morte biologica e decido con quali miti mi congedo che è il mito di Omero. Omero celebrato nella collana e abbiamo un Alfieri frivolo che sgomita con l’Alfieri serio e autonomia degno rappresentante della tradizione letteraria più antica e prestigiosa più antica e più inafferrabile, che ci sfugge. 14 maggio 1803 firma questa vita per come ha voluto che noi la ricevessimo anche per i lettori di oggi. Ha avuto molta popolarità come lettura scolastica nelle scuole superiori dell’Italia di fine 800 e inizi 900, modello proposto alla gioventù per l’insistenza verso lo studio letterario sia per questo tema dell’italiano. Questo Alfieri antifrancese piace molto ai lettori post unità. Il problema come a teatro è finire bene, e riguarda anche la letteratura e Alfieri riguarda anche la vita, uscire di scena dal libro e dallo spazio del mondo dalla pagina letteraria e dalla scena della vita nel modo migliore, cioè nel modo più consono alle sue volontà di essere sempre al centro della scena ed esserci nel modo che decide lui nel suo appetito di controllo che è elemento decisivo per lui. Questo gran finale è liturgico ecco perché la collana ha aspetto ambivalente: da una parte un armamentario legato alla vanità legato al desiderio di possedere gli oggetti e di avere oggetti onorifici ed insieme è strumento che è morte esemplare che va in scena o il preannuncio di uscita dalla vita che passa da un elemento tragicomico, l’idea di inglobare dentro questo congedo il rimbambimento in atto, cioè Alfieri dice che sta rimbambendo. Rapporto con Di Caluso che dopo 15 anni è sempre li ammalato come sempre è una finissima annotazione che rappresenta una chiave per l’accesso al testo perché la letteratura per Alfieri si è mangiata la vita Nel gioco della memoria il tempo è tale se occupato dalla mania e ossessione di Alfieri di diventare l’ultimo dei grandi classici, quello che è accaduto nella biografia e nel gioco della memoria è cancellato perché è diventato rilevante. Le cose accadute o vengono convertite al progetto della poesia o non meritano di essere richiamate. la commedia è anche in quest’ultima pagina l’applicarsi alla commedia è come pagare l’ultimo debito. Prima viene la tragedia e poi la commedia come genere minore. Di bambinesco non c’è nulla e c’è la spudoratezza della verità che ha bisogno di veli. Alfieri non conosce la paura il pudore il limite, conosce la necessità di fingersi di volta in volta capace di simulare delle esitazioni e imbarazzi. Esitazione di Alfieri che non sa più come continuare a raccontare perché non ha più un progetto da completare perché l’idea di essere postumo a sé stesso era alla base di scriverla a poco più di 40anni ed ora che ha compito tutto gli restano cose con poco margine di movimento per cui l’idea di rileggere sé stesso e verificare la bontà dia alcuni risultati segnala che è in stallo. Mettere questo sulla pagina ci dice che è pronto per andare perché a teatro è pericoloso uscire di scena male o troppo tardi quando invece i tempi della rappresentazione erano fondamentali per non abusare della pazienza del pubblico. Teatro dove lui è attore, drammaturgo, lui ha anche uno spazio autoreferenziale, lui si era dato questo spazio per diventare un letterato il simbolo della classicità greca ed è un modo per rimanere fedele a sé stesso, poi nessuno lo prende sul serie quando dice che è bello tradurre il Senectude di Cicerone che poi dedica alla sua donna. È un modo per farei grande vecchio che lascia per il figlio come, ad esempio, il trattato del principe o il trattato formativo. Il paradosso della auto biografia è legato al modo stesso con il quale Vittorio Alfieri aveva immaginato per sé stesso un ruolo nella posterità. Alfieri è uomo animato da una ambizione divorante, un uomo privo di pudori nel mettere di fronte all’evidenza di noi lettori l’appetito di gloria che fa tutt’uno con un bilancio sulla propria vita, Alfieri pensa a sé stesso come unico e ultimo dei grandi poeti, assegna sé stesso un compito di diventare l’ultimo dei classici e realizzare sé stesso nella misura conforme all’idea di sé stesso. In questo progetto di diventare un grande poeta ed essere l’ultimo dei grandi classici, il perno dell’opera alfieriana è costituito dal nucleo delle tragedie, che sono il luogo nel quale Alfieri si realizza con il massimo livello e qualità di risultati. Si costruisce come un eroe tragico dentro lo spazio del mondo nel quale succedono tante cose, ma di più nella prima parte, nelle prime epoche (puerizia infanzia e giovinezza) succede tipicamente di smarrire la strada e di perdersi e il modo in cui a 41 anni comincia a scrivere le proprie memorie e costruisce la propria autobiografia, si riappropria del passato, è dettato dall’idea che tutto quanto coincide con il prima, con i lunghi anni in cui non aveva scoperto sé stesso. Quando da ragazzo, adolescente e poi da giovane uomo, Alfieri continua a vivere nell’inconsapevolezza nel non riconoscimento del senso della vita e del suo senso nel mondo è come se Alfieri continuasse a vegetare e in effetti usa il verbo vegetare “io vegetava”, Alfieri continua a vegetare in una vita che non ha un senso, che ha radici nel mondo ma non in un terreno carico di senso. Alfieri si converte alla letteratura e trova un senso, l’immagine della conversione è metafora carica di valenza religiosa, perché parlare di conversione ha un credo religioso, a una fede, la conversione è un passaggio da un prima a un dopo. La sua conversione non ad una religione come fatto spirituale, ma una conversione laica alla religione delle lettere, dare alla parola alla poesia il valore di una pienezza di senso. Alfieri viaggia, racconta di avere esplorato ogni angolo del continente europeo: la Russia, i paesi Nordici come la Svezia ecc. È andato in Inghilterra dove dice di essersi trovato moderatamente bene perché l’Inghilterra ha un assetto politico e di gestione della società che per lui è buona mediazione tra la tutela all’aristocrazia e la tutela dei diritti individuali dei cittadini liberi (allergia di Alfieri verso il popolo e la democrazia, per quanto libertario rimane sempre il conte Vittorio Alfieri che ha il popolo in gran sospetto e vede le moltitudini come distanti da sé e potenzialmente minacciose). L’aristocrazia inglese è tutelata anche perché al vertice dell’assetto dello stato c’è la monarchia, si vive decentemente, non diciamo bene perché lui è pessimista, mentre in altri luoghi in Italia e in Europa si vive in maniera indecente perché si sente la mancanza di libertà. Per Alfieri per lui è assurdo che per viaggiare bisogna avere una liberatoria, per lui è opprimente, per lui è come essere in una gabbia in una prigione con una finta possibilità di movimento, è una cosa interessante e il problema del viaggiare di Alfieri ha anche i caratteri di una forma persino patologica: spesso parliamo di ipercinetismo (cinetico, movimento) la smania di muoversi a caso (non ci prova nemmeno ad ambientarsi, descrive il ribrezzo, senza provare a mettere la testa fuori dalla corazza). Mentre dice di vergognarsi così tanto di questi suoi anni privi di senso dove si rappresenta come ignorantissimo intanto racconta e sente il bisogno di mettere sé stesso al centro, vi è il bisogno di confessare e dire tutto di sé, di produrre un’immagine definitiva totalmente vera e sincera di sé stesso e di organizzare delle linee di fuga delle maniere per fare dei passi di lato quando si ha la sensazione il sospetto di aver detto troppo, di essersi offerto troppo, in una nudità disarmata (fatica di attuare strategie di omissione). Ma anche Alfieri ha bisogno di pensare che certe cose sono andate in una maniera leggermente diversa. La finzione e la verità in questo racconto si pongono in rapporto ambiguo quello che A dice di essere governato dai capricci della memoria che si arroga il diritto di cambiare le carte in tavola. In psicologia viene detto amnesia e dimenticanza come le amnesie selettive, cioè la capacità della coscienza individuale di cancellare e togliere di mezzo delle porzioni di ricordo che implicherebbero una quota inaccettabile di sofferenza. Parti di Alfieri in adolescenza, entra in accademia collegio e vediamo il suo rapporto con le istituzioni educative e le sue difficoltà di adeguarsi al modello formativo. È un inizio dell’elogio all’autoformazione che è punto in comune con la biografia di Franklin che di Alfieri, diverse le culture il contesto, diversa la provenienza sociale e diverso il carattere e in termini semplificati Franklin mostra sé stesso come una persona socievole ed estroversa, mentre Alfieri ha un carattere introverso e riflessivo e anche molto sospettoso, poco desideroso di affidarsi. Personalità diverse, ma che hanno in comune grande diffidenza verso le istituzioni educative e verso i percorsi strutturati e uguali per gruppi e in qualche modo standardizzati e invece un grande elogio dell’auto educazione che per Franklin è a tutto campo mentre per Alfieri si concretizza proprio nel suo desiderio ambizione dichiarata di diventare un grande letterato famoso e dedicare i suoi sforzi per diventarlo e anche nei suoi due capitoli conclusivi c’è una convinzione che realizza e alla fine della sua
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