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riassunto Barocco di Tomaso Montanari, Schemi e mappe concettuali di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto del manuale di Tomaso Montanari sul barocco.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2018/2019

Caricato il 30/03/2022

alicepalmeri
alicepalmeri 🇮🇹

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Scarica riassunto Barocco di Tomaso Montanari e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Il Barocco di Tomaso Montanari Nel testo di Tomaso Montanari troviamo tutte le tematiche che riguardano il Barocco e tutto ciò che è presente intorno ad esso. Tomaso Montanari scrive il libro ‘’Barocco’’ che dedica ai suoi studenti. Il libro è suddiviso in tre sezioni: nella prima parte, l’autore si sofferma sul Barocco, partendo dalle sue origini; nella seconda parte, emergono i protagonisti e gli esponenti di questo movimento; nella terza parte, sono presenti delle immagini che ci permettono di avere una visione ancora più precisa del Barocco romano ed europeo. Il barocco è un termine che viene utilizzato per designare un contesto estetico, ideologico e culturale. Le origini di questa parola si associano al bizzarro e all’irregolare. Questo termine ebbe varie trasformazioni: nel Duecento ‘’baroco’’; con la cultura umanistica divenne ‘’barocco’’. Esistono degli aggettivi che si ricollegano ad esso, come in Francia il termine ‘’baroque’’ che indica le perle di forma irregolare. Nel Settecento entrerà nel linguaggio e nell’uso comune, dunque numerosi autori e artisti utilizzeranno le tematiche del barocco. Vi sono anche studiosi che si oppongono al barocco, ad esempio, Francesco Milizia, il quale dice che il ‘’barocco è il superlativo del bizzarro, l’eccesso del ridicolo’’. Al contrario, Burckhard lo utilizzerà non solo per l’architettura ma anche per tutto lo stile del Seicento. Il barocco sarà oggetto di seminari, in uno di questi Eugeni d’Ors propone di vedere nel barocco una sorta di entità astratta che si opporrebbe al classico. Inoltre, il Barocco è stato anche oggetto di articoli tra cui quello di Giuliano Briganti. Per Briganti l’età barocca è divisa in tre atti: barocco severo, barocco maturo e tardo barocco. Wittkower si oppone a Briganti, quindi possiamo notare le differenze tra i due: Wittkower pensava che un’unità stilistica e culturale consenta di definire barocca l’intera arte italiana tra il 1600 e 1750; Briganti, invece, proponeva di definire barocca solo l’arte fiorita a Roma intorno al 1630 grazie a Cortona, Bernini e Borromini. Ma entrambi hanno un rapporto diretto con le opere d’arte. La storia dell’arte segue con il pensiero di Michelangelo, dove impiega il tempo a fare ricerca invece che disputare sui concetti. Da una parte sembra esserci la storia dell’arte dei fatti, dall’altra la storia dell’arte delle idee. Ci sono due aspetti fondamentali per definire il Seicento: uno rivolto al futuro, quindi rivoluzionario; l’altro rivolto al presente, quindi conservatore. Da ciò, possiamo dire che il Barocco iniziò con uno strappo rivoluzionario e con l’affermazione romana di Caravaggio e Annibale Carracci, delle opere che rappresentano ciò sono la Galleria Farnese e la Cappella Contarelli. L’integrazione del ruolo di Bernini, Cortona, Borromini sta alla base del Barocco. A questi tre esponenti del Barocco, si contrappongono i classicisti Poussin, Andrea Sacchi, Alessandro Algardi. Questa antitesi classico-barocco servì a ordinare non solo le idee ma anche gli artisti del Seicento. Le distinzioni avvengono sulla base dello studio, delle opere degli autori e sulla suddivisione degli artisti. Bellori offre una solida legittimazione storica al Barocco, nella sua visione sono fondamentali la centralità di Roma e l’apertura europea, infatti una delle caratteristiche fondamentali del barocco è l’unità di stile riscontrabile nelle opere di artisti diversi per provenienza, età e storia personale. L’elemento principale del Barocco è il superamento dei limiti. I sensi e la mente sono il vero teatro a cui ambisce l’artista che vuole convincere lo spettatore fino a creare un’illusione perfetta. Wittkower si sofferma sul coinvolgimento dello spettatore nell’arte barocca, Shearman reagiva di fronte a lui, perché sembrava dar l’impressione che niente del genere fosse accaduto durante il rinascimento. Grazie alle obiezioni di Shearman, possiamo vedere che il rapporto con lo spettatore è tra i più evidenti del ritorno al rinascimento su cui si fonda l’intera stagione barocca. Giuliano Briganti contrappone il triste destino storico del Barocco a quello di Velàzquez, Rembrandt che collaboravano per vie diverse a rinnovare la pittura. Inoltre, crede che il Barocco romano creò tanto. Il Barocco dà un contributo alla cultura figurativa moderna, questo accade perché nel Seicento l’opinione pubblica europea accettò l’autonomia dei valori propri dell’arte figurativa determinando la libertà, capace di allargare l’interpretazione della realtà alla civiltà rinascimentale e di elaborarne una critica. Un altro esponente a dare il suo contributo è Annibale Carracci con la sua riforma, il quale aveva costruito negli artisti la consapevolezza della dignità e dell’autonomia della cultura artistica. Un altro esponente, Bellori, segna un passaggio fondamentale perché intende presentare alla Republique des Lettres una comunità di artisti non disposta a fare propri i valori di un’arte più nobile, ma invece decisa a possedere sempre più i valori della propria arte e propria storia. Tomaso Montanari, scrivendo di questi autori, tematiche, pensieri, sensazioni, fa capire ai lettori che vuole rendere onore a questo periodo di grande interesse, con l’intento di suscitare in loro le emozioni che quest’arte stessa può trasmettere. Cosa vuol dire Barocco? Due origini possibili della parola Barocco, che indicano sempre l'area semantica del bizzarro e dell'irregolare. contemporanea nei termini di un dualismo che ricorda l'antitesi tra Classico e Barocco, o tra Lineare e Pittorico, codificata da Wolfflin. Bernini, Borromini e Cortona furono fanatici frequentatori dell'arte e della tradizione classiche. E' quindi impossibile opporre Bernini e Poussin, per esempio: l'indicatore del classicismo non è adatto a far emergere le differenze. Le distinzioni possono avvenire solo sulla base dello studio delle singole opere dei singoli autori, ed anche le associazioni o le suddivisioni degli artisti possono avvenire sulla base di idee meno astratte. INTERPRETARE IL BAROCCO Una lettura del Barocco Cappella Cornaro Nel 1651 fu aperta al pubblico la Cappella Cornaro. Bernini qui controlla anche materialmente lo spazio che circonda la statua di Santa Teresa: la luce controllata che scende dall'alto e riflette sui marmi trasfigura lo spazio teatrale della cappella, e lo rendono una cornice credibile per la visione che ondeggia a mezz'aria. Per includere i ritratti della famiglia Cornaro, Bernini struttura l'illusione in più livelli: i cardinali non vengono raffigurati isolati, ma come spettatori del miracolo, e interagiscono tra loro. L'obiettivo ultimo del Barocco è quello di abbattere i confini tra lo spazio fisico e psicologico della realtà e lo spazio dell'arte, fino a creare un'illusione perfetta. Se nella parentesi manierista gli artisti apparivano più interessati a riscuotere ammirazione estetica che non partecipazione emotiva, con il Barocco si torna a coltivare quest'ultimo canale di comunicazione diretta e lo si potenzia fino a farlo diventare la cifra principale di un nuovo linguaggio comunicativo. Madonna dei Pellegrini - Caravaggio Caravaggio trasforma la pala d'altare nella porta della casa della Vergine: è la porta che mette in contatto il cielo e la terra, il divino e l'umano. Il naturalismo schietto agisce sulla psicologia dello spettatore: guardando il quadro è fortissima la sensazione che la Vergine esca anche per me, proprio ora. Il trionfo della vista e dei sensi veicola un significato forte, esperibile attraverso le emozioni ancor prima che attraverso l'intelletto. Caravaggio confonde i piani di realtà e illusione, mescola la storia sacra con il ritratto e la visione con il naturale. Il Barocco non ebbe una teoria ufficiale, ma il Seicento fu un secolo meno incline all'elaborazione astratta di quanto E' impossibile non notare come alla base della libertà barocca ci fosse la licenza manierista. Non è un caso che non fosse stato il Cinquecento. Baldinucci affrontasse il problema del rapporto tra l'innovazione berniniana e le "buone regole", e che lo facesse riferendosi all'architettura: la sua linea di difesa mira a distinguere il canone classico, che Bernini non avrebbe mai violato, dalle prassi decorative invalse alla fine del Cinquecento, che invece il Bernini aveva sconvolto e rinnovato. E' dunque possibile che la formula del "bel composto" non intenda descrivere direttamente le opere e i prodotti dell'ingegno beniniano, né quello stesso ingegno inteso come personalità artistica, ma che essa provi invece a dar conto del particolare stile architettonico dell'artista. Bernini ha avuto una concezione scultorea e pittorica del linguaggio architettonico e che le sue facciate, le sue piazze, le sue chiese, sono concepite come grandi composizioni di luce e di ombra, di masse e di vuoti. Non si parla quindi di fusione materiale di architettura, scultura e pittura in un'unica opera, né della perfetta padronanza di tutte le arti, ma di un carattere intimamente scultoreo e pittorico dell'architettura berniniana e barocca. Un'architettura che, come pittura e scultura, avvolge lo spettatore e lo conquista attraverso un'illusione di vitalità, di movimento e di luce. L'eredità del Barocco Giuliano Briganti conclude il suo libro contrapponendo il triste "destino storico del barocco" a quello di Rembrandt, Vermeer, Velazquez. Ci si domanda se il Barocco romano creò per quella società più di quanto stessa potesse suggerirgli: per rispondere bisogna chiamare in causa direttamente il rapporto tra artisti e mecenati. Non esistono equivalenti italiani di Velazquez, Rembrandt, Vermeer.. tutti pittori che espressero una visione privata e personale, lontanissima dai capolavori pubblici dei grandi italiani. Francis Haskell teorizza che l'aristocrazia tradizionale e recente dell'Italia barocca soffocò la ribellione con la sua assoluta sicurezza nei valori ereditari: gli artisti, legati com'erano al mecenatismo di questa particolare società, non riuscirono ad adattarsi alle nuove condizioni quando le basi su cui questa società si reggeva crollarono. Durante il Seicento, la nascente opinione pubblica colta europea accettò progressivamente l'autonomia dei valori propri dell'arte figurativa, e ciò determinò l'affermazione di una più vasta libertà di quest'ultima. Se da sempre uno dei temi-guida della letteratura artistica era stata la promozione delle arti figurative ad arti liberali e dunque il riscatto intellettuale e sociale dell'artista, con Bellori si compie un ulteriore passaggio: è la storia dell'arte, la cultura visiva, che viene ora promossa al rango di cultura valida in sé, non più bisognosa di una legittimazione letteraria raggiungibile tramite l'ut pictura poesis. L'artista ammirato da Bellori si dedica all'arte per "quel piacere innato che internamente ci spinge ad operare": la libertà che Bellori aveva scelto per sé viene ritenuta fondamentale anche per gli artisti. Bellori segna una tappa importante nella liberazione dal pregiudizio, perché intende presentare alla République des Lettres una comunità di artisti non disposta a fare propri i valori di un'arte più nobile come la poesia, ma invece decisa a possedere sempre più consciamente i valori della propria arte e della propria storia. La scultura di Bernini, che mirava a imporre nell'opera finita gli stessi valori che caratterizzavano i bozzetti, obbligava il pubblico a conoscere e a far propri quei valori. L'imposizione sociale e intellettuale della cultura figurativa comportava dunque un'apertura ai valori propri della società degli artisti, in un progressivo abbattimento delle barriere. La conquista di un'estetica del brutto è uno degli inaspettati frutti del Barocco italiano. La "bellezza mostruosa" trova entusiastici, intelligentissimi sostenitori tra gli artisti, all'interno della letteratura artistica, mentre in sedi più teoriche si ragiona sul peso delle aspettative del pubblico e quindi sul desiderio di "novità". Una delle conseguenze più interessanti di questa estetica del brutto è la nascita della caricatura in senso moderno. In un libro del 1646 appare una raccolta di incisione tratte dai disegni di Annibale Carracci: la "caricatura" è usata per definire una tecnica grafica, quella che esagera, aumenta e carica i difetti fisici presenti naturalmente nel soggetto. E' evidente però che si gioca sugli attributi professionali e sociali più che su quelli fisici (capelli incolti di un abate per alludere alla doppiezza morale; la capacità di un prelato è simboleggiata da grandi mani, ecc..). Nello stesso tempo, veniva imposto di coprire il seno della Vergine di Guido Reni al Quirinale e lo stesso Bernini veniva costretto a velare la nuda Verità della tomba di Alessandro VII. Inoltre, venne aperta un'inchiesta sulla stabilità della Cupola di San Pietro, che i nemici del Bernini dichiaravano essere instabile. Se tutte le caricature del Bernini si possono definire ritratti senza committente, ma con un pubblico ben preciso, questo atto estremo di protesta e di sarcasmo quasi blasfemo contro il papa dovette essere anche un ritratto senza pubblico => Bernini rappresenta Innocenzo XI malato, con in testa la mitria del vescovo di Roma, quasi mostruoso. ➡ In una conferenza del 1934, Panofsky si concentrò soprattutto sulle caricature del Bernini, definendo il Barocco come un periodo in cui i conflitti vengono superati trasformandoli in un'energia emozionale soggettiva, un periodo Moderno. Questo comporta definitivamente ad un'emancipazione dell'arte dalle proprie funzioni: essa potè fornire le chiavi di lettura del reale impreviste dagli stessi mecenati che ne resero possibile la fioritura. dell'artista, dove sul fondo si apre una finestra di fronte alla quale si staglia un manichino. In primo piano, su un cavalletto, posa il vero autoritratto dell'artista, un quadro nel quadro nel quale Annibale appare spettinato, malinconico, abbandonato come lo studio. Se si deve descrivere una storia senza azione, dice Bellori, non si può che descriverne la genesi (scelta della posa, dei vestiti, della luce...). E' l'inizio di una tradizione che strutturerà l'intera arte moderna, quella dell'atelier dell'artista come soggetto e oggetto insieme della pittura che vi si pratica. Se a Caravaggio spetta dunque la rifondazione della natura morta, la storiografia del Seicento riconoscerà ad Annibale il ruolo cruciale nella nascita del paesaggio moderno. La Vocazione, Caravaggio Intorno ai personaggi rappresentati, solo buio: buio sotto al tavolo, sopra le teste, in una specie di grande e desolato scantinato che ritrae lo studio dell'artista. La porta in cima alle è stata lasciata aperta, ed è da che entra il fascio di luce che accompagna l'ingresso dei due soli personaggi in abiti antichi: un goffo San Pietro che quasi nasconde il Cristo, il quale alza la mano in un silenzio eterno. Zuccari percepisce che Caravaggio, come Annibale, si connette direttamente alla pittura del primo Cinquecento in una sorta di palingenesi che intende tagliar fuori l'intera stagione manierista. Dall'altra parte, Zuccari allude alla libertà del rapporto tra Giorgione e i soggetti religiosi, alla sua tensione verso l'abbattimento dei confini tra i generi e alla sua attualizzazione della storia sacra. Nel 1606 Caravaggio dovette lasciare Roma, per dirigersi verso Napoli, Malta e Sicilia. Proprio mentre Caravaggio spariva dalla scena, molti furono quelli che imitarono la sua maniera nel colorire dal naturale, chiamati perciò naturalisti. Caravaggio non aveva fondato una scuola e non coltivò allievi, ma la sua rivoluzione si diffuse con una velocità e ampiezza di raggio e una capacità di penetrazione uniche nella storia dell'arte occidentale (Bartolomeo Manfredi, Orazio Gentileschi, Ribera..). Annibale Carracci invece fu un maestro esemplare: dai ponteggi della Famese uscirono i più grandi pittori italiani del primo Seicento (Domenichino, Francesco Albani, Giovanni Lanfranco). Da Ludovico Carracci uscirono le figure di Guido Reni e Guercino. Tuttavia, i risultati più carichi di futuro vennero dagli artisti che seppero mettere insieme, assimilandole profondamente. la lezione di Annibale e di Caravaggio: Rubens e Gian Lorenzo Bernini. La miccia lenta di Rubens Venuto in Italia come pittore in viaggio di formazione. Rubens mise a frutto fino in fondo le sue doti di osservatore. Il Cristo deriso e l'innalzamento della croce Ciclo realizzato per la cappella ipogea di Santa Croce in Gerusalemme. Questi lavori sembrano quadri di Caravaggio privati della loro immobilità e del loro silenzio e dinamizzati, accelerati, affollati e immersi in un percepibile rumore di fondo. La Sant'Elena della terza tavola è invece una figura carraccesca, ma come intrisa di una luce e resa inquieta e vibrante. Deposizione della Galleria Borghese Il sarcofago, il sudario e il braccio del Cristo provengono da Tiziano, insieme al tono cromatico generale: mentre la relazione patetica, che quasi fonde il corpo di Cristo e quello della Madre, scaturisce dalla pittura del Correggio. Imposizione del nome a Gesù Dipinta a Roma, ma destinata all'altar maggiore della chiesa del Gesù a Genova. La tensione e il movimento di quest'opera la rendono la prima pala barocca: l'irruzione della gloria celeste si accompagna alla monumentalità dei personaggi sul proscenio, alla delicatezza delle espressioni, al violento contrasto di luci e ombra. E' ancora possibile identificare le citazioni da Tiziano e Correggio, da Annibale e Caravaggio, ma non è più possibile isolarli, poiché queste suggestioni sono amalgamate in un linguaggio nuovo. Pala dell'altar maggiore della Chiesa Nuova a Roma Nuova versione di pala, concepita come trittico e dipinta su grandi lastre d'ardesia. Nel quadro alla sinistra dei fedeli Rubens dipinse san Gregorio Magno tra i santi Mauro e Papiano, stagliandoli su un fondo nero tipicamente Caravaggesco. In quello a destra, invece, rappresentó Santa Domitilla, tra i suoi due schiavi Nereo e Achilleo, immergendoli in un paesaggio carraccesco. Al centro, Rubens dipinge un'immagine della madonna con Bambino portata in volo dai putti angelici in un turbinio di nuvole paradisiache. Lo studio di Correggio Tiziano ha generato una nuova retorica dell'immagine, basata sul movimento e sul colore e funzionale a costruire una fortissima empatia emotiva con lo spettatore. La novità della pala sta proprio nella sua articolazione in tre parti distinte: grazie al dialogo di sguardi e gesti tre quadri attraversano lo spazio reale del presbiterio, che diventa una sorta di palcoscenico. Rubens osservò con attenzione la Deposizione del Caravaggio, e convinse il duca di Mantova ad acquistare la Morte della Vergine di Caravaggio rifiutata dai padri di Santa Maria della Scala. Il Barocco esplose negli ultimi quadri di Rubens. Il vero, il tenero, il movimento: Gian Lorenzo Bernini Gian Lorenzo Bernini nacque nel 1598 a Napoli, dove il padre, scultore fiorentino, lavorava per il vicerè e per le principali chiese della città. Dal 1606 al 1609 si immerse profondamente nello studio delle antichità e dei lavori rinascimentali conservati in Vaticano. I primi busti-ritratto di Bernini hanno un'aria indiscutibilmente caravaggesca, tuttavia si formò presso Annibale Carracci. Il piccolo Bernini fece parte, insieme al padre Pietro, del manipolo di virtuosi che avevano seguito il Carracci nell'escursione vaticana. Bernini stesso confermerà di aver girato per le chiese di Roma insieme al Carracci e ai suoi allievi. La scultura di Bernini vuole ingannare e far credere di essere ciò che il marmo non è, nonché imitare in esso ciò che da esso è più remoto: movimento, morbidezza, peluria, chiaroscuro e colore. Il cardinale fiorentino Maffeo Barberini gli ordinò una serie di sculture destinate alla cappella di famiglie in Sant'Andrea della Valle, tra cui spiccava il San Sebastiano. San Sebastiano, Bernini Bernini sceglie di rappresentare il momento in cui il santo è agonizzante, abbandonato sul tronco al quale era stato legato: viene trovato ancora in vita e curato da Sant'Irene. La conformazione spirituale e corporale a Cristo, induce il Bernini a rappresentare Sebastiano come un "Cristo in pietà". La languida ed estenuata sofferenza di Sebastiano, la sua dolce e terribile sospensione tra vita e morte, rivelano altre suggestioni rispetto alle pietà di Michelangelo. Per la prima volta, Bernini stabilisce precisamente un punto di vista privilegiato: non è più quello frontale, ma quello del lato destro della statua. Bernini fini subito al servizio del vero padrone di Roma, il cardinale Scipione Borghese, il quale gli commissionò un gruppo di tre personaggi: Enea, Anchise e Ascanio in fuga da Troia. Il "vero" della pittura di valori caravaggesca e il "tenero" neoveneto e neocorreggesco di Annibale Carracci e Rubens, trovano una traduzione in scultura. Ratto di Proserpina Ora il distacco dal padre è completo: la struttura colonnare, geometrica, che inscriveva l'Enea appare lontanissima e le figure esplodono nello spazio dello spettatore. Alla sinistra di quest'ultimo ondeggia la testa del dio, selvaggia quanto il suo desiderio, mentre la mano sinistra affonda nella carne palpitante del generoso fianco di Proserpina, la quale si divincola disperatamente, piangendo lacrime di marmo e lanciando verso l'alto il braccio destro, come per Santa Bibiana Nel 1624 il ritrovamento del corpo di Santa Bibiana persuase Urbano VIII a ricostruire l'antico sacello dedicato a questa martire: la prima commissione pubblica di Bernini lo portò a realizzare una figura vestita, dopo la serie dei nudi di soggetto classico. La veste che copre il corpo della santa è percorsa da continue insenature. Il viso di Bibiana è vicino ai volti di Guido Reni, ma è anche pervaso da una nuova e più forte intensità ed individualità. Bernini si fa regista, e trasforma lo spazio sacro in un palcoscenico. La santa è rappresentata nell'attimo precedente al martirio, mentre, appoggiata alla colonna sulla quale sarà flagellata, alza lo sguardo verso il Dio Padre che è affrescato sulla volta del presbiterio. Sulle pareti della chiesa la scortano i suoi familiari, ora impegnati in storie di martirio, ora dipinti come statue vive e colorate. E' in questa piccola chiesa che negli anni '20 del Seicento, Pietro da Cortona e Bernini battezzarono ufficialmente il Barocco. II 7 giugno 1624 la Reverenda Fabbrica di San Pietro indice un concorso per la realizzazione del baldacchino in San Pietro, invitando gli artisti a fare dei modelli e portarli alla Congregazione. Prima dell'esito del concorso, Urbano VIII decide di incaricare direttamente Bernini. Il risultato fu geniale: una colossale struttura- architettura in bronzo. Nel 1629 vennero innalzate le quattro colonne alte 11 metri; dalla prima idea di collocare sulla sommità una grande statua di Cristo risorto, si passò alla soluzione finale: una gigantesca corona abitata da angeli e da rami di palma. Nel 1633 il baldacchino viene inaugurato. Grandi angeli dal sorriso olimpico sembrano appena atterrati sulle sommità delle quattro colonne, e tengono in tensione con dei tiranti la copertura di stoffa da cui pendono le nappe: tutto sembra mosso da un vento. Bernini non intende rappresentare qualcosa che è, ma dare l'illusione di qualcosa che sta accadendo in questo momento. Borromini Debuttò nell'immenso cantiere vaticano, prima come scalpellino e poi come disegnatore e supervisore della realizzazione delle varie parti del Baldacchino. San Carlo alle quattro Fontane La prima architettura commissionata a Borromini nel 1638 è pervasa dallo spirito dinamico e dallo stesso amore per le curve che anima le grandi colonne del baldacchino in San Pietro. Oratorio di San Filippo Le stesse idee e le stesse forme governano il prospetto in mattoni dell'Oratorio. La facciata è frutto della stessa libertà e dello stesso sperimentalismo di Bernini in San Pietro: come il baldacchino, anche l'oratorio è pensato come un organismo plastico, a metà tra architettura e scultura. Il lessico architettonico di Borromini appare già più personale, originale e innovativo di quello di Bernini. IL BAROCCO - Tomaso Montanari L'arte barocca corrisponde a quella quella fase dell'arte italiana che ebbe inizio a Roma ai primi del Seicento e che raggiunse l'apice durante il pontificato di Urbano VIII, il libro si concentra sulle rivoluzioni naturalistiche di Annibale Carracci e Caravaggio, Peter Paul Rubens, Gian Lorenzo Bernini e Pietro da Cortona e quindi ai loro contemporanei e seguaci. Il Barocco serve per leggere e comprendere l'arte sviluppata a Roma più o meno tra il 1595 e il 1680 e le sue conseguenze italiane ed europee. Ci sono due possibili origini di questa parola entrambe hanno a che fare con l'area semantica del bizzarro e dell'irregolare. Gli scolastici del duecento italiano battezzarono "barocco" un certo tipo di sillogismo, con l'avvento della cultura umanistica e fino al '700 questo termine in area europea era sinonimo di ragionamento capzioso. In Francia l'aggettivo 'baroque' fin dal Cinquecento che serve a disegnare le perle di forma irregolare. Esiste una terza possibile etimologia (affascinante ma improbabile) fin dal '300 il toscano barocco vale a indicare una forma di usura tanto popolare da dover essere stigmatizzata già nelle prediche di san Bernardino da Siena. E' importante sapere che nel Settecento francese 'baroque' entra nel linguaggio figurato e nell'uso comune. Ci sono sostanzialmente due teorie da parte di Brigantini e Wittkower per quanto riguarda l'impostazione del barocco. Il tedesco sostiene che un'unità stilistica e culturale consente di definire barocca l'intera arte italiana tra il 1600 e il 1750 (suddiviso in primo barocco- barocco- tardo barocco) mentre Brigantini propone di definire "barocca" solo l'arte fiorita a Roma intorno al 1630 per merito di Cortona, Bernini e Borromini e di estendere questa definizione alle sue conseguenze anche molto più tarde, a patto che fossero chiaramente riconoscibili come tali. La visione di Wittkower riguarda confini cronologici, Brigantini è più sbilanciato verso la pittura: il Barocco inizia con le opere del Cortona sul 1630 ma innanzitutto dovremmo retrodatare almeno fino al 1617 con il San Sebastiano di Bernini e inoltre considerare la permanenza di Rubens in Italia. Briganti aggiunge inoltre (per quanto riguarda a Carracci e Caravaggio) che uno sia rivolto al presente e l'altro al futuro, uno sia un rivoluzionario e l'altro conservativo: il Caravaggio è il padre del moderno. Si può dire che fin da oggi il Barocco cominciò con uno strappo rivoluzionario cioè con l'affermazione romana di Caravaggio e Annibale Carracci, se volessimo trovare delle opere-simbolo e una data di riferimento potremmo indicare la Galleria Farnese e la cappella Contarelli e quindi arrotondare all'anno giubilare e dire 1600, ricordano che ci vogliono 25 anni prima che il barocco diventi uno stile condiviso. Nelle opere della maturità di Caravaggio e Annibale sono già contenute molte delle innovazioni e delle caratteristiche (di stile e di contenuti) che Rubens, Bernini e il Cortona faranno deflagrare negli anni immediatamente seguenti. Giovan Pietro Bellori scrive "Le vite" belloriane pubblicate a Roma nel 1672, sono la storia di quella quarta età dell'arte italiana che era stata la profezia di Giorgio Vasari nel 1568. nella visione vasariana Cimabue e Giotto avrebbero avviato la rinascita dell'arte dopo una lunga parentesi medioevale dovuta alla caduta dell'impero romano- la seconda età, quella iniziata da Brunelleschi, Donatello e Masaccio avrebbe visto un ulteriore crescita che però solo con la terza età, aperta da Leonardo e maturata da Raffaello e culminata con Michelangelo avrebbe conquistato una perfezione suprema superiori a quelle che le arti figurative avevano raggiunto nell'antichità. Dopo aver stigmatizzato la decadenza che contraddistingue il manierismo, cioè la fine della terza età Bellori descrive una quarta età della pittura che nasce con il nascere del seicento, decidendo di scrivere proprio le vite degli artisti da lui definiti "moderni": Annibale, Caravaggio, Van Dyck (etc), la sua visione storiografica vede solida legittimazione storica la centralità di Roma e l'apertura europea. La visione storiografica del Bellori sul Barocco trova una delle caratteristiche più interessanti del Barocco, cioè la straordinaria unità di stile riscontrabile nelle opere di artisti diversissimi per provenienza (italiana o europea), età e storia personale, ma che hanno la sorte di essere attivi a Roma dopo il 1625. Se parliamo di un Italia o un Europa barocca lo si può fare solo alludendo non a tutta la produzione artistica di questo periodo ma quella che parla la lingua elaborata a Roma. Nè si potrà parlare d'Italia o Europa barocca alludendo a una poligenetica, ma solo alla diffusione monogenetica di un'arte figurativa che si sviluppa a Roma a partire dal 1600. 1-Assunzione di Maria, olio su tavolo, 1601 (pag35) trionfo di colore, macchia d'ombra i volti degli apostoli, costruzioni di corpi intrecciati, gesti parlanti degli apostoli, eloquenti come filosofi antichi intenti a una disputa. (Carracci tiene insieme Tiziano e Raffaello creando qualcosa di nuovo). 2- Le tele laterali alla cappella di Caravaggio: La crocifissione di Pietro, olio su tela, 1601 circa 3- Conversione di Saulo, olio su tela. Se in Annibale troviamo clamore moto e luce, in Merisi c'è silenzio, immobilità e buio, appaiono come storie senza "azione". Sembra che il suo intento fosse quello di andare al nocciolo della vocazione della pittura, ciò annullare il tempo per esaltare lo spazio, come in un fotogramma. Caravaggio blocca l'atroce fatica degli aguzzini bestiali che faticano sotto il peso fisico del corpo di S. Pietro da innalzare sulla croce ma restano inconsapevoli del peso morale di quell'azione, o anche la meravigliosa folgorazione di Saulo, caduto a terra e illuminato da una visione che Caravaggio non sa mostrarci perché tutta mentale e privata, e dunque fuori dall'esperienza della natura che sola guida la pittura. RUBENS (e anche Bernini) CAPISCE E ASSIMILA LA LEZIONE DI ENTRAMBI GLI ARTISTI: entrambi si sono occupati di far saltare le loro figure fuori dalla tela, di farle sembrare tridimensionali grazie alla luce, tangibili come sculture, e quindi di farle vivere nella percezione e nella coscienza dello spettatore, cui occhi e mente erano il vero teatro che i due pittori si erano contesi. Il mezzo principale per raggiungere questo obiettivo è tenere conto gli spazi fisici in cui le opere sarebbero da collocarsi, e quindi le condizioni di visibilità, il loro contesto e la loro funzione. (tenero- illusivo - moderno. tre aggettivi usati da Longhi per definire il barocco.) E' un osservatore molto ricettivo: il Cristo deriso e L'innalzamento della croce sembrano quadri di Caravaggio (per luce, composizione e tipi di modelli) privati della loro immobilità e del loro silenzio e come dinamizzati, accelerati, affilati e immersi in un percepibile rumore di fondo; Annibale invece mostra a Rubens come metabolizzare e congiungere insieme le suggestioni di questi due giganti del secolo precedente (Tiziano e Correggio: lo studio dei due ha generato una nuova retorica dell'immagine basata sul movimento e sul colore e funzionale a costruire una fortissima empatia emotiva con lo spettatore). Rubens nel settembre del 1606 ottiene l'incarico di dipingere la pala d'altare maggiore della Chiesa Nuova fondata da Filippo Neri, la grande novità della pala sta proprio nella articolazione in tre parti distinte; grazie al dialogo di sguardi e di gesti e all'unità dell'azione che congiunge i tre quadri attraversando lo spazio reale del presbiterio, il quale diventa una sorta di palcoscenico dove si agita perennemente una sacra rappresentazione. BERNINI: Bernini, nato a Napoli da un padre scultore capisce che la scultura era in ritardo di quasi quindici anni rispetto alla pittura, vuole inseguire, metabolizzare e superare i risultati della pittura contemporanea tanto che attorno al 1630 le parti si invertiranno proprio grazie a lui, e anche ai pittori, e per oltre cinquant'anni. Conosce Caravaggio ed è affascinato dal suo naturalismo, la pittura romana, Carracci con il quale avvierà frequentazione personale ed artistica. La sua scultura riesce a farsi pittura, vuole per appunto ingannare e far credere di essere ciò che il marmo non è, nonché imitare in esso ciò che da esso e più remoto: movimento, morbidezza, peluria, chiaroscuro, e addirittura colore. I primi frutti interessanti della scultura di Bernini si ottennero alla fine del secondo decennio quando il cardinale fiorentino Maffeo Barberini gli ordinò una serie di sculture destinate alla cappella di famiglia in Sant'Andrea della Valle, tra cui spiccava il San Sebastiano, Bernini sceglie di rappresentare il momento in cui il martire è agonizzante, per la prima volta inoltre Gian Lorenzo sembra stabilire con precisione un punto di vista privilegiato: che non è frontale ma quello di lato destro della statua, probabilmente in ossequio alla destinazione originale della statua, nella cappella. A Bernini, il merito di conferire al marmo l'aspetto di superfici, colori e materiali ben lontani dal suo durissimo candore che mette a servizio di una scrupolosa osservazione della realtà che sa quando il tono muscolare e l'elasticità della pelle siano differenti in un vecchio, in un uomo nel pieno della giovinezza e in un bambino, e sa anche penetrare le diverse condizioni psicologiche di quelle stesse età. In altre parole Bernini riesce a trovare una traduzione del vero della pittura di valori caravaggesca, del tenero neoveneto e neocorreggesco rimessi in circolo da Annibale Carracci e da Rubens, in scultura. Il cardinal Borghese chiese (dopo Enea, Anchise ed Ascanio in fuga da Troia) a Bernini un altro mito di marmo per la sua villa II ratto di Proserpina, eseguito tra la primavera del 1621 e l'estate dell'anno successivo: le figure esplodono nello spazio dello spettatore, alla sinistra di quest'ultimo affonda la testa del dio, selvaggia quanto il suo desiderio, mentre la mano di sinistra affonda nella carne palpitante del generoso fianco di Proserpina, la quale si divincola disperatamente, piangendo lacrime di marmo e lanciando verso l'alto il braccio destro, come per emergere dal forno di violenza che la sta strappando alla vita. Questo braccio levato come un grido spezza il limite virtuale del blocco di pietra sprezzatura, (comportamento disinvolto) Bernini concepisce la statua per dare un forte senso di transitorietà sceglie il momento culminante del mito quello dell'azione al massimo della sua concitazione cioè quando Plutone afferra Proserpina e la trascina con sé nel suo regno sotterraneo. Il gruppo è pensato per una ricezione pittorica, cioè per essere percepita frontalmente, lo spazio emotivo in cui avviene l'azione si estende allo spazio reale in cui muove lo spettatore, in tal modo l'attimo fermato dalla statua si dilata eternamente, senza perdere l'illusione della transitorietà e della repentinità con cui si consuma questa crudele e sensualissima violenza. Lo stesso cardinale, entusiasta commissionò nel 1623 una statua a grandezza naturale, "il David " (dopo pochi mesi questi morì e la statua fu aggiudicata da Scipione Borghese). Finalmente un soggetto sacro, si paragona con il David di Donatello, di Verrocchio e Michelangelo e il risultato appare ancora più dirompente. L'idea di rappresentare l'azione al suo culmine raggiunge un nuovo grado di intensità: giovane eroe ebreo non ha già decapitato Golia, e non è viceversa in calma attesa dello scontro (come con Michi), ma si trova esattamente nel pieno della lotta, all'acme dell'azione. Lo spettatore che si trova perfettamente di fronte alla statua ha dapprima la sensazione di essere finito inconsapevolmente sul campo di battaglia e che quindi David sta guardando proprio lui: a questo punto, con un vago senso di disagio, e quasi di pericolo realizza di essere il Golia che manca a completare l'azione. Con il David, Bernini utilizza un trucco che grandi pittori rinascimentali, come Antonello da Messina o Leonardo, avevano escogitato per far partecipare il pubblico alla scena sacra. Raffigurando David secondo la soggettiva di Golia, Bernini non stimola la devozione e la spiritualità dello spettatore: cerca piuttosto di far scattare sensazioni più basse e incontrollabili, come la sorpresa e perfino la paura. Gian Lorenzo fa apparire all'improvviso il "naturale" nel luogo stesso della convenzione (cioè la verità della sorpresa dello spettatore di fronte alla finzione di una statua) suscitando così quel senso di straniamento e di confusione delle sfere di realtà che disorienta e avvince chi guarda. Paura e spaesamento sono sentimenti che fanno parte integrante del progetto dell'artista, in altre parole, la nostra reazione psicologica di fronte al David è stata accuratamente pianificata dal suo autore alcuni secoli fa. Dopo aver donato Plutone a Ludovisi, Scipione si era preoccupato di sostituito con un altro tentativo di stupro nell'ultima statua per la villa, l'Apollo e Dafne terminata nell'autunno del 1625, le due figure invadono lo spazio dello spettatore, sembrano condividere gli aspetti essenziali: il movimento, l'aria e il colore, in altre parole la vitalità stessa. Gian Lorenzo cerca di imprimere ai busti un accenno di moto che Figura 12 "Ispirazione del poeta", olio su tela, 1629-30 appartenuta al cardinale Giulio Mazzarino. Apollo dio della musica, della poesia e della luce, siede sotto un alloro, nobilmente appoggiato alla sua cetra e scortato da quella che sembra essere una musa, il dio detta i suoi versi a un poeta il quale tieni gli occhi fissi verso il cielo, mentre viene laureato da un putto in volo. É una celebrazione alla poesia figurativa, che né in altezza né scritta o cantata. In efficacia cede a quella Urbano VIII indissolubilmente legato alla nuova basilica decise di farsi costruire una tomba monumentale proprio li, ne affidò la progettazione e l'esecuzione a Bernini che si andava affermando come il suo artista ufficiale. Il lavoro a questo complesso straordinariamente sontuoso impegnò l'artista e una nutrita schiera i collaboratori per un ventennio, dal 1627-47 Figura 13. Gian Lorenzo Bernini, monumento funebre di Urbano VIII, bronzo dorato e marmi bianchi e policrome, 1627-47 Lo scheletro sorregge un libro aperto su cui sta finendo di scrivere con un ossicino il nome del papa, a sinistra del sarcofago si vede il gruppo di marmo statuario della Carità, essa è rappresentata come una madre con due bambini (alte il doppio del naturale), "uno in braccio, che si è addormentato alla poppa, e l'altro in piedi che mostra di pingere perché vorrebbe ancora zinnare". In marmo bianco è anche scolpita la Giustizia, essa tiene il gomito destro su un libro di codici posto sopra la voluta sinistra del sarcofago, e sorregge con l'altra mano una grande spada, la cui elsa è decorata dalle api barberiane. Alla sua sinistra si nasconde tra i panneggi un putto con il pesante fascio littorio caricato in spalla, mentre perfettamente incastrato tra la gamba sinistra della Virtù e il sarcofago, siede un altro bambino che, imbronciato, alza un piatto della bilancia abbandonata a terra. Dall'alto domina la colossale statua bronzea di Urbano, rivestito degli abiti pontificali mentre su tutto il sepolcro stimano api di bronzo. La suprema morbidezza, i contorni morbidi e sfumati la capacità di poca correzione aveva raggiungo l'apice nei pochi ma indimenticabili busti-ritratto di che Bernini aveva realizzato nei primi anni trenta (quando la concentrazione del lavoro in San Pietro era all'apice) non c'è niente di più analiticamente naturalistico, c'è una capacità sovrumana di obbligare il marmo a restituire, negli occhi di chi guarda, l'impressione visiva e tattile delle materie imitate. Bernini amava ripetere che il modo migliore per fare un ritratto scegliere un atto caratteristico del modello e cercare di imitarlo, e che uno dei momenti in cui il volto manifesta più marcatamente la personalità e l'individualità è quello in cui sta per aprire la bocca e parlare. Ed è proprio questa la situazione in cui egli ha colto in cardinale Borghese; questi si sta girando verso un interlocutore invisibile, ma che evidentemente deve trovarsi alla sua destra, nello spazio dello spettatore, e sta per rispondere a una sua domanda o a un saluto. Grazie a una capacità quasi sovrumana di imporre al marmo la consistenza, la lucentezza e la densità della materie imitate abbiamo le sensazione, perfino sgradevole di essere capitati tanto vicini a questo esuberante signore di mezza età, agitato e sudato, da poter contare tutti i pori delle sue turgide guance. Figura 14. GL Bernini, busto del cardinale Scipione Borghese, marmo di Carrara, 1623 Innocenzo X successe Urbano VIII, il che comportò a un cambio di regime, per la storia dell'arte fu un gran bene perché Gian Lorenzo accettò una commissione di rango meno elevato e creò la Cappella Coronaro con l'Estati di Santa Teresa: forse il vertice del Barocco. Quella quarantena durò poco e Innocenzo si rassegnò presto a utilizzare i due massimi artisti di Urbano VIII per realizzare le due opere più importanti che ornano il complesso monumentale di Piazza Navona; cosi Pietro da Cortona affrescò l'elegantissima e gentile Galleria di Enea e Bernini scolpi la Fontana dei Fiumi. A San Pietro Innocenzo volle provare a distinguersi da Urbano e decise che l'unica pala d'altare che egli avrebbe donato alla basilica sarebbe stata un enorme rilievo in marmo: il papa e la congregazione della fabbrica scelsero l'altare dedicato a San Leone Magno che era rimasto senza immagine, l'artista prescelto fu Alessandro Algardi, esperto nei rilievi (a dispetto di Bernini che evitava il genere), il risultato è uno dei massimi capolavori dell'arte europea del Seicento: quando la luce pomeridiana invade S.Pietro il marmo algardiano vibra e si anima, l'opera cattura la luce con tanta efficacia perché la sua superficie è profondamente differenziata. Figura 15. Alessandro Algradi, La fuga d'Attila, marmo di Carrara, 1646-53 Nel 1655 invece fu eletto un pontefice che si sentiva un erede naturale di Urbano VIII, papa Chigi, il quale si concentrò soprattutto sull'architettura e sull'urbanistica, e nei dodici anni del suo regno crebbe una Roma moderna fatta di lunghe prospettive viarie, solenni quinte e facciate, piazze e fontane. Per quanto riguarda S.Pietro egli chiese a Bernini di risolvere i due grandi problemi: la piazza di fronte alla basilica ** la zona absidale dove si era incerti se collocare un secondo altare dedicato all'Apostolo o una sede liturgica per il papa la soluzione a questo problema fu la Cattedra di San Pietro, monumentale pala d'altare e culmine visivo e concettuale dell'intera basilica vaticana. Figura 16. Gian Lorenzo Bernini, Cattedra di San Pietro, bronzo dorato, 1656-66 Essa è un enorme reliquiario progettato per racchiudere e per rappresentare, un trono di età carolingia in legno e avorio. Su un complesso piedistallo rivestito di marmi colorati fanno corona alla grande sedia di bronzo quattro statue (altre oltre cinque metri e mezzo, fuse in bronzo e in gran parte dorate) che rappresentano quattro Padri della Chiesa: due di quella occidentale e due di quella orientale; subito sopra la sommità del seggio è una cascata d'oro e di luce: la gloria del Paradiso, o semplicemente lo "splendore" come la definiscono i mandati di pagamento. Sappiamo che per molti contemporanei era difficile indovinare il soggetto esatto di questo colossale monumento: tutti erano però concordi nel definire una visione o un'apparizione, e in ogni caso la rappresentazione di un evento sovrannaturale. In effetti, l'illusione è quella di un abbattimento del perimetro materiale della basilica: la struttura architettonica dell'abside è cancellata dell'irruzione della colomba dello Spirito Santo, che scende sui quattro Padri della Chiesa, vecchi colossali dalle barbe fluenti e dagli abiti episcopali, e sull'enorme torno di bronzo, che sembra come sospeso in volo e abbracciato dalle nubi. Dopo un itinerario gremito di apparizioni di angeli e santi, lo spettatore è infine chiamato all'illusione più alta e più sconvolgente, quella della visione di Dio: il mare di luce dorata che irrompe in San Pietro è, dunque, la luce del Paradiso, e in un'ennesima illusione di contiguità tra naturale e sovrannaturale. Dipingendo la Colomba al centro di una grande vetrata, Bernini ha potuto catturare e controllare la luce naturale, che da ogni alba ad ogni tramonto torna ad animare l'interno monumento. La conseguenza principale della Cattedra fu proprio un cielo: il cielo tempestoso e chiaroscuro che Giovan Battista Gaulli (detto il Baciccio) affrescò sulla volta della chiesa del Gesù tra il "Il trionfo del nome di Gesù" affresco, 1676-1679, il pittore genovese cresciuto in patria sulle orme di Van Dyck e diventato a Roma il braccio pittorico di Bernini prese lo schema geometrico e luminoso della Cattedra e lo usò per la drammatica e istantanea rappresentazione della caduta degli angeli ribelli, che precipitano fuori dalla cornice, rotolando sugli stucchi dorati e piovono fin sulla testa dei fedeli a causa del trionfo del nome di Gesù, il quale sfonda il soffitto della chiesa in un abisso di luce pura dal sapore post-figurativo. A quasi cinquant'anni dalla volta Barberini fu dunque un seguace di Bernini a chiudere il cerchio della stagione aurea della pittura barocca di soffitti. Figura 20. Rembrandt, "Jan Six nello studio", 1647 che fanno supporre che, commissionando il proprio ritratto a Rembrandt egli lasciasse Six era un conoscitore e un collezionista non conformista, un poeta raffinato, tutte cose impostare e condurre l'incisione in assoluta libertà. Il risultato è una scena indimenticabile, riesce ad apparire naturale e spontanea ma anche profondamente teatrale. Six è colto nell'intimità della sua casa, mentre col colletto della camicia slacciato si appoggia con nonchalance alla finestra per leggere un libro, che piega nel modo più feriale e familiare possibile. Una pila di libri in primo piano, la spade e il cinturone gettati su una sedia, e un quadro con la tendina di protezione mezza aperta completano la descrizione della stanza disordinata di un uomo di mondo. Ma al tempo stesso, il grande tendaggio della finestra si apre come un sipario a incorniciare la luce che circonfonde il nostro vanitoso intellettuale, svelando tutto il calcolo la regia che hanno condotto a una simile impaginazione "spontanea". A differenza dei suoi quadri, questa e le elitre infinite incisioni di Rembrandt avevano una grande circolazione in tutta Europa, e potevano far conoscere anche in Italia il singolare Barocco rembrandtiano. Rembrandt nutriva un sincero e profondo interesse per la recitazione, che nasceva dall'esigenza di padroneggiare, per poi insegnare la tecnica di una rappresentazione verosimile ed efficace delle scene storiche, il nocciolo del metodo di insegnamento consisteva nel far leggere il testo da dipingere, quindi nel chiedere al giovane pittore di recitare la parte dei vari personaggi, e infine mostrargli, tramite la recitazione del maestro stesso, il risultato da raggiungere. Sembra la prima volta che una cosa simile accada nella storia dell'arte: la forza del naturalismo caravaggesco spinge ora l'artista a diventare anche attore, cioè interprete convincente e credibile di un'espressionismo, di un volto, di una psicologia. E' per questo che l'artista osserva e indaga se stesso e il principio del proprio volto, e dipingere ossessivamente una serie di autoritratti che gli allievi gli copiano per imparare ad appropriarsi degli affetti, degli stati d'animo, dei gesti di una persona - (Qualcosa di molto simile accadeva anche intorno a Gian Lorenzo Bernini, maestro e allievi si autointerpretavano e autorappresentavano sul palcoscenico seguendo la rigida disciplina di Gian Lorenzo Bernini, egli si auto rappresentava perché gli allievi imparassero a rappresentare). Si è suggerito che l'idea di utilizzare la recitazione per imparare a fondo, e quindi insegnare, l'arte dell'imitazione pittorica di un individuo provenisse a Rembrandt dalla sua giovanile frequentazione della Scuola Latina di Leida, dove coerentemente con i principi della retorica classica, azioni teatrali venivano interpretate dagli alunni al fine di impadronirsi della lingua e dell'eloquenza classiche. Per Rembrandt la messa in scena teatrale era un mezzo per arrivare a comporre i suoi quadri più complessi: primo tra tutti il ritratto di gruppi della guardia civica di Amsterdam, meglio nota come la Ronda di notte. Il più famoso quadri di Rembrandt fu dipinto nel 1642, olio su tela, per decorare la Sala della Guardia nel palazzo del Municipio di Amsterdam. In origine esso era molto più grande: nel 1715 venne mutilato di circa 60cm in altezza e di quasi un metro in larghezza per adattarlo a un'altra sala. Il dipinto rimane straordinariamente d'impatto: sembra cogliere lo spettatore nel proprio spazio illusorio, e fissandolo non ci si sottrae all'impressione vivissima di udire i colpi degli spari e il battere del tamburo di questo rumoroso corpo di guardia. Pur nella fedeltà alla decisione ritrattistica (nel quadro sono presenti i volti di almeno 18 uomini che avevano pagato una quota al pittore) Rembrandt decise di mostrare la compagnia del capitano Frans Banning Cocq in piena attività. Il forte chiaroscuro e la sensazione di moto e di azione che Rembrandt conferisce al suo quadro furono letti in senso narrativo, e si pensò che tutto questo si riferisse alla cronaca pittorica di un esercizio di vigilanza notturna. Ma La ronda di notte non è solo un ritratto di gruppo teatralmente animato: con una caravaggesca mescolanza di generi, Rembrandt introduce tramite le strane figure di bambini in maschera bagnati dalla luce, delle discusse figure allegoriche. - vedi appunti sdam 17 La trasgressione è perfettamente simmetrica, se in Italia era il prevalente genere storico a vedersi trasgressivamente ibridare col meno nobile, ma più vitale, ritratto, in Olanda è invece la pittura di storia a contaminare e vitalizzare il ritratto, che li occupava invece il vertice della scala dei generi. Per criticabile che sia quest'opera avrò la meglio su tutti i suoi rivali, tanto è pittoresca nei pensieri, tanto ha movimento nel contesto e tanto è forte. VELASQUEZ: la sua arte si confronta con l'Italia del presente e del passato, nasce a Siviglia nel giugno del 1599 a lui arrivano qualche copia di Caravaggio (probabilmente viste nelle gallerie e negli altari sivigliani), intorno al 1621 ultima il suo primo capolavoro Acquaiolo di Siviglia, il quale appartiene al genere del bordegón (versione spagnola di quel filone della pittura europea che, a cavallo tra Cinque e Seicento ritraeva uomini e donne di umile condizione sociale all'interno di cucine o comunque in compagnia di cibi e oggetti) ma privo del tono cromatico, ironico o aneddotico che caratterizza questo tipo di produzione. Le figure umane hanno qui una monumentalità che ben si adatterebbe a una pala d'altare, e il bevitore d'acqua porge il bicchiere con la gravità ieratica di un sacerdote che alzi il calice della messa. La luce è inequivocabilmente caraveggesca, cava i corpi dall'oscurità e li scolpisce con un nitore oggettivante, uno dei dati più interessanti di questo quadro è l'equazione tra gli uomini e gli oggetti, tutti egualmente sottoposti all'incidenza del lume, tutti egualmente protagonisti del dipinto. Avendo capito perfettamente la rivoluzione caravaggesca Velasquez prova eloquentemente l'eversivo abbattimento della gerarchia contenutistica dei generi. Nella seconda metà del 1623 egli si stabilisce a Madrid, dove avvenne l'incontro cruciale con la grande pittura italiana, e soprattutto veneziana, collezionata dai re di Spagna. Conosce Rubens, che aprì gli occhi di Diego sull'attualità della lezione tizianesca, e più generale veneziana, e gli consentì di assimilarla, consigliando quindi a Diego di andare Italia, e persuadendo il re Filippo a concedergli la licenza necessaria. Dal gennaio del 1630 Velásquez è dunque a Roma, dove conosce in un vortice in spaventoso di aperture visive e culturali l'antico, i grandi maestri del Rinascimento, e i testi originali del caravaggismo e la lussureggiante arte barberiniana. All'inizio del 1631 Velásquez è di nuovo a Madrid, per i vent'anni successivi, la sua vita sarà priva di ogni preoccupazione materiale, ma in compenso verrà scandita solo dai ritmi monotoni e chiusi della corte e sarà apparentemente mutilata di ogni libertà artistica, giacché, in qualità di pittore del re, Diego dovette dipingere quasi esclusivamente ritratti e quasi sempre delle stesse persone, ma in questa sorta di gabbia dorata egli creerà alcune delle opere più importanti della storia dell'arte occidentale, conducendo un'altissima meditazione sulla realtà della natura umana e sovvertendo genialmente le regole del genere ritrattistico. L'immobilità del pittore di posa, la sublime noia di un artista che non doveva adattare la sue opere alle situazioni sempre diverse di chiese o saloni, né inventare, quasi di storia fecero di Velasquez il "pittore di studio" per eccellenza. I suoi quadri nascevano nell'atelier all'interno della reggia, come in un laboratorio in cui ripetere ossessivamente lo stesso esperimento sulla stessa cavia, da qui proviene la straordinaria sensibilità meta-artistica di Velásquez, cioè la disposizione a riflettere sulla propria attività da artista, a "parlare" della sua arte attraverso le sue stesse opere, a destrutturare e sperimentare il segno pittorico con una libertà impensabile per la sua epoca. La filosofia di Velásquez è tutta visiva, tutta pittorica, tutta immanente alle forme e ai colori. A questa filosofia appartiene il Figura 22: Marte in riposo, olio su tela, 1550-55
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