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riassunto Bianca contratti, Sintesi del corso di Diritto Civile

Civile 2 - Civile 2

Tipologia: Sintesi del corso

2013/2014

Caricato il 11/04/2014

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Scarica riassunto Bianca contratti e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! NOZIONI INTRODUTTIVE Contratto (art.1321) = accordo di 2 o più parti per costituire,regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. Esso rientra nella categoria dell’ATTO DI AUTONOMIA PRIVATA (o NEGOZIO GIURIDICO), cioè nell’atto mediante il quale il soggetto dispone della propria sfera giuridica. Il contratto si caratterizza per: • la sua struttura bilaterale o plurilaterale: si perfeziona col consenso di 2 o più parti (distinguendosi dal negozio unilaterale,il quale si perfeziona con la sola manifestazione della volontà dell’autore dell’atto,senza che occorra l’altrui accettazione,come ad es. nel testamento); • la sua patrimonialità: esso è un negozio patrimoniale in quanto ha per oggetto rapporti suscettibili di valutazione economica. Il matrimonio quindi esula,pur essendo un negozio giuridico,dalla categoria dei contratti,dal momento che si tratta di un rapporto giuridico non patrimoniale. ELEMENTI COSTITUTIVI ( = elementi del nucleo minimo della fattispecie contrattuale): 1. ACCORDO: è il reciproco consenso delle parti; 2. OGGETTO: è il contenuto essenziale del contratto,ossia ciò che le parti stabiliscono o programmano in ordine al loro rapporto (es.: oggetto della vendita è il trasferimento della proprietà o altro diritto reale verso un prezzo, art.1470). Ma oggetto è anche la realtà materiale o giuridica su cui cadono gli effetti del contratto stesso (es. oggetto della vendita può intendersi il bene alienato); 3. CAUSA: è la funzione pratica del contratto,cioè l’interesse che il contratto è diretto a soddisfare; 4. FORMA (quando è prevista a pena di nullità, art.1325): è il mezzo attraverso il quale si manifesta la volontà contrattuale. ELEMENTI ACCIDENTALI = modalità accessorie previste dal contratto (termine,condizione,modo,clausola penale, caparra). Possono esser stabiliti dalla legge o dagli usi,e in tal caso fanno parte della disciplina generale o particolare del rapporto integrandone il contenuto (es.: modalità relativa al luogo di esecuzione delle prestazioni). 2 M0MENTI ESSENZIALI DELLA NOZIONE DI CONTRATTO: • Momento soggettivo: identifica il contratto quale atto decisionale delle parti,e precisamente quale accordo. Sul piano sociale l’accordo è una manifestazione di volontà,quindi un atto di volontà che, quando è insussistente,fa mancare il fenomeno stesso del contratto. Ciò non significa che le parti non possano avere un volere diverso da quello manifestato: la mancanza di una corrispondente volontà interna non toglie che l’atto si presenti pur sempre come atto di volontà,quindi il vizio o la mancanza di una corrispondente volontà interna non impediscono il perfezionamento del contratto se il comportamento del soggetto ha il significato obiettivo di una manifestazione di volontà. Al massimo si pone un problema di tutela della libertà negoziale, problema che deve tener conto della principale esigenza di tutela dell’affidamento dei terzi sulla serietà della dichiarazione contrattuale. In ogni caso il rimedio che può spettare al soggetto leso nella sua libertà negoziale non è quello della nullità,ma piuttosto quella di un’azione d’annullamento del negozio. • Momento oggettivo: oltre che come accordo,il contratto può essere definito come autoregolamento di rapporti giuridici patrimoniali. La definizione del contratto quale autoregolamento ne richiama l’elemento oggettivo,e cioè la disposizione o la regola che le parti pongono in essere mediante il loro accordo, la quale dev’essere posta in essere dalle parti (quindi deve aver fonte nel loro accordo quale atto d’esercizio della loro autonomia privata, non dal potere autoritario esterno). Il contratto quindi, in breve,è una regola pattizia. NEGOZIO GIURIDICO ATTI GIURIDICI IN SENSO STRETTO La figura del contratto s’inquadra nella categoria del negozio giuridico; esso è esplicazione dell’autonomia privata quale potere del soggetto di decidere della propria sfera giuridica, personale o patrimoniale. Il soggetto esplica la propria autonomia privata mediante atti negoziali, grazie ai quali appunto egli organizza la propria vita e dispone dei propri interessi. La categoria del negozio è tra le più discusse e contestate. Le critiche hanno avuto riguardo principalmente all’astrattezza di tale figura; altra critica invece s’è appuntata sul negozio giuridico quale esempio significativo di un concettualismo giuridico che tende a sostanzializzare nozioni teoriche senza tenere conto dei conflitti d’interesse che il diritto è chiamato a risolvere. La figura è stata anche contestata sul piano ideologico quale simbolo di un esasperato individualismo che eleva il soggetto ad arbitro della sua sfera giuridica,favorendo in realtà i detentori del potere economico. Ma il dibattito non ha più ragione d’esistere se si riconosce che il negozio giuridico è una categoria di diritto positivo,punto di riferimento per l’applicazione di norme giuridiche comuni. L’esistenza di una disciplina comune agli atti negoziali si desume dalla norma che estende la disposizione sull’applicabilità delle disposizioni regolatrici del contratto agli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale (art.1324). La figura generale del negozio giuridico ci permette di effettuare una partizione nell’ambito degli atti giuridici: ▲ atti d’autonomia privata ▲ atti giuridici in senso stretto (atti non negoziali) Atto giuridico = qualsiasi comportamento umano giuridicamente rilevante. Atto giuridico in senso stretto = comportamento umano (operazione materiale o dichiarazione) che rileva quale presupposto di effetti giuridici. È la condizione necessaria e sufficiente perché gli effetti giuridici si producano. Essi non sono quindi disposti dal soggetto agente,ma da una fonte esterna che è principalmente la legge. Ciò che importa, è il significato sociale dell’atto negoziale quale atto dispositivo: la volontà può concretamente mancare,ma il negozio è comunque oggettivamente valutabile quale atto decisionale del soggetto. Gli effetti concretamente prodotti possono essere diversi da quelli programmati o possono anche mancare (es. negozio nullo), ma il negozio è pur sempre atto dispositivo di effetti giuridici. In assenza di una disciplina generale degli atti giuridici in senso stretto, occorre di volta in volta attingere alla loro particolare disciplina. funzione e posizione, nonché una sua diretta rilevanza sulla validità o efficacia dell’atto (atti complessi dove le singole dichiarazioni han la stessa rilevanza = “atti eguali”, viceversa “atti ineguali”). RAPPORTI CONTRATTUALI DI FATTO: DIBATTITO SULLA NATURA GIURIDICA DEL CONTRATTO Secondo la nostra dottrina,la definizione del contratto come accordo o come autoregolamento varrebbe a indicare 2 concezioni antitetiche sulla sua natura giuridica, e cioè: • Concezione oggettiva del contratto: a questa si riconducono 2 teorie • Teoria della dichiarazione: secondo questa teoria,ciò che costituisce il contratto non è la volontà ma la dichiarazione. Tale attingeva soprattutto alle esigenze pratiche della nuova esperienza dei rapporti commerciali del secolo scorso. • Teoria precettiva: è nata come critica alla teoria della volontà, sostenendo che la volontà come fatto psicologico meramente interno è qualcosa di per sé inafferrabile e incontrollabile, quindi può avere rilevanza giuridica solo in quanto si sia tradotta in un fatto sociale. La nozione di contratto,di conseguenza,non consiste nell’elemento psicologico della volontà,e neppure nel dato materiale della dichiarazione,bensì in un fenomeno sociale,il quale viene identificato nella disposizione con la quale il soggetto regola da sé i propri interessi in rapporto ad altri,e cioè appunto nell’autoregolamento. • Concezione soggettiva del contratto: a questa si riconduce la • Teoria della volontà: elaborata dalla dottrina pandettistica del secolo scorso, e mantenuta come riferimento dalla dottrina italiana,ravvisa l’essenza del contratto (e del negozio giuridico in generale) nella volontà creatrice dell’individuo. Una dichiarazione priva di volontà sarebbe quindi inidonea a formare il contratto perché,mancando la volontà, mancherebbe il primo elemento costitutivo del negozio. La volontà ha bisogno di manifestarsi esternamente,ma una manifestazione alla quale non corrisponda una reale volontà del soggetto,non avrebbe valore di negozio (quindi i casi nei quali la legge dà rilevanza alla dichiarazione non sorretta da una corrispondente volontà, sarebbero solo eccezioni alla regola fondamentale del contratto). Il superamento del c.d. dogma della volontà è ormai un risultato acquisito sul piano del diritto positivo: la disciplina legislativa del contratto non fa dipendere la rilevanza giuridica dell’atto dalla realtà della volontà interna delle parti. Il contratto è valutato come un fenomeno sociale,e la sua disciplina conferma i seguenti punti: • L’atto che non ha obiettivamente il significato di una decisione voluta dal soggetto in ordine alla sua sfera giuridica, non vale come atto negoziale. • L’atto che ha obiettivamente il significato di un atto negoziale impegna il suo autore anche se il suo interno volere sia stato diverso da quello manifestato,prospettandosi però la possibilità di rimedi d’impugnativa a favore del dichiarante. • L’atto negoziale dev’essere imputabile al soggetto; è imputabile al soggetto: a. l’atto che proviene da questo; b. l’atto che proviene da chi è legittimato a rappresentarlo; c. l’atto che proviene da chi ha dato causa all’obiettivo manifestarsi di esso, quale atto di sua provenienza. Quindi,un soggetto può rimanere impegnato per un atto che non ha realmente voluto. Al riguardo si parla di un principio di autoresponsabilità: chi immette, o dà causa all’immissione di dichiarazioni negoziali nel traffico giuridico, è assoggettato alle conseguenze di esse secondo il loro obiettivo significato. Tale principio assegna a carico del dichiarante: 1. il rischio di una dichiarazione non conforme alla volontà reale; 2. il rischio di una dichiarazione non voluta. Ma per quale ragione s’assegna tale rischio? Es.: manovratore di un telex pubblico compie un errore e trasmette al destinatario una dichiarazione diversa da quella voluta dal mittente; perché dev’essere il mittente a subire il rischio di tale errore? La spiegazione dev’essere ricercata nell’esigenza di tutela dell’affidamento del destinatario: chi immette una dichiarazione negoziale suscita nel destinatario l’affidamento che l’atto sia serio e conforme al suo obiettivo significato. Ora, l’esigenza della tutela di quest’affidamento supera l’esigenza di tutela del dichiarante (nell’es.: il mittente), poiché la rilevanza rispetto ai terzi delle deficienze occulte della dichiarazione negoziale, pregiudicherebbe la certezza del commercio giuridico. Si potrebbe allora pensare: il principio del’affidamento assurge a fondamento generale del valore del negozio,nel senso che l’atto ha il valore negoziale sul quale il destinatario ha fatto ragionevole affidamento. Ma il principio non trova,in questi ampi termini,applicazione: non basta che il destinatario faccia affidamento su una realtà negoziale inesistente se questa non è riferibile alla parte. Il danno di tale evento non può essere addossato al soggetto rimasto estraneo alla vicenda,ma deve piuttosto rimanere nella sfera giuridica di chi l’ha subito (es.: nell’ipotesi di falsa rappresentanza, il terzo contraente non può utilmente invocare il suo affidamento nei confronti dell’apparente rappresentato che non v’abbia dato causa). D’altro canto,anche quando l’atto è imputabile al suo autore il principio dell’autoresponsabilità è inoperante se il destinatario ne conosce il suo reale significato o dovrebbe conoscerlo secondo la normale diligenza (es.: destinatario che sa che la dichiarazione è stata erroneamente trasmessa). Conclusione: il principio dell’autonomia privata è integrato dal principio dell’autoresponsabilità,che trova la sua giustificazione e il suo limite nell’esigenza di tutela dell’affidamento. In definitiva si conferma che la rilevanza dell’atto negoziale deve in generale ricondursi al suo fondamento di atto d’autonomia privata: l’atto non ha rilevanza negoziale se non ha il significato sociale di atto d’autonomia privata. RAPPORTI CONTRATTUALI DI FATTO = rapporti modellati secondo il contenuto di un determinato contratto tipico, che non scaturiscono da atti d’autonomia privata ma da fatti socialmente rilevanti. La dottrina di tali rapporti nacque in Germania nell’era nazista,col significato di affermare la forza dei fatti sociali quale fonte generale dei rapporti interprivati. Tale dottrina ha di fatto continuato ad avere un certo seguito come teorica spiegazione della formazione dei rapporti contrattuali di massa,che si costituiscono mediante utilizzazione del servizio o apprensione del bene (es. chi sale sul tram è tenuto a pagare il biglietto). • In questi rapporti,secondo una dottrina,non v’è una fattispecie contrattuale,perché ciò che pone in essere il rapporto non è lo scambio dei consensi, ma il fatto obiettivo della utilizzazione della prestazione di pagamento. • Altra dottrina ha ritenuto che il comportamento dell’utente non sia una dichiarazione di volontà,ma abbia il significato tipico di una volontà d’accettazione che prescinde dall’effettiva volontà del soggetto. Tuttavia quest’opinione finisce col ricondurre i rapporti in questione nell’area contrattuale perché ciò che rileva in generale per la formazione del contratto non è la volontà interna della parte ma il significato sociale del suo comportamento quale proposta o accettazione. Anche nei contratti di massa occorre quindi vedere se l’utente tenga o no un comportamento socialmente valutabile come intenzione d’utilizzare la prestazione a pagamento (chi si nasconde su un tram non tiene un tale comportamento e non potrà dirsi che si costituisca un rapporto contrattuale). In termini generali il problema dei rapporti contrattuali di fatto dev’essere risolto appunto in base al significato sociale del comportamento dei soggetti. Se questo significato depone per l’accettazione di una prestazione o di un servizio resi disponibili verso un corrispettivo,rientriamo nello schema del contratto. Diversamente, il rapporto non è contrattuale e le eventuali obbligazioni scaturiranno da fatti extranegoziali (arricchimento, gestione d’affari altrui ecc …). Escludendo i contratti di massa,di rapporti contrattuali di fatto può discutersi solo in relazione alle ipotesi di rapporti costituiti per legge nonostante la nullità del contratto: rapporti di lavoro subordinato e rapporti di società. • Rapporti di lavoro subordinato: codice dichiara che la nullità o l’annullamento del contratto non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione (art. 2126 c.2). Quindi il datore di lavoro,oltre il pagamento della retribuzione, è tenuto a tutte le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro,che viene quindi a costituirsi pur in mancanza di un valido contratto. Qui il fatto obiettivo della prestazione o la prestazione di fatto sembra dar luogo al rapporto,ma in realtà neppure il rapporto di lavoro può prescindere da una fattispecie contrattuale minima consistente nell’accettazione della prestazione lavorativa altrui. In altre parole: la nullità del contratto esclude che il rapporto di lavoro abbia in esso la sua fonte,la quale tuttavia non è il mero fatto della prestazione di lavoro, ma il fatto della prestazione accettata dal datore di lavoro. Si tratta quindi di un fatto che assume il significato sociale dell’accordo e che pur in presenza di un contratto nullo è sufficiente a ricondurre la costituzione del rapporto nell’ambito dell’autonomia privata. • Rapporti di società: lo svolgimento in comune di un’attività d’impresa è un fatto che socialmente manifesta in modo inequivoco la decisione dei soggetti di partecipare a un rapporto societario. La costituzione della società si riconduce quindi all’accordo, secondo il significato sociale del comportamento delle parti, con la conseguente applicazione della normativa sulla capacità,rappresentanza,vizi della volontà ecc .. La società di fatto esula perciò dallo schema del rapporto contrattuale di fatto,piuttosto configurabile in relazione alla società di capitali dichiarata nulla dopo l’iscrizione nel RI. La dichiarazione di nullità lascia infatti efficaci gli atti riferimento ai soggetti che costituiscono e assumono il rapporto contrattuale e non a un astratto centro d’interessi. Pur se la dottrina è di contrario avviso, appare pertanto giustificato reputare che se più persone assumono in proprio la titolarità del rapporto contrattuale, ciascuna di esse è parte sostanziale del contratto. Es.: coniugi che vendono un bene di loro comune proprietà sono parti del contratto in quanto ciascuno di essi assume i diritti e gli obblighi inerenti all’operazione. Contratto plurilaterale = contratto costituito da + di 2 parti in senso sostanziale. Secondo l’opinione della dottrina di cui sopra,tale contratto si caratterizza anzitutto per la presenza di più centri d’interessi (es. contratto di società) mentre non devono considerarsi contratti plurilaterali i contratti cui partecipa una pluralità di persone riconducibili a 2 contrapposti centri d’interesse (es. vendita dello stesso bene da parte di una pluralità di comproprietari): tali contratti sono chiamati “a parte complessa”. La pluralità di parti è riscontrabile nei CONTRATTI CON COMUNIONE DI SCOPO, previsti dal codice. Riguardo a essi è sancito il principio secondo cui le vicende che colpiscono uno dei vincoli non coinvolgono l’intero contratto salvo che tale vincolo debba considerarsi essenziale per l’economia dell’affare (artt. 1420,1446,1459 e 1466 cc). Cosa deve intendersi per “comunione di scopo”? essa è stata vista nell’unicità del risultato giuridico o nel vantaggio comune delle prestazioni delle parti. Tenendo presente che la nozione è stata elaborata sull’idea del contratto di società,può dirsi che la comunione di scopo è identificata nell’attività o dall’organizzazione di gruppo. Sembra quindi giustificato includere in questi contratti i contratti di società, d’associazione e di consorzio. Quelli senza comunione di scopo invece sono le convenzioni matrimoniali plurilaterali, il contratto di divisione, la transazione plurilaterale ecc .. Occorre dire che non sono pacifici i criteri né i risultati sopra indicati: unici punti di convergenza sono costituiti dal convincimento che “parte” vuol dire “centro d’interessi” e dal riconoscimento che i contratti possono essere plurilaterali. Può comunque seriamente dubitarsi che la parte debba essere intesa come centro d’interessi: se s’ammette che parte sostanziale è colui che assume la titolarità del rapporto contrattuale, deve ammettersi che contratti plurilaterali sono in generale tutti i contratti nei quali è presente una pluralità di parti,di conseguenza la figura del contratto “a parte complessa” diventa inutile, perché anche i contratti di scambio possono essere plurilaterali quando più sono i soggetti ai quali è direttamente imputato l’insieme degli effetti del contratto. Inoltre, la regola della conservazione del contratto plurilaterale con comunione di scopo può trovare applicazione anche con riguardo ai contratti plurilaterali senza comunione di scopo,perché rispetto a questi contratti è possibile che il venire meno di una parte non sia essenziale all’economia dell’affare. Parti: • devono essere DETERMINATE O DETERMINABILI. La determinatezza della parte sostanziale indica l’obiettiva certezza dell’identità del soggetto al quale è imputabile il vincolo contrattuale. La necessaria determinatezza risponde all’esigenza di determinatezza dei titolari dei rapporti giuridici. Può ammettersi anche che il vincolo contrattuale si costituisca in capo a un soggetto non ancora determinato ma determinabile, tutte le volte in cui questa incertezza non esclude il sorgere dei diritti e obblighi contrattuali. Ciò è possibile ad es. quando il contratto è legittimamente stipulato per conto di chi spetta, e cioè come atto di gestione di un patrimonio attualmente privo di un titolare,come i contratti stipulati dal curatore dell’eredità giacente. • IDENTITA’ = qualità per la quale il soggetto si distingue rispetto agli altri. La persona umana ha: • identità fisica e morale che le è data dalla realtà della sua esistenza individuale; • identità varie in relazione al gruppo di cui fa parte o all’attività esercitata; • identità giuridica che è data dai segni giuridicamente rilevanti d’individuazione del soggetto (nome,luogo e data di nascita). Nei contratti l’identità della parte può essere importante: • perché il vincolo contrattuale ha carattere personale: questo profilo individua la categoria dei contratti personali = contratti nei quali la considerazione dell’identità del contraente,o delle sue qualità personali (intuitus personae), è determinante del consenso secondo un criterio di normalità. Il carattere personale del contratto comunque prescinde da un’analisi condotta caso per caso,trattandosi piuttosto di una valutazione tipica che attiene alla prestazione e che qualifica il contratto personale come categoria obiettiva. Essi sono di regola intrasmissibili,quindi tali contratti s’estinguono per la sopravvenuta morte di una delle parti. L’errore sull’identità della persona deve ritenersi essenziale e può importare l’annullamento dell’atto (art. 1429 c.3); • perché le qualità personali o patrimoniali della parte rilevano ai fini dell’esatto adempimento: contratti a rilevanza personale. Questa rilevanza si traduce nella regola secondo cui nei contratti a prestazioni corrispettive non ancora eseguite,la parte non può cedere la propria posizione contrattuale senza l’autorizzazione della controparte. Contratto sotto falso nome = contratto che la parte stipula assumendo una falsa identità giuridica. Nei contratti a rilevanza personale l’assunzione di falso nome non impedisce il sorgere del vincolo contrattuale in capo al contraente falsamente determinatosi: la falsa denominazione giuridica non esclude infatti che la parte sia esattamente identificata,ad es.,nella sua identità fisica o professionale. Più particolarmente,l’uso del falso nome può consistere nell’USURPAZIONE DEL NOME ALTRUI: la controparte qui potrà far valere il suo errore sull’identità dell’usurpatore. Occorre comunque che l’errore sia essenziale e cioè che il convincimento di contrattare con la persona di cui l’usurpatore ha usato il nome sia stato determinante del consenso secondo criteri di normalità. L’usurpatore assume in proprio l’impegno contrattuale mentre il contratto rimane privo d’effetti rispetto alla persona di cui è stato usurpato il nome. DOTTRINA: l’idea secondo la quale il contratto dev’essere di regola riferito al dichiarante che contratta sotto nome altrui non è però pacifica in dottrina: in essa tende ad affermarsi l’orientamento che fa dipendere il riferimento del contratto al dichiarante, o al vero portatore del nome, dalla obiettiva interpretazione della volontà contrattuale. Il contratto dovrebbe quindi riferirsi esclusivamente al vero portatore del nome quando,secondo l’interpretazione del contratto stesso,non è rilevante la persona fisica del dichiarante ma solo la persona di cui il dichiarante assume il nome. In realtà,il punto debole di quest’opinione rimane il fatto che chi contrae in proprio sotto nome altrui riferisce comunque il contratto a sé medesimo quale autore della dichiarazione; precisamente: l’uso di un nome altrui non toglie che il contraente è colui che dichiara di volere il contratto e che assume l’impegno contrattuale. A una più attenta analisi,l’ipotesi di contratto riferito esclusivamente alla persona di cui il contraente assume il nome è stata ravvisata nella conclusione del CONTRATTO FRA ASSENTI: qui s’afferma che l’unico elemento della parte è il nome speso e il contratto sarà pertanto riferibile solo al portatore del nome (può però obiettarsi che neppure tale circostanza vale ad escludere il riferimento alla persona del contraente come colui che emette la dichiarazione contrattuale: di ciò può trarsi conferma dal rilievo che chi contrae a distanza assume pur sempre il vincolo quale autore della proposta o dell’accettazione anche se ricorre ad un nome di fantasia). Sul piano degli interessi, la posizione della controparte trova adeguata tutela nella scelta tra l’esecuzione del contrato nei confronti del contraente sotto nome altrui e l’annullamento del contratto per errore essenziale sulla persona (se ne ricorrano gli estremi). L’usurpatore risponde comunque dell’impegno assunto per il principio d’autoresponsabilità. • IDENTIFICAZIONE = accertamento dell’identità (giuridica) della parte. Nella formazione del contratto sono le parti stesse che s’identificano reciprocamente,ma ciò non è sempre necessario: nei contratti di massa aventi ad oggetto la prestazione di servizi o la dazione di cose mobili, l’accordo può formarsi tra parti anonime e in taluni casi può anche prescindersi da una loro reciproca identificazione fisica. L’identificazione qui può rendersi necessaria al solo fine d’accertare l’avente diritto alla prestazione principale o alle prestazioni di garanzia: a tale scopo può anche essere sufficiente l’identificazione mediante contrassegni di legittimazione (scontrini,biglietti ecc..). Legittimazione = potere di disposizione del soggetto in relazione a una determinata situazione giuridica. Più specificatamente,la legittimazione contrattuale è il potere della parte di disporre dell’oggetto del contratto: può dirsi così che la parte ha la legittimazione contrattuale se ha il potere di determinare gli effetti giuridici previsti dal contratto. Essa è quindi un requisito soggettivo d’efficacia del contratto: se manca,non comporta l’invalidità di esso ma l’inefficacia rispetto all’oggetto di cui la parte non è competente a disporre. La legittimazione NON può essere identificata: • con la capacità giuridica e d’agire: la nozione di “capacità” esprime una valutazione d’idoneità del soggetto alla titolarità o all’esercizio di posizioni giuridiche,mentre la legittimazione esprime la competenza del soggetto a disporne; • con l’autonomia negoziale: la legittimazione è una specificazione dell’autonomia negoziale se, e in quanto, essa abbia ad oggetto posizioni che ricadono nella sfera giuridica del soggetto,altrimenti la legittimazione deve trovare titolo in una particolare autorizzazione pubblica o privata (vedi sotto). Di regola, il soggetto è legittimato a disporre delle posizioni che ricadono nella sua sfera giuridica: in tal caso la legittimazione ha titolo nell’autonomia negoziale quale generale potere riconosciuto a tutti i consociati di disporre della propria sfera personale e patrimoniale. Il soggetto non è legittimato a disporre della sfera giuridica altrui: il contratto è appunto un autoregolamento di privati interessi e non una regola eteronoma giuridicamente imposta da altri (tale principio è sancito dall’art. 1372 cc: il contratto produce effetti tra le parti e non rispetto a terzi). Eccezionalmente il soggetto può avere la legittimazione a disporre dell’altrui sfera giuridica: questa legittimazione può avere titolo negoziale (l’atto che legittima il soggetto a disporre dell’altrui sfera giuridica rientra nella categoria dell’autorizzazione privata) e può essere • in nome proprio; 1. Rappresentanza diretta = potere di un soggetto (RAPPRESENTANTE) di compiere atti giuridici in nome di un altro soggetto (RAPPRESENTATO). Rappresentato diviene parte sostanziale del contratto assumendo la titolarità del rapporto. 2. Rappresentanza indiretta = legittimazione del soggetto ad agire in nome proprio nell’interesse altrui (“l’agire per conto altrui”). Il rappresentato non diviene parte del contratto. In ogni caso,anche se gli effetti non si producono immediatamente in capo al rappresentato, il risultato del contratto dev’essere riversato in capo a quest’ultimo (il mandatario che ha acquistato un immobile per conto del mandante,è tenuto a trasferirlo a quest’ultimo). Si giustifica pertanto l’intendimento di un’ampia nozione di rappresentanza quale legittimazione ad agire per conto altrui,che comunque non vale a escludere la rilevanza della distinzione tra rappresentanza indiretta e diretta: la prima caratterizzata dall’agire del rappresentante in nome proprio ma per conto del rappresentato (e dalla responsabilità personale del rappresentante nei confronti del terzo contraente), la seconda dall’agire del rappresentante in nome del rappresentato (e dall’imputazione del rapporto contrattuale esclusivamente a quest’ultimo). Ciò che per il nostro ordinamento dev’essere tenuto fermo è che l’agire in nome proprio non comporta gli stessi EFFETTI dell’agire in nome altrui: l’agire in nome proprio preclude al terzo contraente d’esercitare la pretesa sua contrattuale nei diretti confronti dell’interessato. Affinchè quest’ultimo divenga parte sostanziale del rapporto contrattuale occorre che il rappresentante agisca in suo nome: la spendita del nome del rappresentato è quindi il dato caratterizzante e distintivo della rappresentanza diretta. Rimane da chiedersi: l’agire nell’interesse del rappresentato condiziona la legittimazione del rappresentante diretto? In altre parole: l’effetto proprio dell’esercizio del potere rappresentativo presuppone l’esplicazione di un rapporto di gestione? Soluzione normativa dà rilevanza al conflitto d’interessi col rappresentato, che però non priva di legittimazione il rappresentante,ma rende annullabile l’atto (sempreché il conflitto fosse conosciuto o riconoscibile da parte del terzo). Anche se in conflitto d’interessi col rappresentato, l’atto è quindi efficace, salva la possibilità della sua rimozione tramite azione d’annullamento. In definitiva può dirsi che la cura dell’interesse del rappresentato è causa giustificativa dell’attribuzione del potere rappresentativo. Rappresentanza diretta Può essere legale o negoziale,a seconda che essa abbia titolo nella legge o in un atto di conferimento del rappresentato (c.d. PROCURA,art. 1337 cc). Il rappresentante che stipula in nome del rappresentato è parte in senso formale,mentre parte in senso sostanziale è il rappresentato, che assume la titolarità del rapporto contrattuale (ad esso viene imputato l’intero rapporto,non singoli effetti prodotti dal contratto). Viceversa,il rappresentante non assume la titolarità del rapporto contrattuale e quindi non è responsabile della sua esecuzione: tale estraneità è sancita dall’art. 1388 cc (il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato produce direttamente effetti nei confronti di quest’ultimo). La volontà che perfeziona il contratto è sempre quella del rappresentante: è infatti quest’ultimo che emette la dichiarazione di volontà contrattuale formativa dell’accordo (fa la proposta di contratto o accetta la proposta altrui). La figura del rappresentante si distingue rispetto a quella del NUNCIO: questi non emette una propria dichiarazione di volontà,ma riferisce a una parte la volontà dell’altra. Non è parte materiale del contratto, ma è solo il tramite attraverso il quale l’atto di volontà della parte viene portato a conoscenza dell’altra. L’atto del nuncio può essere allora qualificato come un atto comunicativo avente a oggetto una volontà altrui. Tale atto si sottrae alla disciplina del negozio e prospetta una responsabilità per falsa comunicazione, (riconducibile per altro alla medesima responsabilità extracontrattuale per lesione dell’altrui libertà contrattuale del falso rappresentante). Il soggetto che si serve del nuncio sopporta il rischio della divergenza tra il contenuto della volontà affidata al nuncio e il contenuto della volontà comunicata (la dottrina maggioritaria tende a non riconoscere effetto retroattivo alla ratificabilità dell’atto del falso nuncio). Funzione della rappresentanza: • Volontaria: soddisfa un’esigenza della vita di relazione,cioè quella della sostituzione nello svolgimento dell’attività giuridica. Mediante la rappresentanza volontaria il soggetto può farsi sostituire da altri nel compiere o ricevere atti giuridici. Può dirsi quindi uno strumento d’ampliamento della sfera d’attività giuridica del soggetto. • Legale: trova fondamento nell’interesse per il quale l’ufficio è previsto dalla legge. Per l’incapace legale, l’istituto della rappresentanza è necessario in quanto altrimenti rimarrebbe irrealizzata la disponibilità della sfera giuridica patrimoniale dell’incapace,e ciò con grave pregiudizio dell’incapace stesso. DOTTRINA incontra una difficoltà a spiegare il fenomeno della rappresentanza poiché questo fenomeno sembrerebbe contraddire un postulato fondamentale dell’autonomia privata,e cioè che il negozio è l’atto mediante il quale il soggetto decide della propria sfera giuridica. Fra i tentativi di superare questa difficoltà: • Teoria della volontà del rappresentato: riconduce il contratto alla volontà del rappresentato; il rappresentante altro non sarebbe che il portatore della volontà del rappresentato. Tale teoria però non risponde al fenomeno della rappresentanza,la quale prescinde dalla volontà del rappresentato in ordine al contratto stipulato dal rappresentante nell’esercizio del suo potere. • Teoria dell’autorizzazione: ravvisa nella rappresentanza un’espressione di autonomia privata in quanto è il rappresentato che autorizza il rappresentante. Ma anche questa teoria appare insufficiente: indubbiamente la procura è un atto di autonomia privata,ma ciò che si tratta di spiegare è come si possa parlare di un atto di autonomia privata con riguardo all’atto del rappresentante,e cioè con riguardo a un atto che,diversamente dal principio di autonomia negoziale, produce i suoi effetti in capo a un terzo (il rappresentato). Per intendere l’atto del rappresentante come esplicazione di autonomia privata occorre piuttosto riconoscere che il rappresentante si sostituisce al rappresentato ed esplica il potere d’autonomia negoziale di questo soggetto. Ciò spiega perché l’atto del rappresentante esige anzitutto la legittimazione del rappresentato e sia precluso dalle incapacità generali o speciali che colpiscono il rappresentato. L’atto del rappresentante è quindi atto di esplicazione dell’autonomia del rappresentato. Ma in quanto l’atto è compiuto in sostituzione del rappresentato,al rappresentante occorre il potere di sostituirsi all’interessato,cioè il POTERE RAPPRESENTATIVO = potere giuridico che non deriva al rappresentante dalla generale capacità di agire della persona,ma è piuttosto un potere che trova un titolo specifico nella legge o nell’atto autorizzativo. Il conferimento negoziale del potere rappresentativo da parte del rappresentato non è traslativo, in quanto il rappresentato attribuisce una distinta posizione di potere in capo al rappresentante senza perdere la generale legittimazione a disporre dei propri diritti. Di cessione può piuttosto parlarsi relativamente all’atto mediante il quale il rappresentante sostituisce interamente a sé un’altra persona nella titolarità del potere rappresentativo. Rispetto alla cessione dev’essere tenuta distinta la subdelega = atto mediante il quale il rappresentante conferisce a una terza persona l’esercizio totale o parziale del potere rappresentativo conservando la titolarità di quest’ultimo. La possibilità di una cessione del potere rappresentativo trova una tradizionale soluzione negativa che sembra rispondere alla generale negazione della cedibilità dei poteri. Deve dirsi,piuttosto,che il divieto della cessione e della subdelega si fonda sul carattere personale e fiduciario del potere rappresentativo. Oggetto della rappresentanza: tutti i negozi,di regola,si prestano ad essere oggetto di rappresentanza. DOTTRINA: la rappresentanza può avere ad oggetto anche altri atti giuridici oltre ai negozi? Soluzione più ampia: rappresentanza può avere ad oggetto qualsiasi atto giuridico lecito, in quanto ciò che rileva è che gli effetti siano imputabili a persona diversa dall’autore dell’atto. Il rappresentante può anche limitarsi a ricevere atti o prestazioni in nome del rappresentato (c.d. rappresentanza passiva),es.: l’art. 1118 cc indica il rappresentante del creditore come legittimato a ricevere la prestazione. Il rappresentante volontario o legale può avere anche la RAPPRESENTANZA SOSTANZIALE NEL PROCESSO, cioè il potere d’agire o d’essere convenuto in nome del rappresentato: tale rappresentanza è indicata come sostanziale per distinguerla rispetto alla RAPPRESENTANZA PROCESSUALE, quale potere del difensore di rappresentare la parte in giudizio. Quest’ultima è una rappresentanza tecnica che può essere esercitata solo dall’avvocato iscritto nell’albo professionale ed ha per oggetto gli atti del processo,e non attribuisce all’avvocato il potere di compiere atti che importino la disposizione della pretesa controversa (a tal fine occorre l’attribuzione di un potere di rappresentanza sostanziale). Va distinta ancora la LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE,quale competenza del soggetto ad esercitare o ad essere destinatario di una data azione. DOTTRINA: la rappresentanza processuale può ricondursi alla figura generale della rappresentanza? Soluzione negativa muove dal rilievo che l’avvocato non sostituisce la parte in quanto compie atti che il rappresentante non è di massima autorizzato a compiere direttamente. In realtà si tratta pur sempre di atti che l’avvocato compie in nome della parte e i cui effetti sono imputati a quest’ultima secondo il principio fondamentale della rappresentanza. Rappresentanza organica: indica il potere rappresentativo che compete agli organi esterni di un ente giuridico. L’organo è in generale l’ufficio competente ad esercitare le funzioni di un ente giuridico. Il potere rappresentativo non spetta a tutti gli organi,ma agli organi esterni o rappresentativi,e cioè agli organi che secondo la disciplina dell’ente hanno il potere di compiere atti giuridici in nome dell’ente. Gli organi interni invece hanno funzioni che riguardano i rapporti interni dell’ente,e che sono le più varie in relazione al tipo e all’attività dell’ente. La rappresentanza organica si caratterizza in ciò,che l’organo rappresentativo s’immedesima nella struttura dell’ente. L’organo che stipula un contratto non si sostituisce all’ente ma agisce come parte integrante di esso. L’attività dell’organo è quindi attività di una parte dell’ente,e come tale viene imputata all’ente stesso. Il rapporto organico rileva principalmente ai fini della responsabilità extracontrattuale (di cui risponde l’ente se l’illecito è compiuto dall’organo nell’esercizio delle sue funzioni). Per quanto attiene al negozio,occorre accertare se la persona fisica ha la qualifica vantata e poi se l’organo ha la necessaria competenza rappresentativa. Procura = negozio unilaterale (si perfeziona con la manifestazione di volontà del suo autore senza che occorra il consenso del destinatario) mediante il quale un soggetto conferisce a un altro il potere di rappresentarlo. ▲ Associazioni riconosciute e fondazioni: il potere di rappresentanza dell’ente spetta agli amministratori. Le limitazioni di tale potere devono essere pubblicizzate mediante iscrizione nel registro delle persone giuridiche. In mancanza,esse non sono opponibili ai terzi,salva la prova specifica che questi ne erano a conoscenza al momento di contrarre con l’amministratore. ▲ Associazioni non riconosciute: il potere di rappresentanza spetta di massima agli organi che hanno il potere di amministrazione. In mancanza di un regime di pubblicità dell’associazione non riconosciuta, il terzo ha l’onere di verificare l’esistenza e il contenuto del potere di rappresentanza di chi assume d’agire in nome dell’associazione. Soggetti del rapporto rappresentativo = rappresentante e rappresentato. Nella rappresentanza volontaria: • la legge richiede la capacità d’agire del rappresentato (art. 1389 cc),dal momento che lo stato d’incapacità legale non consentirebbe al soggetto di controllare adeguatamente l’operato del rappresentante. L’inderogabilità di tale tutela comporta che la capacità d’agire del rappresentato si pone come condizione legale d’efficacia del rapporto di rappresentanza. L’incapacità sopravvenuta è causa d’estinzione del potere di rappresentanza. • Non è richiesta la capacità di agire del rappresentante: l’istituto dell’incapacità d’agire è infatti disposto a tutela del soggetto per preservarlo dal pregiudizio derivante dallo svolgimento dell’autonomia negoziale; il pericolo di questo pregiudizio non sussiste per il rappresentante, in quanto gli effetti dei suoi atti sono imputati al rappresentato. La legge richiede piuttosto che il rappresentante sia in grado d’intendere e volere. Il contratto concluso dal rappresentante che non sia in grado d’intendere e volere è annullabile secondo la disciplina dell’incapacità naturale (l’incapacità d’intendere o volere è ininfluente quando il contenuto del contratto sia stato già predeterminato dal rappresentato). • L’inesistenza del rappresentato comporta la nullità del contratto per l’impossibilità di costituire il rapporto in capo alla persona cui il rapporto è riferito. Diversa soluzione deve ammettersi nelle ipotesi di ente in via di formazione o di riconoscimento,data la possibilità del riferimento soggettivo dell’atto. La preclusione dell’attuale imputazione del rapporto al rappresentato si configura allora in termini d’inefficacia dell’atto e ne prospetta il recupero mediante la ratifica. Per il perfezionamento del negozio stipulato dal rappresentante, rileva la dichiarazione di volontà dello stipulante. Non basta quindi,per la conclusione del contratto,che il rappresentato abbia deciso il compimento dell’atto se poi il rappresentante non faccia l’offerta o l’accettazione: la validità del negozio presuppone pertanto l’integrità e la libertà del consenso prestato dal rappresentante. Il negozio è suscettibile d’annullamento se la volontà manifestata dal rappresentante era viziata da dolo,errore o violenza o se il rappresentante era affetto da incapacità naturale (art.1930 cc). Occorre tuttavia considerare che il rappresentato può avere espresso la sua volontà in ordine al compimento del negozio o in ordine al suo contenuto. Questa volontà non concorre alla formazione del contratto se non è stata fatta propria e dichiarata dal rappresentante. Ma nella misura in cui il negozio è deliberato e predeterminato dal rappresentato,esso costituisce un’espressione mediata dell’intento negoziale di tale soggetto. Per quanto attiene agli stati soggettivi di buona o mala fede,bisogna aver riguardo alla persona del rappresentante poiché l’atto rientra nella sua sfera di decisione. Bisogna anche aver riguardo alla persona del rappresentato se l’atto è predeterminato da quest’ultimo (art.1391 cc). Rilevano, precisamente, gli stati di buona o mala fede del rappresentato con riferimento agli atti che lo stesso rappresentato abbia preventivamente deliberato e con riferimento alle circostanze che cadono sotto il suo controllo. Esercizio del potere di rappresentanza: affinchè il negozio possa considerarsi stipulato dal rappresentante nell’esercizio del suo potere,occorre che esso sia compiuto in nome del rappresentato. La spendita del nome del rappresentato (contemplatio domini) è pertanto requisito di qualificazione dell’atto come rappresentativo. La semplice esistenza del potere di rappresentanza non basta di per sé a far presumere che l’atto sia compiuto dal rappresentante nella sua qualità,e d’altro canto non è necessario che vi sia un’espressa dichiarazione di spendita del nome del rappresentato: ciò che importa è che l’atto appaia al terzo,alla stregua di una normale valutazione,come atto compiuto dal rappresentante nella sua qualità, e cioè come atto da riferire direttamente al rappresentato. In definitiva, spendita del nome del rapprsentato vuol dire esternazione del potere rappresentativo (che il rappresentante agisca nella sua qualità può desumersi anche dalla natura dell’affare e dalle circostanze in cui l’atto è compiuto). Il rappresentante deve esercitare il suo potere di rappresentanza conformemente all’interesse del rappresentato. Ciò è espressione del principio generale secondo il quale il titolare di un potere conferito nell’interesse altrui deve usare il potere conformemente all’interesse per il quale esso è stato conferito,a prescindere dagli obblighi di gestione che il rappresentante può avere quale esercente la potestà genitoria, quale mandatario,quale amministratore di società ecc … La rilevanza dell’interesse del rappresentato risulta in termini generali dalla previsione legislativa secondo la quale il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato ha direttamente effetto nei confronti del rappresentato (art. 1388 cc). La cura effettiva dell’interesse del rappresentato non è comunque elemento essenziale della rappresentanza: l’atto del rappresentante è efficace per il rappresentato anche se il rappresentante non agisce nell’interesse del rappresentato. Affinchè quest’ultimo possa respingere l’atto del rappresentante non basta che tale atto sia pregiudizievole,ma occorre che sia compiuto in conflitto d’interessi col rappresentato e che il conflitto sia conosciuto o riconoscibile da parte del terzo. Conflitto d’interessi: il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi col rappresentato è annullabile se il conflitto era conosciuto o riconoscibile da parte del terzo (art. 1394 cc). Il conflitto d’interessi è un’ipotesi di contrasto tra l’interesse del rappresentato e quello del rappresentante: ciò che rileva non è quindi che l’atto sia svantaggioso per il rappresentato,ma occorre che il rappresentante sia portatore d’interessi incompatibili con quelli del rappresentato. Il conflitto d’interessi è tipicamente presente nell’ipotesi del “contratto con se stesso” = contratto col quale il rappresentante assume la posizione di parte sostanziale contrapposta al rappresentato, oppure stipula in rappresentanza delle parti contrapposte. Es.: rappresentante si rende acquirente a titolo personale del bene che vende a se medesimo quale rappresentante del proprietario,oppure si rende acquirente del bene in nome e per conto di un altro rappresentato. Art. 1395 cc: annullabilità del contratto concluso dal rappresentante con se stesso,salve le ipotesi in cui il rappresentante sia stato specificamente autorizzato a concluderlo o in cui il contenuto del contratto sia stato predeterminato in maniera tale da escludere la possibilità del conflitto d’interessi. L’invalidità consegue alla violazione del divieto legale,posto a carico del rappresentante,d’agire in contrasto con l’interesse del rappresentato. Secondo la regola generale,l’azione d’annullamento spetta al rappresentato (art.1395 c.2 cc), ossia alla parte nel cui interesse l’annullamento è previsto dalla legge (art. 1441 cc),e ad essa s’accompagna il rimedio del risarcimento del danno. Abuso del potere rappresentativo: quando il rappresentante a. agisce in conflitto d’interessi col rappresentato; b. trascura o lede l’interesse del rappresentato; c. si discosta dalle istruzioni ricevute. Non deve confondersi col difetto del potere rappresentativo: l’abuso significa un cattivo uso del potere rappresentativo, da parte del rappresentante, di cui il rappresentante è comunque titolare; precisamente esso esercita il potere di cui è titolare ma non in conformità degli obblighi verso il rappresentato. L’atto è quindi efficace ma dà luogo alla responsabilità del rappresentante per il suo inadempimento. Non comporta l’invalidità dell’atto la violazione di altri obblighi che possono gravare sul rappresentante in base al rapporto di gestione che lo lega al rappresentato (mandato,amministrazione ecc …). Occorre tener presente che l’inosservanza degli obblighi inerenti al rapporto di gestione comporta l’inefficacia dell’atto quando le istruzioni date al mandatario concorrono a determinare il contenuto della procura (es.: mandatario è autorizzato a vendere un bene in nome e per conto del rappresentato per un prezzo non inferiore a un certo ammontare). Qui il rappresentato concede al rappresentante il potere strettamente necessario per assolvere l’incarico: in tal caso l’atto rappresentativo che non rispettasse il contenuto dell’incarico eccederebbe la procura e sarebbe perciò inefficace verso il rappresentato. Spesso però il rappresentante riceve un potere rappresentativo più ampio rispetto al contenuto del rapporto di gestione: la possibilità dell’abuso si pone allora quando il rappresentante s’avvale del potere di rappresentanza per compiere atti che esulano dagli obblighi nascenti dal rapporto di gestione. Cause d’estinzione del potere rappresentativo: a. revoca della procura (art. 1396 c.1) = negozio unilaterale mediante il quale il rappresentato priva d’efficacia la procura, estinguendo il potere del rappresentante. Può essere espressa o tacita: quest’ultima si verifica quando il rappresentato tiene un comportamento incompatibile con la volontà di mantenere al rappresentante il potere di rappresentanza. La revoca dev’essere sempre portata a conoscenza dei terzi: ciò è un onere del revocante,che deve adempierlo con i mezzi idonei. Il revocante che non assolve tale onere non può opporre la revoca al terzo contraente,salva la possibilità di provare che questi al momento della conclusione del contratto sapeva che la procura era stata revocata o modificata (art. 1396 c.1). • In presenza di terzi interessati,la comunicazione si rende necessaria come mezzo concretamente idoneo per portare la revoca a conoscenza dei terzi (ne consegue che se gli interessati hanno già avuto conoscenza della revoca, questa è a loro opponibile anche se non v’è stata la comunicazione da parte del revocante); • se non vi sono determinati destinatari, oltre al rappresentante, la revoca dev’essere resa pubblicamente nota. L’onere può essere assolto mediante il ricorso a forme adeguate di pubblicità,come la pubblicazione sui giornali o l’impiego di altri mezzi d’informazione che valgano a diffondere la notizia della assume alcun impegno né compie alcun atto dispositivo in nome proprio. Il mancato prodursi degli effetti in capo al rappresentato non può quindi comportare l’automatica sostituzione della parte prevista con un soggetto sostanzialmente estraneo al negozio: la stipulazione del contratto in difetto del potere di rappresentanza rende piuttosto responsabile il sedicente rappresentante verso il terzo per i danni che questi ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nell’efficacia dell’atto. c. rispetto al terzo contraente: in capo a tale soggetto non si producono effetti obbligatori o reali propri del contratto, poiché tali effetti presuppongono l’operatività del contratto nei confronti del rappresentato. Il contratto è privo di un requisito d’efficacia che può essere integrato successivamente mediante la ratifica del rappresentato. Il contratto concluso dal falso rappresentante è un contratto perfetto. Tale contratto consta infatti di tutti gli elementi costitutivi. La ratifica non è integrativa dell’accordo,già concluso tra rappresentante e terzo,ma lo rende efficace. DOTTRINA: è anche sostenuta la tesi della nullità e la tesi dell’incompletezza del negozio stipulato dal falso rappresentante. L’idea che il contratto stipulato dal falso rappresentante sia un contratto imperfetto sembra trovare riscontro nelle massime che definiscono tale contratto come un negozio soggettivamente complesso a formazione successiva suscettibile d’essere perfezionato con la ratifica: in quanto sottoposto alla condizione legale della ratifica,il contratto è inefficace,ma rispetto al terzo contraente è comunque produttivo dell’effetto primario del vincolo contrattuale; il terzo contraente non può recedere unilateralmente dall’impegno preso,occorrendo piuttosto a tal fine l’accordo con lo pseudo rappresentante (art.1399 c.3 cc). Il terzo ha tuttavia l’apprezzabile interesse a che la situazione di pendenza non si protragga a tempo indefinito,e a tal fine egli può fissare al rappresentato un termine entro il quale questi deve decidersi se ratificare o meno. Ratifica = negozio unilaterale mediante il quale il soggetto rende efficace nei propri confronti l’atto del non autorizzato. Con la ratifica il rappresentato non conclude un nuovo contratto col terzo né stipula il contratto già stipulato dal rappresentante; la volontà del ratificante è diretta piuttosto ad accertare l’operato del falso rappresentante, e quindi a conferirgli quella posizione di legittimazione che il falso rappresentante avrebbe dovuto avere al momento di stipulare il negozio. DOTTRINA: la ratifica è stata intesa come un negozio diretto a integrare un elemento costitutivo del contratto stipulato dal falso rappresentante. Ma,come s’è visto,tale contratto deve considerarsi già perfezionato e integro nei suoi elementi costitutivi. Altri propende per la natura autonoma della ratifica. La formula appare però dubbia,in quanto in realtà l’appropriazione dell’atto si realizza attraverso gli effetti del contratto stipulato dal falso rappresentante,risultando quindi la ratifica un sopravvenuto requisito d’efficacia di tale contratto. Ciò che rende efficace il contratto nei confronti del rappresentato non è per altro un mero evento sopravvenuto, bensì l’atto d’autorizzazione che integra il difetto di legittimazione del rappresentante. Può dirsi pertanto che la ratifica esprime il potere di legittimazione dell’interessato attraverso il quale questi recupera l’atto nella propria sfera giuridica: che si tratta,cioè,di una procura successiva. Quale procura successiva,la ratifica è sottoposta interamente alla disciplina valevole per la procura, richiedendo la stessa forma (cioè la forma prescritta per il contratto stipulato dal rappresentante). Anche la ratifica può essere manifestata tacitamente: una ratifica tacita è riscontrabile nella volontà del rappresentato d’avvalersi delle posizioni derivanti dal negozio posto in essere dal falso rappresentante. Secondo l’opinione dominante poi,la ratifica è un atto recettizio nei confronti del terzo contraente ed ha effetto retroattivo,nel senso che il contratto concluso dal falso rappresentante acquista efficacia fin dall’origine,come se fosse stato concluso dal rappresentante legittimato. Questo effetto retroattivo non può però operare in pregiudizio di terzi,ossia di coloro che anteriormente alla ratifica abbiano acquisito diritti incompatibili con l’atto dispositivo del falso rappresentante. In attesa della ratifica,il contratto concluso dal falso rappresentante è vincolante per il terzo contraente,che non può sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale,occorrendo piuttosto in tal senso un accordo col rappresentante (art. 1399 c.3 cc). Il codice non prevede un limite temporale per l’esercizio del potere di ratifica,ma la situazione di pendenza non può protrarsi a tempo indefinito in pregiudizio del terzo. A quest’ultimo,la legge accorda pertanto un diritto interrogatorio,e cioè il potere di assegnare al rappresentato un termine di decadenza per l’esercizio della ratifica. Trascorso tale termine,il rappresentato non può ratificare il contratto (la decadenza ha effetto a prescindere dalla volontà dell’interpellato). Suscettibili di ratifica sono in generale gli atti giuridici,diversi dal contratto,compiuti dal falso rappresentante, e quindi anche i negozi unilaterali. La contraria opinione ritiene ingiustificato l’assoggettamento del terzo alla decisione dell’interessato,posto che questa situazione passiva non deriverebbe da un atto di cui il terzo sia partecipe. L’assoggettamento alla ratifica espone per altro il terzo agli stessi effetti dell’atto ratificato e non crea quindi una situazione di particolare pregiudizio. Il terzo contraente può subire un pregiudizio dal protrarsi della situazione di pendenza,ma in tal caso soccorre il rimedio dell’interpellazione. Responsabilità del rappresentante: il falso rappresentante è tenuto a risarcire il danno che il terzo contraente ha sofferto per aver confidato senza sua colpa nell’efficacia del contratto (art. 1398 cc) o dell’atto compiuto dal falso rappresentante. Tale responsabilità non è contrattuale,perché il falso rappresentante non contrae in nome proprio e non assume un impegno in ordine all’esecuzione del negozio. Il rappresentante,precisamente,è responsabile in quanto dolosamente o colposamente s’è valso d’una legittimazione inesistente inducendo il terzo a compiere un negozio inefficace. Siamo quindi nel campo della responsabilità extracontrattuale,e più in particolare della responsabilità precontrattuale. Il risarcimento cui è tenuto non ha ad oggetto l’interesse positivo (cioè l’interesse che sarebbe stato soddisfatto dall’atto inefficace),bensì l’interesse negativo, ossia l’interesse del terzo a non essere partecipe o destinatario di un atto inefficace (se il falso rappresentante ha alienato al terzo un immobile, il risarcimento non avrà riguardo al mancato guadagno dell’acquirente,ma al danno consistente nelle spese inutilmente sostenute per il contratto). Il danno sofferto dal terzo dev’essere risarcito in quanto si tratti di danno certo: questa certezza non sussiste fino a quando l’inefficacia del contratto concluso dal falso rappresentante non sia divenuta definitiva. Il terzo può quindi agire immediatamente nei confronti del falso rappresentante ma prima che si concluda il giudizio ha l‘onere di fissare al rappresentato il termine entro il quale questo può esercitare il suo potere di ratifica. La ratifica fa venir meno il danno derivante dall’inefficacia definitiva del contratto concluso dal falso rappresentante, ma non esclude il danno derivante dall’inefficacia temporanea (ritardo nell’esecuzione del contratto,spese per l’interpellazione del rappresentato ecc …). La responsabilità del falso rappresentante presuppone poi che il terzo abbia confidato senza sua colpa nella legittimazione di tale soggetto: il terzo è in colpa quando sia caduto in un errore inescusabile,e cioè in un errore evitabile con la normale diligenza nell’esercizio dell’autonomia negoziale; in tal caso l’esclusione di responsabilità del falso rappresentante trova fondamento nel principio della compensazione delle colpe. Se il falso rappresentante ha dolosamente creato l’apparenza della propria legittimazione,la colpa del terzo diviene irrilevante (trova applicazione il generale principio secondo il quale l’autore del dolo non può invocare a propria esimente l’incauto affidamento della vittima,e cioè la colpa di chi s’è lasciato raggirare). Rappresentanza apparente: rappresentante apparente è colui che,in base a circostanze univoche,mostra d’avere un potere rappresentativo di cui in realtà è privo. La semplice apparenza della legittimazione non vale a supplire alla mancanza di una legittimazione effettiva: chi non ha potere di rappresentanza rimane un falso rappresentante,anche se la sua legittimazione sia attestata da circostanze obiettive tali da trarre in errore una persona di normale diligenza. Il rischio della falsa rappresentanza ricade di regola sul terzo, poiché il presunto rappresentato non può sottostare agli effetti giuridici di un negozio che gli è estraneo. Il rimedio che la legge accorda al terzo è quello del risarcimento del danno nei confronti del falso rappresentante e precisamente dei danni subiti per aver confidato nell’efficacia del contratto. Il contratto concluso dal falso rappresentante è però efficace nei confronti del rappresentato se questi ha dato causa all’apparente legittimazione e il terzo abbia senza sua colpa confidato nella realtà di tale legittimazione. La situazione d’apparenza creata o causata dall’apparente rappresentato dev’essere tale da giustificare l’affidamento di una persona normalmente diligente. L’apparenza non rileva viceversa: • se il terzo conosceva o avrebbe dovuto conoscere con un comportamento normalmente diligente la situazione reale; • quando la situazione reale sia stata resa conoscibile mediante l’osservanza degli oneri di pubblicità-notizia. Ipotesi più comune di procura apparente imputabile al rappresentato = rappresentanza tollerata, riscontrabile quando il rappresentato,pur sapendo che il falso rappresentante agisce in nome di esso rappresentato, non interviene per fare cessare tale ingerenza. Il riferimento a una presunta volontà del rappresentato è sicuramente escluso nelle ipotesi in cui questi crea e rende possibile l’apparenza mediante un comportamento non voluto o diretto ad altri fini (es.: viene consegnato un foglio firmato in bianco e il consegnatario lo riempie abusivamente col testo di una procura). Il fondamento dell’efficacia della procura apparente si riconduce piuttosto al generale principio dell’apparenza,e cioè al principio secondo il quale chi crea l’apparenza di una condizione di diritto o di fatto è assoggettato alle conseguenze di tale condizione nei confronti di chi v’abbia fatto ragionevole affidamento. La difficoltà teorica del principio dell’apparenza è data da ciò: tale principio rende efficace una situazione inesistente,dando luogo all’applicazione di una regola giuridica in contrasto con la realtà che essa presuppone. Tale difficoltà può però essere superata riconoscendo che la rilevanza dell’apparenza esprime una particolare forma d’autoresponsabilità del soggetto per il falso affidamento suscitato nei terzi. • Se l’affidamento concerne la condizione di un terzo,il soggetto è tenuto al risarcimento dei danni secondo la regola della responsabilità extracontrattuale; • se l’affidamento concerne la propria condizione,il soggetto è direttamente tenuto in conformità dell’affidamento suscitato. Rappresentanza indiretta Indica il potere del soggetto di compiere atti giuridici in nome proprio nell’interesse altrui. Generalmente, questa posizione di potere s’accompagna a un obbligo assunto dal gestore d’agire per conto dell’interessato: il contratto tipico dal quale scaturisce tale obbligo è il mandato. Il mandante può conferire al mandatario il potere di rappresentanza e questo conferimento è implicito se si tratta di disporre di diritti del mandante o se si tratta d’acquistare beni mobili. È • contratto per conto di chi spetta: la persona del rappresentato è determinata in connessione alla titolarità di una data posizione giuridica,e il rappresentante può quindi esternare e provare il suo potere di rappresentanza in ordine alla persona del rappresentato che si determinerà in base a un evento oggettivo; • contratto in nome di un rappresentato non dichiarato: lo stipulante,anche se afferma di stipulare per altri,non esercita alcun potere di rappresentanza; egli si riserva di dichiarare il nome di un rappresentato che rimane del tutto indeterminato e che di fatto potrebbe non esistere. La nomina del rappresentato quindi potrebbe anche non avere luogo,ma ciò non ha importanza per la controparte se e in quanto lo stipulante risponde in proprio del contratto. L’ipotesi del contratto con riserva di nominare il rappresentato viene così a identificarsi nella figura del contratto per persona da nominare,dove lo stipulante è parte sostanziale del contratto fino all’eventuale nomina del terzo. Contratto per persona da nominare = contratto nel quale una delle parti (lo stipulante) si riserva il potere di nominare entro il termine legale o convenzionale (3 giorni se le parti non hanno stabilito un termine più lungo) altra persona quale parte sostanziale del contratto (art. 1401 cc). La riserva di nomina di un terzo dà luogo ad una parziale indeterminatezza soggettiva, nel senso che il rapporto si costituisce fra le parti originarie (stipulante e promittente) ma sussiste l’alternativa che il rapporto faccia capo a un terzo: con l’atto di nomina (electio amici) il terzo subentra infatti quale parte sostanziale del contratto in sostituzione o in aggiunta allo stipulante,acquistando con effetto retroattivo diritti e obblighi derivanti dal contratto (art. 1404 cc). Scaduto il termine senza che sia comunicata alla controparte un’efficace dichiarazione di nomina,il contratto si consolida definitivamente in capo allo stipulante (art. 1405 c.2 cc). La riserva di nomina non può essere accostata alla clausola che autorizza la cessione del contratto: la nomina assegna al nominato la posizione di parte con effetto retroattivo. Con la cessione del contratto invece la posizione contrattuale si trasferisce dal cedente al cessionario con effetto dal momento della cessione. DOTTRINA: due posizioni: a. una parte tende a inquadrare il contratto per persona da nominare nell’istituto della rappresentanza e più precisamente della rappresentanza di persona incerta. Questo inquadramento non può tuttavia essere condiviso: con al riserva di nomina lo stipulante non s’estranea rispetto al contratto. A differenza del rappresentante,lo stipulante diviene parte sostanziale del rapporto,salva la possibilità di farsi sostituire da un terzo con effetto retroattivo (lo stipulante potrebbe anche essere un rappresentante del terzo,ma con la riserva di nomina egli non esercita tale potere: l’esercizio del potere di rappresentanza attiene al momento successivo e eventuale della nomina); b. un’altra parte lo inquadra nello schema della condizione,ravvisando nel contratto concluso tra stipulante e promittente un contratto sottoposto a condizione risolutiva (la nomina del terzo). Accanto a questo contratto si porrebbe poi un secondo contratto,quello intercorrente fra il terzo e il promittente,sottoposto a condizione sospensiva (l’evento condizionante sarebbe sempre l’electio amici). Che la nomina risolva gli effetti del contratto in capo allo stipulante,è certamente esatto; non sembra però che possa parlarsi di contratto sottoposto a condizione risolutiva poiché la nomina non rende incerto il rapporto, ma solo la sua titolarità finale. Artificiosa poi è l’indicazione di un secondo contratto,che contrasta con l’unitarietà della figura. La riserva di nomina inserisce all’unico contratto (quello fra stipulante e promittente) e il subentrare del terzo costituisce una vicenda di quel contratto. In definitiva,appare preferibile prendere atto che la riserva di nomina è una tipica figura d’autorizzazione: essa s’identifica infatti nell’autorizzazione che una parte concede all’altra di mutare nel proprio interesse la titolarità del rapporto contrattuale con effetto retroattivo. Tale autorizzazione rende efficace la nomina rispetto all’autorizzante sempreché essa sia efficace rispetto al terzo. • La riserva di nomina non impedisce né il perfezionamento né l’efficacia del contratto tra le parti originarie (ad es. nella vendita di cose da costruire,la riserva di nomina non giustificherebbe la sospensione degli impegni reciproci). Può tuttavia ammettersi che in sede d’interpretazione del contratto la riserva di nomina concorra a accertare l’intenzione delle parti di rinviare l’adempimento di un’obbligazione contrattuale. L’immediata efficacia traslativa del contratto comporta l’ingresso del bene nel patrimonio dello stipulante. I creditori possono compiere atti esecutivi e conservativi sul bene,ma il soddisfacimento del loro diritto rimane subordinato al consolidamento del contratto in capo allo stipulante. • La legge prevede in generale la possibilità che le parti appongano a un contratto la riserva di nomina di un terzo: questa possibilità comprende sia i contratti a effetti obbligatori sia i contratti a effetti reali. Secondo un’interpretazione restrittiva,la riserva di nomina non potrebbe accedere ai contratti stipulati intuitu personae; tuttavia, non può in generale escludersi tale possibilità in quanto la fungibilità dei soggetti è rimessa alle parti medesime del contratto; altri ancora sostengono che chi dispone di un diritto determinato non possa riservarsi di nominare un terzo; tuttavia, neppure in questi casi può giustificarsi l’invalidità della clausola: basti considerare ad es. la vendita di cosa altrui, perché se è ammissibile vendere beni altrui,deve anche ammettersi che l’alienante si riservi la nomina di un terzo,in vista di un’eventuale imputazione del contratto a quel soggetto. • È allo stipulante che occorre aver riguardo per quanto attiene ai requisiti di capacità e all’integrità del consenso: effettuata efficacemente la nomina del terzo, trovano applicazione le regole della rappresentanza, e in particolare il terzo non potrebbe opporre l’incapacità legale di agire dello stipulante. • La riserva di nomina non richiede specifici requisiti di forma: essa si determina in base a quella del contratto. Inoltre, richiede l’osservanza degli oneri d’opponibilità prescritti per il contrato principale: la riserva non è infatti opponibile agli aventi causa e ai creditori dello stipulante che abbiano anteriormente reso opponibile il loro acquisto o compiuto atti d’esecuzione. Rimane salvo l’esperimento della revocatoria se ne ricorrono i presupposti,e cioè se lo stipulante abbia acquistato nel proprio interesse ed abbia nominato il terzo a seguito di un suo atto dispositivo in pregiudizio dei creditori. La nomina ha natura negoziale: è il negozio unilaterale mediante il quale lo stipulante imputa il rapporto contrattuale al terzo con effetto retroattivo. La nomina del terzo esplica la sua efficacia se lo stipulante è legittimato a imputare al terzo il rapporto contrattuale: lo stipulante è legittimato se al momento della nomina abbia il relativo potere di rappresentanza del terzo,sia che si tratti di rappresentanza volontaria che di rappresentanza legale. La mancanza del potere comporta l’inefficacia della nomina,la quale può però essere accettata dal terzo (tale accettazione viene vista come una ratifica,in quanto supplisce all’originario difetto del potere dello stipulante). L’accettazione deve intervenire entro il termine stabilito per la nomina, la quale dev’essere fatta a pena di nullità nella stessa forma usata per il contratto intercorrente fra stipulante e promittente (art. 1403 c.1 cc). Essa è inoltre soggetta allo stesso regime di pubblicità del contratto cui inerisce (art. 1403 c.2 cc) ed è un atto recettizio: deve infatti essere comunicata al promittente entro 3 giorni dalla stipulazione del contratto (le parti possono anche stabilire un termine più lungo ma ai fini fiscali se la nomina è fatta oltre il terzo giorno,si considera come se lo stipulante avesse acquistato in proprio e rialienato al terzo). A seguito della nomina, il terzo acquista la posizione di parte sostanziale del rapporto a far data dalla stipulazione del contratto (art. 1404 cc). Nei confronti del promittente,il nominato assume tutti i diritti e gli obblighi scaturenti dal contratto. Il nominato non potrà invece opporre le eccezioni attinenti al suo rapporto con lo stipulante, al quale il promittente rimane estraneo. In applicazione analogica delle regole sulla cessione, lo stipulante è tenuto a garantire la validità del contratto ma non la solvenza del promittente. L’effetto retroattivo della nomina importa che l’acquisto del nominato prevale sugli atti esecutivi dei creditori dello stipulante se la riserva di nomina sia stata ad essi opponibile. L’ACCORDO Responsabilità precontrattuale = responsabilità per lesione della libertà negoziale. La responsabilità precontrattuale (RP) non tutela l’interesse all’adempimento,ma l’interesse del soggetto a non essere coinvolto in trattative inutili,a non stipulare contratti invalidi o inefficaci e a non subire coartazioni o inganni in ordine ad atti negoziali. Il codice fa esplicito riferimento alla RP: • nel sancire l’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337); • nel dichiarare la responsabilità della parte che,conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto,non ne ha dato nozione all’altra parte. Qui il responsabile è tenuto a risarcire il danno che l’altra parte ha sofferto per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto (art.1338). c. Segreto: i contraenti non devono divulgare le notizie riservate che abbiano appreso in quanto partecipi delle trattative,anche se non ricorrono le ipotesi in cui la legge impone specificamente l’obbligo del segreto. Si noti che al segreto è tenuto il mediatore,poiché l’attività che questi svolge nelle trattative è attività professionale e le notizie riservate sono quindi apprese dal mediatore nell’esercizio della sua professione. ♦ sotto il profilo della salvaguardia,obbligo tipico di buona fede è il compimento degli atti necessari per la validità ed efficacia del contratto. Sotto questo riguardo rileva l’inerzia, dolosa o colposa, del contraente che non presenta la domanda per ottenere un’autorizzazione pubblica richiesta a pena di nullità o d’inefficacia del contratto. Si pensi ad un’alienazione del bene di un minore fatta dal genitore: l’alienazione dev’essere preventivamente autorizzata dal giudice tutelare (art. 320 c.3), e senza tale autorizzazione il contratto è annullabile. Il genitore non può obbligarsi a ottenere l’autorizzazione giudiziale,poiché è contrario all’ordine pubblico che il privato assuma impegni aventi a oggetto lo svolgimento di funzioni autoritarie pubbliche. Per altro, il genitore incorre in RP se,dopo aver raggiunto l’accordo col terzo, non presenta la relativa richiesta d’autorizzazione. Il dato caratterizzante della buona fede dimensiona l’impegno entro i limiti di un apprezzabile sacrificio del soggetto (il contraente dovrà quindi presentare le relative domande per ottenere la necessaria autorizzazione ma non sarà anche tenuto,ad es.,a impugnare gli eventuali provvedimenti negativi). Il principio della normale diligenza dovrà invece essere applicato quando il contraente si sia obbligato alla stipulazione del contratto definitivo: in tal caso egli deve fare tutto quanto è necessario per evitare e rimuovere ciò che ostacola il conseguimento del risultato dovuto. 2 _ Recesso ingiustificato dalle trattative Si ha rottura ingiustificata delle trattative quando il contraente receda senza una valida giustificazione da trattative condotte fino al punto d’indurre l’altra parte a confidare ragionevolmente nella conclusione del contratto. La RP non presuppone un obbligo di contrarre,al contrario la presenza di un tale obbligo esclude la Rp perché in tal caso l’obbligato sarà responsabile per inadempimento (chi è tenuto in base a un contratto preliminare a stipulare un contratto definitivo,risponde per inadempimento se non esegue la sua obbligazione). Il danno risarcibile comprenderà l’interesse positivo,cioè l’interesse che sarebbe stato soddisfatto dall’adempimento dell’obbligazione (si prospetta anche il rimedio dell’esecuzione in forma specifica). Lo svolgimento delle trattative non importa invece alcun obbligo di contrarre. Il contraente conserva il potere di revocare la propria proposta o la propria accettazione fino a quando il contratto non è concluso, e l’esercizio di tale potere non costituisce come tale violazione di un obbligo di comportamento; la responsabilità del soggetto deriva piuttosto dall’avere dolosamente o colposamente indotto l’altra parte a confidare ragionevolmente nella conclusione del contratto. Il comportamento doloso sussiste quando il soggetto inizia o prosegue le trattative pur avendo l’intenzione di non concludere il contratto. Sussiste la colpa quando il soggetto non s’attiene alla normale prudenza nell’indurre l’altra parte a confidare nella conclusione del contratto,e cioè porta avanti le trattative senza verificare le proprie possibilità o senza avere una sufficiente determinazione. È il danneggiato che deve dar prova del fatto lesivo,e cioè che l’interruzione delle trattative ha leso un affidamento ragionevolmente creato dal comportamento della controparte. Non occorre invece dimostrare anche la mancanza di una giusta causa, perché il comportamento lesivo è presuntivamente colposo in quanto non conforme al modello di diligente rispetto dell’altrui libertà negoziale secondo un criterio di normalità (è quindi a carico del danneggiante la prova delle circostanze che han giustificato da parte sua l’interruzione delle trattative). 3 _ Stipulazione di contratto invalido o inefficace Il soggetto qui è leso nella sua libertà negoziale in quanto il comportamento doloso o colposo dell’altra parte lo ha coinvolto nella stipulazione di un contratto invalido o inefficace. Il codice prevede espressamente la responsabilità della parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte: quest’ultima ha allora diritto a essere risarcita del danno subito per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto. Il fatto lesivo non è costituito dalla mancata comunicazione delle cause d’invalidità o inefficacia,ma dalla stipulazione del contratto invalido o inefficace da parte di chi conosce o dovrebbe conoscere tali cause. La formula della legge fa riferimento alle cause d’invalidità del contratto: tale riferimento comprende i casi d’annullabilità che abbiano portato all’annullamento del contratto e i casi d’inefficacia (cioè i casi in cui risulta mancare un requisito legale d’efficacia del contratto,come ad es. un’autorizzazione amministrativa o la legittimazione negoziale del contraente). A quest’ultimo riguardo può rilevarsi come la legge sancisca espressamente la responsabilità di chi stipula un contratto come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i poteri conferitigli: in tal caso il soggetto risponde per i danni che l’altra parte ha sofferto per aver confidato senza colpa nell’efficacia del contratto (siamo quindi nel tema della RP). Ai fini della RP inoltre, la legge richiede ulteriormente che la parte lesa abbia confidato senza colpa nella validità del contratto. Questa previsione costituisce applicazione del generale principio secondo il quale il danno dev’essere sopportato dal danneggiato quando il suo comportamento si ponga quale causa assorbente dell’evento dannoso (in effetti,il danno che una parte avrebbe evitato col proprio comportamento diligente non può essere causalmente imputato al comportamento dell’altra parte). Diversa conclusione deve ammettersi quando il silenzio della parte integra la fattispecie del dolo,attuato al fine d’indurre l’altra parte a confidare nella validità del contratto: in tal caso il dolo si pone esso stesso come fattispecie illecita e come causa esclusiva del danno che è diretto a realizzare (l’inganno della vittima). La colpa dev’essere invece accertata nel concreto delle circostanze; può essere esclusa quando l’invalidità deriva da presupposti di fatto che ricadono nell’ambito di controllo dell’altra parte. Occorre comunque non confondere i casi d’inefficacia del contratto con i casi in cui la mancata produzione d’un effetto costituisce inadempimento di una delle due parti. Così,mentre è inefficace il contratto stipulato dal falso rappresentante,è invece efficace il contratto stipulato in nome proprio da chi non è legittimato a disporre del bene: in tal caso il mancato trasferimento in proprietà del bene all’acquirente in buona fede costituisce inadempimento del contratto e dà luogo a responsabilità contrattuale dell’alienante. 4 _ Violenza e dolo. Colposa induzione in errore La violenza è la forma più grave di lesione della libertà negoziale: è sempre causa d’invalidità del contratto, anche quando sia esercitata da un terzo senza essere nota alla controparte (art. 1434). Se quest’ultima è consapevole o partecipe della violenza, la RP graverà solidalmente su di essa e sul terzo. Se invece proviene dal terzo e la controparte non ne era a conoscenza, la responsabilità ricadrà solo in capo al terzo. La violenza può essere esercitata anche per impedire la conclusione del contratto o alterarne il contenuto: in tal caso la vittima può impugnare il contratto ma può anche limitarsi a chiedere il risarcimento del danno rappresentato dalle deteriori condizioni contrattuali subite. Anche il dolo comporta la RP del suo autore: occorre notare che il dolo è causa d’invalidità del contratto (c.d. dolo vizio) se posto in essere dalla controparte. È causa d’invalidità anche se posto in essere da un terzo,purchè la controparte che ne ha tratto vantaggio ne fosse a conoscenza: in tal caso sussisterà responsabilità solidale in capo alla controparte e al terzo. Quando la controparte che ha tratto vantaggio dal dolo posto in essere dal terzo non ne era a conoscenza,il contratto non è annullabile,ma il terzo è comunque responsabile per aver leso la libertà negoziale della vittima,dovendo risarcire il danno nella misura dell’interesse della vittima a non stipulare il contratto. Al di fuori dell’ipotesi del dolo,la lesione della libertà negoziale è altresì riscontrabile quando la controparte o un terzo abbiano colposamente indotto il contraente in errore. Sotto questo profilo, l’errore può rilevare anche se non si tratti d’errore essenziale influente sulla conclusione del contratto,ma solo d’errore incidente sul contenuto del contratto (chi cade in errore non deve essere a sua volta in colpa). DANNO RISARCIBILE: la RP comporta l’obbligo del risarcimento del danno nei limiti del c.d. interesse negativo, e cioè dell’interesse del soggetto a non essere leso nell’esercizio della sua libertà negoziale. Il danno per lesione dell’interesse negativo si distingue rispetto al danno per lesione dell’interesse positivo, quale interesse all’esecuzione del contratto: in questo caso il danno è rappresentato dalla perdita che il soggetto avrebbe evitato (danno emergente) e dal vantaggio economico che avrebbe conseguito (lucro cessante). Il danno dell’interesse negativo,invece,consiste nel pregiudizio che il soggetto subisce a. per avere inutilmente confidato nella conclusione o nella validità del contratto; b. o per avere stipulato un contratto che senza l’altrui illecita ingerenza non avrebbe stipulato o avrebbe stipulato a condizioni diverse. Precisamente: nei casi di rottura ingiustificata delle trattative o di stipulazione di contratto invalido o inefficace, il soggetto avrà diritto al risarcimento del danno consistente: • nelle spese inutilmente erogate: esse comprendono i costi sostenuti per lo svolgimento delle trattative e per la stipulazione del contratto. Le spese rilevanti ai fini del risarcimento del danno comprendono ancora i costi sostenuti per eseguire o ricevere la prestazione,detratto quanto può recuperarsi mediante rimpiego o rivendita; • e nella perdita di favorevoli occasioni contrattuali: concerne le possibilità vantaggiose sfuggite al contraente a causa dell’inutile trattativa o dell’inutile stipulazione del contratto. Il danneggiato deve dimostrare che l’inutile trattativa o l’inutile stipulazione gli hanno impedito d’accettare un’offerta seria e vantaggiosa oppure hanno ritardato il compimento dell’affare rispetto al momento in cui v’era un più favorevole prezzo di mercato. Anche in questi casi occorre tener ferma la distinzione rispetto al danno per l’inadempimento del contratto. Il danno da inadempimento è infatti determinato senz’altro in ragione dell’utile netto che il creditore avrebbe conseguito dall’esatto adempimento del contratto. Il danno da impedimento alla conclusione del contratto consiste invece nella perdita di un’occasione favorevole e va quindi determinato tenendo conto delle probabilità positive e di quelle negative (mancata conclusione del contratto per altre cause, difficoltà d’esecuzione, insolvenza del debitore, ecc …). Se il contratto rimane valido ed efficace, il danno da ilecito precontrattuale consiste nelle migliori condizioni che il contraente avrebbe ottenuto senza l’illecita ingerenza la propria prestazione,la quale non potrebbe quindi considerarsi adempimento d’un obbligo discendente dalla sentenza. Sempre nell’ambito delle correnti negatrici dirette a scalzare la nozione del preliminare quale contratto che obbliga alla conclusione d’un contratto definitivo, si pone la tesi secondo cui il preliminare obbligherebbe direttamente alla prestazione finale: il preliminare di vendita sarebbe quindi una vendita obbligatoria. Questa tesi tuttavia urta contro il rilievo che l’obbligo scaturente dal preliminare è adempiuto mediante la stipulazione d’un contratto (quello definitivo), che è quindi il passaggio attraverso il quale deve concludersi l’impegno originario. Per scansare quest’obiezione s’è ipotizzato che il contratto definitivo sarebbe un atto avente funzione meramente solutoria. Ma quest’atto è pur sempre un contratto,e la sua funzione solutoria non toglie che esso si ponga come fonte finale del rapporto sostituendosi al preliminare. EFFETTI DEL PRELIMINARE: il preliminare obbliga le parti alla stipulazione del contratto definitivo. Chi assume un obbligo in ordine alla conclusione d’un contratto assume per ciò stesso l’impegno in ordine alle prestazioni che ne sono oggetto. Nello schema del preliminare,l’attuazione delle prestazioni finali è subordinata alla stipulazione del definitivo,ma poiché questa stipulazione è obbligatoria,ne risulta che il preliminare programma una successione di prestazioni dovute. Precisamente,le parti non sono in attesa del verificarsi d’un evento futuro e incerto,ma sono tenute a compiere una prima prestazione (stipulazione del definitivo) e, a seguito di questa, le prestazioni finali (esecuzione del definitivo). Il preliminare può anche prevedere una parziale anticipata esecuzione delle prestazioni finali,ma non potrebbe prevedere l’integrale attuazione del rapporto finale perché in tal caso si porrebbe esso stesso quale definitivo, e la prevista stipulazione d’un contratto ulteriore altro non sarebbe,in realtà,che un impegno alla ripetizione del contratto. Nei contratti traslativi si spiega allora il criterio giurisprudenziale che assegna una decisiva importanza all’immediato effetto traslativo per distinguere fra contratto preliminare e contratto definitivo: in quest’ultimo l’intento è rivolto al trasferimento d’un diritto,mentre nel contratto preliminare il trasferimento è fatto dipendere da una futura manifestazione di consenso. L’efficacia obbligatoria del preliminare ne ha escluso in passato la trascrivibilità,esponendo il promissario acquirente d’un immobile al rischio di non conseguirne la proprietà a causa del fallimento dell’alienante o dell’intervenuta alienazione o pignoramento del bene, e di non recuperare gli anticipi già versati. A tutela del promissario acquirente,la legge ha ora sancito la trascrivibilità del preliminare (art. 2645 bis) e il privilegio del credito per mancata esecuzione del contratto (art. 2775 bis). CONTRATTO DEFINITIVO: non è una ripetizione del preliminare,ma un nuovo accordo che le parti stipulano in conformità del loro impegno e al quale devono ormai riferirsi tutti gli effetti,obbligatori e reali. Il preliminare obbliga le parti non solamente alla prestazione del consenso,ma anche alle prestazioni che questo consenso implica. Ciò per altro non esclude che il contratto definitivo si stabilisca come fonte esclusiva del rapporto contrattuale: il contratto definitivo infatti: a. è destinato a sostituire il titolo provvisorio del preliminare; b. richiede i requisiti di legittimazione,di liceità e possibilità dell’oggetto, d’integrità del volere; c. rileva ai fini dell’azione revocatoria e della rescissione, nonché ai fini della decorrenza dei termini di prescrizione dei diritti e delle azioni contrattuali; d. è oggetto della trascrizione. Con la stipulazione del definitivo le parti adempiono la loro obbligazione,ma ciò non incide sulla causa del contratto,che deve sempre essere individuata nell’interesse pratico perseguito. Se l’obbligazione scaturente dal preliminare non è la causa del contratto definitivo, ne consegue che la mancanza di tale obbligazione per nullità del preliminare non importa nullità del definitivo per mancanza di causa; ci si chiede allora quale rimedio spetti alla parte che abbia stipulato il definitivo in adempimento di un preliminare nullo o inefficace o annullato. Il richiamo all’istituto dell’indebito appare incongruo,dato che l’indebito presuppone un mero atto esecutivo materiale,suscettibile di una restituzione,risultando inapplicabile a un atto contrattuale la cui validità ed efficacia devono essere giudicate secondo la regola del negozio. In termini semplici,la rimozione del negozio definitivo stipulato a seguito d’un contratto preliminare nullo,annullato o inefficace è ammissibile sotto il profilo dell’errore di diritto: il contraente può cioè chiedere l’annullamento del contratto definitivo se l’erronea convinzione dell’ineccepibile doverosità della stipulazione abbia costituito la ragione principale del contratto. ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA: nel caso di ritardo nell’adempimento dell’obbligo di stipulare il definitivo, l’altra parte può chiedere una sentenza produttiva degli effetti del definitivo non concluso (art. 2932). Il rimedio è precluso quando la situazione di fatto o di diritto impedisce che gli effetti della sentenza realizzino il risultato del contratto definitivo (sopravvenuta distruzione o mancata costruzione del bene, appartenenza del bene a terzi ecc …),salvo si tratti d’inesattezze o impossibilità parziali compatibili con la pretesa all’esecuzione del contratto. Il contenuto del contratto può essere modificato se ciò sia domandato dalla parte e rientri nei poteri di questa o del giudice,altrimenti è inammissibile la domanda diretta a ottenere un risultato in tutto o in parte diverso rispetto a quello programmato dal preliminare. Due presupposti sono necessari per ottenere l’esecuzione in forma specifica del preliminare: 1. ritardo del promittente: il ritardo può essere connesso alla semplice scadenza del termine oppure alla costituzione in mora. Il suo presupposto prescinde dal requisito della colpa,in quanto la sentenza è volta a far conseguire l’oggetto originario della prestazione. La colpa,che è presunta, rileva invece ai fini del risarcimento del danno; 2. esecuzione o offerta della controprestazione,se esigibile (il contratto da stipulare dev’essere determinato o determinabile in base al contenuto del contratto preliminare): tale requisito concerne i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o di un bene determinato o la costituzione o il trasferimento di altro diritto. L’offerta dev’essere fatta nei modi di legge,ma la giurisprudenza giunge ad accontentarsi di qualsiasi seria manifestazione della volontà d’eseguire il pagamento. L’offerta da parte del promittente alienante si concreta nell’offerta di stipulazione del contratto mediante invio presso un determinato notaio con esatta indicazione del tempo e,se occorre,del luogo. Se l’offerta del corrispettivo non è accettata,si può giungere all’emanazione della sentenza che trasferisce il diritto all’acquirente senza che questi abbia eseguito la sua prestazione (infatti la legge dichiara bastevole la preventiva offerta). In giurisprudenza s’è comunque manifestata la tendenza a condizionare l’effetto traslativo della sentenza al pagamento del prezzo. Ma se per il pagamento di tutto o di parte del corrispettivo è stabilito un termine successivo a quello della stipulazione del contratto, la sentenza non potrebbe condizionare l’effetto traslativo all’esecuzione della controprestazione in quanto ciò altererebbe arbitrariamente il programma contrattuale. La sentenza che condiziona il trasferimento di proprietà del bene al pagamento del prezzo può fissare il termine entro il quale il pagamento deve aver luogo; in mancanza si ritiene che il pagamento debba essere fatto entro un termine ragionevole,legittimando altrimenti la controparte a chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento. Il provvedimento giudiziale d’esecuzione in forma specifica ha natura costitutiva; in tal senso depone la chiara indicazione normativa della sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso (art. 2932 c.1). La tesi secondo cui la sentenza avrebbe meri effetti certificativi non è conforme alla disciplina legislativa, anche perché presuppone che il preliminare sia esso steso la fonte del rapporto contrattuale finale. Il carattere costitutivo della sentenza non esclude per altro che il rapporto abbia natura contrattuale: gli effetti che la sentenza produce sono quelli previsti dal contratto,non alterando la fonte pubblicistica la natura del rapporto (si tratta d’un rapporto conforme all’impegno contrattuale delle parti). Può dirsi quindi che il rapporto finale ha il suo titolo immediato nella sentenza e il suo titolo mediato nel contratto preliminare, analogamente a tutte le ipotesi in cui il diritto del soggetto di modificare a proprio vantaggio l’altrui situazione giuridica richieda il tramite della sentenza. La sentenza,come tale,non è invece assoggettabile alla disciplina del contratto: essa può essere annullata nei limiti e nei modi d’impugnazione delle decisioni giudiziali. L’eventuale invalidità del preliminare può essere eccepita nel processo d’esecuzione in forma specifica; se ciò non è fatto,l’invalidità del contratto non si traduce in vizio della sentenza, la quale rimane ferma in applicazione del principio del giudicato, il quale tuttavia non copre la questione dell’illecita lesione della libertà negoziale della parte; deve quindi ammettersi che la parte possa agire per il risarcimento del danno, a prescindere dall’impugnazione del contratto. ALTRI RIMEDI CONTRO L’INADEMPIMENTO DEL PRELIMINARE: l’inadempimento del preliminare può dar luogo agli altri rimedi secondo la disciplina generale (risarcimento del danno,risoluzione del contratto, eccezione d’inadempimento ecc ..). L’inadempimento può riguardare sia la mancata stipulazione del definitivo sia l’inettitudine o impossibilità d’eseguire la prestazione finale o d’eseguirla direttamente (quindi l’inadempimento può sussistere ancor prima della scadenza del termine di stipulazione del definitivo se la parte non ha posto in essere la necessaria attività preparatoria o se comunque è certo che la prestazione finale non potrà essere direttamente eseguita). OPZIONE: il preliminare obbliga le parti alla conclusione del contratto definitivo, l’opzione invece concede all’opzionario il diritto di costituire il contratto se e quando l’operazione gli parrà conveniente. La distinzione dev’essere ribadita anche fra opzione e preliminare unilaterale: in quest’ultimo il promittente ha l’obbligo di stipulare il definitivo,mentre nell’opzione il concedente ha una posizione di soggezione in correlazione al diritto potestativo dell’opzionario. Ma tale distinzione è stata contestata in DOTTRINA sul piano della funzione,in quanto s’afferma che l’interesse perseguito sarebbe il medesimo: creare un strumento che assicuri per un certo tempo alla controparte il vantaggio di decidere sull’affare. Questa identità di funzione inciderebbe a sua volta sull’interpretazione delle dichiarazioni delle parti, sembrando prevalere l’intendimento della loro volontà nei termini semplici e diretti dell’opzione anziché nel senso di richiedere un’ulteriore manifestazione di volontà del dichiarante. Al riguardo deve ammettersi che la terminologia delle parti non è decisiva ai fini della distinzione tra opzione e preliminare,e che occorre piuttosto valutare l’obiettivo significato dell’affare secondo le regole interpretative legali,tendendo anche conto dell’interesse concretamente perseguito. Deve anche ammettersi che il ricorso all’uno o all’altro mezzo negoziale possa trovare rispondenza nel diverso interesse concretamente perseguito: l’impegno del promittente alla stipulazione del definitivo assicura al promissario il negare che l’accordo possa essere inteso come coincidenza o fusione delle volontà reali di ciascuno dei contraenti: ciò che rileva è piuttosto il significato obiettivo o socialmente valutabile dei loro atti. Ma occorre anche osservare che gli atti di formazione del contratto hanno il significato obiettivo di manifestazioni di volontà,ed è quindi in base a tale significato che deve accertarsi se l’accordo s’è perfezionato. L’idea secondo cui l’accordo consisterebbe senz’altro nella congruenza formale o esteriore delle dichiarazioni non può essere condivisa in questi termini: tale congruenza di dichiarazioni fa presumere l’accordo ma non vuol dire necessariamente che l’intesa sia stata raggiunta o sia stata raggiunta secondo il significato apparente degli atti. Una regola interpretativa impone di non fermarsi al significato delle parole e d’indagare la comune intenzione delle parti (art. 1362); la ricerca di questa comune intenzione può portare a accertare che l’accordo è diverso da quello che risulta dal testo. Non basta dunque la coincidenza esteriore delle dichiarazioni,ma occorre che il significato del complessivo comportamento delle parti, obiettivamente valutato,esprima la loro concorde volontà di costituire,modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. • Accordo espresso = quando risulta dalle dichiarazioni di volontà delle parti. La dichiarazione di volontà contrattuale è una manifestazione di consenso esternata mediante mezzi di linguaggio (segni di linguaggio sono quelli che nell’ambiente sociale sono considerati appositi strumenti comunicativi, come le parole e i gesti, potendo anche essere convenzionali,come i messaggi in codice). • Accordo tacito = quando le parti manifestano la loro volontà mediante comportamenti concludenti, che non costituiscono mezzi di linguaggio e dai quali però si desume secondo le circostanze l’implicito intento negoziale (accettazione mediante esecuzione della prestazione richiesta). La concludenza del comportamento dev’essere valutata con riguardo all’obiettivo significato che esso assume nell’ambiente socio-economico. In generale,la dichiarazione si perfeziona con la sua emissione: occorre cioè che la dichiarazione sia resa conoscibile ai terzi. La dichiarazione rivolta a un determinato destinatario esige specificamente la sua comunicazione,che rappresenta il modo normale d’emissione dell’atto. Il silenzio rappresenta l’inerzia del soggetto che non manifesta una volontà positiva o negativa. Quale comportamento omissivo,esso è inidoneo a perfezionare l’accordo,che richiede invece l’incontro delle manifestazioni di volontà delle parti. Si ritiene tuttavia: • che l’accordo si possa perfezionare nonostante il silenzio della parte quando sia la legge ad attribuire il valore del consenso all’inerzia del soggetto; • che possa valere come manifestazione tacita di consenso il silenzio circostanziato, ossia il silenzio che sia accompagnato da circostanze tali da renderlo significativo come sintomo rivelatore dell’intenzione della parte. In particolare,si ritiene che il silenzio possa valere come dichiarazione quando, instaurata una certa relazione fra le parti, il comune modo d’agire o la buona fede impongono l’onere o il dovere di parlare,cosicché il tacere dell’una possa essere inteso come adesione alla volontà manifestata dall’altra. In realtà,il silenzio di per sé non esprime alcun consenso e non può quindi ipotizzarsi un onere o dovere del soggetto di manifestare il proprio dissenso. Deve dirsi piuttosto che nel silenzio circostanziato l’intento negoziale si desume dal complessivo comportamento del soggetto: è appunto il comportamento complessivo del soggetto che, in relazione alle circostanze,può esprimere il significato di consenso. Così,nei contratti già stipulati non basta che una parte dichiari di voler modificare il rapporto senza suscitare le proteste della controparte: occorre piuttosto che il comportamento di quest’ultima deponga nel suo complesso per l’accettazione delle modifiche. Il silenzio,infine,può acquistare rilevanza per un’espressa previsione delle parti o della legge. La DOTTRINA più recente ha contestato che la formazione del contratto debba per forza identificarsi nell’accordo,dovendosi piuttosto ammettere la possibilità di una formazione unilaterale del contratto. S’è infatti obiettato che la previsione legale comprende ipotesi nelle quali sarebbe una finzione parlare dell’incontro di due volontà: nell’ipotesi di contratto con se stesso non vi sarebbero gli estremi dell’accordo, dato che il rapporto contrattuale è posto in essere attraverso l’atto di una sola persona. Gli estremi dell’accordo potrebbero inoltre difettare nei contratti conclusi con una parte legalmente obbligata a contrarre: qui il rapporto contrattuale sarebbe insuscettibile di costituirsi a prescindere dalla volontà dell’obbligato. Infine, nei contratti con obbligazioni a carico del solo proponente la legge reputa sufficiente il mancato rifiuto della proposta: anche qui sarebbe sufficiente il consenso d’una sola persona. ♦ PROPOSTA E ACCETTAZIONE Proposta = manifestazione attuale di volontà contrattuale aperta all’adesione del suo destinatario. Requisito: la completezza,che indica la sufficienza del suo contenuto ai fini della formazione del contratto. La proposta è completa quando contiene la determinazione degli elementi essenziali del contratto o quando ne rimette la determinazione a criteri legali o convenzionali. È incompleta quando la loro determinazione richiede un ulteriore accordo delle parti (una proposta incompleta può assumere il valore di un invito a offrire,e può comunque segnare l‘inizio di una trattativa). Accettazione = atto d’accoglimento della proposta. Requisiti: a. Conformità: indica la totale adesione alla proposta. Un’accettazione che modifica o integra il contenuto della proposta (anche modifiche o integrazioni sia pure su punti secondari del contratto) ha il valore di una nuova proposta o controproposta (art. 1326 c.5). La controproposta non è accettazione dell’offerta ma non costituisce neppure un atto di rifiuto: implica l’intento di proseguire nelle trattative sulla base dell’offerta originaria. Rispetto all’accettazione difforme, il proponente assume la veste di oblato,e può quindi accettarla oppure fare un’ulteriore controproposta. E’ irrilevante che la modifica sia obiettivamente vantaggiosa per il proponente, salvo che essa consista semplicemente nell’ampliare poteri e facoltà della controparte o nel ridurre il contenuto dei suoi obblighi (ad es. concedendo al proponente un’agevolazione facoltativa sul pagamento del prezzo). b. Tempestività: vuole significare che l’accettazione deve pervenire entro il termine fissato nella proposta o,in mancanza,entro il tempo ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi (art. 1326 c.2). L’accettazione tardiva è inefficace,ma il proponente può rimuovere questo limite e rendere efficace nei propri confronti l’accettazione nonostante la sua tardività,dal momento che il limite d’efficacia è posto nell’interesse del proponente,il quale oltre un certo termine non è più assoggettato al potere d’accettazione dell’oblato. Il proponente può reputare efficace l’accettazione purchè ne dia avviso immediato all’oblato (art. 1326 c.3), altrimenti diventa inefficace. In generale,il contratto si considera concluso nel momento e nel luogo in cui il proponente ha avuto notizia dell’accettazione dell’altra parte (art. 1326 c.1). La proposta e l’accettazione manifestano la volontà contrattuale delle parti. Tali atti devono pertanto avere il requisito fondamentale dell’idoneità ad esprimere il consenso costitutivo del contratto. Possono essere tacite od espresse e devono rivestire la forma eventualmente necessaria per la validità del contratto. Se il contratto non è formale, la proposta e l’accettazione possono essere espresse in forma libera. Un particolare onere di forma per l’accettazione può essere imposto dal proponente,e l’accettazione data in forma diversa non ha effetto (art. 1326 c.4). La proposta e l’accettazione sono di regola atti recettizi (art. 1355), ossia per la loro efficacia è necessario che siano portati a conoscenza del destinatario. • La proposta indirizzata a persona determinata è un atto recettizio in quanto la sua funzione è quella di rendere partecipe il destinatario della volontà del proponente al fine di provocarne l’accettazione. • La proposta al pubblico non è atto recettizio: diviene efficace nel momento in cui è resa conoscibile. • Il carattere recettizio dell’accettazione è posto a tutela di un interesse del proponente ma la comunicazione dell’atto non è sempre presupposto necessario della sua efficacia: la legge prevede infatti che in determinati casi l’inizio dell’esecuzione della prestazione vale a perfezionare la conclusione del contratto (art. 1327); in questi casi l’accettazione produce il suo effetto a prescindere dalla conoscenza di essa da parte del proponente e anche a prescindere dalla comunicazione dell’atto. La natura recettizia degli atti di formazione del contratto non ha un autonomo rilievo quando i contraenti sono presenti o s’avvalgono di mezzi comunicativi a percezione diretta (telefono,radio ecc …). La rilevanza di uno specifico onere del dichiarante di portare il proprio atto a conoscenza del destinatario si pone piuttosto nella contrattazione tra assenti,intesa come contrattazione tra persone che si trovano in luoghi diversi e s’avvalgono di mezzi mediati di comunicazione (lettera, telex ecc …). Al riguardo potrebbe astrattamente richiedersi l’effettiva conoscenza del destinatario (teoria della cognizione),oppure la semplice comunicazione dell’atto (teoria della spedizione). La soluzione adottata dalla nostra legge è quella della ricezione: ai fini dell’efficacia dell’atto è necessario e sufficiente che esso sia stato ricevuto dal destinatario,e cioè che sia pervenuto al suo indirizzo. Tuttavia la legge tempera questa regola consentendo al destinatario la prova d’essere stato senza colpa nella impossibilità di prendere conoscenza dell’atto pervenuto al suo indirizzo (art. 1335). Dimostrato,da parte del mittente,che l’atto è pervenuto all’indirizzo del destinatario, si presume che quest’ultimo ne abbia avuto conoscenza. Ma in DOTTRINA s’è rilevato che a rigore, la legge non pone una presunzione di conoscenza,bensì una presunzione di conoscibilità dell’atto: il destinatario infatti non può vincere la presunzione limitandosi a dimostrare di non avere preso cognizione dell’atto. La prova che deve dare è piuttosto quella dell’impossibilità senza colpa della conoscenza dell’atto, cioè della non conoscibilità dell’atto. Per impossibilità senza colpa s’intende qui un impedimento estraneo alla sfera dell’organizzazione del destinatario o al suo fatto volontario. Natura giuridica della proposta e dell’accettazione_ DOTTRINA: revoca dell’accettazione deve pervenire tempestivamente al proponente, mentre la stessa previsione non è ripetuta per la revoca della proposta (art. 1328 c.2: l’accettazione può essere revocata,purchè la revoca giunga a conoscenza del proponente prima dell’accettazione). Altro argomento è tratto dalla previsione normativa dell’indennizzo a carico del proponente (art. 1328 c.1): tale previsione sembra presupporre che la revoca della proposta precluda immediatamente la conclusione del contratto senza che l’accettante ne abbia cognizione (il diritto all’indennizzo varrebbe appunto a compensare la deteriore posizione dell’oblato). Ma tali argomenti non sono decisivi: • la previsione del codice dev’essere vista non isolatamente,ma in un contesto normativo che regola appositamente il principio della ricezione,includendovi anche la revoca della proposta; • per quanto concerne l’argomento fondato sul diritto di indennizzo,occorre sottolineare che la norma trova applicazione anche riconoscendo alla revoca della proposta carattere recettizio (infatti anche seguendo questa tesi è possibile che la revoca della proposta precluda la conclusione del contratto quando l’oblato ha già iniziato in buona fede l’esecuzione della prestazione). Ciò che rimane da spiegare è perché l’indennizzo sia previsto a favore dell’accettante e non anche a favore del proponente quando sia l’accettante a revocare l’accettazione. La spiegazione va ricercata nella diversa meritevolezza dell’affidamento: mentre l’accettante può contare sulla conclusione del contratto come un risultato normale,il proponente non può fare ragionevole affidamento su tale risultato solo perché ha indirizzato all’oblato un’offerta. La tesi che riconosce lo stesso carattere recettizio alla revoca della proposta e dell’accettazione trova, viceversa, un argomento importante nell’esigenza di pari trattamento dell’accettante e del preponente: non v’è ragione infatti di porre l’accettante in una situazione deteriore rispetto al proponente. La revoca ingiustificata può dar luogo a responsabilità precontrattuale se essa lede un ragionevole affidamento della controparte sulla conclusione del contratto. A prescindere dalla responsabilità precontrattuale,il principio della revocabilità del consenso anteriormente al perfezionamento dell’accordo trova un temperamento nell’ipotesi in cui l’accettante abbia già dato inizio all’esecuzione del contratto: il proponente può di regola revocare il proprio consenso fino a quando non abbia avuto notizia dell’accettazione da parte dell’oblato. Il proponente che revoca la proposta è per altro tenuto a indennizzare l’oblato delle spese e delle perdite subite da quest’ultimo per avere iniziato inutilmente l’esecuzione del contratto prima d’avere avuto notizia della revoca (art. 1328 c.1). Il potere di revoca del proponente rappresenta un inconveniente per l’oblato,il quale non può contare con certezza sulla conclusione del contratto alle condizioni indicate nell’offerta. Al fine d’agevolare l’accettazione, il proponente può rendere ferma la sua offerta per un certo tempo: in tal caso la proposta è irrevocabile fino allo scadere del termine previsto. Il carattere fermo della proposta può essere espresso in vario modo,e in particolare anche nei termini di una dichiarazione d’irrevocabilità oppure d’una promessa di mantenere l’offerta. Si tratta comunque d’un impegno del proponente che,per effetto legale, comporta la perdita temporanea del potere di revoca e la conseguente inefficacia della revoca stessa (art. 1329 c.1). La proposta rimane ferma per il tempo stabilito dal proponente: se il termine non è indicato dal proponente,esso si determina in base alla regola valevole per la proposta in generale,cioè il termine sarà quello ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi (art. 1326 c.2). Una tesi propone l’alternativa della fissazione giudiziale del termine,ma manca un riferimento normativo diretto e poi l’intervento del giudice contrasterebbe col normale interesse a una pronta definizione dell’affare. La proposta irrevocabile non è di massima soggetta a decadenza per morte o sopravvenuta incapacità del proponente (art. 1329 c.2). ♦ ALTRI SCHEMI DI FORMAZIONE DEL CONTRATTO Non sempre l’accordo si raggiunge attraverso lo scambio proposta-accettazione tra proponente e oblato: vi possono essere altri schemi. a. Elaborazione comune del testo Anche se v’è una parte che prende l’iniziativa per la conclusione di un contratto, essa può limitarsi a invitare la controparte a fare un’offerta oppure può formulare un’ipotesi di accordo,e cioè un testo da esaminare congiuntamente: in tal caso le parti possono lavorare sul testo,direttamente o attraverso persone di loro fiducia. Il testo contrattuale finale costituirà allora il risultato di una collaborazione comune. Ma se il testo è elaborato congiuntamente e ciascuna parte procede all’approvazione del testo in un luogo diverso, deve applicarsi analogicamente la regola generale della proposta-accettazione,rendendosi necessario lo scambio dei consensi. Il contratto dovrà quindi reputarsi concluso nel momento e nel luogo in cui il primo firmatario abbia notizia dell’adesione dell’altra parte. b. Conclusione del contratto mediante inizio dell’esecuzione La regola secondo la quale il contratto è concluso quando il proponente ha conoscenza dell’accettazione, trova una deroga nei casi in cui,su richiesta o per la natura dell’affare o secondo gli usi, la prestazione dev’essere eseguita senza una preventiva risposta. In tali casi il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione (art.1327 c.1). La deroga trova ragione in una particolare esigenza del proponente di speditezza della prestazione,che prevale sul suo interesse ad avere preventiva cognizione dell’avvenuta accettazione. Seppure non necessaria ai fini della conclusione del contratto, la pronta comunicazione dell’accettazione è comunque un atto dovuto: l’accettante che ritarda a effettuare tale comunicazione è tenuto a risarcire il danno subito dal proponente (il danno che rileva è quello che il proponente ha subito per aver confidato nella mancata accettazione dell’oblato: tale affidamento può ritenersi giustificato quando sia trascorso un tempo superiore alla durata d’efficacia della proposta). Il pregiudizio risarcibile consisterà nelle spese sostenute per altre trattative e nel costo dell’impegno assunto con altri per la stessa prestazione quando questa sia in tutto o in parte non utilizzabile e non riciclabile sul mercato. La conclusione del contratto mediante esecuzione costituisce un particolare schema di formazione del contratto,che integra comunque gli estremi dell’accordo: l’esecuzione rileva infatti come manifestazione tacita del consenso dell’accettante. DOTTRINA: l’ipotesi di contratto concluso mediante esecuzione rientrerebbe in un’autonoma categoria negoziale: quella dei negozi d’attuazione (negozi che avrebbero come nota peculiare quella di realizzare immediatamente la volontà del soggetto senza porre l’agente in relazione con altri soggetti). Ma contro questo inquadramento deve osservarsi che i contratti che si concludono mediante esecuzione possono ugualmente concludersi mediante accettazione espressa: l’attuazione è solo uno dei modi in cui può manifestarsi la volontà dell’oblato,e non si giustifica pertanto l’idea di una speciale categoria dei negozi. L’accettazione mediante esecuzione non è atto recettizio ma non perché l’accettazione non ponga l’oblato in relazione con un altro soggetto,bensì per il prevalere dell’interesse del proponente alla pronta esecuzione del contratto. c. Contratti reali Sono reali quei contratti che si perfezionano con la consegna della cosa che ne è oggetto,quali: • il mutuo (art. 1813); • il comodato (art. 1803); • il deposito (art. 1766); • il pegno (art. 2786); • il riporto (artt. 1548, 1549). La consegna in questi contratti non è un mero momento esecutivo del contratto,bensì un elemento costitutivo,nel senso che senza la consegna il contratto non s’intende formato. La nozione di contratto reale è stata criticata perché in contrasto col moderno principio dell’autonomia contrattuale,e perché in contrasto con un dato d’esperienza che vede comunemente il costituirsi di vincoli contrattuali relativi ad operazioni di mutuo,deposito ecc .. senza la preventiva consegna della cosa. Questa critica non vale tuttavia a mutare la nozione di contratto reale: si tratta piuttosto di vedere se le tipiche operazioni dei contratti reali possano essere oggetto di contratti consensuali (se cioè, ad es., accanto a un mutuo reale possa esservi un mutuo consensuale). La risposta dev’essere positiva: niente esclude che la parte anziché dare una somma a mutuo, s’obblighi a corrispondere le somme richieste dal mutuatario fino a un certo importo. Ancora,niente esclude che la parte,anziché ricevere una cosa in deposito,s’obblighi a ricevere i beni di cui il depositante richiederà la custodia. In ogni caso, occorre tener presente che nelle operazioni di mutuo, deposito ecc … gli effetti tipici del rapporto non si producono senza la consegna. Pertanto,anche quando può parlarsi di contratto consensuale,la consegna non rappresenta semplicemente una prestazione dovuta, ma emerge come requisito necessario per la produzione degli effetti tipici del negozio. Che le parti abbiano stipulato un contratto reale o un contratto consensuale, dev’essere accertato di volta in volta in sede d’interpretazione del contratto. In mancanza d’indicazioni contrarie, può comunque presumersi che l’operazione corrisponda al tipo normativo del contratto reale. Nei contratti reali la consegna può essere spiegata come il requisito in cui s’esprime la definitività del consenso. Ma la consegna può anche assumere un significato più intenso,quale segno della giuridicità dell’accordo,rendendo tutelabili obblighi e pretese delle parti. d. Adesione al contratto aperto La possibilità d’adesione di nuove parti è tipica dei contratti con comunione di scopo dove le parti cooperano per la realizzazione di un interesse comune. Il contratto che prevede l’adesione successiva di nuove parti si dice appunto “aperto”. Se non è diversamente stabilito, le adesioni devono essere dirette all’organo costituito per l’esecuzione del contratto (art. 1332). L’organo costituito per l’esecuzione del contratto deve intendersi come l’organo rappresentativo esterno al quale è conferita la competenza rappresentativa del gruppo. L’adesione è efficace nel momento in cui essa è ricevuta dall’organo designato, a prescindere dalla conoscenza che ne abbiano le parti. In mancanza di un organo rappresentativo, l’adesione dev’essere comunicata a tutti i contraenti originari. Il nuovo contratto, cioè l’ingresso dell’aderente nel contratto base, è concluso nel Nella nozione di gara rientra anche il concorso,quale procedura che prevede l’esame comparativo dei concorrenti e la prevalenza di chi abbia ottenuto il risultato migliore. Il bando costituisce un’offerta di contratto destinato a perfezionarsi nei confronti di chi risulterà più qualificato secondo i criteri fissati dal promotore; se non sono previsti ulteriori atti,il contratto deve ritenersi perfezionato nel momento in cui il concorrente ha realizzato il risultato richiesto dal bando. Se il bando prevede la successiva stipulazione del contratto,il promotore è obbligato a tale stipulazione. f. Contratto con se stesso È stato inteso in DOTTRINA come un’ipotesi di formazione unilaterale del contratto, ipotesi decisiva per confermare la differenza tra contratto e accordo,e per ravvisare in quest’ultimo solo uno dei possibili criteri di riferimento del regolamento d’interessi alle parti. Il contratto con se stesso esclude la configurabilità dell’accordo? La risposta dev’essere data con riguardo all’accordo quale fenomeno sociale obiettivamente valutabile: la nozione di accordo non s’identifica nella fusione delle volontà reali delle parti,ma richiede che alla stregua di una valutazione obiettiva sia riscontrabile la loro adesione al programma contrattuale. Ora,ai fini dell’accordo, ciò che conta è che a ciascuna parte sia giuridicamente imputabile un atto di consenso negoziale: tale imputazione è possibile attraverso l’istituto della rappresentanza,il quale svincola il contratto dalla necessità d’una diretta manifestazione di volontà della parte sostanziale. A questa è giuridicamente imputato l’atto del rappresentante nel senso che le è imputato il complesso degli effetti giuridici di tale atto: ne consegue la possibilità che lo stesso soggetto manifesti la volontà in nome di rappresentanti diversi. L’accordo è riscontrabile così nell’ipotesi in cui il proponente faccia la proposta a mezzo di un rappresentante e la proposta sia poi accettata dalla stessa persona divenuta rappresentante dell’oblato. Qui vi sono due dichiarazioni emesse in tempi diversi da parte di uno stesso soggetto e imputabili rispettivamente all’una e all’altra parte. È inoltre possibile che il rappresentante esprima in un unico contesto la volontà formativa del contratto: qui la configurabilità dell’accordo è sembrata decisamente esclusa. Per altro,una volta staccata la nozione di accordo dal piano psicologico della fusione delle volontà reali, e identificata la stessa nell’obiettiva concordanza degli atti di volontà giuridicamente imputabili a distinte sfere giuridiche,l’accordo appare riscontrabile anche quando il rappresentante dichiari contestualmente la volontà per l’una e per l’altra parte: anche in questo caso sono riscontrabili due diversi atti decisionali giuridicamente imputabili alle parti. Il contratto non può dirsi formato infatti se il rappresentante non emette due distinte dichiarazioni e se queste non sono distintamente imputate alle parti sostanziali del contratto. Deve allora ammettersi che la fattispecie del contratto con se stesso si presenta in termini di accordo,posto che rispetto a ciascuna parte è identificabile l’atto di adesione al programma contrattuale. g. Proposta di contratto con obbligazioni a carico del solo proponente Tale proposta è irrevocabile appena ricevuta dal destinatario, e per la costituzione del rapporto è sufficiente il mancato rifiuto del destinatario: quest’ultimo può rifiutare la proposta entro il termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi; se non rifiuta tempestivamente il contratto è concluso (art.1333 c.2). Contratti con obbligazioni a carico del solo proponente sono i contratti a titolo gratuito. L’ambito d’applicazione della norma è tuttavia più ristretto: da tale ambito rimane esclusa la principale figura di contratto a titolo gratuito,e cioè la donazione,per la quale è di regola chiesta la forma pubblica. anche l’accettazione dev’essere espressa in forma pubblica,o nello stesso atto che raccoglie la volontà del donante o in un atto successivo. Occorre poi escludere ulteriormente i contratti che stabiliscono a carico del beneficiario obbligazioni modali,dal momento che rendono inapplicabile la forma che fa riferimento ai contratti con obbligazioni a carico del solo proponente. Questa formula consente la costituzione del rapporto senza l’accettazione del destinatario solo in quanto non ne consegua alcuna imposizione a suo carico. La ragione della norma può identificarsi nell’esigenza di semplificare la costituzione del rapporto quando il destinatario dell’atto del dichiarante non è esposto a pregiudizio dall’efficacia dell’atto. Tenendo conto di questa ragione,dev’essere risolto il problema se la possibilità di costituire il rapporto in caso di mancato rifiuto del destinatario operi anche per le attribuzioni traslative di diritti reali. Il problema viene posto dalla DOTTRINA principalmente nell’esame della figura del contratto a favore di terzi: già in questa sede può tuttavia rilevarsi come sia arbitrario fondare su dubbie tradizioni storiche una soluzione tassativamente negativa. D’altro canto,l’accoglimento della soluzione opposta contrasterebbe col principio del rispetto dell’altrui sfera giuridica: principio che consente solo ingerenze aventi effetti non pregiudizievoli per il soggetto,ossia che non comportano a suo carico perdite di diritti o assunzioni d’obblighi o oneri di manutenzione. Ma deve ulteriormente rilevarsi che la promessa dell’offerente può sostanziarsi in una promessa unilaterale di contratto,cioè nell’assunzione di un obbligo unilaterale di contrarre,e che in tal caso la promessa rientra nell’ambito d’applicazione della norma anche se l’impegno riguardi un contratto a titolo oneroso. Dalla promessa unilaterale di contratto,infatti,l’obbligo di stipulare il definitivo scaturisce a carico del solo promittente (es. obbligo di concedere un mutuo). La possibilità che il rapporto si costituisca a seguito del mancato rifiuto del promissario pone un problema di fondo,e cioè se qui si possa parlare di contratto: la dottrina ha tendenzialmente dato al problema una risposta positiva ravvisando nel mancato rifiuto una manifestazione tacita d’accettazione o un comportamento negativo che acquista valore legale di un’accettazione. Questa tendenza si spiega come il tentativo di salvare il principio del contratto quale unico strumento generale dell’autonomia negoziale. Se s’ammettesse la costituzione del rapporto gratuito per volontà d’una sola parte,risulterebbe riconosciuto che la promessa unilaterale può vincolare il promittente anche al di fuori dei casi tipici previsti dalla legge (art. 1987). Il principio non può essere salvato attraverso una finzione e,appunto,è una finzione il ravvisare un’accettazione nel silenzio del promissario: al silenzio può anche essere attribuito valore di una manifestazione di volontà,ma solo in quanto si tratti di silenzio circostanziato,quando cioè le particolari circostanze di un rapporto già costituito consentano d’interpretarlo come manifestazione di un intento negoziale (la mera inerzia del destinatario di fronte alla promessa di un terzo non vale invece come manifestazione di una sua volontà positiva). Se s’esclude che la mancata risposta a una promessa gratuita abbia socialmente il significato di un’accettazione,deve anche escludersi che questo significato sia legalmente imposto dalla legge: una tale imposizione costituirebbe una sicura finzione legale nel convertire la mera inerzia del soggetto in un atto d’autonomia negoziale. Del resto,la formula legislativa non detta un criterio d’interpretazione del comportamento del soggetto,ma si limita a statuire che il contratto si perfeziona in mancanza del rifiuto. Una via d’uscita è parsa alla DOTTRINA più recente quella d’ammettere che il contratto possa formarsi con unica dichiarazione,ossia senza accordo. Ma contro questa soluzione s’impone un rilievo di fondo: la nozione di contratto non può essere svincolata da quella di accordo: la natura contrattuale non attiene al contenuto,ma alla fonte del rapporto. La natura contrattuale vale appunto a indicare che l’obbligazione scaturisce dal contratto e non dalla legge o da atti unilaterali. Se si vuole intendere la norma per quello che essa prevede,deve ammettersi piuttosto che i rapporti che non comportano obbligazioni o pesi economici a carico del destinatario possono costituirsi per effetto della sola volontà dell’obbligato,salvo però il potere di rifiuto del beneficiario che vale a cancellare il rapporto dall’origine. h. Opzione È il contratto che attribuisce a una parte (opzionario) il diritto di costituire il rapporto contrattuale finale mediante una propria dichiarazione di volontà. Nella previsione normativa la dichiarazione della parte vincolata si considera quale proposta irrevocabile per quanto attiene all’inefficacia della revoca e alla persistente efficacia della dichiarazione,pur a seguito del decesso o della sopravvenuta incapacità del dichiarante (art. 1331 c.1). Questo richiamo non vuol dire per altro che il contratto d’opzione sia una proposta irrevocabile: la differenza strutturale è netta nel senso che la proposta è un atto unilaterale mentre l’opzione è un contratto. La sua natura contrattuale comporta 3 cose: • sul piano degli effetti, che la dichiarazione rimane ferma per il generale principio di vincolatività del contratto; • una diversa disciplina del termine: la proposta irrevocabile senza indicazione del termine ha la durata di una proposta semplice. La mancata indicazione del termine dell’opzione comporta invece che,ove non si raggiunga un accordo, la determinazione di esso è rimessa al giudice; • un’accettazione difforme non toglie la possibilità di una successiva efficace dichiarazione conforme; in quanto l’efficacia della dichiarazione discende dal vincolo contrattuale,essa viene meno solo con la scadenza del termine,l’estinzione del contratto o la rinunzia dell’opzionario al suo diritto. Gli effetti dell’opzione tendono a identificarsi con quelli dell’offerta irrevocabile. La loro differenza strutturale porta comunque a riconoscere che l’opzione dà luogo alla formazione del contratto non secondo lo schema proposta-accettazione,ma secondo lo schema particolare “contratto d’opzione-esercizio del potere d’accettazione”. In tale sequenza il contratto d’opzione determina il contenuto del rapporto finale (che è quindi oggetto dell’accordo delle parti) e rimette la costituzione di tale rapporto a un atto unilaterale di una di esse. L’atto dell’opzionario è sufficiente a costituire il rapporto contrattuale finale senza che occorra un ulteriore accordo delle parti. In ciò si coglie la distinzione rispetto al contratto preliminare, dal quale scaturisce l’obbligo di stipulare il contratto definitivo; dall’opzione scaturisce invece il potere dell’opzionario di formare il contratto finale: tale potere viene comunemente qualificato come diritto potestativo. Al diritto di opzione non fa riscontro una posizione di obbligo: la parte vincolata non è tenuta ad emettere altre dichiarazioni di consenso,si tratta piuttosto di una posizione di soggezione rispetto al potere dell’opzionario. In quanto la parte vincolata all’opzione ha una posizione di soggezione,ne consegue che essa non è tenuta né alla prestazione contrattuale finale né all’attività strumentale di cura e preparazione della stessa. Che il dichiarante debba tenere il comportamento di cura e preparazione non rientra nell’economia dell’operazione,caratterizzata dal potere riservato all’opzionario di costituire il rapporto se e quando l’operazione gli parrà conveniente. Il comportamento del concedente che rende impossibile la prestazione dà luogo a responsabilità precontrattuale fondata sulla violazione della buona fede: in tal caso il concedente sarà tenuto alla restituzione dell’eventuale premio o corrispettivo dell’opzione,e a risarcire il danno nei limiti dell’interesse negativo. Se il comportamento del concedente non rende impossibile la prestazione,l’opzionario può esercitare il suo diritto,e la responsabilità deriverà allora dall’inadempimento del contratto finale ormai perfezionato. ▲ La scrittura privata ▲ La forma orale ▲ Il comportamento materiale Vige in genere il principio della libertà di forma,nel senso che di regola il consenso delle parti può essere manifestato con qualsiasi mezzo idoneo; ciò che importa è che il consenso si sia esternato in un fatto socialmente valutabile come accordo. I contratti che rientrano in questa regola generale sono detti “a forma libera”, per distinguerli da quelli formali o solenni. DOTTRINA: la dottrina soggettiva ha teorizzato la distinzione tra negozio e forma,con riferimento ai termini della volontà e della sua manifestazione. Questa distinzione non disconosce l’importanza della forma, in quanto una volontà non manifestata non sarebbe giuridicamente rilevante,ma la forma sarebbe pur sempre il mezzo di esternazione dell’interno volere,in cui consisterebbe l’essenza del negozio. È stata la dottrina precettiva che,in critica al dogma della volontà, ha negato in radice l’idea della forma come veicolo della volontà. La dottrina precettiva coglie indubbiamente un dato che non può essere trascurato,e cioè che il consenso ha sempre bisogno di una forma per obiettivizzarsi come fatto sociale: il consenso che non trova espressione nei segni esterni è insuscettibile d’essere socialmente valutato come atto di autonomia negoziale. L’identificazione del negozio con la sua forma non pare tuttavia del tutto coerente neppure con i postulati della dottrina precettiva,poiché una cosa è l’atto di autonomia negoziale,altro è il modo in cui esso concretamente si manifesta. Con particolare riguardo al contratto visto nell’integralità della sua esperienza, la forma in tanto rileva in quanto tale mezzo sia espressione dell’accordo e dell’autoregolamento, cioè in quanto esprima l’accordo mediante il quale le parti dispongono di un loro rapporto giuridico patrimoniale. Ne consegue che: la sorte del documento attraverso il quale è stato espresso il consenso non incide come tale sull’esistenza del contratto (la distruzione della scrittura privata non importa il venir meno del contratto); lo stesso accordo può essere manifestato in forme diverse senza che ciò importi un moltiplicarsi del contratto. Contratti formali: contratti per i quali la legge richiede una determinata forma a pena di nullità (o ad substantiam). La forma qui diviene elemento costitutivo del contratto e viene indicata come forma legale. Questi contratti si dividono in: • contratti che devono essere stipulati per atto pubblico: donazione,atto costitutivo della spa e convenzioni matrimoniali. L’onere della forma pubblica richiede che le parti dichiarino espressamente la loro volontà in lingua ufficiale; • contratti che devono essere stipulati per atto pubblico o scrittura privata: alienazioni immobiliari e altri atti dispositivi di diritti reali immobiliari (proprietà,usufrutto ecc …). Si discute se l’onere forma possa dirsi assolto quando le parti ricorrono a un linguaggio convenzionale. In ogni caso, se non v’è occultamento della volontà contrattuale, l’onere formale deve reputarsi assolto pur nel ricorso a espressioni equivoche o erroneamente formulate o necessarie d’esplicazione in relazione al comportamento delle parti o a fatti o eventi esterni. Le prescrizioni normative di oneri formali costituiscono deroghe al principio della libertà di forma,quindi la loro applicazione ai casi non previsti incontra il divieto dell’analogia sancito per le norme eccezionali (questo divieto non preclude un’interpretazione estensiva delle norme quando si tratta della medesima operazione economica o della medesima vicenda giuridica). La prescrizione della forma quale elemento costitutivo del contratto risponde a due esigenze in particolare: 1. responsabilizzazione del consenso (esigenza che si rileva particolarmente in relazione all’onere dell’atto pubblico,che impone alla parte di dichiarare il proprio consenso a un pubblico ufficiale); 2. certezza dell’atto. Occorre comunque tener presente che la considerazione degli interessi perseguiti generalmente dalla norma impositrice di un onere formale non può dispensarne l’applicazione alle singole fattispecie: il contratto privo della forma necessaria deve quindi ritenersi nullo anche se le parti avessero espresso un consenso consapevole e certo. D’altro canto,una volta che l’onere formale sia assolto,il contratto è validamente stipulato anche se di fatto la parte non abbia prestato attenzione alla dichiarazione sottoscritta o il documento sia andato distrutto. DOTTRINA: s’è sostenuto che la necessità della forma sarebbe in correlazione con la natura dell’effetto e che pertanto non vi sarebbe un onere formale per quei contratti che sono diretti a modificare,risolvere o estinguere i rapporti derivanti dai contratti formali indicati dalla legge (art. 1350 cc). Giustificato, ancora, appare l’orientamento che richiede la forma scritta per la vendita immobiliare obbligatoria: tale contratto ha infatti pur sempre ad oggetto il trasferimento di un diritto reale immobiliare,e l’effetto obbligatorio è solo un momento strumentale rispetto a questo risultato (uguale conclusione deve quindi ammettersi per i contratti obbligatori diretti ad alienare o costituire diritti reali immobiliari). Questi contratti costituiscono titolo per un effetto reale che in mancanza di un adempimento spontaneo può essere ottenuto in via d’esecuzione in forma specifica, in particolare deve ritenersi necessaria la forma scritta anche per il mandato ad acquistare beni immobili con obbligo di ritrasferimento in capo al mandante o a terzi. Le prescrizioni legali di forma del contratto sono inderogabili; in quanto dirette a regolare l’esercizio dell’autonomia negoziale, vengono a porsi come una limitazione di tale autonomia. L’ammissibilità delle prescrizioni legali formali non è però mai stata contestata,in quanto tradizionalmente s’è riconosciuta la necessità sociale che taluni negozi siano rivestiti di forme particolari e anche perché la limitazione formale non incide in misura rilevante sul suo contenuto. Si spiega pertanto come le prescrizioni di forma si siano sottratte alla problematica della costituzionalità dei limiti legali alla libertà negoziale. Quali elementi devono risultare nell’atto formale affinchè il contratto possa dirsi validamente stipulato nella forma richiesta? 2 tesi: 1. il contenuto minimo dell’atto formale è dato dal contenuto minimo che è necessario e sufficiente per la validità del contratto; occorre quindi che il consenso delle parti,manifestato nella forma richiesta, determini direttamente o indirettamente gli elementi essenziali del contratto (un contratto d’alienazione può dirsi concluso per iscritto se la scrittura identifica le attribuzioni delle parti,come ad es. il bene e il prezzo, e la causa del contratto); 2. tesi più rigorosa: le determinazioni contrattuali devono risultare direttamente dall’atto formale escludendo il rinvio a determinazioni estranee al documento. Ma la completezza dell’accordo dev’essere accertata secondo la disciplina del contratto,la quale richiede che l’oggetto sia determinato o determinabile (art. 1346 cc). In applicazione di questa regola,deve ammettersi che il contratto formale è completo quando abbia un oggetto determinabile, e cioè quando l’atto: a. rinvii all’atto determinativo di un terzo: in questo caso l’atto del terzo è autonomo atto giuridico d’arbitraggio che concorre a determinare il contenuto del rapporto e per il quale si pone un distinto problema di forma; b. o si richiami a elementi obiettivi esterni: in questo caso il fattore esterno è un dato di fatto che entra direttamente nel contenuto dell’accordo. Occorre tuttavia distinguere tra • il riferimento a elementi materiali esterni (come segni naturali di delimitazione del fondo) • e il rinvio al contenuto di altri contratti o di altri documenti (contratti per relazione): qui il rinvio incontra il limite della preclusione di dichiarazioni contrattuali prive della forma dovuta. Il documento non può quindi far proprio un altro documento che non sia sottoscritto dalle parti. È inammissibile così il rinvio a un allegato non firmato o il rinvio al contenuto di un documento redatto e firmato da una sola parte o di un documento di terzi (in quest’ultimo caso le parti devono riprodurre il contenuto nella propria dichiarazione o fare proprio formalmente il documento altrui mediante la propria sottoscrizione). L’onere della forma si estende anche agli elementi non essenziali? 2 soluzioni: 1. soluzione positiva: muove dal rilievo che gli elementi secondari fanno comunque parte del contratto, il quale dev’essere formalizzato nella sua interezza; 2. soluzione liberale: all’onere del requisito formale si sottraggono le determinazioni attinenti alle modalità d’esecuzione delle attribuzioni contrattuali. Ammettendo che una clausola secondaria non richieda a pena di nullità la forma del contratto cui accede, rimarrebbe comunque ferma la regola che vieta la prova testimoniale dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento (art. 2722 cc). Contratti a prova formale: sono quei contratti per i quali una determinata forma è richiesta a fini probatori (ad probationem). Qui la forma non è un elemento costitutivo del contratto ma un onere richiesto ai fini della prova dell’avvenuta stipulazione di esso (es. contratto di alienazione dell’azienda). La mancata osservanza dell’onere formale non impedisce comunque che il contratto sia validamente stipulato e che possa darsene la prova mediante un documento ricognitivo o mediante la confessione. Atto pubblico: il codice s’occupa dell’atto pubblico nel tema delle prove definendolo come il documento redatto con le richieste formalità da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede (art. 2699 cc). Pubblica fede vuol dire piena efficacia probatoria dell’atto: l’atto pubblico fa piena prova,fino a querela di falso,di ciò che in esso è documentato,ossia della provenienza del documento dal pubblico ufficiale,delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza. Egli documenta la dichiarazione emessa dalla parte,ma non la verità e la serietà del suo contenuto: chi contesta che la dichiarazione sia stata fatta, o che sia stata fatta con quel contenuto, ha quindi l’onere di dimostrare in giudizio penale la falsità del documento. Chi invece afferma che la In definitiva,se una parte sa che il firmatario non ha conoscenza del testo sottoscritto,devono ritenersi annullabili le clausole non concordate che incidono apprezzabilmente sulla posizione del firmatario. Ripetizione del contratto: solitamente,le parti che stipulano un contratto per scrittura privata prevedono una successiva ripetizione del contratto in forma pubblica,dal momento che l’atto pubblico rimane la forma ottimale,sia per la maggiore garanzia di regolarità dell’atto,sia per il valore probatorio del documento e sia in funzione della trascrizione. La ripetizione del contratto è l’atto col quale le parti rinnovano il loro consenso esprimendo una volontà attuale corrispondente a quella del contratto già concluso. Dev’essere tenuta distinta rispetto: • al contratto definitivo: con esso le parti non rinnovano il consenso già manifestato ma pongono in essere il rapporto contrattuale finale in adempimento del contratto preliminare; • all’atto di ricognizione in senso proprio: con esso le parti attestano l’avvenuta stipulazione del contratto; • alla rinnovazione del documento: è un’operazione materiale di ricostruzione del documento contrattuale. Inoltre,ricognizione e rinnovazione del documento hanno efficacia meramente probatoria in relazione al contratto,quale fatto storicamente avvenuto, mentre con la ripetizione le parti stipulano nuovamente il contratto anche se col medesimo oggetto del contratto già stipulato. È del tutto ammissibile che la nuova dichiarazione modifichi il contenuto o le modalità stabilite nella prima dichiarazione,dal momento che le parti non certificano il negozio già stipulato né ricostruiscono o riproducono il documento originario. Se le modifiche sono tali da distruggere l’identità del rapporto,la ripetizione lascia presumere una novazione del contratto. L’attualità del consenso permette,ancora,di riconoscere validità al secondo contratto quando siano venute meno le clausole d’invalidità del primo; in tal caso però può profilarsi l’annullabilità del negozio ripetuto per errore di diritto, quando la convinzione della necessità giuridica di rinnovare il consenso sia stata la ragione determinante del contratto (art. 1429 n.4 cc). Deve infine ritenersi che di fronte all’inadempimento dell’obbligo di ripetere il contratto per atto pubblico,l’altra parte possa chiedere l’accertamento del contratto già stipulato o l’accertamento giudiziale della sottoscrizione della scrittura privata. Inammissibile è invece il ricorso al rimedio dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto (art.2932 cc): in quanto il contratto è già stipulato, non potrebbe infatti chiedersi una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso. DOTTRINA: ha provato a spiegare teoricamente la ripetizione: • una teoria la riporta nell’ambito degli atti aventi funzione confessoria o probatoria,ma s’è già visto che la ripetizione non costituisce di regola ricognizione di un precedente negozio; • altra spiegazione è stata tentata nel senso di una mera integrazione formale del contratto,ma di una mera integrazione di forma potrebbe parlarsi solo se le parti rinnovassero il documento materiale relativo al contratto già concluso (con la ripetizione,le parti rinnovano il contratto,cioè manifestano nuovamente il loro consenso); • altra teoria attribuisce funzione novativa rispetto al precedente contratto,tuttavia ciò non può costituire la regola: il negozio novativo dovrebbe essere volto ad estinguere il rapporto contrattuale già instaurato, ad estinguere cioè le originarie posizioni di debito e credito ed annullare gli effetti reali verificatisi. Ora,nella comune ripetizione non si riscontra un intento estintivo del rapporto: nel convincimento delle parti, i crediti e le garanzie permangono e la vicenda traslativa non viene duplicata; • altra ipotesi è quella di un contratto diretto a regolare il futuro svolgimento del rapporto; ma anche quest’ipotesi è insoddisfacente perché presuppone che il rapporto non sia già esaurito. La spiegazione più semplice della ripetizione è quella che s’adegua al fenomeno quale si presenta nell’esperienza,e cioè quale nuova manifestazione di consenso avente lo stesso oggetto del contratto già stipulato. Infatti,secondo l’intendimento delle parti,la ripetizione del contratto è una rinnovazione del consenso,cioè una manifestazione attuale di volontà conforme al contratto già stipulato. Forme volontarie: sono in generale le forme previste da atti negoziali. A differenza delle forme legali, imposte da norme di legge,l’onere della forma volontaria ha la sua fonte nell’autonomia negoziale. L’onere di una determinata forma,precisamente,può essere stabilito mediante un patto di forma,e cioè mediante un patto scritto col quale le parti convengono di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto (art. 1352 cc). Il patto di forma rientra nella categoria dei negozi normativi: può essere autonomo o accessorio di un altro contratto. L’interesse che sottende una prescrizione volontaria di forma è normalmente quello di consentire la pubblicità del contratto (a tal fine è usuale che il contratto preliminare preveda la stipulazione del definitivo per atto notarile). Prescrizioni volontarie di forma si giustificano poi in ragione di un’esigenza di certezza dell’atto (prescrizioni di forma che rendano difficile l’accesso a beni o servizi essenziali non presentano però una causa meritevole di tutela e se ne deve quindi escludere la validità). Il patto può prevedere una data forma come necessaria ai fini della prova,oppure come requisito essenziale del contratto. La legge presume che la forma volontaria sia voluta per la validità del negozio (art.1352 cc),ma in realtà qui non si tratta tanto di una presunzione in senso proprio,quanto piuttosto d’una regola interpretativa. Più precisamente si tratta di una regola d’interpretazione oggettiva,la quale è operante solo quando l’interpretazione soggettiva del patto non accerta una diversa volontà delle parti. Il dettato legislativo ha inteso risolvere il problema anteriormente dibattuto in DOTTRINA,e cioè se il patto sulla forma sia valido e,in caso affermativo,se esso stabilisca un requisito formale necessario o meramente probatorio. La soluzione normativa (“si presume che la forma sia stata voluta per la validità …”) ha indotto parte della dottrina a parificare la forma volontaria alla forma legale costitutiva e quindi a reputare nullo il contratto che non rivesta la forma prevista. La dottrina prevalente tuttavia tende a contestare questo riferimento alla nullità assoluta,argomentando che solo la legge può sancire l’invalidità del negozio contrastante con le sue statuizioni. 2 repliche: • sarebbe proprio la legge a riconoscere nella forma volontaria un requisito di validità del contratto; • il patto è diretto alla tutela d’interessi particolari,quindi la disciplina della nullità è inapplicabile posto che le parti potrebbero egualmente volere dare corso all’esecuzione del contratto. Per un corretto inquadramento della forma stabilita negozialmente,occorre muovere da un rilievo di fondo: la forma stabilita negozialmente costituisce un requisito volontario, quindi la rilevanza in ordine al contratto che le parti possono attribuire a determinati requisiti è la rilevanza propria della condizione: subordinare il contratto a un determinato requisito volontario significa subordinarlo a un requisito d’efficacia. Il riferimento della formula legislativa alla “validità” del contratto esclude la presunzione nel senso della finalità meramente probatoria della forma volontaria,ma non esclude che la mancanza della forma volontaria debba spiegarsi in termini d’inefficacia (la distinzione terminologica tra invalidità e inefficacia non è infatti rigorosa nel linguaggio legislativo). Occorre considerare che la soluzione in termini d’inefficacia,oltre conforme al ruolo della forma volontaria quale requisito condizionante del contratto, consente di spiegare come le parti o la parte interessata possano rinunziarvi e quindi recuperare al contratto la sua efficacia. Contratti telematici: sono i contratti stipulati in via telematica,ossia mediante l’uso di un elaboratore elettronico o computer. Il contratto telematico può avere ad oggetto la fornitura di software o altri contenuti, dovendosi di volta in volta classificare nel tipo causale corrispondente. La novità è data dalla forma elettronica usata,ma questa non solleva particolari problemi in relazione agli atti e contratti a forma libera. Una profonda innovazione è stata invece introdotta dalla legge n. 59/’97 che ha sancito il principio della validità e rilevanza a tutti gli effetti degli atti pubblici e privati posti in essere con strumenti telematici o informatici conformi ai requisiti di legge = la firma digitale, ossia il risultato della procedura informatica che rende manifesta e consente di verificare la riferibilità soggettiva e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici (è in pratica il requisito che dà al documento informatico il valore di scrittura privata). Tale procedura è basata sulla combinazione di due chiavi crittografiche, dette chiavi asimmetriche: tale coppia inscindibile consta di una chiave privata e di una pubblica: la prima è l’elemento della coppia destinato a essere conosciuto solo dal soggetto titolare, mediante il quale s’appone la firma digitale sul documento informatico, mentre la seconda è l’elemento destinato a essere reso pubblico col quale si verifica la firma digitale apposta sul documento informatico dal titolare delle chiavi. Quindi chi vuole fare una dichiarazione contrattuale in via elettronica, identifica il proprio messaggio mediante la sua chiave privata,costituita da un algoritmo,e il destinatario s’avvarrà della chiave pubblica per leggere il messaggio; l’esito positivo dell’utilizzazione della chiave pubblica consentirà al destinatario di verificare la provenienza del messaggio (la chiave pubblica identifica infatti il soggetto che s’avvale della rete telematica). Se il messaggio è inviato da un soggetto diverso da quello contrassegnato dalla chiave pubblica,quest’ultima non varrà a decifrare la comunicazione. Il documento digitale ha l’efficacia della scrittura privata sancita dal codice ai sensi dell’art.2702. Il titolare della chiave privata non può disconoscere la firma digitale corrispondente alla propria chiave,perché essa è giuridicamente la sua firma. Se poi non v’è corrispondenza tra le firme,nessun valore può esser attribuito al documento,non occorrendo al riguardo alcun onere di disconoscimento. Sul piano processuale la prova della corrispondenza delle firme è onere di chi s’avvale del documento informatico,poiché la corrispondenza non appare dal documento stesso. Il documento digitale è inoltre insuscettibile di disconoscimento nelle ipotesi in cui il firmatario assuma che la firma sia stata utilizzata da un terzo: qui infatti non si tratta di firma non autentica. All’utilizzatore della chiave potrà sempre essere eccepito che il documento ha un contenuto stilato contro la volontà del titolare della chiave o in difformità delle sue istruzioni. Rispetto ai terzi di buona fede trova invece applicazione il principio dell’apparenza imputabile, quanto l’accordo non è diretto a creare una pretesa socialmente tutelabile. Se si tratta della prestazione di un bene,l’intento d’escluderne la rilevanza giuridica può significare l’intento d’escluderne l’effetto traslativo e l’onerosità,ossia può significare che il bene viene prestato in comodato semplice. Se invece l’intento è quello d’escludere il diritto alla restituzione del bene,l’atto viene in definitiva ad attribuire all’alienatario il diritto di far suo il bene,e quindi l’esclusione degli effetti giuridici dell’operazione è smentita dall’effettiva volontà delle parti. Contenuto in senso sostanziale: s’identifica nell’oggetto del contratto; il codice lo include tra gli elementi costitutivi,i cui requisiti sono la possibilità,determinatezza o determinabilità (art. 1346 cc). La nozione di oggetto quale contenuto sostanziale del contratto è largamente contestata dalla nostra DOTTRINA,la quale ha cercato di fissare un’autonoma nozione d’oggetto o,addirittura,d’elaborare una teoria dell’oggetto del negozio. Tale oggetto è stato ravvisato ora negli interessi regolati,ora nel bene quale entità reale sulla quale cadono gli effetti negoziali,ora nel bene quale ideale previsione delle parti,ora nella prestazione,ora come termine esterno alla struttura del contratto. Di bene come oggetto del contratto si può parlare tuttavia anche in un diverso significato,e cioè come bene reale quale porzione della realtà materiale sulla quale cadono gli effetti del contratto. Tale significato trova conferma nel linguaggio legislativo,precisamente in quelle disposizioni che indicano nell’oggetto il bene in ordine al quale si producono gli effetti obbligatori o reali. La possibilità di intendere il bene reale come oggetto del contratto presenta però il pericolo di riferire interamente a tale bene l’impegno contrattuale che,invece,dev’essere determinato secondo il complesso delle indicazioni convenzionali e delle integrazioni legali. Occorre cioè distinguere tra: bene dovuto e bene reale; se le parti identificano un bene reale come oggetto del contratto,l’impegno contrattuale ha per oggetto tale bene con riferimento alla sua identità,ma oltre a questa occorre aver riguardo anche agli altri aspetti del bene,tenendo conto della complessiva previsione contrattuale e dei criteri legali (si pensi all’alienazione di un bene immobile,concretamente identificato dai suoi attuali confini: all’alienatario spetta questo bene reale e un bene che sia anche privo di vizi occulti; se il bene risulta viziato,non basterà all’alienante eccepire che si tratta dell’oggetto del contratto,poiché l’esattezza dell’attribuzione deve essere verificata con riguardo al bene idealmente dovuto secondo le determinazioni convenzionali e legali,e non semplicemente con riguardo al bene reale). • Possibilità dell’oggetto: deve intendersi sia in senso fisico o materiale che in senso giuridico. L’oggetto è materialmente possibile quando è astrattamente suscettibile d’attuazione. Il giudizio di possibilità: • non riguarda la concreta attitudine delle parti ad assolvere l’impegno assunto,ma l’astratta realizzabilità di tale impegno,sia pure con l’impegno di uno sforzo diligente superiore al normale. Quando l’impegno è astrattamente possibile il contratto è valido,anche se di fatto la parte non abbia i mezzi per adempiere (in tal caso l’inettitudine della parte si tradurrà in inadempimento della prestazione); • non esige l’attuale esistenza del bene previsto: il contratto può infatti avere ad oggetto un bene futuro. Ma anche quando il contratto ha per oggetto un bene presente,la sua attuale esistenza non è presupposto di validità del contratto: l’impegno contrattuale infatti non è condizionato a una situazione di fatto se tale situazione è il risultato in ordine al quale la parte s’è impegnata (il contratto di alienazione di beni confezionati in scatola chiusa non è nullo se la scatola contiene beni di genere diverso: l’alienante risponderà per non avere atrribuito il bene dovuto). L’inesistenza del bene comporta impossibilità originaria del contratto solo quando ha per oggetto un bene insuscettibile d’esistenza o d’identificazione. Come l’impossibilità sopravvenuta,anche quella originaria può essere definitiva o temporanea; la legge ammette la validità del contratto temporaneamente impossibile se la possibilità sopravviene prima della scadenza del termine o dell’avvenimento della condizione sospensiva, mentre l’impossibilità definitiva comporta la nullità del contratto. Bene futuro è il bene attualmente inesistente come autonomo oggetto di diritti di godimento,ma suscettibile di venire ad esistenza. Beni futuri sono,precisamente: • le cose non ancora esistenti in natura; • le cose esistenti in natura che non sono di proprietà di alcuno ma suscettibili d’occupazione; • i prodotti d’opera non ancora formati nella loro individualità economica; • i prodotti naturali non ancora staccati dalla cosa madre. La legge prevede la possibilità che il contratto abbia ad oggetto beni futuri (art. 1348 cc). L’attuale inesistenza del bene futuro non comporta mancanza dell’oggetto del contratto; in quanto le parti prevedono un bene futuro,l’oggetto del contratto è appunto il bene previsto. Non può quindi essere condivisa la tesi dell’incompletezza del contratto,e precisamente la tesi del contratto in via di formazione (con anticipazione del consenso rispetto a un elemento essenziale del contratto). Ugualmente inammissibile appare la tesi della sospensione dell’efficacia del contratto,e cioè la tesi che ravvisa nella venuta ad esistenza del bene un elemento costitutivo della situazione effettuale o,senz’altro,una condizione legale del contratto. Il venire ad esistenza del bene è un risultato che rientra nell’immediato impegno della parte che l’ha promesso (il contratto avente ad oggetto un bene futuro è quindi un contratto obbligatorio). Se la produzione del bene diviene impossibile,il contratto si risolve per sopravvenuta impossibilità della prestazione: in tal caso non si tratta di costatare la nullità del contratto per mancanza dell’oggetto, ma d’accertare se la sopravvenuta impossibilità sia o no imputabile alla part,e cioè se si tratta di un evento che essa avrebbe evitato con l’uso della dovuta diligenza. La responsabilità della parte comporta l’obbligo del risarcimento del danno per inadempimento: il danno risarcibile è costituito dalla violazione dell’interesse positivo all’esecuzione del contratto. La formula legislativa in tema di vendita non aleatoria di cosa futura prevede la nullità del contratto quando la cosa non viene ad esistenza (art. 1472 c.2 cc). Tale formula si riferisce all’ipotesi in cui l’impegno dell’alienante non riguarda il prodursi del bene; in quanto l’evento della produzione del bene esula dall’impegno contrattuale,esso può configurarsi come una condizione sospensiva,e il suo mancato verificarsi comporta allora l’inefficacia retroattiva del contratto. Se invece il promittente venditore mantiene il diritto alla sua prestazione pur nell’ipotesi di mancata produzione del bene,l’evento incide sulla proporzionalità delle reciproche attribuzioni e rende quindi il contratto aleatorio. • Liceità dell’oggetto: lecito è l’oggetto che non è contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. S’intende pertanto che la liceità non è un requisito positivo dell’oggetto del contratto, bensì un requisito negativo;: precisamente la liceità indica che il contratto non integra la violazione di un divieto sancito a pena di nullità. L’illiceità si distingue rispetto all’impossibilità giuridica in quanto essa esprime un giudizio di riprovevolezza da parte dell’ordinamento giuridico mentre l’impossibilità giuridica indica la semplice inidoneità dell’atto a realizzare l’effetto giuridico programmato. • Determinatezza o determinabilità dell’oggetto: questo requisito richiede che l’accordo contenga le indicazioni sufficienti a rendere determinato o determinabile il rapporto contrattuale (art. 1346 cc). Le determinazioni delle parti possono essere dirette o indirette,nel senso che le parti possono stabilire direttamente il contenuto del loro rapporto oppure rimetterne la determinazione a fattori esterni (oltre ai criteri convenzionali trovano applicazione i criteri legali di determinazione del rapporto contrattuale,come i prezzi d’imperio,la qualità media ecc …). Il rapporto contrattuale può dirsi determinabile quando i criteri convenzionali e legali consentono di fissarne il contenuto. La determinabilità rimessa ad elementi esterni all’accordo non può però essere totale, in quanto il nucleo essenziale del rapporto contrattuale deve essere direttamente stabilito dalle parti. Non basta quindi che il contratto indichi i criteri per la determinazione del rapporto,ma occorre che risulti già la causa e che risulti anche la natura delle prestazioni principali. Con riguardo ai diritti futuri è inoltre necessario che vi sia una determinazione attuale risultante dalla specificazione della loro entità o del loro titolo o delle operazioni cui essi ineriscono (la nostra tradizione esclude poi che la determinazione del rapporto sia rimessa all’arbitrio della parte). La giurisprudenza non è giunta a definire le condizioni minime di determinabilità dell’oggetto; al riguardo è significativo l’orientamento che in passato dichiarava determinabile l’oggetto della fideiussione universale (c.d. fideiussione omnibus) con la quale il soggetto assume la garanzia di tutti i debiti che il debitore ha e potrà avere nei confronti dell’istituto di credito. Identificazione del bene: è l’accertamento del bene specifico dedotto in contratto. Essa procede sulla base degli elementi indicati in contratto; elementi d’identificazione precisamente sono quegli elementi che valgono a distinguere il bene nella sua identità (nomi,confini,contrassegni ecc ..). Gli elementi sono sufficienti quando essi consentono sia pure mediante la verifica di una situazione di fatto,d’accertare nella sua identità il bene specifico al quale le parti han fatto riferimento. L’insufficienza degli elementi d’identificazione importa l’indeterminatezza del contenuto del contratto. Determinatezza e identificazione rimangono comunque due concetti distinti: la prima stabilisce quale prestazione spetta alla parte mentre la seconda accerta quale bene è specificamente dedotto in prestazione. L’identificazione del bene concorre a determinare la prestazione,e così il contenuto del contratto, ma è solo uno degli elementi di tale determinazione (principale elemento d’identificazione degli immobili sono i confini determinati dalle proprietà altrui,ma questo elemento non è sufficiente quando si tratta di una nuova unità immobiliare risultante da divisione,scorporo o lottizzazione di un più ampio immobile; in tal caso occorre fare riferimento a indicazioni di misura,a rappresentazioni grafiche su mappe, a confini naturali). Gli elementi d’identificazione indicati in contratto potrebbero risultare contrastanti: la discordanza dei dati d’identificazione può riscontrarsi particolarmente tra le indicazioni dei confini e i dati catastali (in tal caso la giurisprudenza dà prevalenza alle prime). Tuttavia,ciò che conta è di volta in volta ricostruire il reale intento delle parti. Contratto per relazione: le disposizioni contrattuali indirette sono quelle che rimettono la determinazione del rapporto a fattori esterni all’accordo (atti o fatti oggettivi). Le determinazioni indirette si caratterizzano come disposizioni “per relazione” quando determinano il contenuto del rapporto in relazione ad altri atti, delle parti o di terzi, che non hanno di per sé una funzione 3. Se le parti non s’accordano sulla designazione del terzo: di regola il contratto deve reputarsi non concluso in quanto le parti non hanno raggiunto l’accordo su tutti i punti dedotti nella trattativa. È però possibile che le parti concludano il contratto pur senza essersi accordate sulla designazione del terzo: la volontà delle parti può essere interpretata nel senso che esse hanno inteso costituire il vincolo rinviando la determinazione di un elemento di esso a un successivo accordo. In tal caso l’impossibilità di designazione del terzo è una vicenda successiva alla formazione del contratto,e il principio di conservazione giustifica pertanto il ricorso al giudice per consentirne l’esecuzione. Spetterà allora al giudice fare la determinazione o nominare il terzo arbitratore. Tale soluzione trova riscontro nella disciplina della vendita,dove la legge prevede che il presidente del tribunale,su richiesta di una delle parti,proceda alla nomina del terzo anche nel caso in cui le parti non s’accordano sulla designazione (art. 1473 c.2 cc). L’arbitraggio dev’essere distinto rispetto: • all’ARBITRATO IRRITUALE = negozio mediante il quale uno o più arbitri pongono fine a una controversia altrui definendo vincolativamente le reciproche pretese dei contendenti. L’arbitrato irrituale esprime una volontà negoziale diretta a fissare il rapporto esistente tra i contendenti: tale atto li vincola in forza del potere rappresentativo che questi conferiscono all’arbitro in funzione di composizione della lite; • alla PERIZIA CONTRATTUALE (figura delineata dalla giurisprudenza) = accertamento tecnico che le parti deferiscono a un terzo per determinare un elemento della prestazione dedotta in contratto. In realtà non sembra che la perizia contrattuale costituisca un’autonoma figura,in quanto il carattere tecnico dell’operazione deferita al terzo non toglie che l’atto sia comunque diretto a determinare il rapporto contrattuale altrui o a comporre una controversia (nel primo caso si tratterà di arbitraggio,nel secondo di un arbitrato irrituale). Art. 1349 c.1 cc: la determinazione del terzo quale equo arbitratore è nulla quando essa sia • manifestamente iniqua: è la determinazione che sacrifica notevolmente l’interesse di una parte senza giustificarsi nell’economia del contratto; • o erronea: l’errore dell’arbitratore rileva autonomamente pur se non importa una notevole iniquità della determinazione. L’errore è dato dalla falsa conoscenza o utilizzazione degli elementi attraverso i quali il terzo è pervenuto alla determinazione. La falsa utilizzazione può consistere, in particolare,in un errore di calcolo o anche in una deduzione sicuramente contrastante con le premesse alla stregua di riconosciute regole di tecnica ed esperienza. Altre cause di nullità della determinazione del terzo: • mala fede: rende nulla la determinazione anche se si tratta di determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo. Per mala fede deve intendersi la voluta parzialità della determinazione a favore di uno dei contraenti; • violenza: è causa generale d’invalidità degli atti giuridici,qui però non entra in considerazione l’interesse dell’autore dell’atto,bensì l’interesse del destinatario di esso. La violenza può quindi essere considerata rilevante se e in quanto sia diretta ad alterare a danno di una delle parti l’esercizio del potere di determinazione del contratto; • violazione delle istruzioni impartite al terzo; • incapacità d’intendere se,e in quanto,abbia impedito un’obiettiva valutazione degli interessi contrattuali conformemente alla funzione dell’atto. L’invalidità dell’arbitraggio ne importa la radicale nullità secondo il principio valevole per gli atti giuridici in senso stretto. Le parti possono tuttavia sempre accettare l’atto del terzo a prescindere dalla sua invalidità e quest’accettazione può anche essere tacita quando esse danno esecuzione al contratto pur essendo coscienti dell’invalidità della determinazione fatta dal terzo. La determinazione nulla può essere sostituita dalla determinazione del giudice,salvo che si tratti di mero arbitrio. La determinazione del rapporto contrattuale può essere rimessa ad una delle due parti? DOTTRINA: la tradizionale risposta negativa risponde all’esigenza di evitare un’ingiustificata soggezione di una parte all’arbitrio dell’altra nella determinazione del rapporto (quest’esigenza non esclude però in via assoluta la possibilità che un limitato potere di determinazione sia affidato a una delle parti se l’altra risulta fondamentalmente salvaguardata contro il pericolo d’abusi). La legge prevede solo la determinazione del terzo; l’ammissibilità di una parziale determinazione del rapporto da parte del titolare interessato trova esplicito riconoscimento in tema d’obbligazione alternativa (art.1285 cc): tale riconoscimento può ritenersi espressione di un più ampio principio,formulabile nel senso che la determinazione successiva del contratto può essere rimessa ad uno dei contraenti nei limiti in cui non si presti ad alterare la posizione dell’altro contraente. Clausole d’uso o usi negoziali: sono pratiche generalizzate degli affari. Loro elemento costitutivo è la loro applicazione costante e generalizzata in un dato luogo o settore d’affari. Le clausole d’uso s’intendono inserite nel contenuto del contratto salvo che risulti che esse non sono state volute dalle parti (art. 1340 cc); sono quindi considerate come clausole contrattuali,e come tali prevalgono sulle norme dispositive di legge. Trovano applicazione senza che occorra la prova che le parti li abbiano conosciuti e accettati (possono ad es. prevedere la variabilità della quantità o della qualità della merce entro determinati limiti di tolleranza). Problema: tali clausole hanno natura negoziale o normativa? Il problema dev’essere risolto nel senso della natura negoziale delle clausole d’uso prescindendo dalla rilevanza della volontà delle parti in ordine alla loro applicazione. Ciò che conta è che il significato obiettivo della proposta e dell’accettazione si determina secondo la pratica corrente del luogo o del settore d’affari: coloro che in un dato luogo o in un dato settore d’affari stipulano un contratto possono confidare sul normale significato del loro accordo secondo ciò che viene generalmente praticato senza bisogno di un esplicito richiamo (la presunzione legale risponde quindi a un dato dell’esperienza e al principio generale della vincolatività dell’accordo secondo il significato oggettivo che questo assume nell’ambiente socio- economico). Le clausole d’uso possono sostanzialmente accomunarsi agli usi interpretativi (art. 1368 cc): si tratta infatti pur sempre di ciò che si pratica nel luogo in cui il contratto è concluso. La pratica corrente può svolgere una funzione specificamente interpretativa come criterio d’intendimento delle clausole ambigue oppure una funzione direttamente determinativa del contratto,che è anch’essa fondamentalmente interpretativa in quanto esprime il significato obiettivo dell’accordo. Devono però essere distinte rispetto: • agli usi individuali: questi sono la prassi che s’instaura nei rapporti fra determinati contraenti. Tale prassi rileva ai fini dell’interpretazione del contratto come comportamento complessivo delle parti. Siamo comunque al di fuori della nozione d’uso negoziale quale pratica generalizzata degli affari; • agli usi normativi: • un primo criterio distintivo è dato dall’oggetto,dal momento che gli usi negoziali hanno ad oggetto il rapporto contrattuale mentre quelli normativi possono avere ad oggetto le materie più varie; tuttavia, anche gli usi normativi possono avere ad oggetto rapporti contrattuali: in tal caso la distinzione deve necessariamente fondarsi sugli elementi caratterizzanti la consuetudine quale fonte del diritto,occorrendo che sussista un comportamento sociale uniforme consolidato nel tempo e che la generalità dei consociati s’attenga effettivamente alla norma consuetudinaria come norma di diritto. La generalità e la costanza di una pratica tuttavia non basta ad integrare la nozione d’uso normativo,la quale richiede una pratica inveterata e consolidata nell’ambiente sociale quale regola di diritto. • Netta è poi la differenza con riferimento all’efficacia: gli usi negoziali valgono come clausole contrattuali (poiché esprimono il significato che l’accordo assume nella pratica corrente),mentre quelli normativi hanno efficacia normativa e,secondo la disciplina delle fonti del diritto obiettivo,s’applicano nelle materie regolate da leggi o regolamenti quando sono richiamati da queste norme. Come per gli usi normativi,la prova dell’esistenza degli usi negoziali deve essere data da chi ne richiede l’applicazione. La prova della loro esistenza risulta normalmente dalle raccolte pubblicate dalle camere di commercio (non fanno prova dell’esistenza di usi negoziali le raccolte curate dalle associazioni di categoria: non si tratta di usi ma di condizioni generali di contratto). La natura negoziale delle clausole d’uso comporta infine che la loro interpretazione deve uniformarsi ai criteri valevoli per l’interpretazione del contratto (art. 1362 ss. cc). Condizioni generali di contratto: sono le clausole che un soggetto (PREDISPONENTE) utilizza per regolare uniformemente i suoi rapporti contrattuali. La nozione di condizioni generali si puntualizza anzitutto in relazione al carattere generale delle clausole predisposte: nella corretta definizione giurisprudenziale le sono destinate a regolare una serie indefinita di rapporti contrapponendosi alle clausole specificamente elaborate per i singoli rapporti. Il predisponente è di solito un imprenditore che utilizza le clausole generali per disciplinare in modo uniforme i rapporti d’erogazione di beni e servizi alla clientela. Seguendo la teoria prevalente,il codice norma trova applicazione anche se il contratto tipo è utilizzato occasionalmente dalle parti; in tal caso, esso rimane un semplice schema astratto di contratto,in quanto non v’è un predisponente che lo destina alla disciplina uniforme dei suoi rapporti contrattuali. Le clausole aggiunte al modulo o al formulario sottoscritto dall’aderente possono integrare,modificare o chiarire il testo dello stampato originario. Il testo s’intende modificato quando la clausola aggiunta contrasta con esso: in tal caso la clausola aggiunta prevale sulla clausola incompatibile del modulo o formulario anche se non si sia proceduto alla sua materiale cancellazione (art.1342 c.1 cc). c. Clausole d’uso: il ricorso costante e generalizzato a determinate condizioni generali prospetta la possibilità che tali condizioni si configurino come clausole d’uso o usi negoziali. In tal caso le clausole s’intendono inserite nel contenuto del contratto,salvo che risultino non volute dalle parti,a prescindere dalla circostanza che l’aderente le abbia conosciute o avrebbe dovuto conoscerle. Affinchè si possa parlare di usi negoziali occorre tuttavia che sussista una pratica sicuramente generalizzata nel senso dell’applicazione delle clausole a prescindere dal loro richiamo nella stipulazione dei singoli contratti. D’altro canto deve escludersi che per questa via l’aderente possa essere assoggettato a clausole vessatorie non specificamente accettate: le clausole d’uso sono infatti pur sempre clausole negoziali in quanto entrano nel contenuto del contratto. In particolare, esse, pur divenendo d’uso comune,sono egualmente qualificabili come condizioni generali se risultano unilateralmente elaborate e utilizzate dagli imprenditori del settore o da loro organizzazioni di categoria. Ne consegue che come clausole d’uso,esse entrano nel contratto senza che occorra una specifica accettazione,ma se hanno il carattere della vessatorietà occorre il requisito formale della specifica accettazione scritta. Le clausole vessatorie: sono condizioni generali che aggravano la posizione dell’aderente rispetto alla disciplina legale del contratto. La legge prevede una serie di clausole vessatorie e ne condiziona l’efficacia alla specifica approvazione scritta dell’aderente (art.1341 c.1 cc): tale norma deroga alla regola valevole di massima per le condizioni generali, le quali sono efficaci nei confronti dell’aderente che le conosceva o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza. Precisamente,non hanno effetto per l’aderente senza la sua specifica approvazione per iscritto: A _ le condizioni che stabiliscono A FAVORE DEL PREDISPONENTE: 1. limitazioni di responsabilità: sono le clausole che esonerano in tutto o in parte il predisponente dalle conseguenze dell’inadempimento (es. clausole che precludono all’aderente il diritto di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento o che escludono in tutto o in parte il diritto dell’aderente al risarcimento del danno). Occorre notare che il requisito della specifica approvazione per iscritto rileva solo per le clausole d’esonero da responsabilità del predisponente per colpa lieve che non siano contrarie all’ordine pubblico (le clausole d’esonero da responsabilità per dolo o colpa grave sono invece vietate a prescindere dalla loro specifica approvazione). Il requisito della specifica approvazione per iscritto rileva ancora per le clausole d’esonero da responsabilità per il fatto degli ausiliari,se si ritiene che queste non ricadano nel divieto generale. 2. facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione: la vessatorietà della clausola deve riscontrarsi quando il predisponente s’attribuisca una facoltà di recesso o di sospensione che per legge non gli compete. Si ritiene pertanto che non sia vessatoria la clausola risolutiva espressa in quanto il predisponente avrebbe comunque il diritto d’ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento dell’aderente. Tuttavia,la vessatorietà deve riscontrarsi se e in quanto il predisponente modifica a proprio vantaggio, e a carico dell’aderente, la disciplina legislativa della risoluzione del contratto o della sospensione dell’adempimento. B _ le condizioni che stabiliscono A CARICO DELL’ADERENTE: 1. decadenze: le condizioni generali che sanciscono decadenze a carico dell’aderente sono le clausole che impongono particolari oneri per l’acquisto o la conservazione di un diritto o che aggravano gli oneri previsti dalla legge. Sono da considerare vessatorie,così,le clausole che ad es. stabiliscono,a pena di perdita del diritto di garanzia, l’onere dell’aderente di denunziare i vizi della cosa mediante una determinata forma o che restringono ulteriormente il termine legale entro il quale la denunzia dev’essere fatta. Al riguardo occorre comunque tener presente il divieto generale dei patti coi quali si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile ad una delle parti l’esercizio del diritto (art. 2965 cc). 2. limitazioni alla facoltà d’opporre eccezioni: le limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni si riscontrano ogni qual volta l’esercizio della tutela processuale dell’aderente sia subordinato al previo adempimento della controprestazione o al compimento di qualsiasi altro atto sostanziale. Ma in termini generali può dirsi che rientrano nella previsione normativa tutte le clausole che limitano sul piano processuale la posizione dell’aderente (una ricorrente clausola vessatoria è quella che preclude d’avvalersi dell’eccezione d’inadempimento al fine di sospendere l’esecuzione della prestazione). La legge in ogni caso sancisce la nullità delle clausole limitative delle eccezioni di nullità,annullabilità e di rescissione del contratto (art. 1462 c.1 cc). 3. restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi: sono quelle clausole che limitano l’autonomia dell’aderente in ordine alla stipulazione di negozi,alla determinazione del loro contenuto o alla scelta dei contraenti o destinatari dell’atto. Tali sono ad es. i divieti d’alienazione, i prezzi imposti,e cioè le clausole che impongono all’aderente di rivendere al prezzo fissato dal predisponente,i patti di non concorrenza,i patti di prelazione nonché i patti che riservano al predisponente la facoltà di prorogare o rinnovare il contratto. Una restrizione della libertà contrattuale è contenuta anche nell’obbligo di tenere ferma la proposta nei confronti dell’oblato: sembra mancare qui il presupposto d’efficacia delle condizioni generali nei confronti dell’aderente, e cioè la conclusione del contratto. In realtà,quando l’aderente fa una proposta sottoscrivendo il formulario del predisponente, ricorrono gli estremi di un accordo preparatorio,col quale l’aderente rimane vincolato alla propria dichiarazione e il predisponente si riserva la facoltà d’accettarla o meno (v sono cioè gli estremi del contratto d’opzione). 4. proroghe tacite o rinnovazioni del contratto: in questa previsione rientrano tutte le clausole che sanciscono l’automatica proroga o rinnovazione del contratto in mancanza di un’apposita denunzia. Vessatorie sono egualmente le clausole che ampliano la previsione legislativa della proroga o rinnovazione tacita,imponendo ad es. un più lungo termine di preavviso o una determinata forma all’atto di denunzia o disdetta. Le clausole di proroga o rinnovazione tacita del contratto sono vessatorie anche se sono stabilite nei confronti delle due parti. Ugualmente vessatoria deve considerarsi la clausola che riserva al predisponente la facoltà di prorogare o rinnovare il contratto, tuttavia tale clausola rientra fra quelle che restringono la libertà contrattuale dell’aderente,in particolare la libertà d’utilizzare la propria prestazione a favore d’altri al termine del rapporto contrattuale. 5. clausole compromissorie e deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria: sono quelle che commettono ad arbitri la risoluzione delle eventuali controversie tra l’aderente e il predisponente o terzi. Secondo la regola generale le clausole compromissorie devono essere stipulate in forma scritta a pena di nullità. La forma scritta non è tuttavia sufficiente quando tali clausole rientrano fra le condizioni generali di contratto: in questo caso occorre la specifica approvazione dell’aderente. Clausole vessatorie devono ritenersi anche quelle che affidano la risoluzione delle controversie a un arbitrato libero o irrituale. Sebbene gli arbitri assumano in tal caso la veste di mandatari e la controversia sia decisa mediante un contratto,la clausola costituisce comunque una deroga alla giurisdizione ordinaria perché comporta una rinunzia parziale dell’aderente alla tutela giurisdizionale. Vessatorie infine sono le clausole che derogano alle norme sulla giurisdizione o alle norme sulla competenza territoriale dell’autorità giudiziaria fissando un foro diverso da quello competente per legge o anche limitando la scelta tra i fori alternativamente previsti dalle norme processuali. Non basta che l’aderente sottoscriva il testo del contratto contenente le clausole vessatorie, ma è necessaria un’apposita sottoscrizione avente ad oggetto tali clausole. Inoltre,non occorre sottoscrivere ciascuna clausola,ma è sufficiente sottoscrivere un’apposita dichiarazione che raggruppi le clausole vessatorie. La soluzione normativa che richiede l’onere formale della specifica approvazione per iscritto importa comunque l’inefficacia della clausola vessatoria non sottoscritta a prescindere dalla circostanza che l’aderente la conoscesse o meno o si trovasse in posizione economica inferiore o meno rispetto al predisponente. D’altro canto è opinione seguita che la previsione dell’onere formale della specifica sottoscrizione riguardi esclusivamente le clausole indicate dalla legge e che non possa estendersi analogicamente ad altre clausole egualmente gravose (tassatività delle ipotesi normativamente previste): l’inapplicabilità dell’analogia è argomentata dall’eccezionalità della norma che richiede la specifica approvazione per iscritto,trattandosi dell’imposizione di un particolare onere formale in deroga alla regola generale della libertà di forma. La norma non sarebbe quindi suscettibile d’estensione analogica ,ma solo d’interpretazione estensiva (es. non si considerano vessatorie la clausola penale, la clausola d’interessi, la rinunzia, la clausola che attribuisce al venditore la facoltà di aumentare il prezzo già stabilito al variare della situazione di mercato; questo perché sono tutte previste dalla legge). La ragione della norma che richiede la specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie deve ricercarsi nell’esigenza di tutelare l’aderente contro le condizioni generali gravose,e cioè le condizioni che aggravano la sua posizione rispetto a quella risultante dall’applicazione della disciplina legale del contratto. Trattandosi di un requisito di forma,la specifica approvazione per iscritto è comunque necessaria a prescindere dalla circostanza che l’aderente abbia o non abbia avuto sufficiente consapevolezza delle clausole vessatorie. In mancanza della specifica approvazione per iscritto,la clausola vessatoria è priva d’effetto quindi pur se l’aderente ne abbia preso effettiva conoscenza al momento della conclusione del contratto. La mancanza della specifica approvazione non è supplita dal fatto che l’aderente produca in direttiva,la legge n.52/’96 ha dettato la disciplina dei “contratti del consumatore” immettendola nella normativa codicistica dei contratti in generale (cap. XIV bis, art. 1469 bis e ss.). Punti salienti della disciplina: a. Ambito oggettivo: esteso a tutte le clausole contrattuali,anche se non integranti condizioni generali di contratto, che presentino il carattere della vessatorietà. In realtà,è destinata a operare normalmente nel campo delle condizioni generali di contratto, in quanto l’erogazione imprenditoriale di beni e servizi s’esplica necessariamente mediante contratti a contenuto standard e in quanto è proprio il potere di predisposizione unilaterale del regolamento contrattuale che dà luogo al fenomeno delle clausole vessatorie. b. Ambito soggettivo: delimitato ai contratti stipulati tra professionisti e consumatori. • Professionista è il produttore o distributore di beni o servizi che pone in essere il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale; • consumatore è chi non agisce nel quadro della sua attività professionale. Quando può dirsi che il contraente “non agisce nel quadro della sua attività professionale”? 2 ipotesi interpretative: • consumatore è chi contrae per scopi personali o domestici (imprenditore che acquista un televisore per usi familiari). Quest’interpretazione però porta al risultato di lasciare scoperta quella larga fascia di contratti in cui il professionista contrae per scopi che sono solo connessi alla sua attività; • consumatore è chiunque contragga per acquisire beni o servizi al di fuori dell’esplicazione della sua specifica attività professionale (produttore di elettrodomestici non è consumatore se acquista materie prime per la sua industria; lo è invece se contratta con la banca per ottenere un finanziamento). c. Divieto d’inserimento di clausole vessatorie nei singoli contratti e conseguente inefficacia delle stesse. Sono vessatorie le clausole che,malgrado la buona fede,determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e obblighi derivanti dal contratto (art. 1469 bis cc). Il carattere vessatorio delle clausole dev’essere accertato in concreto, tenendo conto della natura della prestazione e delle circostanze del contratto e soprattutto valutando nel suo complesso il contenuto del contratto e degli altri contratti che vi sono collegati o da cui dipende. Il significativo squilibrio che connota la vessatorietà non attiene alle determinazioni dell’oggetto e del corrispettivo: la normativa ha infatti inteso rimettere tali determinazioni al gioco del libero mercato e della concorrenza,fermo l’onere del professionista di formularle in modo chiaro e comprensibile. Ciò da cui il consumatore dev’essere protetto è piuttosto l’abuso del potere regolamentare del contratto. La vessatorietà è pertanto esclusa in relazione alle clausole che sono state oggetto di trattativa individuale (è onere del professionista provare l’intervenuta trattativa individuale), e cioè che sono il risultato di una negoziazione tra le parti, dovendosi intendere per “trattativa” lo scambio di proposte e controproposte culminante in apprezzabili concessioni da parte del professionista. Tuttavia,alcune clausole si presumono vessatorie pur se abbiano costituito oggetto di trattativa: sono quelle previste dall’art.1469 quinquies ai numeri 1,2 e 10 della lista grigia dell’art.1469 bis. La legge prevede infatti un elenco di clausole presuntivamente vessatorie (c.d. lista grigia): le clausole rientranti in quest’elenco si presumono vessatorie fino a prova contraria, (onere che incombe sul professionista,ma che può essere in concreto rilevato anche dal giudice). L’elenco non è tassativo. Una parziale deroga alla norma sulla lista grigia è sancita dal codice con riguardo ai contratti aventi a oggetto la prestazione di servizi finanziari e valori mobiliari: precisamente il professionista può recedere in qualsiasi momento senza preavviso purchè sussista un giustificato motivo e venga data al cliente immediata comunicazione. Il professionista può inoltre modificare le clausole del contratto nonché il tasso degli interessi e gli importi dovuti per i servizi resi,sempreché sussista un giustificato motivo e sia data immediata comunicazione al cliente: quest’ultimi potrà allora recedere dal contratto. La deroga trae ragione dalla necessità di preservare al professionista una sfera di poteri normalmente funzionali all’efficiente esercizio della sua attività. Senz’altro lecite,infine, sono poi le clausole che riproducono norme di legge o di trattati internazionali vincolanti gli Stati dell’Ue o che attuano principi di tali trattati. Ù Le clausole vessatorie sono inefficaci,ferma l’efficacia del contratto per la restante parte. L’inefficacia può essere rilevata d’ufficio dal giudice e si pone come sanzione della violazione di una norma imperativa. Troveranno applicazione,in quanto non derogate dalla particolarità di tale modello,le soluzioni conformi al profilo della nullità. Il riconoscimento che l’inefficacia di cui parla la legge ha fonte nella nullità del contratto consente d’escludere la validità di una preventiva rinunzia del consumatore a far valere l’inefficacia delle clausole vessatorie e d’escludere la validità di una mera accettazione delle stesse. d. Tutela inibitoria contro la predisposizione di condizioni generali di contratto vessatorie: essa è intesa a rimuovere le clausole abusive dai testi delle condizioni generali di contratto. Tale azione tutela i destinatari delle condizioni generali di contratto,cioè la generalità dei soggetti i cui rapporti contrattuali sono destinati a essere regolati dalle condizioni generali predisposte dal professionista. L’azione è diretta a fare inibire dal giudice l’uso delle condizioni generali di contratto di cui sia accertata la vessatorietà ed è esercitabile non dal singolo consumatore ma dalle associazioni rappresentative dei consumatori e dei professionisti,nonché dalle camere di commercio. La legittimazione passiva spetta al professionista o alle associazioni di professionisti che utilizzano le contestate condizioni generali di contratto (non occorre che il professionista abbia già iniziato ad avvalersi delle condizioni generali che appaiono vessatorie,essendo sufficiente che abbia elaborato e reso noto il testo di tali condizioni). L’inibitoria può anche essere concessa in via cautelare quando ricorrono giusti motivi di urgenza. Il requisito dei giusti motivi d’urgenza è parso problematico: le prime decisioni giurisprudenziali l’hanno ravvisato ora nell’importanza dell’interesse minacciato, ora nell’irreparabilità del danno e ora nell’ampiezza di diffusione delle clausole. Queste interpretazioni appaiono tuttavia riduttive,posto che le clausole vessatorie sono di per sé suscettibili di provocare un rilevante danno sociale e reclamano un tempestivo rimedio cautelare. Appare appropriata la tesi che ne ravvisa la sussistenza a fronte della utilizzazione in atto delle condizioni vessatorie mentre riserva la necessità dell’accertamento di tali motivi in presenza della mera predisposizione. e. Principio di trasparenza: le clausole contrattuali devono essere formulate dal professionista in un modo chiaro e comprensibile. L’inosservanza di tale onere può dar luogo a clausole incomprensibili o a clausole ambigue: queste ultime vanno interpretate nel significato più favorevole al consumatore (art. 1469 quater cc). Quelle insuscettibili di esser comprese da un soggetto di media capacità e intelligenza devono invece ritenersi non incluse nel contenuto del contratto,in applicazione della regola che esclude dal contenuto del contrato le condizioni generali incomprensibili,ferma restando la possibilità di una loro accettazione da parte del consumatore. La medesima regola trova applicazione anche con riguardo a clausole che non siano oggetto di condizioni generali di contratto. La disciplina del codice introduce il principio del controllo sostanziale del contratto quale regola che tutela il contraente in ragione della sua soggezione al potere di regolamentazione del contratto detenuto dai produttori e distributori di beni e servizi; il controllo sostanziale è cioè in funzione della tutela di un contraente istituzionalmente debole e il nuovo principio del diritto dei contratti sancisce il dovere della parte forte di non abusare del suo potere contrattuale per squilibrare a suo favore il regolamento del contratto. Tale innovazione è radicale perché perché investe tutti i contratti attraverso i quali sono erogati al pubblico beni e servizi. L’INTERPRETAZIONE = operazione che accerta il significato giuridicamente rilevante dell’accordo contrattuale. Interpretare significa quindi accertare il significato di ciò che le parti han disposto (cioè il contenuto sostanziale del contratto). Il significato del contratto è quello che risulta da un apprezzamento obiettivo dell’atto secondo le regole interpretative,e questo significato obiettivo esprime fondamentalmente la comune intenzione delle parti: come sancito dall’art. 1362 c.1 cc infatti, compito essenziale dell’interprete è quello di ricercare la comune intenzione delle parti. Ma tale compito non si limita a ciò: quando questa intenzione non è chiaramente manifestata, l’interprete deve procedere secondo criteri che non si conformano a una specifica volontà delle parti,ma che sono comunque diretti ad accertare il contenuto sostanziale del contratto sulla base di valutazioni normative (è su questi due momenti della ricerca dell’unico obiettivo significato che si fonda la distinzione tra interpretazione soggettiva ed oggettiva). Sebbene l’interpretazione del contratto abbia una disciplina diversa da quella dell’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE,non sono mancati in DOTTRINA gli accostamenti tra le due figure,intese come espressioni di un medesimo tipo d’operazione. In realtà le due operazioni sono profondamente diverse: l’interpretazione del contratto tende ad accertare il contenuto di un atto di autonomia privata secondo l’intento dei suoi autori, mentre l’interpretazione della legge tende ad accertare il contenuto di una regola dell’ordinamento secondo la sua funzione sociale. L’interpretazione della legge pone quindi problemi,come quelli della costituzionalità e della effettività,che sono estranei all’interpretazione del negozio. valore interpretativo. Tuttavia, il fatto che la parte accetti consapevolmente un’esecuzione divergente ha la sua importanza: tale accettazione può significare che la parte ha tollerato l’inesatta esecuzione del contratto senza per ciò stesso autorizzare ulteriori adempimenti inesatti. Il ripetersi delle accettazioni tolleranti può deporre per una tacita modifica del contratto. • Art. 1363: bisogna procedere all’interpretazione complessiva delle clausole (c.d. interpretazione sistematica). Le clausole devono quindi essere interpretate le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto. L’interpretazione sistematica ha per oggetto gli atti attraverso i quali si perfeziona l’accordo e le dichiarazioni che rientrano nel contenuto formale del contratto (vi rientrano anche i documenti tecnici allegati nei quali risultano precisati contenuti e modalità delle prestazioni contrattuali). • Art. 1364: bisogna presumere che espressioni generali siano limitate agli oggetti del contratto. • Art. 1365: bisogna presumere che i casi indicati a spiegazione di un patto abbiano semplice valore esemplificativo (c.d. interpretazione presuntiva). • Art. 1369: bisogna intendere le espressioni con più sensi nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto (c.d. interpretazione funzionale). In pratica,tale interpretazione è diretta a ricercare il significato del contratto in coerenza con la causa concreta di esso; il significato di ciò che le parti hanno concordato non può infatti essere adeguatamente accertato se non si tiene conto della ragione pratica dell’affare,ossia della sua causa concreta. La ragione pratica dell’affare,a sua volta,può essere identificata solo considerando il contenuto dell’accordo in cui si rivela il disegno unitario del contratto. L’interpretazione si traduce quindi in un’operazione circolare nella quale le dichiarazioni e il comportamento delle parti concorrono a indicare la causa del contratto e questa, a sua volta, concorre a chiarirne il significato. Secondo l’opinione seguita,questo primo gruppo di norme appartengono all’INTERPRETAZIONE SOGGETTIVA,diretta a chiarire la comune intenzione delle parti conformemente al principio di fondo sull’interpretazione del contratto. • Art. 1367: nel dubbio il contratto deve interpretarsi nel senso in cui possa avere qualche effetto (c.d. interpretazione utile). • Art.1368: le clausole ambigue devono interpretarsi secondo le pratiche generali del luogo di conclusione del contratto o del luogo dell’impresa,se una delle parti è imprenditore. • Art.1370: le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto devono interpretarsi nel senso più favorevole all’aderente. • Art. 1371: nel dubbio persistente,il contratto deve essere interpretato nel senso meno gravoso per l’obbligato se si tratta di contratto a titolo gratuito,e nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti se è a titolo oneroso. Questo secondo gruppo invece appartiene all’INTERPRETAZIONE OGGETTIVA,diretta a fissare il significato del contratto quando è dubbia la comune intenzione dei contraenti. In tal caso il significato del contratto s’uniforma a canoni legali improntati fondamentalmente alla conservazione dell’atto,alla tipicità e all’equità. Tra i due gruppi è collocata la regola che impone d’interpretare il contratto secondo BUONA FEDE (art. 1366); la tendenza prevalente assegna la regola al secondo gruppo,ma appare preferibile riconoscere in essa il ruolo di principale criterio d’interpretazione soggettiva del contratto. In DOTTRINA si discute ancora se essa faccia parte di un gruppo o dell’altro: una prima opinione ravvisa nella buona fede un fondamentale precetto di lealtà e chiarezza sul cui presupposto andrebbe interpretato il contratto, e in cui verrebbero a sintetizzarsi il momento soggettivo e quello oggettivo (questa stessa opinione è stata espressa dalla Relazione al codice). Altri autori accentuano il momento soggettivo di tale interpretazione secondo buona fede, mentre un terzo orientamento la riconduce a un criterio di controllo del contratto. Altra dottrina ancora ne ravvisa un criterio d’integrazione del contratto. In quest’incertezza d’opinioni, occorre muovere da un dato generalmente riconosciuto: qui si tratta della buona fede in senso obiettivo,ossia della buona fede quale regola di condotta. Occorre poi prendere atto dell’importanza assunta dalla buona fede nell’esercizio dell’autonomia contrattuale: è richiamata dalla legge sia nella formazione che nell’esecuzione del contratto e in generale nell’esecuzione del rapporto obbligatorio. Questi molteplici richiami rispondono all’idea di buona fede quale principio etico- sociale che impronta tutta la materia contrattuale: non ha un contenuto prestabilito ma è un principio di solidarietà contrattuale che si specifica in due fondamentali aspetti: quello della salvaguardia (attivarsi per salvaguardare l’utilità dell’altra parte nei limiti di un apprezzabile sacrificio) e della lealtà. Ora,nell’interpretazione del contratto la buona fede rileva come obbligo di lealtà,imponendo di non suscitare e di non speculare sui falsi affidamenti e di non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nell’altra parte. Precisamente,essa esige di preservare il ragionevole affidamento di ciascuna parte sul significato dell’accordo: il ragionevole affidamento di una parte si determina in relazione a quanto l’altra parte abbia lasciato intendere mediante le proprie dichiarazioni e il proprio comportamento valutati secondo un metro di normale diligenza. La buona fede emerge allora come primario criterio d’interpretazione soggettiva del contratto: in applicazione di tale criterio,l’interprete deve adeguare l’interpretazione al significato sul quale le parti potevano e dovevano fare ragionevole affidamento. La regola è applicabile anche alle dichiarazioni unilaterali recettizie. Le regole legali d’interpretazione sono norme giuridiche (nel senso che la loro violazione da parte del giudice di merito dà adito al ricorso per Cassazione), e sono anche norme tecniche quando si adeguano a comuni canoni di logica e d’esperienza. Destinatari di tali norme non sono solo i giudici,ma anche tutti coloro che han l’obbligo o l’onere d’interpretare il contratto (come ad es. la parte adempiente,in quanto l’interpretazione rientra nello sforzo diligente richiesto al debitore per l’esatto adempimento). Le norme ermeneutiche sono derogabili dalle parti (ad eccezione di quella sull’interpretazione secondo buona fede, dovendosi reputare questo un principio d’ordine pubblico). La tesi dell’assoluta inderogabilità delle regole d’interpretazione muove dal rilievo che il destinatario di tali regole è il giudice; può tuttavia replicarsi che principio fondamentale dell’interpretazione è il rispetto della comune intenzione delle parti,e che pertanto il giudice deve attenersi a quella comune intenzione che si sia manifestata attraverso le deroghe alle regole legali d’interpretazione. La ricerca della comune intenzione delle parti: cosa vuol dire “comune intenzione”? DOTTRINA: due concezioni • Psicologica: identifica la comune intenzione nella volontà reale delle parti. Ma questa teoria incontra le obiezioni formulate in generale contro la teoria volontaristica,che disconosce la realtà sociale dell’accordo. Altre perplessità attengono alla possibilità di ravvisare come fine dell’interpretazione la ricerca di una volontà comune,che sul piano dell’esperienza è un dato eventuale e comunque non necessario alla perfezione del contratto (se una parte accetta la proposta dell’altra cadendo in errore sul significato della proposta,l’accordo si perfeziona, il contratto deve essere interpretato, ma non potrà dirsi che il risultato dell’interpretazione esprime la reale volontà comune delle parti). • Obiettiva: identifica la comune intenzione nel valore obiettivo del contratto riconoscibile dalle congruenti dichiarazioni e condotta delle parti. L’interpretazione del contratto deve in realtà tener conto della comune intenzione delle parti obiettivizzata nell’accordo; il contrasto tra la posizione oggettiva e quella soggettiva dev’essere superato riconoscendo che il contratto è un fatto sociale,un accordo nel quale le parti assumono un impegno in ordine al loro rapporto. La comune intenzione si concreta nel significato che per le parti stipulanti ha avuto l’impegno assunto,e questo significato è presuntivamente quello normale,ossia il significato che in un dato ambiente socio-economico può attribuirsi alle dichiarazioni e ai comportamenti dei contraenti alla stregua di una valutazione normalmente diligente. Può sussistere divergenza tra il significato obiettivo dell’accordo e il significato che una delle parti ha ad esso attribuito: anche qui occorre aver riguardo all’intenzione comune obiettivizzata nell’accordo. La parte in errore non può pretendere di far valere la propria anomala interpretazione perché essa ha concordato con l’altra parte mediante una dichiarazione o un comportamento concludente che devono essere intesi secondo il loro significato normale (il significato anomalo che la parte attribuisce alla propria dichiarazione non può comunque prevalere sul significato normale di essa,quale dev’essere inteso secondo un criterio di normale diligenza in base alle concrete circostanze del contratto). In conclusione, può dirsi che nell’interpretare il contratto occorre avere riguardo al significato che ciascun contraente,in base alle concrete circostanze,doveva ragionevolmente attribuire all’accordo. Regole d’interpretazione soggettiva: tale interpretazione è quella che tende ad accertare la comune intenzione delle parti. Regole primarie d’interpretazione soggettiva sono quelle della interpretazione a. globale b. letterale c. globale d. sistematica e. funzionale f. presuntiva delle espressioni generali g. delle indicazioni esemplificative. Carattere sussidiario hanno invece le regole della interpretazione oggettiva,che trovano applicazione quando l’applicazione dei criteri d’interpretazione soggettiva non abbia condotto a un risultato certo. Giurisprudenza: attribuisce carattere sussidiario a tutti i criteri d’interpretazione non letterale del contratto, in quanto andrebbero utilizzati solo quando il testo del contratto non indichi in maniera sicura la volontà delle parti. Questo declassamento però è ingiustificato: esso muove dal convincimento che il significato letterale del testo renda superflua l’interpretazione,la quale sarebbe una operazione che dev’essere compiuta solo quando il significato del contratto è del contratto. L’uso di termini errati o impropri non esclude che la comune intenzione delle parti risulti espressa nella forma richiesta. L’onere della forma non consente invece di dare rilevanza alla volontà delle parti che si manifesti al di fuori e in contrasto col testo in ordine agli elementi essenziali del contratto. Le manifestazioni di volontà extratestuali che non abbiano valore interpretativo devono anch’esse rispettare l’onere formale se modificano le determinazioni assoggettate a tale onere. Tutela dei terzi: il problema che si pone è il problema dei terzi che fanno affidamento sul significato apparente del testo. L’esigenza di tutela dei terzi trova appropriata risposta nel principio adottato in tema di simulazione: esso consente ai terzi di buona fede,che abbiano acquisito diritti sulla base del significato apparente,d’opporre tale significato alle parti. Interpretazione autentica: è quella fatta d’accordo dalle parti medesime per chiarire il significato del contratto. Può essere contestuale al contratto o successiva: la prima fa parte integrante del contratto, mentre la seconda interviene per accertare il significato di un contratto che le parti han già stipulato,e che quindi ha già un suo significato. Il problema che si pone è: le parti hanno il potere di stabilire per contratto l’accertamento del rapporto giuridico? La soluzione positiva porta ad ammettere che le parti possono accertare tra di loro quale fosse il significato dell’accordo; questo accertamento non incontra tuttavia il limite dei comuni negozi d’accertamento,i quali vincolano le parti sul presupposto della corrispondenza tra accertamento e realtà. Piuttosto,in quanto le parti interpretano d’accordo il loro contratto,esse esprimono implicitamente una volontà negoziale attuale che li esime dai criteri legali d’interpretazione. LA CAUSA = ragione pratica del contratto,cioè l’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare. La causa è alla base del riconoscimento dell’autonomia contrattuale: le parti possono stipulare liberamente i contratti al di fuori dei tipi previsti dalla legge purchè siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322 c.2). In particolare, la causa: ▲ è un elemento essenziale del contratto (art. 1325 n.2),quindi dev’essere sempre presente nel contratto (sia questo tipico o atipico), e la sua mancanza ne determina la nullità (art. 1418 c.2); ▲ costituisce fondamento della rilevanza giuridica del contratto: affinché il contratto sia riconosciuto come giuridicamente impegnativo,non è sufficiente che sussista l’accordo ma occorre anche che l’accordo sia giustificato da un interesse apprezzabile; è in questo senso che la causa diviene elemento essenziale del contratto; ▲ assume il ruolo di: a. criterio d’interpretazione del contratto b. criterio di qualificazione del contratto (il confronto con modelli e i criteri di classificazione contrattuale richiede infatti che s’accerti preliminarmente quale interesse il contratto è concretamente volto a realizzare): qualificare giuridicamente un atto vuol dire assegnarlo ad una data categoria giuridica o giuridicamente rilevante; è quindi una valutazione giuridica, mentre l’interpretazione è una valutazione di fatto (la qualifica presuppone l’avvenuta interpretazione). Sul piano processuale la distinzione rileva in quanto l’interpretazione è riservata al giudice di merito: la Cassazione può censurare l’interpretazione del contratto per violazione di regole ermeneutiche o per insufficienza/incongruenza del ragionamento, ma non può sostituire la propria interpretazione a quella censurata. Quale valutazione giuridica,la qualificazione del contratto non è invece riservata esclusivamente al giudice di merito: se questi qualifica erroneamente il contratto,la Cassazione può procedere direttamente alla corretta qualificazione. Le parti possono qualificare il contratto e la loro qualificazione può rilevare ai fini dell’interpretazione,in quanto concorre ad accertare il significato dell’accordo. La qualificazione delle parti tuttavia non è vincolante né per le parti stesse né per i terzi, dovendo in ogni caso valere la qualificazione appropriata al complessivo contenuto del contratto; c. criterio d’adeguamento del contratto (solo in relazione all’interesse concreto perseguito dalle parti deve infatti accertarsi se,ad es.,il rapporto possa sopravvivere a una parziale nullità del contratto) ▲ si distingue rispetto • all’oggetto: quest’ultimo indica il programma,ossia il contenuto dell’accordo delle parti,mentre la causa indica l’interesse che tale programma è volto a soddisfare; • ai motivi: essi sono gli interessi che la parte tende a soddisfare mediante il contratto, ma che non rientrano nel contenuto di questo. Sono di regola irrilevanti in quanto le finalità esterne al contenuto del contratto non possono incidere sui diritti e obblighi delle parti senza comprometterne di massima l’esigenza di certezza della regola contrattuale. Tradizionalmente, l’irrilevanza dei motivi è stata spiegata considerando il motivo un impulso psichico che non si traduce nell’atto di volontà negoziale. Secondo una parte della dottrina poi, l’irrilevanza dei motivi andrebbe ricercata nella loro estraneità alla causa: la legge s’interessa solo della funzione tipica del contratto,e non degli scopi variabili che di volta in volta possono indurre le parti a contrarre. Ma tale criterio di distinzione cade se s’ha riguardo alla causa concreta del contratto: se si guarda alla funzione pratica che le parti hanno effettivamente assegnato al loro accordo,devono allora rilevare anche i motivi,se questi non siano rimasti nella sfera interna di ciascuna parte ma si siano obiettivizzati nel contratto,divenendo interessi che il contratto è diretto a realizzare. Gli interessi che il contratto è diretto a realizzare non sono per altro meri motivi ma sono interessi che concorrono a integrare la causa del contratto. Di motivi in senso proprio può parlarsi con riguardo agli interessi che non rientrano nel contenuto del contratto. L’assunto della normale irrilevanza dei motivi dev’essere allora ridimensionato rispetto al suo originario significato,in quanto l’estraneità dell’interesse alla funzione tipica del negozio non basta a relegarlo tra i semplici motivi: se l’interesse s’inserisce nell’economia dell’affare, esso diviene per ciò stesso causa del contratto ed è come tale rilevante. Anche i motivi propriamente detti possono avere poi una determinata rilevanza: l’errore sul motivo è causa d’annullabilità del testamento e della donazione quando il motivo risulta dall’atto e sia stato il solo a determinare il suo compimento. NATURA DELLA CAUSA: una prima fondamentale distinzione si pone tra 2 concezioni: 1. concezione oggettiva: ad essa appartengono • la teoria oggettiva classica: ha riguardo alle singole obbligazioni o attribuzioni contrattuali, e ravvisa la causa di ciascuna di esse nella controprestazione e, più in generale, nel fatto o nella cosa che ne costituisce il fondamento (causa dell’obbligazione del venditore è il prezzo). Punti deboli: donazioni, dove in mancanza di un fondamento oggettivo s’ammette che la causa consista nell’intento di liberalità; la nozione di causa perde in tal modo la sua linearità. Ciò ha offerto il fianco alla critica da parte della dottrina soggettiva. • la teoria della funzione: causa dell’obbligazione è l’obiettiva funzione economico-sociale del negozio. La causa diviene quindi la funzione tipica ed astratta del negozio. Tale funzione prescinde dagli scopi delle parti e dalle finalità per le quali le parti intendono strumentalizzare il contratto: ciò che conta è la causa corrispondente a ciascuna figura tipica del negozio. Quest’idea,che trova riscontro nel codice vigente, ha espresso anche l’idea della causa come criterio di controllo della meritevolezza degli atti d’autonomia privata,ed è stata intesa da una parte della nostra dottrina in termini d’utilità sociale: il contratto deve realizzare un interesse che sia utile alla stregua dell’apprezzamento sociale. 2. concezione soggettiva: causa dell’obbligazione è lo scopo della parte,cioè lo scopo per il quale la parte assume l’obbligazione. La causa viene quindi intesa come la motivazione del consenso. Secondo altra dottrina invece la causa acquisterebbe un suo specifico valore giuridico proprio in quanto comprensiva delle ragioni particolari che di volta in volta muovono le parti al contratto. In realtà,il distacco della teoria soggettiva della causa rispetto alla teoria classica oggettiva è più apparente che reale: la causa viene infatti a cadere normalmente sulla stessa entità indicata come fondamento oggettivo del negozio. La differenza sembra allora ridursi a due diverse visuali del medesimo elemento.
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