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Riassunto Biologia Generale, Sbobinature di Biologia Applicata

Riassunto di biologia generale con integrazione dal libro di Solomon

Tipologia: Sbobinature

2021/2022

Caricato il 16/02/2023

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eleonora-celeste-pinna 🇮🇹

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Scarica Riassunto Biologia Generale e più Sbobinature in PDF di Biologia Applicata solo su Docsity! Scienze Biologiche. Ambiente Primordiale: Le origini della vita. La vita sulla Terra ha preso origini dai materiali non viventi ed in particolare dalle molecole chimiche inorganiche presenti dopo il big-bang. L’atmosfera primordiale era infatti formata da composti come metano (CH4) ammoniaca (NH3), vapore acqueo (H2O), idrogeno (H2), acido solfidrico (H2S), anidride carbonica (CO2) e azoto (N2), che si erano generati in seguito alle esalazioni vulcaniche e alle piogge. L’ossigeno nell’atmosfera era quasi del tutto assente, e di conseguenza anche l’ozono, per cui i raggi ultravioletti del Sole, arrivavano fino alla superficie della Terra. Su di essa erano presenti intensi campi di energia che determinavano Terremoti, eruzioni vulcaniche, fulmini. Tutto ciò fornì l’energia necessaria per innescare le reazioni chimiche che, dai semplici composti inorganici, portarono alla formazione dei composti organici che stanno alla base del funzionamento delle cellule. Composti Organici: sono molecole formate principalmente da Carbonio, Idrogeno e Ossigeno, che possono avere strutture molto grandi e complesse e una grande variabilità di forme e caratteristiche. A questo proposito alcuni esperimenti di laboratorio sono riusciti a dimostrare che in quei momenti le condizioni estreme della terra erano capaci di produrre dei semplici composti organici. In questi esperimenti, in apparato chiuso una miscela di gas inorganici come CH4, NH3, CO2, H2 scaldata con acqua è stata bombardata con energia sottoforma di scariche elettriche o radiazioni ultraviolette; i ricercatori hanno rilevato la formazione di semplici composti organici in grande quantità come formaldeide, acido formico, acetico e lattico, alcuni amminoacidi come la glicina, l’alanina, l’acido aspartico dimostrando che la produzione di queste sostanze è piuttosto facile e che quindi è probabile che nell’ambiente primordiale fosse ricco di questi composti. Circa 4 miliardi di anni fa si verificò inoltre un evento innovativo: alcune macromolecole organiche in grado di interagire tra loro tramite reazioni chimiche si trovarono aggregate in compartimenti all’interno delle membrane. Queste strutture diedero vita alle prime cellule. Per circa 2 miliardi di anni, gli organismi viventi sono rimasti a livello di singole cellule che vivevano negli oceani in modo da essere protette dai raggi ultravioletti del sole. Queste cellule erano i procarioti (prima del nucleo, sono cellule senza nucleo) in cui il materiale che conteneva l’informazione genetica necessaria per replicarsi, così come gli aggregati macromolecolari che permettevano loro di vivere, erano liberi di fluttuare all’interno delle membrane. Diverse cellule procariote vivono ancora ai giorni nostri come gli eubatteri e gli archeobatteri. I procarioti primordiali vivevano «consumando» le molecole organiche che erano presenti nell’ambiente (erano eterotrofi) che utilizzavano per crescere e replicarsi e per produrre energia per il loro metabolismo. Queste cellule erano anche anaerobie (vivevano senza ossigeno). Definizioni degli organismi: Autotrofi ed Eterotrofi. Gli organismi Autotrofi, sono in grado di vivere in ambienti in cui sono presenti semplici composti inorganici, essi riescono a sintetizzare le molecole biologiche di cui hanno bisogno utilizzando, come fonte di carbonio l’anidride carbonica e come fonte di azoto l'ammoniaca o altri composti inorganici azotati. Per essi, quindi, la presenza o meno di altri organismi, come pure di molecole organiche di origine esogena, non è necessaria. Gli organismi Eterotrofi manifestano la necessità, dal punto di vista nutrizionale, di composti organici perché da queste molecole ricavano, l'energia necessaria alla loro sopravvivenza. Non sono in grado di sintetizzare molecole organiche, se non ci sono muoiono. Gli organismi possono essere classificati anche in anaerobi e aerobi a seconda della capacità di vivere in assenza di ossigeno. Gli organismi Anaerobi sono in grado di vivere in assenza di ossigeno. Producono energia e le molecole per le funzioni vitali senza utilizzare l’ossigeno. Gli organismi Aerobi hanno invece bisogno di ossigeno per svolgere le funzioni cellulari e per produrre energia, in sua assenza muoiono. Fino ad un miliardo di anni fa, esistevano sulla terra solo organismi unicellulari, poi grazie al fatto che le cellule hanno cominciato a modificare le loro strutture e le loro funzioni, per adattarsi meglio agli stimoli ambientali e hanno iniziato ad aggregarsi in complessi pluricellulari, è stata possibile la nascita dei primi organismi pluricellulari. In questi organismi pluricellulari le cellule componenti si sono via via più specializzate in funzioni specifiche. Per esempio, all’interno dello stesso organismo alcune cellule si sono occupate della fotosintesi, altre trasportavano le materie prime e l’ossigeno per i processi vitali, altre ancora si trasformavano in cellule per la riproduzione sessuale. A questo punto è iniziata la vita sulla terra come la conosciamo noi ora… I passaggi fondamentali: fotosintesi e ricombinazione sessuale. Lo sviluppo della vita sulla terra è stato profondamente segnato dalla comparsa della fotosintesi. Circa 2,5 miliardi di anni fa, infatti, alcuni procarioti (molto simili alle attuali alghe azzurre) acquisirono la capacità di utilizzare l’energia solare per produrre le molecole necessarie al loro metabolismo (glucosio (C6H12O6)) ed ossigeno (O2), diventando quindi autotrofi. La massa di ossigeno che venne rilasciata dai processi di fotosintesi cambiò la composizione dell’atmosfera, creando lo strato di ozono protettivo dai raggi solari e permise lo sviluppo di microorganismi aerobi (che vivono utilizzando l’ossigeno). Un secondo evento fondamentale nell’evoluzione della vita sulla terra è stata la comparsa della ricombinazione sessuale e cioè la possibilità per due cellule diverse di combinare il loro patrimonio genetico in una singola cellula figlia. Questo meccanismo ha permesso la generazione di organismi con un grado di variabilità maggiore e quindi c’era una probabilità maggiore che alcune di esse si adattassero bene all’ambiente chiamati ioni. Il legame ionico si forma tra specie dotate di carica elettrica (ioni) attraverso la cessione o l’acquisizione di elettroni. Nel caso della molecola di NaCl (cloruro di sodio, sale da cucina), l’atomo di sodio (Na) cede un elettrone all’atomo di cloro (Cl). Dopo questo passaggio il sodio è carico positivamente Na+ mentre il cloro acquisisce una carica negativa Cl-. La forte attrazione tra le cariche elettriche positiva e negativa fa sì che si formi il legame ionico e tiene insieme gli atomi. Quando un atomo accetta uno o più elettroni si carica negativamente e viene chiamato anione. Se invece perde uno o più elettroni si carica positivamente e viene chiamato catione. Il numero di elettroni negli orbitali esterni è una caratteristica importante perché elementi con lo stesso numero di elettroni di valenza formeranno ioni con la stessa carica. Esempio: elementi del II gruppo che hanno una struttura elettronica simile (2 elettroni esterni) sono definiti metalli alcalino terrosi e hanno tutti la tendenza a trasformarsi in cationi (perdendo i 2 elettroni esterni) es: Be++, Mg++, Ca++. Oppure gli elementi del VII gruppo, gli alogeni, hanno 7 elettroni esterni e tendono ad acquisirne 1 (per raggiungere gli 8 elettroni esterni) e a trasformarsi in anioni con una carica negativa: Br- , Cl- , I- etc. Un C omposto I onico è una sostanza costituita da anioni e cationi legati insieme grazie all’attrazione che deriva dalle loro cariche di segno opposto. I composti ionici sono chiamati comunemente sali. Il termine molecola non spiega adeguatamente le proprietà dei composti ionici come per esempio il cloruro di sodio l’NaCl (sale da cucina). Quando è un cristallo allo stato solido ogni atomo di Na e di Cl è circondato da 6 atomi di segno opposto. La formula bruta NaCl indica il rapporto tra gli ioni che compongono la sostanza perchè non esistono singole molecole NaCl invece gli atomi sono disposti in un reticolo cristallino. La solvatazione ed i legami deboli: legame ad idrogeno e van der Waals. Quando il cloruro di sodio o gli altri composti ionici vengono posti in acqua gli ioni tendono a dissociarsi perché l’acqua è un ottimo solvente in particolare per le sostanze polari. Le cariche positive parziali (localizzate sulle molecole di idrogeno) e le cariche negative parziali (localizzate sull’ ossigeno) dell’acqua attraggono e circondano gli anioni ed i cationi sulla superficie del sale. Una sostanza disciolta si definisce anche soluto. In soluzione i cationi e gli anioni sono circondati dalle molecole d’acqua, questo processo è detto idratazione. Il legame ad idrogeno è molto importante dal punto di vista biologico. Lega atomi con parziali cariche elettriche di segno opposto. Quando l’idrogeno (H) si combina con l’ossigeno (O) o con l’azoto (N) per effetto della diversa elettronegatività, una carica positiva si accumula sull’ H ed una negativa sull’O o sul N. Queste due cariche si attraggono e le molecole si dispongono nello spazio in modo che si formino tra loro dei legami ad idrogeno. Ogni singolo legame ad idrogeno è relativamente debole ma il fatto che si formino in gran numero li rende complessivamente forti. Le interazioni di van der Waals. Sono forze attrattive tra molecole vicine. Anche le molecole apolari (e quindi elettricamente neutre) possono avere sulla loro superficie deboli cariche positive e negative istantanee provocate dal movimento degli elettroni. Questo fa si che si generino delle forze attrattive tra molecole vicine: queste forze sono chiamate di van der Waals. Queste interazioni sono molto deboli (più deboli dei legami ad idrogeno) diventano rilevanti quando le molecole sono grandi e molto vicine tra loro. L’acqua: Nello stato solido, il ghiaccio, e nello stato liquido le molecole d’acqua sono tenute insieme da legami ad idrogeno e per questo motivo l’acqua ha proprietà coesive ed adesive. La natura coesiva fa sì che le molecole dell’acqua tendano a stare vicine tra loro. Invece le proprietà adesive fanno sì che le molecole d’acqua si attacchino a molte superfici, in particolare alle superfici che presentano cariche elettriche al loro esterno. Pensate ad esempio all’acqua in un cilindro di vetro. Mentre il termine "coesione" fa riferimento all'azione di attrazione tra molecole uguali, il termine "adesione" fa riferimento all'azione di attrazione tra molecole diverse. Le forze di adesione e coesione sono alla base di fenomeni importanti dal punto di vista biologico, come la capillarità. La capillarità è la tendenza di alcuni liquidi di risalire i tubi molto stretti contro la forza di gravità. Grazie a questa caratteristica per esempio l’acqua penetra nelle radici delle piante e risale i fusti degli alberi. Le sostanze che interagiscono facilmente con l’acqua sono dette idrofiliche (idrolifiche significa che amano l’acqua). Sono le sostanze polari ad esempio gli zuccheri, il sale da cucina e l’alcol invece quelle che non interagiscono con l’acqua ma tendono a raggrupparsi tra di loro sono dette idrofobiche (che invece temono l’acqua). Sono le sostanze apolari ad esempio, l’olio d’oliva, il burro ed i grassi. Vale il principio del «simile scioglie simile» le sostanze polari si sciolgono nei solventi polari (come l’acqua), mentre le sostanze apolari si sciolgono meglio nei solventi apolari (es: olii, cere, esano).Un’altra caratteristica dell’acqua è la sua bassa tendenza a dissociarsi in ioni H+ (idrogeno) e OH- (idrossido). Poiché quando l’acqua si dissocia forma esattamente la stessa quantità di ioni H+ e OH- (0,0000001 o 10-7 moli/litro) questa soluzione viene detta neutra. Un acido è una sostanza che in soluzione si dissocia molto producendo ioni H+ e anioni. Un acido è un donatore di protoni perché rilascia in soluzione ioni idrogeno. Ad esempio, l’acido cloridrico HCl, l’acido carbonico H2CO3. Una base è invece una sostanza che sciolta in acqua libera ioni idrossido OH- e cationi. Una base è un accettore di protoni (cattura protoni, diminuisce il numero di protoni in soluzione perché si legano agli ioni idrossido per riformare una molecola d’acqua indissociata). Esempi di basi sono la soda caustica o idrossido di sodio Na+ OH. Il grado di acidità di una soluzione viene misurato in termini di pH definito come il logaritmo negativo in base 10 della concentrazione degli ioni idrogeno espressa in moli/litro. Nel caso dell’acqua la concentrazione degli ioni idrogeno è 10-7 e quindi il pH è 7. Le soluzioni acide hanno pH da 0 a 7 quelle basiche da 7 fino a 14. Se si mescolano un acido ed una base: gli ioni idrogeno e idrossido si combinano a formare una molecola d’acqua quel che resta dell’acido (un anione) e quel che resta della base (un catione) si combinano a formare un sale. Biomolecole 1 . I composti organici sono molecole con uno scheletro di atomi di carbonio. Al carbonio poi possono legarsi altri gruppi di atomi contenenti ossigeno, azoto, fosforo e zolfo (detti gruppi funzionali), che possono cambiare anche completamente le caratteristiche della molecola. I principali composti organici coinvolti nel funzionamento cellulare e nella vita della cellula sono i carboidrati, i lipidi, le proteine e gli acidi nucleici. Il carbonio possiede proprietà particolari che gli permettono di formare grandi molecole complesse. La prima è che può formare molecole con un’architettura complessa perché ha 4 elettroni di valenza e forma quindi 4 legami disposti secondo i vertici di un tetraedro. Inoltre, è adatto a fare da scheletro per le macromolecole perché i legami C-C sono resistenti. La libertà di rotazione intorno a ciascun legame e questo fa sì che le molecole siano flessibili e possano assumere diverse forme. Le proprietà delle molecole organiche possono essere modificate quando allo scheletro di carbonio sono legati dei gruppi funzionali. I gruppi funzionali possono interagire con altre molecole e all’interno della stessa molecola, a volte, attraverso, per esempio, legami ionici e legami ad idrogeno. Le proprietà dei composti organici dipendono dai gruppi funzionali che contengono. Tipologie di gruppi funzionali. Esistono diversi gruppi funzionali a seconda degli atomi che contengono, della tipologia dei legami e delle diverse funzioni.  I gruppi idrocarburici ( R-CH3) sono composti da residui (R) (che sta per residuo idrocarburico), sono costituiti da catene di carbonio ed idrogeno. Questa composizione chimica fa sì che la molecola sia apolare ed idrofobica (non si scioglie in acqua, non forma legami ad idrogeno).  I gruppi idrossilici (R-OH) sono composti da residui uniti ad un gruppo OH. Questi composti sono gli alcoli (R + OH) come l’etanolo CH3-CH2-OH, il propanolo CH3-CH2-CH2-OH eccetera.  Il gruppo carbonilico (C =O) è costituito da un atomo di carbonio legato con un doppio legame ad un atomo di ossigeno. Se il gruppo carbossile è all’estremità della catena di carbonio, in posizione terminale, si forma un’aldeide (R-CHO), se è invece in posizione intermedia si origina un chetone (R-CO-R’).  Il gruppo carbossilico (R-COOH) è costituito da un atomo di carbonio legato con un doppio legame ad un atomo di ossigeno e da un legame con un gruppo OH. La presenza del gruppo carbossilico fa sì che la molecola sia un acido organico (R-COOH). Infatti, due atomi di ossigeno così vicini rendono la molecola molto polare e permettono che l’idrogeno legato all’O nel gruppo –OH possa essere rilasciato come ione H+. I gruppi carbossilici sono acidi deboli, solo una parte degli ioni idrogeno viene rilasciata. reagisce con il gruppo –COOH dell’acido grasso formando un legame covalente detto legame esterico e liberando una molecola di acqua. Altri lipidi importanti in biologia sono i fosfolipidi, sono i principali costituenti delle membrane cellulari costituiti da una molecola di glicerolo unita da un lato a due acidi grassi e dall’altro lato ad un gruppo fosfato legato ad una colina. I fosfolipidi sono molecole anfipatiche caratterizzate da un’estremità polare/idrofila (la colina ed il fosfato) ed una apolare/idrofobica (le catene idrocarburiche). Questa caratteristica fa sì che in soluzione acquosa si formino dei doppi strati lipidici. Gli steroidi sono formati da 4 anelli di atomi di carbonio (3 da 6 carboni e 1 da 5). Tra gli steroidi più importanti ci sono il colesterolo (è uno dei costituenti delle membrane cellulari), gli ormoni sessuali ( come il Testosterone, principale ormone maschile e il Progesterone, principale ormone femminile) il cortisolo, che è coinvolto nel metabolismo del glucosio a livello del fegato (ormone dello stress), e l’Aldosterone, che partecipa alla regolazione dei sali nel rene. Le proteine Le proteine sono macromolecole costituite da 20 amminoacidi legate tra loro attraverso legami peptidici (formano una proteina, si costituiscono coinvolgendo un gruppo carbossilico terminale e un gruppo amminico terminale) e sono tra i componenti cellulari più versatili. Possono svolgere molte funzioni negli organismi viventi. La maggior parte degli enzimi (le molecole che catalizzano le reazioni chimiche) sono proteine, così come molti componenti strutturali. Gli amminoacidi, i costituenti delle proteine, hanno una struttura con un carbonio asimmetrico (carbonio α) legato ad un gruppo amminico –NH2 ed ad un gruppo carbossilico –COOH. In soluzione a pH cellulare questi due gruppi sono in forma ionizzata, il gruppo carbossilico perde un protone e diventa –COO- mentre il gruppo amminico si lega ad un protone e diventa –NH3+. Allo stesso carbonio è inoltre legato un gruppo R che distingue i 20 diversi amminoacidi. Nel caso più semplice, la glicina, R è un atomo di H. A seconda del gruppo R (catena laterale) che portano, gli amminoacidi hanno proprietà chimiche diverse e si distinguono in: amminoacidi non polari -amminoacidi polari -amminoacidi elettricamente carichi (acidi o basi). Alcune proteine contengono degli amminoacidi diversi dai 20 comuni (amminoacidi rari) che vengono prodotti per modificazione di questi dopo che sono entrati a far parte delle proteine. Questi amminoacidi non vengono codificati dal DNA. Un esempio sono la idrossiprolina e la idrossilisina nella proteina collagene. L’aggiunta del gruppo idrossilico (-OH) fa sì che si formino dei ponti ad idrogeno (legami ad idrogeno) che stabilizzano la proteina. Gli amminoacidi si legano tra loro attraverso un legame peptidico: il carbonio del gruppo carbossilico di un amminoacido si lega al gruppo amminico di un altro. Se si uniscono 2 amminoacidi si formano dei dipeptidi, catene più lunghe sono polipeptidi o proteine. I livelli di struttura delle proteine. Le proteine hanno quattro livelli di struttura: - La struttura primaria è la sequenza degli amminoacidi. - La struttura secondaria è un primo sistema di «avvolgimento» delle proteine, dato dalla formazione di legami ad idrogeno tra gli amminoacidi. Esistono due tipologie di struttura secondaria quella a α-elica e quella a β- foglietto. - La struttura terziaria è la forma complessiva assunta da una catena polipeptidica, è data da diverse interazioni tra i gruppi funzionali (R)della stessa catena, queste possono essere: -Legami ad idrogeno -Legami ionici tra gruppi R carichi positivamente e quelli carichi negativamente -Interazioni idrofobiche (date dalla tendenza dei gruppi R apolari di sistemarsi all’interno della proteina, lontano dall’acqua) -Legami covalenti noti come ponti disolfuro –S-S-, (che legano insieme gli atomi di zolfo di due cisteine). Molte proteine sono costituite da più catene polipeptidiche. - La struttura quaternaria della proteina finale deriva da come si avvolgono/si dispongono le diverse catene. Le possibili interazioni tra catene sono le stesse della struttura terziaria (legami ad idrogeno, legami ionici, interazioni apolari e ponti disolfuro) Gli anticorpi. Per esempio, sono formati da 4 catene polipeptidiche legate insieme da ponti disolfuro. Gli acidi nucleici. Gli acidi nucleici trasmettono l’informazione genetica e determinano quali proteine vengono trascritte. Sono presenti due tipi di acidi nucleici: Il DNA o acido desossiribonucleico e l’RNA l’acido ribonucleico. Anche gli acidi nucleici sono macromolecole e polimeri. Le unità di base sono i nucleotidi (composti di natura organica), tenuti insieme da un legame fosfodiesterico costituito da un gruppo fosfato legato ad uno zucchero che a sua volta si lega allo zucchero del nucleotide adiacente; sono composti da uno zucchero a 5 atomi di carbonio che è il ribosio nell’RNA o il desossiribosio nel DNA, uno o più gruppi fosfato, ed una base azotata (purina o pirimidina). Le pirimidine sono a singolo anello e sono la citosina (C) e la timina (T) nel DNA o l’uracile (U) nell’RNA. Le purine sono a doppio anello e sono: l’adenina (A) e la guanina (G). Quindi le basi del DNA sono CTAG, quelle dell’RNA CUAG. Quando si vuole indicare la sequenza degli acidi nucleici si usano le iniziali delle basi azotate: ACGT, ACGU. La teoria cellulare. L’individuazione delle cellule e delle loro caratteristiche risale alla prima metà dell’800. In particolare due scienziati tedeschi, il botanico Matthias Scheider nel 1838 e lo zoologo Theodor Schwann nel 1839, utilizzarono il ragionamento induttivo per arrivare alla conclusione che tutti gli organismi viventi sono costituiti da cellule. Più tardi Rudolf Virchow, nel 1855, affermò che le cellule si potevano formare solo per divisione da una cellula preesistente. Queste conoscenze portarono allo sviluppo della TEORIA CELLULARE in cui si stabilì che la cellula è: • L'UNITA' MORFOLOGICA degli esseri viventi la cui stragrande maggioranza è formata da molte di esse (esseri pluricellulari), mentre altri, più semplici, si accontentano di una soltanto: sono gli esseri unicellulari. • L'UNITA' FUNZIONALE degli esseri viventi. Tutte le funzioni vitali di un organismo avvengono nella cellula. Pertanto, l'essere vivente pluricellulare non è un mero agglomerato di cellule, bensì il risultato dell'attività coordinata di tutte quante. • L'UNITA' ORIGINARIA degli esseri viventi. Tutte le cellule di un essere vivente provengono, da altre cellule. Le cellule si riproducono, possono variare molto nelle dimensioni e nella forma. La maggior parte delle cellule ha dimensioni microscopiche (si misurano in µm) ma ci sono anche cellule molto grandi per esempio le uova degli uccelli. Anche la forma è diversa e dipende molto dalla funzione che devono svolgere: per esempio i neuroni hanno una forma “a stella” con lunghe propaggini chiamate assoni che trasmettono il segnale nervoso e possono arrivare anche ad un metro di lunghezza, mentre le cellule muscolari hanno una struttura cilindrica o lo spermatozoo sembra un “girino” con una testa ed un lungo flagello che gli serve per nuotare. La funzione è sicuramente molto importante per determinare le caratteristiche delle cellule negli organismi superiori perché sono molto specializzate, ogni categoria di cellule svolge compiti precisi e spesso dipende da altre cellule molte necessità di base. Alcune per esempio si sono così trasformate e specializzate nelle loro funzioni che hanno perso la capacità di riprodursi. Abbiamo visto che le cellule sono molto diverse, ma hanno anche caratteristiche comuni, tipiche degli esseri “viventi”? La risposta è sì. Ci sono dei meccanismi biochimici e molecolari che sono uguali in tutte le cellule. Le cellule si assomigliano molto nei meccanismi fondamentali che portano all’espressione genica. In ogni cellula il DNA contiene i geni che portano le informazioni per la produzione delle proteine e la regolazione di questi processi. Queste informazioni sono scritte con lo stesso codice costituito da 4 nucleotidi che sono sempre gli stessi in tutti gli organismi. Queste informazioni vengono poi sempre trascritte e quindi copiate su di una molecola di RNA che viene poi letta da strutture dedicate e quindi tradotta in una sequenza di amminoacidi che costituisce la proteina. Questo processo è così essenziale per la vita che è chiamato il dogma centrale della biologia. La vita della cellula dipende dalle proteine che produce perché queste servono come supporto, per la comunicazione cellulare, molte di queste sono enzimi e quindi servono per svolgere le reazioni biochimiche di sintesi o del metabolismo, servono per il movimento e per molte altre funzioni. Se si producono proteine che funzionano male perché il DNA presenta mutazioni patologiche, la cellula può anche morire. Inoltre, le proteine in tutte le cellule sono costituite dagli stessi 20 amminoacidi che a seconda della loro sequenza determinano la struttura tridimensionale e quindi la funzione della proteina. Questa profonda somiglianza biochimica e molecolare tra tutte le cellule e di conseguenza tra tutti gli esseri viventi depone a favore del fatto che tutti gli esseri viventi si sono evoluti da un antenato comune, una prima semplicissima cellula. Poi grazie alle mutazioni, che si formano quando il DNA si replica per poi permettere alla cellula di riprodursi, sono nate prima delle cellule leggermente diverse e poi degli organismi, tra questi ce n’erano alcuni che si adattavano meglio alle differenze a livello molecolare. I batteri sono i procarioti che troviamo ogni giorno, come quelli che causano malattie o quelli del suolo, mentre gli archeobatteri sono quelli che vivono negli ambienti estremi come le sorgenti vulcaniche in ebollizione, i sedimenti delle fosse oceaniche senza luce e ossigeno, pozze coperte di ghiaccio. Questi ambienti ricordano molto le condizioni della terra ai primordi quando si sono evolute le prime forme di vita. La struttura della cellula eucariotica. Le cellule eucariotiche (Vero Nucleo) sono caratterizzate dalla presenza di organelli rivestiti da membrane e altamente organizzati compreso un nucleo che contiene il DNA. La cellula ha una struttura complessa e possiede una centrale di controllo, un sistema interno di trasporto, impianti energetici, fabbriche per la produzione dei materiali essenziali, impianti di impacchettamento e di smaltimento e anche un sistema di autodistruzione. La cellula è circondata da una membrana plasmatica che ne delimita il perimetro e svolge importanti funzioni di regolazione della comunicazione con l’ambiente esterno. All’interno della membrana plasmatica si trova il citoplasma contenente numerose strutture che fanno funzionare le cellule: i mitocondri, i ribosomi, il reticolo endoplasmatico, il complesso del Golgi, i lisosomi etc. Ancora più all’interno si trova il nucleo separato dal citoplasma da una membrana nucleare. Il nucleo cellulare contiene l’informazione genetica, il DNA della cellula, ha forma sferica e quasi sempre occupa una posizione centrale. È avvolto da un involucro nucleare, costituito da due membrane concentriche che separano il contenuto del nucleo dal citoplasma. Su queste membrane sono presenti dei pori nucleari che regolano le comunicazioni tra nucleo e citoplasma. Una rete fibrosa, detta lamina nucleare forma il rivestimento interno dell’involucro nucleare. Ha una funzione di sostegno e favorisce l’organizzazione del materiale nucleare. Il nucleo controlla la sintesi proteica trascrivendo il DNA in molecole di RNA messaggero (mRNA). Il DNA e l’RNA ed alcune proteine si associano a formare una struttura chiamata cromatina, è costituita da una rete dall’aspetto irregolare di granuli e filamenti. Ha la funzione di impacchettare il DNA. Nel nucleo può essere anche presente un nucleolo (senza membrana) che contiene le istruzioni e gli enzimi per sintetizzare i ribosomi. I ribosomi ed il reticolo endoplasmatico. I ribosomi sono minuscole particelle libere nel citoplasma o attaccate al reticolo endoplasmatico. Sono costituiti da RNA e proteine e sono sintetizzati nel nucleolo. Contengono gli enzimi che permettono la formazione dei legami peptidici. Sono composti da due subunità che quando si uniscono fanno cominciare la sintesi di polipeptidi e proteine. Il reticolo endoplasmatico (RE) è un labirinto di membrane a forma di sacche appiattite che circonda il nucleo. Lo spazio interno a queste sacche è chiamato lume e contiene molti enzimi. In alcuni casi le membrane fanno da impalcatura per gli enzimi che catalizzano le reazioni chimiche. Ci sono due tipologie di RE: liscio e rugoso. Il RE liscio ha un aspetto tubolare e la sua membrana appare liscia, gli enzimi presenti sintetizzano molti lipidi e carboidrati, insieme a fosfolipidi e colesterolo richiesti per la costruzione delle membrane cellulari. Ha lo scopo anche di immagazzinare ioni calcio. Nelle cellule epatiche il RE liscio degrada il glicogeno di riserva e anche molte sostanze tossiche e sostanze d’abuso come alcol, anfetamine, barbiturici. Il RE rugoso è tale perché sulla sua superficie si trovano i ribosomi. Ci sono ribosomi legati alla membrana e altri liberi nel citoplasma. Per questo motivo nel RE rugoso avviene principalmente la sintesi delle proteine. Le proteine una volta prodotte passano nel lato interno del RE rugoso, nel lume. Lì sono presenti degli enzimi chiamati chaperoni molecolari che ripiegano le proteine nella loro forma tridimensionale. Le proteine che si ripiegano male, e quindi sono difettose, vengono degradate da complessi proteici detti proteasomi. Le proteine ben fatte sono trasferite in vescicole di trasporto, che si staccano dal RE e le portano alla loro destinazione (altri organelli, membrana plasmatica). Il complesso del Golgi ed i lisosomi. Il complesso del Golgi è costituito da pile di sacche appiattite chiamate cisterne. Lo spazio interno di queste sacche si chiama lume. Nel Golgi ci sono 3 aree: una superficie cis che è quella vicina al RE, una regione mediale ed una superficie trans. Nel Golgi la superficie cis riceve i materiali provenienti dal RE dalle vescicole di trasporto, la superficie trans impacchetta le molecole in vescicole rilasciandole verso altre destinazioni nella cellula. In alcuni casi può trasformare le molecole per esempio legando insieme carboidrati e proteine per formare le glicoproteine. Le cellule che secernono tante glicoproteine hanno un apparato del Golgi molto sviluppato. Il Golgi nelle cellule animali sintetizza anche i lisosomi. I lisosomi sono piccole vescicole piene di enzimi litici (=digestivi) , che degradano le molecole disperse nel citoplasma della maggior parte delle cellule animali. Si formano dall’apparato del Golgi. Mantengono al loro interno un pH intorno a 5, questo pH è quello ottimale per gli enzimi litici. Quando le cellule «ingeriscono» batteri o frammenti, questi vengono racchiusi in una vescicola che si è formata dalla membrana plasmatica. Uno o più lisosomi si fondono con questa vescicola formando il lisosoma secondario, in cui gli enzimi digestivi vengono a contatto con le molecole estranee e le degradano. Allo stesso modo i lisosomi possono distruggere anche organelli della cellula e reciclarne i componenti o utilizzarli come fonti di energia. Infine il lisosoma secondario si rompe e rilascia il contenuto nel citoplasma (sostanze degradate ed enzimi), gli enzimi non danneggiano le strutture della cellula perché qui il pH è 7 e in queste condizioni non funzionano. L’ATP ed i mitocondri. La cellula animale assume energia dall’ambiente attraverso l’energia chimica contenuta nei legami delle sostanze nutritive (es: glucosio). Questa energia viene convertita in una forma facilmente utilizzabile dalla cellula che è la molecola di ATP=adenosina trifosfato. Questa molecola è costituita da una adenina (come quella del DNA e RNA), un ribosio e 3 fosfati. I due gruppi fosfato terminali sono uniti al primo con legami covalenti, è l’energia di questi legami che può essere trasferita. I mitocondri sono in grado di produrre ATP con i meccanismi di respirazione cellulare. Questi organelli sono la sede della respirazione aerobica, un processo chimico che richiede ossigeno e trasforma l’energia degli alimenti in ATP. Durante la respirazione gli atomi di H e O vengono rimossi dalle molecole di cibo e trasformati in anidride carbonica CO2 e acqua. L'energia che si libera dalla degradazione delle molecole di nutrimento viene utilizzata per trasformare una molecola presente nella cellula, l'ADP o adenosina difosfato (un fosfato in meno), in ATP. L'ATP viene utilizzata per fornire energia alle reazioni cellulari. L'ATP quando cede energia si ritrasforma in ADP, che verrà ciclicamente ritrasformato in ATP e così via. I mitocondri sono organelli delimitati da una doppia membrana che dà origine a due compartimenti: lo spazio intermembrana e la matrice che contiene gli enzimi che degradano le molecole alimentari e convertono l’energia in ATP. La membrana esterna è liscia e permette il passaggio di molecole di diverse dimensioni, la membrana interna è ripiegata in creste mitocondriali ed è semipermeabile. I mitocondri possono giocare un ruolo fondamentale nell’apoptosi (la morte cellulare programmata), un meccanismo importante per la regolazione dell’invecchiamento cellulare, coinvolto anche nello sviluppo di tumori e di malattie neurodegenerative. I mitocondri sono in grado di riprodursi in maniera autonoma rispetto alla cellula. Contengono piccole quantità di DNA che codifica per le loro proteine. Questa funzione fa sì che, da un punto di vista evolutivo, possano derivare da cellule procariotiche che si stabilirono all’interno di cellule eucariotiche più grandi per un vantaggio simbiotico e poi si trasformarono in organelli. I cloroplasti. I cloroplasti sono organelli che si trovano nelle cellule delle piante e delle alghe ma non in quelle degli animali e dei funghi. Hanno una struttura di membrane più complessa di quella dei mitocondri con 2 membrane esterne ed altre interne contenenti clorofilla. Nei cloroplasti avvengono le reazioni di fotosintesi, un processo che permette la produzione di molecole di zucchero utilizzando l’energia della luce. I perossisomi ed il citoscheletro. I perossisomi sono organelli circondati da una membrana che contengono enzimi ossidativi e sono considerati comparti metabolici specializzati. mentre le cellule eucariotiche posseggono anche una compartimentazione interna delimitata da membrane come il nucleo, i mitocondri, il reticolo endoplasmatico e l’apparato di Golgi. Il modello a mosaico. Molti ricercatori si sono occupati di studiare le caratteristiche delle membrane biologiche perché sono importantissime per le funzioni delle cellule e la comunicazione intercellulare. Nel 1972 Singer e Nicolson proposero un modello a mosaico fluido che si dimostrò in seguito essere il modello che meglio descriveva la struttura delle membrane. Le membrane sono costituite da un doppio strato fosfolipidico in cui sono immerse le proteine di membrana. La struttura non è statica ma fluida e le proteine cambiano continuamente di posizione. Le proteine e i fosfolipidi si possono muovere liberamente sullo stesso lato della membrana. I fosfolipidi possono passare da un lato all’altro della membrana (movimento flip/flop) solo dopo l’intervento di specifici enzimi. A temperatura ambiente le membrane sono fluide, se la temperatura scende le membrane diventano più solide e non funzionano più bene. Le proprietà dei lipidi di membrana possono influenzarne la fluidità. Alcuni organismi riescono a mantenere le membrane fluide anche a bassa temperatura variando la composizione dei lipidi. La presenza di code idrocarburiche piccole e doppi legami rende più fluide le membrane perché fa si che non riescano a stabilirsi tra le molecole le forze attrattive di Van der Waals (come succede per gli olii). Infatti, le molecole con una o più pieghe degli acidi grassi insaturi tendono meno ad “impaccarsi” rispetto a quelle lineari che possono affiancarsi facilmente. Inoltre alcuni lipidi come il colesterolo possono stabilizzare la fluidità della membrana. La molecola del colesterolo è idrofobica ma ha anche un gruppo ossidrile che la rende leggermente anfipatica. A basse temperature le molecole di colesterolo funzionano da «spaziatori» tra le molecole di fosfolipidi diminuendo le forze di van der Waals. Il colesterolo evita anche che la membrana diventi troppo fluida ad alte temperature, perché interagisce fortemente con le catene idrocarburiche vicine alle teste fosfolipidiche. I doppi strati fosfolipidici hanno difficoltà ad avere estremità libere, per cui tendono a chiudersi in vescicole. Sono flessibili e possono fondersi tra loro facilmente: per esempio dal reticolo endoplasmatico si generano vescicole che si fondono con le membrane dell’apparato del Golgi permettendo il trasporto di materiale. L’assemblaggio delle membrane inizia proprio nel reticolo endoplasmatico che produce nuovi fosfolipidi che vanno a posizionarsi nel foglietto citosolico della membrana del reticolo endoplasmatico. Per evitare di avere i due strati con un numero di fosfolipidi differente intervengono degli enzimi che si chiamano scramblasi che catalizzano il trasferimento flip-flop sul lato del lume della membrana, in modo che la crescita sia omogenea. Parte delle membrane di nuova costruzione servirà al reticolo endoplasmatico per accrescersi, mentre un’altra parte si staccherà sottoforma di vescicole e andrà ad aggiungersi alle membrane di altri organelli come l’apparato del Golgi. Altre vescicole si staccheranno dal Golgi e andranno ad accrescere la membrana plasmatica. Generalmente le membrane plasmatiche sono asimmetriche in termini di composizione in fosfolipidi. Questa asimmetria si forma nel Golgi che riceve membrane “simmetriche” dal reticolo endoplasmatico e grazie all’azione di enzimi chiamati flippasi crea delle membrane con una composizione diversa, rimuovendo alcune tipologie di fosfolipidi dal lato interno verso il lato citosolico. L’asimmetria è mantenuta poiché le membrane gemmano da un organello per fondersi con un altro o con la membrana. I due strati della membrana cellulare sono quindi distinti: quello interno è affacciato sul citosol e avrà determinate caratteristiche, mentre quello esterno ne avrà altre, funzionali alle azioni che dovrà svolgere. Oltre ad essere differenti nella composizione dei fosfolipidi questi due strati saranno diversi anche per le proteine di membrana. Pensate per esempio ad un recettore che avrà sul lato esterno la struttura che serve a captare il segnale, mentre sul lato interno avrà il sistema per trasferire l’informazione ed attivare i meccanismi intracellulari. Tra i lipidi, i glicolipidi sono distribuiti in maniera asimmetrica perché sono presenti soprattutto sul lato esterno della membrana perché fanno parte, insieme ai carboidrati di uno strato che circonda e protegge le cellule animali. I glicolipidi si formano nel Golgi grazie all’azione di enzimi che uniscono i residui glucidici ai lipidi e che sono orientati in modo da agire solo sui lipidi dello strato interno, non citosolico, della membrana. Il glicolipide resta poi in quello strato anche quando la porzione di membrana si stacca in una vescicola perché le flippasi non spostano i glicolipidi. Alla fine arriva alla membrana plasmatica e si dispone con la parte glucidica sul lato esterno. Le proteine di membrana. Le proteine sono molto abbondanti in membrana e costituiscono circa il 50% della massa delle molecole presenti. Le funzioni delle proteine di membrana sono molte e vanno dall’ancoraggio al trasporto attivo e passivo, all’attività enzimatica, la trasduzione del segnale e il riconoscimento cellulare. Ogni tipologia cellulare presenta una membrana differente adatta alle specificità delle sue funzioni. Con la microscopia elettronica e la tecnica freeze-fracture è stato possibile separare in due le membrane e si è visto che le proteine di membrana sono orientate asimmetricamente. Le proteine che andranno a formare la superficie interna della membrana plasmatica sono prodotte dai ribosomi liberi e si muovono attraverso il citoplasma per raggiungere la loro posizione in membrana. Quelle destinate alla superficie esterna invece sono prodotte nel reticolo endoplasmatico come le proteine destinate ad essere esportate. Le proteine di membrana possono essere posizionate nel doppio strato lipidico in vari modi: transmembrana, ad alfa elica associata al monostrato, associate ai lipidi, associate ad altre proteine. Caso A. Le proteine transmembrana attraversano da parte a parte il doppio strato e sporgono da entrambi i lati, sono anch’esse anfipatiche ed hanno regioni idrofobe nella parte interna del doppio strato perchè devono associarsi facilmente con le code dei fosfolipidi e regioni idrofile che si affacciano nell’ambiente acquoso sia del citosol che dell’esterno della cellula. Caso B. Altre proteine si affacciano solo sul lato interno della membrana e sono fissate allo strato interno della membrana con un’alfa elica con caratteristiche anfipatiche. Altre sono esterne al doppio strato e sono legate ai lipidi di membrana con dei legami covalenti (caso C), oppure interagiscono con altre proteine di membrana con legami non covalenti (caso D). Le proteine dei casi A, B, C sono dette proteine integrali di membrana e possono essere estratte solo disgregando il doppio strato lipidico con detergenti. Le proteine di membrana del caso D, sono chiamate proteine di membrana periferiche, possono essere rimosse più facilmente lasciando intatto il doppio strato lipidico. Le membrane cellulari sono molto delicate e molto spesso sono rinforzate con una struttura proteica vicina al lato interno della membrana, collegata alle proteine transmembrana. Nelle cellule animali questa struttura viene chiamata cortex cellulare ed è costituita da un’intelaiatura di proteine fibrose. Per esempio, nei globuli rossi umani la cortex è costituita da spettrina, una proteina dimerica di forma allungata, è lunga circa 100nm, con una struttura sottile e flessibile a bacchetta. Questa proteina forma un reticolo che circonda la membrana plasmatica e dà la forma biconcava caratteristica dei globuli rossi. Il reticolo è fissato a proteine di ancoraggio sulla membrana che a loro volta lo fissano a proteine transmembrana. Quando il gene della spettrina porta mutazioni che ne alterano la funzionalità, i globuli rossi non hanno la forma corretta ed i soggetti sono anemici. Il modello a mosaico fluido in cui le proteine possono spostarsi liberamente in un mare di fosfolipidi è in molti casi una semplificazione eccessiva, perché molte cellule hanno bisogno di creare delle zone specializzate nella membrana che sono ricche di particolari proteine piuttosto che di altre, queste zone vengono chiamate domini di membrana. Per “fissare” le proteine in alcune zone, la cellula crea collegamenti tra queste proteine e la matrice extracellulare (caso B) o altre cellule (caso C) o la cortex cellulare (caso A), in alcuni casi le proteine possono essere legate anche ad alcune strutture immobili nella parte intracellulare della membrana. Inoltre, le cellule possono inserire anche delle barriere per confinare le proteine in alcune zone (caso D). Per esempio, le cellule dell’epitelio intestinale devono confinare alcune proteine che servono per l’assorbimento dei nutrienti sul lato apicale rivolto verso il lume dell’intestino, mentre altre che servono per il trasporto verso l’esterno della cellula devono restare sui lati o nella parte della lamina basale. In questo caso ci sono delle giunzioni strette dette anche giunzioni serrate che congiungono le cellule vicine sigillando lo spazio tra le due membrane ed evitando che le proteine si mescolino per diffusione. Come avviene per i lipidi di membrana anche la maggior parte delle proteine è legata a brevi catene di zuccheri chiamati oligosaccaridi e sono quindi in realtà glicoproteine. Altre proteine sono legate a catene di zuccheri più lunghe, i polisaccaridi e sono chiamate proteoglicani. L’insieme dei carboidrati legati ai lipidi alle glicoproteine e ai proteoglicani si trova sul lato esterno delle membrane ed è chiamato glicocalice. Il glicocalice serve per proteggere la cellula dagli stress meccanici e a facilitare la mobilità. Nel caso dei globuli bianchi per esempio che devono spesso infilarsi in passaggi stretti, il glicocalice rende la membrana scivolosa perché i carboidrati in soluzione acquosa assorbono acqua. Questo evita anche che le cellule del sangue si appiccichino tra loro o alle pareti dei vasi. Il glicocalice all’opposto può servire anche per il riconoscimento cellulare e formano tunnel, detti pori, attraverso la membrana,la cui apertura/chiusura è regolata in base a variazioni elettriche, stimoli chimici etc. I canali selezionano i soluti in base alle dimensioni e alla carica elettrica sono meno selettivi dei trasportatori che invece richiedono un legame specifico con il soluto. L’acqua e molti ioni sono trasportati da queste proteine canale. Un esempio di proteine canale sono le porine che consentono il passaggio di acqua e vari soluti attraverso le membrane. Sono proteine ripiegate a β-foglietto, a forma di barilotto. Quelle che trasportano acqua sono chiamate acquaporine e fanno passare fino ad un miliardo di molecole d’acqua al secondo. Il trasporto passivo (si ha quando il movimento di particelle attraverso la membrana avviene in modo spontanea, senza che la cellula spenda energia. Alcune sostanze passano attraverso la membrana per diffusione (un processo lento che non è in grado di trasferire con rapidità sostanze su distanze lunghe). Questo processo fisico avviene se c’è un gradiente di concentrazione e cioè se tra i due lati della membrana plasmatica c’è una differenza nella concentrazione della sostanza. Nella diffusione, le particelle di una sostanza, grazie ai loro movimenti casuali, tendono a distribuirsi in maniera omogenea in un liquido, per raggiungere un equilibrio dinamico: il numero di particelle che passano da una parte all’altra della barriera è uguale (la concentrazione resta stabile quando si è raggiunto l’equilibrio). Le piccole particelle apolari come O2 e CO2 diffondono attraverso la membrana molto velocemente a seconda del loro gradiente di concentrazione. Se nel caso di una molecola neutra, senza carica elettrica il senso di diffusione o di trasporto passivo dipende solo dal gradiente di concentrazione, nel caso di ioni bisogna considerare anche la differenza delle cariche elettriche ai due lati della membrana. Ci saranno infatti due “forze” che giocheranno un ruolo: il gradiente di concentrazione e la differenza di voltaggio, in questo caso si parla di gradiente elettrochimico. La forza motrice netta sarà data dalla somma di queste due forze che possono avere la stessa direzione o direzioni opposte, in questo ultimo caso il gradiente elettrochimico potrebbe essere molto basso. Un esempio significativo può essere il caso degli ioni Na+ e K+, Na+ è più abbondante all’esterno della cellula e anche l’interno della cellula è carico negativamente quindi attira gli ioni Na+, in questo caso il gradiente elettrochimico è alto. Nel caso del K+ questo è più concentrato all’interno e quindi potrebbe uscire dalla cellula, ma fuori dalla cellula ci sono più cariche elettriche positive e quindi il gradiente elettrochimico sarà basso perché le due forze sono opposte. Infatti anche quando i canali K+ sono aperti questo ione esce dalla cellula in piccole quantità. L’osmosi. L’osmosi (è il passaggio spontaneo di un solvente (che nei sistemi biologici di solito è l'acqua), dalla soluzione in cui i soluti sono più diluiti a quella in cui sono più concentrati; questo movimento - che avviene attraverso una membrana semipermeabile - continua fino al raggiungimento di una situazione di equilibrio, in cui entrambe le soluzioni guadagnano e mantengono la stessa concentrazione) è un particolare tipo di diffusione che comporta il movimento di molecole d’acqua, che è il principale solvente dei sistemi biologici. Le molecole d’acqua passano dalle regioni in cui sono più concentrate a quelle meno concentrate. La maggior parte delle molecole di soluto (es zuccheri e ioni) sciolte in acqua invece difficilmente possono diffondere liberamente attraverso le membrane semipermeabili. Quindi la concentrazione fuori e dentro la cellula viene resa omogenea con il passaggio di acqua. A causa della differenza di concentrazione nei due bracci del tubo, si verifica un movimento netto di molecole d’acqua dalla parte che contiene acqua pura a quella che contiene acqua e soluto. Ne risulta che l’acqua cala nel settore «acqua pura» e aumenta nel settore «acqua più soluto». L’equilibrio in questo caso non si raggiunge perché le molecole di soluto non possono passare attraverso la membrana. La pressione che devo applicare al pistone perché il livello della parte di tubo con acqua + soluto non cresca è detta pressione osmotica (è la pressione idrostatica necessaria a impedire lo spostamento di un solvente puro in una sua soluzione attraverso una membrana semipermeabile). Se ai lati di una membrana due soluzioni acquose hanno la stessa concentrazione di tutti i soluti in esse disciolti si dicono isotoniche. Ad esempio, il citoplasma ed il sangue sono isotonici. Se invece una delle due ha concentrazione maggiore si dirà ipertonica mentre quella a concentrazione inferiore si dirà ipotonica. Se una cellula viene immersa in una soluzione ipertonica si raggrinzirà perché l’acqua del suo citoplasma uscirà dalla membrana, per andare a diluire la soluzione esterna. Invece se viene immersa in una soluzione ipotonica si gonfierà, perché le molecole d’acqua esterne entreranno per diluire il citoplasma e si formerà una pressione di turgore (un tipo di pressione osmotica) sulla membrana. La cellula in queste condizioni può anche scoppiare. Le Membrane 3. I trasportatori sono delle molecole molto selettive, ogni membrana contiene dei trasportatori specifici per quelle che sono le funzioni che deve svolgere: per esempio la membrana plasmatica deve far passare le sostanze nutritive ed eliminare le sostanze di scarto, oppure regolare il potenziale di membrana, la membrana dei mitocondri deve far passare il piruvato per svolgere le reazioni del metabolismo e poi deve rilasciare invece l’ ATP che è stato sintetizzato. Un esempio di trasportatore che svolge funzioni di trasporto passivo e quindi trasporta le sostanze secondo il loro gradiente di concentrazione è un trasportatore del glucosio. Questa è una proteina che attraversa la membrana almeno 12 volte ed è in grado di assumere diverse conformazioni: con alcune conformazioni espone i siti di legame per il glucosio verso il citosol e permette quindi alla sostanza di entrare nel trasportatore e poi uscire all'esterno della cellula, in altre conformazioni invece i siti di legame sono aperti verso l'esterno della cellula e permette quindi al glucosio di entrare all'interno. In questo caso dipende solo dal gradiente di concentrazione, la molecola di glucosio è neutra: quando il livello ematico di glucosio è elevato, come dopo un pasto, questi si lega ai siti di legame del trasportatore verso l'esterno poi la proteina cambia conformazione spontaneamente in modo casuale e il glucosio quindi entra nella cellula. Invece in condizioni di fame, quando i livelli di glucosio nel sangue sono bassi, l'ormone glucagone stimola gli epatociti a degradare il glicogeno immagazzinato e quindi a produrre glucosio che aumenta di concentrazione all'interno degli epatociti questo fa sì che si leghi ai siti di legame del trasportatore verso l'interno della cellula e riesca ad uscire dalla cellula ed essere rilasciato nel sangue. Il flusso di glucosio quindi può venire sia da un lato che dall'altro della membrana a seconda del suo gradiente di concentrazione. I trasportatori passivi nonostante non possano regolare il verso di spostamento delle sostanze sono però in grado di essere molto selettivi: basti pensare che nel caso del glucosio solo il D glucosio si può legare al trasportatore e non il suo enantiomero l’ L-glucosio. I trasportatori possono arrivare a saturazione (la velocità di trasporto non può più aumentare) se le concentrazioni di soluti da trasportare sono molto elevate. Ciò avviene perché il numero di trasportatori sulle membrane è finito. Le cellule hanno bisogno però anche di trasportare le sostanze contro gradiente di concentrazione o gradiente elettrochimico e per questo utilizzano dei trasportatori attivi chiamati pompe che possono funzionare secondo tre modalità: una è quella delle pompe ad ATP che utilizzano l'energia dell'ATP per trasportare contro gradiente un determinato soluto; il secondo caso è invece quello dei trasportatori accoppiati che sono in grado di trasportare un soluto contro gradiente, utilizzando l'energia generata da un altro soluto che invece si muove secondo gradiente; il terzo caso è quello delle pompe fotoalimentate che sono presenti in alcune cellule batteriche e che utilizzano l'energia della luce solare per poter finanziare il trasporto di soluti contro gradiente, come nel caso della batteriorodopsina, (è la prima proteina di trasporto di membrana la cui struttura è stata determinata ed è rimasta il prototipo di molte proteine di membrana con struttura simile). La pompa sodio potassio chiamata anche pompa sodio ATP dipendente oppure sodio potassio atpasi è un trasportatore veramente importante per la cellula perché svolge un ruolo essenziale in quanto grazie al mantenimento del potenziale di membrana tra sodio e potassio è possibile trasportare o far uscire dalla cellula moltissime sostanze. Questa pompa è un sistema di trasporto attivo che ha bisogno dell'idrolisi dell'ATP per aver l'energia sufficiente a svolgere il suo compito. Le pompe sodio-potassio sono proteine transmembrana. Subendo dei cambiamenti di conformazione riescono a scambiare ioni sodio con ioni potassio attraverso la membrana. A differenza del trasporto passivo questo scambio richiede direttamente energia sotto forma di ATP. Come funziona la pompa sodio potassio: Il primo passaggio riguarda il legame di 3 ioni sodio alla pompa che è aperta verso l’interno della cellula, successivamente l’ATP cede un gruppo fosfato alla proteina che si fosforila in un punto preciso, in seguito a questa fosforilazione la proteina cambia conformazione e si apre verso l’esterno della cellula e così rilascia i 3 ioni sodio, a questo punto due ioni potassio si legano alla proteina, questo fa sì che il gruppo fosfato si stacchi e quindi la proteina riassuma la conformazione di partenza con l’apertura verso l’interno della cellula, in questo modo i due ioni potassio vengono rilasciati all’interno della cellula. Per ogni ciclo di trasporto quindi la pompa sodio potassio consuma un ATP che si trasforma in ADP. La pompa sodio-potassio continua quindi a esportare verso l'esterno della cellula degli ioni sodio. In questo modo la concentrazione di sodio all'esterno della cellula è 10 - 30 volte a quella dei trasportatori. La loro funzione specifica è quella di rendere la membrana temporaneamente permeabile ad alcuni ioni. Energia 1. L’energia è una misura della capacità di compiere un lavoro inteso come qualsiasi variazione dello stato o del movimento della materia. Le unità di misura dell’energia sono il kilojoule kJ o la kilocaloria kcal (1 kcal=4,184 kJ). Di solito in biologia si usa il kJ. Definizioni: Un joule è il lavoro svolto esercitando la forza di un newton per una distanza di un metro. kJ=1000J.Una caloria è l’energia necessaria per innalzare da 14,5 a 15,5 °C la temperatura di 1 g di acqua distillata, posta a livello del mare. Le diverse forme di energia si possono convertire tra loro. Quando un arciere tende un arco, l’energia cinetica del suo braccio in movimento viene convertita in energia potenziale quando l’arco è «carico» per poter scoccare la freccia. Quando la freccia parte l’energia potenziale viene convertita in energia cinetica del movimento della freccia. In termodinamica si parla di energia di un sistema che può essere una cellula, un corpo, la terra. Tutto ciò che è fuori dal sistema è l’ambiente esterno. Un sistema chiuso non scambia energia con l’ambiente esterno, un sistema aperto invece si. I sistemi biologici sono tutti sistemi aperti. Esistono due leggi fondamentali in termodinamica che spiegano le trasformazioni energetiche. La prima legge della termodinamica asserisce che l’energia non può essere creata né distrutta, può essere solo trasferita o trasformata. L’energia- massa dell’universo è sempre la stessa. Allo stesso modo l’energia di un sistema e del suo ambiente è costante. Quindi un sistema può assorbire o cedere energia al suo ambiente ma la quantità di energia del sistema-ambiente non cambia. Gli organismi prendono l’energia dall’ambiente per svolgere il lavoro biologico (funzionamento cellule, movimento, etc). La seconda legge della termodinamica Quando l’energia è convertita da una forma all’altra una parte dell’energia utilizzabile per compiere lavoro si trasforma in calore e viene dispersa nell’ambiente. L’effetto è che la quantità di energia utilizzabile per compiere un lavoro diminuisce nel tempo. C’è una contraddizione tra la prima e la seconda legge della termodinamica? La prima dice che l’energia è costante, la seconda dice che diminuisce… La seconda legge dice che l’energia utilizzabile per compiere un lavoro diminuisce perché parte di essa viene convertita in calore. Il calore è una forma di energia che non può essere utilizzata per compiere un lavoro perché il calore corrisponde all’energia cinetica delle particelle riscaldate che si muovono con movimenti casuali che non possono essere utilizzati per compiere lavoro. I movimenti casuali, disordinati non possono compiere lavoro. Il secondo principio può anche essere formulato nel modo seguente: in un sistema isolato tutti i processi spontanei portano a un aumento di casualità e di disordine. La tendenza spontanea all'aumento di disordine e alla perdita di energia è detta entropia S. L’energia utilizzabile per compiere lavoro (es energia elettrica, energia meccanica, energia chimica) ha bassa entropia, mentre il calore ha alta entropia. In ogni organismo e ogni cellula di un organismo, tuttavia, il risultato delle reazioni chimiche è invece la tendenza a creare un ordine localizzato del sistema. Infatti ogni cellula si comporta come un sistema aperto: riceve dall'esterno materia ed energia, che utilizza per attivare le trasformazioni non spontanee, eludendo in questo modo il secondo principio della termodinamica. I principi della termodinamica ci dicono che l’entropia dell’universo è in continuo aumento. Tra miliardi di anni tutta l’energia dell’universo sarà convertita in calore e nessun lavoro potrà più essere compiuto. Ogni cosa sarà alla stessa temperatura. Questo significa che nessun processo di trasformazione dell’energia è efficiente al 100%, anzi gran parte dell’energia è dispersa in calore. Nei motori solo il 20-30% dell’energia è trasformata in energia meccanica, nelle nostre cellule circa il 40% dell’energia chimica dei nutrienti è trasformata in energia per il metabolismo. Metabolismo. All’interno dell’organismo e delle sue cellule avvengono moltissime reazioni chimiche che gli permettono di svolgere le sue attività. Questo complesso di reazioni viene chiamato metabolismo. E’ possibile distinguere due principali direzioni metaboliche: l’anabolismo (L'anabolismo è l'insieme delle reazioni coinvolte nella sintesi di molecole complesse, a partire dalle piccole molecole all'interno del corpo) che comprende tutte le vie che portano alla sintesi delle molecole biologiche nelle cellule. Il catabolismo (è l'insieme di reazioni implicate nella scomposizione di molecole complesse come proteine, glicogeno e trigliceridi in molecole semplici o monomeri come amminoacidi, glucosio e acidi grassi rispettivamente) che comprende le vie che portano ad una scissione delle molecole biologiche in molecole più piccole e atomi. La differenza principale tra anabolismo e catabolismo è che l'anabolismo è un processo costruttivo mentre il catabolismo è un processo distruttivo. Queste due linee metaboliche sono diverse anche da un punto di vista energetico: mentre l’anabolismo richiede energia, il catabolismo rilascia energia. Le due vie sono complementari. Durante una reazione chimica si rompono legami chimici o se ne formano di nuovi, ciascun legame chimico ha una sua specifica energia di legame definita come l’energia necessaria a rompere quel legame. L’energia di legame è uguale all’energia potenziale del sistema ed è chiamata entalpia H. Invece la parte di energia di un sistema che non può essere utilizzata per compiere un lavoro e viene dissipata sotto forma di calore è l’entropia. Entropia ed entalpia sono collegate da una terza forma di energia, l’energia libera G che è la quantità di energia disponibile a compiere un lavoro in una reazione biochimica, secondo questa relazione H (Entalpia) = G (Energia libera) + T (Temperatura del sistema espressa in gradi Kelvin) S (Entropia). Le reazioni chimiche comportano delle variazioni dell’energia libera, alcune reazioni produrranno energia, altre ne assorbiranno. La variazione di energia libera, il delta G, potrà essere calcolata come la variazione entalpia meno il prodotto della temperatura per la variazione di entropia. La temperatura non cambia perché è quella a cui avviene la reazione. ΔG = ΔH – TΔS. Metabolismo. All’interno dell’organismo e delle sue cellule avvengono moltissime reazioni chimiche che gli permettono di svolgere le sue attività. Questo complesso di reazioni viene chiamato metabolismo. E’ possibile distinguere due principali direzioni metaboliche: l’anabolismo che comprende tutte le vie che portano alla sintesi delle molecole biologiche nelle cellule, mentre il catabolismo comprende le vie che portano ad una scissione delle molecole biologiche in molecole più piccole e atomi. Queste due linee metaboliche sono diverse anche da un punto di vista energetico: mentre l’anabolismo richiede energia, il catabolismo rilascia energia. Le due vie sono complementari. Reazioni esoergoniche ed endoergoniche. Le reazioni chimiche che rilasciano energia libera sono chiamate esoergoniche e sono definite spontanee. In queste reazioni l’energia dei prodotti è più bassa di quella dei reagenti. Se calcoliamo il Δ avremo che G dei prodotti sarà più piccola di G dei reagenti e quindi ΔG in questo caso sarà un valore negativo. Le reazioni che invece richiedono energia e la assorbono dall’ambiente sono chiamate endoergoniche. In questo caso G dei prodotti è più elevata di G dei reagenti, per cui ΔG sarà positivo. Per capire le modificazioni energetiche nelle reazioni esoergoniche ed endoergoniche possiamo considerare l’esempio del masso che viene spinto giù da una discesa o viene riportato sulla cima. Nel caso di una reazione esoergonica la situazione è simile a ciò che avviene quando il masso viene fatto cadere giù dalla montagna: l’energia potenziale del masso posto sulla cima si trasforma in energia cinetica del masso che rotola per il fianco della montagna. In una reazione esoergonica l’energia potenziale dei legami chimici delle molecole dei reagenti si trasforma in energia dei legami chimici ovvero entalpia dei prodotti ed in energia libera che viene rilasciata dalla reazione. Nel caso del masso che viene portato sulla cima della montagna devo spendere dell’energia per farlo rotolare fino in cima, l’energia immagazzinata da questo sistema si trasforma in energia potenziale del masso. Allo stesso modo nelle reazioni endoergoniche devo fornire energia per poter creare i legami chimici dei prodotti che hanno più energia potenziale e quindi entalpia di quelli dei reagenti. Un esempio di reazione esoergonica e spontanea è la diffusione dei soluti da zone a più alta concentrazione a zone dove è meno concentrato. A «spingere» la reazione è il gradiente di concentrazione. Se una cellula vuole poi ripristinare il gradiente (esempio far funzionare una pompa ionica) dovrà consumare energia libera e compiere una reazione endoergonica. Energia 2. L’equilibrio chimico. Nella maggior parte delle reazioni biochimiche c’è una piccola differenza tra l’energia libera di reagenti e prodotti, queste reazioni sono reversibili e non comportano la completa trasformazione dei reagenti in prodotti ma, man mano La termodinamica ci dice se una reazione produce energia o ne deve assorbire, ma non ci dice nulla sulla sua velocità. Nelle cellule la velocità di reazione è regolata dagli enzimi che agiscono come catalizzatori, accelerando le reazioni senza consumarsi nelle reazioni stesse. La maggior parte degli enzimi sono proteine, ma ci possono essere anche enzimi a RNA. Tutte le reazioni per partire hanno bisogno di un innesco, per superare la barriera energetica dell’energia di attivazione. Pensiamo per esempio alla combustione del legno (cellulosa). La reazione è fortemente esotermica ma se non c’è l’innesco della scintilla non avviene. Anche in questo caso è necessario fornire un piccola quantità di energia di attivazione. Gli enzimi sono in grado di abbassare l’energia di attivazione delle reazioni, in questo modo un numero maggiore di molecole reagirà nell’unità di tempo e la velocità di reazione aumenterà. Non cambia invece la variazione di energia libera della reazione, infatti l’energia dei prodotti e dei reagenti è sempre la stessa perchè dipende solo dai loro legami. Una reazione non catalizzata avviene quando le molecole dei reagenti si incontrano per urti casuali. Un enzima invece riesce a facilitare l’incontro tra i reagenti formando dei complessi con il suo substrato (molecola che deve reagire) (complessi ES). Quando il complesso si rompe il substrato si è già trasformato in prodotto. Enzima + substrato - complesso ES - enzima + prodotto. Al termine della reazione l’enzima non si è consumato e può essere utilizzato nuovamente. Negli enzimi sono presenti dei siti attivi, di solito delle cavità, in grado di formare il complesso ES con il substrato. Quando il substrato si lega all’enzima avviene un cambiamento di conformazione, un adattamento indotto, sia nell’enzima che nel substrato che facilita la reazione. Gli enzimi: caratteristiche. Tutte le reazioni chimiche che avvengono nell’organismo sono catalizzate da enzimi specifici. Ogni enzima può catalizzare una sola reazione o una classe di reazioni a seconda del suo grado di specificità. Ad esempio la saccarasi scinde solo il saccarosio e non il maltosio ed il lattosio, mentre la lipasi è in grado di agire su tutti gli acidi grassi legati al glicerolo. Tra le principali categorie di enzimi presenti nelle cellule ci sono le idrolasi che catalizzano reazioni di idrolisi o le ligasi che uniscono due molecole tra loro. Alcuni enzimi per agire hanno bisogno di un cofattore che può essere uno ione, una molecola organica o inorganica, altrimenti la reazione non avviene. In questo caso l’enzima si chiama apoenzima. Molti cofattori sono ioni metallici come il Calcio, il Magnesio, il Ferro etc. Altri cofattori molto importanti nelle reazioni di ossidoriduzione sono il NAD+ (Nicotinammide adenina dinucleotide), il NADP+ (Nicotinammide adenina dinucleotide fosfato) e il FAD (Flavina adenina dinucleotide). Un altro cofattore coinvolto nel metabolismo cellulare è il Coenzima A. Spesso le vitamine sono cofattori enzimatici. Gli enzimi di solito hanno una temperatura ed un pH ottimali a cui agiscono. Nel corpo umano la temperatura ottimale è quella corporea, il pH può invece variare da neutro (nel sangue) a acido (nello stomaco) a leggermente basico (pancreas). Se non ci sono queste condizioni ottimali, gli enzimi non funzionano perché le reazioni sono troppo lente nel caso delle basse temperature, oppure si denaturano (alte temperature, pH molto acido o basico) e cioè viene alterata la conformazione dell’enzima, per rottura dei legami ad idrogeno delle strutture secondaria, terziaria e quaternaria. Quando un enzima viene denaturato questo processo è generalmente irreversibile, è come se l’enzima si fosse rotto. Ci sono casi di enzimi che funzionano bene alle alte temperature come quelle dei batteri termofili che vivono nelle sorgenti calde anche a 100°C. Spesso questi enzimi per questa loro caratteristica di resistere alle alte temperature vengono utilizzati nelle reazioni chimiche artificiali. Ad esempio nella reazione PCR per l’amplificazione di frammenti di DNA per poterli studiare in laboratorio. Gli enzimi: attivazione ed inibizione. Gli enzimi possono anche essere direttamente attivati o disattivati mediante modifiche conformazionali che si generano con modifiche di pH, diverse concentrazioni di ioni o aggiunta di gruppi fosfato a specifici amminoacidi dell’enzima. Alcuni enzimi possiedono un sito allosterico (la parola significa un altro spazio) diverso dal sito attivo che è in grado di modificare la conformazione dell’enzima. In particolare quando specifiche sostanze, chiamate regolatori allosterici, si legano al sito allosterico l’enzima modifica la sua conformazione e di conseguenza l’attività. I regolatori possono attivare l’enzima o inibirlo. Un esempio è protein chinasi AMP ciclico dipendente. L’enzima è di solito nella sua forma inattiva, quando è necessario attivarlo, l’AMP ciclico si lega all’inibitore dell’enzima e lo stacca. In questo modo l’enzima si mette a funzionare. L’inibizione enzimatica è un fenomeno che può essere reversibile o irreversibile. Quando è reversibile tra enzima ed inibitori si formano dei legami deboli che possono essere sciolti. Nell’inibizione competitiva l’inibitore compete con il substrato per legarsi al sito attivo dell’enzima. In questo caso l’inibitore assomiglia dal punto di vista della struttura molecolare al substrato. Se si vuole che la reazione proceda normalmente bisogna aumentare la concentrazione di substrato. Nell’inibizione non competitiva l’inibitore si lega ad un sito enzimatico diverso da quello attivo, provocando una modificazione conformazionale (es: inibizione allosterica). Nell’inibizione irreversibile l’inibitore distrugge l’enzima o il sito attivo legandosi in maniera irreversibile. Molti veleni sono inibitori irreversibili degli enzimi cellulari. Per esempio il cianuro si lega alla citocromo (pigmenti cellulari) ossidasi e la blocca impedendo alla cellula di respirare e produrre energia. Molti farmaci sono inibitori per gli enzimi di microorganismi che attaccano l’uomo. Per esempio i sulfamidici che vengono usati per le infezioni batteriche sono inibitori competitivi dell'enzima diidropteroato sintetasi che trasforma nei batteri l'acido p-amminobenzoico (PABA) in acido folico, essenziale per la sintesi e la replicazione degli acidi nucleici. Se non c’è i batteri muoiono. La specificità dei sulfamidici verso i batteri deriva dal fatto che questo enzima esiste nell’uomo che invece assimila l’acido folico con la dieta. Anche la penicillina e altri antibiotici inibiscono un enzima, la transpeptidasi, che stabilizza la struttura della parete cellulare dei batteri, ma è innocua per l’uomo. La Respirazione cellulare. Gli organismi trasformano le macromolecole dei nutrienti in energia attraverso una serie di processi metabolici che vanno sotto il nome di respirazione cellulare. La respirazione cellulare di solito è aerobica e cioè avviene in presenza di ossigeno, ma in alcuni casi può essere anaerobica e avvenire in assenza di ossigeno. I nostri polmoni forniscono l’ossigeno per la respirazione aerobica e eliminano i prodotti di rifiuto (CO2 e vapore acqueo). Le vie cataboliche che degradano le sostanze nutritive sono esoergoniche e producono energia sotto forma di molecole di ATP. Di seguito ci occuperemo di studiare i processi della respirazione aerobica che porta alla trasformazione dei nutrienti, in questo caso glucosio, in energia. La reazione può essere così sintetizzata C6H12O6 + 6O2 che danno 6CO2 + 6H2O + energia. L’anidride carbonica è prodotta dalla demolizione del glucosio, togliendo atomi di idrogeno che si legano con l’ossigeno per formare acqua. In questo modo il glucosio viene ossidato e l’ossigeno ridotto. E’ una reazione di ossidoriduzione. La respirazione aerobica è distinta in 4 diversi stadi: glicolisi, formazione dell’acetil coenzima A ( CoA), ciclo dell’acido citrico, catena di trasporto degli elettroni e chemiosmosi. La glicolisi avviene nel citosol, mentre gli altri 3 processi avvengono nei mitocondri. Le reazioni che avvengono durante la respirazione aerobica sono di 3 tipi: deidrogenazioni: vengono rimossi atomi di idrogeno che vengono trasferiti al NAD+ e al FAD; decarbossilazioni: vengono rimossi gruppi carbossile –COOH per formare anidride carbonica; reazioni di preparazione: le molecole vengono riarrangiate (modificate) per poi essere deidrogenate o decarbossilate. Nella glicolisi (=rottura dello zucchero) il glucosio è convertito in due molecole di piruvato (a 3 atomi di carbonio). La frammentazione della molecola di glucosio libera energia che viene in parte immagazzinata dalla cellula come due molecole di ATP e due di NADH. La via della glicolisi può essere divisa in due fasi principali: una endoergonica ed una seconda esoergonica. La prima fase endoergonica detta anche fase di investimento comprende due reazioni di fosforilazione ed una di preparazione che aggiungono 2 gruppi fosfato, presi dall’ATP al glucosio. Da questa prima parte di reazioni si forma il fruttosio 1,6 bifosfato che poi viene scisso in 2 molecole a 3 atomi di carbonio, la gliceraldeide 3 fosfato ed il diidrossiacetone fosfato che viene anch’esso convertito a gliceraldeide 3 fosfato. La seconda fase della glicolisi è anche chiamata fase di cattura dell’energia perché produce energia sotto forma di 4 molecole di ATP e due di NADH. Nel primo passaggio le due molecole di gliceraldeide 3 fosfato vengono deidrogenate per generare 2 molecole di NADH. Negli altri passaggi per arrivare a produrre 2 molecole di piruvato vengono rimossi i gruppi fosfato e vengono generate in totale 4 molecole di ATP. Approfondimento: I fase glicolisi, la prima reazione della glicolisi è la fosforilazione del glucosio a glucosio 6 fosfato (viene fosforilato il carbonio 6 della molecola del glucosio) catalizzata dall’enzima esochinasi. In questa reazione viene «consumata» una molecola di ATP. Il secondo passaggio è una reazione di preparazione in cui il glucosio 6 fosfato è trasformato nel deidrogenasi, i due idrogeni rimossi sono trasferiti al NAD e l’ossalacetato può accettare un nuovo gruppo acetile dell'acetil coenzima e così il ciclo riparte. Approfondimento: descrizione dettagliata del ciclo dell’acido citrico Cosa succede agli elettroni che sono stati rimossi? Le molecole di NADH e FADH2 entrano nella catena di trasporto degli elettroni e attraverso una serie di reazioni esoergoniche cedono gli elettroni in più agli accettori, producendo anche in questo caso molecole di ATP. L’intero processo si chiama fosforilazione ossidativa. La catena di accettori del sistema di trasporto degli elettroni si trova nella membrana mitocondriale interna. Ad ogni passaggio ciascun accettore è ridotto quando riceve l’elettrone e ossidato quando lo cede all’accettore successivo. I componenti della catena di trasporto sono: la flavoproteina flavin mononucleotide, il lipide ubichinone (detto anche coenzima Q CoQ), alcune proteine ferro-zolfo e altre ferro-proteine chiamate citocromi. Queste molecole sono assemblate in complessi proteici. I 4 grandi complessi della catena di trasporto degli elettroni sono: -il Complesso I (NADH-ubichinone ossidoreduttasi) che accetta gli elettroni dalle molecole di NADH e genera ubichinone ridotto; -il Complesso II (succinato-ubichinone reduttasi) che accetta gli elettroni dalle molecole di FADH2 e genera ubichinone ridotto; -il Complesso III (ubichinone- citocromo reduttasi) che riceve l’ubichinone ridotto dai complessi I e II e dona gli elettroni al citocromo c -il Complesso IV riceve gli elettroni dal citocromo c e li utilizza per ridurre l’ossigeno molecolare O2 e trasformarlo in acqua. L’ossigeno molecolare è l’accettore finale della catena di trasporto degli elettroni, se l’organismo non respira la catena si blocca e non viene prodotta ATP attraverso questa via. In questo caso la cellula può utilizzare solo quella prodotta con glicolisi e ciclo acido citrico ma non può vivere a lungo perché non è sufficiente. Alcuni veleni tra cui il cianuro agiscono bloccando la catena di trasporto degli elettroni. In particolare il cianuro si lega al ferro dell’ultimo citocromo impedendogli di trasferire gli elettroni. Fosforilazione ossidativa: chemiosmosi. La fosforilazione ossidativa e quindi la produzione di ATP grazie al trasferimento di elettroni avviene per un fenomeno chiamato chemiosmosi. I protoni che si separano da NADH e FADH2 durante l’ossidazione vengono pompati dai complessi I, III e IV che si trovano sulla membrana interna dei mitocondri nello spazio intermembrana creando un gradiente di protoni e quindi accumulando energia. I protoni possono quindi rientrare attraverso la membrana interna dei mitocondri secondo il flusso del gradiente e quindi con un processo esoergonico attraverso l’ATP sintasi (chiamato Complesso V) che porta alla sintesi di ATP. L’ATP sintasi funziona come una specie di turbina: il flusso di protoni fa girare una struttura centrale dell’enzima che modifica la sua struttura e permette la sintesi di ATP. L’ossidazione del NADH produce 2 o 3 molecole di ATP, solo 2 molecole vengono prodotte in alcune cellule eucariotiche che necessitano di consumare energia per trasportare il NADH prodotto dalla glicolisi all’interno della membrana mitocondriale. L’ossidazione del FADH2 produce 2 molecole di ATP. Facciamo i conti di quanta ATP viene prodotta durante la respirazione cellulare: la glicolisi produce 2 ATP e 2 NADH. Il piruvato produce 2 NADH, Il ciclo dall’acido citrico produce 2 ATP, 6 NADH e 2 FADH2. Per cui in totale ho: 4 ATP, 10 NADH (resa massima 30 ATP minima 28) e 2FADH2 (resa 4). Ciò significa che otterrò alla fine della catena di trasporto degli elettroni 38-36 molecole di ATP. La maggior parte delle molecole di ATP è formata nella catena di trasporto degli elettroni. In alcune cellule eucariotiche è necessario consumare energia per trasportare questi 2 NADH prodotti nella glicolisi all’interno dei mitocondri. Per questo motivo queste 2 molecole di NADH producono sono 2 ATP invece di 3. Questo è il caso delle cellule muscolari scheletriche e cerebrali umane in cui avrò la produzione di solo 36 ATP invece di 38. RESPIRAZIONE 3. In presenza di abbondanza di nutrienti e ossigeno le cellule regolano la respirazione considerando la quantità di ADP e fosfato disponibili. La respirazione procede fino a quando la maggior parte dell’ADP è convertito a ATP, avvenuto ciò la fosforilazione ossidativa rallenta. C’è un sistema a feedback che riduce la glicolisi bloccando l’enzima fosfofruttochinasi. Oltre al glucosio, le cellule possono produrre energia anche utilizzando altre molecole provenienti dai nutrienti come gli acidi grassi e le proteine. Queste sostanze possono infatti essere trasformate in prodotti intermedi della catena energetica e quindi possono entrare nel processo di produzione dell’energia a vari livelli. Per esempio, il glicerolo dell’ossatura dei trigliceridi viene trasformato in gliceraldeide 3 fosfato entrando nell’ultimo passaggio della glicolisi. Invece le catene degli acidi grassi vengono frantumate in gruppi acetile ed entrano nella catena come acetil-CoA (questa reazione si chiama β-ossidazione). Gli acidi grassi «rendono» molto dal punto di vista energetico (più del glucosio) perché sono molto ricchi di atomi di idrogeno. Infatti una molecola di acido grasso a 6 atomi di carbonio che viene ossidata permette di produrre fino a 44 molecole di ATP rispetto alle 36-38 del glucosio (più ricco di ossigeno). Le proteine vengono idrolizzate ad amminoacidi, ai singoli amminoacidi viene poi rimosso il gruppo amminico –NH2 con una reazione di deaminazione e poi escreto come urea (l’ammoniaca NH3, tossica per l’organismo, che si forma in un primo momento viene trasformata in urea, non tossica). La catena carboniosa residua può entrare a diversi stadi della respirazione. Per esempio, l’alanina produce piruvato, il glutammato produce α-chetoglutarato, l’aspartato produce ossalacetato (entrambi questi ultimi intermedi del ciclo dell’acido citrico). Respirazione anaerobica e fermentazione: Alcuni batteri che vivono in ambienti senza ossigeno utilizzano la respirazione anaerobica per produrre energia. In questo caso, l’accettore finale degli elettroni della chemiosmosi non è l’ossigeno ma altre sostanze inorganiche come gli ioni nitrato NO3- e solfato SO4-- . I prodotti finali della respirazione anaerobica saranno ATP, anidride carbonica. Alcuni batteri e lieviti producono energia attraverso la fermentazione, in questo caso il processo, a differenza della respirazione, non arriva alla catena di trasporto degli elettroni ma si limita alla glicolisi (producono solo 2 ATP per molecola di glucosio). Il piruvato che si produce viene poi trasformato in alcol o in lattato e anidride carbonica. Questi batteri sono utili all’uomo per la produzione di birra e vino e per la fermentazione del pane (nel caso della fermentazione alcolica) o di yogurt e crauti (nel caso della fermentazione lattica). Il lattato viene anche prodotto nelle cellule muscolari durante l’attività fisica in presenza di poco ossigeno. Per smaltire parte di questo lattato, le cellule muscolari devono consumare ossigeno quando ritorna ad essere disponibile ed è per questo che il respiro affannoso continua anche dopo la fine dell’esercizio fisico intenso. La fermentazione lattica è poco efficiente in termini di produzione di ATP, per cui bisogna consumare tanto glucosio ed è per questo che le cellule muscolari accumulano grandi quantità di glucosio, sotto forma di glicogeno, per essere pronte in caso di sforzo intenso e carenza di ossigeno. MITOCONDRI E CLOROPLASTI Vediamo ora un po' più in dettaglio quello che è il trasporto degli elettroni attraverso le membrane per produrre energia. La chemiosmosi è il momento del processo di respirazione cellulare in cui avviene la maggior parte della sintesi dell'ATP. Sfrutta per la produzione di energia la formazione di un gradiente protonico, i mitocondri generano questo gradiente utilizzando l’energia chimica contenuta nei nutrienti, mentre i cloroplasti ottengono questa energia dalla luce solare. Questo processo è stato molto importante dal punto di vista evolutivo e i due organelli che producono energia attraverso l’accoppiamento chemiosmotico sono i mitocondri e i cloroplasti. I mitocondri hanno delle caratteristiche che fanno pensare che possano essere derivati da batteri primordiali che sono stati inglobati all'interno delle cellule eucariotiche più di un milione di anni fa. Le prove a favore di questa teoria sono che i cloroplasti e mitocondri si riproducono da soli in maniera molto simile grazie al fatto che possiedono un loro DNA. Inoltre, possiedono dei macchinari per la sintesi di RNA e proteine molto simili a quelle dei batteri e sono appunto in grado di esprimere molti geni. Ora i mitocondri e cloroplasti con lo sviluppo della simbiosi nelle cellule eucariotiche non sono più in grado di avere una vita autonoma perché hanno smesso di produrre molti dei geni che gli servono per vivere. Questi geni non sono scomparsi ma sono entrati nel nucleo cellulare e quindi, a questo punto, è il nucleo della cellula che si occupa di produrre anche le proteine che servono ai mitocondri e ai cloroplasti che loro hanno perso la capacità di produrre. I mitocondri sono molto importanti per la vita delle nostre cellule e del nostro organismo. Esistono molte malattie umane di origine mitocondriale e quindi che hanno come causa un'alterazione del funzionamento di questi organelli. Dal momento che i mitocondri producono energia, sono le parti del corpo che consumano più energia come il cervello e il muscolo quelle che vengono attaccate maggiormente quando c'è una disfunzione dei mitocondri. Tra le malattie mitocondriali ci sono alcune forme di neuropatie e di epilessie anche nella patogenesi della malattia di Parkinson sembra esserci un coinvolgimento delle alterazioni nei mitocondri. I mitocondri sono simili tra di loro per struttura e funzioni hanno però la caratteristica di riuscire ad adattarsi per funzionare al meglio all'interno della cellula. Per esempio, se la cellula ha bisogno di molta energia essi sono in grado di replicarsi possibile lo sviluppo di forme di vita che producono ATP proprio utilizzando i processi di metabolismo aerobico. I cloroplasti contengono dei pigmenti che sono in grado di catturare la luce, in particolare, un pigmento verde chiamato clorofilla. Nelle foglie delle piante nelle ore di luce si produce ATP e NADPH e queste molecole poi possono essere utilizzate dalle cellule vegetali in qualsiasi momento per convertire la CO2 in zucchero all'interno dei cloroplasti tramite un processo chiamato fissazione del carbonio. I cloroplasti sono più grandi dei mitocondri, ma hanno una struttura abbastanza simile, hanno una membrana esterna molto permeabile e una membrana interna invece poco permeabile come quelle dei mitocondri e in questa membrana interna sono presenti delle proteine che servono proprio per il trasporto di membrana, anche qui quindi c'è uno spazio intermembrana. Inoltre i cloroplasti hanno anche un compartimento interno che è chiamato stroma che è praticamente l'analogo della matrice dei mitocondri e questo stroma contiene molti enzimi metabolici. Al contrario dei mitocondri nei cloroplasti c’è un terzo compartimento dato dai tilacoidi che sono organizzati in pile impaccate dette grani. Ed è appunto sulla membrana di questi tilacoidi che sono contenuti i sistemi di captazione della luce, la catena di trasporto degli elettroni e l'ATP sintasi che produce ATP durante la fotosintesi. Lo spazio interno dei tilacoidi è connesso con quello degli altri tilacoidi e si crea quindi un terzo compartimento all'interno dei cloroplasti chiamato spazio tilacoidale che è separato dallo stoma. La clorofilla si trova punto su questa membrana tilacoidale. I processi di fotosintesi. La reazione che riassume il risultato dei processi di biosintesi è questa; energia solare più anidride carbonica più acqua da zuccheri più ossigeno più calore. In questa reazione però non compaiono due molecole che sono importanti per i processi di fotosintesi che sono l'ATP è il NADPH cioè la nicotinamide adenin dinucleotide fosfato. Nella prima fase della fotosintesi dicevamo che l'energia solare viene utilizzata per produrre ATP e NADPH mentre nella seconda fase queste molecole vengono utilizzate per sintetizzare gli zuccheri. La prima fase della fotosintesi è molto simile alla fosforilazione ossidativa e qui la catena di trasporto nella membrana tilacoidale cattura l'energia derivante dal trasporto degli elettroni per pompare i protoni all'interno dello spazio tilacoidale, il gradiente protonico porta l'ATP sintasi a sintetizzare ATP. Una prima differenza rispetto alla fosforilazione ossidativa è data dal fatto che gli elettroni ad alta energia, invece di derivare dalla degradazione dei legami chimici dei nutrienti, provengono dalla molecola di clorofilla che ha assorbito l'energia solare. Questa fase è quella che avviene alla luce perché appunto c'è bisogno dell'energia solare perché avvengano questi processi. Una seconda differenza è invece legata a qual è l’accettore di elettroni: perché nel caso della fosforilazione ossidativa gli elettroni vengono dati all'ossigeno molecolare che diventa acqua, in questo caso invece vengono dati al NADP+ che si trasforma in NADPH. Nella seconda fase della fotosintesi l’ATP e il NADPH che sono stati prodotti nella prima fase vengono utilizzati per sintetizzare gli zuccheri a partire dall’anidride carbonica. Queste reazioni chiamate processi di fissazione del carbonio avvengono al buio e iniziano nello stroma dove si produce uno zucchero a 3 atomi di carbonio, la gliceraldeide 3 fosfato poi questo zucchero viene esportato nel citosol dove viene utilizzato per produrre saccarosio e altre molecole organiche. La prima fase e la seconda fase sono legate da meccanismi specifici di regolazione per esempio l'attivazione o l’inattivazione di certi enzimi con il buio o con la luce, in modo che la cellula produca zuccheri o energia al momento giusto. LA COMPARTIMENTAZIONE INTERNA: GLI ORGANELLI. Nelle cellule eucariotiche esistono dei sistemi per confinare i diversi processi metabolici, e quindi tutti gli enzimi le proteine e gli apparati necessari per svolgerli, in alcuni compartimenti specifici racchiusi da membrane. Le cellule procariotiche hanno una sola membrana plasmatica per cui hanno un unico compartimento mentre le cellule eucariotiche, presentano nel loro citoplasma un complesso sistema di organelli come il nucleo, il RE, l’apparato del Golgi e tanti altri. Ogni organello ha i suoi specifici enzimi e svolge delle funzioni spesso uniche all'interno della cellula. Possiedono anche determinate posizioni nella cellula, perché sono collegati al citoscheletro che li mantiene in una determinata area cellulare. L'area occupata dagli organelli è circa la metà della dimensione totale della cellula e la membrana plasmatica non è che solo una piccola parte delle membrane della cellula che servono in larga misura per costruire gli organelli. L’'evoluzione della cellula eucariotica è avvenuta in fasi diverse. Infatti, finché le cellule erano simili tutte simili a batteri la membrana plasmatica era sufficiente per svolgere tutte le funzioni compresa anche la sintesi di ATP dei lipidi eccetera, le dimensioni dei batteri sono piuttosto modeste rispetto alle cellule eucariotiche e hanno un volume che è 10000 volte inferiore. Invece le membrane delle cellule eucariotiche devono essere di più per poter soddisfare tutte le richieste vitali e anche l'aumento di volume. L’ipotesi è che le membrane interne possano essersi formate per un’Invaginazione della membrana plasmatica. È possibile che in una antica cellula procariotica che aveva il DNA legato alla membrana plasmatica si sia formata un’invaginazione che ha incominciato a circondare questo DNA, formando quindi l'involucro a doppia membrana che è l'involucro nucleare. In questo involucro sono presenti anche i pori nucleari. Un’altra parte di questa membrana ha dato origine al RE, anche i ribosomi erano attaccati alla membrana, e questo spiegherebbe come mai la doppia membrana del nucleo comunica con il lume del reticolo endoplasmatico. Gli organelli creati da queste membrane interne sono in grado di comunicare tra loro attraverso delle vescicole che si staccano da un organello e vanno a fondersi con un altro. In accordo con l'ipotesi evolutiva, la cellula tratta l'interno di questi organelli come se fosse un vero e proprio compartimento extracellulare. L'origine dei mitocondri e dei cloroplasti è diversa in quanto, possiedono un loro genoma e sono in grado di sintetizzare anche alcune delle proteine che servono loro; hanno due membrane; il genoma di mitocondri e cloroplasti assomiglia molto a quello di alcuni batteri. Tutte queste caratteristiche fanno pensare che mitocondri e i cloroplasti derivino da antiche cellule procariote che sono state inglobate all'interno delle cellule eucariotiche più grandi. Le cellule eucariotiche non hanno distrutto questi antichi batteri perchè producevano energia. A supporto di ciò c'è anche l'evidenza che i mitocondri e i cloroplasti non partecipano al traffico vescicolare che invece è proprio degli altri organelli. LO SMISTAMENTO DELLE PROTEINE Le cellule per vivere hanno bisogno di continuare a produrre proteine che devono poi essere trasferite nei compartimenti cellulari dove servono. Inoltre, le cellule per crescere o al momento della riproduzione o per mitosi o meiosi devono accrescere i loro organelli e le membrane interne per questo motivo la sintesi proteica è continua e raggiunge anche, in alcuni momenti, dei picchi di produzione. E’ necessario che le proteine, una volta sintetizzate, vadano poi negli organelli. Molti organelli come i mitocondri e cloroplasti, l'interno del nucleo e i perossisomi prendono le proteine direttamente dal citosol; in altri come l'apparato del Golgi, oppure i lisosomi, gli endosomi, le membrane nucleari interne prendono le loro proteine tramite il reticolo endoplasmatico che è un po' come se fosse la fabbrica della cellula, è la struttura che produce molte proteine e lipidi che servono alla cellula, le proteine entrano nel reticolo endoplasmatico anche qui dal citosol però poi la maggior parte di esse viene trasferita all'interno di vescicole all’apparato del Golgi e poi ad altri organelli. Adesso vedremo quali sono i meccanismi che servono per il trasporto delle proteine all'interno degli organelli. Le proteine vengono prodotte dai ribosomi che si trovano nel citosol, escluse ovviamente quelle che sono prodotte direttamente dai mitocondri e cloroplasti e devono poi arrivare dove servono. Molte proteine contengono una sequenza ovvero un segnale di smistamento che indirizza la proteina all’organello giusto; le proteine prive di questo segnale sono quelle che devono rimanere nel citosol. Molte proteine sono idrofile, vengono sintetizzate nel citosol e per poi essere importate all'interno di un organello o esportate da un altro organello per cui è importante capire come fanno le cellule a trasportare delle grandi molecole idrofile, come certe proteine, attraverso la membrana che normalmente è impermeabile a questo tipo di molecole. Ci sono tre meccanismi principali: Il primo meccanismo riguarda le proteine che devono passare dal citosol al nucleo: queste vengono trasportate attraverso i pori nucleari che agiscono come delle barriere selettive perché sono in grado di trasportare specifiche macromolecole e non ostacolare la libera diffusione delle molecole più piccole. Un secondo meccanismo è quello che riguarda le proteine che passano dal citosol al reticolo endoplasmatico, ai mitocondri e cloroplasti: in questo caso le proteine passano attraverso dei traslocatori proteici e per poter oltrepassare la membrana devono perdere il loro avvolgimento e in qualche maniera “infilarsi” attraverso la membrana. Ciò avviene anche nei batteri per l’esportazione di certe proteine. Per quanto riguarda invece le proteine che devono passare dal reticolo endoplasmatico al Golgi per esempio o verso altri compartimenti membranosi, queste viaggiano racchiuse in vescicole di trasporto che si formano per gemmazione della membrana di un compartimento, si muovono nel citoplasma e poi si fondono con la membrana dell’organello di destinazione. In questo caso anche i lipidi e le proteine che costituiscono le membrane delle vescicole vanno ad unirsi e ad accrescere le altri traslocatori e quindi la proteina verrà spostata. I mitocondri e i cloroplasti per crescere e moltiplicarsi hanno bisogno oltre che di proteine anche di lipidi. La maggior parte dei fosfolipidi vengono sintetizzati nel reticolo endoplasmatico liscio, ci sono delle specifiche proteine che sono dedicate al trasporto dei lipidi nella cellula. Nelle regioni di contatto tra le membrane dei mitocondri e del reticolo endoplasmatico, queste proteine di trasporto estraggono una molecola di fosfolipidi da una membrana e la inseriscono nell'altra. Questo sistema è un'alternativa a quello della crescita per fusione delle vescicole che, come dicevamo prima, nel caso dei mitocondri e dei cloroplasti non è utilizzato. I perossisomi ricevono la maggior parte delle loro proteine tramite un meccanismo di trasporto dal citosol, anche in questo caso le proteine possiedono un segnale di importazione specifico composto da 3 amminoacidi che sono riconosciuti da specifici recettori nel citosol. Questi recettori poi accompagnano le proteine per tutto il percorso fino all'interno del perossisoma e poi ritornano nel citosol. Le membrane dei perossisomi hanno anch’esse un trasportatore proteico che permette il passaggio delle proteine, in questo caso però le proteine non hanno bisogno di svolgersi per entrare ma possono restare ripiegate nella loro conformazione originaria. Questo meccanismo, comunque, non è ancora stato del tutto chiarito. Oltre a questo sistema, le proteine possono anche arrivare ai perossisomi attraverso delle vescicole che gemmano dalle membrane del reticolo endoplasmatico e poi si fondono con i perossisomi. I perossisomi sono molto importanti per la vita cellulare e anche per la salute umana, infatti esistono delle malattie perossisomiali molto gravi come per esempio la sindrome di Zellweger il cui meccanismo è proprio legato al blocco delle importazioni di proteine nei perossisomi. I soggetti che hanno questa patologia presentano delle gravi anomalie cerebrali, epatiche e renali e vista la gravità non superano i 6 mesi di vita. Vediamo ora come le proteine entrano nel reticolo endoplasmatico. Abbiamo detto quando abbiamo introdotto diversi organelli delle cellule che il reticolo endoplasmatico è l’organello più grande all'interno della cellula, è contiguo al nucleo e sono presenti nella sua struttura due zone: una zona di reticolo endoplasmatico liscio e una zona di reticolo endoplasmatico rugoso dove sono presenti i ribosomi essenziali per la sintesi delle proteine. Le proteine quindi vengono sintetizzate nel citosol dai ribosomi e poi devono essere traslocate dal citosol al reticolo endoplasmatico. Sostanzialmente ci sono due categorie di proteine: le proteine idrosolubili che attraversano completamente la membrana del reticolo endoplasmatico per andare nel lume dell’organello e sono destinate alla secrezione e le proteine destinate a rimanere transmembrana nel reticolo endoplasmatico o in altri organelli oppure nella membrana plasmatica. Anche in questo caso le proteine sono inviate al reticolo endoplasmatico grazie alla presenza di una sequenza segnale che è formata da 8 o più aminoacidi idrofobici. Le proteine che devono entrare nel reticolo endoplasmatico iniziano a infilarsi nella membrana durante la loro sintesi e cioè quando la loro sintesi non è ancora terminata. Questo provoca un avvicinamento dei ribosomi alla membrana del reticolo endoplasmatico ed è per questo motivo che il reticolo endoplasmatico rugoso ha l'aspetto che ha per la presenza dei ribosomi. Dal momento che la proteina viene traslocata durante la sintesi, per questo tipo di trasporto verso il reticolo endoplasmatico non è richiesta energia. I ribosomi possono essere o legati al reticolo endoplasmatico o liberi nel citoplasma. Le strutture sono identiche la differenza è legata a qual è la proteina che stanno sintetizzando: infatti se stanno sintetizzando una proteina che ha la sequenza segnale per il reticolo endoplasmatico questi ribosomi si avvicineranno alla membrana del reticolo. In realtà i ribosomi non sintetizzano le proteine singolarmente ma si formano delle strutture composte da molti ribosomi che si chiamano poliribosomi. Il poliribosoma può essere libero nel citoplasma oppure legato alla membrana del reticolo endoplasmatico. Perché un ribosoma possa essere guidato alla membrana del reticolo endoplasmatico e la proteina venga traslocata durante la sua sintesi c’è bisogno di due intermediari: una particella di riconoscimento del segnale chiamata anche particella SRP e un recettore per SRP che è presente nella membrana del reticolo endoplasmatico. Il meccanismo è questo: prima si ha il legame della particella SRP alla sequenza di segnale per il reticolo endoplasmatico, il ribosoma quindi viene guidato al recettore per la SRP, a questo punto la particella SRP si dissocia e questo permette al ribosoma di passare dal recettore al traslocatore proteico e la proteina si infila nel traslocatore. Nel momento in cui si lega la particella SRP la sintesi della proteina rallenta fino a quando la particella non viene rilasciata e la proteina inizia ad entrare nella membrana. La sequenza segnale, oltre a contribuire a guidare il ribosoma verso la membrana del reticolo endoplasmatico, serve anche ad aprire il canale di traslocazione. Questa sequenza segnale resta legata al traslocatore e la proteina quando procede la sintesi forma un'ansa. Nel caso delle proteine solubili la sequenza segnale si trova quasi sempre nell’estremità amminica e a un certo punto della traslocazione e della sintesi la sequenza segnale viene rimossa da una peptidasi e la proteina solubile matura viene rilasciata nel lume del reticolo endoplasmatico. Oltre alle proteine solubili nel reticolo endoplasmatico vengono sintetizzate anche molte proteine destinate a una collocazione transmembrana. Nel caso di queste proteine il processo di sintesi e trasferimento è un po’ più complesso e nella situazione più semplice quella di una proteina transmembrana con una sola parte compresa nella membrana, è presente, oltre alla sequenza segnale, anche una sequenza di arresto del trasferimento che è situata un po' più avanti nella catena polipeptidica. Nel momento in cui arriva questa sequenza di arresto del trasferimento all'interno del traslocatore, la peptidasi taglia la sequenza di inizio del trasferimento e il traslocatore proteico si stacca e rilascia la proteina che slitta lateralmente e quindi si ha come risultato una proteina transmembrana matura con l’estremità amminica nella parte del lume del reticolo endoplasmatico e l’estremità carbossilica nel lato del citosol e con una parte transmembrana ad alfa elica, che corrisponde appunto alla sequenza idrofoba di arresto del trasferimento. Che cosa succede? la sequenza segnale per l'inizio del trasferimento non è proprio nell’estremità amminica ma è un po' più indietro nella proteina e prende il nome di sequenza di avvio del trasferimento, questa sequenza non viene mai eliminata. Quando arriva al traslocatore proteico anche la sequenza idrofoba di arresto del trasferimento, il traslocatore proteico si stacca e la proteina slitta in membrana ed è una proteina transmembrana matura con due segmenti che attraversano la membrana del reticolo endoplasmatico. In questo caso sia l’estremità amminica che carbossilica si trovano sul lato del citosol e invece l'ansa della proteina è all'interno del lume. Nel caso delle proteine multipass contenenti molti segmenti transmembrana, c'è un gioco di coppie di sequenze di inizio e di arresto che fanno sì che si formino tutti i segmenti transmembrana necessari. IL TRASPORTO VESCICOLARE Vediamo ora come funziona il traffico vescicolare mediante il quale le proteine che entrano nel lume o nella membrana del reticolo endoplasmatico vengono poi trasportate all’apparato del Golgi e poi da questo ad altre destinazioni. In realtà il trasporto vescicolare può essere diretto sia verso l'esterno, dal reticolo endoplasmatico alla membrana plasmatica e in questo caso si parla di via esocitica o via di escrezione, che verso l'interno dalla membrana plasmatica ai lisosomi e in questo caso si parla di via endocitica. Il sistema di trasporto vescicolare è complesso e organizzato: un aspetto fondamentale è che le vescicole trasportano specifiche molecole da un organello all'altro o alla e dalla membrana per cui un punto chiave è quello della selezione delle molecole che vengono inserite nella vescicola; un altro aspetto è invece quello della selezione di quali vescicole devono fondersi con quale organello. Non è la stessa cosa se la vescicola trasporta materiali al Golgi piuttosto che alla membrana plasmatica o ai lisosomi. Inoltre, la fusione della vescicola con l’organello o la membrana non deve alterare le specifiche funzioni di quella membrana. Le vescicole quando si formano sulle membrane degli organelli hanno un rivestimento che contribuisce alla loro formazione. Quelle più studiate sono rivestite dalla proteina clatrina e possono gemmare dall’apparato del Golgi ed essere dirette verso la membrana plasmatica seguendo la via di secrezione, oppure possono gemmare dalla membrana plasmatica e andare verso l'interno della cellula seguendo la via di endocitosi. Il processo inizia con le vescicole che gemmano dalla membrana plasmatica con la formazione di una fossetta rivestita di clatrina sul lato citosolico della membrana. In pratica, le molecole di clatrina si aggregano e formano una struttura simile a un canestro e in questo modo aiutano la formazione di una invaginazione della membrana che crea a poco a poco una gemma, quando la gemma si è ormai quasi trasformata in una vescicola, interviene anche la dinamina che è una GTPasi, che quando è in forma attiva lega la GTP e quando la idrolizza a GDP si inattiva. La dinamina insieme ad altre proteine crea un anello e lo fa contrarre, in questo modo la vescicola si stacca dalla membrana. Adesso vediamo come fanno le cellule a scegliere quali proteine devono essere inserite nelle vescicole di trasporto. Qui entra in gioco un'altra classe di proteine di rivestimento che sono le adattine: queste hanno una doppia funzione, da una parte servono per legare il rivestimento esterno di clatrina alla membrana e dall'altra parte invece servono a selezionare quali sono le molecole che devono essere inserite in vescicola. Le molecole che devono essere trasportate contengono dei segnali di trasporto che vengono riconosciuti da dei recettori cargo presenti sulle membrane, le adattine si legano ai recettori cargo che a sua volta sono legati alle molecole da una malattia genetica autosomico recessiva che porta gravi danni in tutto il corpo e soprattutto comporta una compromissione del tessuto polmonare e quindi a problemi di respirazione. Una delle mutazioni più frequenti che causano questa patologia si trova in un gene che codifica per una proteina di trasporto della membrana plasmatica, un canale del cloro, che ha una conformazione leggermente difettosa. La proteina mutante potrebbe anche funzionare abbastanza bene come canale, ma questo sistema di controllo qualità del reticolo endoplasmatico la trattiene nel reticolo e quindi la proteina non arriva a destinazione sulla membrana plasmatica e non può funzionare e quindi si manifesta la malattia. Ci sono casi in cui le cellule devono produrre molte proteine e il sistema di controllo quindi può andare un po' in sofferenza proprio perché ci sono tantissime proteine da controllare e le proteine chaperone disponibili sono insufficienti. Allora che cosa succede nella cellula? Si avvia un segnale che si chiama UPR che vuol dire a unfolded protein response che stimola la cellula a produrre dell'altro reticolo endoplasmatico e altre proteine chaperone. Questo stimolo è anche quello che fa sì che la cellula possa costruire un reticolo endoplasmatico di dimensioni adeguate alle sue funzioni e alla sua grandezza. In alcuni casi ci può essere anche un’inibizione della sintesi proteica. Quando la sintesi di proteine è così intensa che neanche con lo stimolo UPR la cellula riesce a fronteggiare lavoro di sintesi e controllo, questo stesso sistema può indirizzare la cellula all'autodistruzione, alla apoptosi che è la morte cellulare programmata. Questo avviene per esempio nel caso del diabete di tipo 2 che insorge dai 45-50 anni, perché in questo caso si ha una resistenza all'insulina per cui le cellule del pancreas per indurre comunque lo stimolo dell'insulina devono produrne molta di più. La funzione dell’insulina è quella di stimolare il suo recettore e promuovere l'ingresso del glucosio all'interno della cellula attraverso l'espressione nella membrana plasmatica di più trasportatori per il glucosio. Le cellule del pancreas vanno quindi in sovrapproduzione di insulina e alcune di loro incominciano a morire per apoptosi proprio per questo sforzo massivo, le altre che restano vanno in sofferenza ancora di più perché rimangono in poche e quindi questo porta alla morte delle cellule del pancreas e quindi nel diabete di tipo 2, se non controllato adeguatamente, si passa dalla resistenza insulinica alla morte della cellule del pancreas e quindi si diventa insulino dipendenti, bisogna assumere dell'insulina esogena, perché non vi sono presenti più le cellule che la producono. L’apparato del Golgi si trova vicino al nucleo e al reticolo endoplasmatico ed è composto da pile di sacche appiattite chiamate cisterne. Ogni pila contiene da 3 a 20 cisterne. Il Golgi possiede un lato cis e un lato trans e sulle superfici cis e trans del Golgi è presente un reticolo di vescicole e strutture tubolari. Al Golgi arrivano le vescicole dal reticolo endoplasmatico contenenti le proteine e poi sempre tramite vescicole che gemmano dalle superfici si spostano da una all'altra delle cisterne, dal reticolo trans del Golgi poi le vescicole che si staccano e vanno verso la membrana plasmatica, oppure verso le membrane degli altri organelli, a seconda della tipologia di sostanze che trasportano. Il Golgi è un po' la centrale di smistamento della cellula. Inoltre, nel Golgi vengono compiuti i processi di modificazione delle catene oligosaccaridiche, infatti in queste strutture si formano delle catene molto complesse di oligosaccaridi, grazie ad una serie di processi catalizzati da enzimi in sequenza che aggiungono zuccheri e ne rimuovono altri, i processi si completano passando da una cisterna all'altra. Dalla superficie trans del reticolo dell'apparato del Golgi si staccano delle vescicole che vengono secrete dalla membrana plasmatica tramite il processo di esocitosi. Le proteine che sono inserite in queste vescicole non hanno delle sequenze di riconoscimento come quelle che conducono le proteine al reticolo endoplasmatico oppure ai lisosomi. I processi di esocitosi si possono dividere in due tipologie: l'esocitosi non regolata o esocitosi costitutiva e l'esocitosi regolata. L'esocitosi costitutiva è un processo che fornisce alla membrana plasmatica nuovi lipidi e proteine che sono utili per espandere la membrana in vista di un possibile processo di divisione cellulare e anche per sostituire le proteine e lipidi che sono invecchiati che devono essere ripristinati. Mentre per quanto riguarda l’esocitosi regolata questa avviene nelle cellule secretorie che producono sostanze come ormoni o enzimi che devono essere liberati all'esterno della cellula. Nel caso dell’esocitosi regolata le proteine si aggregano tra loro grazie a particolari condizioni di pH acido e concentrazioni di ioni calcio elevate, caratteristiche del reticolo trans del Golgi. Queste proteine poi sono racchiuse in vescicole secretorie che si staccano dal Golgi e restano nei pressi della membrana plasmatica in attesa di un segnale che dà il via alla loro fusione con la membrana plasmatica e quindi poi alla secrezione. Per esempio, sempre restando nel caso dell'insulina, quando arriva il segnale che è necessario rilasciare insulina perché è aumentato il livello ematico del glucosio, le cellule attivano per esocitosi regolata il rilascio di insulina. Il fatto che le proteine possano aggregarsi fa sì che le concentrazioni all'interno delle vescicole secretorie siano anche 200 volte più elevate di quelle presenti nel lume del Golgi. La membrana cresce quando si fonde con le vescicole durante l’esocitosi, ma poi può anche ridursi e quindi mantenere le stesse dimensioni, se necessario, tramite il processo di endocitosi che sottrae materiale. L’ENDOCITOSI Ci sono diverse tipologie di endocitosi: una di queste è la fagocitosi che si verifica quando la cellula deve ingerire delle particelle di grandi dimensioni o addirittura dei microrganismi; un’altra è la pinocitosi che avviene quando la cellula ingerisce liquidi e molecole con vescicole di piccole dimensioni. Mentre il processo di pinocitosi è un processo continuo che avviene in tutte le cellule, solo alcune cellule invece compiono la fagocitosi queste cellule sono chiamate fagociti. C’è poi una terza via, quella dell’endocitosi recettore mediata, che avviene per alcune molecole specifiche. La fagocitosi negli organismi pluricellulari avviene solo in alcune popolazioni cellulari specializzate, un esempio sono le nostre cellule del sistema immunitario come i macrofagi ed i neutrofili che hanno proprio il compito di ingerire i microorganismi che causano le infezioni. Come avviene questo processo? I microrganismi vengono ricoperti da degli anticorpi specifici che rappresentano la “prima linea” di difesa. Questi anticorpi poi vengono riconosciuti dai recettori presenti sulla superficie dei fagociti e si attiva il processo di endocitosi. I fagociti sono in grado di produrre dei prolungamenti della membrana plasmatica sono simili a dei tentacoli che sono chiamati pseudopodi, questi prolungamenti avvolgono il microrganismo e permettono la formazione del fagosoma. Il fagosoma poi, una volta all'interno della cellula, si incontra con un lisosoma e il microrganismo viene distrutto. Questo processo purtroppo non funziona sempre. Ci sono alcuni batteri che sono in grado di impedire l’azione di questo sistema di difesa: un esempio è il micobatterio della tubercolosi. In questo caso il microrganismo è capace di inibire la fusione tra la membrana del fagosoma e quella del lisosoma, in questo modo il micobatterio può sopravvivere e moltiplicarsi all'interno dei macrofagi. I fagociti, inoltre, hanno anche il compito di eliminare le cellule morte e i detriti. Nel nostro corpo, i macrofagi svolgono anche la funzione di eliminare i globuli rossi del sangue che non funzionano più e che devono essere sostituiti. Attraverso il processo di pinocitosi, le cellule riescono ad assumere liquidi, la velocità con cui si formano le vescicole e la membrana plasmatica viene fatta entrare all'interno della cellula è molto elevata. Basti pensare che nel caso di un macrofago ogni mezz'ora il 100% della membrana plasmatica viene asportata per pinocitosi e si ricambia. Infatti, una seconda funzione della pinocitosi è quella di rinnovare la membrana plasmatica. Durante la pinocitosi si forma una fossetta ricoperta da clatrina sul lato interno della cellula, nella vescicola vengono inseriti i liquidi extracellulari e le sostanze lì disciolte. Poi quando la vescicola è entrata all'interno della cellula, la clatrina si stacca e la vescicola che si è formata si fonde con un endosoma e vi riversa il suo contenuto di liquidi e sostanze. La superficie e il volume della cellula devono rimanere invariati durante questo processo, quindi la stessa quantità di membrana che viene rimossa mediante endocitosi deve essere aggiunta per esocitosi. In questo senso, endocitosi ed esocitosi sono processi interconnessi che possono essere considerati come costituenti di un ciclo endocitico-esocitico. Nella maggior parte delle cellule animali la pinocitosi che utilizza le vescicole rivestite di clatrina serve in realtà per assumere delle specifiche molecole. Questo avviene perché ci sono dei recettori sulla superficie cellulare che captano le sostanze di interesse, questo processo si chiama endocitosi mediata da recettori. Rispetto alla normale pinocitosi questa è capace di aumentare anche di 1000 volte la selettività per alcune macromolecole. Questo aumento della concentrazione fa sì che la cellula possa assumere anche delle quantità minori di liquido perché riesce con piccole quantità molto concentrate a far entrare il quantitativo necessario delle sostanze che gli interessano. Come esempio di endocitosi mediata da recettore possiamo vedere l'endocitosi del colesterolo. Il colesterolo è un lipide insolubile in acqua e viaggia nel sangue legato a delle proteine che formano le particelle chiamate LDL low density lipoproteins. Vediamo un attimo come funziona questo meccanismo: i recettori presenti sulla membrana plasmatica captano le particelle LDL che contengono il colesterolo e si forma la vescicola rivestita di clatrina; funzionali, tra cui un complesso proteico chinasi, il complesso chinasi PI3 e due sistemi di coniugazione unici. L'identificazione dei geni ATG ha completamente cambiato il panorama della ricerca sull'autofagia. La manipolazione di questi geni ha svelato una gamma veramente ampia di funzioni fisiologiche dell'autofagia. L'autofagia svolge un ruolo importante non solo nel riciclaggio dei nutrienti, ma anche nella clearance intracellulare attraverso l'eliminazione di proteine nocive e organelli danneggiati. Ora sta diventando chiaro che l'autofagia è rilevante per molte malattie e problemi di salute. Fibrosi Cistica. La fibrosi cistica è la malattia genetica grave più diffusa. E’ una patologia multiorgano, che colpisce soprattutto l’apparato respiratorio e quello digerente. E’ dovuta ad un gene alterato, cioè mutato, chiamato gene CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator), che determina la produzione di muco eccessivamente denso. Questo muco chiude i bronchi e porta a infezioni respiratorie ripetute, ostruisce il pancreas e impedisce che gli enzimi pancreatici raggiungano l’intestino, di conseguenza i cibi non possono essere digeriti e assimilati. Seppure il grado di coinvolgimento differisca anche notevolmente da persona a persona, la persistenza dell’infezione e dell’infiammazione polmonare, che causa il deterioramento progressivo del tessuto polmonare, è la maggior causa di morbilità nei pazienti FC. Le manifestazioni tipiche della malattia sono: •difficoltà nella digestione dei grassi, proteine, amidi •carenza di vitamine liposolubili •perdita progressiva della funzione polmonare La malattia non danneggia in alcun modo le capacità intellettive e non si manifesta sull’aspetto fisico né alla nascita né in seguito nel corso della vita, per questo viene definita la “malattia invisibile”. Diffusione della malattia. Si stima che ogni 2.500-3.000 dei bambini nati in Italia, 1 è affetto da fibrosi cistica (200 nuovi casi all’anno). La malattia colpisce indifferentemente maschi e femmine. Oggi quasi 6.000 bambini, adolescenti e adulti affetti da FC vengono curati nei Centri Specializzati in Italia. Per merito dei continui progressi terapeutici ed assistenziali il 20% della popolazione FC in Italia, oggi, supera i 36 anni. Cause della FC. La malattia si manifesta quando un bambino eredita due copie alterate, cioè mutate, del gene CFTR, una da ciascun genitore. Il gene CFTR codifica la sintesi della proteina CFTR, che se ben funzionante, regola il movimento del cloro, al quale segue il movimento dell’acqua, dall’interno verso l’esterno delle cellule epiteliali delle ghiandole mucose. I genitori che hanno solamente una copia alterata del gene CFTR non hanno la fibrosi cistica, né evidenziano alcun sintomo della malattia e sono definiti portatori sani del gene della fibrosi cistica.Possono però trasmettere il gene difettoso ai figli, così come trasmettono altre caratteristiche, come il colore degli occhi e dei capelli. La frequenza dei portatori sani di mutazioni del gene FC in Italia e nel mondo occidentale è approssimativamente di 1 ogni 25/26 persone.Quando due genitori portatori sani, cioè portatori entrambi di una mutazione, hanno un figlio, esiste 1 probabilità su 4 che il bambino nasca con FC. I sintomi della fibrosi cistica Il malfunzionamento o l’assenza della proteina CFTR interessa tutte le ghiandole a secrezione mucosa determinando una carenza di cloro e acqua nelle secrezioni. Le secrezioni mucose povere di acqua e vischiose tendono a ristagnare provocando così l’ostruzione degli organi interessati, prevalentemente bronchi, intestino e pancreas. Nell’albero bronchiale (il cui grado di coinvolgimento è il principale responsabile della gravità della malattia), si innesca un circolo vizioso infiammazione-infezione che porta infine alla destrutturazione del tessuto polmonare. La fibrosi cistica è una malattia che colpisce molti organi e che produce una varietà di sintomi tra cui: •Tosse persistente dapprima stizzosa poi catarrale •Respiro sibilante e affanno •Infezioni bronchiali e polmonari frequenti •Diarrea cronica con emissione feci oleose e maleodoranti, in alcuni casi ostruzione intestinale alla nascita (ileo da meconio) e spesso ostruzioni intestinali ripetute in età adolescenziale e adulta •Scarso accrescimento in peso e altezza •Sudore salato Esiste una cura per la fibrosi cistica? La terapia di questa malattia ha avuto negli ultimi anni un notevole sviluppo. Infatti, accanto ad una terapia dei sintomi adesso si comincia a disporre di terapie personalizzate che curano il difetto di base in alcune forme geniche di FC e si spera che, entro alcuni anni, tutte le mutazioni genetiche saranno curabili. LA COMUNICAZIONE CELLULARE I meccanismi fondamentali. Per funzionare bene le cellule hanno bisogno di comunicare tra loro. Vediamo in generale quali sono i diversi passaggi del processo di segnalazione cellulare. I meccanismi fondamentali sono 4: Invio del segnale, ricezione, trasduzione del segnale, Risposta. Invio del segnale: la cellula produce ed invia un segnale chimico, una molecola segnale, che può essere destinata ad una cellula bersaglio vicina (come avviene per esempio nei neuroni) oppure lontana (per esempio insulina che viene trasportata nel sangue fino alle cellule bersaglio). Ricezione: è il processo mediante il quale le cellule ricevono i messaggi. Ciò avviene grazie ai recettori, grosse proteine che generalmente si trovano sulla membrana plasmatica e che ricevono la molecola segnale. Trasduzione del segnale: La cellula trasforma il segnale chimico extracellulare in una modificazione intracellulare. Risposta: Una volta che il segnale è stato processato dal sistema di trasduzione avvengono nella cellula una serie di modificazioni che rispondono al messaggio ricevuto (alterazione della permeabilità membrana, modifica del metabolismo, regolazione dell’espressione genica). Per esempio il segnale «insulina alta nel sangue» fa sì che la cellula inizi a consumare più glucosio ematico. Dopo che un segnale ha svolto il suo compito, intervengono anche dei processi di terminazione in modo che la cellula possa ritornare alla condizione di partenza. Per quanto riguarda l’invio del segnale, le cellule possono comunicare in molti modi: per contatto diretto ad esempio attraverso le giunzioni comunicanti, oppure mediante segnali elettrici e chimici. Ci sono poi cellule che comunicano con cellule vicine (questo è chiamato signalling paracrino) oppure mandano segnali a se stesse (signalling autocrino), altre inviano messaggi a cellule bersaglio in altri punti dell’organismo e fanno trasportare il segnale dalla circolazione sanguigna (signalling endocrino) Come esempio di invio del segnale possiamo considerare la comunicazione tra neuroni. I neuroni comunicano tra loro attraverso il rilascio di molecole chiamate neurotrasmettitori (per esempio dopamina, serotonina, glutammato, acetilcolina) negli spazi sinaptici. Altri esempi possono essere le cellule delle ghiandole endocrine che producono altri segnali, gli ormoni. Questi ormoni possono agire localmente attraverso il fluido interstiziale (esempio fattori di crescita) oppure vengono trasportati dal flusso sanguigno in altre parti del corpo (esempi: cortisolo, ormone dello stress, o insulina, regolatore del metabolismo del glucosio). Oppure le cellule del sistema immunitario che producono invece istamina che agisce localmente in condizioni di reazione allergica o in risposta a infezioni o lesioni. Nella ricezione le molecole segnale, anche dette ligandi si legano a specifici recettori che si trovano generalmente sulla superficie della cellula. In alcuni casi è possibile che i recettori siano all’interno della cellula. Un recettore sulla membrana plasmatica ha nella maggior parte dei casi almeno 3 domini (la parola dominio in questo caso significa regione strutturale e funzionale di una proteina): uno extracellulare (la parte che cattura il segnale) uno transmembrana e uno intracellulare (la «coda» nel citoplasma che trasmette l’informazione alla cellula). La ricezione è un processo molto selettivo i diversi tipi di ligando hanno recettori diversi. E’ come una chiave ed una serratura. Inoltre i diversi tipi di cellule hanno recettori differenti e quindi possono essere regolate da segnali diversi. Infine le cellule possono esprimere (che significa produrre) recettori differenti a seconda del periodo del loro ciclo vitale (per esempio sviluppo, differenziazione, accrescimento) o in condizioni diverse. Alcuni recettori sono specializzati a rispondere a segnali diversi da quelli chimici, per esempio la rodopsina che si trova negli di membrana il PIP2 in due parti l’inositolo trifosfato (IP3) ed il diacilglicerolo (DAG) che sono entrambi dei secondi messaggeri. Il DAG resta in membrana e attiva gli enzimi della protein chinasi C che generano molti effetti come accrescimento e regolazione canali. L’ IP3 si lega ai canali del calcio nel reticolo endoplasmatico causando un aumento di Ca++ nel citoplasma. Gli ioni calcio sono degli importanti regolatori dell’attività cellulare, di solito la loro concentrazione nel citosol è bassa e sono immagazzinati nel reticolo endoplasmatico. Quando l’ IP3 li attiva possono agire da soli o legandosi a delle proteine. Le calmoduline sono proteine importanti perché legano 4 ioni calcio e poi si combinano con enzimi come le proteina chinasi o proteina fosfatasi alterandone l’attività. Le calmoduline sono importanti per molte funzioni degli organismi superiori tra cui l’apprendimento e la memoria, la contrazione muscolare, l’infiammazione e l’apoptosi. La risposta cellulare + i recettori intracellulari e le proteine scaffold. Le molecole segnale o ligandi sono presenti in quantità molto basse ma riescono ad esercitare effetti profondi sulla risposta della cellula. Questo è dovuto al fatto che il segnale viene amplificato dalle vie di segnalazione. Esempio l’adrenalina è un ormone prodotto dalle ghiandole surrenali in risposta ad una situazione di pericolo e ad altre situazioni stressanti. Ha effetti di aumento della frequenza cardiaca, dell’afflusso di sangue ai muscoli, del glucosio nel sangue. Nel cervello regola il sonno, la capacità di concentrazione e altro. Come avviene ciò? L’adrenalina si lega ad un recettore accoppiato alla proteina G, una singola molecola di adrenalina può attivare molte proteine G. Le proteine G attivano le adenilato ciclasi che a loro volta possono catalizzare la produzione di molte molecole di cAMP, che ancora possono attivare molte proteine chinasi che attivano molte altre proteine chinasi e via così… Una molecola di adrenalina può attivare milioni di protein chinasi. Terminata la loro funzione però tutti questi segnali devono essere spenti, per riportare la cellula alle condizioni di partenza. In questo modo le molecole coinvolte nelle vie di trasduzione possono ripartire con la risposta a nuovi segnali. La terminazione del segnale avviene per esempio quando una subunità della proteina G con attività GTPasica catalizza l’idrolisi del GTP a GDP riportano la proteina G alle condizioni di inattività. Oppure il cAMP può essere trasformato rapidamente in AMP da una fosfodiesterasi. I recettori intracellulari si trovano nel citoplasma o nel nucleo e spesso sono fattori di trascrizione che regolano l’espressione genica. Il complesso ligando recettore si lega al DNA nel nucleo e attiva o inibisce l’espressione di specifici geni. Questa azione è piuttosto veloce (30 minuti circa). Vengono così prodotte quantità diverse di RNA messaggero che porta poi alla sintesi di più o meno proteina. Le proteine di impalcatura (in inglese scaffold proteins) organizzano molecole segnale della stessa via di trasduzione aumentandone l’efficienza. Le tengono tutte vicine così aumenta la probabilità che si incontrino nel citoplasma ed evitano che alcune di esse vengano reclutate da altre vie alternative. IL CITOSCHELETRO: I FILAMENTI INTERMEDI. Il citoscheletro rappresenta sia l'ossatura che la muscolatura della cellula perché infatti grazie alle sue strutture e filamenti, la cellula può assumere una determinata forma, può interagire con l'ambiente, effettuare dei movimenti coordinati, può organizzare, e questo è molto importante, tutti i suoi componenti interni, soprattutto nella cellula di tipo eucariote animale che è più complessa e non ha una parete cellulare. Inoltre, il citoscheletro interviene nei processi di divisione cellulare di mitosi e meiosi. È composto da tre tipologie di filamenti: i filamenti intermedi, i microtubuli e i microfilamenti che chiameremo anche filamenti di actina perché ne sono composti. I filamenti intermedi rappresentano l'impalcatura della cellula, proprio per la loro caratteristica di fornire resistenza allo stiramento e forma alla cellula. Si chiamano filamenti intermedi perché sono più spessi dei microfilamenti di actina, ma sono più piccoli dei microtubuli. I filamenti intermedi si trovano in gran parte delle cellule animali e formano una specie di reticolato che circonda il nucleo ed è presente anche all'interno del nucleo e infatti forma la lamina nucleare, che è la struttura che dà forma al nucleo e poi questo reticolato si diffonde dall’esterno del nucleo in tutta la cellula fino a raggiungere la membrana cellulare. Sulla membrana cellulare i microfilamenti nelle cellule animali si agganciano ai desmosomi (sono delle specie di morsetti che tengono legate le diverse cellule). La resistenza alla trazione è data dal fatto che sono strutturati come se fossero delle funi ritorte. Infatti, ci sono dei monomeri proteici che costituiscono la base di queste strutture che hanno una testa globulare nella regione del terminale amminico e una testa globulare nella regione del terminale carbossilico, la parte centrale è a forma di bastoncello e ha una struttura ad alfa elica. Questo monomero si associa facilmente in un dimero dove i due filamenti sono arrotolati uno sull'altro, poi questo dimero si associa a sua volta, tramite l'interazione delle teste carbossiliche con alcune regioni della struttura ad alfa elica, in tetrameri in una struttura dove i dimeri sono leggermente sfalsati, poi questi tetrameri si possono abbinare in strutture da 8 formando dei veri e propri fasci e infine queste strutture a 8 tetrameri possono essere legate ad altre uguali per formare dei fasci più lunghi. Sia nel dimero che nel tetramero le strutture monomeriche sono abbinate testa-coda questo fa sì che i tetrameri risultano uguali nei due lati sono simmetrici. Le interazioni che ci sono tra le catene sono tutte interazioni non covalenti e questo è anche importante per dare elasticità alla struttura, le parti interne dei monomeri e le parti ad alfa elica sono più o meno tutte uguali nelle diverse tipologie di filamenti intermedi, invece i domini amminici e carbossilici sono diversi perché sono quelli che servono per l'interazione con le strutture a cui sono legate o comunque con cui devono interagire e quindi sono specifici in modo da andare a legarsi nel posto giusto. I filamenti intermedi sono presenti soprattutto nelle cellule che hanno bisogno di elasticità e resistenza meccanica per esempio nelle cellule nervose perché servono molto negli assoni, che sono strutture lunghe e sottilissime che hanno bisogno di un supporto meccanico. Oppure nelle cellule muscolari ed epiteliari, come quelle dell’epidermide dove questi filamenti sono importanti proprio per l'elasticità. I filamenti intermedi possono essere raggruppati in quattro classi principali: filamenti di cheratina che sono quelli presenti nelle cellule epiteliali, poi ci sono i filamenti di vimentina e di proteine correlate che sono abbondanti invece nelle cellule connettivali e nelle cellule muscolari e anche nelle cellule di sostegno del sistema nervoso, poi ci sono dei neurofilamenti che sono invece specifici nelle cellule nervose e quelli delle lamine nucleari che rappresentano l'unica frazione di questi filamenti intermedi che non è citoplasmatica, ma si trova invece all'interno del nucleo perchè serve proprio da rinforzo per la struttura del nucleo. La classe delle cheratine è quella che contiene i filamenti intermedi più variabili. Infatti, queste cheratine sono specifiche per ogni tipo di epitelio. Le cheratine sono presenti anche nei peli, nei capelli e nelle unghie. I filamenti di cheratina nelle cellule epiteliali attraversano la cellula da parte a parte in maniera longitudinale in questo modo possono dare l'elasticità e la resistenza che è necessaria. Questi filamenti poi terminano con un'interazione con i desmosomi che possono anche interagire con altri componenti cellulari grazie alle parti globulari del terminale amminico e carbossilico. Ci sono delle malattie genetiche che vanno a introdurre delle mutazioni nei geni delle cheratine: per esempio nel caso dell'epidermolisi bollosa che colpisce la cheratina della pelle la produzione di una cheratina anomala causa un aumento della sensibilità della pelle ai danni meccanici e basta anche una piccola pressione per creare un danno e si ha la formazione di bolle. Un'altra proteina importante soprattutto per quello che riguarda i filamenti di vimentina è la plectina, in grado di creare dei collegamenti trasversali con i microtubuli, i filamenti di actina e altre strutture di adesione dei desmosomi, anche in questo caso le mutazioni nel gene della plectina possono causare malattie umane gravi. La mutazione in plectina causa una malattia che combina i sintomi dell’epidermolisi bollosa con quelli della distrofia muscolare portando ad anomalie nella pelle e nella muscolatura cardiaca e scheletrica. Nel caso invece dei filamenti intermedi che formano la lamina nucleare questi hanno una struttura bidimensionale simile più a un'impalcatura piuttosto che a delle funi come nel caso degli altri filamenti intermedi. Queste impalcature sono costituite da una classe di filamenti intermedi che sono le lamine che interagiscono con la cromatina e hanno la capacità di dividersi nel momento della mitosi quando la cellula si deve duplicare e poi sono in grado di riunirsi quando si formano i due nuclei delle cellule figlie. Questo meccanismo è legato ad una fosforilazione e defosforilazione. In particolare, la fosforilazione per opera di una proteina chinasi indebolisce il legame tra i tetrameri e quindi permette al filamento di disaggregarsi, poi quando la mitosi è finita e invece la lamina deve aggregarsi nuovamente, ci sono delle fosfatasi che rimuovono i gruppi fosfato dalla proteina e quindi si può riformare il legame tra i tetrameri. Anche in questo caso la proteina è molto importante per la salute umana perché alcune mutazioni geniche in lamina possono causare alcune forme di progeria una malattia che porta ad un invecchiamento precoce, in particolare già nell'infanzia i soggetti affetti da queste malattie hanno una pelle rugosa simile a quella degli anziani, hanno problemi di denti, perdono i capelli e hanno anche disturbi cardiovascolari importanti lamina), nelle cellule di una persona con progeria venga prodotta anche una forma aberrante di lamina A chiamata progerina. Lamina A e lamina C svolgono un ruolo importantissimo nella formazione della lamina nucleare, una“maglia proteica” in grado di sostenere il nucleo della cellula stessa e di organizzarne l’intero genoma, in modo che ogni gene possa essere utilizzato per l’espressione delle proteine necessarie al funzionamento dell’intera cellula e a rispondere agli stimoli provenienti dall’esterno. La progerina va ad interferire con questa lamina nucleare, infatti, essendo riconosciuta dal nucleo della cellula come componente della stessa, viene inglobata all’interno della maglia proteica, ma essendo aberrante va a deformarla, deformando a sua volta il nucleo e facendo sì che l’intero genoma non venga più organizzato in maniera consona. La mancata organizzazione del genoma porta ad un uso aberrante di molti geni, i quali vanno ad iper-produrre delle proteine che alla lunga diventano tossiche all’interno della cellula, rendendola debole e danneggiata, ma soprattutto causando ancor di più una mala-organizzazione del genoma assieme ad un accumulo di mutazioni nello stesso. Ovviamente questo accumulo di mutazione può portare alla produzione di altre proteine aberranti che a loro volta sono fonte di tossicità andando ad aumentare i problemi legati alla progeria, in una specie di circolo auto-alimentante. Le cellule, proprio per questi motivi, mostrano una prematura senescenza, con un drastico rallentamento della divisione cellulare. Ad eccezione delle cellule del sistema nervoso (e dunque anche del cervello), dove la lamina A non è espressa e dunque nemmeno la progerina, ogni cellula del corpo di una persona con progeria si trova ad essere malfunzionante, influenzando così quelle vicine ed andando a formare dei tessuti malati e di per sé più deboli. Quanto l’accumulo di progerina sia a livello molecolare pesante, lo si può vedere anche nei sintomi che la progeria provoca nel corpo nel suo complesso. Le persone affette da progeria infatti, oltre ad avere un aspetto fisico peculiare, si trovano ad affrontare diversi sintomi quali problemi di osteoporosi, osteolisi e artrite; difetti alle capsule articolari (con conseguenti frequenti lussazioni di spalle ed anche); lipodistrofia generalizzata; ritardo nella crescita e nello sviluppo; anomalie della cute; alopecia e soprattutto problemi al cuore e ai vasi sanguigni quali occlusioni dei vasi principali, stenosi delle valvole cardiache, ictus, infarto e altri. Nel suo complesso, questa sintomatologia, porta a quello che è chiamato“invecchiamento precoce”, a causa della sua somiglianza con il normale invecchiamento fisiologico, con le quali ha però anche delle profonde differenze, con una conseguente riduzione della qualità della vita ed un’aspettativa di vita di soli 13,5 anni senza trattamenti.   Attualmente sono solo 130 i casi di progeria classica (HGPS) riconosciuti nel mondo, di cui 4 in Italia. Questo numero è però sottodimensionato in quanto spesso è difficile rintracciare i casi di progeria, per lo più nei paesi del terzo mondo, ma a volte anche nei paesi più sviluppati. Le attuali stime sul numero reale di persone affette di progeria al mondo si aggirano attorno ai 350 casi. IL CITOSCHELETRO: I MICROTUBULI Sono delle strutture formate da alfa e beta tubulina che formano dei cilindri cavi e hanno la capacità e la caratteristica di assemblarsi e disassemblarsi rapidamente. All'interno della cellula hanno la funzione di agire un po' come dei binari per il trasporto di vescicole, macromolecole anche degli organelli e dei componenti cellulari da una parte all'altra della cellula e si estendono dal centrosoma, una struttura vicina al nucleo al centro della cellula alla periferia. Il citoscheletro tiene anche ancorati nel citoplasma gli organelli delimitati da membrane. Inoltre, un'altra funzione importante dei microtubuli è quella della formazione del fuso mitotico che serve per la divisione dei cromosomi nella mitosi e nella meiosi. Inoltre, i microtubuli sono anche i costituenti delle ciglia e dei flagelli che sono le strutture che utilizzano le cellule per muoversi, oppure per spostare i materiali ad esempio per avvicinare il cibo. La struttura dei microtubuli: sono composti da polimeri di alfa e beta tubulina. L’alfa e la beta tubulina sono legate tra loro da legami non covalenti, si formano delle strutture base chiamate protofilamenti formate da anelli composti da 13 molecole di dimero. Le catene di alfa e beta tubulina sono alternate nel senso della lunghezza. I microtubuli hanno una polarità: le estremità si chiamano estremità più e estremità meno e questo nome deriva dal fatto che negli esperimenti in vitro in una soluzione di tubulina pura i dimeri si aggiungono ad entrambe le estremità del microtubulo ma l'estremità più cresce più velocemente dell'estremità meno. Grazie a questa polarità i microtubuli possono direzionare in un senso o nell'altro il passaggio delle sostanze delle vescicole e gli altri componenti e cioè possono dare una direzione per il trasporto intracellulare. I microtubuli originano dai centrosomi che hanno la funzione di organizzare queste strutture nelle cellule, si trovano più o meno al centro della cellula vicino al nucleo. Ci sono delle strutture specifiche del centrosoma che servono per far partire l'assemblaggio delle strutture dei microtubuli. Queste strutture sono sempre delle strutture ad anello e sono composte da un altro tipo di tubulina, la tubulina gamma, questi anelli di tubulina fanno da siti di nucleazione per cui costituiscono dei punti di partenza del microtubulo da cui parte la formazione dei protofilamenti eccetera. Il microtubulo si orienta con l'estremità meno che ha origine dall'anello di tubulina gamma e l'estremità più che invece è in crescita verso il resto del citoplasma. In molte cellule animali all'interno del centrosoma ci sono anche due cetrioli disposti perpendicolarmente uno dall'altro. I centrioli assomigliano un po' ai corpuscoli basali che hanno la funzione di centri organizzatori dei microtubuli nelle ciglia e flagelli. Se non ci fossero i siti di nucleazione l'alfabeta tubulina libera nel citoplasma è in una concentrazione bassa per cui non si autoassembla automaticamente, ma ha proprio bisogno di questa tubulina gamma per partire con la formazione del microtubulo, in questo modo la cellula riesce a controllare la formazione dei microtubuli. Da uno stesso centrosoma ci possono essere dei microtubuli che crescono e altri che decrescono a seconda delle necessità della cellula. In particolare, i microtubuli sono caratterizzati da un’instabilità dinamica. Che cosa significa questo? che sono in grado di crescere e poi a un certo punto di incominciare a decrescere. Il risultato è che sembra in qualche modo che il centrosoma stia “pescando” perché ha dei microtubuli che si allungano e altri che si accorciano, se un microtubulo riesce ad agganciarsi a una struttura dove ci sono delle proteine cappuccio che lo stabilizzano allora rimane fisso e stabile in quella direzione. Se invece non si aggancia a nulla il microtubulo ad un certo punto inizia a disfarsi e quindi a ritrarsi. Il meccanismo mediante il quale i microtubuli riescono a formarsi e disfarsi all'interno della cellula è legato alla capacità delle molecole di tubulina di idrolizzare la GTP, la guanosina trifosfato. Infatti, i dimeri liberi di tubulina sono legati alla GTP che viene idrolizzata a GDP dopo l'aggiunta di alcune subunità al microtubulo in allungamento, quando il microtubulo sta crescendo velocemente c'è uno strato finale di molte tubuline legate alla GTP, chiamato cappuccio a GTP, la presenza di questo cappuccio facilita l’attacco di altre tubuline e quindi la crescita veloce del microtubulo. Ad un certo punto può capitare che una tubulina idrolizzi più velocemente la GTP, prima dell’aggiunta di un nuovo strato, le tubuline legate alla GDP sono in grado di costruire delle interazioni più labili e questo fa sì che i microtubuli inizino a disfarsi. Questo spiega perché il microtubulo si può allungare fino a un certo punto e poi tornare indietro fino a disfarsi completamente, poi le molecole di tubulina che ritornano libere nel citoplasma scambiano la GDP con la GTP per cui sono di nuovo pronte per la crescita di un altro microtubulo. A seconda delle esigenze le cellule possono decidere di regolare l’instabilità dinamica dei microtubuli. Ci sono momenti in cui è necessario che questa sia elevata per esempio quando i microtubuli del fuso mitotico crescente devono agganciare cromosomi e quindi devono muoversi molto all'interno del citoplasma invece nelle cellule differenziate quando i microtubuli servono per il trasporto oppure per ancorare gli organelli non è necessario che ci sia questa instabilità dinamica per cui ci sono delle proteine che stabilizzano i microtubuli formati ed evitano che si disfino. Le cellule differenziate infatti spesso sono polarizzate sia dal punto di vista funzionale: hanno alcuni organelli in una zona, altri organelli nell'altra; che anche dal punto di vista della struttura: pensate per esempio al neurone, c'è un soma che contiene il nucleo e poi ci sono questi lunghi assoni che terminano con il bottone sinaptico, all'interno di questi lunghi assoni i microtubuli collocano gli organelli nella giusta posizione e guidano il traffico tra il soma e il bottone sinaptico. In particolare, questa attività di trasporto dei microtubuli è aiutata dalla presenza delle proteine MAP, delle proteine associate ai microtubuli, le MAP motrici. Vediamo l'esempio del neurone. Il neurone è l’unità fondamentale di tutto il sistema nervoso sia centrale che periferico. È costituito da una regione tondeggiante contenente il nucleo della cellula chiamata corpo cellulare o soma. Da questo si irradiano numerosi filamenti chiamati neuriti che possono dividersi in due categorie: assoni e dendriti. Generalmente dal corpo del neurone si diparte un unico assone che mantiene un diametro unitario per tutta la sua lunghezza, mentre i dendriti possono essere molti. Gli assoni si possono estendere da 1 mm fino a 1 m di lunghezza. I dendriti raramente sono lunghi più di due millimetri. Molti dendriti partono dal soma e, generalmente, si assottigliano fino ad un punto finale. Il soma è la parte centrale del neurone, è di forma tondeggiante contiene un nucleo e gli stessi organuli che si possono trovare in tutte le cellule animali. La membrana neuronale serve come barriera per contenere il citoplasma e per permettere al neurone di interagire con l’esterno. Un’importante caratteristica dei neuroni è che la composizione sostituisce l’instabilità dinamica propria dei microtubuli. Perché nel caso dei filamenti di actina si può raggiungere uno stato stazionario in cui la velocità di crescita all'estremità più uguaglia la velocità di decrescita all'estremità meno, questo fa sì che la lunghezza del filamento non cambi. Ma i monomeri di actina che costituiscono il filamento in qualche maniera slittano dall'estremità più verso l'estremità meno, mentre i microtubuli tendono avere dei movimenti più rapidi e possono crescere e decrescere solo dall'estremità più perché l'estremità meno sappiamo che è unita al centrosoma con le strutture di tubulina gamma. L'actina è presente in grande quantità nelle cellule, rappresenta infatti circa il 5% del contenuto totale di proteine. Insieme all’actina però sono presenti anche molte altre proteine che ne regolano la polimerizzazione, oppure contribuiscono a stabilizzare le strutture composte da actina, oppure al contrario, le frammentano quando non servono più. Ci sono piccole proteine come la timosina e la profilina che sono in grado di legare i monomeri di actina nel citoplasma impedendo la formazione dei filamenti, altre proteine invece servono da siti di nucleazione e quindi danno il via alla crescita dei filamenti. Sono presenti delle proteine che stabilizzano fasci di più filamenti di actina, oppure ci sono proteine motrici che servono all'interno dei fasci muscolari per il movimento o oppure ci sono delle proteine di collegamento che servono per stabilizzare la struttura a reticolato della cortex cellulare. Sono presenti anche proteine che sono in grado di frammentare i filamenti come la gelsolina, oppure delle proteine cappuccio che bloccano le estremità più. Le cellule che devono muoversi su una superficie, non nuotano con le ciglia e flagelli, ma utilizzano delle strutture fatte da filamenti di actina. Tra queste cellule ci sono per esempio i neutrofili oppure le amebe oppure parti di cellule come le propaggini degli assoni che vanno alla ricerca di connessioni. Queste cellule leggono dei messaggi chimici, in qualche modo “fiutano” la direzione in cui devono andare e incominciano a spostarsi. Questo spostamento avviene grazie a tre processi fondamentali: 1 il primo è legato all'emissione di propaggini da parte della cellula dal lato del suo margine guida (è la zona della cellula rivolta verso la direzione di avanzamento); 2 queste propaggini poi aderiscono alla superficie sulla quale la cellula sta strisciando e poi 3 il resto della cellula si trascina in avanti grazie a un’attività di trazione di queste strutture che si sono ancorate. In tutti questi processi sono coinvolti microfilamenti di actina. Infatti, la cellula riesce ad emettere delle propaggini che possono essere i lamellipodi o i filopodi grazie proprio alla crescita di filamenti di actina che si trovano nella cortex cellulare vicino al margine guida. Questi filamenti di actina crescono dalla parte del margine più che è appunto quello rivolto verso il margine guida. I lamellipodi hanno una struttura lamellare e contengono una rete molto fitta di filamenti di actina, i filopodi invece sono dei prolungamenti più sottili e rigidi che possono essere emessi dal margine guida ma anche in altre zone della membrana della cellula. Queste strutture servono alla cellula per esplorare e muoversi e sono anche in grado di ritirarsi se è il caso. La formazione e la crescita dei filamenti di actina per sviluppare i lamellipodi o i filopodi è aiutata da molte proteine. Ci sono le proteine ARP (actin related proteins) che promuovono la formazione dei filamenti di actina nei lamellipodi, queste proteine servono per creare delle strutture ramificate perché fanno da siti di nucleazione per la formazione di filamenti orientati in maniera trasversale rispetto alla direzione di crescita del filamento base e formano delle strutture che crescono verso il margine guida e decrescono invece verso l'interno della cellula. Nel filopodio invece ci sono le formine che si attaccano all'estremità più dei filamenti di actina in crescita e ne promuovono l'allungamento e fanno sviluppare dei filamenti lineari. I Lamellipodi e filopodi riescono ad aderire alle superfici sulle quali si muovono grazie alla presenza delle, che riescono a legarsi alla matrice extracellulare sulla quale la cellula si sta spostando, oppure sulla superficie di altre cellule e legano questa parte esterna alla cellula con le strutture di actina all'interno. Per riuscire invece a trascinarsi in avanti la cellula ha bisogno di una proteina motrice, la miosina. Le miosine sono delle proteine che legano l'ATP e grazie all’ idrolisi dell'ATP che fornisce energia riescono a camminare lungo i filamenti di actina, sempre nella direzione dell’estremità più. Ci sono diverse tipologie di miosina: la miosina 1 è presente in tutte le popolazioni cellulari, mentre la miosina 2 è specifica delle cellule muscolari. La miosina 1 è composta da un una testa con un dominio globulare e una coda. Le teste camminano sui filamenti di actina seguendo un ciclo di legame-distacco-legame. La coda è specifica per quello che deve essere trasportato dalla miosina che può essere una vescicola oppure una parte della membrana cellulare che deve essere ancorata alla Cortex e così via. Le cellule rispondono a degli stimoli che possono essere sia esterni che interni e captano questi stimoli con dei recettori o dei segnali interni che possono essere di diverso tipo, ma per quanto riguarda la riorganizzazione delle strutture di actina sembra che la via di segnalazione intracellulare passi in tutti i casi attraverso le proteine della famiglia della proteina Rho. Questo gruppo di proteine sono delle GTPasi monomeriche correlate che sono attive quando sono legate alla GTP e invece sono inattive quando sono legate alla forma con il difosfato e quindi alla GDP. L'attivazione di queste proteine fa sì che i filamenti di actina si modifichino anche velocemente e drasticamente. Infatti per esempio la via delle rho potrebbe innescare la polimerizzazione dell'actina per far crescere i filopodi oppure per formare i lamellipodi, oppure promuovere l'aggregazione di integrine per l'ancoraggio e lo spostamento. IL CITOSCHELETRO: LA CONTRAZIONE MUSCOLARE. La contrazione muscolare permette ai vertebrati di muoversi e di mantenere la posizione eretta o seduta, grazie alla capacità dei muscoli scheletrici di accorciarsi e cambiare la posizione delle ossa. La muscolatura scheletrica compie dei movimenti volontari ed è controllata dal sistema nervoso centrale. Esistono però altre tipologie di muscolatura nel corpo che compiono movimenti involontari come il muscolo cardiaco che permette al cuore di pompare ed i muscoli lisci che inducono la peristalsi intestinale. Nell’uomo sono presenti 4 tipi di cellule muscolari distinguibili per morfologia e caratteristiche funzionali: 1) le cellule muscolari striate scheletriche: hanno forma cilindrica e allungata, sono multinucleate con nuclei periferici e hanno un grande citoplasma occupato per la maggior parte dall’apparato contrattile sarcomerico che gli conferisce la tipica striatura al microscopio. Queste cellule costituiscono i muscoli scheletrici dell’apparato locomotore, supportano anche i tessuti molli e contribuiscono con il loro metabolismo alla produzione di calore. 2) le cellule muscolari striate cardiache: hanno forma tozza e rettangolare, presentano prolungamenti citoplasmatici che utilizzano per entrare in contatto tra loro e sono uninucleate. Come nel caso delle scheletriche hanno una striatura che è data dai sarcomeri (le unità fondamentali del citoscheletro contrattile di un muscolo, che assicurano la contrazione all’ «unisono» di tutte le cellule che lo compongono). Le cellule muscolari cardiache costituiscono il miocardio e ne permettono la contrazione involontaria. 3) le cellule muscolari lisce che hanno forma fusiforme, allungata, sono mononucleate, non presentano sarcomeri regolari nel citoplasma ma hanno dei corpi densi, strutture proteiche che ancorano le proteine actina e miosina che permettono a queste cellule di contrarsi. La contrazione può avvenire sotto il controllo del sistema nervoso autonomo ed essere indotta da ormoni e neurotrasmettitori che vengono captati dai recettori sulla membrana citoplasmatica di queste cellule. Queste cellule circondano e ricoprono molti organi interni come l’intestino, il tratto digestivo o le pareti dei vasi sanguigni, i bronchi etc. Si contraggono e si rilassano più lentamente rispetto alle cellule striate. 4) le cellule mioepiteliari: sono cellule epiteliari con capacità contrattile, funzionano come cellule muscolari lisce ma si trovano negli epiteli delle ghiandole (es: ghiandola salivare, mammaria, lacrimale etc). Formano degli strati sottili ed hanno degli estesi citoplasmi con cui circondano le cellule secretorie, in modo che quando si contraggono in maniera involontaria inducono la secrezione. Le cellule muscolari scheletriche sono cellule differenziate generate da un processo di fusione di precursori neuronali che le rendono multinucleate. I nuclei sono localizzati in zone periferiche del citoplasma, chiamato in queste cellule sarcoplasma, e sono addossati alla membrana plasmatica, chiamata qui sarcolemma. La maggior parte del sarcoplasma è occupata da proteine contrattili organizzate in miofilamenti che sovrapponendosi gli uni con gli altri formano i sarcomeri. I sarcomeri sono poi uniti tra loro da strutture proteiche chiamate strie Z a costituire una miofibrilla, più miofibrille formano il citoscheletro sarcomerico che svolge le funzioni contrattili. I mitocondri di queste cellule si dispongono lungo le miofibrille in modo da rendere immediatamente disponibile l’ATP ai sarcomeri. Nella cellula muscolare striata scheletrica è particolarmente sviluppato il reticolo endoplasmatico liscio che in queste cellule accumula ioni Ca++ e li versa nel sarcoplasma per attivare la contrazione. La miosina 2 è la proteina che collabora con l’actina per la formazione ed il movimento di queste strutture. La miosina II è formata da dimeri, nel dimero le molecole sono posizionate in modo da avere le teste sporgenti dallo stesso lato del filamento rivolte in posizioni diverse e le code attorcigliate ad elica. I dimeri poi interagiscono con altre molecole di miosina 2 per formare delle strutture che fanno da scheletro alla molecola, mentre le coppie delle basi azotate purina (doppio anello) - pirimidina (singolo anello), unite da legami ad idrogeno, formano i gradini della cosiddetta “scala a chiocciola”. Il singolo filamento di DNA ha un verso e va dall’estremità 5’ (il primo fosfato dell’estremità libera è legato al carbonio 5’ del desossiribosio) fino all’estremità 3’ (l’ultimo fosfato è legato al C in 3’ dello zucchero). Il verso dei due filamenti che compongono la struttura della doppia elica è opposto, se uno è disposto in direzione 5’ →3’ l’altro è 3’→5’ per questo motivo sono detti antiparalleli. Nella molecola del DNA l’adenina si unisce con due legami ad idrogeno alla timina (A-T) mentre la guanina si lega con 3 legami ad idrogeno alla citosina (C-G). Per far si che si formi la struttura della doppia elica, le basi in un filamento del DNA devono essere appaiate a quelle disposte sull’altro filamento. Quindi una sequenza su di un filamento richiede la sequenza complementare sull’altro. Ad esempio se una sequenza è 5’ GAATTC 3’ l’altra sarà 3’ CTTAAG 5’. Il modello a doppia elica rappresenta il sistema di archiviazione delle informazioni genetiche della cellula. Il DNA è un linguaggio che usa delle specifiche parole composte da 3 basi azotate (i codoni), che servono per codificare la sequenza degli amminoacidi quando la cellula deve produrre le proteine. LA REPLICAZIONE ED I TELOMERI La specificità dell’appaiamento delle basi del DNA del modello a doppia elica ha subito suggerito ai ricercatori quale poteva essere il possibile meccanismo per la replicazione dell’informazione genetica. Si è capito velocemente infatti che uno dei due filamenti poteva servire «da stampo» per la sintesi del filamento complementare. Questo meccanismo di replicazione semiconservativa del DNA venne dimostrato sperimentalmente nel 1958, dai ricercatori Matthew Meselson a Franklin Stahl, utilizzando delle colture di batteri Escherichia Coli fatte crescere con l’isotopo 15N dell’azoto. Rompendo i legami ad idrogeno tra le purine e le pirimidine si ottengono due filamenti di DNA che possono entrambi servire da stampi per la sintesi del filamento complementare. Questo meccanismo di replicazione semiconservativa spiegava anche come potevano insorgere nei geni delle modificazioni nella sequenza (dette mutazioni) che poi potevano essere trasmesse alle generazioni successive. Se la copia del filamento non avviene in maniera corretta possono crearsi degli appaiamenti «sbagliati». Per esempio viene inserita una guanina G invece di un’adenina A nel filamento copiato che poi viene ereditato. Nella cellula sono presenti anche molti meccanismi enzimatici per la correzione degli errori di replicazione ma non tutti vengono corretti. Circa 1 nucleotide mutato per miliardo infatti sfugge a questi sistemi di controllo. Gli errori di replica, le mutazioni (o polimorfismi) possono causare dei danni alle cellule ed essere causa di malattie, in altri casi invece possono dimostrarsi utili dal punto di vista evolutivo e generare degli individui che meglio si adattano alle condizioni ambientali. Esempi di mutazioni positive: La tolleranza al lattosio, che permette la digeribilità del latte e degli alimenti che lo contengono anche dopo lo svezzamento, è dovuta secondo i genetisti ad una mutazione favorevole avvenuta circa 10.000 anni fa nel gene dell’enzima lattasi nella popolazione che abitava il Caucaso. È un chiaro esempio di mutazione favorevole che si è presto diffusa rapidamente nella popolazione perchè dava maggiori probabilità di sopravvivenza: ad oggi solo una parte della popolazione soffre di intolleranza per questa sostanza. Ulteriori dimostrazioni derivano dal fatto che popoli che abitarono zone lontane dall'origine della mutazione, come Asiatici e Africani presentano oggi una maggiore diffusione dell'intolleranza al lattosio. Un altro caso che si ritiene essere una mutazione positiva è la delezione di 32 coppie di basi nel gene umano CCR5 (CCR5-32) che codifica per un recettore presente sui globuli bianchi e che conferisce all'uomo la resistenza all'AIDS negli omozigoti, mentre ritarda i suoi effetti negli eterozigoti. La mutazione è mediamente più diffusa tra coloro che hanno discendenza europea (attorno al 10% della popolazione); una teoria per spiegare la maggiore diffusione nella popolazione europea della mutazione CCR5-32, la mette in relazione con le forme di resistenza a epidemie di peste o vaiolo. Infine la mutazione dell'apolipoproteina Apo A-1, chiamata Apo A- 1 Milano, conferisce ad alcuni abitanti di Limone sul Garda (portatori di questa mutazione) un’innata resistenza agli effetti dannosi del «colesterolo cattivo» sulle patologie cardiovascolari. Questa proteina mutata ha conferito, inoltre, agli abitanti del paese un'estrema longevità, una dozzina di residenti ha infatti superato i 100 anni (su circa un migliaio di abitanti). La replicazione del DNA richiede l’azione congiunta di molti enzimi e proteine ed è un meccanismo molto complesso, ad oggi ancora non del tutto chiarito. Vediamo nel dettaglio i passaggi principali. La 2 replicazione inizia in punti specifici della molecola del DNA chiamati origini di replicazione dove la doppia elica si svolge. Le DNA elicasi sono gli enzimi che «aprono» la doppia elica. I filamenti di DNA sono tenuti insieme da legami ad idrogeno tra le basi azotate che presi singolarmente sono legami deboli, ma son complessivamente forti quando sono moltissimi come nella molecola del DNA, perciò è necessario un enzima per romperli e separare i 2 filamenti. I due filamenti si replicano contemporaneamente e si forma una struttura a Y chiamata forca di replicazione. Una volta che l’elicasi ha aperto la doppia elica, si legano ai due singoli filamenti le proteine SSB (single strand binding proteins) che li stabilizzano in posizione aperta. Quando una parte di DNA si svolge, il resto della molecola rischia di superavvolgersi, si possono formare nodi che potrebbero bloccare la replicazione. Per evitare il superavvolgimento ci sono le topoisomerasi che tagliano il DNA a monte della forca di replicazione e lo risaldano in una posizione più rilassata. Gli enzimi che sintetizzano il DNA sono le DNA polimerasi che aggiungono nucleotidi solo all’estremità libera in 3’ della molecola. Quindi i filamenti nuovi di DNA crescono sempre in direzione 5’ → 3’. Le DNA polimerasi possono aggiungere nucleotidi solo ad estremità già esistenti di acidi nucleici (non possono partire da zero). Per questo motivo sono necessari dei primer, delle piccole molecole (di 5-14 nucleotidi) che funzionano da innesco fatte di RNA (RNA primer). La sintesi è contemporanea sui due filamenti del DNA che sono: A) uno orientato «giusto» 3’ →5’ che quindi viene copiato facilmente dalla DNA polimerasi (detto filamento guida) B) l’altro filamento invece è orientato 5’ → 3’ e quindi deve essere letto al contrario dalla DNA polimerasi. (detto filamento in ritardo). Per questo motivo un’altra molecola di DNA polimerasi sintetizza solo dei piccoli frammenti di DNA dal filamento in ritardo (i frammenti di Okazaki) che vengono poi uniti da una DNA ligasi. Nella duplicazione del DNA degli eucarioti, che hanno cromosomi molto lunghi, la sintesi avviene contemporaneamente da più origini e poi i filamenti sintetizzati vengono legati insieme. La DNA polimerasi commette degli errori mentre replica il DNA, per questo motivo si sono sviluppati dei meccanismi di correzione dei nucleotidi sbagliati che quando non funzionano bene possono causare malattie come un tipo di cancro al colon. I telomeri: Quando la replicazione di un intero cromosoma arriva alla fine, il filamento in ritardo (quello che viene sintetizzato in frammenti) non riesce a replicarlo completamente fino all’ultimo nucleotide (perché sugli ultimi nucleotidi si lega il primer) e quindi ad ogni ciclo cellulare si perdono delle piccole porzioni di DNA che non vengono replicate. Per questo motivo i cromosomi hanno delle specie di cappucci terminali, chiamati telomeri, contenenti delle sequenze di nucleotidi ripetute molte volte e che non codificano per nessuna proteina. Questi cappucci durante la vita di un individuo si «consumano» e fanno si che le cellule adulte abbiano un numero limitato di possibili replicazioni. Per esempio le cellule di un uomo di 70 anni hanno ancora la possibilità di dividersi, senza perdere informazioni genetiche, per 20-30 volte, mentre quelle di un bambino possono dividersi 80-90 volte. Alcune cellule adulte che devono continuamente replicarsi, per esempio le cellule del sangue possiedono un enzima, la telomerasi, che allunga i telomeri. Il controllo dell’attività della telomerasi può essere un punto chiave per sviluppare nuovi farmaci per l’uomo. Il suo potenziamento potrebbe contribuire a rallentare l’invecchiamento, «ringiovanendo» le cellule degli anziani, dall’altra parte però potrebbe causare dei tumori permettendo la replicazione 3 incontrollata delle cellule cancerose. Si stanno studiando infatti dei nuovi chemioterapici per la cura dei tumori che potrebbero andare a limitare l’azione della telomerasi. CROMATINA E CROMOSOMI. Quando abbiamo parlato delle caratteristiche degli esseri viventi abbiamo visto che tutte le cellule nascono da altre cellule. Nuove cellule servono agli organismi per crescere e riparare le parti danneggiate e anche per riprodursi e creare nuovi individui. La molecola fondamentale per la creazione di nuove cellule è il DNA contenente le informazioni genetiche per la replicazione. Le cellule eucariotiche contengono un grosso quantitativo di DNA che deve essere organizzato ed “impacchettato” per non aggrovigliarsi. Se si potesse svolgere il DNA ripiegato all'interno di uno spermatozoo umano sarebbe lungo circa 1 metro! Il DNA è organizzato in cromosomi (chiamati così perché venivano colorati per poterli osservare al microscopio) che sono costituiti da DNA e proteine ad esso legate. Il materiale dei cromosomi è chiamato anche cromatina (DNA + proteine). Le cellule riescono a compattare il DNA avvolgendolo su proteine a forma di perla chiamate istoni. Questo succede perché gli istoni hanno sulla loro Esistono 3 tipi di RNA che sono principalmente coinvolti nella sintesi delle proteine: ➢ L’RNA messaggero (mRNA) contiene l’informazione genetica per la sintesi di una proteina; ➢ L’RNA transfer (tRNA) che trasporta gli amminoacidi ai ribosomi. ➢ L’RNA ribosomiale (rRNA) forma il nucleo strtturale di base e catalitico dei ribosomi, sui quali avviene la traduzione dell’mRNA in proteina (costuisce i ribosomi che realizzano la sintesi proteica); Questo processo si chiama traduzione perché trasforma il linguaggio dei nucleotidi nel linguaggio degli amminoacidi. Il codice di lettura che permette di trasformare le informazioni contenute nell’RNA messaggero in sequenza di amminoacidi delle proteine è il codice genetico. La trascrizione degli RNA avviene nel nucleo, la traduzione avviene nel citoplasma ad opera dei ribosomi che si trovano sul reticolo endoplasmatico rugoso o sparsi nel citoplasma. I ricercatori ipotizzarono che le basi del DNA potessero generare delle «parole» formate da 4 lettere e che la combinazione di 3 basi permettesse la formazione di 64 parole a 3 lettere, più che sufficienti per ottenere i 20 amminoacidi fondamentali che costituiscono le proteine. Nel 1961 Crick e lo scienziato britannico Brenner dimostrarono sperimentalmente che il codice era basato su combinazioni di 3 basi, le triplette o codoni, che venivano letti in sequenza partendo da un punto preciso il reading frame. Tramite esperimenti in sistemi cellulari e polimeri di nucleotidi, altri ricercatori poi trovarono la corrispondenza tra le diverse triplette e gli amminoacidi che venivano inseriti nelle proteine e riuscirono a decifrare completamente il codice genetico. Il codice genetico viene letto sull’RNA messaggero (mRNA) per cui le triplette sono composte dalle basi AUCG. Le 64 triplette o codoni del codice genetico codificano per i 20 amminoacidi. 61 codoni codificano per amminoacidi (uno di questi, AUG anche per lo start della lettura) mentre i restanti 3 (UAA, UAG, UGA) codificano per il segnale di stop (stabiliscono a che punto deve interrompersi la sintesi della catena polipeptidica). Il codice genetico ha varie caratteristiche: • contiene un Codone di inizio (AUG), che avvia la traduzione e che specifica la mietonina e tre Codoni di stop, che non specificano nessun amminoacido, ma arrestano la traduzione; • è ridondante: un amminoacido è in genere specificato da più codoni (con l'eccezione di triptofano e metionina). I codoni che codificano per lo stesso amminoacido sono detti sinonimi, abbassano la probabilità di inserire amminoacidi sbagliati, provocando mutazioni, durante la sintesi proteica, ma ogni codone specifica un solo amminoacido. Esempio: GUU, GUC, GUA, GUG sono sinonimi perché codificano tutti per la Valina. Come si può notare i codoni sinonimi spesso differiscono solo per l’ultima base, ma non è sempre cosi: esempio CGU, CGC, CGA, CGG, AGA, AGG codificano tutti per l’Arginina. • Il codice genetico è anche universale, in tutte le specie un codone specifica sempre lo stesso amminoacido. La trascrizione. Questo processo nelle cellule eucariote avviene nel nucleo ed è catalizzato da un enzima chiamato RNA polimerasi II, che sintetizza l’mRNA. Nelle cellule esistono altre due RNA polimerasi: l’RNA polimerasi I catalizza la sintesi dei molti RNA ribosomiali (rRNA) e l’RNA polimerasi III catalizza la produzione degli RNA transfer (tRNA) e di un rRNA. L’RNA polimerasi II come la DNA polimerasi utilizza come stampo il filamento di DNA e procede nella sintesi in direzione 5’ - 3’ (mentre lo stampo viene letto in direzione 3’ - 5’). Usa come substrati i nucleotidi con 3 gruppi fosfato legati (ATP, GTP, UTP, CTP) e rimuove i due fosfati quando aggiunge il nucleotide alla catena di RNA nascente. Questa reazione è molto esoergonica e non richiede energia. L’estremità 5’ dei filamenti di DNA e RNA è detta «a monte» mentre l’estremità 3’ è anche detta «a valle». L’RNA polimerasi II si lega ad un sequenza di DNA chiamata promotore (una sequenza specifica di nucleotidi che indica il punto di inizio per la sintesi di RNA) che non viene trascritta. Raggiunto il promotore e legato strettamente il DNA, l’RNA polimerasi apre la doppia elica di fronte al pr0motore, esponendo i nucleotidi dei due filamenti per un breve tratto di DNA. La sintesi dell’RNA non richiede la presenza di primer. Il primo nucleotide della molecola di mRNA mantiene legati i 3 gruppi fosfato mentre l’ultimo ha l’ossidrile (OH) libero. L’allungamento della molecola di mRNA procede finchè l’enzima non incontra una specifica sequenza di terminazione (il codone di stop). Raggiunta la sequenza di terminazione, nelle cellule procariote l’enzima si stacca dal DNA e libera la molecola di mRNA, invece nelle cellule eucariote l’RNA polimerasi aggiunge all’estremità 3’ della molecola di mRNA ancora 10-35 nucleotidi dopo il segnale di terminazione. Per ogni gene viene trascritto solo uno dei due filamenti di DNA. Nei batteri l’RNA messaggero che viene prodotto dalla RNA polimerasi contiene anche sequenze di nucleotidi che non codificano per la proteina. In particolare c’è una sequenza non codificante all’estremità 5’ detta sequenza leader che serve al ribosoma per posizionarsi correttamente sulla molecola di mRNA, poi c’è una sequenza di start (o codone di inizio AUG) che precede la sequenza codificante e poi alla fine un codone di stop (UAA, UGA, UAG) seguite da sequenze non codificanti dette sequenze trailing (finale). ESPRESSIONE 2 : Modificazioni post-trascrizionali negli eucarioti Gli mRNA nei procarioti vengono subito utilizzati per sintetizzare le proteine senza ulteriori modificazioni. Negli eucarioti invece l’mRNA trascritto dalla RNA polimerasi viene definito mRNA precursore o pre- mRNA perchè deve ancora essere modificato. Questo processo di modificazione posttrascrizionale si chiama maturazione e inizia già durante la trascrizione perchè alcuni enzimi aggiungono un cappuccio (cap) all’estremità 5’ dell’mRNA appena sintetizzato. Il cap è costituto da una 7 metilguanosina, un nucleotide non comune che si lega ai 3 gruppi fosfato dell’estremità 5’. Sembra che il cap serva per evitare la degradazione dell’mRNA da parte di alcuni enzimi. La vita media dell’mRNA nelle cellule di mammifero è di circa 10 ore, mentre nei batteri è di 2 minuti. Un’altra modificazione post-trascrizionale è la poli-adenilazione, una fase della maturazione del premRNA che consiste nell'aggiunta di coda poliadenilica di 100-250 nucleotidi (adenine) all'estremità 3'- OH del pre- mRNA, tramite legame covalente. Quasi tutti gli mRNA possiedono una coda di poliA. Un'eccezione è rappresentata dall'mRNA che codifica per le proteine istoniche. Sembra che la coda di poliA serva per esportare l’mRNA dal nucleo al citoplasma, favorisca il legame con i ribosomi e sia in grado di evitare la degradazione dell’mRNA da parte di alcuni enzimi nel citoplasma (più è lunga la coda, più l’mRNA è stabile). I geni degli eucarioti contengono tra le sequenze codificanti anche molte regioni che non codificano per la sintesi proteica. Queste sequenze non codificanti sono chiamate introni, mentre quelle codificanti sono chiamate esoni. I geni degli eucarioti possono avere molti esoni e molti introni. Il gene della titina umana presente nelle cellule muscolari, la più grande proteina conosciuta, contiene 233 introni e 234 esoni. I ricercatori si sono chiesti perchè la struttura dei geni sia così complessa e contenga anche le sequenze introniche non codificanti, l’ipotesi più accreditata ritiene che in questo modo l’espressione genica possa essere più controllata e regolata. Affinchè il pre-mRNA maturo diventi funzionale, oltre al cap e alla coda di poliA, è anche necessario che vengano rimossi gli introni e che vengano unite insieme le sequenze degli esoni, questo processo si chiama splicing. Lo splicing può essere anche alternativo e cioè può non legare insieme tutti gli esoni codificati dal gene, ma può unire una volta un gruppo di esoni una volta un altro gruppo dando origine a mRNA maturi diversi e quindi a proteine diverse. Si è stimato che ogni gene umano può dare origine a 4 proteine diverse attraverso lo splicing alternativo, spesso queste proteine non sono completamente differenti, ma sono diverse isoforme della stessa classe di proteine (es: immunoglobuline). Per quanto riguarda il meccanismo di splicing, sappiamo che la cellula è in grado di riconoscere le parti del trascritto primario che devono essere eliminate con lo splicing attraverso la presenza di alcune sequenze nucleotidiche, che servono appunto da segnale di rimozione. In realtà le sequenze introniche sono molto diverse tra loro, ma all'inizio e alla fine degli introni ci sono queste sequenze segnale che invece sono molto simili. Il meccanismo mediante il quale viene tagliata la sequenza intronica è un meccanismo a cappio si forma un anello e poi questo anello viene tagliato. Il complesso che esegue questo taglio è formato da piccoli RNA nucleari, chiamati snRNA, small nuclear RNA e da alcune proteine. Insieme costituiscono delle strutture che sono chiamate piccole particelle ribonucleoproteiche nucleari che viene abbreviato con snRNPs,(snurps). Questi snRNP riconoscono le sequenze di splicing tramite l’appaiamento di basi complementari tra i loro componenti di RNA e le sequenze nel pre-mRNA. L'insieme di questi snurps forma lo spliceosoma che è il grande aggregato di molecole proteiche e RNA che nella cellula provvede a tagliare gli introni e ricucire gli esoni. Una volta che l’mRNA è stato processato ed è maturo questo deve poi essere esportato dal nucleo al citoplasma, perché deve arrivare ai ribosomi che sono le strutture in grado di leggerlo. Nel nucleo, oltre all’ RNA messaggero maturo, ci sono anche altri Negli organismi pluricellulari le cellule sono differenziate per svolgere delle specifiche funzioni nei vari organi e tessuti, ma hanno tutte lo stesso DNA (a parte i gameti) e cioè contengono tutte le stesse informazioni genetiche. Questo vuol dire che le diverse tipologie di cellule sono in grado di esprimere in maniera selettiva solo le proteine e gli enzimi che sono utili per le loro necessità, anche se potenzialmente potrebbero sintetizzare tutte le proteine del genoma. La regolazione genica nei batteri avviene soprattutto a livello della trascrizione. I geni sono organizzati in gruppi con le stesse funzioni e vengono «accesi» al momento opportuno. Gli mRNA prodotti nei batteri vengono subito tradotti e degradati e quindi la produzione dei gruppi di proteine si spegne velocemente. Le cellule eucariotiche hanno invece necessità di regolazione molto più complesse perché devono svolgere funzioni diverse (regolazione tessuto- specifica) e cooperare tra loro. Inoltre le cellule eucariotiche vivono di più delle cellule batteriche e devono poter esprimere geni diversi in momenti diversi del loro ciclo vitale (regolazione temporale). Nelle cellule eucariotiche solo un piccolo sottogruppo di geni è attivo in un determinato momento. Negli eucarioti il controllo dell’espressione genica avviene attraverso diversi meccanismi sia a livello trascrizionale (nel nucleo) che post- trascrizionale (nel citoplasma). Regolazione trascrizionale (nel nucleo). Vediamo i diversi meccanismi più in dettaglio Regolazione della cromatina. La struttura dei cromosomi è così complessa perché serve anche per la regolazione dell’espressione genica. In alcune zone cromosomiche la cromatina è altamente condensata (eterocromatina, di colore scuro al microscopio) e in questo modo inattiva i geni che sono codificati in quelle aree. I geni dell’eterocromatina non vengono trascritti perchè non sono accessibili ai fattori di trascrizione e alla RNA polimerasi. Un esempio è uno dei 2 cromosomi X nelle femmine che diventa eterocromatico e viene trasformato nel corpo di Barr (e i suoi geni non vengono espressi). I geni che devono essere più espressi invece si trovano in regioni in cui la cromatina è meno riavvolta (eucromatina) e sono facilmente accessibili per la trascrizione. Meccanismi epigenetici: Le cellule possono regolare il livello di «avvolgimento» della cromatina e quindi il passaggio da eterocromatina a eucromatina attraverso delle modificazioni chimiche negli istoni (le proteine che si associano al DNA per formare i nucleosomi). In particolare alle code degli istoni possono essere attaccati gruppi metilici, gruppi acetilici, zuccheri e proteine che rendono più o meno accessibili per la trascrizione i geni vicini a quegli istoni. Lo studio delle modificazioni degli istoni sembra essere un aspetto molto promettente per la ricerca in medicina, perchè molte malattie umane, tra cui il cancro, potrebbero avere all’origine delle alterazioni di questi meccanismi. Un altro meccanismo di inattivazione dei geni è la metilazione del DNA: alcuni enzimi aggiungono gruppi metilici a determinate citosine (la 5 metil citosina che si forma è ancora in grado di appaiarsi alla guanina senza problemi). I geni con tante citosine metilate sono inaccessibili alla RNA polimerasi. La metilazione del DNA è un processo che rende più forte l’inattivazione genica, piuttosto che esserne il meccanismo iniziale. La metilazione fa si che il gene resti inattivo. Per esempio, il corpo di Barr viene condensato e poi anche metilato. E’ stato dimostrato recentemente ma è comunque assodato che anche il grado di metilazione del DNA, come la sequenza del DNA, possa essere trasmesso alle cellule figlie durante i processi mitotici e meiotici. Infatti, quando il DNA si duplica, alcuni enzimi aggiungono gruppi metilici al filamento neosintetizzato seguendo la mappa di metilazione esistente. La metilazione del DNA è un fenomeno epigenetico che provoca modificazioni nell’espressione dei geni e questo tipo di trasmissione delle informazioni viene chiamata ereditarietà epigenetica. La metilazione del DNA tende ad aumentare in alcuni individui con il passare dell’età e invece diminuisce in altri probabilmente per interazione con gli stimoli ambientali. I meccanismi epigenetici (modificazioni istoni e metilazione del DNA) sono infatti molto importanti per spiegare le interazioni tra genoma e ambiente anche nell’insorgenza delle malattie umane. L’ambiente in cui viviamo può infatti provocare cambiamenti nel nostro organismo attraverso vari fattori: nutrizione, stile di vita, esercizio fisico, esposizione ad inquinanti, stress di diversa natura. Per moltissimi di questi fattori è stato dimostrato che i meccanismi attraverso cui provocano dei cambiamenti sull’organismo passano tramite modificazioni epigenetiche. E’ ormai chiaro che le attenzioni e le cure materne che riceviamo quando siamo bambini possono influenzare molto il nostro benessere sia fisico che psicologico. Gli studi sui modelli animali hanno dimostrato che le cure materne sono in grado di modificare l’epigenoma e quindi le caratteristiche epigenetiche di un individuo (modificando istoni e metilazione). REGOLAZIONE ESPRESSIONE GENICA Regolazione della trascrizione. Un altro meccanismo di regolazione della trascrizione è questo. Nei geni di tutte le cellule è necessario che ci sia un sito di inizio della trascrizione ed un promotore al quale si lega la RNA polimerasi, il TATA box (la sequenza TATAAAA). Le Mutazioni nella sequenza del promotore possono modificare in maniera importante la trascrizione genica. Altre sequenze regolatrici della trascrizione genica sono gli enhancer (intensificatori) ed i silencer (silenziatori) che contribuiscono alla formazione del complesso di inizio della trascrizione o la inibiscono e sono in grado di modificare la velocità di trascrizione anche di diversi ordini di grandezza. Gli enhancer ed i silencer possono essere posizionati sul DNA anche ad una certa distanza dal gene e possono trovarsi sulla sequenza sia a monte che a valle dei geni che regolano. Spesso gli enhancer ed i silencer sono comuni ai diversi tipi cellulari o alle cellule dello stesso tessuto ed in questo modo fanno si che ci sia un’espressione genica tessuto-specifica (es: quel gene è espresso in tutte le cellule del pancreas, ma non in quelle del fegato). Oltre a questi, al complesso di inizio della trascrizione contribuiscono anche i fattori di trascrizione. Nell’uomo ne sono stati idenficati circa 2000 e possiedono degli specifici domini (regioni proteiche) con cui possono agganciarsi al DNA e contribuire anch’essi alla regolazione della trascrizione. Gli enhancer ed i silencer diventano funzionali quando vengono legati dai fattori di trascrizione. Regolazione post-trascrizionale: Anche le modificazioni post- trascrizionali collaborano alla regolazione dell’espressione. La coda di poliA, oltre a stabilizzare l’mRNA, è necessaria per l’inizio della traduzione, infatti è stato dimostrato che gli mRNA con la coda più lunga vengono tradotti in maniera più efficiente. Un altro meccanismo di regolazione post- trascrizionale è lo splicing alternativo, che permette alle cellule di un deteminato tessuto di produrre la loro specifica proteina tagliando e legando tra loro solo alcuni esoni invece di altri. Anche alcuni ormoni possono controllare la stabilità dell’mRNA. Per esempio l’mRNA della vitellogenina, una proteina prodotta nel fegato delle femmine di alcune specie come, rane, pesci e galline che viene utilizzata per la produzione delle uova, può essere controllato dall’ormone femminile estradiolo. Infatti, quando i livelli di estradiolo sono alti, l’emivita (metà della vita) 8dell’mRNA è di 500 ore, quando i livelli ormonali invece sono bassi l’emivita è di 165 ore. Regolazione post-traduzionale (modificazioni della proteina): L’ultimo passaggio della regolazione dell’espressione genica è la regolazione della proteina. Una via di controllo è quella della maturazione di precursori inattivi che poi vengono processati (spesso con enzimi che tagliano una parte della proteina) per generare la proteina attiva. Un esempio di questo processo è quello della proinsulina di 86 amminoacidi che deve essere processata ad insulina attiva, rimuovendo 35 amminoacidi. Un altro modo invece di regolare l’attività della proteina che si forma più che la sua quantità è la modificazione chimica con l’aggiunta o la rimozione di gruppi funzionali, per esempio gruppi fosfato. Alcune vie di segnalazione cellulare sono regolate da chinasi, che aggiungono gruppi fosfato, che attivano o inattivano gli enzimi, oppure da fosfatasi che rimuovono i gruppi fosfato. Un’altra via di regolazione è quella della degradazione delle proteine prodotte, se non sono più necessarie. La vita media delle proteine può infatti variare molto e può essere influenzata da quale amminoacido N-terminale (il primo) portano. Il meccanismo di degradazione prevede prima il legame della proteina con l’ubiquitina, un piccolo polipeptide di 76 amminoacidi, e poi una volta che la proteina è «marcata» con l’ubiquitina viene degradata dai proteasomi che sono grosse strutture macromolecolari che contengono proteasi (enzimi che degradano le proteine, idrolizzando i legami peptidici). IL CICLO CELLULARE Negli organismi le cellule si replicano in cellule figlie identiche a loro stesse per la crescita e la sostituzione delle cellule danneggiate. L'intervallo di tempo che passa tra una replicazione cellulare ed un'altra è chiamato ciclo cellulare. Nel ciclo cellulare si alternano fasi di interfase e fasi M di divisione cellulare. La maggior parte della vita della cellula è in interfase. La cellula nasce alla fine della mitosi si accresce e svolge la sua attività metabolica all'inizio dell'interfase in fase G1 (G sta per gap =intervallo). Questo periodo è generalmente il più lungo della vita della cellula, le cellule che non si replicano restano in questa fase (G0 in questo caso). Alla fine della fase G1 inizia la fase S, quella della replicazione del DNA e la sintesi degli istoni le vie di segnalazione cellulare che portano la sintesi di cicline G1 e G1/S e di altre proteine che portano alla sintesi del DNA e alla duplicazione dei cromosomi. Questo aumento delle cicline che si legano alle chinasi cdk e alla rimozione di segnali inibitori, permette alla cellula di passare dalla fase G1 alla fase S. In particolare i complessi G1/Cdk e G1/S Cdk attivati agiscono su una proteina che è un inibitore del regolatore di fattore della trascrizione, questa proteina si chiama proteina retinoblastoma RB ed è stata chiamata così perché è stata identificata in un tumore infantile dell'occhio, dove appunto questa proteina non è presente o non è attiva per cui il ciclo cellulare è disregolato. L'attivazione dei complessi ciclina cdk agisce fosforilando questa proteina Rb, la fosforilazione fa cambiare conformazione alla proteina che quindi libera i regolatori della trascrizione che possono andare a indurre i segnali di proliferazione cellulare. Ci sono anche altri meccanismi di controllo che regolano la transizione tra la fase G1 e la fase S: uno di questi è quello che impedisce che si replichi il DNA danneggiato. Infatti se c'è stato un danno al DNA nella fase G1 si ha un incremento sia della concentrazione che dell'attività della proteina p53, che è un regolatore della trascrizione che a sua volta attiva l’espressione di un inibitore dei complessi ciclinaCdk impedendo sostanzialmente l'inizio della fase S. Grazie a questo blocco la cellula può riparare il DNA danneggiato. Se questo non è possibile perché il danno è troppo ampio sempre la p53 dà un segnale alla cellula di andare verso l'apoptosi, che è una morte cellulare programmata. Da questi processi si vede chiaramente come la p53 sia molto importante per regolare la proliferazione cellulare. Questa è una proteina che è coinvolta nella genesi delle forme di cancro, infatti, circa il 50% delle forme di cancro umane presentano delle mutazioni nella proteina p53. La cellula può anche uscire dal ciclo cellulare e quindi non andare mai in fase S e poi successivamente in G2 e mitosi perché è una cellula terminalmente differenziata come avviene per i neuroni o le cellule muscolari. Queste cellule non si devono replicare, in questo caso i geni che codificano per le cicline e per le cdk vengono spenti in maniera irreversibile. C'è anche il caso di cellule che escono dal ciclo cellulare per un periodo di tempo, non in maniera definitiva e che restano quindi in fase G0 più o meno a lungo. Questo è il caso per esempio delle cellule epatiche che si riattivano per proliferare solo se c'è 2 un danno epatico. Il tempo che le cellule passano nella fase G0 o G1 dipende dalla tipologia di cellule: mentre le cellule epatiche si duplicano una o due volte all'anno massimo, altre cellule come per esempio quelle dell’epitelio dell'intestino si duplicano due volte al giorno e quindi c'è una grande variabilità in questo senso. LA REGOLAZIONE DELLA FASE S: La fase S è quella dove avviene la duplicazione del DNA è importante che questo processo sia accurato in modo che le cellule figlie non portino mutazioni. Il DNA diventa pronto per la replicazione quando alcune specifiche proteine si legano a delle sequenze nucleotidiche che sono chiamate origini di replicazione in particolare queste proteine sono dei complessi proteici chiamati ORC Origin Recognition Complex (complesso di riconoscimento dell'origine) che si legga appunto alle sequenze origine di replicazione in attesa che parta la fase di sintesi del DNA. A questo complesso si legano anche altre proteine regolatrici in particolare la Cdc6 che è presente a basse concentrazioni lungo tutto ciclo cellulare e incomincia a essere prodotta in quantità maggiori all'inizio della fase G1. La cdc6 si lega anch'essa a ORC e poi si stacca per permettere il legame di due molecole di elicasi e la formazione di un complesso prereplicativo, a questo punto tutto è pronto perché parta la sintesi del nuovo filamento di DNA. L'attore che dà inizio alla sintesi è l'attivazione del complesso ciclina S-Cdk alla fine della fase G1: questo complesso attiva la DNA elicasi fosforilandola e quindi promuove l'assemblaggio della forca replicativa. Il complesso ciclina S-Cdk è importante anche per impedire che parta una seconda tornata di replicazione perché va a fosforilare la proteina Cdc6 in questo modo la proteina fosforilata va incontro a degradazione, il fatto che la concentrazione di Cdc6 ritorni bassa fa sì che non parta un altro ciclo di replicazione. Ma cosa succede quando qualcosa va storto e quindi la replicazione del DNA non avviene correttamente o ci sono filamenti non completi o errori. In questo caso la cellula ha bisogno di ritardare la fase M per evitare che appunto vada in mitosi un DNA non replicato bene e quindi per ritardare la mitosi la cellula inibisce l'attività del complesso ciclina M-cdk fosforilando questo complesso in corrispondenza di particolari siti. Perché parta la mitosi questi fosfati devono essere rimossi da una proteina fosfatasi che si chiama cdc25. Se c'è un danno al DNA la cdc25 è essa stessa inibita e quindi non può rimuovere i fosfati inibitori e attivare il complesso ciclina M-cdk che rimane inattivo e la fase M è ritardata. LA FASE M La fase M comprende due processi la mitosi e la citochinesi o citocinesi. La mitosi porta alla formazione dei due nuclei, mentre la citochinesi porta alla separazione dei citoplasmi. Il complesso M-Cdk gioca un ruolo importante nei primi stadi della mitosi e la sua attivazione è regolata da un sistema fatto apposta perché ci sia un innesco rapido della mitosi, al momento opportuno. Infatti, durante la fase G2, incominciano a formarsi complessi M- Cdk che però restano inattivi fino a quando la cdc25, che è appunto la fosfatasi, rimuove i gruppi fosfato dalla chinasi del complesso della M-Cdk e si attiva il complesso. Inoltre, il complesso MCdk attivo e anche in grado di fosforilare dell'altra fosfatasi cdc25 inattiva rendendola attiva, questo fa sì che ci sia un processo di retroazione positiva e quindi di amplificazione del segnale, si formano quindi tanti complessi M-Cdk attivi in un tempo molto limitato. M- Cdk attivato inoltre è in grado di inibire la chinasi Wee1 che è una chinasi inibitoria e quindi questo promuove ulteriormente l'attivazione dei complessi M-Cdk. A questo punto la mitosi è innescata. Nella mitosi un passaggio chiave è la separazione dei cromosomi per cui questi cromosomi devono essere preparati per una segregazione corretta nelle due cellule figlie. Già durante la replicazione in fase S la cellula riesce comunque a tenere legate le due copie di ogni cromosoma con delle proteine ad anello che si chiamano coesine. Queste due copie del Dna di ogni cromosoma sono chiamate cromatidi fratelli e si compattano nelle fasi iniziali della mitosi grazie a particolari proteine ad anello che si chiamano condensine, che permettono l’assemblaggio del cromosoma e la formazione di corpi compatti composti da due cromatidi fratelli che sono a loro volta tenuti insieme da anelli di coesine che permettono di tenere le due copie del DNA degli stessi cromosomi abbinate, questo è importante proprio per la separazione corretta. Altre proteine importanti in fase M sono i microtubuli che formano il fuso mitotico e l'anello contrattile di miosina e actina. Oltre alla replicazione del DNA un altro processo importante che deve avvenire prima della fase M è la duplicazione dei centrosomi, che sono i centri di organizzazione dei microtubuli. La duplicazione del centrosoma inizia nella fase S ed è avviata dagli stessi complessi ciclina- Cdk che fanno partire anche la replicazione del DNA G1/S-Cdk e S-Cdk. I due centrosomi che vengono prodotti all'inizio rimangono vicini, legati in un complesso nei pressi del nucleo. Quando inizia la mitosi i due centrosomi si spostano ai poli della cellula e formano due strutture a raggiera chiamate Aster. La mitosi è un processo continuo, ma per descriverlo lo divideremo in 5 stadi: profase, prometafase, metafase, anafase, telofase. PROFASE: In questo primo stadio il materiale genetico, che in interfase riempie tutto il nucleo, si compatta nei cromosomi che diventano più corti e più spessi. Ogni cromosoma è già stato replicato in precedenza in fase S e si presenta come una coppia di cromatidi fratelli legati insieme dalle coesine. Ad ogni centromero è associata una struttura proteica chiamata cinetocore che serve come punto di “aggancio” per i microtubuli durante la formazione del fuso mitotico negli stadi successivi. Sappiamo che dai centrosomi partono dei microtubuli “che tastano un po' il terreno” si allungano e poi si disassemblano se non trovano nulla che li stabilizza con dei processi che abbiamo visto nelle lezioni precedenti. Nel 2°caso del fuso mitotico, all'inizio della mitosi il complesso M-Cdk aumenta l’instabilità dinamica dei microtubuli in modo che questi siano più attivi, poi intervengono delle proteine MAP associate ai microtubuli che sono in grado di influenzare la stabilità in modo che i microtubuli che si dispongono lungo i meridiani della cellula se vediamo la cellula come se fosse una terra ruotata di 90° vengano stabilizzati e si formi il fuso mitotico. I centrosomi ora si chiameranno poli del fuso, mentre i microtubuli che interagiscono si chiamano microtubuli interpolari. PROMETAFASE: Durante la prometafase l'involucro nucleare si rompe completamente così i microtubuli del fuso si possono legare ai cromosomi attraverso i cinetocori. I cromatidi fratelli legati al fuso mitotico iniziano a disporsi lungo il piano equatoriale della cellula. Il processo di disgregazione della membrana nucleare avviene grazie alla fosforilazione e quindi al disassemblaggio delle proteine dei pori nucleari e anche delle proteine che costituiscono la lamina nucleare. I microtubuli una volta disgregato l'involucro nucleare possono legarsi ai cromosomi e vanno ad agganciare appunto i cinetocori che si sono già condensati sui cromosomi nella tarda profase. I cinetocori sono in grado di riconoscere la zona del centromero dei cromosomi perché riconoscono delle speciali sequenze di DNA caratteristiche del centromero. Quando incontrano i cromosomi i microtubuli collegati a un polo si attaccano a un lato del cinetocore rivolto verso quel polo del cromosoma e altri microtubuli si legheranno dall'altra parte. Il legame con i
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