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Riassunto Cambiamo Strada, Schemi e mappe concettuali di Sociologia

Riassunto Sociologia delle culture, di Patrizia Calefato

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 08/11/2022

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Scarica Riassunto Cambiamo Strada e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Sociologia solo su Docsity! Edgar Morin  Cambiamo strada Le 15 lezioni del coronavirus. Un minuscolo virus comparso all’improvviso in un lontanissimo villaggio della Cina ha creato un cataclisma mondiale. Ma la radicale novità del Covid-19 sta nel fatto che è all’origine di una megacrisi,  composta dall’insieme di una crisi politica, economica, sociale, ecologica, nazionale, planetaria che si sovrappone alle altre, e hanno componenti, interazioni e indeterminazioni molteplici e interconnesse, in una parola complesse. La prima rivelazione fulminante di questa crisi è che tutto ciò che sembrava separato in realtà è inseparabile. La crisi generale di proporzioni gigantesche causata dal Coronavirus va vista anche come un sintomo virulento di una crisi più profonda del grande paradigma dell’Occidente diventato mondiale,  quello della modernità, nato nel XVI secolo europeo la nozione di paradigma indica infatti un principio di organizzazione del pensiero, dell’azione, della società, in breve di tutti gli ambiti dell’umano. Un cambiamento di paradigma è un processo lungo, difficile, che si scontra con le enormi resistenze delle strutture e delle mentalità vigenti. Il post-Coronavirus è inquietante tanto quanto la crisi stessa.  Lezione 1: lezione sulle nostre esistenze. "Come vivi?" Questa è la domanda che ponevo a me stesso; quella domanda, più attuale che mai, è diventata cruciale durante il confinamento. L’esperienza del confinamento deve anzitutto aprirci all’esistenza di coloro che lo subiscono nell’indigenza e nella povertà, che non hanno avuto accesso al superfluo e al frivolo e che meritano di raggiungere il livello in cui si può disporre del superfluo. Le costrizioni del confinamento hanno portato ciascuno di noi a interrogarsi sul proprio stile di vita, sui veri bisogni, sulle proprie aspirazioni, represse in coloro che subiscono una condizione chiusa tra casa e lavoro, dimenticate in coloro che godono di una vita meno asservita, e mascherate in genere dall’alienazione del quotidiano o rimosse nel divertissement pascaliano, che ci distoglie dai veri problemi della nostra condizione umana.  Lezione 2: lezione sulla condizione umana. Prima degli anni Ottanta e del diffondersi dell’AIDS, la scienza pensava di aver eliminato virus e batteri; prima del 2008, gli economisti ufficiali escludevano qualsiasi crisi; prima del 2020, l’umanità aveva relegato le grandi epidemie al Medioevo. La nostra fragilità era stata dimenticata, la nostra precarietà occultata. Il mito occidentale dell’uomo il cui destino è diventare «padrone e possessore della Natura» è crollato di fronte a un virus. Quest’ultimo prevede che l’uomo arriverà all’immortalità e controllerà tutto attraverso l’intelligenza artificiale. Tale promessa raggiunge il paradosso con il mito della necessità storica del progresso e quello della padronanza da parte dell’uomo non solo della natura, ma anche del proprio destino. Dobbiamo prendere coscienza del paradosso per il quale la crescita della nostra potenza va di pari passo con la crescita della nostra debolezza.  Lezione 3: Lezione sull’incertezza delle nostre vite. L’epidemia e le sue conseguenze ci hanno portato, da alcuni mesi, ad una girandola di incertezze che durerà ancora. Ciò ci spinge a riconoscere che, anche se celata o rimossa, l’incertezza accompagna la grande avventura dell’umanità, ogni storia nazionale, ogni vita «normale». Conosceremo senz’altro, attraverso il virus e le crisi che seguiranno, più incertezze di prima e dobbiamo attrezzarci per imparare a conviverci.  Lezione 4: Lezione sul nostro rapporto con la morte. La modernità laica aveva rimosso profondamente lo spettro della morte, che solo la fede dei cristiani nella risurrezione esorcizzava. All’improvviso, il Coronavirus ha fatto irrompere la morte personale, finora rimandata al futuro, nell’immediato della vita quotidiana. La scienza biologica e l’arte medica, nonostante il loro arsenale di rimedi e vaccini, si sono trovate disarmate di fronte al misterioso virus portatore di morte. Questo vuoto ci ricorda crudelmente che la morte di un essere amato richiede il suo accompagnamento fino alla sepoltura o alla cremazione.  Lezione 5: lezione sulla nostra civiltà. 1 La nostra civiltà ci porta a una vita estrovertita, rivolta al fuori e all’esterno: i trasporti, il lavoro, gli aperitivi, i ristoranti, gli appuntamenti, i viaggi. Ci fermiamo davanti alle vetrine dei negozi, per alcuni di vestiti e per altri di alimenti, ci aggiriamo rapiti nei grandi magazzini e tra le immense superfici, attratti da uno sconto, sedotti da un gioiello, una leccornia o un gadget. Il confinamento ci ha brutalmente reclusi all’interno dei nostri appartamenti e, a volte, ci ha spinti all’interno di noi stessi. Riformando forzosamente il nostro modo di consumare, abbiamo spontaneamente preferito l’essenziale all’inutile, la qualità alla quantità, il durevole all’usa e getta.  Lezione 6: Lezione sul risveglio delle solidarietà. Il senso di solidarietà era assopito in ciascuno di noi e si è ridestato nella prova vissuta in comune. Abbiamo visto il risorgere, anche solo a livello simbolico, della solidarietà nazionale quando l’Italia cantava l’inno nazionale dai balconi, quando la Francia, il Belgio, la Spagna e tanti altri paesi applaudivano ogni sera il personale sanitario. E, soprattutto nei paesi del Sud, nei quali la solidarietà tradizionale è ancora viva, essa si è amplificata attraverso il moltiplicarsi dei soccorsi e degli aiuti reciproci.  Lezione 7: Lezione sull’uguaglianza sociale nel confinamento. Il confinamento è stato una lente di ingrandimento delle disuguaglianze sociali: la pandemia ha accentuato drammaticamente le disuguaglianze socio-spaziali. Non tutti hanno una seconda casa per fuggire dalla città. Ha mostrato anche che gli ultimi – spazzini, inservienti, camionisti, cassieri o centralinisti – erano più vitalmente necessari dei campioni dell’indice azionario. Mentre giovani delle periferie, ristoratori, casalinghe preparavano pasti gratuiti per i poveri, i capicordata per lo più attendevano, in cima alle loro vette, il momento di tirare nuovamente loro la corda. Rendiamo giustizia anche ai medici ospedalieri, agli insegnanti e agli educatori che, senza soluzione di continuità, nel pieno della crisi si sono rivelati non tanto dei funzionari o dei professionisti, ma dei missionari.  Lezione 8: Lezione sulla diversità delle situazioni e della gestione dell’epidemia nel mondo. Alcune regioni nei paesi contagiati e interi paesi sembrano essere stati relativamente risparmiati, come l’Islanda o alcuni paesi africani – probabilmente la loro bassa densità demografica costituisce una protezione. Altri, al contrario, stanno subendo ondate terribili di contagio e di morte, come il Perù, gli Stati Uniti, il Messico e soprattutto il Brasile, che vive la tragedia di avere al governo un presidente irresponsabile. A Lima, capitale del Perù, il blocco dei rifornimenti alimentari ha portato centinaia di migliaia di persone che si spostano dalla campagna alla città per lavoro a rientrare a piedi, per mancanza di trasporti, nei loro villaggi, situati spesso a centinaia di chilometri di distanza. L’emergenza sanitaria ha suscitato un’intensa creatività. Ha anche stimolato l’assistenza e gli aiuti ai più poveri attraverso la massiccia distribuzione di viveri. La Francia e alcuni altri paesi occidentali si sono rivelati impreparati e carenti, mentre paesi dell’Estremo Oriente o dell’Africa del Nord hanno fatto fronte alla pandemia con maggiore efficacia. In Marocco, dietro la forte spinta dello Stato, si è costituito fin dall’inizio della crisi un fondo di solidarietà di tre miliardi di euro attraverso donazioni individuali e di imprese. Covid-19. In piena penuria mondiale di mascherine, le imprese tessili marocchine sono state requisite e riconvertite per produrne. Negli ultimi tempi, il Marocco ha prodotto sei milioni di mascherine al giorno e le ha distribuite ai suoi vicini europei. L’inventiva di industriali e scienziati è riuscita anche a creare maschere per il rilevamento del Covid e a fabbricare, in piena crisi pandemica, dei respiratori per salvare i malati.  Lezione 9: Lezione sulla natura di una crisi. Una crisi, al di là del disorientamento e dell’incertezza che suscita, si manifesta attraverso il collasso delle regole di un sistema che, per mantenere la sua stabilità, inibisce o rimuove le devianze. Durante la crisi, queste devianze, che non sono più represse e si propagano, diventano tendenze attive che, se si sviluppano, minacciano di scompensare e bloccare il sistema in crisi. Così la crisi del 1929 ha portato al potere, nella democrazia tedesca, un piccolo partito del tutto marginale, fondato nel 1920, la cui devianza è diventata una forza storica terrificante. Le angosce provocate dalla crisi portano alla ricerca e alla denuncia di un colpevole. Sono tutti aspetti presenti nella crisi che stiamo vivendo. 2  Lezione 15: Lezione sul pianeta in crisi. La pandemia mondiale ha prodotto una crisi violenta della globalizzazione. Ci si può chiedere anche se la globalizzazione non abbia contribuito alla crisi violenta della pandemia. Covid-19. Secondo il professor Thomas Michiels, biologo e specialista della trasmissione dei virus: «Non c’è dubbio che la globalizzazione abbia un effetto sulle epidemie e favorisca il diffondersi dei virus. Se guardiamo all’evoluzione delle epidemie nel passato, ci sono esempi noti che mostrano che le epidemie seguono le ferrovie e gli spostamenti umani. Questo è certo: la circolazione degli individui aggrava la pandemia». Nella crisi del Coronavirus, gli scienziati hanno dimostrato un altro impatto della globalizzazione connesso al nostro sistema di approvvigionamento alimentare. L’aumento delle occorrenze dei virus è legato alla massiccia agricoltura industriale, in particolare all’industria dell’allevamento degli animali. La politica di deforestazione porta alla comparsa di malattie. La frequenza delle epidemie rischia di aumentare se non freniamo l’agribusiness, che mira ad accaparrarsi le terre dei paesi più poveri e il mercato alimentare su scala mondiale. Oltre all’impatto nefasto sull’ambiente, la globalizzazione porta a una perdita di sovranità e di autonomia economica degli Stati. Più in generale, è emerso chiaramente che la globalizzazione, poiché essenzialmente tecno-economica, aveva creato una generale interdipendenza priva di ogni solidarietà. E quando la crisi è diventata globale, l’interdipendenza spezzata ha abbandonato nazioni e popoli a economie amputate in una dipendenza economica e morale fino ad allora sconosciuta. Prima della pandemia, era evidente che la globalizzazione tecno economia, lungi dal creare legami tra culture e nazioni, portava a ripiegamenti etnico-religiosi e/o nazionalisti. Questi ultimi hanno occultato la comunità di destino e di rischio creata dalla stessa globalizzazione. La globalizzazione deve più che mai essere regolata e controllata da un’antiglobalizzazione e combinarsi con de-globalizzazioni in materia sanitaria e alimentare. La crisi planetaria nata dal Coronavirus mette in risalto la comunità di destino di tutti gli umani in un legame indissolubile con il destino bioecologico del pianeta Terra. E aggrava, al tempo stesso, la crisi dell’umanità che non riesce a costituirsi in umanità. Le sfide del post corona. Il momento storico di estrema gravità che stiamo attraversando è carico di sfide. La crisi sanitaria ancora in corso si accompagna a una crisi politica e a una crisi economica di cui non abbiamo ancora misurato la profondità e la durata; sembra profilarsi una crisi alimentare mondiale; è iniziata una drammatica crisi sociale conseguente all’esplosione del numero dei disoccupati e dei lavoratori precari. In Francia, dove il clima sociale e politico si è particolarmente degradato a partire dalla mobilitazione dei gilet jaunes e dal movimento sociale contro la legge sulle pensioni, l’avvenire è più che mai inquietante.  Sfida 1: La sfida esistenziale. Il confinamento è stato una reclusione, ma è stato anche una liberazione interiore dal tempo cronometrato, dal tempo casa e bottega dei lavoratori, dagli orari senza limite delle libere professioni. Le nostre esistenze, finora rette da un tempo sempre più accelerato, hanno potuto nuovamente essere gestite, amministrate, rallentate. Durante il confinamento, abbiamo potuto prenderci più cura del nostro prossimo e comunicare con esso anche in situazioni di lontananza geografica. Un’assistenza reciproca tra vicini ha creato amicizie. Siamo riusciti a trovare il tempo di dedicarci a piaceri estetici – come vedere un film, leggere un libro, ascoltare della musica. Ciò favorirà uno sviluppo della vita conviviale, affettiva e poetica?  Sfida 2: La sfida della crisi politica. Il presidente della Repubblica Emmanuel Macron, il 13 aprile scorso, aveva annunciato: «Dobbiamo, in questo momento, saper uscire dai sentieri battuti, dalle ideologie e reinventarci. Io per primo». Si può contare sui poteri pubblici per uscire dai sentieri battuti, dalle ideologie e reinventarsi? Che lezioni trarranno le autorità dall’esperienza? Non possiamo nemmeno essere sicuri di un qualche progresso politico, economico o sociale come si ebbe subito dopo la Seconda guerra mondiale. Non si può sapere se, dopo il confinamento, l’ordine sconvolto si ristabilirà o se, al contrario, la coscienza del «non dovrà essere più come prima» produrrà idee innovatrici e forze politiche in grado di rivoluzionare politica ed economia. La crisi ha messo 5 in discussione il neoliberismo, sostrato dottrinario delle politiche portate avanti nel mondo a partire dagli anni Thatcher-Reagan, che promossero la libera concorrenza economica come soluzione di tutti i problemi sociali e umani e che predicarono, per le imprese, la massima libertà e, per lo Stato, un ruolo minimo. È il neoliberismo ad aver ispirato la privatizzazione dei servizi pubblici, la riduzione dei servizi ospedalieri e la loro commercializzazione, la pratica dei flussi e della delocalizzazione. Tutto ciò nella prospettiva, sempre smentita, secondo cui la crescita della ricchezza dei ricchi avrà un «effetto trickle-down» sul popolo. La crisi ha costretto gli Stati ad abbandonare la loro politica di austerità a causa di consistenti spese per la sanità, le imprese, i lavoratori rimasti senza salario. Ha rafforzato i servizi pubblici che tendevano a essere privatizzati, tra cui gli ospedali. Ha imposto protezioni doganali dove prima era stata aperta ogni frontiera. Il neoliberismo è soltanto sospeso? La megacrisi ha rivelato uno Stato incapace, per varie settimane, di rifornire di mascherine, camici e materiale adatto il personale sanitario e la popolazione. Ha evidenziato lentezze, ordini e contrordini, direttive illeggibili, impreparazioni, in altre parole fallimenti. Di qui le due necessità inseparabili per ogni rinnovamento politico: uscire dal neoliberismo, riformare lo Stato. Vedremo come nel terzo capitolo.  Sfida 3: La sfida di una globalizzazione in crisi. L’abbiamo visto. La globalizzazione ha creato un’interdipendenza senza solidarietà. A partire dall’invasione virale, gli Stati hanno chiuso le nazioni su sé stesse. Alle cooperazioni sono seguite le competizioni, anche nella ricerca del farmaco o del vaccino contro il virus. La globalizzazione ha portato a una perdita di autonomia economica degli Stati. Le conseguenze sono state drammatiche. Come si vedrà nel prossimo capitolo, le necessità di stabilire delle politiche di prevenzione per le prossime epidemie e di assicurare una politica di minima autosufficienza per i prodotti legati alla salute e all’alimentazione dovrebbero implicare un ritorno o un ricorso ad autonomie alimentari e sanitarie, cioè a parziali de-globalizzazioni.  Sfida 4: La sfida della crisi della democrazia. Coronavirus, una crisi aggravata dalla corruzione e dalla demagogia trionfanti. Parallelamente, abbiamo assistito alla crescita di nazionalismi aggressivi e xenofobi. Ovunque hanno fatto la loro comparsa Stati neoautoritari. Una minaccia per le nostre libertà? La restrizione dei nostri diritti fondamentali nella lotta contro il virus, giustificata nell’immediato, pone dei problemi per il modo in cui è stata imposta e per i futuri rischi che essa comporta. Sarebbe stato prudente far votare una legge specifica di precauzione per l’epidemia invece di riesumare lo stato d’emergenza, votato nel 1955 con un fine repressivo e che ha permesso i peggiori abusi durante la guerra d’Algeria. Misure come il divieto di assembramento, di riunione o la limitazione drastica della libertà di circolazione dovranno con tutta evidenza sparire con il virus. In una società democratica, le misure restrittive delle libertà devono essere strettamente limitate alla situazione contingente. Le misure eccezionali invocate contro il terrorismo sono state mantenute. Poiché, nella crisi universale delle democrazie, il nostro avvenire è minacciato da un neoautoritarismo, c’è da temere che i dispositivi di tracciamento introdotti durante la pandemia non solo rimangano, ma si allarghino con il ricorso sistematico alla geolocalizzazione, al tracciamento attraverso gli smartphone, alla videosorveglianza, ai rilevamenti tramite algoritmi, all’intelligenza artificiale. Dobbiamo rifletterci, fin da ora.  Sfida 5: La sfida del digitale. Sembra proprio che l’aumento dell’uso del digitale, già in corso e amplificato dal confinamento, permarrà. Gli strumenti digitali sono strumenti di libertà e, al tempo stesso, strumenti di dominio. Internet consente la libera espressione, che va dalla creatività al delirio sui social. La Rete offre a un individuo esperto la possibilità di decifrare codici che proteggono segreti politici e militari e di mettere in guardia i cittadini ma, contemporaneamente, dà un enorme potere di sorveglianza sugli individui che viola la segretezza e la sacralità della loro privacy. Il digitale, Internet, l’intelligenza artificiale sono mezzi che tendono a trasformarsi in fini o a essere al servizio di poteri di controllo incontrollati. Si ritiene, da parte di menti tecnocratiche e transumaniste, che essi producano l’armonia di una mega macchina sociale che risolve tutti i problemi. Ma dobbiamo essere consapevoli che ogni tecnica in nostro possesso rischia di spossessarci degli interrogativi etici, sociali e politici che sono propri delle nostre menti. 6  Sfida 6: La sfida ecologica. L’azione umana degrada sempre di più la biosfera, l’atmosfera, gli oceani, i continenti e, a livello locale, le città, i fiumi, le colture. Abbiamo potuto constatare che, durante il blocco dei trasporti e delle attività industriali, l’aria è tornata pura, la natura sembrava rinascere. L’abbandono dell’auto durante i mesi di confinamento potrebbe portare a una disintossicazione, restringendone l’uso agli spostamenti fuori città. Prediligeremo il treno rispetto all’uso dell’aereo nella Francia metropolitana? Questa crisi potrebbe accelerare la trasformazione del traffico aereo e ridurre la circolazione nazionale e internazionale delle persone. Le imprese sembrano aver preso gusto alle videoconferenze che fanno risparmiare tempo, energia e denaro. Alcune misure e abitudini, soprattutto alimentari, acquisite durante il confinamento potrebbero essere mantenute per contribuire a quella che è detta transizione ecologica e che costituirebbe una rivoluzione non violenta di civiltà.  Sfida 7: La sfida della crisi economica. Il neoliberismo ha subito soltanto uno scossone? Non riprenderà le leve del comando? Dopo il confinamento, il Medef e la finanza hanno fatto uno straordinario pressing sul presidente della Repubblica francese perché abbandonasse ogni velleità di inaugurare una nuova economia ecologista e ritornasse alla Norma. L’economia, paralizzata dal confinamento, riprenderà il suo corso precedente? La nostra crisi economica mondiale porterà a una recessione come nel 2008, a una depressione come nel 1929, o prenderà una direzione sconosciuta? Saremo preda di una gigantesca crisi planetaria di cui si può temere un esito barbaro? Sarà possibile, se non regolare l’economia mondiale, ridurre la potenza dell’ipercapitalismo, riformare i sistemi bancari, controllare la speculazione borsistica, impedire l’evasione fiscale? Troveremo i principi di un’economia fondata su un new deal di rilancio ecologico e di riforma sociale che farebbe regredire l’ipercapitalismo e diminuire le disuguaglianze?  Sfida 8: La sfida delle incertezze. Al di là di queste incertezze economiche, è tutto l’avvenire a essere incerto. Dobbiamo tuttavia cercare di intravedere le tendenze e i rischi futuri. Vedremo una ripresa della globalizzazione o ulteriori ripiegamenti autarchici? Andremo verso l’intensificarsi dei nazionalismi, il successo dei sovranismi e la chiusura delle frontiere? Alcuni Stati cederanno di nuovo all’autoritarismo con l’avvento di società di sorveglianza e tecniche informatiche di riconoscimento, controllo e tracciamento degli individui? Le grandi nazioni confliggeranno più di prima? Si modificheranno i loro rapporti di forza? La Cina dominerà il mondo o si smembrerà, come già le è capitato in passato? I conflitti armati, più o meno attenuati dalla crisi del Coronavirus, si inaspriranno? O ci sarà, al contrario, un salutare afflato internazionale di cooperazione? 7 proprie lingue e culture, dai bretoni agli alsaziani, dai fiamminghi ai provenzali. La sua unificazione è stata realizzata al tempo stesso con la forza, le alleanze reali, la negoziazione ed è sfociata nell’adesione delle province alla grande Nazione durante la festa della Federazione del 14 luglio 1790. L’esercito e le guerre hanno mescolato insieme soldati provenienti da ogni provincia; l’istruzione obbligatoria della III Repubblica ha radicato fin dall’infanzia il senso di appartenenza nazionale. Ciò non ha tuttavia soppresso le diversità regionali. Sebbene la Repubblica le abbia un tempo relegate al rango di dialetti, le lingue regionali sono resuscitate nella misura in cui rifioriva la loro cultura. La diversità regionale è il tesoro dell’unità francese e l’unità francese è il tesoro della diversità regionale. A queste diversità si aggiungono, a partire dal XX secolo, quelle delle successive ondate migratorie, che proseguono il processo più che millenario iniziato con i Capetingi. Oggi ci sono 7,4 milioni di francesi discendenti da immigrati giunti a partire dal 1900, ossia il 12% della popolazione. Alcuni si sentono a tal punto integrati da essere diventati ostili ai nuovi immigrati. Così, invece di opporre nazione a comunitarismo, si devono rifiutare il nazionalismo omogeneizzante e il comunitarismo chiuso, e attuare una politica nazionale a partire dalla concezione di una Francia una e diversificata.  Riforma dello Stato: umanizzazione attraverso la sburocratizzazione e l’abolizione dei privilegi. La pandemia ha messo in luce le carenze dello Stato, incapace di rifornire di mascherine e materiale sanitario di protezione i medici e la popolazione. Ha messo in evidenza le lentezze, gli ordini e i contrordini, le direttive illeggibili, le decisioni non supportate da una preparazione adeguata. Ha rivelato una burocratizzazione che soffoca l’amministrazione. Ha mostrato il parassitismo nei ministeri e nell’amministrazione da parte di lobby finanziarie, in particolare nel ministero della Salute da parte delle industrie farmaceutiche. Il parassitismo delle lobby finanziarie potrà ridursi solo con la diminuzione della loro potenza, alla quale può e deve contribuire una politica di sburocratizzazione dello Stato e dei servizi pubblici. L’amministrazione statale obbedisce a principi generali di organizzazione che si ritrovano in altre amministrazioni, per esempio quelle delle grandi imprese private: centralizzazione, gerarchia e specializzazione. La burocrazia può essere considerata come una patologia amministrativa in cui l’eccesso di centralismo, l’eccesso di gerarchia che toglie ogni iniziativa a coloro che non possono che ubbidire, è aggravato dall’eccesso di specializzazione, che rinchiude ogni agente nella sua funzione. La burocrazia si traduce in una rigida dicotomia dirigente-esecutore, limita la responsabilità di ognuno al suo comparto, inibisce la responsabilità e la solidarietà di ciascuno verso l’insieme di cui fa parte. Di fatto, la burocrazia genera l’irresponsabilità, l’inerzia e il disinteresse verso ciò che va al di là del proprio settore di specializzazione. In Francia, il cosiddetto scandalo del sangue infetto e poi la pandemia del Coronavirus hanno evidenziato un’irresponsabilità generalizzata. Questa mancanza di responsabilità favorisce la corruzione dei funzionari nel cuore stesso dello Stato. Infine, un’organizzazione rigorosamente centralizzata, gerarchizzata e che divide i lavoratori specializzati tende a essere pesante e pignola verso il personale, abitudinaria nella sua azione, disumana verso coloro che ricorrono ai suoi servizi e che si vedono rimandati da un ufficio all’altro, da una segreteria telefonica all’altra.  Principi di riorganizzazione. Una buona organizzazione richiede che siano impiegate al meglio le attitudini e le qualità degli individui che vi lavorano. Queste attitudini e qualità sono, come abbiamo detto, inibite sotto l’effetto congiunto della centralizzazione, della gerarchia, della parcellizzazione. specializzazione/poli specializzazione/competenza generale. La combinazione di centralismo e di policentrismo sta nell’attribuire capacità decisionale a vari centri, ciascuno investito di una competenza propria su problemi particolari. Acentrismo significa che gli agenti possono disporre di un margine di libertà in casi imprevisti e in condizioni critiche. Allo stesso modo, bisognerebbe combinare gerarchia e poliarchia. Inoltre, una parte di anarchia deve essere salvaguardata; dove anarchia non significa disordine, ma modo di organizzazione spontaneo attraverso le interazioni tra individui e gruppi. Infine, la specializzazione deve avvenire dopo una tappa formativa che dovrebbe fornire una cultura arricchente, che permetta agli specializzati di essere pluricompetenti, di collaborare in modo interattivo con i responsabili del processo decisionale, i quali devono essere dotati di competenze più 10 generali. La competenza specialistica e la pluricompetenza vanno così associate. In ciascuno di questi tre modi organizzativi, e soprattutto nella loro combinazione, si creerebbero spazi di responsabilità e libertà.  Riforme economiche. RIDUZIONE PROGRESSIVA DEL POTERE DELLE OLIGARCHIE ECONOMICHE Le oligarchie economiche orientano le decisioni di un potere guidato dal credo neoliberista. Esse parassitano e paralizzano lo Stato, gli dettano leggi e direttive, bloccano leggi salutari, dominano e controllano le produzioni industriali e agricole, vasti settori dell’economia dei servizi, l’economia digitale. Si può certamente tassarle con la fiscalità, ma ciò non sarà efficace finché resteranno i paradisi fiscali. La soppressione di questi ultimi è auspicabile, ma può essere decisa solo dall’insieme delle nazioni. Si possono comunque multare pesantemente tutti i casi di evasione fiscale accertati. Tuttavia la soluzione è altrove. Sta in una diminuzione del loro potere e ciò può avere inizio sia con un governo i cui ministri siano insensibili alla loro pressione sia con la riforma dell’alta amministrazione. Ciò deriverebbe soprattutto, secondo noi, da una coscienza, più ampia e generalizzata, dei consumatori che li induca a selezionare sempre più i propri acquisti. Infatti, la «società del consumo» che fa dipendere il consumatore dal produttore può dare al consumatore, se questi si emancipa, un potere sul produttore. RIFORMA DELL’IMPRESA. L’impresa industriale è organizzata secondo il modello che abbiamo esaminato precedentemente: centralismo/gerarchia/specializzazione. La riforma della sua organizzazione dovrebbe obbedire ai principi che abbiamo annunciato, con la differenza che, se l’azione di un’amministrazione mira all’applicazione di una decisione governativa o di una legge, l’azione di un’impresa mira alla propria redditività in un ambiente concorrenziale e aleatorio. La riforma si impone, tanto più che essa ha bisogno di adattabilità e di inventiva a tutti livelli. L’impresa-caserma significa servitù per coloro che vi lavorano, mentre un’impresa che riconoscesse i suoi impiegati e lavoratori nella loro piena umanità sarebbe da essi riconosciuta come una comunità di destino; il che migliorerebbe sia le performance dell’impresa sia le condizioni di vita di coloro che vi lavorano. È in questo senso riformatore che si muovono gli imprenditori dell’economia sociale e solidale, delle imprese civiche e anche dell’impresa con una missione aziendale.  Riforma della democrazia: la partecipazione dei cittadini. La democrazia parlamentare, seppur necessaria, è insufficiente. Essa perde anche progressivamente vitalità laddove ci sono un appiattimento del pensiero politico, un’incapacità di affrontare le grandi sfide dell’era planetaria, corruzione e disinteresse dei cittadini. Bisognerebbe concepire e proporre le modalità di una democrazia partecipativa. Sarebbe utile favorire, al tempo stesso, un risveglio dei cittadini che non può essere slegato da una rigenerazione del pensiero politico. Sarebbe ugualmente utile moltiplicare le università popolari, che offrirebbero ai cittadini un apprendistato nelle scienze politiche, sociologiche, economiche e giuridiche. Un consiglio delle Età potrebbe valutare le condizioni di vita dei giovani e quelle degli anziani e formulare delle proposte. Su scala locale, possiamo trarre lezioni da diverse esperienze, come per esempio quella di Porto Alegre. È auspicabile istituire in Francia dei consigli comunali di cittadini, che terrebbero dibattiti pubblici su progetti controversi. Il consiglio comunale può prendere la forma di un giurì di cittadini con l’audizione di eletti ed esperti su progetti d’interesse o di pericolo pubblico. La democrazia partecipativa permette di discutere, a livello locale, problemi d’interesse nazionale, o addirittura planetario.  L’ecopolitica. L’ecopolitica, o politica ecologica, è ormai di primaria necessità; la riconversione di una parte delle fabbriche aeronautiche e automobilistiche in realizzazioni utili al riassetto delle ferrovie. Tutto ciò potrebbe essere intrapreso sia attraverso un new deal di grandi opere che rilancerebbe l’attività economica e l’impiego, sia attraverso lo sviluppo di un consumo consapevole e selettivo, oltre alle varie misure elencate nelle altre sezioni di questo capitolo. RIFORMA DEL PENSIERO RIFORMATORE 11 Abbiamo detto che occorreva abbandonare l’idea di una rivoluzione violenta che «farebbe tabula rasa del passato», rovescerebbe una cattiva società per erigerne una buona. Proponiamo una via progressiva, segnata da una nuova politica radicata nella cultura umanista del passato e nella rivitalizzazione dei principi della Repubblica: Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. Tale complementarità comporta degli antagonismi che un pensiero politico deve continuamente gestire dando la priorità ora all’uno ora all’altro di questi termini. Infatti, la Libertà da sola tende a distruggere l’Uguaglianza, l’Uguaglianza imposta tende a distruggere la Libertà, la Fratellanza può solo essere stimolata dalla Politica e dipende dai cittadini. Ma essa contribuisce all’Uguaglianza e alla Libertà. L’unione di questi tre termini fornisce la base repubblicana e democratica per una politica che attinga alle seguenti tradizioni: la tradizione socialista, tesa al miglioramento della società attraverso lo sviluppo delle solidarietà e il rifiuto del dominio del profitto; la tradizione ecologista, la cui importanza emersa nel 1970 deve nutrire qualsiasi politica. Il nuovo pensiero politico dovrebbe rigenerare e tenere collegate queste fonti. Non può esserci progresso senza un ritorno alle fonti. La megacrisi che stiamo attraversando ha ridestato il bisogno di un nuovo pensiero politico. Se Marx è esemplare per la ricerca di un pensiero politico fondato congiuntamente su una teoria della conoscenza, una visione del mondo, una concezione dell’uomo, una concezione della storia e una concezione della società e dell’economia, sono questi i fondamenti che bisogna ripensare alla luce delle esperienze scientifiche e storiche del XX e del XXI secolo. Una simile riforma del pensiero politico comporta una riforma del pensiero stesso; come abbiamo visto nelle lezioni del primo capitolo, le menti obbediscono inconsciamente a un principio di conoscenza che riduce il complesso al semplice, il tutto alle sue componenti, separa ciò che è inseparabile o connette per interazioni.  Riforme sociali. RIDUZIONE DELLE DISUGUAGLIANZE La nostra società soffre di un aumento delle disuguaglianze. Queste possono essere ridotte attraverso la tassazione delle speculazioni borsistiche, l’aumento del prelievo fiscale sugli alti redditi, il ricorso all’imposta sul patrimonio, così come all’abbassamento dell’imposta sui bassi redditi. Le disuguaglianze possono essere ridotte anche attraverso la rivalorizzazione di mestieri disprezzati che hanno mostrato il loro carattere essenziale durante il confinamento: camionisti, manovali, infermieri, cassieri, centralinisti. Attraverso il ristabilimento o il rafforzamento delle assicurazioni in caso di malattia, infortunio, disoccupazione. POLITICA SOLIDALE La solidarietà dello Stato assistenziale, con le sue sicurezze e assicurazioni, è insufficiente, perché anonima e standardizzata. C’è bisogno di una solidarietà concreta e vissuta, da persona a persona, da gruppi a persona, da persona a gruppi. C’è in ciascuno e in tutti un potenziale di solidarietà,6 che si rivela in circostanze eccezionali come quelle che abbiamo appena vissuto; e in una minoranza c’è una costante pulsione altruistica. Non si tratta quindi di promulgare la solidarietà, ma di liberare la forza inutilizzata della disponibilità e favorire le azioni di solidarietà. All’epoca di François Mitterrand, abbiamo suggerito di sperimentare delle «case di solidarietà», che potrebbero diffondersi nelle città e nei quartieri. Al tempo stesso, la nuova Via favorirebbe l’economia sociale e solidale, che proseguirebbe in altre forme l’economia mutualistica: sosterrebbe e promuoverebbe le iniziative basate su solidarietà locali; istituirebbe cooperative e associazioni senza fini di lucro per assicurare servizi sociali di zona. La solidarietà verso i più sfortunati, i diseredati, i poveri dovrebbe essere, infine, rivolta anche agli immigrati. Ci sono stati 270 milioni di migranti nel mondo nel 2019, di cui 82 milioni rifugiati in Europa, che fuggivano da conflitti, da carestie e miseria. La popolazione immigrata non scalza affatto i lavoratori autoctoni, che in genere rifiutano mestieri umilianti che gli immigrati invece accettano spesso in condizioni di sfruttamento bestiale. Oggi, in Francia, i sans-papiers sono indispensabili in molti settori, come per esempio la ristorazione. Inoltre, gli immigrati in Francia, che si sono concretamente integrati in due o tre generazioni, hanno alimentato demograficamente la nazione e apportato una ricchezza di diversità culturali. Tuttavia, il persistere di sentimenti di superiorità razzisti e 12 Sarebbe auspicabile che l’ONU promulgasse una dichiarazione dei diritti dei migranti e indicasse la possibilità, da parte del Tribunale internazionale, di sanzionare ogni violazione di tali diritti, come la violenza, la reclusione concentrazionaria, l’espulsione senza garanzia di uno straniero immigrato. Il riscaldamento della Siberia e del Canada potrebbe offrire terre d’asilo e di lavoro ai migranti scacciati dal Sud a causa dello stesso fenomeno, e renderebbe quelle terre fertili e prospere – ciò, ovviamente, senza ledere i diritti degli indigeni. Su tutti i continenti, tranne l’Europa, esiste una miriade di popoli arcaici inglobati in nazioni moderne; ciascuno con una forte identità, una sua lingua, suoi miti e sue credenze; e organizzati in società composte di centinaia di individui. Le società dei cacciatori e raccoglitori sono le ultime testimonianze della prima umanità di Homo sapiens, sparsasi sul globo in cinquantamila anni di preistoria, e che le società storiche, comparse tra i sei e gli otto millenni fa, dotate di Stato, di esercito, agricoltura, città, disponendo di potenti mezzi tecnici, hanno annientato nel corso della loro espansione. Un genocidio che ha avuto una profonda accelerazione, nel momento in cui è diventato planetario. E di quell’umanità, su remote montagne, in deserti, in foreste impenetrabili, non restano che tracce, destinate a estinzione certa. Si tratta quindi di micronazioni, piccoli popoli, piccole etnie, disperse e senza difese. Come da noi, che abbiamo altri miti e altre illusioni, il pensiero simbolico-mitico-magico non si confonde con il pensiero razionale-tecnico-pratico ma si integra con esso. C’è in questi popoli originari una ricchezza inaudita di saperi e di saper fare che gli etnofarmacologi iniziano solo ora a esplorare. I loro sciamani o le loro streghe dispongono di capacità psichiche che noi non abbiamo potuto sviluppare. Queste società sono modelli di solidarietà comunitaria. Se non c’è un individualismo come lo intendiamo noi, ogni individuo dispone pienamente dell’uso delle proprie doti sensoriali: la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto. L’uomo incide i suoi oggetti, fabbrica le sue armi e i suoi proiettili, sa trovare le tracce della cacciagione, sa catturarla, ucciderla, costruisce la propria casa, modella i giocattoli per i suoi bambini. La donna si occupa dei figli, raccoglie i vegetali per l’alimentazione, o il foraggio, cucina, fabbrica terraglie, tessuti e gioielli. Nel nostro mondo occidentalizzato, lo sviluppo delle tecniche e delle specializzazioni ha atrofizzato le nostre attitudini sensoriali e inibito le nostre predisposizioni a una pluralità di competenze, che si ritrovano solo negli appassionati di bricolage. Le enormi acquisizioni della nostra civiltà non devono farci ignorare le qualità di solidarietà e comunità perdute, né occultare le nostre barbarie, che perseguono l’annientamento culturale e fisico di coloro che sono simili ai nostri più antichi padri, madri, fratelli e sorelle. Coloro che sono sradicati con forza dalla loro cultura si lasciano morire, come gli alacaluf della Terra del Fuoco o come quel popolo amazzonico di cui i missionari distrussero gli oggetti sacri e che costrinsero a vestirsi e a adorare una croce. I popoli indigeni sopravvissuti del Canada e degli Stati Uniti, confederandosi e resistendo, hanno potuto salvare almeno la loro identità e una parte della loro cultura. 4. Una politica della Terra. Abbiamo visto sui nostri schermi, durante il confinamento, le polveri sottili dissolversi, le acque diventare limpide e l’aria pulita, gli alveari tornare a riempirsi di miele, gli animali riprendere i loro diritti: in una parola, la rinascita della natura. Questa è la conferma che non si può più ritornare allo sviluppo tecnoeconomico senza limiti che degradava progressivamente la biosfera. È la conferma sempre più evidente della necessità ecologica e umana di eliminare rapidamente tutte le energie inquinanti a favore di energie eoliche, solari, marine, geotermiche e di ridurre progressivamente le fonti e le cause dell’inquinamento e della tossicità urbana, rurale, acquatica, marina. È necessario pensare a una politica mondiale dell’acqua. L’uso massiccio dell’acqua nell’agricoltura industrializzata, l’inquinamento delle falde freatiche a causa dei liquami scaricati dalle industrie, l’inquinamento delle spiagge, dei fiumi, dei laghi, dei mari sono l’effetto di immondizie e rifiuti tossici delle città e delle industrie, e trasformano il bene più comune in bene raro. La commercializzazione dell’acqua trasforma il bene più gratuito in un bene che si paga. Le siccità endemiche e il riscaldamento climatico fanno dell’acqua un bene capitale per le nazioni. La scarsità d’acqua nelle regioni di tensioni e conflitti come il Medio Oriente ne fa un bene geopolitico. Possiamo riprendere e generalizzare su scala planetaria le nostre proposizioni di ecopolitica enunciate rispetto al quadro nazionale francese. 15 Questa gigantesca riconversione non dovrebbe colpire brutalmente gli Stati che traggono le loro principali risorse dal petrolio, ma dovrebbe offrire loro gli aiuti necessari per impiantare le energie solari nelle zone secche, e le energie idrauliche nelle zone umide. Ogni Stato nazionale deve promuovere la raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti da parte dei privati e delle imprese specializzate, invece di distruggerli con gli inceneritori e lasciare soprattutto che inquinino il territorio. Si dovrebbe sviluppare una politica mondiale di bonifica degli oceani, dei mari e dei fiumi che attraversano molte nazioni, così come delle immense distese di terre inquinate e rese sterili dall’agricoltura industriale. Infine, è indispensabile riprendere e intensificare lo sforzo appena avviato dopo l’accordo di Parigi, con un accordo generale promosso dall’ONU attorno a un grande documento politico della Terra, che ogni Stato dovrebbe far proprio e applicare sul suo territorio. Bisogna fare in modo che si ricostituisca una biodiversità planetaria, animale, vegetale e agricola. Ritroviamo qui i principi della necessaria regressione dell’agricoltura e dell’allevamento industriali e della necessaria progressione dell’agricoltura contadina e dell’agroecologia. La presa di coscienza della comunità del destino terrestre tra la Natura vivente e l’avventura umana deve diventare il principale evento del nostro tempo: dobbiamo sentirci solidali con questo pianeta alla cui esistenza la nostra vita è legata; dobbiamo non solo governarlo ma anche averne cura: dobbiamo riconoscere la nostra filiazione biologica e ontologica; è il cordone ombelicale che va riannodato. Viviamo un paradosso: più la trasformazione diventa indispensabile più diventa difficile. Il che vuol dire che ha bisogno di perseveranza e coraggio. 5. Per un umanesimo rigenerato. L’umanesimo rigenerato rifiuta l’umanesimo della quasi divinizzazione dell’uomo, teso alla conquista e al dominio della natura. Riconosce la complessità umana, fatta di contraddizioni. L’umanesimo rigenerato riconosce la nostra animalità e il nostro legame ombelicale con la natura, ma riconosce anche la nostra specificità spirituale e culturale. Riconosce la nostra fragilità, la nostra instabilità, i nostri deliri, l’ignominia delle uccisioni, delle torture, dello schiavismo, le lucidità e gli accecamenti del pensiero, la sublimità dei capolavori di tutte le arti, le opere prodigiose della tecnica e le distruzioni operate dai mezzi di questa stessa tecnica. L’uomo è al tempo stesso sapiens e demens, faber e mythologicus, oeconomicus e ludens, in altri termini Homo complexus. Pascal l’ha espresso in modo decisivo: «Che chimera è dunque l’uomo, che novità, che mostro, che caos, che soggetto di contraddizione, che prodigio! Giudice di tutto, vermiciattolo della terra, depositario del vero, cloaca di incertezza e di errore, gloria e rifiuto dell’universo! Chi sbroglierà questo groviglio?». L’umanesimo rigenerato, riconoscendo l’Homo complexus, comprende la necessità di unire ragione e passione, e che l’affettività umana può condurre all’amore o all’odio, al coraggio o alla paura; che la ragione sola e glaciale è inumana; che la tecnica può portare il meglio e il peggio; che la mente umana non cesserà di produrre miti di cui diventa schiava; che la gratuità, il gioco, le passioni fanno sì che l’interesse economico, per quanto ipertrofico nella nostra civiltà, non la fa mai del tutto da padrone. Questo vuol dire che qualsiasi arte politica, così come qualsiasi speranza umanistica, deve tener conto delle ambiguità, delle instabilità e della versatilità umane. Non dobbiamo pensare di trasformare l’uomo in un essere perfetto o quasi divino. Ma possiamo tentare di sviluppare ciò che di meglio c’è in lui, ossia la sua facoltà di essere responsabile e solidale. Solidarietà e responsabilità sono imperativi non solo politici e sociali, ma anche personali. Dovremmo quindi comprendere quanto la riforma della società e la riforma della persona siano inseparabili. Gandhi ha scritto: «Sii tu il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo». Ora, molti di noi vivono in una scissione totale tra idee altruistiche e comportamenti egoistici. Come arrivare a un mondo di comprensione, di benevolenza, di solidarietà, se non siamo noi stessi comprensivi, benevoli, solidali? Come costruire un mondo di relazioni umane migliori se si resta egoisti, vanitosi, invidiosi, bugiardi? vivere secondo il bisogno poetico d’amore, di comunione e di incanto estetico. In sintesi, i fini dell’umanesimo devono realizzarsi in ciascuno di noi. Montaigne: «Io stimo tutti gli uomini miei compatrioti». È il riconoscimento degli altri nella loro piena qualità umana. Questo principio dell’identità umana comune non è stato di fatto reso universale: i popoli colonizzati, gli sfruttati, le donne sono stati considerati come sottoumani o esseri infantili, non avendo avuto accesso allo stadio adulto. Di tale principio, dobbiamo fare oggi un principio universale concreto. 16 L’umanesimo rigenerato non si limita a riconoscere l’unità umana, ma collega l’unità con la diversità umana. Tutti gli esseri umani sono simili geneticamente, anatomicamente, fisiologicamente, affettivamente, mentalmente. Tutte le culture sono dotate di un linguaggio avente la stessa struttura, ma ciascuna ha la sua propria lingua. Tutte le culture hanno abitudini, costumi, riti, credenze, musiche, estetiche, ma ognuna ha i suoi. Il secondo carattere dell’umanesimo rigenerato consiste nel promuovere una dialettica costante tra l’Io e il Noi, nel collegare la realizzazione personale con l’integrazione in una comunità, nel cercare le condizioni affinché un Io si realizzi in un Noi, e il Noi possa permettere all’Io di realizzarsi. La base intellettuale dell’umanesimo rigenerato è la ragione sensibile e complessa. Dobbiamo rinunciare alla riduzione della conoscenza e dell’azione al calcolo e dobbiamo ripudiare la ragione gelida che obbedisce incondizionatamente alla logica del terzo escluso. Non solo dobbiamo seguire l’assioma «Nessuna ragione senza passione, nessuna passione senza ragione», ma la nostra ragione deve sempre essere sensibile a tutto ciò che riguarda gli umani. Ma ancora di più: la ragione sensibile deve integrare in sé l’amore. L’amore è la più forte e la più bella delle relazioni intersoggettive che conosciamo. L’amore nell’umanità va oltre le relazioni tra individui, alimenta il mondo delle idee, dà linfa all’idea di verità, che non è niente senza l’amore della verità; esso è l’unico complemento possibile della libertà, senza il quale la libertà diventa distruttiva. L’amore deve essere introdotto, con una relazione stretta e complessa, nel principio di razionalità. Deve costituire una componente della razionalità complessa. L’umanesimo rigenerato rende complesse le nozioni di realismo e utopia. Ci sono due tipi di realismo. Il primo consiste nel credere che il reale presente sia stabile. Esso ignora che il presente è sempre travagliato da forze sotterranee, come nell’immagine della vecchia talpa di cui parla Hegel che, alla fine, smuove un suolo che appariva fermo. Questo realismo crede che l’ordine e l’organizzazione della società e del mondo in cui si trova siano immodificabili. Come diceva Bernard Groethuysen richiamando il realismo di puro e semplice adattamento: «Essere realisti, quale utopia». Il vero realismo sa che il presente è un momento in un divenire. Cerca di intercettare i segnali, sempre inizialmente deboli, che annunciano delle trasformazioni. Così, il realismo politico degli anni Trenta avrebbe dovuto cogliere i segnali provenienti dai laboratori di Fermi e di Joliot sulle possibilità di utilizzo dell’energia atomica. Il realismo del 1972 consisteva nel prendere in considerazione il segnale lanciato dal rapporto Meadows sul degrado della biosfera e nel trarne le conseguenze. Il vero realismo del 2020 non consiste nel ritornare all’apparente normalità di prima, ma nel riformare la politica, lo Stato, la civiltà. Quando la società è in trasformazione, il realismo triviale non vale né può pensare di trasformare questa trasformazione. Come il principio del ritorno alla sovranità sanitaria e le infrazioni a regole giudicate sacrosante: le spese giudicate impossibili quando l’universo ospedaliero le reclamava nei mesi precedenti all’epidemia si sono realizzate come per magia. Tutto quello che veniva dichiarato irrealizzabile è stato realizzato senza indugio. Così come ci sono due realismi, ci sono due utopie. La «cattiva» utopia è quella che vuole eliminare ogni tipo di conflitto e di crisi e realizzare armonia e perfezione. Ora, niente è più mortifero del perfetto. La «buona» utopia è irrealizzabile nel presente, ma dispone di possibilità tecniche o pratiche di realizzazione; per esempio: si potrebbe istituire un ordine internazionale che stabilisca la pace sulla Terra tra le nazioni; si potrebbero sfamare tutti gli abitanti del pianeta. È proprio la buona utopia a ispirare una riforma della globalizzazione, l’abbandono del neoliberismo, il controllo dell’ipercapitalismo. L’utopia del migliore dei mondi deve far posto alla speranza di un mondo migliore. Come ogni grande crisi, come ogni grande sventura collettiva, la nostra crisi planetaria risveglia tale speranza. L’umanesimo deve rigenerare questa grande e perenne aspirazione dell’umanità. Trockij credeva nella rivoluzione permanente; noi dobbiamo praticare la rigenerazione permanente. La vera arte del realismo è strategica, non programmatica. L’ecologia dell’azione13 ci insegna che ogni azione, dal momento in cui entra nell’ambiente che deve modificare, può essere modificata a sua volta dall’ambiente, deviata dal suo fine e può persino sfociare nel contrario delle sue intenzioni. Quanti di coloro che hanno scatenato delle guerre, certi della vittoria, non sono poi finiti in un disastro? Ne risulta che dobbiamo vigilare con estrema cura affinché le nostre azioni non siano sviate dalle loro intenzioni da una reazione estrema e sanguinosa, come è accaduto alle primavere arabe e a tante primavere finite nel sangue. Il realismo considera al tempo stesso il probabile e l’improbabile e prevede la possibilità dell’imprevisto. Esso comporta una strategia in grado di modificarsi secondo le informazioni, i rischi e i contrattempi che sopraggiungono nel corso di un’azione. Il vero realismo supera il cattivo realismo e ignora la cattiva utopia. 17
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