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Riassunto Cammarano, Guazzaloca, Piretti , Storia contemporanea dal XIX al XX secolo, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Esame storia contemporanea, riassunto completo libro.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 30/01/2019

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Scarica Riassunto Cammarano, Guazzaloca, Piretti , Storia contemporanea dal XIX al XX secolo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! CAPITOLO 1 – LE GRANDI PROBLEMAICHE DELL’800 1.1 L’eredità dell’illuminismo e della rivoluzione francese Il settecento fu un secolo contrassegnato da un grande fermento intellettuale che si espresse in una nuova visione del mondo, fiducia nella ragione e nel progresso. Questa corrente con radici in Gran Bretagna si sviluppò successivamente in tutta europa, toccando anche la Francia. Gli intellettuali, chiamati philosophes, avevano una grande responsabilità della ragione, e furono loro a diffondere le verità all’interno della popolazione. La circolazione del sapere fu espressa nelle enciclopedia, massima espressione del sapere, animatrice di questo movimento culturale fu la classe borghese. L’illuminismo rappresentò il mezzo fondamentale con cui smantellare l’ancien regime. Gli esponenti maggiori di tale corrente furono: Voltaire, Montesquieu e Rousseau. Esponenti economici, ricordiamo Adam smith che affermava che il fine ultimo della produzione doveva essere destinata alla sussistenza della popolazione. La diffusione degli ideali illuministi nel corso del '700 si combinò con la cosiddetta Rivoluzione industriale, specialmente in Inghilterra che conobbe la modernizzazione già a metà del XVIII sec. La rivoluzione americana del 1776 condotta nelle 13 colonie inglesi nella costa nord americana contro la madrepatria, non solo portò all'indipendenza delle colonie ma anche alla nascita degli Stati uniti d'america nel 1783; espresse attraverso la Dichiarazione D’indipendenza. Con questa dichiarazione venne rivendicata l’uguaglianza di tutti gli uomini, il diritto di rappresentanza politica e i diritti fondamentali. La ribellione della borghesia contro Luigi XVI e la sua monarchia assoluta si manifestò nel 1789 con l’attacco alla Bastiglia, la prigione-fortezza parigina simbolo a un tempo del potere e della repressione. Questa era l’inizio di una nuova rivoluzione. Nel corso di questa rivoluzione Napoleone Bonaparte guidò l’esercito interno e successivamente condusse anche le truppe della campagna d’Italia. Napoleone Bonaparte fra il 1796 e il primo decennio del XIX secolo, conquistò gran parte del continente europeo, e riuscì a consolidare in Francia una dittatura personale. Nel 1802 egli si autoproclama console a vita e nel 1804 si incorona a parigi imperatore dei francesi. Le sue campagne militari favoriscono il sorgere e il radicarsi delle identità nazionali. Il senso di umiliazione e rivalsa che scaturiva nei popoli sconfitti dagli eserciti napoleonici rafforzò ovunque quel pathos nazionale e patriottico. 1.2 L’Europa dopo Vienna Il congresso convocato a Vienna nell'autunno del 1814 conclusosi nel giugno 1815, dopo la definitiva sconfitta di Napoleone aveva richiamato tutte le grandi potenze europee nella capitale dell'impero asburgico. L’obiettivo era quello di tracciare un nuovo ordine geopolitico dell'Europa, basandosi sui principi di legittimità dinastica e di equilibrio tra le potenze. Venne stabilito di riportare sui troni i vecchi sovrani spodestati da Bonaparte, riconosciuti tali per diritto divino. Venne costruito un sistema di relazioni internazionali all’interno del quale non potesse emergere una potenza in grado di imporsi sulle altre. I veri protagonisti del Congresso furono GB e Russia, anche se un ruolo determinante del congresso fu il ministro degli esteri austriaco: Metternich. L'austria da tale congresso ottenne due territori italiani: Veneto e Lombardia. Gran Bretagna: Isola di malta e controllava già Gibilterra----> controllo del Mediterraneo Nel 1815 lo Zar Alessandro I propose alle altre potenze europee un'alleanza che prese il nome di "santa" perché si richiamava alla sacre scritture, accolsero tale patto: il re di Prussia, l'imperatore d'Austria, mentre rifiutò la GB perché lo riteneva un accordo poco efficace sul piano internazionale e soprattutto lontano dall’ordine costituzionale su cui si reggeva il sistema politico britannico. Di fatto la santa alleanza non produsse risultati concreti ed efficaci. Sempre nel 1815 la GB propose la “quadruplice alleanza” a re di Prussia, GB, Austria e Russia. Questa alleanza doveva servir ad imporre per il futuro, la diplomazia come unico mezzo di risoluzione delle contese tra gli stati. Al termine del congresso di Vienna la cartina geopolitica dell’Europa restaurata era simile a quella che era presente in Europa prima della rivoluzione francese. In Spagna ritornava al trono Ferdinando VII di borbone, che pose fine alla garanzie costituzionali introdotte dalla costituzione di Cadice nel 1812. Granducato di toscana: Ferdinando III asburgo-lorena. Regno di Napoli: divenuto nel 1816 Regno delle due Sicilie ai Borboni. Regno di sardegna: Dinastia dei Savoia. La Francia fu ammessa al congresso nonostante fosse stata la causa di tale ritrovo, grazie a Talleyrand, ottenne che gli fossero garantiti i suoi confini originari. 1.3 Le rivoluzioni del 1848 tra Costituzione, diritti e principio di razionalità Tra il 1848-49 l'Europa fu attraversata da imponenti moti che segnarono la fine dell'assetto politico definito dal congresso di Vienna. Ai principi della Restaurazione si contrappose la volontà della borghesia di avere un ruolo politico attivo nella sfera del governo, e quindi vogliono sostituire il principio assolutistico dell’autorità con quello liberale. In Francia emersero contrasti alimentati da ideali democratici. In Austria e Italia prevalsero le lotte per l'indipendenza, l'unità nazionale e l'istituzione di regimi liberali e costituzionali. Queste rivoluzioni non toccarono Russia, perché l’autocratico regime zarista aveva represso nel sangue la rivolta, e nemmeno la GB, in quanto i governi inglesi avevano già intrapreso la strada del costituzionalismo e delle riforme liberali. I moti furono favoriti anche da una grave crisi economica avvenuta nel 1846 causando profondo malessere sociale. A questa seguì anche una crisi finanziaria, che colpì i paesi in via di industrializzazione. La diffidenza nei confronti della monarchia di Luigi Filippo d'Orleans, fece scaturire l'insurrezione parigina nel 22 febbraio 1848. Di fronte al divieto, posto dal governo di tenere riunioni pubbliche, i cosiddetti "banchetti" per chiedere l'ampliamento del suffragio elettorale, i parigini insorsero costringendo il re alla fuga. Creata una nuova repubblica, Louis Blanc attenuò importanti riforme come la libertà di stampa e di associazione, riduzione della giornata lavorativa, imposta sul reddito. Egli proclamò il diritto al lavoro realizzando un programma di lavoro per coloro che il lavoro non avevano "gli opifici nazionali" destinati a realizzare un vasto piano di opere pubbliche. Proprio questa iniziativa fu alla base di un clima rivoluzionario. Le elezioni dell'assemblea costituente si svolsero il 23 aprile 1848, decretando la vittoria schiacciante dei moderati. La sinistra fu ormai esclusa dal nuovo esecutivo. La seconda repubblica si presenta quindi con un profilo diverso nei confronti della democrazia assembleare. Prova ne fu la costituzione che pur prevedendo il suffragio universale maschile dell’assemblea nazionale e un sistema monocamerale, concedeva al presidente poteri molto ampi, tra cui la titolarità del governo. Il 10 Dicembre fu eletto con il maggiore numero di consensi Luigi Napoleone Bonaparte, nipote di Napoleone I, un successo spiegabile con l’esigenza di stabilità ed ordine, ma anche con il grade prestigio popolare dei Bonaparte. L'eco dei fatti parigini si diffuse rapidamente in tutta Europa. Il 13 marzo una rivolta scoppiata a Vienna costrinse l'imperatore Ferdinando I d'Austria a convocare un assemblea costituente ed allontanare Matternich. Anche il mondo germanico fu attraversato da venti di rivolta. I sovrani della confederazione furono costretti a concedere ordinamenti liberali e il re di Prussia dovette piegarsi alla rivoluzione. Si giunse così nei territori della Confederazione all’elezione a suffragio universale maschile di un’assemblea costituente dove dovevano essere rappresentati tutti gli stati tedeschi; la conferenza ebbe luogo sul Francoforte sul meno, l'assemblea vide l'affermazione di due partiti contrapposti: i "grandi tedeschi" che auspicavano l'unione di tutti i popoli tedeschi sotto la guida dell'Austria ; i "piccoli tedeschi” che intendevano far nascere uno Stato nazionale più piccolo e compatto guidato dalla Prussia. Prevalsero i piccoli tedeschi e nel 1849 venne incoronato Federico Guglielmo IV di Prussia ma egli rifiutò perchè accettare un investitura che veniva direttamente dal popolo avrebbe significato ammettere il principio di sovranità popolare. I moti del 48 fecero successivamente sciogliere l'Assemblea costituente. In Italia, il 12 gennaio 1848, un’insurrezione popolare costrinse Ferdinando II di Borbone a concedere una costituzione, questo avvenimento fu seguito dalla concessione di una costituzione generale in tutti i regni d'Italia. Il 17 marzo ci fu una la prima rivendicazione indipendentista, la prima scaturita a venezia sotto il comando di Manin e Tommaseo, liberati dal carcere, il governo austriaco fu costretto alla fuga e venne instaurato un provvisorio governo presieduto da Manin che proclamò la nascita della repubblica di Venezia. A Milano invece contemporaneamente ci furono le cosiddette "5 giornate di Milano". La guida dell'azione rivoluzionaria fu guidata da Cattaneo che fece fuggire il maresciallo austriaco Redetzky nel quadrilatero: Mantova, Verono, Perschiera e Legnano. Il 23 marzo1848 il regno di Sardegna dichiara guerra all'Austria, dichiarazione seguita da Ferdinando II, Leopoldo II e Pio IX. A fine Luglio l'esercito Sabaudo venne sconfitto a Custoza, presso verona. Carlo Alberto dopo aver firmato l'armistizio di Salasco il 9 Agosto ritirò le truppe dal Piemonte. Nel tentativo di recuperare il prestigio perduto Carlo Alberto decise di riaprire le ostilità con l'Austria, nuovamente sconfitto a Novara, abdicò per il figlioVittorio Emanuele II. Pio IX aveva lasciato Roma il 24 novembre 1848, insediandosi un governo provvisorio retto da un triumvirato formato da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Nonostante la resistenza opposta dai volontari guidati da Garibaldi, la repubblica romana venne stroncata da eserciti di un’altra repubblica sorta proprio dalla tempesta rivoluzionaria del 1848, quella francese, che però aveva già trovato il suo equilibrio politico nlle forze moderato-conservatrici. Sull’onda di questa SECONDA RESTAURAZIONE del 1849 non ebbe un notevole cambiamento nelle società ma riuscì a far concedere una costituzione dai sovrani. Vittorio Emanuele accettò di mantenere in vigore lo statuto redatto dal padre Carlo Alberto. 1.4 Stato e società Il 30 % della produzione industriale di tutto il globo era di provenienza britannica, e questo unito al primato dei commerci e al controllo dei mari, dava alla GB un ruolo di primato assoluto. Settori trainanti dell'economia inglese furono il settore tessile e quello dei trasporti. Però l’industrializzazione finiva per portare benefici solo ad una minoranza delle popolazione e la GB fu il primo paese a mostrare i vixi e le virtù del nuovo sistema capitalistico. L'anno successivo fu l'inglese Wollstonecraft con la sua "vindication of the rights of woman "dove rivendicava la parità in piano assoluto, in cui le donne sarebbero potute diventare vere compagna per l’uomo. In America, nel 1848 le femminiuste americane, riunite a Senaca Fellas( new york ) queste donne redassero " the declaration of sentiments" il cui preambolo richiamava la costituzione americana del 1776 accennando anche l'abolizione della schiavitù afro americana. Nel 1863 la schiavitù dei neri fu abolita. In Europa il movimento suffragista si presentava inizialmente molto meno strutturato di quello americano ed emergeva in maniera più saltuaria. Solamente a partire dalla seconda metà del XIX secolo le associazioni femministe cominciarono a destrutturarsi i vincoli familiari tradizionali e si venne delineato gradualmente un nuovo panorama di rapporti sociali. A metà 800 le femministe sia americane che europee, si resero conto che la conquista del diritto di voto non sarebbe stata sufficiente per garantire alle donne la piena autonomia e realizzazione individuale. Oltre ai diritti politici, quindi, le battaglie femministe cominciarono a comprendere tutti quegli aspetti, come il diritto all’istruzione e al mondo del lavoro, che dovevano mettere fine a qualsiasi vincolo di subordinazione nei confronti dell’uomo. La vera accelerazione per i diritti delle donne si ebbe solo alla fine dell’800. Le richieste delle donne acquisirono un carattere più compiuto e generale, spaziando dall’autonomia nella sfera sessuale a quella della realizzazione personale. Furono in particolare i movimenti anglosassoni dell’inizio del XX secolo a mettere in moto un meccanismo che con il suo massiccio impiego di manodopera femminile nell’industria bellica al posto degli uomini inviati al fronte, portò in molti paesi alla concessione del diritto di voto alle donne dopo la prima GM. In GB questo avvenne nel 1918, mentre in Austria, Germania, Paesi Bassi, USA, avvenne tra 1919 e 1920. Si può affermare che se nel periodo tra le 2 guerre il movimento suffragista e femminista ebbe una contrazione, la lunga battaglia delle femministe tra XIX e XX secolo non andò del tutto persa, infatti oltre al diritto di voto, le donne ottennero alcuni signiicativi miglioramenti nel campo delle politiche essenziali ecc. 1.7 Dalla politica come decisione alla politica come mediazione Nell’epoca degli stati assoluti europei, il sovrano era titolare esclusivo del potere politico, non doveva cercare una legittimazione al proprio potere in quanto si riteneva che egli derivasse direttamente dalla volontà divina; oltre questo non esisteva una società civile come soggetto autonomo con il quale lo stato dovesse confrontarsi. L'azione del sovrano si poneva sopra alla leggi e la produzione del diritto dipendeva da lui. In questo contesto il governo si identificava con il re e con i suoi ministri collaboratori. Per tutta la durata dell’ancien regime, rimase invariato il rapporto tra governo e sovrano. I ministri dovevano godere della fiducia del re, e solo egli poteva nominarli e revocarli a suo piacimento. I moti del 48 comportano una radicale trasformazione non solo rapporto fra sovrano e l'istituto governativo ma anche nel modo di intendere e formulare processi di decisione politica. Tutto ciò trasforma la figura del cittadino come centro della società. In GB i protagonisti della glorius revolution 1688-89 rivendicavano i vecchi diritti e la antiche libertà, vollero mettere il parlamento al centro del sistema: luogo eletto dove il sovrano, la nobiltà e la borghesia interagivano per la gestione dello spazio politico. Quella rivoluzione intendeva infatti difendere la tradizione storica dell’organizzazione del potere che, nel corso dei secoli, aveva visto affermarsi presso la società inglese il riconoscimento dei diritti e delle libertà. La formula del king in parliament faceva sì che il sovrano diventa il custode e l'interprete della tradizione politica britannica, nonché titolare unico della decisione politica. Il king in parliament poneva anche dei vincoli al sovrano ovvero quando il sovrano si fosse rifiutato di sottoporvi sarebbe stato privato dei suoi poteri, la decisione politica diventava frutto di discussione e interazione all'interno dei vari gruppi. Il principio della divisione dei poteri venne teorizzato da Montesquieu. La nascita del costituzionalismo parlamentare portò anche alla definizione del parlamento non più solo come organo che doveva limitare il potere del re, ma anche come luogo in cui la decisione politica doveva scaturire dalla mediazione fra le diverse parti e i diversi interessi. La decisione politica diventava quindi frutto della discussione e della mediazione fra i gruppi differenti in parlamento, i quali a loro volta era rappresentanti degli interessi e dei gruppi presenti nella società civile. Mentre quindi negli stati dell’ancien regime il potere del sovrano era assoluti ed illimitato, le trasformazioni dell’800 cambiarono radicalmente il modo di gestire e organizzare lo spazio pubblico. Lo stato liberale entrò in crisi proprio quando non riuscì più a garantire l'omogenità politica dei rappresentanti e di conseguenza ad escludere dalle istituzione il conflitto vero e proprio. CAPITOLO 2 – LE TRASFORMAZIONI DELL’EUROPA 2.1 L’Inghilterra vittoriana e la trasformazione del sistema politico negli anni di Gladstone e Disraeli Durante l’800 gli stati europei guardarono al sistema politico-istituzionale della GB come ad un vero e proprio modello. Dal punto di vista istituzionale, il potere legislativo era tenuto da due camere: una elettiva, la Camera dei Comuni (davano stabilità e continuità), che riuniva i rappresentati delle diverse comunità e l'altra, la Camera dei Lord (garanti dell'efficacienza e della funzionalità del sistema) a cui avevano accesso i membri dell'aristocrazia tramandavano il titolo per via ereditaria e nomina regia. I due partiti storici erano i Whigs e i Tories, conservatore e liberale. Questo sistema si fondava su un’estensione limitata del suffragio e la camera elettiva era espressione solo delle classi medio- alte. La legge del 1832 definita FIRST REFORM ACT: aveva garantito il diritto di voto ad 1 maschio su 5. Nel 1867 viene emanata il SECOND REFORM ACT: approvata dal governo conservatore di DISRLAELI che consentiva a tutti coloro che pagavano un affitto libertà di voto, maggioritario a turno unico. A partire dagli anni 70 dell’800 la regina Vittoria vera e propria figura di riferimento regnò dal 1837 al 1901. Lei era la madre della nazione, custode della tradizione e creatrice di una nuova monarchia popolare in sintonia con i sentimenti e la cultura delle classi borghesi. La GB ebbe una crescita economica grazie all’ampliamento dei commerci e alla massiccia industrializzazione, con una rete ferroviaria sviluppata, la più grande flotta mercantile, l'inghilterra vittoriana era il centro commerciale e finanziario per antonomasia. Dal punto di vista sociale questo sviluppo economico portò al consolidamento della classe media, tanto che venne chiamato “secolo della borghesia”. Questo includeva sia le elites economiche e colte, sia le figure sociali di più basso livello come artigiani. In seguito alle elezioni del 1868, le prime a suffragio allargato, il governo andò al leader liberale GLADSTONE (in carica fino al 1874), abolì il voto palese e instituì L'EDUCATION ACT migliorando il funzionamento dell'istruzione pubblica e ridimensionando il peso della chiesa anglicana nelle scuole. Attento alla questione irlandese formulò nel 1867 IRISH LAND ACT migliorando le condizioni fittizie, nonostante tali riforme il 1874 ben 59 delle circoscrizioni irlandesi elessero rappresentanti del partito nazionalista favorevole ad un parlamento autonomo irlandese. Usciti vittoriosi dalla tornata elettorale del 1874, i conservatori di Disraeli non interruppero la strada delle riforme inaugurata dal partito liberale. Nei 6 anni successivi in governo conservatore varò una serie di riforme sociali riguardanti salute pubblica, la casa, l’istruzione ecc. Disraeli promosse la politica coloniale britannica, in particolare il consolidamento dei processi indiani. Al congresso di berlino del 1878 la GB riuscì ad ottenere la l'isola di cipro considerata dal primo ministro la chiave del mediterraneo. Nel frattempo Gladstne manteneva saldamente il controllo del partito liberale benchè fosse emerso Chamberlain. Gladstone giocò la carta dell’opposizione frontale alla politica etera di Disraeli accusandola di essere avventata e arrogante e in contrasto con i sentimenti morali e religiosi del popolo inglese. Nel 1882 avviò l'occupazione dell'Egitto sotto l'impero ottomano ma che per l'importanza del Canale di suez era sotto al controllo francese ed inglese, in politica interna promosse nel 1884 il THIRD REFORM ACT: legge che faceva salire il numero di elettori estendendo ai lavoratori agricoli la possibilità di votare. Nel Gennaio 1886 promosse l'HOME RULE ovvero creare un autogoverno irlandese (parlamento autonomo a Dublino e uno a Londra per la difesa della politica estera e delle finanze). CHAMBERLAIN guidava gli oppositori all'HOME RULE che creò il partito liberale unionista, il partitolo liberale venne sconfitto nel 1886 lasciando posto al partito conservatore guidato da SALISBURY assicurandosi una lunga egemonia politica che durò fino al 1905. 2.2 La Francia dal secondo impero alla terza repubblica La seconda repubblica francese, nata dai moti del 1848 diventò la repubblica di luigi napoleone bonaparte, candidato dall’area conservatrice, e godeva anche di consensi negli stati più polari della popolazione francese. Nel Luglio 1851 Luigi Napoleone cercò di far approvare dall'Assemblea nazionale un progetto di revisione costituzionale che gli avrebbe permesso di ricandidarsi, nonostante la costituzione stabilisse la non rieleggibilità consecutiva del presidente. Di fronte al rifiuto dell'assemblea Napoleone fece occupare dall'esercito nella notte del 1 Dicembre 1851 la capitale francese e la sede del parlamento, il successivo 21 dicembre chiese ai cittadini francesi si sanzionare con un plebiscito la sua condotta. Il voto a suffragio universale maschile fu una vittoria schiacciante per il presidente che ottenne i pieni poteri per redigere una nuova costituzione.Fu quindi promulgata la carica ai successivi 10 anni confermando il suffragio universale maschile diretto, ma soprattutto toglieva alla camera l'iniziativa legislativa, trasferendola nelle mani del presidente e di una nuova seconda camera un Senato a nomina presidenziale. Il 7 novembre 1852 il nuovo imperatore assumeva il nome di Napoleone III, tutto ciò viene coniato da Marx con il termine BONAPARTISMO, ovvero dittatura velata con elementi di modernità a forme politiche arcaiche e conservatrici (da un lato egli rimise in vigore il suffragio universale maschile, ma dall’altro lato Napoleone voleva recuperare i miti dell' ANCIEN REGIME: mito dell'impero e l'assoluto centralismo decisionale, a metà tra il paternalismo e l'autoritarismo, cercava sostegno tra la borghesia urbana e gli imprenditori, grazie alla crescita delle attività legate al settore bancario e agli imponenti investimenti in opere pubbliche. In politica interna napoleone si sforzò di cercare una sintesi tra impulsi di novità e ritorno agli antichi , con l’obiettivo di impedire il ritorno dei fermenti politici del passato e di legittimare l’impero come solo regime in grado di assicurare pace e prosperità. In politica estera invece il suo punto di riferimento era quello di affermare lo status di Parigi come massima potenza continentale. La prima occasione per applicare questo protagonismo in campo internazionale fu quello di far riesplodere la QUESTIONE D'ORIENTE O GUERRA DI CRIMEA: tentativo russo di espandersi nel Mar Nero e nei Balcani sfruttando la crisi dell'impero Ottomano, Napoleone III, interessato a stabile un'area di influenza francese nel Mediterraneo, non esitò a scendere in campo alleandosi con la GB. Nel 1854 iniziò l'assedio della fortezza russa di Sebastopoli da parte dell'esercito angli-francese al quale dopo l'accordo tra il regno Sabaudo e la francia, si aggiunsero anche le truppe piemontesi. Dopo la caduta di Sebastopoli, la Conferenza di pace di Parigi del Febbraio 1856 sancì il fallimento delle pretese egemoniache russe sul Mar Nero. La sconfitta fu ancora più umiliante per la Russia perchè l'Austria non era intervenuta in suo soccorso nonostante avesse sancito dei patti e l'aiuto decisivo di San Pietroburgo che aveva assicurato nel 1849. La francia siglò nel 1858 gli accordi di PLOMBIERES con il regno di Sardegna ( Camillo Benso conte di Cavour) stabilendo che nel caso di un conflitto con Vienna , la Francia in cambio del suo aiuto avrebbe ricevuto Nizza e la Savoia oltre ad assicurarsi il controllo dell'italia centrale. Napoleone III decise di ritirarsi dopo le pesanti sconfitte dell'esercito austiaco firmando a Villafranca l'armistizio il 11 LUGLIO 1859. Nel 1869, modificò la costituzione, la nuova forma istituzionale abbandonava la struttura accentrata dell''impero e, con l'introduzione del principio di responsabilità ministeriale verso il parlamento, riproponeva gli elementi propri di un sistema rappresentativo: fu la fase del cosiddetto IMPERO LIBERALE. Le pretese per uno scontro con la prussia arrivarono per la successione al trono di Spagna, nel 1869, la casata dei Borboni fu dichiarata caduta e la regina Isabella II fu costretta ad abdicare. Tra le possibili candidature al trono risultava LEOPOLD HOHENZOLLERN appartenente alla casata del re di Prussia. Napoleone si affrettò a chiedere il ritiro alla casata tedesca e la risposta negativa resa pubblica da OTTO VON BISMARCK, indusse l'imperatore francese a dichiarare guerra alla Prussia il 19 Luglio 1870. La guerra si dimostrò rovinosa per l'esercito francese il 1 Settembre 1870 con metà esercito assediato a METZ e l'altra metà sconfitto a SEDAN, la Francia fu costretta ad arrendersi. Parigi cinta d'assedio venne proclamata la REPUBBLICA e creato un governo provvisorio di difesa nazionale. Il governo provvisorio chiese l'armistizio che venne firmato nel Gennaio del 1871, conosciuta come la PACE DI FRANCOFORTE siglata il 10 Maggio 1871, tale pace prevedeva un ammontare economico e la perdita di due regioni francesi: ALSAZIA E LORENA. Alla guida del governo fu chiamato ADOLPHE THIERS ( ultramoderato) all'entrata di Bismarck nella capitale il popolo parigino dopo aver creato una GUARDIA NAZIONALE provedette a difendere la città. (consiglio della comune indetto da thiers il 28 marzo 1871) La nuova repubblica francese nasceva con una marcata ipoteca conservatrice, c'era un grande desiderio di rivincita nei confronti della germania ( revanchismo) e l'aspirazione di riformare la forma istituzionale monarchica. La ripresa economica fu abbastanza rapida, ma il processo di stabilizzazione politica fu lento e travagliato. Nel 1873 ci fu l’elezione alla presidenza del generale MAC MAHON, che voleva una restaurazione monarchica; potere esecutivo di sette anni, cercava di rinstaurare una monarchia, si dimise il 30 Gennaio 1879 per essersi visto negare dal Senato un decreto di scioglimento delle camere. La Francia passò quasi completamente nelle mani dei repubblicani. Essi si affrettarono a diffondere la loro cultura e i loro simboli. Il 14 giugno (giorno della presa della bastiglia) diventò giorno di festa nazionale. Gli anni tra 1879 e 1885 furono il periodo di grande fioritura della legislazione repubblicana. I repubblicani riuscirono ad ammodernare importanti settori della vita pubblica francese. Protagonista ne fu Boulanger che dal 1886 era ministro della guerra. I suoi primi atti furono volti a modernizzare le strutture dell’esercito e propose anche lui come simbolo il desiderio di rivincita nei confronti della germania. Egli aveva un grande sostegno di uno schieramento ampio e trasversale e si lanciò in politica riportando la vittoria in diverse elezioni. Nel 1889 Boulanger fu dichiarato ineleggibile dal momento in cui il senato lo aveva condannato in contumacia con l’accusa di attentato alla sicurezza della repubblica. Le elezioni dell’autunno 1889 decretarono la vittoria dello schieramento repubblicano di centro e una crescita della sinistra socialista. 2.3 La Germania: la costruzione dell’Impero e le sue fasi Durante la prima metà dell 800 gli stati della confederazione avevano concentrato la loro attenzione sul potenziamento dell’economia. Sul piano politico, i tentativi di realizzare il sogno dell’unificazione conobbero due momenti di particolare intensità: i moti del 1848 (sembrano portare verso la costruzione di uno stato “piccolo tedesco” con l’esclusione dell’austria e degli asburgo); successivamente nel 1850 fu il re di Prussia FEDERICO GUGLIELMO IV a cercare di promuovere l'unificazione mediante il libero accordo tra alcuni stati tedeschi. Tale progetto mise in allarme Austria e Russia che imposero a Federico Guglielmo IV attraverso la DICHIARAZIONE DI OLMUTZ la fedeltà alla confederazione creata nel 1815. Alla morte del sovrano nel 1861 salì sul trono di Prussia GUGLIELMO I, nel 1862 dichiarò primo ministro Otto Von Bismarck che sciolse subito le camere e si occupò delle spese di bilancio. A suo avviso di fronte ad un conflitto tra re e parlamento doveva prevalere sempre la decisione della corona. Tra il 1864 e il 1871 Bismarck portò avanti tre grandi campagne militari al cui termine si realizzò l'unificazione della germania sotto l'egida del militarismo prussiano. Nel 1864 Bismarck mosse guerra all'Austria per dirimere la contesa sul controllo dei ducati stessi. Precedentemente Bismarck aveva stretto un'alleanza con l'Italia e si era garantito la neutralità di Francia e Russia. L’austria poteva contare solo sull’alleanza di alcuni stati della confederazione. La guerra iniziò nel 1866 e l'esercito prussiano sconfisse rapidamente quello austriaco nella battaglia di SADOWA. NAZIONALE. La situazione sembrò fermarsi con la firma nel 1864 della Convenzione secondo la quale l’italia si impegnava a restare nei suoi confini, rinunciando al sogno di Roma capitale. Il governo però trasferì la capitale da Torin a Firenze. Poco dopo, la guerra scoppiata nel 1866 tra la Prussia e l'Austria offrì all'Italia (alleata con la Prussia) la possibilità di inglobare i territori sotto la dominazione austriaca. Alleatasi con la Prussia, nonostante il bilancio alquanto deludente ( italiani sconfitti a custoza), l'Italia potè tuttavia partecipare alla conferenza di vienna nel 1866, dove grazie alla vittoria prussiana l'Italia ottenne la cessione del Veneto. Assai più complessa si profilava la “questione romana”. La prospettiva dell’annessione di Roma al regno divenne più concreta dopo che la sconfitta di napoleone III nella guerra franco-prussiana del 1870 fece venir meno l’accordo firmato tra il governo italiano e la Francia. A questo punto la classe dirigente italiana si sentì libera di usare l’opzione militare. Il 20 Settembre 1870 le truppe italiane, dopo aver aperto una breccia nella cinta muraria di porta pia, entrarono a Roma proclamandola capitale d'Italia. Per definire i rapporti con la Santa Sede il parlamento varò la LEGGE DELLE GUARANTIGIE: il regno d'Italia riconosceva al pontefice la massima autonomia nello svolgimento del suo magistero spirituale in linea con il principio teorizzato da Cavour " libera chiesa in libero stato", e si impegnava a fornire al pontefice una dotazione annua per il mantenimento della corte papale. Nel 1874 Pio IX arrivò a formula esplicitamente il divieto per tutti i cattolici di partecipare alla vita politica con il cosiddetto NON EXPEDICT. All’interno del mondo cattolico si delineano 2 correnti: 1. Il transigentismo: cercava di trovare una conciliazione tra lo stato italiano e la chiesa; 2 l’intransigentismo che si dotò di un’organizzazione (l’Opera dei Congressi) che fungeva da centro di coordinamento delle varie associazioni cattoliche presenti sul territorio e si manteneva su posizioni di rigida opposizione verso il liberalismo laico. Consolidata l’opera di unificazione nazionale e raggiunto il pareggio di bilancio, la destra cominciò a mostrare segni di divisione interna. Vittorio Emanuele II affidò l’incarico di formare il nuovo esecutivo al leader della sinistra storica Depretis. Il mutamento dell’indirizzo politico venne confermato dalla netta vittoria elettorale ottenuta dalla sinistra. Così nel 1876 giungeva al potere una classe nuova ad esperienze di governo. Nel 1877 la LEGGE COPPINO rese l'istruzione pubblica obbligatoria e gratuita fino al compimento del primo biennio elementare. Nel 1882 venne adottata una nuova legge elettorale che oltre ad abbassare da 25 a 21 anni il limite di età per gli elettori, si proponeva di cambiare la logica stessa di accesso al voto. In più si volle introdurre come primo criterio la capacità, legata all’alfabetizzazione e vincolata alla frequentazione del biennio elementare. Fu modificato anche il sistema elettorale, sostituendo il collegio uninominale con collegi plurinominali. Dal punto di vista FINANZIARIO la sinistra cambiò rotta rispetto alla destra. Infatti fu notevole l’aumento della spesa pubblica e l’approccio liberista venne progressivamente abbandonato fino a giungere al protezionismo inserendo dazi doganali all’entrata. In vista alle elezioni del 1882 si cominciarono a vedere i primi segnali di una possibile alleanza tra destra e sinistra. Questo prese forma quando Depretis e Minghetti presentarono alla camera la loro linea politica volta alla formazione di un grande centro in cui sarebbe dovuto convergere tutto lo schieramento liberale. Questa era la politica del TRASFORMISMO: progressivo annullamento tra destra e sinistra, e volontà comune di escludere le forze estreme che contestavano le istituzioni dello stato liberale. Questo accordo sembra ricordare il “connubio” di Cavour. Se in politica interna l’avvio del trasformismo segnò una battuta di arresto alle riforme, in politica estera i governi ancora retti da uomini di sinistra, furono caratterizzati da un forte dinamismo e da una netta discontinuità con il passato. Nel Maggio 1882 Depretis stipulò con Germania e Austra-Ungheria il trattato della TRIPLICE ALLEANZA, un’alleanza difensiva. Questo dimostra la volontà dell’italia di uscire dall’isolamento internazionale in cui si trovava. Il governo depretis avviò anche l’espansione coloniale dell’italia e ci furono anche i primi tentativi di conquista dell’etiopia. Alla morte di depretis nel 1887 fu convocato il ministro degli interni Francesco Crispi, con un passato garibaldino e risorgimentale, con uno stile autoritario, efficace ed accentratore, Crispi mise in atto un vasto piano di riforme in campo amministrativo: fece strutture autonome delle province, un nuovo codice penale, sanità pubblica migliorata, controllo del settore carità e assistenza, fin a quel momento sempre stato in mano alla chiesa. Crispi diede vita ad una politica estera antifrancese e filotedesca. Furono le eccessive spese militari per finanziare la politica coloniale che costrinsero Crispi a dare le dimissioni nel 1891, tra il 1892-93 la guida del governo passò sotto il piemontese GIOVANNI GIOLITTI, liberale e progressista, figura cardine nei 30 successivi della storia italiana. Il governo di Giolitti venne travolto dallo scandalo della banca romana: un grave episodio di speculazioni e affari illeciti che vide coinvolti uomini politici, giornalisti ecc. In quegli anni inoltre l’italia, stava attraversando una fase di forte malessere sociale. Una delle manifestazioni più evidenti di questo malcontento fu il movimento dei fasci siciliani che fra 1892 e 1893 conobbe una diffusione in molte località della sicilia. Si trattava di organizzazioni di lavoratori che davano voce ai grandi disagi e poi estesi nelle zone rurali. Crispi tornato al governo nel 1893 riformò il sistema bancario avviato da Giolitti e avviò un'ampia azione repressiva in Sicilia contro i Fasci siciliani. Nel 1894, riuscì a far approvare al Parlamento un insieme di leggi che limitavano la libertà di stampa, di riunione e di associazione che colpivano direttamente il partito socialista. La sconfitta subita ad Adua per conquistare l'Etiopia nel 1896 portò le dimissioni di Crispi. 2.6 La Spagna: un sistema parlamentare solo apparente Il ritorno al trono nel 1814 di Ferdinando VII di Borbone diede avvio in spagna ad un regime assolutista. I militari erano custodi dell’unità politica spagnola, e sarebbero intervenuti più volte nel corso dell’800 per riportare l’ordine all’interno di un sistema fragile e attraverso profonde fratture. Nel 1830 il re, in assenza di eredi maschi, decise di abolire la legge salica che prevedeva la successione al trono solo per via maschile. Egli volle garantire la successione alla figlia Isabella, ma faceva cadere le aspettative del fratello Carlos di Borbone che sarebbe stato il primo nella linea di discendenza maschile. Contro questo provvedimento si posero la destra spagnola e quelle regioni radicate ad un profondo cattolicesimo. Si delineò quindi tra monarchia e cosiddetti carlisti un’instabile contrapposizione destinata a durare nel tempo e a raggiungere un vero conflitto di legittimazione. Alla morte di Ferdinando e con il regno di Isabella, questi anni furono continui di instabilità causata dal perdurante scontro coi carlisti e soprattutto dal riemergere delle forza liberali. Fu proprio un pronunciamiento da parte di un gruppo di liberali che costrinse nel 1968 a Isabella all’esilio mettendo fine a un sistema profondamente instabile e incapace di dare una risposta chiara ai problemi politici e sociali. In seguito all’esilio di isabella, le Cortes votarono nel 1869 una costituzione di stampo liberale che accettava l'istituzione monarchica pur in assenza di un sovrano. Fu accolta positivamente dalle potenze europee la candidatura di Ferdinando di Savoia, figlio di Emanuele II, che fu incoronato all’inizio del 1871 ma lasciò volontariamente il trono dopo soli 2 anni di fronte ai profondi conflitti interni. L’abdicazione del sovrano portò alla nascita della prima repubblica spagnola, ma anche essa ebbe vita breve. Dopo solo 11 mesi infatti un nuovo colpo di stato dell’esercito fece crollare la repubblica e sancì il ritorno alla monarchia e dei Borbone, con Alfonso XII, figlio di Isabella. In questo momento c’era la volontà di costruire un regime finalmente stabile e duraturo. Alfonso fu aiutato da uomini politici conservatori e leader liberali, e si fecero promotori del nuovo testo costituzionale del 1876. Questa costituzione lasciava nelle mani del sovrano poteri ancora molto ampi, tra cui il potere di conferire e rimuovere il mandato ai capi del governo. Tuttavia si instaurò un sistema che, grazie all’accordo delle principali forze politiche, garantiva un regolare avvicendamento al potere tra conservatori e liberali. Questo meccanismo venne chiamato “turnismo pacifico”. Se il turnismo aveva in qualche modo neutralizzato i conflitti politici più evidenti, rimanevano le incertezze e le contraddizioni di un sistema che stentava ad imboccare la strada della piena modernizzazione politica. Nel 1878 fu abolito il suffragio universale maschile e reintrodotto il criterio del pagamento delle imposte per la definizione del corpo elettorale. La spagna infatti restava un paese politicamente arretrato nel quale le tradizioni gerarchiche di potere non cambiarono lungo tutto l’800. L’aristocrazia terriera conservava il monopolio dell’economia nazionale. Questo favorì la diffusione dell’anarchismo. Accanto all’anarco-individualismo presente nelle regioni rurali, l’anarchismo si radicò anche il alcune aree urbane. In questo clima c’era quindi conflittualità sociale e malessere economico che si combinavano in una miscela esplosiva. Con la minaccia carlista sempre latente ed un’esplosione di violenze anarchiche tra il 1886 e il 1900, la monarchia spagnola entrava nel XX secolo priva di vitalità politica, mentre la sconfitta subita ad opera degli USA nel 1898 ne aveva minato definitivamente il prestigio internazionale. Fu proprio sull’onda di questa sconfitta e del più generale declino del paese che il dirigente conservatore Silvela lanciò un appello per la rigenerazione della politica. Nacque così un movimento rigenerazionista che coinvolse molte forze politiche, tra loro diverse, con l’obiettivo di adeguare il livello della politica spagnola a quello dei principali paesi europei. Però anche questo fu un tentativo destinato al fallimento. 2.7 La Russia: un sistema autocratico La russia fu una delle grandi potenze protagoniste della prima metà dell’800, nonostante il congresso di vienna non le avesse riconosciuto l’ambito sbocco dei mari caldi. Raffigurazione perfetta di un assolutismo reazionario dove tutto il potere era concentrato nelle figura autocratica dello zar, il popolo russo non godeva di nessun diritto civile e politico, i contadini si trovavano ancora nella condizione di schiavi della gleba, quindi privi della libertà personale e venivano comprati e venduti assieme alla terra che coltivavano. La crescita di questa potenza fu relativamente bassa, basandosi su un sistema servile e su una propiretà terriera gestita in modo inadeguato. A questi tratti dispotici la sovranità di NICOLA I dal 1825 al 1855 aggiunse anche una predisposizione all'espansionismo militare che portò la Russia a consolidare la propria presenza in Asia e maggiore pressione nell'area dei Balcani e nel Mediterraneo. L’espansione dell’impero zarista segnò anche l’emergere di potenziali contraddizioni al suo interno, mettendo a dura prova la struttura arcaica di gestione del poter. Questa politica espansionistica mise la Russia contro la GB, desiderosa di mantenere lo status quo sul Mediterraneo. Nel 1854 lo zar mosse guerra all'impero turco, la guerra combattuta in Crimea nel 1854-56 dimostrò ben presto le logiche estranee alla cosiddetta questione d'oriente. Al di là della sconfitta della russia, la guerra di Crimea evidenziò anche tutte le inefficienze amministrative e militari dell’impero zarista, mettendo in discussione il rigido assolutismo e contribuendo all’apertura di una fase di riforme. Il nuovo zar ALESSANDRO II avviò infatti un processo di riforme: Abolizione della servitù della gleba nel 1861. Costoro non potevano diventare liberi finchè non possedevano in proprietà le terre, fu così che attraverso i prestiti della banca i contadini potevano garantirsi prestiti per l'acquisto di pezzamenti di terreni. Furono inoltre riformati il sistema giudiziario, l'esercito e il sistema scolastico, tale slancio riformista potè definirsi concluso ad un fallimentare tentativo di attentato allo zar nel 1866. INTELLIGENCIA: si diffusero tra gli anni 60 e 70, generazione di giovani colti con sentimenti di rigetto per il blocco della società del tempo e dei suoi valori morali che sfociavano in un individualismo anarchico. Questa attidudine si incarnò nello sforzo concreto di accostarsi in modo più diretto ai problemi delle classi subalterne per far loro prendere coscienza delle condizioni in cui versavano e sollecitarle verso la richiesta di riforme e cambiamenti. La parola d’ordine di questi intellettuali era “populismo”. Nel 1881 un anarchico uccise Alessandro II, e ciò portò il nuovo zar ALESSANDRO III a tornare su una rigida autocrazia degli anni passati, e le riforme avviate da Alessandro II vennero bloccate. La politica russa tornò quindi sui vecchi pilastri zaristi: zar apparato repressivo, la chiesa ortodossa e l'esercito vero garante del potere internazionale. 2.8 I paesi scandinavi nell’Ottocento Anche le regioni scandinave risentirono fortemente degli eventi che avevano sconvolto l’europa tra la rivoluzione francese e il congresso di vienna. La Danimarca, alleata con napoleone I, dovette firmare nel 1814 la pace di Kiel con cui le fu sottratto il controllo sulla norvegia. Il congresso di viena stabilì che la svezia cedesse alla russia il granducato di Finlandia; inoltre al re di danimarca dovevano venire concessi i granducati dello schleswig e del’holstein (parte della confederazione germanica). La Norvegia conservò un’ampia autonomia nella politica interna; l’esercito svedese non poteva mantenere truppe stanziali sul territorio norvegese in tempo di pace, il parlamento norvegese fu eletto a suffragio universale maschile e amministrava autonomamente le finanze del paese. In questi anni la norvegia ebbe una grande crescita economica, basata sullo sfruttamento delle risorse naturali, sulla pesca e sul potenziamento della flotta commerciale e un’intensa fase riformatrice sul piano politico: riconosciuti i diritti civili, libertà religiosa, libero esercizio di professioni ed estesi diritti politici. I sentimenti nazionali favorevoli alla piena indipendenza, continuarono a mantenersi vivi per tutto l’800. Nel 1905 il parlamento votò la formale separazione dalla corona svedese. Sul trovo di norvegia fu chiamato Carlo di Danimarca e nel 1913 fu riconosciuto il voto alle donne. La Svezia era già dotata dal 1809 di una costituzione che si basava sulla divisione dei poteri. Negli anni 60 dell’800 il vecchio sistema della rappresentanza per ordini di ceto fu sostituito dall’introduzione di 2 camere elettive. Nel 1889, sull’onda delle tensioni sociali, nacque in svezia il Partito socialdemocratico, che diede attuazione a riforme sociali e politiche tra cui l’estensione al diritto di voto. Nel 1900 fu fondato il partito liberale. Questi 2 furono i principali pilastri del sistema politico svedese. Nel regno di danimarca il clima della restaurazione aveva favorito dopo il 1815 la riaffermazione del potere assoluto del sovrano. In seguito al 1848, il re Federico VII concesse una costituzione che venne però modificata in senso conservatore a metà anni 60. Nella seconda metà dell’800 ci fu un conflitto tra le 2 camere del parlamento danese. Nella camera bassa prevalevano formazioni politiche di stampo progressista, mentre nella camera alta c’era il partito conservatore. Il sovrano si schierà sempre a favore dei conservatori affidando loro il governo. Solo dopo la sconfittta riportata dal partito conservatore nelle elezioni del 1901 il re sii piegò al regime parlamentare e chiamò al governo un rappresentante dell’area liberale. Nel 1915 venne varata una nuova costituzione che prevedeva il suffragio universale per le due camere ed estendeva il voto anche alle donne. 2.9 L’Impero ottomano L'impero ottmano era entrato in fase di declino militare ed economico dopo le sconfitte subite dall'Austria che aveva portato alla firma dei trattati di CARLOWITZ (1699) E PASSOROWITZ ( 1718) e alla perdita di Ungheria, Transilvania e Servia settentrionale. Il primo tentativo di ripristino fu quello di riformare la struttura militare in senso moderno secondo i canoni europei-occidentali, ma tale tentativo fallì producendo sommosse, represse fisicamente nel 1826. La definitiva perdita della Grecia nel 1830, la diffusa corruzione, mancanza di adeguate forze produttive, l'incapacità di evoluzione scientifica e tecnologica, ma soprattutto le spinte centrifughe dei nazionalisti interni ebbero l'effetto di cronicizzare, nel corso dell'Ottocento la crisi dell'impero turco, tanto da fargli attribuire l'appellativo di " malato d'Europa". Il processo di rinnovamento e secolarizzazione inizia nel 1839 con una “riorganizzazione” (tanzimat) e si concluse nel 1876 quando venne concessa una costituzione di stampo liberale e convocato il parlamento. Questa fase riformatrice non fu tuttavia in grado di tenere a freno le pressioni autonomistiche delle diverse etnie. Gran parte del potere continuava ad essere esercitato dal sultano. Incapace di rinnovarsi sul piano politico, amministrativo ed economico, e oppresso dalle rivendicazioni dei diversi nazionalismi interni, l’impero ottomano subì anche una serie di sconfitte militari da parte delle grandi potenze europee che ne accelerarono il declino. I GIOVANI TURCHI, gruppo di giovani intellettuali, provenienti dalle file dell’esercito e dalle élite colte della società turca, promuovevano una trasformazione in senso liberale dell'impero, che tenessero conto dell’esperienza degli stati Questo processo di occidentalizzazione però non snaturò le tradizioni culturali e religiose più profonde del giappone. Lo scintoismo (religione che venerava l’imperatore come discendente degli dei e gli riconosceva formalmente tutti i poteri) riprese vigore negli anni della restaurazione. Concessa nel Febbraio 1889 la Costituzione, si ispirava solo in parte infatti, ai principi del liberalismo europeo e fu il risultato di un'aspra lotto politica che oppose l'oligarchia Meiji alle due formazioni politiche, liberale e progressista. Mentre liberali e progressisti presentarono progetti costituzionali di stampo liberal-democratico, la costituzione del 1889 lasciava ancora molti poteri all’imperatore tra cui la titolarità del potere esecutivo. Al parlamento erano riconosciuti il potere legislativo e quello di approvazione delle leggi di bilancio, ma non esercitava alcun controllo sul governo. Quella in atto nel giappone era una vero e propria “rivoluzione dall’alto” in quanto la rapida modernizzazione si realizzò senza il coinvolgimento degli strati inferiori della società e senza compromettere il potere dei ceti pivilegiati. Grazie ad un anomala sintesi tra anima giapponese e tecnica occidentali, i governi Meiji impressero nel giappone un accelerato sviluppo che, pur mantenendo vecchi stampi autoritari del sistema politico portò alla fin del secolo ad avere un alto tasso di crescita del prodotto nazionale fra i più alti del mondo. Dalla competizione con la cina per il controllo sulla Corea ne scaturì il conflitto sino-giapponese nel 1894-1895 che si concluse con la netta vittoria del Giappone, la Cina si impegnava a pagare una forte indennità e a concedere l'isola di Taiwan. Negli anni successevi la Russia occupò la Manciuria sottrasse progressivamente il controllo della Corea all'influenza del giappone e nel 1998 installò una basa navale a PORT ARTHUR; il Giapponel nel febbraio del 1904 attacò la flotta russa nel Mar Giallo e cinse d'assedio Port Arthur. La guerra si concluse con la vittoria del Giappone e il riconoscimento sulla Corea con la definitiva annessione nel 1910. La vittoria nella guerra con la russia, se da un lato affermò a livello internazionale la potenza del giappone, primo paese asiatico a sconfiggere uno stato europeo, dall’altro acuì le tensioni interne. La guerra infatti, era stata vinta a prezzo di gravi perdite anche interne; inoltre il rapido progresso economico, che aveva portato la produzione industriale a superare quella agricola, aveva accentuato il divario tra città e campagna. Dopo il 1905 si inasprirono i conflitti sociali e si ebbero i primi grandi scioperi nelle industrie e nelle miniere. I governi procedettero alla dura repressione delle proteste. 3.4 Cina: fine di un Impero Anche nel celeste impero la penetrazione dei mercanti stranieri, in particolare inglesi, mise in crisi il secolare equilibrio sociale e politica a metà 800. L’impero cinese venne retto sin dal XVII secolo dalla dinastia QING, che contava oltre 400 milioni di abitanti nel 1846, era di fatto amministrato da un potente casta di burocrati, i mandarini, che provenivano per lo più dalla grande nobiltà terriera ma esercitavano il loro potere, in nome dell'imperatore, per meriti intellettuali. La cina aveva un orgoglioso isolamento rispetto alla penetrazione occidentale, infatti l’unica possibilità offerta dal governo cinese era la possibilità offerta ai mercanti inglesi di operare nel porto di Canton. Il primo scontro avvenne proprio con la GB per il commercio dell'Oppio, che da tanto coltivato in india gli inglesi esportavano clandestinamente. La decisione di fermare questo traffico fu dettata dalla necessità di stroncare le attività dei contrabbandieri delle regioni meridionali, dove già da tempo stava crescendo una latente opposizione al potere centrale. Alla fine del 1839 venne quindi sequestrato e bruciato un intero carico di oppio giunto sulle navi inglesi nel porto di Canton. Gli inglesi ritenendo che fossero stati violati i diritti di navigazione, risposero attaccando militarmente Canton e altri porti della Cina. La guerra si concluse nel 1842 con la schiacciante vittoria inglese che impose alla Cina il TRATTATO DI NANCHINO: gli inglesi ottenevano la cessione ad HONG KONG, l'abrogazione del divieto d'importazione dell'oppio, l'apertura al commercio internazionale di altri 5 porti, tra cui quello di shangai e un risarcimento monetario. Dopo il 1850, le regioni meridionali furono teatro della rivolta di Taiping, una ribellione di contadini, dotati di un potente esercito, che occuparono una vasta porzione della cina meridionale, tra cui Nanchino che divenne la loro capitale. Nel frattempo nel 1856 era scoppiata un'ulteriore guerra tra GB (affiancata dalla francia) e Cina che si concluse nel 1860 con nuove concessioni agli occidentali, tra cui l’apertura di vie fluviali e di acquisire proprietà della Cina a favore degli occidentali. Allo stesso tempo tuttavia, Francia e GB appoggiarono il governo centrale nella repressione dei Taiping. La loro ribellione fu solo il primo atto di una serie di lotte e rivolte contadine represse dal governo centrale, che continuava ad indirizzare tutte le sue misure a sostegno dell’agricoltura solo a beneficio dei ricchi proprietari. Nonostante le sconfitte militari la classe dirigente continuò ad opporre una ferrea resistenza alla penetrazione straniera e avviò un consistente programma di potenziamento dell’industria bellica. Queste misure non impedirono tuttavia alla cina di venire nuovamente sconfitta dal Giappone nella guerra del 1894-95. Da questo momento prese a crescere un movimento xenofobo, che ebbe un chiaro seguito tra i contadini del nord. Questo movimento era guidato da gruppi paramilitari segreti più noto con il nome di BOXER, che vennero sconfitti dalla GB aiutato dal Giappone, l'ennesima sconfitta militare portò ad una crisi l'impero cinese. Si inserì nelle questioni politiche del paese un medico di nome SUN YAT SEN che nel 1905 fondò la LEGA DELL'ALLEANZA GIURATA, si batteva per i tre principi del popolo: indipendenza nazionale, benessere del popolo ( mediante le istituzioni rappresentative), potere del popolo ( mediante riforme agrarie). Sun yat sun cercò l'appoggio in YUAN SHU KAI un militare ultraconservatore, che costrinse sun yat sen ad abdicare in favore della repubblica, successivamente Yuan shu kai instaurò una dittatura 1914-1916. 3.5 Africa: le dinamiche della colonizzazione Anche per l’africa l’800 fu un secolo di cambiamento politici, economici, sociali assai rilevanti. Questi cambiamenti furono prodotti in parte dal progressivo esaurimento della tratta atlantica degli schiavi che avvenne il tempo lungo: tra 1807 e 1888. In questa fase si moltiplicarono anche gli scambi commerciali leciti che univano le società africane tra loro e con un mercato mondiale. Dal punto di vista politico prima dell’intervento diretto delle potenze europee, in africa era presente una notevole varietà di strutture e tipologie istituzionali. Nonostante però la debolezza delle strutture istituzionali, l’africa pre-coloniale si presentava come una realtà abbastanza dinamica. La colonizzazione europea ebbe inizio tra gli anni ottanta del XIX e la prima guerra mondiale, andò quindi ad interagire con società non completamente statiche e ciò rese molto complesso, i processi di adattamento delle popolazioni africane conquistate. La data simbolo all'inizio alla corso della spartizione del continente africano, che le potenze iniziarono alla stregua di TERRA NULLIUS, è il 1884-1885 quando, per dirimere le contese suscitate fra i paesi europei dall'occupazione belga del congo, fu indetta da Bismarck una conferenza internazionale a Berlino, dove si elaborarono criteri di spartizione e controllo dell’Africa da parte delle grandi potenze. Prima del 1885 la penetrazione europea era iniziata nelle regioni nordafricane per iniziativa di Francia e GB. Nel 1881 infatti la francia occupò la Tunisia e l’anno dopo la GB assunse il controllo dell’Egitto. Di fronte quindi alle crescenti tensioni interne e al forte indebitamento dei governi locali con le banche europee, francia e GB optarono per l’occupazione militare. I francesi imposero alla Tunisia un regime di protettorato; in Egitto gli inglesi intervennero nel 1882 dopo che era scoppiata una rivolta antieuropea. La conquista delle regioni settentrionali dell’africa fu conclusa con l’occupazione francese del Marocco nel 1911 e l’occupazione italiana della Libia nel 1912. Il marocco, dopo il 1904 subì una crescente occupazione da parte della Francia che suscitò l’opposizione tedesca; l'imperatore Guglielmo II, oltre a perseguire la tradizionale politica antifrancese, rivendicava un ruolo più attivo e aggressivo nella competizione coloniale. Due gravi crisi nel 1905-06 e nel 1911 rischiarono di far scoppiare un'altra guerra tra Francia e Germania ma si arrivò ad una mediazione: la Francia mantenne il Marocco e alla Germania fu concessa una striscia di territorio nel Congo francese. Proprio l’occupazione francese del Marocco diede impulso alle rivendicazioni dell’italia. La guerra fu più lunga e complessa del previsto ma si concluse con la Pace di Losanna : dopo un anno di duri combattimenti, la pace sanciva la sovranità politica dell'Italia su Tripolitania e Cirenaica lasciando al sultano solo l'autorità religiosa. Meno difficoltosa per le potenze europee fu la conquista dell’africa subsahariana, a causa della debolezza delle organizzazioni politiche locali. A partire dagli anni 70 dell’800 e dopo la conferenza di berlino nel 1885, le potenze europee (soprattutto Francia, GB e Portogallo) accelerarono la loro penetrazione all'interno del continente, per la necessità sempre più pressante di materie prime per le proprie industrie. Di particolare interesse economico era la regione del Congo e il re Leopoldo del Belgio ne intensificò il controllo all’inizio degli anni 80, suscitando l’opposizione di francia e portogallo. Dopo la conferenza di berlino, il re leopoldo riuscì a farsi riconoscere la sovranità personale sul territorio del Congo. Quindi Leopoldo lo ottenne e alla francia andarono i territori sulla riva destra del fiume congo. La GB aveva già strappato alla popolazione bianca locale dei boeri la colonia del Capo, costringendoli ad emigrare fondando nuovi stati del TRANSVAAL 1852 e dell'ORANGE 1854, e aveva notato un rinnovato interesse per la regione dopo che tra gli anni 60 e 80, furono scoperti importanti giacimenti di diamanti e oro. Le 2 repubbliche boere, ormai quasi completamente accerchiate dai possedimenti inglesi, assunsero un atteggiamento sempre più ostile verso inglesi e stranieri. I contrasti si tramutarono in guerra aperta nel 1899, il lungo conflitto vide inizialmente i boeri riportare numerose vittorie, causando una grave crisi alla politica della GB. Alla fine però i boeri vennero sconfitti e nel 1902 dovettero accettare l’imposizione dell’autorità inglese. Dopo un’iniziale dura repressione, la GB concesse a Transvaal e Orange uno statuto di parziale autonomia. Da allora inglesi e boeri avrebbero fondato la loro reciproca collaborazione sullo sfruttamento delle immense risorse del paese. Negli ultimi devenni dell’800 la GB si assicurò anche il controllo sull’isola di Zanzibar, molto importante per le rotte commerciali verso l’oceano indiano. Nel 1898 la regione del Sudan fu all’origine di una grave crisi diplomatica tra GB e Francia, dal momento che i 2 paesi stavano sviluppando contemporaneamente dei piani di penetrazione nell’area, da nord a sud gli inglesi e da est a ovest i francesi. Nonostante la forte tensione iniziale i francesi decisero nel 1899 di abbandonare la regione. La GB fece del Sudan un proprio protettorato. A completare l’occupazione dell’africa vi erano Portogallo che conservò le proprie antiche colonie, e la Spagna che mantenne alcuni territori lungo la costa dell’africa nord-occidentale. L’italia volse invece le proprie mire coloniali alla zona del Mar rosso. Le truppe italiane si spinsero nell’entroterra e vi fondarono nel 1890 la colonia dell’eritrea. La tentazione era però quella di occupare il vasto impero etiopico. Nel 1889 il governo Crispi nel tentativo di esercitare una qualche forma di protettorato sulla regione, stipulò col NEGUS di etiopia menelik il trattato di UCCIALLI. Redatto in due versioni, il trattato lasciava ampi ambiti di ambiguità e finì per accrescere le tensioni tra i due paesi. Nel 1985 gli italiani ripresero la penetrazione verso l’Etiopia ma un contingente italiano venne attaccato e sconfitto. Nel 1896 le truppe italiane subirono una nuova drammatica disfatta presso Adua che costrinse alle dimissioni del presidente del consiglio Crispi. L’italia dovette quindi rinunciare momentaneamente all’occupazione dell’etiopia. Alla vigilia della 1GM di tutto l’immenso continente africano avevano mantenuto l’indipendenza solo il regno di etiopia e la repubblica di Liberia, sottoposta però all’egemonia statunitense. Questa prima fase di colonizzazione dell’africa si avvalse di modalità di penetrazione militare, commerciale e religiosa estremamente violente. Queste modalità cambiarono parzialmente all’inizio del 900 quando le forti resistenze delle popolazioni locali, i disastri demografici e naturali, spinsero i governi europei a riformare gli statuti delle compagnie concessionarie, ad aumentare gli investimenti nel settore minerario e in quello agricolo per favorire le produzioni destinate all’esportazione e al razionalizzare il sistema amministrativo locale. Questo processo di riorganizzazione del potere coloniale si intensificò all’indomani della 1GM, quando mutarono sia le forme di gestione sia gli interessi economici delle potenze europee, e in molti casi, le autorità coloniali incontrarono la collaborazione di capi e aristocrazie locali. CAPITOLO 4 – LE ISTANZE IMPERIALISTICHE NELLA CRISI DI FINE SECOLO 1. Il difficile passaggio dall’otto al novecento: la crisi politica in Europa L’idea che il nuovo secolo avrebbe aperto una stagione di progresso e crescita illuminata in tutti i settori si accompagnava all’inquietante constatazione che un lento processo di erosione stava minando dalle fondamenta il vecchio ordine europeo e con esso i principi del costituzionalismo liberale e dell’economia di mercato. Il trionfante eurocentrismo sembrava essere messo in crisi dalla rapida ascesa delle potenze extraeuropee come USA e Giappone. Alcuni settori delle élite europee cominciarono a percepire i parlamenti come luoghi in cui venivano messe in discussione le gerarchie tradizionali, luoghi affollati di persone interessate solo a sollecitare le masse. Con modalità ed esiti differenti a seconda dei paesi, si affrontarono così per la prima volta in modo aperto i difensori del sistema politico basato sullo sviluppo del sistema parlamentare e sulla progressiva estensione del suffragio elettorale, secondo la tradizione anglosassone, e i propugnatori di un sistema incentrato invece su un esecutivo il più possibile sganciato dalla volontà dell’elettorato, come modello della Germania imperiale impostosi in Europa dopo la guerra franco- prussiana del 1870. Per l’Italia, la crisi si ebbe dopo l’uscita di scena di Crispi, in seguito alla sconfitta militare di Adua nel 1896. Il suo successore fu Rudinì che si trovò ad affrontare una stagione di gravi fermenti sociali, con scioperi e sommosse. In quello stesso anno fu pubblicato l’articolo di Sonnino che focalizzava le ragioni del dissenso dal liberalismo più moderato nei confronti del ruolo ormai onnipotente del paramento ed invocava un ritorno alla lettera dello statuto albertino secondo cui la gestione del potere esecutivo doveva spettare solo al sovrano, anziché ad un governo sorretto dalla maggioranza parlamentare. L’aggravarsi delle tensioni contro il carovita nella primavera del 1898 indussero Rudinì ad approvare una serie di leggi lesive della libertà dei cittadini. Mentre la stampa d’opposizione veniva chiusa e i principali esponenti socialisti, radicali e cattolici furono arrestati, il sovrano Umberto I decise di decorare Beccaris per l’azione repressiva da lui condotta. Dopo le dimissioni di Rudinì il governo fu assunto dal generale Pelloux che lavorò subito per l’attuazione di un progetto politico incentrato sulla limitazione del ruolo del parlamento e sulla repressione delle libertà d’opinione e associazione. Il suo pacchetto di provvedimenti si infranse però contro la tattica ostruzionista messa in atto dagli esponenti dell’estrema sinistra a cui si aggiunsero anche i deputati liberal-progressisti facenti capo Giolitti e Zanardelli. L’ostruzionismo finì per impedire la trasformazione in legge dei decreti illiberali, nonostante questi fossero già stati approvati e sottoscritti anche dal sovrano. Il livello di tensione era talmente alto che si decise di sciogliere la camera nella speranza di ottenere per il governo una maggioranza parlamentare più favorevole. Alle elezioni del 1990 lo schieramento governativo ottenne una maggioranza risicata e Pelloux preferì dimettersi. Gli successe Saracco che raffreddò il clima di tensione ritirando le proposte del precedente governo. Negli stessi anni anche la Francia conobbe una violenta crisi politico-istituzionale che vide fronteggiarsi le forze liberali fedeli alla terza repubblica e la destra filomonarchica e nazionalista. La causa fu una vicenda giudiziaria chiamata “affaire Dreyfus” che vide protagonista il capitano ebrei Dreyfus condannato nel 1894 all’esilio per attività di spionaggio militare a favore della germania. Il fatto si trasformò in un caso politico allorchè l’ipotesi di revisione del processo divenne l’occasione per un regolamento di conti tra avversari e difensori dei valori della repubblica parlamentare. La lettera aperta al presidente della repubblica dello scrittore Zola pubblicata nel 1898, in cui si denunciavano le palesi irregolarità giudiziarie ai danni di Dreyfus, diede infatti inizio ad una nuova fase del dibattito che coinvolse l’intera opinione pubblica francese, schierata a favore o contro la revisione del processo. Tra i colpevolisti c’erano tutti coloro che volevano difendere l’onore dell’esercito e tentavano di colpire la cultura liberal-parlamentare nel suo complesso, considerandola responsabile del declino della tradizione, della cattolicità e della grandezza della patria. Le pressioni della destra nazionalista e antisemita culminarono nel febbraio 1899 quando una struttura politica di estrema destra tentò senza successo, di promuovere un vero e proprio colpo di stato in senso autoritario. Sul fronte opposto, in difesa delle istituzioni repubblicane e di Dreyfu, si schierarono i paladini dei diritti dell’uomo, coloro che intendevano sconfiggere la crescente ondata eversiva della destra, e anche se in ritardo, il partito socialista. La vicenda giudiziaria di Dreyfus si concluse solo nel 1906 con l’annullamento del verdetto di colpevolezza e la reintegrazione del capitano nell’esercito. La sconfitta politica apparve già evidente nel 1899 con la formazione di un governo di difesa repubblicana che comprendeva anche un esponente socialista. Con il superamento di questa crisi la numero ristretto di persone che costituisce la classe politica, tale élite esercita il potere su una maggioranza che ne è di fatto priva e proprio in virtù di queste posizioni di comando acquista una precisa coscienza di sé come gruppo separato rispetto alla comunità dei governati. Queste teorie vennero riprese anche da Michels che applicò la dottrina elitista all’analisi dei grandi partiti di massa, in particolare al partito socialdemocratico tedesco. Egli mostrò che persino all’interno dei partiti democratici vi era la tendenza a circoscrivere il potere ad un ristretto gruppo di persone. 4.3 L’Europa tra nazionalismo e imperialismo Gli ideali nazionali che per buona parte dell’800 avevano animato i progetti di indipendenza sorti nella penisola italiana, nei territori tedeschi e nelle colonie spagnole dell’america latina, appartenevano a quella matrice democratico-risorgimentale che aveva cercato di coniugare le aspirazioni nazionali alla solidarietà internazionale. Connesso originariamente al concetto di rivoluzionario e repubblicano di nazione, così come era stato declinato durante la rivoluzione francese o americana o elaborata da Mazzini e anche legato alla tradizione del romanticismo, quel tipo di nazionalismo aveva contribuito al consolidamento dei moderni stati nazionali accentrati, favorendo la nascita di un contesto unitario e disciplinato di appartenenze. Questa idea di nazione che individuava ed esaltava i legami naturali, culturali e talvolta mitici, di una determinata popolazione, era infatti profondamente calata nel contesto laico del liberalismo europeo dove l'affermazione del principio della sovranità popolare imponeva una nuova legittimazione per le istituzioni politiche. Negli anni di fine secolo, il concetto di nazionalismo subì invece una profonda trasformazione e divenne la base su cui si andò progressivamente fondando la politica di potenza degli stati europei. La matrice classica del nazionalismo assunse una connotazione antidemocratica, venata da tratti sia difensivi che offensivi, dove l'antico ideale di fratellanza venne sostituito da principi di esclusione del diverso. Autoritarismo, apologia della guerra, politica di potenza, esaltazione del patriottismo, difesa dell'interesse nazionale, della razza, diventarono le leve per combattere il nemico individuato sia all'interno che all'esterno della nazione. Questa diversa declinazione del nazionalismo si saldò con altri 2 fattri: la spinta degli interessi economico-finanziari dei paesi industrializzati, e la necessità delle classi dirigenti di contenere gli effetti dirompenti della nazionalizzazione delle masse. Sul piano culturale l'idea del nazionalismo di instaurò sempre di più con teorie scientifiche, il principio della SOPRAVVIVENZA DEI PIU' ADATTI (Darwin), questo principio inizialmente applicato alla specie animale venne conseguentemente applicato al genere umano, distinguendo tra presunte razza inferiori, destinate a soccombere, e razze superiori il cui diritto-dovere era quello di sottomettere i più deboli. In Germania le tesi di Gobineau e quelle di Chamberlain si basava sull’'identificazione delle popolazioni germaniche con la pura razza ariana e della superiorità di quest'ultima rispetto alle altre, diede al nazionalismo tedesco un carattere tendenzialmente razzista e antisemita. Il nazionalismo tedesco divenne la piattaforma di movimenti pangermanistici, che lottavano per la riunificazione di tutti i popoli di lingua tedesca. Anche il nazionalismo francese ebbe una rilevante connotazione antisemita. Attorno all’ideologia nazionalista si raccolsero intellettuali, gruppi di destra ma anche alcuni di sinistra, che nutrivano ancora un profondo desiderio di rivincita nei confronti della Germania. Anche il movimento nazionalista italiano, pur senza assumere una connotazione antisemita, ebbe origine come in Francia, in un contesto letterario e culturale che esaltava la patria come “nazione eletta”. Nel 1919 queste tendenze portarono alla nascita dell’Associazione nazionalista italiana, che diede una struttura organica e un progetto politico definito. I nazionalisti auspicavano per l’italia un futuro di grande potenza imperiale e cercavano consensi presso l’opinione pubblica. All’origine della prospettiva imperialista vi furono anche fattori di carattere economico. Secondo HOBSON la saturazione dei mercati interni e il rischio di crisi di sovrapproduzione erano all'origine dell'imperialismo, risolvibile attraverso un piano di riforme sociali e di redistribuzione politica. Anche secondo LENIN, individuò nei fattori economici la cause dell'imperialismo. Diventa di fondamentale importanze per l'economia la ricerca di nuovi mercati. Ma altrettanto inevitabile era la saturazione dei mercati esteri, che avrebbe accresciuto sempre più lo scontro e le tensioni tra i diversi stati imperialisti. Oltre a quelli economici e culturali, vi furono anche fattori politici all’origine dell’imperialismo. La graduale affermazione della società di massa e l’inevitabile uscita della politica dei circuiti ristretti delle èlite nobiliari dell’800 cambiarono infatti i connotati dello spazio pubblico e politico. Anche la politica estera cominciò ad entrare nel dibattito pubblico e le classi dirigenti si servirono dell’ideologia nazionalista e dell’imperialismo per incoraggiare l’identificazione delle masse con lo stato e la nazione imperiale. Inoltre i governi promuovevano una MISSIONE CIVILIZZATRICE di cui ciascuna nazione europea si faceva interprete nei confronti dei barbari, dovuta sempre di più al consolidamento dell'orgoglio patriottico e di identità nazionale. Tale tesi venne espressamente teorizzata da KIPLING con il FARDELLO DELL'UOMO BIANCO assegnata appunto alle nazione sviluppate e di razza bianca. A differenza di esso l'imperialismo americano mirava soprattutto alla penetrazione commerciale nei mercati stranieri, salvaguardando però l'integrità territoriale e l'indipendenza politica dei popoli. 4.4 Dal liberalismo classico al New Liberalism: i governi inglesi di inizio secolo e l’età giolittiana A partire dall'inizio del 900 si assistette, specie in GB ad una parziale riformulazione dei valori tradizionali dell'ideologia liberale. Il liberismo classico sviluppatosi nel corso del XIX secolo sulla centralità dell'individuo e della sua libertà, aveva tradizionalmente concepito solo un tipo di uguaglianza formale che consisteva nel dovere dello stato di garantire a tutti i cittadini i medesimi diritti e doveri. Secondo questa logica, lo stato, pur dovendo assicurare che la competizione tra individui avvenisse nelle condizioni più eque possibili, non era anche tenuto ad intervenire di fronte a tutte le forme di disuguaglianza presenti nella società ma indipendenti dall’ordine pubblico. Tuttavia, di fronte all'emergere delle questioni sociali e dei problemi connessi alla condizioni di vita delle classi meno privilegiate, i liberali inglesi cominciarono a rivendicare i precetti tradizionali dell'individualismo liberale e del non interventismo dello stato nelle questione economico sociali. Dal punto di vista della riflessione intellettuale, furono Hobson e Hobhuse a farsi portavoce di un nuovo liberalismo. La corrente del NEW LIBERALISM, pur nel rispetto dei valori classici del pensiero liberale, cercava di elaborare un tipo di DEMOCRAZIA ETICA dove collettivismo e interventismo statale dovevano affiancarsi al tradizionale individualismo liberale, garantendo massime condizioni di equità tra gli individui, quindi uguaglianza, libertà e benessere all’intera società. Il contributo intellettuale nel new liberalism fu decisivo nel definire la piattaforma riformatrice dei governi liberali che si succedettero in GB dal 1906 alla 1GM. Il new liberalism portò un ampio programma di redistribuzione dei redditi, attraverso la progressività fiscale e di assistenza sociale per tutti i lavoratori. Il primo atto di questo programma fu il PEOPLE'S BUDGET presentato nel 1909 che introduceva nuove tasse ed aumentava quelle sui redditi più elevati. Sempre nel 1909 fu varato un sistema previdenziale che destinava le pensioni di anzianità a coloro che avessero superato i 70 anni di età e fossero al di sotto di una certa fascia di reddito; nel 1911 fu la volta del NATIONAL INSURANCE BILL, ovvero un vasto programma di assicurazioni contro la disoccupazione, l'invalidità e le malattie. Questo ampio piano di riforme fu la base del WELFARE STATE, terminato solo dopo la II guerra mondiale. Questa stagione riformatrice fu anche il risultato della consapevolezza che il consolidamento delle istituzioni politiche poteva venire solo dal riformismo sociale e dalla creazione di una società compatta e il più possibile solidale. Anche i governi conservatori degli anni 20 si conformarono alle linee programmatiche nel riformismo liberale e non stravolsero la legislazione sociale varata in precedenza. Anche in Italia il periodo compreso tra il 1901 e il 1914 è dominato politicamente dalla figura di GIOVANNI GIOLITTI e costituì la fase più liberalista. Dopo la crisi di fine secolo la classe dirigente italiana optò per un indirizzo politico liberal-democratico volto a tutelare le libertà civili e all’allargamento del suffragio. Questo indirizzo politico fu inaugurato dal governo di Zanardelli. Fu Giolitti però il vero promotore di una vera e propria politica sensibile ai problemi dello sviluppo produttivo, del lavoro e delle rivendicazione dei lavoratori. Il suo programma prevedeva infatti la piena libertà delle organizzazioni sindacali e degli scioperi, nel rispetto della legge, e l'assoluta neutralità dei poteri pubblici nelle dispute tra capitale e lavoro. Tale programma si scontrò tuttavia con l’imoennata delle agitazioni e degli scioperi verificatasi a partire dal 1902. Tra il 1902 e il 1904 si moltiplicarono, specialmente nel Mezzogiorno gli scontri tra dimostranti e forze dell'ordine, con esiti spesso sanguinosi come i cosiddetti “eccidi proletari” che provocarono una quarantina di morti nelle campagne meridionali. Nel 1902 il governo proseguì con il suo piano di riforme, varò una legge a tutela del lavoro minorile e femminile, ampliò la legge del 1898 sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro. Di grande rilevanza, soprattutto per le amministrazioni delle grandi città, fu la legge del 1903 che consentì ai comuni la municipalizzazione dei servizi pubblici. Nel momento in cui si dimesse Zanardelli nel 1903, Giolitti lo sostituì alla guida del governo presentando un programma improntato su una politica interna di libertà più ampia, su un piano di riforme economiche, sociali e finanziarie e su provvedimenti speciali per il mezzogiorno. Giolitti dinnanzi al problema della statalizzazione delle ferrovie e alle difficili trattative per la liquidazione delle compagnie ferroviarie, preferì ritirarsi lasciando il posto ad ALESSANDRO FORTIS il compito di far approvare la legge sull'esercizio statale delle ferrovie (1905). Giolitti ritornò al potere nel 1906 inaugurando il suo cosiddetto “lungo ministero” che durò fino al 1909; si apriva cosi per l'Italia una stagione di cauto riformismo in campo politico e di forte consolidamento dei ceti produttivi e del movimento operaio e contadino. L’attività governativa venne infatti dedicata al consolidamento del bilancio statale, al miglioramento dei servizi pubblici e dell’esercito. Queste iniziative contribuirono alla piena affermazione del sistema giolittiano e della sua strategia volta a rafforzare i gruppi borghesi e operai che costituivano l’avanguardia del processo di industrializzazione in atto. Gli anni dal 1906 al 1909 furono molto intensi anche sul pano della mobilitazione sociale. Nel 1906 venne fondata infatti la Confederazione generale italiana del lavoro, con il compito di incrementare e disciplinare la lotta delle classe lavoratrici. Anche sul fronte cattolico si assistete a un rinnovato impegno politico e nel 1904 nacquero una serie di nuove organizzazioni con il compito di coordinare le attività politico-culturali dei cattolici. Nelle elezioni del 1909 nel partito socialista prevaleva la corrente riformista, e l’attivismo politico dei cattolici era in piena espansione. Le elezioni videro la buona tenuta della maggioranza ministeriale, un notevole incremento dell’estrema sinistra e l’elezione di ben 16 candidati cattolici. Tuttavia Giolitti, che aveva difficili obiettivi politici, preferì rassegnare le dimissioni. Egli tornò alla guida del governo all’inizio del 1911. Giolitti inaspettatamente estese il suffragio universale maschile, pur essendo contrario all'estensione di voto per coloro non scolarizzati, ma capì in quel frangente che solo il questo modo avrebbe potuto preservare il delicato equilibrio raggiunto. Il suo nuovo programma governativo si caratterizzò per la presenza di due proposte politicamente e socialmente avanzata: IL MONOPOLIO STATALE DELLE ASSICURAZIONI SULLA VITA e LA RIFORMA ELETTORALE. Con l’approvazione nel 1912 del monopolio pubblico delle assicurazioni sulla vita, si costituì l’Istituto nazionale delle assicurazioni. Sempre nel 1912 fu varata la legge elettorale che estendeva il diritto di voto ai maschi analfabeti che avessero compiuto 21 anni e prestato il servizio militare, e a tutti i maschi di età superiore a 30 anni. La legge del 1912 istituì inoltre l’indennità per i deputati. L’allargamento delle basi politiche dello stato, avvenne però in una fase contraddittoria caratterizzata da un crescente fermento nazionalistico e dal sorgere di nuove spinte culturali irrazionalistiche. Giolitti rilanciò la politica coloniale italiana fra il 1911 e il 1912, condusse una guerra contro l’impero ottomano, conquistando la Libia definitivamente. Questa vittoriosa guerra rappresentò l’inizio della fine del giolittismo. Da un lato la conquista della libia si risolse con una delusione, in quanto già i socialisti l’avevano definita lo “scatolone di sabbia” perché le ricchezze del suo sottosuolo non erano ancora conosciute. Dall’altro lato divenne chiaro a Giolitti che la sua strategia di mediazione parlamentare tra le forze liberali e di graduale riformismo non bastava più ad una realtà politica diventata sempre più aggressiva e radicale. 4.5 La crisi del razionalismo positivista Gli anni compresi tra l’ultimo decennio dell’800 e la 1GM furono densi di cambiamenti. In politica cominciò a farsi strada l’idea di un lento declino del vecchio ordine istituzionale costituito sui pilastri del costituzionalismo liberale. La parallela ascesa del nazionalismo sembrò mettere ulteriormente in discussione le solide certezze del liberalismo ottocentesco che non pareva più in grado d assorbire e ricomprendere tutti i cambiamenti di una accelerata modernizzazione. In ambito culturale invece l’illuminata fede nel progresso faceva immaginare un ruolo sempre più centrale per la scienza, l’economia e la tecnologia. Gli anni a cavallo tra 8 e 900 parvero davvero accreditare l’immagine di una belle époque di straordinaria accelerazione in tutti i settori della vita pubblica e privata. In realtà essa fu più che altro un mito creato dopo le catastrofi del conflitto. I 30 anni che avevano preceduto il 1914 furono, al contrario, caratterizzati da forti contraddizioni sul piano socio-economico e politico. Dal punto di vista filosofico ci fu un declino della cultura razional-illuministica del XIX secolo e i modelli interpretativi offerti dal positivismo fondati sul progresso e su un sapere razionale scientifico, si rivelarono inadeguati a comprendere non solo le trasformazioni socio-politiche ma anche gli stessi sviluppi della scienza. Il positivismo entrò in crisi come sistema interpretativo del mondo e dell’evoluzione storica. A questa crisi corrispose la graduale affermazione di nuove dottrine filosofiche di stampo irrazionalistico e vitalistico che contestavano la radicata fiducia nella ragione contrapponendovi valori come l’istinto, la volontà di potenza e il vitalismo. Nietzsche fu critico verso il razionalismo della cultura ottocentesca. Riteneva il nichilismo l’esito inevitabile dell’intero corso della tradizione occidentale. Nietzsche elaborò un nichilismo forte e creatore che sarebbe stato attivato dalla volontà di potenza di un oltreuomo capace di trasformare e superare i valori del passato. In Italia la rinascita dell’idealismo fu dovuta a Croce e Gentile. Croce elaborò un articolato sistema teorico fondato sulla preminenza della libertà nel processo storico e sull’inseparabilità tra storia e filosofia. Gentile portò invece alle estreme conseguenze il pensiero idealista, ponendo all’origine della realtà e del processo storico l’atto del soggetto individuale. La ripresa dell’idealismo in filosofia, la nascita di nuove correnti spiritualistiche e irrazionalistiche, i progressi della scienza, la teoria di Einstein nel 1905, cominciarono a mettere i luce i limiti delle scienze fisico- matematiche tradizionali. Il decadentismo e il simbolismo furono altri segnali del declino del positivismo dell’800. La scoperta della psicoanalisi da parte di Freud non solo rivoluzionò le conoscenze sulle malattie mentali, ma dimostrò l’importanza delle motivazioni pulsionali e non razionali del comportamento umano. Alle certezze del metodo scientifico positivista si sostituiva l’idea che le inclinazioni personali e il puto di vista dell’osservatore potessero alterare lo studio e la rappresentazione dei fenomeni della realtà. Questo approccio influenzò i teorici delle scienze sociali come Weber. Egli infatti pose le basi di una nuova metodologia delle scienze storico-sociali in grado di definire sia l’analisi degli interessi individuali e personali, sia quella dei fenomeni collettivi e del funzionamento delle élite politico-burocratiche. Il nuovo secolo quindi si apriva nel segno di un bagaglio culturale e spirituale molto diverso da quello che aveva caratterizzato l’800. La 1GM, con il suo carico di morti e devastazioni, rappresentò quindi da un lato il condensato di queste paure e dall’altro accelerò ancora di più la crisi dei valori e delle certezze dell’800. CAPITOLO 5 – LA PRIMA GUERRA MONDIALE 5.1 La sindrome della guerra in vista Il quadro geopolitico europeo si modificò dopo il 1890 con l'uscita di scena di Bismarck, entrò in crisi il suo disegno di equilibrio fondato sull'isolamento della Francia e sul ruolo egemone della Germania, perno di un sistema di alleanze Sul fronte orientale invece la guerra era più fluida. L’esercito russo dopo aver tentato di invadere la Germania, fu sconfitto. Nell’anno successivo i russi dovettero abbandonare buona parte della polonia e la serbia, e attaccata dalle truppe di austria e bulgaria, venne completamente occupata. Il fronte aperto della GB nel mare del Nord dove con la sua flotta cercava di bloccare il traffico di rifornimenti diretto in Germania, si rivelò invece gravoso per gli imperi centrali e soprattutto per la Germania che a causa del blocco navale, conobbe una vera e propria carestia. I tedeschi rispesero al blocco mediante l'impiego massiccio di una nuova arma, il sommergibile, con l'intento ti isolare la GB affondando le navi dirette nei suoi porti. Accadde che un sommergibile tedesco affondò un transatlantico che ospitava passeggeri americani. Le proteste degli USA furono così energiche che i tedeschi, temendo un intervento in guerra degli USA, abbandonarono temporaneamente la guerra sottomarina. Anche sul fronte italiano, il conflitto assunse un carattere di logoramento in trincea, che venne combattuta lungo il fiume Isonzo e le alture del Carso, nel 1915 dalle truppe italiane capitanate dal generale LUIGI CADORNA ma senza ottenere risultati nelle quattro offensive lanciate contro gli austriaci. Nel 1916 invede furono le truppe austriache a sferrare un massiccio attacco contro le linee italiane, che fu una spedizione punitiva verso l’alleato traditore passato al nemico. Un analogo stallo caratterizzava il fronte occidentale. Nel tentativo di piegare la Francia, l'esercito Tedesco da febbraio a giugno del 1916, attaccarono la zona di Verdum, con l’intento di logorare il più possibile l'avversario, la battaglia fu una carneficina senza utili risultati. Altrettanto lunga e cruenta fu la controffensiva anglofrancese lanciata nelle regioni del fiume Somme, in francia settentrionale. I primi due anni di guerra mostrarono chiaramente che si trattava di un conflitto completamente diverso da tutti quelli precedenti. Dal punto di vista militare i progress scientifici e tecnologici avevano permesso l’utilizzo di armi perfezionate come mitragliatrici, lanciafiamme, bombe a mano e per la prima volta gas chimici asfissianti. Furono impiegati per la prima volta anche carri armati e l'aeroplano. Questa guerra è caratterizzata anche dalla radicalità dell’impiego di risorse umane e produttive necessarie ad una logorante guerra di posizione e la vastissima mobilitazione interna, che coinvolse strati molto ampi della popolazione, comprese le donne impiegate in modo massiccio per sostituire gli uomini partiti per il fronte. Mentre l’obiettivo della vittoria a qualunque costo divenne molto più importante dei contenuti della pace da conseguire, la guerra di posizione rese evidente che la vittoria sarebbe toccata a chi fosse riuscito a farsi logorare di meno dal nemico. Si verificò quindi in tutti i paesi un’estensione degli apparati statali e delle loro competenze. Gli stessi governi assunsero molto spesso poteri più ampi di quelli tradizionalmente attribuiti loro. L’economia fu piegata alle esigenze militari e subì una rigida pianificazione statale. I governi avevano un ruolo centrale nella propaganda politica infatti dovevano cercare di tenere alto a tutti i costi il morale delle truppe e della popolazione, facendo leva sull’appoggio patriottico. Questi sforzi tuttavia, non riuscirono ad impedire che ovunque si diffondesse un profondo malessere sia nelle truppe che tra i civili. Infatti si intensificarono le manifestazioni di insofferenza con scioperi, sommosse ed ammutinamenti. In Italia l’episodio più grave si verificò a Torino nel 1917 dove la carenza di generi alimentari suscitò una vera e propria sommossa popolare. Nel 1917 si ammutinarono i marinai della flotta russa sul Baltico, ma una delle situazione più a rischio per la tenuta del fronte interno era quella dell'impero asburgico, dove alle difficoltà militari si sommavano i conflitti etnici e le tensioni centrifughe delle varie nazionalità. Il nuovo imperatore Carlo I temendo che la guerra portasse alla disgregazione dell'impero, cercò di avviare trattative segrete per una pace separata nei primi mesi del 1917, ma senza successo. Anche il pontefice Benedetto XV invitò i governi a metter fine all'inutile strage, ma il suo appello rimase inascoltato. Proprio nel 1917 si verificarono due avvenimenti decisivi per le sorti del conflitto. La rivoluzione bolscevica di Ottobre in Russia portò, all'uscita del paese della guerra, sancita dal trattato BREST-LITOVSK il 3 Marzo 1918. L'altro avvenimento fu all'inizio di Aprile, l'entrata in guerra degli Stati Uniti, in cui seguì quello di paesi dell'america centrale e meridionale. Il presidente WILSON dopo aver difeso la neutralità del suo paese e cercato invano una mediazione tra gli imperi centrali e i paesi dell'intesa, decise di intervenire militarmente. La ripresa della guerra sottomarina e l’aspirazione ideale a un nuovo ordine internazionale improntato ai valori della democrazia e dell’autodeterminazione dei popoli furono le principali cause che indussero Wilson a partecipare ad una guerra presentata all’opinione pubblica americana come indispensabile per salvare la democrazia. Dal punto di vista militare la smobilitazione della Russia permise agli eserciti tedeschi e austriaci di destinare ingenti rinforzi contro le linee italiane che furono attaccate massicciamente sull’alto Isonzo e sfondate nel pressi di Caporetto. L’esercito italiano si ritirò in modo caotico lungo la linea difensiva del Piave. Le truppe italiane, al cui comando fu posto ARMANDO DIAZ in sostituzione a Cadorna, riuscirono a reggere l'urto e ad opporre resistenza lungo il corso del Piave e sul Monte Grappa, impedendo all'esercito nemico di raggiungere la Pianura Padana. Anche sul fronte occidentale i tedeschi cercarono di lanciare una potente offensiva nel tentativo di sfondare le linee avversarie prima dell’arrivo dell’USA. Spintasi ancora fino a Marna e in prossimità di Parigi, tra il marzo il giugno del 1918, i tedeschi furono però costretti ad indietreggiare alla massiccia controffensiva lanciata dalle forze dell’intesa. Ad agosto iniziarono ad arrivare in Europa i rinforzi americani e da quel momento la lenta ritirata dell’esercito tedesco fu costante. Tra ottobre e Novembre le truppe italiane riuscirono a respingere le truppe nemiche, sfondando le difese austriache e avanzando fino a Trieste e Trento costringendo l'Austria-Ungheria a firmare l'armistizio il 4 Novembre 1918. In Germania, erano scoppiate nel frattempo numerose rivolte che da Berlino si stavano propagando fino alla Baviera e che indussero Guglielmo II il 10 novembre a lasciare il paese. Anche l’impero ottomano dopo aver ottenuto sconfitte da parte degli inglesi si era arreso a fine ottobre. La guerra di concluse ufficialmente l'11 Novembre 1918 quando a RETHONDS, in Francia, il governo provvisorio tedesco firmò il duro armistizio imposto dai vincitori: la Germania doveva consegnare l'armamento pesante e la flotta, ritirare le proprie truppe oltre il Reno, annullare i trattati con Russia e Romania e restituire tutti i prigionieri di guerra. Con un bilancio di 9 milioni di morti la I guerra mondiale era stata una carneficina. A questi deceduti si sommavano quelli prodotti dai regolamenti di conti tra gruppi etnie, dalla penuria di cibo e malattie ecc. 5.4 Russia: le due rivoluzioni Quando il 30 luglio 1914 lo zar Nicola II firmò l'ordine di mobilitare le truppe il paese fu attraversato da un orgoglio patriottico per la difesa dell'impero contro il nemico tedesco. Fuori dall’ondata di mobilitazione patriottica rimasero solo le diverse formazioni socialiste che non costituivano un fronte compatto. Tale file di opposizione si distinguevano figure come quella di Plechanov, oppure il socialrivoluzionario Kerenskij. Anche se il governo aveva una solida maggioranza si trovò a dover fare i conti con la sostanziale inadeguatezza del paese a reggere un conflitto che si stava rivelando lungo e logorante. Lo zar era convinto di sostenere una campagna militare di solo 3 mesi e impreparata ad una guerra di posizione, e la Russia fu travolta da un'inflazione impetuosa, dalla mancanza di viveri e combustibile, dal deterioramento del sistema dei trasporti. Di fronte all’emergenza, nel Maggio 1915, il governo non fu capace di rispondere alla crisi. Le sconfitte militari e la mancanza di una salda guida politica, portarono nel 1916 le preoccupazioni della maggioranza della Duma, timorosa che in un simile contesto potessero avere buon gioco le opposizioni rivoluzionarie. I primi segnali della rottura si ebbero il 1917, quando lo zar per fronteggiare gli scioperi che dilagavano nel paese decise di far intervenire l'esercito. Tuttavia, le truppe si rifiutarono di impiegare le armi contro i manifestanti e si ammutinarono. A Pietrogrado, il 27 Febbraio, i soldati si unirono agli operai in sciopero contro il regime e fu a questo punto che apparve chiaro come la manifestazione contro il governo si stessero trasformando in una rivoluzione contro il governo. Alcuni deputati della Duma diedero vita ad un comitato dal quale sarebbe scaturito il governo provvisorio che guidato dal principe, comprendeva esponenti dei vari gruppi progressisti e anche il socialrivoluzionario Kerenskij. Nel frattempo gli insorti diedero vita a dei soviet egemonizzati politicamente da menscevichi e socialisti rivoluzionari. Lo zar Nicola decise quindi di abdicare, lasciando a suo fratello il trono che tuttavia rinunciò: il 3 Marzo 1917, aveva cosi fine il potere della dinastia ROMANOV e con esso la direzione imperiale della Russia. Nel governo del paese si profilava un dualismo di potere: quello del governo provvisorio, favorevole ad instaurare una democrazia parlamentare e a proseguire la guerra, e quello rappresentato dai soviet, che divennero ben presto la sola autorità riconosciuta dalle masse. Il governo provvisorio si trovò spesso scavalcato dalle decisioni del Comitato esecutivo dei soviet, soprattutto per quel che riguardava l’organizzazione dell’esercito e la conduzione della guerra. Tra aprile e maggio si verificò la prima grave crisi. Mentre i ministri degli esteri e della guerra erano decisi a proseguire la guerra, la maggioranza dei soviet premeva affinché la continuazione dell’impiego bellico russo fosse accompagnata dall’appello ai proletari della coalizione austro-tedesca per l’insurrezione contro i rispettivi governi. La contrapposizione tra le posizioni del governo e quelle dei soviet portò ad un rimpasto ministeriale che vide le dimissioni dei due ministri moderati e il passaggio a Kerenskij. Il governo tedesco, consapevole che la presenza dei bolscevichi avrebbe potuto far prevalere all'interno dei soviet la linea favorevole alla pace immediata, favorì il rientro in patria di LENIN. Diversamente dalle tesi mensceviche (che ritenevano necessario il passaggio ad una fase borghese prima di arrivare all’instaurazione di un regime socialista in russia), Lenin pensava che i soviet dovessero chiudere ogni rapporto col governo provvisorio, diventare gli unici depositari del potere politico, far uscire la Russia dalla guerra e avviare, sulle ceneri dell'autocrazia zarista, una rivoluzione per instaurare la dittatura del proletariato. Giunto a Pietrogrado il 3 aprile, Lenin, presentò queste idee nelle cosiddette TESI DI APRILE, che nonostante lo scetticismo di alcuni dirigenti del partito in quanto rompevano drasticamente con la dottrina marxista ortodossa, ottennero un vasto consenso tra operai e soldati. Mentre si moltiplicavano in tutto il paese le manifestazioni contro la guerra, Kerenskij mise subito in atto una dura repressione nei confronti dei bolscevichi, ritenuti responsabili del disfattismo; questo tuttavia, non riuscì a restituire autorevolezza e compattezza al governo. Le forze conservatrici avevano individuato nel generale Kornilov l’uomo in grado di restaurare il regime zarista e questi tentò un colpo di stato controrivoluzionario che fu sventato solo grazie alla massiccia mobilitazione dei bolscevichi. Proprio il fallimento dell’operazione di Kornilov contribuì a consolidare l’immagine e la forza dei bolscevichi nel paese e nei soviet. La direzione del Comitato esecutivo dei soviet passò infatti nelle mani di Trockij, già menscevico. A questo punto, Lenin rientrato dalla Finlandia per sfuggire alla repressione di KERENSKIJ, giudicò la situazione adatta per la presa del potere dei bolscevichi e stabilì l'azione avrebbe dovuto prendere la riunione del congresso panrusso dei soviet prevista per il 25 ottobre. Il 24, quindi, il comitato rivoluzionario militare, costituito da bolscevichi per la difesa della rivoluzione, prese il controllo dei luoghi strategici della capitale. Il colpo di mano mise fine alla fase del dualismo di potere; la mattina del 25 ottobre Kerenskij fuggì e i suoi ministri furono arrestati. La sera del 25 ottobre il congresso dei soviet, abbandonato per protesta dei menscevichi e socialisti rivoluzionari, ratificò il nome in REPUBBLICA SOVIETICA. Furono inoltre approvati 2 decreti: il primo lanciava un appello per la fine della guerra e la ratifica di una pace senza annessioni e indennità sulla base del principio di autodeterminazione dei popoli; il secondo aveva un programma di socializzazione della terra che si limitava a dare una veste legale alle occupazioni che già da mesi i contadini stavano attuando nella campagne. Un terzo decreto istituiva un organismo (il consiglio dei commissari del popolo) che doveva assumere temporaneamente i poteri in vista delle convocazioni di un’assemblea costituente. Al vertice del consiglio venne posto Lenin, mentre il ministero per le nazionalità venne affidato a Stalin. Le elezioni per l’assemblea costituente (12 novembre) mostrarono che i bolscevichi non avevano la maggioranza del paese. Infatti i socialisti rivoluzionari ottennero ben 430 seggi. Davanti a questa evidente sconfitta il consiglio dei commissari del popolo cercò di procrastinare la convocazione dell’assemblea. Lenin la fece sciogliere con la forza il giorno successivo. Fu a questo punto che i bolscevichi si dovettero misurare con il fatto che la loro percezione della rivoluzione era diversa da quella della maggioranza del popolo russo. Per quest’ultimo la fine della guerra e la collettivizzazione delle terre costituivano i provvedimenti fondamentali che sostanziavano la rivoluzione, mentre per Lenin e i bolscevichi questi atti rappresentavano solo l’inizio della rivoluzione socialista. Lenin procedette quindi alla centralizzazione di tutti i poteri, alla repressione degli oppositori e allo smantellamento del sistema giudiziario. In più fu imposta a tutta la popolazione una vera e propria militarizzazione coatta e venne istituita la polizia segreta, la Ceka. Lenin restava convinto che dopo questa prima fase, necessaria per salvaguardare gli esiti della rivoluzione, la nascita di una società socialista avrebbe avuto un vasto consenso popolare, come affermava nel suo saggio STATO E RIVOLUZIONE nel 1917. Per Lenin lo stato non era altro che lo strumento attraverso cui si esplicava il dominio di una classe sulle altre; una volta venuto meno questo dominio, anche lo stato non avrebbe più avuto ragione di esistere. Quindi quando si sarebbe stabilito il socialismo, la russia non avrebbe più avuto bisogno degli istituti tipici della democrazia borghese, perché la gestione del potere sarebbe stata affidata all’autogoverno delle masse secondo le forme della democrazia diretta sperimentate all’interno dei soviet. Lenin vedendosi impossibilitato a trasformare la guerra imperialista in una rivoluzione, fu costretto a firmare una pace con la Germania, siglata nel marzo 1918 PACE DI BREST-LITOVSK impose ai russi condizioni durissime: la Russia perdeva la Polonia, la Finlandia, i paesi Baltici e una parte della Bierlorussia, cedeva la Turchia, una strisci compresa tra il Mar Nero e il Caspio e doveva riconoscere l'indipendenza dell'Ucraina. La russia vedeva compromessa quasi totalmente la produzione di carbone, ridotta di oltre il 50% quella metallurgica. Le potenze dell’intesa, preoccupate sia per l’esito della guerra, sia per gli effetti della rivoluzione bolscevica avrebbe potuto suscitare tra i partiti socialisti europei, esse decisero di sostenere le forze controrivoluzionarie che si stavano organizzando in Russia. Uscita dalla guerra imperialista i bolscevichi si trovarono immediatamente travolti da una guerra civile che nel 1918-1820 contrappose l'armata rossa dei bolscevichi guidata da Trockij, alle forze controrivoluzionarie. I dirigenti bolscevichi imposero un sistema provvisorio il cosiddetto COMUNISMO DI GUERRA che prevedeva la nazionalizzazione delle terre di tutte le industrie, l'abolizione del libero commercio e della moneta, il razionamento di tutti i generi alimentari e di consumo. Dal punto di vista economico il comunismo di guerra si rivelò un fallimento: nel 1921 la produzione agricola era calata di oltre il 40% mentre la carestia e la guerra civile avevano prodotto un massiccio fenomeno di ruralizzazione della società a scapito dell’industria. La guerra civile si concluse all’inizio del 1920 con la definitiva vittoria dei bolscevichi. Ci furono circa 7 milioni di morti. Il partito di Lenin, che nel 1918 aveva assunto il nome di partito comunista, cominciò a perdere consensi anche tra le file che lo avevano sempre sostenuto come operai e soldati. Emblematica in questo senso fu la ribellione nel marzo del 1921, dei marinai di Kronsdat. Essi chiedevano libere elezioni dei rappresentanti dei soviet, la fine della dittatura del partito comunista e la cessazione delle requisizioni nelle campagne, ma la loro iniziativa fu repressa duramente dal governo. Il X congresso comunista ribadì la politica autoritaria del partito, ma decise anche di rinunziare al comunismo di guerra introducendo una NUOVA POLITICA ECONOMICA (NEP), rilanciando l'iniziativa contadina e reintroducendo l'economia di mercato nelle campagne e nelle industrie. La requisizione forzata di grano furono sostituite dal pagamento di una tassa in natura fissata in anticipo, mentre fu mantenuta la politica degli ammassi. Nel complesso i risultati della NEP furono positivi e l’economia recuperò i livelli del 1913, la popolazione riprese a crescere ed emerse un nuovo ceto di piccoli commercianti ed artigiani, mentre nelle campagne si tornò a formare uno stato di contadini benestanti, i kulaki. Nel 1919 partì da Lenin l'iniziativa di costruire una nuova internazionale, l'internazionale comunista o Comintern. Nel suo II congresso, che si tenne nel 1920 furono fissati la struttura, i compiti e gli obbiettivi della III internazionale. A tutti i socialisti che vi volevano aderire fu imposto il cambio del nome del partito, da socialista a comunista, l’espulsione delle correnti riformiste e l’assunzione del modello bolscevico di partito. Tra il 1920 e il 1921 l’adesione all’Internazionale provocò in tutti i paesi europei la divisione delle forze socialiste e la nascita di partiti comunisti per di base a Kiel insorsero e nel giro di pochi giorni il focolaio rivoluzionario si allargò da Berlino a Monaco. La prospettiva di una rivoluzione convinse Guglielmo II della necessità di abdicare e il 9 novembre lasciò la Germania. Fu quindi il governo provvisorio di Ebert a firmare il duro armistizio imposto alla germania. Per riuscire ad avere ragione contro gli insorti, Ebert si avvalse non solo dell’esercito ma anche di truppe volontarie di ispirazione nazionalista che erano rimaste al comando dei loro ufficiali. Allo stesso tempo Ebert cercò di fissare alcuni accodi per garantire un minimo di stabilità al suo governo. Il primo accordo lo fece con l’esercito (il quale si impegnava a giurare fedeltà alla repubblica in cambio della garanzia di impunità e salvaguardia della propria tradizione autonoma rispetto al potere politico), il secondo compromesso venne siglato tra i sindacati del partito socialdemocratico (SDP) e il presidente degli imprenditori Stinnes (il contenimento della conflittualità operaia veniva assicurata da garanzie su salari e occupazione); il terzo fu raggiunto con i conservatori (che ottennero la promessa di mantenere in vita le autonomie federali in cambio del loro sostegno alla repubblica). In vista delle elezioni per l'assemblea costituente che si sarebbero svolte il 19 gennaio 1919 tutti i partiti politici si riorganizzarono. I diversi gruppi della destra conservatrice si riunirono dando vita al partito nazional popolare tedesco (DNVP). Il vecchio gruppo nazional liberali, guidato da Stresemann costituì il partito popolare tedesco (DVP), mentre i liberali progressisti, insieme ad alcune eminenti figure dell'intelighentia tedesca come Weber formarono il partito democratico tedesco (DDP). Di nuova formazione erano invece i partiti che si collocavano agli estremi opposti dello schieramento politico: a sinistra, la lega di Spartaco diede vita all'inizio del 1919 al partito comunista tedesco (KPD), mentre all'estrema destra era nato il partito dei lavoratori tedeschi che poi assunse il nome di partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi (NSDAP) sotto la guida di ADOLF HITLER. Le elezioni per l’assemblea costituente del 1919 diedero vita ad una schiacciante vittoria della coalizione formata da SPD, DDP, BVP che ottenne complessivamente 331 seggi. L’assemblea svolse i suoi lavori nella città di WEIMAR, da qui il nome alla con cui, nel tempo, si sarebbe definita la REPUBBLICA TEDESCA. Nella costituzione si vedevano finalmente realizzati i principi di pluralismo e democrazia. Il testo costituzionale era innovativo su certi aspetti ma ambiguo su altri. Manteneva infatti alcuni legami con il passato non solo nella forma federale, ma anche nell’uso del termine REICH utilizzato per definire le due assemblee parlamentari: reichstag (camere elettiva) e il reichsrat (camera federale); al vertice dello stato veniva posto un presidente della repubblica eletto a suffragio universale maschile e femminile. Il cancelliere e i ministri venivano nominati dal presidente della repubblica, ma dovevano ricevere la fiducia del Reichstag. Solo a quest’ultimo spettava il potere legislativo. La camera federale era invece composta dai rappresentanti dei singoli stati. Per garantire il mantenimento dell’equilibrio fu introdotta una serie di pesi e contrappesi: il governo doveva dare la fiducia del reishtag ma questo poteva essere sciolto per volontà del PdR. Al presidente inoltre l’art 48 della Cost assicurava in caso di crisi, poteri eccezionali che dovevano comunque essere ratificati dai reichstag. A mettere in discussione la stabilità della neonata repubblica erano sia le condizioni imposte dal Diktat, sia la perdurante agitazione sociale e politica. Alla germania infatti i paesi vincitori imposero il pagamento di una fortissima indennità di guerra. Tra il 1919 e 1920 si ebbe anche un’ondata di violenze alimentate dai gruppi dell’estrema destra intenzionati a colpire la classe politica che aveva gestito la transizione verso la Repubblica. Nel 1921 venne ucciso Erzberger, mentre l’anno successivo Rathenau. Dal 1920 al 1922 vi furono molteplici attentati che provocarono la morte di 400 uomini. La germania stava attraversando una gravissima inflazione dovuta al tentativo di pagare le rate nei tempi programmati, a tale crisi si aggiunse l'occupazione della Rurh nel 1922 ad opera di Belgio e Francia per il mancato pagamento della tassa imposta dal diktat. All’occupazione gli abitanti della Ruhr risposero mediante una resistenza passiva che comportò la cessazione di tutte le attività produttive. Nel giro di pochi mesi il drastico calo della produzione, l’impegno del governo a sostenere la tattica della resistenza passiva, fecero definitivamente collassare l’economia tedesca. Per uscire dalla drammatica emergenza fu necessario ricompattare le forze politiche sull’obiettivo comune della stabilizzazione economica e alla fine dell’anno si costituì un gverno di grande coalizione, retto da Stresemann, che comprendeva tutti i partiti dell’arco costituzionale. Convinto che solo tramite un mediante accordo coi paesi vincitori la Germania avrebbe potuto trovare una via d'uscita, Stresemann ordinò la cessazione delle resistenza passiva nella Rurh e dopo aver dichiarato lo stato d'assedio fece sciogliere i governi socialcomunisti che erano al potere in Sassonia e Turingia e con la stessa determinazione sventò il PUTSCH organizzato dall'estrema destra hitleriana. La NSDAP, nella notte tra l'8 e il 9 novembre 1923 tentò l'insurrezione a Monaco e solo l'intervento dell'esercito riuscì ad impedire che il colpo andasse a buon fine; la condanna a 5 anni di carcere a Hitler spinse a credere che il partito nazionalsocialista fosse definitivamente sconfitto. Stresemann riuscì tramite l'introduzione di una nuova moneta RENTENMARK ed una severe politica deflazionistica, contenimento di spesa pubblica e un alta imposizione fiscale a dare alla Germania una più stabile situazione economico- finanziaria. Nel 1924 gli USA proposero il PIANO DAWES che abbassava le reti annuali delle ripartizioni e concedeva alla Germania un prestito di 800 milioni di marchi, ciò favorì la ripresa produttiva e la distensione dei rapporti franco- tedeschi. Il rilancio dell’economia non comportò una immediata stabilizzazione sul fronte politico e già alle elezioni del 1924 fu evidente la polarizzazione estremistica verso cui muoveva la politica tedesca. Alle elezioni presidenziali del 1925 dopo la morte improvvisa di Ebert, ciascun partito presentò un candidato e tale frammentazione favorì le destre, che fecero scendere il maresciallo Hindenburg, un vecchio militare potenzialmente in grado di coagulare numerosi consensi. Nella seconda metà degli anni 20, la repubblica di Weimar conobbe una relativa stabilità anche sul piano politico, come venne confermato alle elezioni del 1928. Furono gli effetti della crisi del 1929 che colpirono la germania più di ogni altro paese europeo a causa della dipendenza dell’economia tedesca dai prestiti dell’USA, a causare il progressivo tracollo delle istituzioni repubblicane. Con un calo dell’occupazione nella Repubblica, la sua classe dirigente entrò in crisi. Mentre la retorica della pugnalata alle spalle che attribuiva ai socialisti, cattolici, liberali ed ebrei, la responsabilità della sconfitta della guerra mondiale, fu riportata alla ribalta dalla destra, l'intera opinione pubblica sembrava desiderosa di sbarazzarsi definitivamente delle clausole punitive del trattato di Versailles. Anche il piano YOUNG varato nel 1929 per rateizzare il pagamento delle ripartizioni venne fortemente avversato con una campagna propagandistica che finì che fini per far accrescere la popolarità del partito NSDAP presso i tedeschi. Alle elezioni del 30 settembre il partito hitleriano, che nella tornata precedente era riuscito a far eleggere solo 12 deputati, ottenne ben 107 rappresentanti diventando così il secondo partito della repubblica dopo il SDP. Il partito nazionalsocialista continuava a fare proseliti e l'ideologia su cui si fondava, delineata da Hitler fin dal 1925 nel suo scritto MEIN KAMPF sembrava trovare nell'incerto scenario del 1930 un grande credito. L'ideologia della NSDAP era infatti costruita sull'idea che la nazione tedesca sarebbe potuta tornare ai fasti del passato solo eliminando i nemici interni come ebrei e comunisti, che ne minavano le potenzialità economiche ed ideali e si fondava sul mito della purezza della razza ariana. Grazie all’abile campagna propagandistica condotta da Hitler, il quale aveva in Mussolini il proprio modello, la NSDAP riuscì quindi a far presa nell’opinione pubblica tedesca. La situazione precipitò rapidamente dopo che, nel Marzo 1932 si tennero le elezioni presidenziali. Nel timore che la tradizionale frammentazione politica potesse favorire la vittoria di Hitler il cui partito era ormai padrone della piazza, i socialdemocratici e i partiti di centro decisero di sostenere il presidente uscente HINDENBURG nonostante non ne condividessero la gestione politica, ma che in quel momento sembrava rappresentare la barriera possibile contro il dilagare del nazionalsocialismo. Era ormai chiaro che l’assetto di Weimar stava assumendo sempre più i connotati di un sistema presidenziale. Per due volte le elezioni nel corso del 1932 che si svolsero in un clima di persistente violenza politica, la radicalizzazione dell’elettorato tedesco si manifestò nel successo dei 2 partiti estremi: NSDAP e la KDP. Alle elezioni di luglio il partito di Hitler ottenne il 37,4% dei voti e a quelle di novembre, nonostante un calo, si confermò il partito di maggioranza relativa. Si resero conto quindi che senza da NSDAP era impossibile governare. Fallita l'ipotesi di poter includere i nazisti in un esecutivo di coalizione senza concedere a Hitler la presidenza, il 30 Gennaio 1933 Hidenburg lo nominò cancelliere, affidando le sorti della Germania al nuovo governo formato da nazionalsocialisti, nazional-popolari e popolari. 6.3 L’Italia: dal “biennio rosso” all’avvento del fascismo Anche in Italia la prima Guerra mondiale lasciò in eredità gravi difficoltà e squilibri economici e un'acuta conflittualità sociale. Mentre l'industria di guerre aveva arricchito i grandi speculatori e determinati settori industriali, l'inflazione, alimentata dal continuo aumento dei prezzi, erodeva i risparmi del ceto medio. La riconversione dell’industria bellica fu estremamente difficile e causò numerosi fallimenti d’imprese che non riuscivano a reggere il confronto con il mercato. Lo stato cercava di far fronte alla regolamentazione della spesa pubblica, della politica monetaria e imponendo il blocco degli affitti e dei prezzi dei generi di prima necessità. Queste misure di intervento non riuscirono tuttavia ad impedire un diffuso malessere sociale. L'aumento del costo della vita, causa di una costante rincorsa fra i prezzi e salari, la crescita vertiginosa della disoccupazione, le pressioni dei contadini, tornati dalla guerra con una maggior consapevolezza dei propri diritti e non più disposti a sottostare a contratti agrari sfavorevoli, furono le ragioni principali di una vasta ondata di agitazione e scioperi nel biennio 1919-1920. A questi fattori di malessere economico si aggiungevano poi le difficoltà dei reinserimento nel quotidiano dei reduci di guerra. La media borghesia, che aveva combattuto, ora si trovava a rivendicare uno spazio più ampio come classe dirigente del paese; ufficiali e sottoufficiali si sentivano delusi nelle loro aspirazioni e avvertivano che la fine della guerra li aveva privati di quei piccoli e grandi privilegi. I ceti popolari lottavano non solo contro il carovita ma anche per ottenere maggiori diritti politici ed economici. Anche le donne, uscirono dalla guerra avendo acquisito una maggiore consapevolezza politica. In italia queste novità assunsero una connotazione particolarmente conflittuale in quando il processo di democratizzazione delle strutture politiche era proceduto con lentezza, rispetto agli altri paesi. Sotto la congiunta minaccia delle nuove pressioni nazionalistiche e delle rivendicazioni operaie e contadine, la casse dirigente e liberale si trovò quindi ad affrontare un contesto di forte radicalizzazione delle proposte politiche, che mise ben presto in evidenza l’inadeguatezza degli strumenti tradizionali del parlamentarismo e della rappresentanza. L’ondata di scioperi e lotte sociali che attraversarono l’Italia nel 1919-20 coinvolsero massicciamente operai e contadini. Gli scioperi agrari non mobilitarono solo i contadini e i braccianti della valle padana, ma anche i salariati dei latifondi del mezzogiorno. Nei centri industriali del nord la protesta portò all’occupazione delle fabbriche, e coinvolse nel 1919 oltre 1 milione di operai. Questo attivismo senza precedenti dei lavoratori si espresse anche nella crescita del numero degli iscritti ai sindacati e nella nascita di leghe rosse (socialiste) e leghe bianche (cattoliche). Il partito socialista non riuscì comunque ad incanalare queste proteste verso uno sbocco politico. Le lotte sociali del 1919-20 non furono tuttavia le sole manifestazioni del malessere diffuso e della mobilitazione delle masse. L'esaltazione nazionalista, aumentata dal culto della giovinezza e della violenza e la fiducia nella superiorità dell'Italia, fu alimentata nel dopo guerra dal mito della VITTORIA MUTILATA, secondo in cui la mancata acquisizione della Dalmazia, promessa dal patto di Londra e di Fiume aveva dimostrato tutta la debolezza e lo spirito rinunciatario della classe dirigente liberale. Questo pensiero di rivincita, guidò il Settembre 1919 Gabriele d'Annunzio alla guida di un corpo di volontari, prese militarmente possesso della città di Fiume. L’occupazione violava palesemente i patti internazionali, e si protrasse fino al 1920. La situazione si bloccò nel Novembre del 1920 quando il governo Giolitti mise fine con la forza all'occupazione di Fiume e siglò con la jugoslavia il TRATTATO DI RAPALLO: Fiume veniva dichiarata città libera, mentre l'Italia erano riconosciute Trieste, Gorizia, tutta l'Istria e la città di Zara. Se da un lato la classe dirigente liberale riuscì a tenere a freno le pressioni del movimento operaio e contadino, e a risolvere la complessa questione fiumana, dall’altro vide seriamente compromesso il proprio tradizionale controllo sul parlamento dalla presenza di nuovi soggetti politici non solo più parlamentari, ma diffusi e radicati sul territorio. Nel Gennaio 1919 era stato fondato da DON LUIGI STURZO il partito italiano, una formazione che, pur presentandosi come laica e non confessionale, doveva dare voce ai cattolici italiani e raccogliere tutto il cattolicesimo militante dell'epoca. Questo partito avanzò un vasto programma di riforme, tra cui la riforma agraria, una legislazione sociale più efficiente, però coesistevano comunque diverse tendenze, dalla sinistra progressista legata soprattutto al movimento contadino, alla destra guidata da padre Gemelli. Sempre nel 1919 il quadro politico italiano si arricchì di una nuova formazione: il 23 marzo, BENITO MUSSOLINI fondò a milano i FASCI DI COMBATTIMENTO (movimento), che mescolavano alcuni punti della tradizione democratica e socialista, come la richiesta dell'assemblea costituente, con istanze nazionalistiche e autoritarie, raccolsero il sostegno di nazionalisti, futuristi, reduci di guerra. Alle elezioni politiche del novembre 1919, mentre il movimento mussoliniano rimase del tutto marginale, si affermarono i due partiti di massa estremi al sistema liberale, ovvero popolari e socialisti. Nel 1919 quando al governo c’era Nitti, fi approvato il meccanismo del panachage, un sistema volto a garantire all’elettore una maggior libertà di scelta tra i candidati delle diverse liste. Non fu tuttavia sufficiente a impedire l’affermazione dei partiti organizzati, mentre i liberali non riuscirono a riunirsi in una compagine unitaria neppure all’interno del parlamento. Il movimento dei fasci di combattimento a milano ottennero solo circa 4.000 voti. Perduta quindi la maggioranza assoluta in parlamento, i liberali, con il nuovo governo di Giolitti entrato in carica nel 1920, si trovarono ad affrontare una situazione di crescente instabilità. Infatti nel corso dell’estate culminò nell’occupazione di diverse fabbriche a Torino, il fascismo di mussolini, forte nell’appoggio della grande proprietà terriera in Emilia e Toscana, cominciò ad organizzarsi in vere e proprie squadre paramilitari, scatenando una violenta tensione sociale. Accreditandosi come forza di rinnovamento politico e culturale e come baluardo degli interessi degli imprenditori (soprattutto agrari) e dei ceti medi, il fascismo, attraverso le camice nere in armi, avviò una sistematica opera di distruzione delle strutture e delle organizzazioni del mondo del lavoro. La strategia delle spedizioni fasciste, che consisteva nel devastare ed incendiare sedi delle leghe, case del popolo, redazioni, ecc, crebbe fino ad arrivare ad attaccare le amministrazioni comunali guidate da giunte “rosse”, come avvenne a Bologna in quell’anno. Nel giro di 10 mesi i fascisti riuscirono a smantellare quasi completamente la rete delle strutture socialiste e operaie. Di fronte al dilagare della violenza armata fascista, esplosero definitivamente le profonde divisioni da tempo presenti all’interno del movimento socialista. Per aderire alla III internazionale il partito socialista avrebbe dovuto accettare i 21 punti indicati da Lenin. La questione venne affrontata al CONGRESSO DI LIVORNO nel gennaio 1921 e in quella sede si produsse la scissione definitiva del partito. Il gruppo formato da BORDIGA, TERRACINI fondò il partito comunista italiano, sezione dell'internazionale comunista. Al nuovo partito aderì anche l'ordine nuovo dove operavano da tempo alcuni giovani intellettuali come GRAMSCI e TOGLIATTI. La nascita del PDC'I non mise comunque fine alle divisioni interne al gruppo socialista, nel congresso del partito del 1922 si ebbe la fuoriuscita delle frazioni riformista di TURATI E MATTEOTTI che diedero vita al partito socialista unitario al quale aderì la maggior parte del gruppo parlamentare socialista. La scissione del congresso di Livorno e il graduale riflusso delle loro lotte operaie del “biennio rosso” diedero a Giolitti la speranza di ristabilire l’ordine e la pace sociale nel paese creando un vasto blocco nazionale in funzione antisocialista. Nella speranza che questa operazione riportasse alla legalità i fasci mussoliniani, furono inserite nelle liste del blocco nazionale anche candidature fasciste. Il risultato delle elezioni, che non modificava sostanzialmente il quadro parlamentare rispetto a quello del 1919, portò però all’ingresso in parlamento di 35 deputati fascisti tra cui Mussolini. Mussolini pur cercando una mediazione tra le violenze quadriste e la strategia legalitaria, non intendeva abbandonare il capitale dei crescenti consensi che il suo movimento stava incontrando in alcuni settori della grande industria, fra quelli liberali e nell’area più conservatrice del mondo cattolico. Il 7 novembre Mussolini trasformò i fasci in partito, nonostante una vivace resistenza interna alimentata dall’opposizione di Grandi. I Fasci assunsero così il nome di partito nazionale fascista. La crisi precipitò nel corso del 1922. Mentre l’esecutivo non fu in grado di ristabilire l’ordine pubblico ed esprimere un chiaro indirizzo politico, Mussolini riusciva a irrobustire ulteriormente i propri consensi. Mussolini dopo aver garantivano effetti civili al matrimonio religioso. La firma dei patti non significò comunque un totale asservimento della chiesa al fascismo. I patti lateranensi invece furono un grande successo propagandistico per il regime, in quanto mussolini potè accreditarsi come leader che era riuscito là dove tutti i governi liberali avevano fallito. Nel marzo 1929 alle elezioni politiche la lista unica fascista ottenne il 98% dei consensi. Alle soglie degli anni 30 ormai lo stato italiano era completamente sottoposto al controllo del regime fascista e l’opposizione interna era stata completamente debellata. Gli avversari erano stati incarcerati, uccisi, o si trovavano in esilio. Essi infatti si diressero soprattutto in Francia e fondarono a Parigi nel 1927 la Concentrazione antifascista e poi nel 1929 il movimento Giustizia e Libertà. L’equilibrio del fascismo si ruppe quando nel 1935 il duce volle ancora una volta mostrare che il fascismo sarebbe riuscito là dove il liberalismo aveva fallito. Nel 1935 l'avvio della campagna per la conquista dell'Etiopia, e il successivo allineamento con la Germania nazista accentuarono nel giro di pochi anni la vocazione totalitaria del regime. Infatti nel 1938 furono varate le leggi antisemite per la difesa della razza ariana e fu scritto il MANIFESTO DEGLI SCIENZIATI RAZZISTI che affermava l'esistenza di una razza italiana pura. Le leggi del 1938 ricalarono la legislazione antisemita calata da Hitler nel 1935: prevedevano l’espulsione degli ebrei stranieri, il divieto di matrimonio misto e l’esclusione degli ebrei dall’esercito, dall’insegnamento e dalle carche pubbliche. La svolta antisemita cominciò a incrinare il forte consenso popolare che il regime si era costruito negli anni 30. Da un lato i giovani militanti del PNF trovarono in essa una spinta rivoluzionaria, dall’altro però, la maggior parte degli italiani reagì con perplessità e soprattutto il mondo cattolico cominciò a dividersi sul consenso a queste misure della politica mussoliniana. Il Fascismo, che dal punto di vista ideologico era antidemocratico, antiliberale e antirazionalista, mirò al controllo totalitario della popolazione attraverso la politicizzazione in senso fascista della società civile, che veniva chiamata a partecipare in massa alla costruzione dello stato organico e potente nel quale sarebbe cresciuto l'uomo nuovo fascista. 6.5 Il nazismo e il progetto politico hitleriano Il 30 gennaio 1933 Hidenburg nominò Hitler cancelliere credendo che avrebbe riportato la NSDAP nel solco della legalità costituzionale. Le elezioni furono fissate per il marzo successivo. Durante la campagna elettorale i nazisti scatenarono una vasta ondata di violenze che colpì soprattutto gli oppositori leati alle formazioni di sinistra. Sulla KPD venne fatto cadere la responsabilità dell'incendio che divampo nell'edificio reichstag nella notte del 27 febbraio, un pretesto che servì a Hitler per accusare i comunisti di essere in procinto di compiere un'azione eversiva. Alle elezioni la coalizione di destra ottenne 342 seggi di cui 288 andarono a nazisti, questa maggioranza non raggiungeva però i 2/3 necessari per attuare riforme costituzionali, e Hitler quindi chiese al parlamento che gli venissero accordati i pieni poteri. Si piegarono alla volontà del nuovo cancelliere tutti i partiti dell’arco costituzionale ad eccezione della SDP. Forte dei pieni poteri concessigli, Hitler procedette ad un’operazione sistematica di tutti gli apparati dello Stato. A Maggio fu creato il sindacato nazista del fronte del lavoro e il 14 luglio 1933 il parlamento nazionalsocialista fu dichiarato l'unico legale in Germania. Nel dicembre dello stesso anno una nuova riforma gettò le basi per una sempre maggiore compenetrazione tra stato e partito, la cosiddetta SINCRONIZZAZIONE. Essa stabiliva che i membri del partito godevano di uno statuto speciale, sottraendoli ai tribunali ordinari, e che il responsabile politico organizzativo del partito e il capo delle squadre d'assalto naziste, le SA diventavano membri di diritto del governo, in questo modo Hitler riusciva ad omogeneizzare l'amministrazione pubblica agli scopi del partito. La sincronizzazione permise di creare un regime autoritario a partito unico senza abrogare formalmente il sistema costituzionale preesistente. A questo punto si mise fine alla Costituzione di Weimar. A differenza del fascismo italiano, a Hitler furono sufficienti pochi mesi per portare a termine la costruzione dello stato nazista. Per prima cosa epurò le SA che mostravano eccessine velleità di autonomia. Nella notte del 30 giugno 1934, nota come la notte dei lunghi coltelli i vertici SA, a cominciare da ROHM, furono eliminati da un’altra milizia nazista, destinata a diventare da quel momento, le squadre di sicurezza: le SS guidate da HIMMLER. Alla morte di Hindenburg, Hitler potè aggiungere alla carica di cancelliere quella di capo dello stato e capo supremo dell’esercito e il 2 agosto si proclamò FUHRER del reich e del popolo tedesco. I partiti e gli oppositori del regime poterono organizzarsi solo in esilio. Il sistema di potere creato da Hitler trovava la propria legittimazione su 3 elementi principali: 1. Il popolo: rappresentava il referente astratto del potere del Furer e ne legittimava l’autorità. Proclamandosi mandatario del popolo, Hitler negava di derivare il suo potere da un atto di sopraffazione personale come nelle dittature tradizionali. 2. Lo stato: era stato sottoposto alla sincronizzazione mediante il sistema delle unioni personali tra esponenti del partito e ruoli della dirigenza politico-amministrativa. Il meccanismo della sincronizzazione non sempre poté essere applicato fino in fondo, specie nei settori tecnici dell’amministrazione e nell’esercito. Inoltre la supremazia della NSDAP dello stato nella germania nazista, fu a differenza del caso italiano indiscussa. 3. Il “movimento”: comprendeva non solo il partito ma anche tutte le organizzazioni di massa volute da Hitler per costruire i consenso e inquadrare la popolazione. Rientravano nella categoria del movimento la Gioventù hitleriana, il Fronte del lavoro e la Forza attraverso la gioia (per gestire il tempo libero e le attività ricreative dei cittadini tedeschi). Di esse il partito doveva costruire l’anima e l’èlite, occupandosi principalmente di organizzare la liturgia pubblica del regime e la mobilitazione di massa. Più che il partito, furono tuttavia le SS a costruire il nerbo di questa dinamica: esse si trasformarono via via nella vera èlite del popolo tedesco, in nucleo razzialmente puro nella nuova Grande Germania. Mentre il potere delle SS crebbe con il passare del tempo, il partito venne progressivamente depotenziato dalle funzioni politiche. Attraverso il terrore di massa, la violenza indiscriminata e un apparato propagandistico abilmente gestito da Goebbels, il nazionalsocialismo procedette sul doppio binario della costruzione della liturgia del regime e dell’eliminazione di oppositori e diversi. Sul piano propagandistico (radio ecc) il culto del capo e l’orgoglio patriottico fecero dell’ideologia nazista il punto di riferimento della vita pubblica e privata. La repressione degli oppositori politici e dei diversi come omosessuali, zingari, testimoni di geova, slavi, immigrati, vagabondi e soprattutto ebrei veniva giustificata in nome della difesa della razza ariana la minaccia delle razze parassite. Tutti costoro venivano rinchiusi in campi di concentramento. La reintroduzione della pena di morte e l’efficienza delle SS e della Gestapo ( polizia segreta ) permisero al nazismo di mettere in atto una campagna sistematica di igiene razziale. Il cuore dell'ideologia nazista era il concetto di razza, il programma antisemitico, che Hitler aveva già elaborato nel Mein Kampf: il darwinismosociale e per certi aspetti, la dottrina di oltreuomo, erano i suoi riferimenti teorici ideali, a cui il nazismo faceva ricordo per esaltare la volontà di potenza e la cultura della razza ariana. Oltre a questo ance il sostegno all’incremento demografico e la conquista de territori ad est, presenti come “spazio vitale” per il futuro della popolazione tedesca. In questo disegno la repressione della comunità ebraica tedesca fu un escalation ed ebbe il culmine dell'epurazione venne raggiunto nel 1942 con la soluzione finale. Già nel 1933 furono epurati gli ebrei impiegati nell'amministrazione statale e comunale e una serie di provvedimenti che li escludeva dalla professione di docenti. Nel 1935 vennero varate le LEGGI DI NORIMBERGA che privarono gli ebrei della parità dei diritti con gli altri cittadini tedeschi e vietarono i matrimoni misti. Dalla discriminazione legislativa si passò alla discriminazione violenta, con la NOTTE DEI CRISTALLI tra il 9 e 10 novembre 1938, dove furono saccheggiati più di 4.000 negozi di ebrei, 91 persone assassinate e 200 sinagoghe incendiate. L’altro elemento fondamentale che agevolò la costruzione del consenso al regime di hitler fu la ripresa economica. Hitler mise in atto una politica economica di espansione della spesa pubblica per creare nuovi posti di lavoro e assicurare alla Germania un massiccio riarmo. L'aumentata produzione dell'industria pesante e una politica di grandi opere pubbliche riuscirono in pochi anni ad assorbire quasi completamente la disoccupazione. La ripresa produttiva favorì inoltre la crescita dei redditi e dei consumi, mentre costruzione della rete autostradale incentivò la motorizzazione privata. Meno efficaci si dimostrarono invece le misure a favore dei contadini. Nessun intervento strutturale venne intrapreso per ridurre la grande proprietà fondiaria delle regioni orientali e quasi inesistenti furono i provvedimenti per favorire la meccanizzazione del lavoro agricolo. Queste difficoltà non modificarono comunque i piani di Hitler e nel 1938, in assenza di accordi commerciali con altri paesi, l’economia tedesca soffriva di un deficit pubblico elevato e della mancanza di materie prime ad eccezione del carbone. Il regime hitleriano dedicò particolare cura alla legislazione sociale e all’assistenza dei lavoratori. Lo stato si impegnò in una politica sociale e assistenziale, cercando anche di mantenere bassi i prezzi dei beni di consumo, e favorire l’aumento dei salari reali. Completamente emarginate dalla vita lavorativa furono le donne, che furono oggetto di una vera e propria sacralizzazione da parte del nazismo, ma solo perché procreatrici della razza ariana. Grazie alla forza della propaganda e della durezza della repressione, il regime riuscì a garantirsi un solido consenso presso il popolo tedesco. Anche i successi ottenuti in ambito economico e sociale, l’esercito, e la debole resistenza che proveniva da chiese, furono fattori di politica interna che contribuirono al radicamento della dittatura hitleriana. Anche alla politica estera contribuì a cementare il consenso verso il regime. Coerentemente con questo disegno, Hitler fece uscire nel 1933, la germania dalla Società delle Nazioni e l’anno successivo tentò di annettere l’Austria, ma l’impresa fu sventata per l’opposizione delle potenze occidentali e dello stesso Mussolini, che era all’epoca ancora tra i sostenitori dell’equilibrio del 1919. Nel marzo 1936 Hitler fece occupare dall’esercito tedesco la regione della Renania. Da quel momento in poi la mobilitazione bellica divenne incessantemente e l’allineamento con l’italia di mussolini, mandò in frantumi i precari equilibri del sistema internazionale creato dopo la 1GM. 6.6 Lo stalinismo Prima della morte ( 24 ge 1924) Lenin scrive un testamento politico. Preoccupato per suo successore. Stalin troppo potente e antepone suoi problemi a quelli partito. Trockij troppo sicuro se. Bucharin dubbia coerenza marxista delle idee. Bisogna inoltre riorganizzare le strutture del governo e del partito. Nello stesso anno , finisce la stesura della costituzione dell’unione delle repubbliche sovietiche socialiste. Organi principali dello stato federale sono: Congresso dei deputati del popolo e Comitato esecutivo centrale. Il primo eletto a suffragio ristretto ed indiretto, esclusi dal voto coloro che potevano essere una minaccia ( es. ex proprietari terrieri). Congresso si riunisce ogni due anni e delega poteri a : Comitato esecutivo centrale formato a sua volta da : Soviet dell’Unione e Soviet delle Nazionalità. Primi, 400 eletti da congresso, secondi nominati da rappresentanti delle repubbliche. Il secondo, ovvero, il Comitato esecutivo si riuniva due volte all’anno e in sua assenza durante l’anno poteri affidati al Presidium e al Consiglio dei commissari del popolo. Questo impianto garantisce un controllo minimo sull’Unione, il controllo maggiore sul vasto territorio è dovuto alla presenza del partito all’interno delle istituzioni. Anche perché il leader dell’unione è anche segretario del partito comunista. Dopo morte Lenin parte bolscevica lotta per la successione attraverso riforme economiche. La sinistra, con Trockij, tende alla stimolazione della produzione industriale aumentando carico fiscale su agricoltura. Destra, con Bucharin, invece per sostegno agricoltura. Tutti altri leader come Stalin( 1922 capo segreteria comitato centrale) no interesse per riforme economiche ma di potere personale. Tutti sostengono la destra. Tutti contro Trockij: 1) repentaglio accordi industria-campagna. 2) denuncia eccessivo centralismo partito. Dicembre 1923 su Pradva “ il nuovo corso” denuncia il bisogno di un autentica democratizzazione del partito. Potere decisionale ai militari e potere esecutivo a dirigenza. Per questo discorso perde guida dell’Armata Rossa. Nel 1925 Stalin parla di “ socialismo in un solo paese” tentando una rivoluzione in nome dello sviluppo del sistema comunista. Agricoltura in massima espansione. 1926 kamenev, Zinov’ev e Trockij danno vita ad opposizione unificata contro Bucharin e Stalin accusati di riportare URSS a sistema capitalista. Opposizione unificata sconfitta con : Trockij in esilio in Asia centrale, K. E Z. ritrattano. Stalin da vita a un partito con dimensione di massa, 1,3 milioni di militanti. Stalin affronta il problema dell’ammasso di grano del 1927 attraverso le requisizioni forzate. Abbandona quindi linea di Bucharin e di collaborazione con campagne. Bucharin per contrastarlo pubblica nel settembre del 1928 su Pradva “ note di un economista” ma stalin no affronta su base economica ma politica mettendo in dubbio la sua appartenenza alla Destra. Comitato centrale lo espelle per “deviazione di destra”. Stalin fa espellere anche Trockij. Piano quinquennale di sviluppo, avviato ottobre 1928 , completato in quattro anni e tre mesi. Cerca di portare paese a posizione per competere con altri paesi industrializzati. Piano consiste nell’ aumento industria pesante, produzione macchinari ed infrastrutture. 1928/32 8.000 nuove industrie e forza lavoro da campagne a città. 1930 fenomeno di collettivizzazione forzata: contadini in fattorie collettive e classe piu ricca di contadini oggetto di liquidazione di classe ( uccisi o deportati). Reazione dei kulaki e dei Kolchoz. Arresti di massa portano alla formazione dei Campi di lavoro ( gulag) anni ’30 sono componente importante dell’economia sovietica. Istituita Amministrazione generale dei campi. 1940 ci sono 50 campi con 1milione di detenuti. 30% muore per il freddo.=> Regime del terrore (apice 34-37). Anni ’30 nascita del culto di Stalin e riorganizzazione partito. Tra 1936/38 Grande terrore e processi farsa. 16 oppositori tra cui K. e Z. giustiziati. Anni successivi pure Bucharin. 1940 Trockij, in messico, ucciso sicario Stalin. Stalin ha potere assoluto e totale. Parliamo di religione politica incentrata su culto del dittatore e recupero vecchi ideali patriottici. Struttura economica paese cambia profondamente. URSS terza potenza industriale dopo USA e Germania. Oscurantismo e censura mezzi d’informazione fanno si che questa ripresa economica venga presa con entusiasmo, coprendo il fatto che tutto ciò portò a enormi costi umani: 8,5 milioni di decessi e carestia in Ucraina. 6.7 Gli Stati Uniti dalla Grande Guerra al New Deal Primi 20anni 900 in USA: età progressista. Riforme su 3 linee principali:1) estensione funzioni governo federale 2) limitazione influenza dei grandi potentati economici 3) rafforzo della democratizzazione attraverso maggior partecipazione popolo a vita politica. Avvento democrazia nazionale organizzata. Questa fase di riforma ha inizio nel 1901 con elezione Theodor Roosevelt a presidente. Roosevelt progressista del Partito repubblicano. Politica estera rafforza pressioni imperiali su centro e sud America e Panama diventa protettorato nel 1903. Politica interna contrasta poteri delle CORPORATIONS perché dovrebbero stare sotto controllo potere federale. Primi provvedimenti di tutela sociale: leggi su lavoro minorile e femminile, uffici pubblici per collocazione disoccupati, assicurazione infortuni su lavoro e comparsa in alcuni stati del Referendum. Elezioni partito repubblicano 1912 a capo Woodrow Wilson. Porta avanti impegno progressista. 1916 Wilson diventa presidente USA, 1917 USA entra nel conflitto mondiale. 1919-20 USA breve e intensa recessione economica, “paura rossa”, scioperi operai. Nasce partito comunista nel 1919 a Chicago, insieme a immigrati sindacalisti etc. sotto il mirino violente campagne delle forze dell’ordine. 1920 due importanti emendamenti: 1) Costituzione vieta produzione ed esportazione bevande alcoliche. 2) suffragio femminile. Superata depressione dopoguerra, USA incontra un boom economico. Dominio finanziario e al centro del capitalismo mondiale. Il PIL aumenta del 40%. Boom dovuto alla nascita del consumo individuale: elettrodomestici e automobili. Capacità di consumo non ben distribuita. Cambia l’occupazione del tempo: cinema, eventi sportivi etc. Tutto ciò porta ad un ondata speculativa causa della crisi del 1929. Lo sviluppo di determinati settori consente l’accesso delle società finanziarie e delle banche nei consigli d’amministrazione delle corporations nazionali. Nascono quindi gli HOLDINGS: delle società che possedevano le quote azionarie delle maggiori imprese. Inoltre il governo consente la fusione aziendale anche quando va contro le norme di antitrust. Di conseguenza aumenta la quantità di denaro in circolazione, si riducono i tassi d’interesse incoraggiando così gli investimenti e le speculazioni in borsa. Negli anni venti riscuote grande successo il partito repubblicano prima guidato da Harding, poi da Coolidge ed infine da Hoover. Questa si basava al suo interno su una strategia liberalista e nella politica estera sul disimpegno diplomatico. Questi favoriscono l’accumulazione della ricchezza, riducono le imposte dirette e mantengono bassa la spesa pubblica. Tutto ciò li porta a riscuotere grande successo nelle classe di forte interesse economico-finanziario. come manifestazione dell’oppressione borghese. Nazismo evidenzia fragilità partito comunista e socialdemocratico tedesco e fragilità organizzazione geopolitica Europa. Internazionale cambia rotta grazie al mutamento delle politiche dell URSS. Stalin teme che l’avvento del nazismo porti ad un isolamento del suo paese. Dopo uscita della Germania dalla Società delle nazioni e dalla Conferenza di Ginevra, Stalin stringe legami con Francia ed Inghilterra. URSS entra nella Società delle nazioni nel 1934, ottenendo il patto franco-sovietico nel maggio 1935. L’atteggiamento di Stalin e il nuovo clima culturale portano favoriscono il passaggio da “fronte unico” a “fronte popolare” . Obbiettivi erano 1) impedire l’ascesa di gruppi di estrema destra al potere 2) la lotta al nazifascismo. Il passaggio al “fronte popolare” viene ufficializzato al VII Congresso dell’internazionale nel 1934. Questa nuova linea contribuì a ricompattare le organizzazioni del movimento operaio europeo, ma sul piano politico le alleanze tra partiti comunisti, socialisti e liberal progressisti in chiave antifascista ottennero risultati solo in Francia e Spagna. ( Spagna, febbraio 1936, coalizione di fronte popolare vince elezioni). In Francia, il Fronte popolare, formato da PCF, SFIO e radicali vinse le elezioni del maggio 1936. Il governo viene consegnato nelle mani di Blum, leader della SFIO. Questi varano importanti riforme: grandi lavori pubblici, Statuto per la Banca di Francia e l0obbligo scolastico fino ai 14 anni. Giugno 1936 varano gli accordi di Palazzo Matignon con sindacati e rappresentanti modo imprenditoriale. Questi accordi prevedono l’istituzione di contratti collettivi di lavoro, aumento dei salari, rinuncia sanzioni contro gli scioperi e approvazione libertà sindacale. Riusciranno poi a far approvare l’istituzione delle ferie pagate per 2 settimane e l’accorciamento della settimana lavorativa a 40 ore. Questa fase di grandi riforme ebbe vita breve. Blum dovette affrontare la crisi economica, di conseguenza rallentare le riforme e dovette affrontare la paura instauratasi nei ceti medi dopo i grandi scioperi dei lavoratori nelle grandi fabbriche. Nel 1937 Blum, perso l’appoggio degli imprenditori si dimette. Blum ritorna all’esecutivo con il suo fronte popolare nel 1938, tuttavia, messo in minoranza dal senato a causa di una sua richiesta di assunzione dei pieni poteri il governo Blum cade così come il Fronte Popolare. Sale al governo Eduard Daladier (radicale). 6.11 La Spagna dalla seconda repubblica alla guerra civile Spagna rientra nella scena internazionale grazie alla guerra civile che si svolge tra il 1936 ed il 1939. Nel 1923 in seguito ad un colpo di stato, Miguel Primo De Rivera instaura una dittatura militare per riportare l’ordine dopo il “triennio bolscevico” (1918-1921). In questo periodo si assistette ad un ampio malcontento e alla nascita di attività semi-insurrezionali. Rivera ottenne solo qualche successo in campo economico, ma per il resto contribuì ad innalzare il malcontento. Nel 1930 Rivera si dimette. 1931 il Re Alfonso XIII abdica. Nello stesso anno, i partiti tradizionali spagnoli proclamano la repubblica e convocano l’Assemblea Costituente cui lavori finiscono nel 1931. Qui si promulga la costituzione repubblicana, il suffragio universale, divisione stato-chiesa e la libertà religiosa. L’avvio della repubblica pone ancora più tensione tra i poteri forti tra loro contrastanti. L’istruzione pubblica viene affidata ad istituzioni pubbliche e non più religiose. Sotto il governo di Manuel Azana(1932-33) viene sciolto l’ordine dei gesuiti ed eliminata la congrua (tassa pagata dallo stato al clero). Tutto ciò porta settori del basso clero ad avere sentimenti antirepubblicani. Anche l’esercito viene riformato. Il governo vuole togliergli la sua autonomia per porla sotto il suo controllo. Allontana la vecchia guardia attraverso il pensionamento anticipato e apre scuole per ufficiali anche a sottoufficiali. Solo gli Africanistas, gli ufficiali di stanza nel Marocco spagnolo, riuscirono a mantenere la propria autonomia. Anche questi sviluppano risentimenti verso la repubblica. Anche i grandi proprietari terrieri vengono danneggiati attraverso una legge di redistribuzione delle terre. Tuttavia, questa legge varata nel 1932 fu abbastanza limitata poiché vi era indecisione sul da farsi con queste terre. Anche il quadro politico subisce profondi cambiamenti. A sinistra ci si trova divisi sugli obbiettivi : gli anarchici considerano poco incisive le riforme del governo. I radicali, contrari all’intervento limitato della proprietà privata. A destra, si formò la CEDA ( confederazione spagnola destre autonome) e la Falange di Josè Antonio Primo de Rivera, che ottenne presto finanziamenti da Mussolini per il suo stampo fascista. Nel 1933, vince le elezioni la CEDA. Inizia il Bienio negro, per intendersi, il ritorno ai vecchi poteri a discapito del biennio precedente, periodo di riforme. Inizia serie di sommosse, 1934-1936 , organizzate da anarchici e Partito comunista. Anche il Partito socialista ne prende parte sotto la guida di Largo Caballero. Inizio 1936, sciolto il parlamento, nuove elezioni. La sinistra forma un Fronte Popolare che vince le elezioni. Ciò porta tuttavia ad un tentativo di raggiungimento del potere, da parte della destra, attraverso la mano militare. Iniziativa portata avanti da Francisco Franco che nel luglio del 1936 guidò la ribellione delle guarnigioni di stanza di Monaco. Non vi è alcun intervento europeo. Sotto la guida della GB viene costituito Comitato di non intervento (GB, URSS, DH, IT, FR). Germania, Italia e URSS intervengono comunque. Le prime due sostengono le truppe di Franco, L’URSS i repubblicani, più precisamente il partito comunista. I volontari che accorsero da tutta Europa a sostegno dei repubblicani formarono le così dette Brigate Internazionali. I nazionalisti (Franco) sono sostenuti dalla chiesa, dalla maggior parte delle forze armate, dalle forze armate Italiane (terrestri) e di quelle tedesche ( aeree). Rasano al suolo Guernica il 27 aprile 1937. Le forze repubblicane si dividono. Estrema sinistra e POUM : provvedimenti rivoluzionari di espropriazione e socializzazione delle terre. I comunisti, conduzione della guerra. Queste divisioni fanno venir meno gli aiuti internazionali. Franco chiude guerra inizi 1939. Conquista prima Barcellona e a distanza di due mesi Madrid. 1 Aprile 1939 pubblicato il bollettino della vittoria finale. CAPITOLO 7 – POLITICHE ESTERE A CONFRONTO NEGLI ANNI TRA LE DUE GUERRE 7.1 La questione irlandese: un problema irrisolto La classe politica inglese si trova ad affrontare il problema di avere sotto il suo potere uno Stato multiculturale composto da Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda. Per Galles e Scozia non si presenta alcun problema in fatto di integrazione a causa delle differenze culturali, ciò avviene però per l’Irlanda. Qui, all’interno vi erano sia le proteste dei fittavoli (affittuari) per il costo delle terre e sia scontri tra la maggioranza cattolica nazionalista e la minoranza protestante del nord-est. Vengono utilizzate due armi : quella dell’ostruzionismo all’interno del parlamento per mano dei deputati nazionalisti guidati da Parnell e quella delle campagne d’intimidazione e proteste sotto la guida dei Feniani e dalla Irish Land League. Nel 1886 fallisce il disegno di legge della Home Rule irlandese proposto da Gladstone. Questo causa la nascita, nel 1896 del Partito repubblicano socialista irlandese guidato da James Connolly e nel 1905 del Sinn Fein fondato da Arthur Griffith. Dopo vittoria nel 1906 dei liberali, speranza di non ritorno della questione, tuttavia con crisi politico-istituzionale 1909-11 irlandesi si aggiudicano 82 parlamentari. Home Rule approvata tra aprile 1912 e maggio 1914. L’Home Rule prevede istituzione di un parlamento autonomo a Dublino e di conseguenza la riduzione di rappresentanti irlandesi al parlamento di Westminster. Tuttavia gli unionisti dell’Unster irlandesi, si professarono contrari alla formazione di un Parlamento irlandese. Formano l’Ulster Volunteer Force, sostenuti, inoltre da leader conservatore Bonar Law. 1914 rischio guerra civile. Fine tensioni a causa del primo conflitto mondiale. Home Rule sarebbe entrato in vigore primo anno dopo fine della guerra. Problema che ritorna nel 1916 quando Sinn Fein occupa la posta centrale di Dublino. Risposta di londra abbastanza dura. Insurrezione che dura una settimana. Repressa nel sangue: 318 morti, +2.000 feriti, 116 morti militari britannici. 15 condanne a morte verso capi insurrezione. Elezioni 1918: Nord prevalgono unionisti, meridione prevale presenza rappresentanti della Sinn Fein. Questi proclamano un Parlamento autonomo (1919) e indipendenza dell’Irlanda attraverso principio di autodeterminazione dei popoli istituito da Wilson nella conferenza di Parigi. Capo del governo è Eamon de Valera. Situazione difficile poiché non viene ancora riconosciuta indipendenza da parte dell’Inghilterra. Tra 1919-20 riiniziano scontri forze irlandesi (Sinn Fein e Irish Republican Army) contro forze britanniche. Per via della grandezza della rappresaglia, Lyon George costretto a concedere : Government of Ireland Act. Questo istituisce due parlamenti separati, uno nord e uno sud. Compromesso non soddisfacente peri il Dail. 6 Dicembre 1921, Lyon George trattato : proclama stato libero d’Irlanda, sei contee dell’Ulster al Regno Unito. La separazione del Nord Irlanda porta a guerra civile nel 1922. Nel 1927, dalla Sinn Fein si distacca un nuovo gruppo guidato da Eamon de Valera: Fianna Fàil. 1937 promulgata Costituzione repubblicana. Si passa da Free Irish State a Èire. Nel 1949 l’ Èire diventa ufficialmente indipendente. Nasce la Repubblica d’Irlanda. 7.2 Il fallimento del sistema di Versailles Dopo 1919, manca leadership forte interno Società delle Nazioni. Controllo sotto le mani di Francia e GB. GB 1922, accordi di limitazione degli armamenti navali con Giappone e USA. Francia alleanze con Belgio e Polonia (1920-21) e “piccola intesa” (Romania , Cecoslovacchia, regno jugoslavo). Francia vuole estendere influenza economica e accerchiare Germania. Progetto di stampo ottocentesco conferenza di Parigi per suoi progetti richiede imponenti finanziamenti economici. Problemi con il saldo dei debiti. Problema delle riparazioni per la Germania fa rinascere rivalità franco-tedesca. Dopo che Berlino usa tattica ostruzionistica per non pagare riparazioni, Francia e Belgio occupano il Ruhr. Questa occupazione mette un po’ in crisi decisioni del 1919. Grazie a questa crisi vi è una svolta nei rapporti tra Francia e Germania. Politica di stabilizzazione (1925-1929). Asdride Briand (Ministro Esteri francese), vuole uscire dall’isolamento provocato da occupazione Ruhr. Gustav Stresemann (Ministro Esteri tedesco) pone fine a resistenza passiva della Germania accettando in parte alcuni trattati per poter far uscire Germania da isolamento e riuscire a togliere qualche punto più pesante del Diktat a cui erano sottoposti. Patto di Locarno 1929. Germania accetta intangibilità confini Belgio e Francia, + smilitarizzazione Renania. Tutto ciò porta alla normalizzazione dell’assetto europeo: Francia trattati con Cecoslovacchia e Polonia, La Germania arbitrati con Francia, GB, Belgio, Cecoslovacchia e Polonia. Germania 1926 entra Società delle Nazioni. Trattato di Locarno lascia aperta questione dei confini orientali Germania. Critica posizione Unione sovietica che esclusa dal trattato sospetta rivendicazione tedesca verso est. U. sovietica si isola sempre più. Accresce l’autoritarismo. Rinascita economica fa si che i pesi vincitori inizino a pagare i debiti a USA e nel 1929 con piano Young debito tedesco si rateizza sempre più. 1929 Patto di Briand-Kellog tra Francia e USA. Sottoscritto anche da URSS, Italia e Germani. Patto stabilisce che bisogna escludere la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Con crisi del 1929 si comprende quanto sia difficile conciliare un sistema finanziario interdipendente con tendenze protezionistiche commerciali. A questo si aggiunge l’antagonismo che si crea tra fascismo, comunismo e liberal- democrazie. Nel 1929 il socialismo reale di Stalin inizia ad avere un senso. La debolezza della Società delle Nazioni viene evidenziata nel 1931 quando il Giappone invade militarmente la Manciuria. Il Giappone uscì poi definitivamente dalla Società delle Nazioni e proseguì all’invasione della Manciuria ( 1935-36). Crolla anche la stabilità della Conferenza sul disarmo (Ginevra 1932). Il riarmo tedesco inizia già prima del 1933. Avvento al potere di Hitler fa crollare stabilità internazionali. Con Mein Kampf Hitler prevede dominio tedeschi in Europa e formazione di nuovo ordine gerarchico al cui apice sta la razza ariano-tedesca. 1933 ritira Germania da Conferenza del disarmo e da Società delle nazioni. 1934 tentativo di annettere Austria (fallito). Hitler 1935 piano massiccio di riarmo e introduce coscrizione obbligatoria. Marzo 1936 rioccupazione della Renania. 7.3 Addomesticare Hitler: la politica dell’appeasement Vi fu poca risposta, da parte della grandi potenze europee, ai revisionismi tedeschi. La Francia e la GB inizialmente tentano la via dei negoziati. Questa strategia viene definita appeasement, e confida nel fatto che se si da la possibilità a Hitler di fare ciò che vuole, questo diminuisca la sua aggressività. La Francia era invece propensa ad una resistenza più decisiva, ne è un esempio la costruzione della linea Maginot nel 1930 (fortificazione confini franco-tedeschi). Francia e GB fanno questo perché non dispongono delle risorse economiche necessarie per battersi contro Hitler, Giappone, l’unione sovietica e le pressioni italiane in Africa. Affianco alla linea di appeasement, le due potenze tentano di migliorare i loro rapporti con Italia fascista e di riportare l’URSS all’interno delle vicende Europee. Nel 1934, l’URSS entrata a far parte della Società delle Nazioni e con Stalin aderisce al progetto di sicurezza “collettiva”. Nel 1935 stipulato patto franco-tedesco di non aggressione. Non ci sono più le grandi alleanze, ogni paese pensa a se. Tra 1934-36 programmi di riarmo Francia e GB, in risposta a riarmo tedesco e a mire espansionistiche Giappone e Italia. Clima peggiora quando dopo la Conferenza di Stresa tenutasi nel 1935, dove Mussolini promise di mantenere accordi del 1919, nell’ottobre dello stesso anno, le truppe di Mussolini invadono l’Etiopia. Fu una guerra totale, che coinvolse civili bombardati e deportati. Società delle nazioni risponde con una semplice accusa e non pesanti sanzioni economiche. 1936 Vittorio Emanuele II ha la corona di imperatore d’Etiopia. Italia, per guerra in Etiopia ottiene solidarietà Germania. Inizio alleanze tra paesi revisionisti. Mentre le potenze forti dell’ordine di Versailles continuarono sulla strada dell’appeasement e del non intervento. (es.francia). Inizio alleanze per la lotta al comunismo. 1936 Patto anticomintern tra Germania e Giappone. 1937 aderisce anche Italia, ed esce da società delle nazioni. Grande alleanza nel “triangolo politico mondiale” formato dai revisionismi autoritari di Roma, Berlino, Tokyo. Hitler abbatte ordine europeo attraverso annessione all’interno del Reich dei territori cui abitanti erano tedeschi. 1938 terminato progetto di Anschluss ovvero di annessione dell’Austria, dove Hitler con aiuto Mussolini riesce a mantenere governo nazista grazie ad un plebiscito. L’Anschluss fu sostenuto dal governo britannico ed ebbe gran successo dal punto di vista propagandistico sia economico. Settembre 1938 Hitler tenta di annettere la regione dei Sudeti in Cecoslovacchia. Difficile poiché Francia legata alla Cecoslovacchia. Destino dei Sudeti deciso da Conferenza di Monaco svoltasi tra il 29-30 settembre 1938. Partecipano Hitler, Mussolini, Chamberlain e presidente consiglio francese Daladier. Si decide di far annettere regione dei Sudeti a Hitler (in speranza che questo mantenesse la pace in europa). Convinzioni che spariscono immediatamente poiché sciolgono legami “piccola intesa” tra francia e paesi Europa orientale, allarme da parte URSS per espansione tedesca, e convinzione da parte di Hitler di poter ottenere tutti territori che vuole. 1939 Hitler divide Cecoslovacchia in 3 parti. Boemia e Moravia sotto controllo tedesco e Slovacchia apparentemente indipendente sotto un governo filonazista. Aprile 1939 Italia annette Albania. 1939 siglato patto d’acciaio tra Italia e Germania. Gran Bretagna irrigidisce politica e da garanzie indipendenza a Polonia di cui Hitler rivendica la Danzica e il corridoio che separa una parte della Prussia dalla Germania. Francia e GB avviano piccole alleanze con URSS. Tentativo è di fondate una alleanza antifascista forte. Stalin vede dei vantaggi nel possibile intervento di Francia e GB contro occupazione Polonia per mano Hitler. Hitler decide di tentare un accordo con Stalin. 23 Agosto 1939 patto di non aggressione tra Germania e URSS. Ne fa parte un patto segreto: unione sovietica ottiene Vistola, Bessarabia romena, Finlandia e altri stati baltici. Francia e GB firmano subito accordo difensivo con Polonia. 1 settembre 1939 Hitler varca confine polacco. 3 settembre 1939 Francia e GB dichiarano guerra a Germania. CAPITOLO 8 – LA SECONDA GUERRA MONDIALE 8.1 L’invasione della Polonia e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale Francia e GB non possono fare niente per difendere Polonia, rapidamente invasa. Esercito sovietico invade Polonia da est sotto obbligo del patto di non aggressione del 23 Agosto 1939. Inizio deportazioni e uccisioni Ebrei e classe Jugoslavia: resistenza come guerra di popolo. Formatasi nel giugno 1941 “Armata popolare di liberazione della Jugoslavia” guidata da Broz. Dimensione transnazionale e interetnica. Armata popolare espelle l’Asse dal proprio territorio tra il 1944-45 senza ausilio Armata rossa. Occupano nel 1945 Trieste e meridione Austria. Proclamano Trieste città autonoma dopo aver espulso partigiani italiani. Repressione che porta alla morte di migliaia di persone cui corpi furono gettati nelle Foibe (tra Istria e Venezia Giulia). Armata popolare lascia territorio ad angloamericani il 9 giugno 1945. Germania: gruppo di resistenza più importante Rosa Bianca composta da studenti universitari di Monaco. No organizzazione ed espansione come resto Europa. 20 luglio 1944 attentato ad Hitler per mano di ufficiali della Wehrmacht, Hitler solo ferito, giustiziati. Italia: nascita movimenti partigiani coincide con caduta regime fascista. Regime mussolini non cade per rivolte popolari ma per pessime condizioni e scarsa capacità di organizzazione dell’esercito. Mussolini arrestato da Vittorio Emanuele III il 25 luglio 1943 per far sopravvivere monarchia. Sostituito da Pietro Badoglio. Questo avvia trattative segrete con angloamericani x armistizio. 3 settembre 1943 firma dell’armistizio presso Cassibile (Siracusa). Badoglio ne annuncia la firma solo l’8 settembre. Germania teorizzato in precedenza piano Achse, in caso di rinuncia italiana, si ricorrse al disarmo di contingenti italiani. Re e Badoglio abbandonano Roma tra 8 e 9 settembre 1943, si rifugiano a Brindisi. Mussolini liberato, istituisce Repubblica sociale Italiana nel nord Italia. Sede del nuovo governo fascista a Salò. Totale dipendenza economica, politica e militare dal regime hitleriano. Nuova repubblica di Mussolini non acquisisce mai legittimità. Italia divisa in due : nord e centro sotto nazisti e fascisti repubblicani, sud sotto governo Badoglio. Nasce il vero e proprio fenomeno di Resistenza. Prime forme resistenza attiva: coloro che all’interno dell’esercito si rifiutano di cedere le armi ai tedeschi dopo armistizio. (Proteggono Roma, senza ordini, dall’avanzata tedesca). Resistenza in Sardegna e Balcani. Cefalonia, isola greca, divisione Acqui si oppone ad ultimatum di cessione delle armi. I tedeschi hanno la meglio grazie a rinforzi, divisione di Acqui no aiuti. Hitler fa fucilare 6.500 prigionieri italiani. Resistenza italiana sorge in zone di montagna e di collina. Questi gruppi erano Giustizia e libertà, legati al partito liberale, Le brigate Garibaldi, legate al partito comunista, Le brigate Matteotti legate al partito socialista e Le fiamme verdi e Osoppo legate alla Democrazia Cristiana. Le vicende di rivendicazione popolare si intrecciano con gli ideali partitici. 9 settembre 1943 fondato il Comitato di liberazione nazionale (CLN). Questo richiede governo di emanazione diretta da parte dei gruppi antifascisti, aspirano ad essere rappresentanti dell’Italia democratica . 1* congresso CLN, Bari, gennaio 1944. Scelta tra monarchia e repubblica affidata ad un prossimo referendum (dopo guerra). CLN Milano si trasforma in CLNAI (Comitato di liberazione nazionale alta Italia). CLNAI sotto Parri e Longo, assume direzione politica e militare resistenza delle regioni settentrionali. Compare figura di Palmiro Togliatti che fa rimandare l’elezione dell’Assemblea costituente a dopoguerra attraverso suffragio universale. Esilio per 18 anni, torna in Italia il 27 marzo 1944. Invita forze antifasciste ad abbandonare polemica contro la corona e formare un nuovo governo di unità nazionale. Le sue tesi sono dette “la svolta di Salerno”, queste trovano attuazione il 22 aprile 1944. Nasce primo governo di unità nazionale, sotto presidenza di Badoglio. Vittorio Emanuele comunica di voler lasciare il ruolo di luogotenente generale a figlio Umberto dopo che viene liberata Roma. Roma liberata nel giugno 1944. Insediato nuovo governo di unità nazionale (dopo liberazione Roma), guidato dal socialista riformista Ivanoe Bonomi. CLNAI accordo con commando alleato: alleati=> sostegno militare e finanziario, CLNAI=> smantellamento movimenti partigiani dopo guerra e pieno riconoscimento dell’autorità alleati. Resistenza si concentra su valli alpine e appenniniche . 1943 si formano primi gruppi di azione patriottica(GAP) , sostegno ai partigiani attraverso sabotaggio di gruppi fascisti repubblicani e nazisti. GAP responsabili non solo di grandi azioni indispensabili a liberazione italia ma anche della morte di Giovanni Gentile (15 aprile 1944), attentato colonna tedesca a Roma che rispose con uccisione di 335 civili sulle Fosse Ardeatine. Grandi città agiscono anche Squadre d’azione patriottica e Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà. Contribuiscono attraverso propaganda, trasporto armi, organizzazione sanitaria etc. + Resistenza civile (opposizione tedeschi senza armi). Estate 1944, Resistenza riesce a formare vere e proprie “Repubbliche partigiane” amministrate da autogoverno popolare. Vita breve. Autunno 1944 si fermano azioni partigiane. Avanzata angloamericana bloccata sulla linea Gotica da tedeschi. 1945 entrano a far parte della resistenza anche gruppi di combattimento dell’esercito italiano. 25 aprile 1945 fanno tutti parte dell’insurrezione generale proclamata dal CLNAI. 27 aprile 1945 brigata Garibaldi blocca autocolonna tedesca con cui viaggiava Mussolini, fucilati, appesi a testa in giù presso piazzale Loreto a Milano. 8.6 Yalta e Postdam: la nuova carte dell’Europa Germania tenta ultimo attacco su angloamericani presso la regione montuosa delle Ardenne in Belgio. Respinta avanzata. 1945 Tedeschi costretti a ritirarsi da tutti i territori occupati in Italia, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia. Germania bombardata incessantemente, Dresda febbraio 1945. Aprile e maggio liberate Italia ed Austria. Armata rossa circonda Berlino, crollo del Reich. Hitler si toglie la vita il 30 aprile 1945 . Resa firmata il 7 Maggio ed entrata in vigore 8 Maggio. In asia angloamericani hanno la meglio, tra 1944-45 riconquistate Filippine . 1945 tutti arcipelaghi Pacifico, occupati da giapponesi liberati. Giappone resiste. Nuovo presidente americano Harry S. Truman (Roosevelt muore 12 aprile 1945) scaglia nuova arma nucleare su Giappone. 6 Agosto 1945 bombardata Hiroshima (90.000 morti). 8 agosto 1945 URSS entra in guerra contro Giappone, occupa in poco tempo Manciuria e Corea. 9 agosto 1945 bombardata Nagasaki. 15 settembre 1945 imperato impone cessazione ostilità. 2 settembre 1945 firmata la resa senza condizioni. FINE SECONDA GUERRA MONDIALE. Già nell’ottobre 1944 Churchill accompagnato da Eden, Harriman (sostituto a Roosevelt) e Stalin affiancato da Molotov, si incontrarono a Mosca. Tracciano accordo informale sulle potenziali sfere d’influenza sovietica e angloamericana in Europa. Accordo modificato dai successivi sviluppi bellici. Nuovo incontro a febbraio 1942 a Yalta, Crimea. Futuro assetto Germania, ripartizioni di guerra, condizioni per entrata in guerra URSS contro Giappone , approvato governo polacco istituito da sovietici (devono farne parte componenti in esilio a Londra). Germania da suddividere in quattro zone e completa denazificazione. Approvano, Dichiarazione dell’Europa liberata=> popoli europei possono scegliere forma di governo mediante elezioni , ripristinato diritto di sovranità a popoli a cui era stato tolto. Si decide di portare avanti progetti della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1942. Durante conferenza di S. Francisco (aprile-giugno 1945) siglata Carta delle Nazioni Unite istitutiva per l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Costituita a sua volta da tre organi: Assemblea generale degli stati membri (inizialmente 50), Segretariato generale e un Consiglio di sicurezza (15 membri). USA, GB, URSS, FR, CH membri permanenti del C. di sicurezza. Rimane ancora indefinito il problema delle aree di influenza Europea e sorti Germania. Ultima conferenza dei 3 grandi si tiene a Potsdam tra luglio-agosto 1945. Componenti sono Stalin, Clement Attlee ( nuovo premier GB), Truman. Germania divisa in 4 regioni (una sotto controllo Francia). Supremazia sovietica in Europa centrale e orientale. URSS ottiene Prussia orientale, regioni orientali Polonia. Espulsione minoranze tedesche da Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia. No decise linee di risarcimento da imporre a Germania. Ogni potenza avrebbe gestito come vuole le riparazioni all’interno della regione da loro controllata. CAPITOLO 9 – IL RITORNO DELLE DEMOCRAZIE IN UN MONDO BIPOLARE 9.1 Da alleati a nemici: l’inizio della lunga guerra fredda Dopo Seconda guerra mondiale, Francia ammessa al tavolo dei vincitori, ma mantiene un ruolo di evidente inferiorità (poiché stata sotto mano di Hitler per 5 anni). GB vincitrice morale, ma difficoltà a mantenere grande impero coloniale di cui dispone. Vittoria resa possibile grazie ad aiuto USA. GB di conseguenza subordinata a USA. USA e URSS controllano politicamente ed economicamente stati europei continentali. USA, esce da guerra come grandissima potenza economica poiché controlla tutte le risorse aurifere europee, metà delle industrie e la maggior parte dei capitali finanziari. Superiorità militare. Possesso arma nucleare. URSS, vasto esercito, controlla una parte Europa continentale e dispone di risorse naturali. Tuttavia Industria e Agricoltura devastate da necessità belliche. Inizio di un bipolarismo a causa di sfiducia da parte di entrambe le potenze. Dopo Yalta, URSS occupa Bulgaria e Romania per avere piu ampio campo strategico, Jugoslavi invece occupano Trieste e Pola. Stalin pretende il controllo sovietico nei territori ad est dei fiumi Older e Neisse. Si decide allora di spartire il territorio della Germania in quattro aree di occupazione. Necessità di neutralizzare esercito tedesco. Stalin trasferisce Industrie e materie prime tedesche all’interno dell’Unione sovietica. USA non approva. Stalin affronta problema del regime di navigabilità degli stretti sul Mar Nero. Stretti chiusi da Turchia tra 1941-45. Tutto ciò porta a pensare che l’URSS non abbia placato propri desideri verso area mediterranea. 5 marzo 1946 Churchill, affiancato da presenza di Truman, tiene discorso al Westminster College (Missouri). Qui parla di una cortina di ferro ovvero di uno stato permanente di tensione internazionale, si hanno i primi segni dell’arrivo della guerra fredda. Viene quindi sviluppata una strategia di containment detta “dottrina Truman”. Bisogna contenere comunismo all’interno dei suoi confini incoraggiando paesi a non influenza comunista ad opporsi alla sua infiltrazione. Ciò avviene in vista dell’intervento di forze comuniste a sostegno della guerra civile greca, e delle continue pressioni sovietiche su Turchia, e la permanenza delle forze sovietiche nel nord dell’Iran. Dopo un discorso di Truman a difesa dei popoli liberi si può parlare di una vera e propria dichiarazione alla Guerra fredda. Congresso americano concede finanziamenti per combattere forze sovietiche in Grecia e Turchia. URSS si ritira da Iran perché ottiene rifornimenti petroliferi. In Polonia regna partito comunista, dove il governo guidato dal Comitato di liberazione collabora con Mosca. In Jugoslavia e Albania forze comuniste raggiungono potere senza sostegno Mosca. In Bulgaria e Romania i partiti comunisti assumono il potere solo tra 1947-48 grazie ad appoggio sovietico. Ungheria, vincono elezioni grazie a brogli e violenze nel 1947. Sovietizzazione completata nel febbraio 1948 dopo colpo di stato a Praga.=> Partito comunista costringe presidente della Repubblica ad eliminare governo con tutti i suoi ministri non comunisti. Inizio fase più importante della Guerra Fredda, contrapposizione Est e Ovest. URSS e USA. 9.2 Il ruolo degli accordi economici nella strategia della coesistenza nazionale Si decidono le sorti degli accordi economici del post-guerra mondiale . Luglio 1944, Conferenza di Bretton Woods, 45 Stati, stabilire relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi industrializzati. Creare mercato mondiale sul principio di libera coerenza. Ridimensionate norme protezionistiche e aperte a libero commercio aree adibite al commercio di soli alcuni stati. Istituito il Fondo monetario internazionale, questa deve istituire una adeguata riserva valutaria mondiale. Fondata l’Organizzazione internazionale del commercio, Banca mondiale. Viene stipulato inoltre a Ginevra nel 1947 il General Agreement on Tariffs and Trade, che stabilisce un abbassamento generale dei dazi doganali. Problema di fondo nel dopoguerra: collasso economico Europeo. Marshall mette appunto un piano di aiuti ai paesi europei. Questo piano viene chiamato: European Recovery Program, proposto nel giugno 1947. => stanziamento risorse in 4 anni. Inizialmente rivolto a tutti stati Europei anche quelli sotto URSS e la stessa. Conferenza di Parigi giugno 1947, Molotov sostiene che questo piano ostacoli l’indipendenza degli stati e che blocchi l’espansione sovietica. Vertice fallito. Convocato nuovo vertice nel luglio 1947 , aderiscono 16 nazioni (no stati est e Finlandia). Vienna e Praga interessati al piano Marshall ma no trattative per via di Molotov. Istituito documento: impegno statunitense per 22 miliardi in 48 mesi, ridotto poi a 17 miliardi. Istituita un’Organizzazione per la cooperazione economica europea. <= inefficace. Tutto ciò porta a rafforzare divisione in due blocchi Europa. Rafforzato da nascita Cominform, ovvero un Ufficio di informazione comunista istituito nel settembre 1947. Divisione anche economica : paesi est crescita economica grazie a imposizioni di Mosca. Europa occidentale, fino 1973 boom economico. 9.3 Tra welfare state e società del benessere Europa esce distrutta da secondo conflitto mondiale. Lo stato non viene più visto come potenza “warfare” ma come “welfare” ovvero come stato che si interessa al benessere dei propri cittadini. USA: benessere inteso come accesso ai beni di massa. EU: stato come erogatore di servizi. Formazione di nuovi diritti di cittadinanza=patto sociale. Lo stato promuove la dignità individuale all’interno di una collettività. Marshall nel 1949 distingue tre cittadinanze: giuridica, politica e sociale. Si cerca di porre fine alle lotte di classe iniziate con l’industrializzazione, vita in fabbrica deve unire. Nuove Carte costituzionali di tipo programmatico e descrittivo (principi ordine sociale). Cambiamenti causati anche dalla crisi del ’29. Keynes: stato deve attuare politiche di sostegno ai consumi e alla domanda di beni per garantire occupazione, stabilità e dinamismo. GB stato sociale nel 1945. Laburisti al potere, provvedimenti di legislazione sociale (sistema di assicurazioni obbligatorie, salario minimo nazionale, assegni familiari etc.). Tipologia di Stato sociale ripresa da Francia e Svizzera. Italia dibattito. Belgio e Olanda estensione dei sussidi. Svezia ampie garanzie sociali finanziate da pressione fiscale. Repubblica federale tedesca, nata dopo divisione 1949, benessere sociale indispensabile alla sopravvivenza della politica, favorire ricostruzione e ripresa economica , e far notare l’utilità del vivere all’interno di uno stato basato su un economia sociale di mercato. Welfare state: boom economico. Rivoluzione dei consumi e stili di vita. Europa si avvicina all’ American way of life. Possiamo parlare di democratizzazione dei consumi. Contrario a questo sviluppo fu Galbraith, poiché cittadini considerati in funzione delle loro capacità di consumo. Vuole evidenziare la nascita di una società di consumi. 9.4 La divisione della Germania Dopo conferenza di Yalta e resa tedesca il 5 giugno 1945, governo sotto Comando supremo dei nuovi occupanti delle quattro nuove regioni tedesche: FR, USA, GB, URSS. Amministrazione quadripartita su Berlino. Berlino divisa in zona est : URSS e zona ovest: FR, USA,GB. URSS area orientale Germania. USA: regioni meridionali, regioni centro-occidentali. FR: aree sud-occidentali. GB: area centro settentrionale. A Conferenza di Potsdam tra luglio- agosto 1945, regolato comportamento occupanti verso tedeschi. Attivato protocollo delle “quattro D”. Democratizzazione, denazificazione, demilitarizzazione, decartellizzazione e decentralizzazione. Ognuno interpreta regole come vuole, applicazione politiche autonome. Processo di Norimberga, tenutosi sotto presidenza corte paritetica interalleata. Processo doveva essere esempio su come realizzare piano di denazificazione. Sentenza finale => riconosciuto come organizzazione criminale nazista solo Partito nazionalsocialista, SS, SA, Gestapo escludendo governo e stato maggiore militare. Assoluzione di Fritzche, Papen e Schacht. Sentenza in parte politica e in parte giuridica. Riavviata ricostruzione stato in modi diversi: GB=> promozione strutture embrionali di autogoverno. USA=> pubblicazione testate giornalistiche, rieducazione politica, opera denazificazione rallentata per opera anticomunista. 1946 accordo ministro Esteri GB Bevin e segretario di stato USA Byrnes => zone unite formando la Bizona. Fr: si avvicina alla Deutschlandpolitik USA. Formata la Trizona dopo conferenza di Londra febbraio 1948, tra tre potenze e paesi di Benelux (P.bassi, Belgio, Lussemburgo). Decisioni => applicato piano Marshall e teorizzato governo autonomo per Germania occidentale. Sovietici, dopo unificazione, accusano altre potenze di non aver rispettato patto di Potsdam. URSS esce da interallenza il 20 marzo 1948. Primi a non seguire patto di Potsdam : URSS. No rinascita e ricostruzione attraverso democratizzazione, ma unificazione forzata tra socialdemocratici e comunisti: nascita Sozialistische Einheitspartei Deutschalnds (SED). USA, vuole dare slancio economico Germania occidentale. Riforma monetaria 18 giugno 1948. Operativa 20 giugno 1948. Sostituzione reichmark in Deutesche mark. Fine controllo sui prezzi e sui salari. Slancio per economia sociale di mercato. 23 giugno 1948 cambio moneta anche in Germania orientale. Deutschemark-ost. 24 giugno 1948 URSS blocca entrata a Berlino ed estende prorpia moneta anche sulla parte ovest. USA tra 24 e 25 blocco rifornimenti carbone e acciaio, ponte aereo che mantiene riforniti berlinesi. Preparatisi al conflitto, USA trasferiscono caccia 1939, esercito Franco entra a Madrid, fine giovane repubblica spagnola. Inizio secondo conflitto mondiale, spagna si sta ancora riprendendo da conflitti interni. Franco non interviene al fianco dell’Asse. Quando falliscono regimi fascisti e nazisti, dichiara che il regime non ha alcuna impronta di tale tipo. Leggi che caratterizzano questo regime approvate tra 1938 e 1947 : -Fuero de lavoro : istituisce sindacato unico sotto controllo Falange. Luglio 1942 legge sulle Cortes : tolto al parlamento carattere di rappresentanza sovranità popolare e potere legislativo. Cortes: istituto composto da membri designati da capo dello stato (falange, rettori sindaci etc.). Si riconosce inoltre al capo di stato il potere legislativo. Ottobre 1945 capo di stato potere di indire Referendum. Due anni dopo spagnoli chiamati ad approvare legge di successione. Istituito nuovamente Regno di Spagna, con Franco come capo di stato. Solo a Franco designato potere di decidere su chi sarà suo successore. => maschio, della casa reale, almeno trent’anni, spagnolo e cattolico. Franco fa apparire Spagna come Regno denazificato, altre potenze ne vedono una base di ispirazione Mussoliniana. 1946 ONU riconosce Spagna come regime non democratico e invita a non farla entrare all’interno degli organismi internazionali. ONU, 1948 attenua rigidità verso Spagna. Guerra in Corea, pone fine definitivamente a isolazionismo della Spagna. USA vogliono Spagna all’interno del sistema di sicurezza . Settembre 1953 USA da riconoscimento ufficiale a Spagna, riconoscimento ufficiale e aiuti economici, in cambio concessione basi militari. 1953 Vaticano firma con Spagna accordo che riconosce Franco come governatore cattolico. 1955 Spagna entra nell’ONU. Spagna consolida strutture internazionali. Opposizioni interne debellate completamente. Altri problemi su fronte economico nonostante aiuti USA. Nuovo indirizzo economico affidato a studiosi dell’Opus Dei. A partire 1957 questi funzionari avviano opera di razionalizzazione amministrativa e stabilizzazione economica. Risanamento del bilancio e provvedimenti di liberalizzazione. Governo: agevolazioni fiscali, incentivi x aziende, modifica legislazione su investimenti stranieri in Spagna. Crescita economica all’insegna del basso costo della mano d’opera e bassa pressione fiscale. Problemi: crescita disordinata e natura dittatoriale del regime. Costante immigrazione verso l’estero. Tenore di vita bassissimo. Manifestazioni , rivendicazioni economiche etc. si confondono con movimenti contro il regime: inizialmente regime risponde con repressione, dal 1966 inizio di emanazione di leggi come nuova legge sulla stampa e 1967 riconosciuta libertà di culto. Settori metodo cattolico accusano regime per poca coerenza verso suoi principi. Franco deve affrontare sviluppo della società e immobilismo politico del regime. Classe politica divisa: 1) coloro che erano disposti ad una apertura per allargare basi partecipazione politica. 2) coloro che tendono al mantenimento dell’immobilismo, e rivendicano il ritorno alla monarchia. 22 luglio 1969 Franco designa come suo successore il principe Juan Carlos di Borbone. La crisi del regime si accentua data le continue proteste e l’adozione di misure repressive. 10.4 Il consolidamento della Jugoslavia di Tito In Jugoslavia secondo conflitto mondiale finisce il 15 maggio 1945. L’occupazione del paese (durata fino a 1941) e la divisione di questo tra Italia, Bulgaria e Ungheria accresce lo scontento che da vita alla Resistenza jugoslava contro il nazifascismo. Lotta contro nemico assume carattere di guerra civile. All’interno della resistenza due correnti: uno ad impronta nazionalista e una ad impronta comunista di Tito. Tito a partire dal 1945, si pone alla guida del paese per ricostruirlo. 11 novembre 1945, elezioni assemblea costituente. Confermata leadership comunista. Scelta la forma stato repubblicana. 31 gennaio 1946 approvata Costituzione (su modello sovietico)=> Jugoslavia composta da 6 repubbliche: Croazia, Serbia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia. Kosovo e Vojvodina provincie autonome. Governo centrale pieni poteri, entità federali alcune forme di autonomia amministrativa. 1946 Tito, epurazione coloro che erano interpreti di ideali nazionalisti che affliggono Jugoslavia durante secondo conflitto mondiale. Processi contro leader dei guerriglieri serbi ( leader cetnico) Mihailovic, condannato a morte. Processo contro arcivescovo cattolico Stepinac, condannato a 16 anni di reclusione. Aperta questione per controllo su Trieste. Trieste occupata 1 maggio 1945 da forze partigiane, instaurano governo civile. Tito sotto pressioni sovietiche ritira proprie truppe. Sotto trattative diplomatiche angloamericane, 1945 Trieste divisa in due: Trieste a Italia e parte sud a Jugoslavia. Trattato di Osimo 1947, sanciti confini Italia, Jugoslavia, riconosciuti poi sa altri stati nel 1991. Tito concentra inizialmente potere nel Fronte popolare. Introduzione sistema socialista (dopo dettami imposti da URSS) attraverso nazionalizzazione imprese e ampia riforma agraria. Il protagonismo politico di Tito nel blocco socialista e partecipazione Jugoslavia nella guerra civile greca e progetto di Confederazione balcanica, irrita Stalin. 1948 Stalin accusa all’interno del Cominform , Tito di deviazionismo ideologico e ne ordina espulsione da partito comunista jugoslavo. Ciò non avviene. Si crea uno scisma e paesi occidentali si schierano dalla parte di Tito. Tito vede la propria indipendenza da URSS come vantaggio, aiutato economicamente da piano Marshall, riceve assistenza militare. Dopo scisma, espelle dal partito tutti i “comiformisti”. Avvio collettivizzazione delle campagna (disappunto da parte dei contadini), per recuperare consensi, fa tornare la gestione della campagne ad una logica non collettivistica. Anni cinquanta, politica jugoslava, decentramento all’interno del partito comunista. Decentramento reso evidente dal cambio del nome in Lega dei comunisti di Jugoslavia nel 1952. 1963, varati emendamenti della costituzione che prevedono la rotazione delle cariche negli altri vertici della Federazione. 1963 Tito carica a vita. Tito 1955 partecipa alla conferenza di Bandung, dedicata ai problemi della decolonizzazione, si fa portatore del movimento dei paesi non allineati. Ne organizza il primo incontro a Belgrado nel 1961. Con morte di Stalin, riaperto dialogo con Mosca. Nuovo leader russo, Chruscev si reca a Belgrado nel 1955 per risolvere problemi creatisi 7 anni prima. Inizialmente vi è una riappacificazione, ma nonostante il fatto Jugoslavia acconsenta l’occupazione dell’Ungheria da parte dell’URSS sarà proprio questa a creare una nuova rottura tra i due paesi. Grazie a sua politica estera Tito rafforza sua posizione, ma in politica interna inizia ad avere problemi durante seconda metà anni sessanta. Teoricamente, Tito, prevede un decentramento verso aree balcaniche per rispetto ai diversi sentimenti nazionali, tuttavia partito svolge ruolo egemone su altri gruppi etnici. 1968 Kosovo, rivendica maggiore autonomia, approvata. 1971 lo stesso accade per la Bosnia. Seguita poi da Croazia, Slovenia, Serbia. 1974 Tito promuove redazione nuova carta costituzionale che consolidava il federalismo della costituzione precedente. Poteri delle singole repubbliche ampliati e autonomie di Kosovo e Vojvodina ampliate ma non riconosciute come repubbliche. 10.5 Cina comunista e Cina nazionalista Repubblica cinese (1912) vita breve a causa dei contrasti all’interno del Guomindang (partito nazionale), e dei gruppi conservatori. 1913 inizio dittatura personale di Yuan Shi-kai (capo dei conservatori). Prima guerra mondiale, contributo minimo al conflitto e al consiglio di Versailles, nonostante fosse tra i vincitori si vede sottratta la regione dello Shandong e questa viene affidata al Giappone. Rinascita del nazionalismo e ondate di proteste a partire dal 1919.Ritorno da esilio di Sun Yat-sen, si riformta la Guomindang, che inizia lotta contro governo centrale. Formato dal Guomintang governo centrale a Canton nel 1921. Appoggiati da governo comunista formatosi lo stesso anno. Alleanza tra i due dura poco. Dopo morte Sun Yat-sen, lo succede Chiang Kai-shek che cambia obbiettivi e azione del Guomindang. 1927 attacca forze comuniste a Shangai. 1928 entra con truppe a Pechino e istituisce governo autoritario. Partito comunista fuori legge. Con offesa Giapponese a nella Manciuria 1931, truppe del Sol levante(giapponesi) instaurano un governo-fantoccio del Manchukuo e danno nuova vita al Partito comunista. Leadership assunta da Mao, avvia opera di proselitismo presso i contadini , indivuati come unica vera base del partito. Intensifica lotta contro governo di Chiang Kai-shek. Chiang Kai-shek avvia a partire dal 1931 , campagna militare contro comunisti. Tre anni dopo comunisti accerchiati nella regione dello Jangxi. Comunisti di Mao, si dirigono verso sud per avere sicurezza, inizio della “lunga marcia” 1934. 1937 per affrontare nemico giapponese, forze di Chiang e di Mao firmano un accordo con lo scopo di evitare la guerra civile. Intesa che dura poco. Giappone dopo due anni controlla coste cinesi e regioni industriali. Lotta comune contro invasore diventa guerra di liberazione nazionale. 1941, Chiang,mentre truppe giapponesi occupate con scontro USA, approfitta per attaccare nuovamente comunisti. Popolazione pone discredito a regime. Sulla base di questa crisi, USA, promuovono accordo tra comunisti e nazionalisti. Chiang, convinto di continuare a ricevere aiuti militari da parte USA, rifiuta accordo e intensifica operazioni militari. 1947 USA ritira truppe messe a disposizione della Cina di Chiang. Anno prima anche truppe URSS (armata rossa) ritirate da Manciuria. 1946-47, nazionalisti iniziano a prendere sopravvento. Sostenuti da popolazione contadina ma non da URSS. 1948 svolta del conflitto. Armata popolare di liberazione prende sopravvento su truppe di Chiang, occupano principali città e vie di comunicazione. 1949 truppe di Mao a Pechino, nazionalisti costretti alla resa. Chiang si ritira con sue truppe su isola di Formosa, protetto da navi USA. Chiang continua a rivendicare la legittimità del suo governo, conserva fino 1971 seggio di rappresentanza all’ONU. 1 ottobre 1949 proclamata Repubblica popolare cinese con Mao. Riconosciuta da comunità internazionale ma no da USA. Mao attua una rivoluzione totale. Vara socializzazione di tutti i settori economici, collettivizzazione delle terre. Ampia riforma agraria che crea un sistema di cooperative agricole. 1953, dopo fine guerra Corea, imposto piano economico quinquennale. Tutto ciò porta a squilibri sociali, Mao risponde attraverso repressione e misure forzate di razionalizzazione produttiva. Campagna di rieducazione popolare utile al raggiungimento del socialismo reale. Socialismo reale basato su drastico innalzamento degli obbiettivi produttivi dell’agricoltura e dell’industria => tutto ciò porta all’accorpamento delle cooperative agricole formando le comuni popolari, ogni comune deve raggiungere la propria autosufficienza economica. Produzione industriale obbiettivi più alti, operai costretti a lavoro incessante. Politica estera Mao: non si fa influenzare da URSS. Ancora divario e dissidi tra le due potenze. Difronte al rischio dell’intervento dell’USA per riportare a potere nazionalisti, Mao si serve di coperture militari e tecnologiche URSS. Anni 50 rapporti tra CH e URSS molto difficili. URSS rivendica ruolo di potenza egemone all’interno del mondo comunista, Cina con Mao sostiene movimenti rivoluzionari presenti in Asia e Africa. .. 1959 URSS blocca vendita di armi nucleari accordata con Cina, sospende aiuti economici e ritira tecnici. 1964 Cina senza URSS primo test bomba atomica. Fine anni sessanta, dissidio tra due paesi talmente forte che le truppe di questi si scontrano lungo il confine tra Siberia e Manciuria. 10.6 Il Giappone: il nuovo baluardo dell’Occidente in Asia Fine conflitto mondiale, Giappone in ginocchio. Perso due terzi delle industrie, 70% flotta mercantile, milioni di senzatetto, disoccupati e militari smobilitati. USA, propone come in Germania l’imposizione di condizioni di pace estreme. Giappone andava ridotto a stato inferiore, con potenziale militare azzerato e potenziale economico ridimensionato. USA (causa Guerra fredda e sconfitta da parte di Mao) cambia rotta. Amministrazione occupazione americana affidata a MacArthur. Epurazione responsabili crimini di guerra, impone a imperatore Hirohito la rinuncia allo stato divino del sovrano e adozione regime costituzionale democratico. Hirohito viaggia attraverso il paese invitando a sopportare l’insopportabile e collaborare con occupanti. 1947 sotto controllo USA, varata Costituzione=> autocrazia imperiale trasformata in monarchia costituzionale con Parlamento rappresentativo. Introdotti principi di libertà religiosa e principali diritti politici. Primo provvedimento: riforma agraria(consolida piccola proprietà terriera). Libertà insegnamento e scuola gratuita fino ai 13 anni. Misure per contrastare inflazione. Unione USA, JP evidente allo scoppio guerra Corea. JP portaerei americana, pilastro del perimetro difensivo, questo perimetro comprende tutti i territori dell’area del Pacifico indispensabili per sicurezza USA in funzione antisovietica. Guerra Corea porta sviluppo industriale in JP, boom economico (non bloccato da USA a differenza di come era stato deciso inizialmente). 1951, San Francisco trattato di pace tra potenze alleate e Tokyo=> fine occupazione JP. URSS non si presenta e Cina no interpellata poiché repubblica non riconosciuta dall’ONU. JP viene consetito di sostituire pagamento delle riparazioni attraverso accordi bilaterali commerciali. 1954 USA e JP firmano trattato di sicurezza, USA mantiene truppe in JP e vi inserisce basi militari. 1953 JP ammessa Fondo monetario internazionale . 1955 inclusa Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio. 1956 entra nell’ONU. Prime elezioni aprile 1946 , affermazione del Partito liberale con leader Yoshida Shigeru. 1954 nasce Partito liberal- democratico=> esponenti alta burocrazia, politici di professione, medi e piccoli imprenditori, docenti universitari. Partito regista del progresso economico in JP tra 1950 e 1970. Metà anni cinquanta, livello produttivo dell’anteguerra. Metà anni sessanta, crescita smisurata. Istituzione società commerciali internazionali, principale espropriatore di beni di consumo , conquista leadership mondiale dell’elettronica, cantieristica e produzione di auto e motocicli. 10.7 La fondazione dello Stato di Israele e l’origine della crisi mediorientale Negli ultimi anni del XIX secolo si sviluppa il sentimento politico nazionalista che tendeva alla costruzione di uno stato autonomo ebraico: sionismo. Ideale politico laico, di stampo nazionalista. 1881-82 ondata migratoria ebrei da territori russi e Europa orientale verso terra promessa (pochi vanno verso Palestina). 1896. Theodore Herzl, pubblica un libro : Lo stato ebraico. Offre prospettiva politica del sionismo, individua mezzi e strategie per ridare popolo ebraico una patria. Indispensabile presa di coscienza da parte ebrei della necessità di costruire un proprio stato in Palestina 1897 fondazione Organizzazione sionista mondiale. Organizzazione finanzia pionieri che comprano territori arabi e impiantano fattorie collettive fondando i primi insediamenti ebraici lungo la costa della Palestina. Territorio arido, costringe molti a migrare verso territori più fertili. Dopo nuova ondata di persecuzioni nel ‘900 , flusso migratorio (da URSS e Polonia) intenso. Prima Guerra mondiale, ebrei arruolati nella Legione ebraica combattono a fianco GB contro Ottomani. Prima del confitto sionismo, affianca sionismo pratico ( insediamento regioni Palestina) a sionismo politico (pressioni verso comunità internazionale a riconoscere rivendicazioni ebraiche). 1917 pubblicata Dichiarazione di Balfour=> ministro esteri GB invita a guardare positivamente alla formazione di un focolare nazionale ebraico in Palestina. 1919 nuove ondate migratorie di ebrei che sfuggono da regime bolscevico. In Palestina si formano le prime comunità stabili di Ebrei. Formazione organizzazioni sindacali e reparti militari di autodifesa. Inizio primi conflitti con arabi, arabi paura che sia messa in discussione la prospettiva di uno stato arabo indipendente in Palestina. Scontri sedati da Società delle nazioni, che affida Palestina a GB. Società delle nazioni dichiara che l’idea di un focolare ebraico non riguarda tutta la Palestina e che questo non aveva alcuna giurisdizione su arabi. GB attua provvedimenti restrittivi per limitare immigrazione ebraica in Palestina. 1924 forte ondata migratoria di ebrei provenienti da Polonia. Migrazione dovuta a crisi economica Polonia e inizio limiti immigrazione USA. Nuova migrazione dovuta a avvento nazismo in Germania. => emigrano ebrei tedeschi ed austriaci, istruiti e benestanti, formeranno la borghesia del futuro stato d’Israele. Tra anni venti e trenta convivenza arabi e ebrei sempre più difficile. Aumento disoccupazione araba a causa della rigide regole ebree che prevedono solo manodopera ebrea nei loro territori. Fine 1938, dopo notte dei cristalli, riinizia ondata migratoria. Arabi atti ostili sempre più violenti verso comunità ebraica e autorità inglesi. 1936 inizio Grande rivolta araba fino al marzo 1939. GB reprime con forza movimenti arabi e inizia a fermentare l’idea di costituire due comunità nazionali separate. 1939 GB, pubblica Libro Bianco che propone la costruzione in Palestina di uno stato bi-nazionale, fissati limiti all’immigrazione (non più di 15.000 persone l’anno x 5 anni), stabilite norme per il possesso della terra. Dopo Seconda guerra mondiale e attuazione soluzione finale, ebrei sempre più propensi a costruzione focolare nazionale, e aumento tensioni con arabi. 1947, GB dichiara che un anno dopo lascerà controllo Palestina a ONU. ONU deve risolvere tensioni in Palestina. Novembre 1947, risoluzione 181, divisione Palestina in due stati separati uno ebraico e uno arabo. Gerusalemme sotto amministrazione internazionale. Questi stati dovevano aderire ad una Unione economica palestinese, gestire una moneta unica, territorio e infrastrutture in parità e amicizia. Proposta accettata da ebrei e non da arabi. USA e URSS decidono di non essere potenze coloniali. USA essendo ex colonia inglese, non sostiene ideale della corsa imperialistica. Proprio per questo, Lenin e Wilson riconoscono il principio di autodeterminazione dei popoli. Durante conflitto mondiale, entrambe potenze contro mantenimento del sistema delle colonie. Colonie devono andare sotto amministrazione internazionale solo per brevi periodi di tempo fino a ottenimento dell’indipendenza oppure passare direttamente all’indipendenza. Quando si allentano alleanze tra paesi che hanno combattuto insieme il nazifascismo , cui rapporti diventano ostili durante Guerra Fredda, si fa tutto molto più complesso. Non vi è più solo in gioco al decolonizzazione ma anche il bisogno di creare alleanza che non mettessero a rischio l’equilibrio bipolare che si stava delineando. Processo di decolonizzazione diventa d’obbligo quando divampano lotte di liberazione presso le colonie. In alcuni casi la decolonizzazione viene attuata gradualmente e pacificamente, in altri casi , come in Algeria, attraverso conflitti sanguinosi. Tutti i popoli si accomunano per la determinazione con cui portano avanti lotta per indipendenza. Il fenomeno di decolonizzazione porta popoli delle colonie a entrare all’interno di un dinamismo internazionale e inoltre le potenze di USA e URSS allargano loro intervento ad altre aree del mondo. Ex colonie entrano quasi tutte a far parte dell’ONU, e 1962 alla segreteria generale un birmano : Sithu U Thant. 1954, i cinque stati del gruppo di Colombo ( India, Pakistan, Ceylon, Birmania e Indonesia) decidono di convocare, nella conferenza di Bandung che si sarebbe tenuta l’anno successivo, tutti coloro che avevano un passato da ex colonie come loro o che stavano ancora lottando per indipendenza => discutere le loro condizione di paesi ancora arretrati. Rispondono ad invito 29 stai dell’Africa e dell’Asia e in aggiunta anche movimenti di liberazione Algeria, Marocco e Tunisia. A conferenza di Bandung, rischio che vi fossero opinioni filoccidentali, come infatti successe (Iraq, Turchia, Pakistan, Ceylon) e di stampo filosovietico (Cina, Vietnam). Prevale moderazione. Conclusione: sostegno a tutti coloro che lottano per indipendenza e paesi della conferenza si identificano nel riconoscimento dell’eguaglianza di tutte le razze, nel rispetto di tutte le nazioni, della loro sovranità e della loro integrità territoriale=> tratti indispensabili alla pace mondiale. 1955 coniata espressione “Terzo mondo” da Alfred Suvy. Definito terzo mondo, tutti i paesi che si riunirono alla conferenza di Bandung. Definizione terzo mondo deriva da “terzo stato” definizione data, durante rivoluzione francese , a borghesi, contadini e operai in quanto gerarchicamente in una posizione sottostante a nobiltà e clero. Inoltre terzo stato in quanto solo costoro dovevano pagare tutte le tasse. In questo caso si parla invece si Terzo mondo, ovvero tutti i paesi che si rendono indipendenti dopo la Seconda Guerra mondiale che chiedono il riconoscimento del proprio ruolo politico ed economico in ambito internazionale. Questi paesi, in economia, tenderanno ad allontanarsi dal capitalismo e creare economie e sistemi sociali autonomi. Tito nel luglio 1956 invita Nehru(India) e Gamal Abd al-Nasser (egitto) al non allineamento ovvero essere neutrali davanti alla guerra fredda. 1961 prima conferenza dei paesi non allineati a Belgrado=> 25 stati principalmente africani e asiatici+ Cuba + Jugoslavia (unica europea). Conclusione conferenza: rifiuto netto Guerra fredda, coesistenza pacifica e diritto di autodeterminazione dei popoli. Questo movimento con il tempo si orienta verso la stimolazione della cooperazione economica. Obbiettivo: aiutare paesi con difficoltà economiche e creare nuovo assetto mondiale che elimini le differenze tra paesi ricchi e paesi poveri. Piano politico: diversi orientamenti e strategie , si pone un naturalismo equidistante. Termine sottosviluppo con il tempo va a modificarsi in “in via di sviluppo”. Paesi del terzo mondo si avvicinano sempre di più al loro obbiettivo: cancellare divario tra paesi ricchi e paesi poveri. CAPITOLO 11 – 1956 11.1 Il XX Congresso del PCUS: prove di disgelo Inizia a sgretolarsi il bipolarismo dopo morte Stalin e Eisenhower al governo. Lunga lotta di successione dopo morte di Stalin. Laverentij Berija (ha guidato ministero della sicurezza di stato e della polizia politica), giustiziato fine 1953. Georgij Malenkov, considerato candidato più forte lascia spazio a Nikita Chruscev nel 1954. 1953, segretario del partito. Chruscev politica economica: bisogna rivitalizzare agricoltura , potenziare industria pesante (non solo settore bellico ma anche verso produzione nuovi macchinari). Politica estera: (miglior prova di cambiamento) dal 1955 promuove riavvicinamento con democrazia popolare di Tito (Jugoslavia) , si reca a Belgrado. Ritira truppe sovietiche dall’Austria (parte occidentale gli assicura la propria neutralità). Delegazione sovietica partecipa alla Conferenza di Ginevra. In vista XX Congresso partito comunista, Chruscev, condanna gestione accentrata potere di Stalin, sistema di delazione all’interno del partito, processi-farsa, esecuzioni, arresti e il culto della personalità. Legge questa condanna a porte chiuse, dove non erano presenti tutti membri del PCUS, durante Congresso nella notte tra il 24 e il 25 febbraio 1956. Divulga poi il discorso così che tutti possano sapere. Chruscev avvia un processo di destalinizzazione. 1956 liberati molti prigionieri dei gulag ed ex-condannati riabilitati. Aboliti campi di concentramento e costruiti campi di rieducazione attraverso il lavoro. Aprile 1956 sciolto il Cominform. Politica estera: Chruscev sostiene possibilità di imboccare coesistenza pacifica se il mondo fosse rimasto diviso in due sfere di influenza precise ed entrambe le superpotenze avessero potuto disporre di un esercito militare non troppo dissimile. Possiamo parlare di “disgelo”. Tuttavia con il tempo, in Europa si stabilizzano le sfere di influenza, ma nel resto del mondo la coesistenza pacifica diventa coesistenza competitiva. 11.2 Speranze di libertà: Polonia e Ungheria Con destalinizzazione di Chruscev nasce speranza, all’interno dei paesi del blocco comunista di allentare duri rapporti che li legava a Mosca. Polonia e Ungheria si formano movimenti di insurrezione dove si mescolavano istanze di progresso e libertà con i desideri di indipendenza nazionale. Giugno 1956 inizio manifestazioni in Polonia di contadini e operai contro regime. (protestano per deludente esito piano quinquennale e sottovalutazione dell’agricoltura a favore dell’industria pesante). Apice manifestazioni 28 giugno 1956 a Poznan. Sciopero represso dalla polizia e dalle truppe sovietiche. Manifestazioni durano fino ad Ottobre con rivendicazione di libere elezioni e ritiro truppe di Mosca. Parti più conservative del partito, volevano bloccare manifestazioni attraverso repressione. Componenti più giovani ritengono indispensabile, per uscire dalla crisi, proporre una via polacca del socialismo senza però eliminare alleanza con URSS. Alla guida del partito Wladislaw Gomulka. Gomulka dichiara la necessità di rimanere uniti all’URSS , ma chiede a Mosca di abbandonare definitivamente i territori polacchi. Intraprende riforme che danno respiro ad economia polacca. Gomulka imbocca strada del riformismo ma non compromette alleanza con Mosca e presenza Polonia all’interno del sistema sovietico. Diversa la situazione in Ungheria. Ungheria: risentimento verso Mosca molto più forte per via delle drastiche epurazioni contro sospetti titoisti ,e condanna del Cardinale Jozef Mindszentry. Con nuova direzione presa dall’URSS, insofferenza si esprime compiutamente attraverso la nomina di Imre Nagy alla guida del governo nel 1953. Nagy avvia programma di riforme e promuove amnistia per detenuti politici. Gli oppone resistenza il segretario del partito comunista ungherese: Matyas Rakosi e lo costringe ad abbandonare guida del governo. Rakosi contro destalinizzazione di Chruscev. Ciò aumenta malcontento in Ungheria. Estate1956 inizio manifestazioni a Budapest. Luglio 1956 Chruscev impone dimissioni da segretario del partito a Rakosi. Nominato nuovo segretario: Ernö Gerö. Manifestazioni si accrescono. 23 ottobre Gerö decide di reprimere brutalmente una manifestazione studentesca. Su pressione manifestanti, ripristinato il governo di Nagy. Dualismo tra Gerö e Nagy. Nagy aderisce alle pressioni degli insorti => chiedono fine sistema monopartitico, libere elezioni e fine controllo Ungheria da parte URSS + richiesta di riconoscimento dello status naturale all’ONU. Truppe sovietiche, chiamate dallo stesso partito comunista ungherese, occupano capitale e reprimono nel sangue la rivolta nel novembre 1956. Istituito sotto pressione sovietica nuovo governo con al comando Janos Kadar e Nagy condannato a morte. Migliaia di morti e migliaia di persone in fuga verso Ovest. Paesi blocco occidentali pronti ad accogliere rifugiati ma non intervengono nella questione ungherese. 11.3 Dall’affermazione dello Stato necessario alla crisi di Suez Luglio 1952 a causa della corruzione e del mal governo, depositato re dell’Egitto Faruk I e proclamata Repubblica egiziana, cui presidente era Muhammad Neghib. 1954 sostituito da suo vice Gamal Abd al-Nasser. Inizio epoca riforme politiche ed economiche. Nasser: politica interna => riforma agraria con obbiettivo eliminare proprietà latifondista e aumentare superficie coltivabile. Progetto di ampliamento diga di Assuan. Politica estera=> rigetto del colonialismo, appoggia movimento di liberazione algerino, si fa promotore del movimento dei paesi non allineati. USA propongono di finanziare progetto diga di Assuan. (vuole ampliare influenza strategica in area meridionale). Tuttavia quando Nasser propone accordo per scambi cotone egiziano per armi, posizione USA cambia. Propone accordi a URSS riuscendo ad ottenere una tratta di armi tramite Cecoslovacchia. USA decide di non finanziare più ampliamento diga. Egitto riconosce Cina comunista nel 1956. Nasser decide di nazionalizzare Campagna del canale di Suez. Si schierano dalla parte di Nasser GB, FR . Le due potenze dipendono inoltre da petrolio mediorientale => timore Israele compromissione traffico marittimo verso il suo porto di Eilat. Su consiglio del segretario di stato americano Dulles, convocata conferenza internazionale di Londra, per evitare caduta Egitto nelle mani URSS. Conferenza propone nuovo sistema per libera navigazione attraverso canale. Nasser respinge nuovo sistema libera navigazione. USA nonostante disaccordo decide di non attaccare Egitto, FR e GB preparano attacco militare, si aggiunge Israele dopo firma patto militare a ottobre 1956, tra Egitto, Giordania e Siria poiché continue incursioni palestinesi ad Israele. Israele attacca Egitto 29 ottobre 1956 . FR, GB invitano Israele ed Egitto a ritirarsi ad almeno 16 chilometri da canale, altrimenti intervengono militarmente. Ultimatum rifiutato. 31 ottobre 1956, FR GB bombardano basi militari egiziane. 5 ottobre 1956 arrivo truppe anglo-francesi su Port Said (Egitto). Piano militare FR, GB e Israele ha successo. Sul piano politico fallimentare. Forte imbarazzo diplomatico. URSS intima USA a far ritirare alleati , in caso contrario intervento a favore Egitto. Condanna anche da parte dell’ONU. Eisenhower minaccia ritorsioni economiche su FR e GB. FR e GB iniziano a ritirarsi da Suez a dicembre. ONU davanti a questa situazione istituisce Forza di emergenza delle Nazioni Unite (UNEF) sperimentato prima volta concetto di peacekeeping. Nasser seppur sconfitto diventa eroe x nazioni arabe anche perché mette fine al primato internazionale di GB e FR. URSS promette finanziamento x diga Assuan. 1958 Egitto e Siria fondano Repubblica araba unita esperimento che fallisce miseramente 3 anni dopo. 1958 nazionalisti arabi rovesciano monarchia irachena. USA mette a disposizione proprie forze armate in aiuto paesi che richiedono aiuto contro aggressioni armate per mano di paesi controllati dal comunismo internazionale. Con nascita 1958 Repubblica araba unificata, USA e GB mandano truppe in Libano e Giordania per soffocare movimenti estremisti arabi. 11.4 Il Concilio Vaticano II come momenti di svolta Anni cinquanta chiesa cattolica vive periodo di contraddizioni. 1) organizzazione solida, riunita intorno a Papa Pio XII . 2) deve confrontarsi con secolarizzazione società , e abbandono della pratica religiosa. Dopo secondo conflitto mondiale chiesa supera posizioni rigide verso moderno liberalismo, e prova senso di rivincita verso società moderna grazie a sconfitta del nazifascismo. Chiesa denuncia crisi mondo contemporaneo che l’ha portata inoltre ad affrontare in quarant’anni due conflitti mondiali e l’avvento dei regimi totalitari. Chiesa, con divisione bipolare dovuta a Guerra Fredda, in continua allerta per possibili attacchi da parte dell’est comunista. Chiesa e mondo cattolico si rapportano a realtà circostante come se fosse nemico da sconfiggere. Papa Pio X aveva condannato il modernismo a inizio secolo, attuate censure verso tutti coloro che tentavano di portare innovazione all’interno del pensiero della chiesa. Secondo tradizionalisti la chiesa è società perfetta che non ha bisogno di aiutare nessuno 1958 elezione del cardinale Angelo Giuseppe Roncalli=> Papa Giovanni XXIII . Svolta decisiva nella storia della chiesa. Il suo pontificato doveva preparare chiesa a necessari e lenti cambiamenti. Inizio di un intenso dialogo ecumenico. Due documenti: 1) enciclica Mater et Magistra : pubblicata 1961 , rilancia pensiero sociale cattolico, condanna egoismo dei popoli ricchi verso le colonie, invita a un riformismo economico e politico. Sviluppo economico orientato ad un principio di equità. Incita inoltre spirito solidaristico internazionale verso decolonizzazione e sottosviluppo. 2) enciclica Pacem in Terris: pubblicata aprile 1963, invita potenti della terra al dialogo e alla collaborazione , invoca apertura sistema internazionale verso nazioni di recente indipendenza e confronto con altre religioni e con non credenti. Pochi mesi dopo sua elezione convoca concilio. 1962 inizio Concilio Vaticano II. Papa non vuole che si infliggano condanne (neanche a comunismo). Bisogna aggiornare rapporti chiesa- società contemporanea, questi rapporti devono essere positivi, aperti ed accoglienti. Affronta tema dei rapporti cristianesimo con altre religioni e tema diritto libertà religiosa.Poi trattate altre questione riguardanti internamente la Chiesa. Papa Giovanni XXIII muore giugno 1963. Nuovo Papa: Paolo VI. Questo si impegna nella mediazione tra le varie correnti all’interno del Concilio che riguardavano il cambiamento radicale dell’atteggiamento della Chiesa. Inizio confronto cristianesimo con altre religioni in particolare Islam e Ebraismo. Apertura verso società contemporanea. Concilio Vaticano II : no più utilizzato latino nella liturgia a favore dell’uso delle lingue nazionali. Tutti cattolici devono impegnarsi nella costruzione della pace e nel trovare soluzione ai problemi sociali. Religione inizia a essere presentata come “esperienza di vita”. Istituite Conferenze Episcopali nazionali. Nascono Comunità cristiane di base ( in contrapposizione ai vescovi) : unione riflessione del Vangelo a un nuovo modo di essere una comunità eliminando differenze tra sacerdoti e laici, uomini e donne. Compaiono quindi gruppi cattolici del dissenso soprattutto nei partiti di sinistra o nei movimenti studenteschi. FR, fenomeno preti-operai, sacerdoti che vivono ruolo pastorale a stretto contatto con i lavoratori condividendone le condizioni di miseria. Nuovo ruolo laici interno della Chiesa muta comportamento popolazioni indigene verso missionari. Nascono America Latina le Comunità ecclesiali di base indispensabili per rendere consapevoli dei propri diritti e del bisogno di formare organizzazioni , lavoratori e fasce indigenti società. Queste comunità ecclesiali guardate con diffidenza dalla Santa Sede ma appoggiate da Conferenza episcopale latinoamericana di Medellin del 1968=> teorizzata Teologia della Liberazione : salvezza cristiana non si ottiene senza liberazione economica, politica e sociale. Incitano popolo all’emancipazione e in alcuni casi alla lotta contro regimi dottrinali. Roma condanna accenti più radicali della Teologia della Liberazione poiché questa tende a trasformare cattolicesimo in ideologia politica secolarizzata e mette in discussione tradizionali strutture gerarchiche della Chiesa. CAPITOLO 12 – LO SCONTRO EST-OVEST E LA SUA RICADUTA NELLE POLITICHE NAZIONALI 12.1 La Francia dalla Quarta alla Quinta Repubblica: l’affermazione del gollismo De Gaulle dopo secondo conflitto mondiale diventa eroe nazionale francese. Agosto 1944 dopo liberazione Parigi, dichiara non esistenza del regime di Vichy poiché emanazione della Germania nazista. Inclusione Francia tra paesi vincitori le assicura la conservazione delle colonie, assegnazione zona di occupazione in Germania e attribuzione seggio permanente all’ONU. De Gaulle, presidente governo provvisorio. Indice nell’ottobre 1945 referendum per dotare paese di una nuova Costituzione. Elezioni Assemblea costituente vedono trionfare il Partito comunista, la SFIO e la MRP (movimento Dopo morte di Stalin e inizio governo Chruscev, all’interno della PCI molti uscirono dal partito poiché non condividevano scelta di Togliatti di approvare intervento URSS a Budapest. Si creano presupposti per riunificazione dei partiti socialisti. Nuovi equilibri nell’asse del governo si vedono con distacco PSI da partito comunista e adesione di Nenni a collaborazione con DC. DC cambiamenti significativi: alla segreteria del partito dal 1954 Amintore Fanfani, cerca di rafforzare strutture del partito e cerca di rendere più attiva presenza di questo nelle leve del potere economico. Obbiettivo: mantenere unità partito e garantire a DC controllo più incisivo su enti pubblici e apparati amministrativi ed economici. 1955 ministro del Bilancio, Ezio Vanoni presenta programma economico decennale. Obbiettivi : 1) riassorbimento disoccupazione, 2) attenuazione divario nord e sud, 3) pareggio di bilancio. 1956 istituito Ministero delle Partecipazioni statali. Già da 1953 esiste Ente nazionale idrocarburi per la gestione e lo sfruttamento del petrolio e dei gas naturali controllato da Enrico Mattei. Piano Vanoni inattuato. DC produce novità come 1956 Corte Costituzionale e 1958 Consiglio superiore della magistratura. Tre fattori accelerano processo di inserimento delle sinistre all’interno dei governi: 1) risultati elezioni nel 1958, 2) pontificato Giovanni XXIII, 3) elezione democratico Kennedy a presidenza USA. Elezioni 1958, governo con alleanza DC e sinistre, partiti laici e arretramento destre. Quando PLI esce da coalizione governativa, DC toglie confini per accordi con socialisti. Successiva formazione monocolore democristiana sotto Fernando Tambroni che ottiene voto di fiducia in parlamento da Movimento sociale. Aumento mobilitazione partiti di sinistra, soprattutto dopo che Tambroni concede Congresso dell’MSI a Genova. Dopo innumerevoli proteste il governo Tambroni cade e Congresso MSI rinviato. Nuovo governo monocolore democristiano guidato da Fanfani che ottiene voto repubblicani e socialdemocratici e astensione PSI e Movimento dei monarchici. Solo governo Moro 1963 vede realizzazione progetto di governo di centro-sinistra . Tra 1960 e 1963 accordi tra democristiani e socialisti. Italia fase accelerata di modernizzazione economica, crescita settore industriale, esportazioni e miglioramento condizioni di vita. Si parla di “Miracolo economico italiano “ dal 1958 al 1964, che porta si a crescita di consumi e produzione ma non pone fine agli squilibri sociali. Urgenti le misure dei governi che dovevano orientarsi sia su boom economico sia sulla correzione degli squilibri sociali più evidenti. Primi anni alleanza centro-sinistra: nazionalizzazione energia elettrica 1962=> creata ENEL, riforma della scuola . Altre riforme bloccate da opposizione alcuni settori DC, e centro-destra. Elezioni marzo 1963 confermano ostilità gruppi moderati e grandi centri del potere a spinta riformatrice e interventista centro-sinistra. Governo Moro, slancio riformatore abbandonato. Tentativo di bloccare ondata riformatrice governo centro-sinistra vede coinvolgimento in attività illegali di alcuni apparati dello Stato. 1964 indetto da Giovanni De Lorenzo (generale dei carabinieri), il Piano Solo => in caso di disordini e grave crisi politica intervento dell’arma per arrestare oppositori e occupare centri nevralgici stato. 12.3 La Gran Bretagna: dai laburisti ai conservatori e ritorno I 20 anni che seguirono la fine della 2GM furono caratterizzati in GB da un’intensa attività riformatrice e dalla presenza di una piattaforma di comune consenso politico fra i due maggiori partiti: conservatore e laburista. La piattaforma programmatica comprendeva l’accettazione dell’economia mista, la costruzione del welfare state e il perseguimento della piena occupazione in politica estera invece, i punti sostanzialmente condivisi erano il principio della decolonizzazione, l’appoggio al Commonwealth, l’appartenenza della GN alla NATO e la dotazione di un deterrente nucleare autonomo. Questo programma generale cominciò a vedere la luce con il governo presieduto da Attlee dopo le elezioni del luglio 1945, vinte a sorpresa dai laburisti. Nonostante i conservatori potessero vantare la straordinaria leadership di Churchill, la voglia di cambiamento degli elettori inglesi prevalse dando al partito laburista una larga maggioranza. Il nuovo primo ministro mise mano immediatamente ad un vasto progetto riformatore ispirato dal liberale Beveridge. Tra il 1946 e il 1949 furono nazionalizzati la Banca d’Inghilterra, il settore carbonifero, l’elettricità e il gas, i trasporti statali ecc. In complesso circa il 20% dell’industria britannica divenne pubblica. Il governo laburista decise di elevare i sussidi di disoccupazione e malattia, e di estendere tutte le politiche di tutela previdenziale. La riforma più importante in questo settore, simbolo del nuovo welfare state britannico, fu la nazionalizzazione del servizio sanitario che divenne operativo nel 1948. Il servizio ospedaliero passava sotto la gestione pubblica e veniva istituito il medico di famiglia in modo da garantire l’assistenza medita gratuita a tutti i cittadini. Infine il governo laburista estese fino 15 anni il termine dell’obbligo scolastico e diede un grosso impulso all’edilizia pubblica. Questo vasto programma riformatore fu il presupposto per una società più equilibrata e solidale. Ci furono delle difficoltà dovute ai problemi legati alla rinascita post bellica: grandi debiti e un grave deficit nella bilancia dei pagamenti. Il governo per questo impose una dura stretta economica (congelamento dei salari e aumento tasse) e una politica di austerità che coinvolse l’intera popolazione. Nel settembre 1949 arrivò anche la difficile decisione di svalutare la sterlina. Tuttavia, questi provvedimenti contribuirono a far superare la crisi della ricostruzione postbellica in tempi relativamente brevi. Alle elezioni del 1951 il Partito conservatore tornò a vincere e Churchill all’età di 77 anni, tornò ad essere primo ministro. Il suo governo non modificò le scelte dell’esecutivo laburista; il welfare state venne potenziato. La disoccupazione si attestò attorno al 2% e i salari raddoppiarono. La metà di quel decennio rappresentò una svolta per la GB da diversi punti di vista: nel 1952 fu incoronata la regina Elisabetta II; nel 1954 furono tolte le ultime misure di razionamento alimentare; nel 1955 Churchill si dimise lasciando il posto a Eden. In momento di più alto successo e consenso per il partito conservatore venne alla fine degli anni 50 dopo che Eden si era dimesso e sostituito da Macmillan. In politica estera egli riuscì a rafforzare l’alleanza con gli USA, accelerò il processo di decolonizzazione e nel 1961 presentò per la prima volta la domanda di ingresso della GB alla Comunità economica europea (CEE). Nella politica interna Macmillan ottenne i migliori successi: salari migliori, crediti agevolati, crescita delle industrie di beni di consumo. Il sintomo più evidente fu la rapida moltiplicazione delle case di proprietà. Macmillan si presentò alle elezioni del 1959 con un forte credito di popolarità e credibilità e i conservatori vinsero. Però le difficoltà non tardarono a venire. Tra gli investitori stranieri cominciò a circolare l’immagine del declino britannico in analogia con quello dell’impero ottomano del XIX secolo. I due maggiori partiti cominciarono così a perdere consensi a vantaggio di posizioni per molti aspetti alternative: dal partito liberale, ai partiti nazionalisti del Galles e Scozia, dalle organizzazioni di estrema sinistra a quelle di estrema destra. Il colpo di grazia per il governo conservatore venne nel 1963, dal veto del presidente De Gaulle all’ingresso della GB nella CEE. Alle elezioni del 1964 il partito laburista tornò a vincere e divenne primo ministro Wilson che riuscì nella difficile impresa di infondere tranquillità e ottimismo ad un’opinione pubblica profondamente scossa dalle recenti turbolenze. Wilson era convinto della necessità di modernizzare le istituzioni economiche e politiche britanniche e si circondò di intellettuali e professionisti. Però il governo laburista dovette affrontare nella seconda metà degli anni 60, una gravissima crisi economica. La prolungata crisi e le difficoltà del governo amplificarono il malessere e le rivendicazioni sociali. La seconda metà degli anni 60 ci fu un’impennata di proteste nazionalistiche il galles e scozia, l’aggravarsi delle tensioni per la presenza di oltre 1 milione di immigrati. Mentre la politica estera di wilson era tesa a sostenere il governo americano nella guerra il Vietnam, produsse una profonda frattura con l’ala sinistra del partito laburista. Nel 1967 il nuovo veto francese all0ingresso inglese nel mercato europeo (“veto di velluto”) e l’incapacità de governo laburista di portare a termine le riforme istituzionali programmate, segnarono il fallimento dell’amministrazione laburista. Il partito venne infatti battuto dai conservatori alle elezioni del 1970, aprendo un quinquennio presieduto da Heath. Nel complesso la GB stava prendendo atto che la prolungata crisi economica, la perdita di prestigio internazionale e l’impossibilità di competere con USA e URSS avevano messo fine al suo primato anche a livello continentale. Sul piano internazionale un importante successo arrivò grazie al governo di Heath, ovvero l’ingresso della GB nella CEE nel 1973. 12.4 L’America Latina: dai populismi ai regimi militari Caratterizzati da un’economia prevalentemente orientata alle esportazioni, i paesi sudamericani erano stati travolti dalla drastica contrazione dei prezzi delle materie prime e dalle esportazioni che avevano fatto seguito al crollo della borsa di Wall Street. Sul piano politico, la crisi economica aveva messo fine alla lunga stagione liberale apertasi nella seconda metà del XIX secolo e portato alla nascita di regimi di stampo autoritario che avevano promosso un crescente interventismo dello stato in economia, con l’adozione di misure protezionistiche. Questa politica economica ebbe un impulso ulteriore dopo la 2GM, quando si allentarono ancora di più i vincoli economici con l’Europa. Allo stesso tempo, tale politica protezionistica e autarchica, finì in molti casi per scontrarsi con gli interessi delle grandi corporations americane. Dopo il 1945 agli interessi economici si aggiunsero da parte degli USA quelli politico-strategici finalizzati a mantenere l’area latinoamericana fuori dall’influenza sovietica. Gli USA promossero quindi nel 1948 l’istituzione dell’Organizzazione degli Stati Americani al fine di incentivare la cooperazione economica e politica tra paesi latinoamericani e impedire la penetrazione comunista dell’URSS. Dal punto di vista ideologico, i regimi politici in america latina tra gli anni 30 e 40, definiti “populisti” rielaborarono in funzione antiliberale la concezione sociale organicista già tipica nell’era coloniale, come strumento di nazionalizzazione delle masse. Chiesa e esercito diventarono le istituzioni tutelari dell’identità nazionale e i regimi populisti, respingendo il sistema liberale, si costruirono sul legame diretto ed indivisibile tra leader e le masse. Nel complesso si trattò di regimi che godevano di una base sociale abbastanza ampia. Se il regime e il suo leader rappresentavano il popolo nella sua totalità e indivisibile identità, i conflitti politici erano fatti apparire come vere e proprie guerre di religione, lotta tra nazione e antinazione, tra popolo e antipopolo. Tra questi regimi, il più importante fu quello dell’Argentina nel 1946 del colonnello Peròn che governò il paese fino al 1955 quando fu costretto ad abbandonare il paese. Il regime peronista si fece espressione di una particolare via d’accesso alla modernizzazione, antiborghese e antiliberale, fondata su nazionalismo e antimperialismo, su un’ampia distribuzione della ricchezza e sulla dottrina sociale cattolica. Peron governò a lungo con il sostegno della chiesa e dei militari, delle classi lavoratrici e delle classi meno abbienti. Anche in economia Peron perseguì la ricerca di una “terza via” fra socialismo e capitalismo: nazionalizzò importanti settori dell’economia, adottò piani quinquennali. Al tempo stesso varò una vasta legislazione sociale ed utilizzò la ricchezza prodotta dalle esportazioni agricole per lievitare i salari dei lavoratori. In campo internazionale la politica di peron fu rivolta a dare lustro al ruolo dell’argentina nel nuovo ordine mondiale, presentandola come nazione forte e indipendente dalle logiche degli schieramenti bipolari: con la dottrina della “terza posizione”. Peron contava di fare del suo paese il polo di attrazione per tutte le nazioni ispaniche e cattoliche, latinoamericane e anche europee, creando così un blocco indipendente ed autonomo dagli USA e URSS. Questo tentativo però si rivelò presto un’utopia. Per certi aspetti simili a quelli dell’argentina, furono le vicende della storia del Brasile fra gli anni 30 e 50. Nel 1930 salì al potere Vargas che nel 1937 impose una dittatura dai tratti populisti, duramente oppressiva nei confronti delle opposizioni, e al contempo attenta ad integrare i lavoratori urbani attraverso l’introduzione di primi provvedimenti di legislazione sociale. Deposto nel 1945, vergas tornò al potere 5 anni dopo attraverso libere elezioni, riproponendo una plitica antiliberale e nazionalista. Nel 1954 si suicidò e lasciò un’eredità politica a Goulart nel 1961. Anche egli era fautore di una “terza via” fra USA e URSS. Nel 1964 i militari ripresero il potere e imposero un duro regime repressivo. Già in precedenza comunque, i principali elementi ideologici, politici, sociali ed economici del populismo latinoamericano avevano trovato espressione in messico durante la presidenza di Càrdenas tra 1934 e 1940. Egli aveva fatto una riforma agraria e furono nazionalizzate le compagnie petrolifere statunitensi e fu creato il Partito rivoluzionario istituzionale. Nel corso degli anni 60, il panorama politico-economico si modificò in tutta l’America Latina. Cominciarono a diffondersi in molti punti del continente guerriglie di ispirazione marxista e antimperialista. La rivoluzione cubana presentò infatti uno spartiacque nella storia del paesi latino-americani. A Cuba la dittatura fu abbattuta nel 1959 dal movimento rivoluzionario guidato da Fidel Castro al cui interno, un ruolo principale era di Ernesto “che” Guevara. Castro procedette immediatamente alla nazionalizzazione dei principali settori produttivi e ad una radicale riforma agraria. Come risposta gli USA imposero all’isola numerose sanzioni, fino ad un completo embargo commerciale. Castro intanto si era volto all’URSS, dove Chruscev si impegnò a diventare il principale acquirente dello zucchero cubano a prezzi superiori a quelli del mercato internazionale e a fornirgli sostegno politico e militare. L’avvicinamento del regime cubano a Mosca, indusse gli USA a concepire e finanziare un intervento militare di esuli anticaristi a Cuba. La spedizione degli esuli si risolse però nel fallimento. Mentre i legami tra URSS e il regime carista si intensificarono ulteriormente negli anni successivi causando una grave crisi internazionale nel 1962, Cuba divenne in poco tempo il principale punto di riferimento e modello per i movimenti rivoluzionali latinoamericani. L’esperimento di Cuba attrasse infatti numerosi studenti, intellettuali e sacerdoti. Gli anni 60 videro agitazione sociale e polarizzazione ideologica, l’instaurazione di regimi militari in numerosi paesi dell’america latina. Tali regimi sorsero per lo più sul modello di quello imposto in Brasile nel 1964 e sono spesso definiti regimi burocratico-autoritari. Le forze armate vi monopolizzarono il potere politico. Al cospetto del malessere economico e del disordine sociale, i militari costruirono la propria legittimazione sulla promessa di garantire ordine e sviluppo economico. Sostenuti da elite economiche e ceti medi, acuirono la tradizionale lotta contro i cosiddetti “nemici interni” della nazione e la repressione contro le sinistre, i sindacati, gli intellettuali. Queste dittature contribuirono per molti aspetti a risanare l’egemonia degli USA in america latina. Solo il Messico evitò di cadere sotto il dominio dei militari. Quella messicana non era ancora una democrazia di stampo parlamentare visto l’indiscusso dominio esercitato dal partito rivoluzionario istituzionale. All’inizio degli anni 70 infatti, i militari assunsero il potere anche in 2 nazioni dove la stabilità degli ordinamenti democratici sembrava consolidata e garantita da una lunga tradizione: in Uruguay e in Cile. In Uruguay nel 1973 ci fu una grave crisi economica e tensioni sociali e politiche. Un intervento militare rovesciò le istituzioni democratiche, instaurando una dittatura violenta e repressiva che colpì soprattutto i sindacati e i partiti di sinistra. In Cile le elezioni del 1970 avevano portato alla presidenza il socialista Allende. Benchè guidasse una coalizione litigiosa e un governo privo di maggioranza parlamentare, Allende imboccò la strada della costruzione del socialismo per via democratica, con l’effetto però di esacerbare i conflitti sociali e ideologici che attraversavano la società cilena. Avversato da militari e dalle elite economiche, allende fu rovesciato nel 1973. La fine dei regimi democratici in Uruguay e Cile, sostituiti da dittature militari sanguinarie, sembrò confermare la cronica difficoltà dell’america latina ad imboccare la strada della modernizzazione economica e sociale senza il pensate fardello dell’autoritarismo politico e della repressione militare. Se dopo la 2GM, molti paesi latinoamericani avevano conosciuto un discreto ammodernamento delle loro strutture economico-sociali, tale progresso non era riuscito a sposarsi al consolidamento della democrazia politica. Le fratture sciali tra e ricche borghesie e le grandi masse di poveri avevano favorito l’attecchimento di ideologie più o meno radicali e rivoluzionarie. Tali circostanze ostacolarono per molto tempo l’accettazione dei parametri e delle forme politiche della democrazia rappresentativa, fatta inevitabilmente di pluralismo e conflittualità. 12.5 Gli Stati Uniti a la crisi del consenso liberale: da Kennedy a Johnson Le elezioni presidenziali del 1960 furono vinte dal candidato democratico Kennedy. Egli riuscì a sconfiggere il candidato repubblicano Nixon. Il nuovo presidente presentò un programma di rinnovamento di ampio respiro improntato a proseguire, in politica interna, sulla strada tracciata dal New Deal roosveltiano degli anni 30, e in politica estera, a ribadire la centralità statunitense ma con un’attenzione particolare ai problemi della povertà e del sottosviluppo. parte del sud del vietnam, dell’ex imperatore dell’Annam. Adesso quindi la cina, temeva che gli amercani potessero subentrare ai francesi nel controllo del regime del vietnam del sud. Di fatto, gli accordi di ginevra del 1954, lasciarono in sospeso la questione dell’unificazione del vietnam, dividendone temporaneamente il territorio: le zone settentrionali restavano sotto il controllo della repubblica democratica del vietnam guidata da Chiminh, mentre le regioni meridionali rimanevano sotto controllo francese. Nel vietnam del nord, che cominciò a ricevere aiuti da cina e URSS, i viet minh accelerarono dopo il 1954 il pano di nazionalizzazione delle terre e il programma di riforme volto a creare un impianto socio-economico di stampo socialista. Gli USA capirono ben presto che il regime del sud poteva trasformarsi in uno “stato barriera” contro l’espansione del comunismo, e si mossero in 2 direzioni: da un lato cercarono in accordo con la francia, di trovare per la guida del paese un leader di sicura fede nazionalista, anticolonialista e anticomunista; dall’altro si attivarono per costruire nell’area asiatica una solida alleanza difensiva simile al patto atlantico. L’accordo per la formazione della SEATO fu invece siglato nel 1954 tra USA, GB, australia, nuova zelanda, francia, filippine, thailandia e pakistan. Mentre gli USA che temevano un possibile successo delle forze comuniste anche al sud, ritennero di non essere tenuti a far rispettare gli accordi di ginevra, cine e URSS non si opposero alla mancata convocazione delle elezioni. Di fronte all’ormai chiara divisione del paese, Diem si volse a rendere più solida la base del proprio potere attraverso una sistematica repressione sia dei viet minh ancora presenti nel sud, sia di qualsiasi movimento o gruppo non perfettamente allineato alla sua leadership. Inoltre Diem anziché incentivare la ripresa economica, finì per appoggiarsi sempre di più ai finanziamenti americani. Mentre il dispotismo, la repressione e l’intransigente cattolicesimo di Diem allargarono progressivamente il fronte interno nel dissenso, il regime nordvietnamita cominciò ad inviare ai dissidenti del sud una serie di aiuti, che militari, che filtravano una rete di passaggi lungo la foresta che arrivavano fino alle regioni meridionali del vietnam. Alla fine del 1960 con la nascita del Fronte nazionale di liberazione che riuniva tutti i veri oppositori di Diem, il conflitto cessò di essere limitato allo scontro fra dissidenti e le forze del regime sudvietnamita per assumere proporzioni più vaste e tragiche. Il fronte di liberazione nazionale inoltre si batteva per la riunificazione della nazione del vietnam. Davanti quindi alle crescenti resistenze che incontrava il regime di Diem, l’amministrazione di kennedy, all’inizio degli anni 60, aumentò gli aiuti e la presenza dei consiglieri americani nel vietnam del sud. Quando tuttavia tra 1962 e 1963, l’opposizione contro Diem si fece sempre più incontenibile, anche washington decise di abbandonare Diem, che fu rovesciato da un colpo di stato militare nel 1963. Nonostante la presenza americana si facesse sempre più massiccia sotto la presenta di johnson, le difficoltà politiche e militari di saigon non cessarono e il regime non riusciva ad avere la meglio sulla guerriglia, forti dei crescenti aiuti militari provenienti dalla cina e dall’URSS, del sostegno diretto delle truppe nordvietnamite e dell’appoggio delle popolazioni contadine. Il governo americano quindi, arrivò con la cosiddetta risoluzione di Tonchino del 1964 che prevedeva a presto uno scontro navale avvenuto nel golfo del tonchino tra navi americane e imbarcazioni nordvietnamite, a decidere di bombardare direttamente i territori del a nord. Pur senza tramutarsi in una vera dichiarazione di guerra, l’intervento americano si fece sempre più esteso: gli USA lanciarono infatti una massiccia campagna dii bombardamenti aerei sul vietnam del nord che si intensificò nei 3 anni successivi. Il conflitto, che secondo le previsioni doveva essere breve, si rivelò invece assai lungo e drammatico. Infatti gli USA non riuscirono a piegare la resistenza dei vietcong. Alle difficoltà militari dell’esercito, si aggiunse anche l’opposizione di gran parte dell’opinione pubblica americana, che per la prima volta poteva seguire la guerra in diretta attraverso la televisione e cominciò a ritenerla politicamente ingiusta ed inutile. L’opposizione al conflitto in vietnam culminò nel 1968 quando le operazioni conobbero un’importante svolta dal punto di vista militare. Fra il 30 e 31 gennaio 1968 infatti i vietcong lanciarono una grande offensiva, l’offensiva del Tet, in tutto il sud. Se dal punto di vista militare fu una sconfitta per i vietcong, si rivelò tuttavia un grande successo perché mostrò la capacità dei guerriglieri di andare a colpire in massa la stessa capitale del sud. A marzo, Johnson ordinò quindi la parziale cessazione dei bombardamenti nel vietnam del nord e decise di non ricandidarsi alla presidenza. A parigi nel maggio successivo, si aprirono i negoziati di pace, anche se in vietnam gli scontri non cessarono. Il nuovo presidente americano, il repubblicano Nixon, convinto che occorresse rafforzare l’esercito sudvietnamita per metterlo nelle condizioni di reggere la solo la guerra contro i vietcong, lanciò la cosiddetta strategia della “vietnamizzazione” del conflitto che avrebbe portato al progressivo disimpiego statunitense nella regione. Tuttavia, temendo che i vietcong prendessero la vietnamizzazione come un segno di debolezza americana, tra il 1970 e 1972 nixon fece riprendere i bombardamenti. Solo nel gennaio 1973 arrivarono a conclusione i negoziati di pace. Gli accordi di parigi siglati dall’americano Kissinger e il nordvietnamita Tho, prevedevano un immediato cessate il fuoco e il ritiro americano dal vietnam entro 2 mesi. La guerra si protrasse tuttavia per altri 2 anni ma, privo del supporto americano, l’esercito del sud non fu in grado di reggere all’offensiva congiunta dei nordvietnamiti e dei vietcong. Il paese venne unificato nella Repubblica socialista del Vietnam, proclamata ufficialmente il 2 luglio 1976. L’anno successivo in vietnam entrò a far parte dell’ONU. Il Laos, che dopo l’indipendenza non aveva mai conosciuto una vera e propria pacificazione interna, precipitò in una vera e propria guerra civile tra 1974 e 75. Alla fine ebbero la meglio le forze del partito comunista locale, che nel dicembre 1975 instaurarono la Repubblica popolare del Laos, un regime di stampo socialista a partito unico. Anche la Cambogia vide trionfare nel 1975 le forze comuniste, da anni impiegati in una guerriglia contro il regime autoritario filoamericano. Fu quindi proclamata la Repubblica democratica che nel 1976 di diede una costituzione. I costi umani e sociali di questa operazione furono terribili. Oltre alle deportazioni degli oppositori e al lavoro massacrante a cui la popolazione veniva costretta nelle comuni popolari, la dittatura di Pol Pot mise in atto un vero e proprio sterminio pianificato di tutti coloro che si ritenevano potessero macchiare la purezza della società. Queste repressioni si calcola che abbiano causato la scomparsa di ¼ della popolazione cambogiana. Alla fine del 1997, quasi 19 anni dopo la caduta del regime di Pol Pot, l’ONU riconobbe come atti di genocidio i crimini commessi. 13.2 Il conflitto israelo-palestinese Fin dalla guerra del 1948 il principale e più terribile nemico di Israele si era rivelato essere l’Egitto. Dall’egitto fin dal 1949 cominciarono a partire ripetuti attacchi di guerriglieri arabi contro il territorio israeliano; israele rispose sempre con violente rappresaglie, che culminarono a Gaza nel 1955. Anche la guerra di suez nel 1956 si era fondata sull’acerrima rivalità tra Tel Aviv e il Cairo. In quell’occasione il giovane stato ebraico riuscì in brevissimo tempo a conquistare gaza e tutta la penisola del sinai. All’inizio del 1957 irlaele si ritirò dal sinai lasciando posto alla forza di interposizione dei caschi blu dell’ONU. Il leader egiziano Nasser, capì che sul piano militare e geopolitico la guerra aveva avuto un esito disastroso e quindi si concentrò sulla politica interna del paese. Rafforzò anche il proprio dispositivo militare, grazie anche all’intesa con l’URSS. Lo stato di tensione crescente porta israele nel 1966 a compiere una serie di attacchi aerei su siria e cisgiordania. Come reazione a ciò, l’egitto volle ripristinare il pieno controllo militare sul sinai e lo fece nel 1967. Tale provvedimento dece ulteriormente lievitare la crisi e re Hussein in giordania, firmò un patto di difesa con l’egitto. La strategia della tensione israeliana finì per innescare un clima da guerra in vista su entrambi i versanti. Nel 1967 la crisi esplose nella guerra aperta; l’aviazione israeliana attaccò a sorpresa le basi aeree egiziane e il giorno dopo le forze di terra avanzarono con fulminea rapidità nel sinai. Nel frattempo la giordania accettò il cessate il fuoco proposto dalle nazioni unite, seguita subito dall’egitto. Israele potè quindi muoversi contro la siria. Questo conflitto, ricordato come la guerra dei Sei Giorni, ribaltò completamente gli assetti territoriali della regione: israele ottenne il controllo sull’intera palestina, e anche sul sinai e parte della siria, ricavandone un vantaggio strategico. Tutto il mondo occidentale si era schierato a sostegno di israele, con l’eccezione di de gaulle che come l’URSS, volle ammonire le mire egemoniche degli israeliano, benché all’epoca la francia fosse la principale fornitrice di armi a israele. Al termine della guerra tutti i cittadini britannici e statunitensi residenti in egitto furono espulsi, mentre nasser accettava l’invio di armi e consiglieri dall’URSS. Secondo il leader egiziano infatti, ciò che era stato preso con la forza doveva essere ripristinato con la forza. Questa inclinazione portò al consolidamento dell’alleanza tra USA e israele. Anche sul fronte palestinese l’esito del conflitto portò ad una radicalizzazione dello scontro. Fu in questo contesto che nel settembre del 1970 (“settembre nero”) re hussein in giordania, esposto alle continue rappresaglie di israele e volendo limitare il peso delle organizzazioni palestinesi presenti nel suo paese, sferrò un duro attacco contro i profughi palestinesi. Si trattava ormai di una vera e propria guerra di attrito che produsse un alto numero di perdite umane e materiali da entrambe le parti. Solo alla fine del 1970, dopo la morte di Nasser, il suo successore Sadat concluse con israele l’accordo per cessare il fuoco; le frontiere rimanevano tuttavia quelle fissate all’indomani della guerra dei sei giorni. Soprattutto per l’egitto, la partita non era chiusa e sedat, di fronte al rifiuto sovietico di rifornimento di armi, arrivò alla decisione di espellere tutti i consiglieri militari inviati da Mosca. Questa misura non gli garantì una reale alternativa all’alleanza con l’URSS, le relazioni con l’occidente non gli assicuravano armamenti e sostegno logistico sufficienti a portare l’attacco al di là del canale. Il 6 ottobre 1973 con l’inizio del mese di digiuno del ramadan, gli eserciti siriano ed egiziano attaccarono rispettivamente le alture del Golan e il Sinai. L’effetto a sorpresa funzionò: l’esercito siriano penetrò sul golan, mentre l’egitto riuscì a trasferire 90.000 uomini sulla sponda orientale del canale. Anche altri paesi arabi e mussulmani dei contingenti militari. La controffensiva israeliana non fu rapida e fu resa possibile dall’intervento americano che attuò un grande ponte aereo per spezzare l’attacco a tenaglia sirio-egiziano. Questo intervento ufficializzò l’alleanza USA-israele destinata poi a diventare strategica. Il 12 ottobre le forze siriane furono respinte e costrette a retrocedere sulle posizioni di partenza. L’esercito israeliano sferrò un contrattacco e alcuni reparti riuscirono ad attraversare uk canale di suez e penetrare in territorio egiziano. Il 22 ottobre le nazioni unite imposero in cessate il fuoco. Se praticamente nulli furono i risultati della guerra dal punto di vista territoriale, per l’egitto si trattò di un relativo successo sul piano politico e diplomatico. Gli egiziani si sentirono appagati dalle prime vittorie, e soprattutto erano riusciti a cancellare l’onta della sconfitta del 1967. Sul piano diplomatico sadat aveva ottenuto di sbloccare lo stallo che si era creato dopo la vittoria israeliana di 6 anni prima. Queste condizioni permisero quindi l’apertura dei negoziati per il processo di pace. Il presidente egiziano sadat nel 1977 si recò in israele dove fece capire di patrocinare una soluzione pacifica dei problemi dell’area mediorientale. L’anno successivo sadat e il ministro israeliano si incontrarono negli USA. In quell’occasione furono poste le basi per il trattato di pace tra egitto e israele, che venne poi firmato a washington nel 1979. 13.3 Lo scenario africano: il Corno d’Africa e l’Africa australe La fragilità dei governi africani nel sistema internazionale venne messa drammaticamente in luce dal conflitto civile scoppiato in Congo nel 1960. L’uccisione del primo ministro Lumumba nel 1961, le difficoltà incontrate dalla missione di pace dell’ONU e il coinvolgimento politico di belgio e USA caratterizzarono una lunga crisi politica e militare che si protrasse fino il 1965. In quell’anno il colpo di stato militare di Mobutu instaurò una regime autoritario politicamente alleato al blocco occidentale. Le aree dove la guerra fredda di intrecciò più direttamente alle dinamiche regionali e nazionali furono il Corso d’africa e l’africa australe. Il corno d’africa fu teatro di una guerra tra etiopia e somalia che esplose a due riprese: la prima nel 1964 e la seconda nel 1977. Il conflitto tra etiopia e somalia che affondava le radici nel rifiuto somalo di accettare la decisione della GB di assegnare la regione dell’Ogaden all’etiopia, aprì la regione all’influenza delle due superpotenze, a cui entrambi i paesi si rivolsero alla ricerca di sostegno politico e aiuti militari. Nel 1964 l’invasione somala del’’ogaden spinse gli USA a rafforzare le forniture di aiuti militari all’etiopia. In seguito la somalia concluse un’alleanza con l’URSS concedendole l’utilizzo della base militare di Berbera. Il rovesciamento del governo etiope nel 1974, avviò l’avvicinamento del nuovo regime marxista dell’etiopia all’URSS. Quando la somalia lanciò una nuova invasione nell’ogaden, mosca si schierò a difesa dell’etiopia, fornendo aiuti e istruttori militari e facilitando il trasporto di truppe cubane. La somalia si vide costretta a sospendere le operazioni militari nell’ogaden nel 1978. In seguito strinse un accordo con USA per l’utilizzo della base di Berbera. La fine della guerra fredda e la cessazione della fornitura di aiuti militari da parte dei 2 blocchi ebbero un impatto profondo sulle vicende politiche del corno d’africa. Nel 1933 l’eritrea ottenne l’indipendenza dall’etiopia. Nel 1991 precipitò la somalia in un periodo di grave instabilità politica e militare, per la quale non c’è ancora una soluzione. In africa australe le dinamiche globali della guerra fredda si intrecciarono con i violenti processi di decolonizzazione e con la lotta contro il regime razzista in sudafrica. Le divisioni tra i movimenti di liberazione provocarono lo scoppio di una sanguinosa guerra civile all’approssimarsi dell’indipendenza nel 1975. A tale data fu il movimento di ispirazione marxista a prendere le redini del governo indipendente e a far fronte all’invasione militare sudafricana. L’invio e il permanere delle truppe cubane in Angola segnò una svolta cruciale nella storia dell’africa australe. Mentre il sudafrica giustificò il mantenimento del suo controllo sula namibia come una necessità imposta dall’insicurezza provocata dalla presenza cubana, USA, GB, sudafrica e i governi indipendenti dell’africa australe cercarono di mediare una soluzione politica. Il governo razzista qui affrontava la lotta armata dei nazionalisti neri. La soluzione del conflitto avrebbe dovuto attendere il 1979 quando la firma dell’accordo aprì la strada alle prime elezioni democratiche in quello che avrebbe assunto il nome di Zimbabwe. L’elezione del repubblicano Reagan alla presidenza degli USA nel 1980 segnò l’avvio di una nuova fase nei conflitti di angola e namibia. Di questa politica riuscì a trarre vantaggio il governo sudafricano, il cui fine rimaneva la difesa del sistema di apartheid, sempre più in crisi a causa delle proteste interne e delle difficoltà che incontrava nel rispondere alle trasformazioni economiche del contesto nazionale e internazionale. A subire i costi più gravi di questa politica furono anche il mozambico. In questo paese il governo dovette affrontare la distruzione umana e materiale provocata dai ribelli, sostenuta inizialmente dal governo rhodesiano e dopo dal sudafrica. La parziale sconfitta nel 1988 dell’esercito sudafricano segnò un punto di svolta nel conflitto. Complici anche il nuovo clima nelle relazioni tra USA e URSS e i negoziati giunsero a conclusione del 1988 con la firma dell’accordo tripartito di new york. Questo accordo aprì la strada al graduale ritiro delle truppe cubane dell’angola e all’indipendenza della namibia, che fu raggiunta nel 1990. La firma del trattato di pace tra angola e sudafrica non significò tuttavia la fine del conflitto civile in angola, che avrebbe continuato fino al 2002. CAPITOLO 14 – GLI ANNI SETTANTA COME SVOLTA 14.1 Il 1968: la rivolta di una generazione All’origine di tale fenomeno, vi era una serie di fattori di tipo sociale, demografico e politico. Gni anni della ricostruzione postbellica e del boom economico erano stati caratterizzati da un notevole sviluppo demografico. Alla fine degli anni 60 aveva raggiunto l’età adulta una generazione, la baby boom generation, che aveva vissuto gli anni del benessere e dell’opulenza senza conoscere il dramma della guerra e della scarsità alimentare che avevano invece accompagnato la vita dei loro genitori. Si trattava quindi di una generazione entrata nell’adolescenza all’inizio degli anni 60. I modelli di comportamento tra genitori e figli tendevano a differenziarsi in modo sempre più evidente. Animati da un forte senso di partecipazione politica e protagonismo nella vita sociale, i giovani entravano nell’età adulta con un atteggiamento molto diverso rispetto a quello dei loro genitori. I giovani cominciarono a rifiutare la società dei consumi e il modello di sviluppo che la generava, proponendo una controcultura fortemente critica verso la generazione dei padri e il sistema di potere delle elite politiche e sociali dominanti. Venivano proposti stili di vita sempre più incentrati sul comunitarismo e sull’egualitarismo. L’abbigliamento e la musica diventarono i mezzi principali con cui i giovano rendevano palese questa rottura con il passato. Il tratto dominante che caratterizzò il movimento di protesta giovanile alla fine degli anni 60 fu la contestazione di ogni forma di autorità gerarchica, da quella dei genitori a quella esercitata nella scuola, fino a coinvolgere anche la l’accorso sui cambi svalutando la sterlina in rapporto al dollaro. Anche il primato del dollaro cominciò a vacillare. All’inizio degli anni 70, infatti il primo esportatore mondiale dei prodotti industriali era la Germania ovest, mentre gli USA passavano in secondo posto, seguiti dal Giappone. Nel corso degli anni 60 l’URSS iniziò ad accumulare le proprie riserve valutarie su banche europee, creando così una massa monetaria che sfuggiva al diretto controllo americano e di cui non poteva essere garantita la convertibilità in oro. Analogamente fecero i paesi produttori di petrolio, non investendoli nelle loro economie, bensì nell’acquisto di titoli e valuta esteri. La massiccia circolazione di dollari all’estero, produssero il progressivo deprezzamento della moneta americana per via della diminuzione del rapporto di cambio tra dollari e oro. Mentre nel 1948 gli USA possedevano più del 73% delle riserve auree del pianeta, nel 1970 le riserve americane erano scese al 29% a fronte di un grosso aumento di quelle europee che raggiunsero il 37%. Il presidente Nixon nell’agosto del 1971 annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro e decise di introdurre forti dazi protezionistici sui beni di importazione. Entrambi questi provvedimenti segnarono la fine del sistema di bretton woods e al tempo stesso ridimensionarono sensibilmente il ruolo dell’economia americana nel mondo. Il principale fattore che aveva messo in crisi il sistema economico-finanziario fu il costante aumento del prezzo del petrolio, diventato la principale fonte energetica dei paesi industrializzati al posto del carbone. Nel 1967 poi i paesi produttori di petrolio tentarono in embargo per colpire le economie occidentali, che fu il primo campanello d’allarme circa il potere di ricatto detenuto dai paesi produttori di petrolio, collocati nell’area del sud. Lo scoppio della guerra dello Yom Kippur nel 1973 fece precipitare la situazione in modo drammatico. I 6 paesi arabi dell’OPEC annunciarono una drastica riduzione della produzione e il contemporaneo aumento del prezzo del petrolio fino a che Israele non si fosse ritirata da tutti i territori occupati nel 1967. Lo shock petrolifero colpì immediatamente la produzione industriale soprattutto quella dei paesi, come italia e giappone, che dipendevano quasi esclusivamente dall’estero per il proprio fabbisogno energetico. L’aumento del prezzo del petrolio si riversò a sua volta sui prezzi dei beni di consumo, producendo un drastico aumento del tassi di inflazione in tutti i paesi industrializzati. Ne conseguì un netto calo dei consumi e una conseguente contrazione degli investimenti e della produzione. Tra 1975 e 76 il produzione industriale diminuì drasticamente sia in europa occidentale, che in giappone e USA. La recessione delle economie occidentali innescata dallo shock petrolifero ebbe nel medio periodo, risultati diversi rispetto ad analoghe crisi del passato; in nessun paese infatti si registrò un processo deflativo a fronte del calo di produzione. Al contrario la recessione fu accompagnata da una spinta inflazionistica che produsse un aumento dei prezzi. Questo fenomeno, definito “stagflazione”, fu determinato da diversi fattori. Da un lato, se l’inflazione era stata originata da un aumento a catena dei prezzi, il suo livello si era mantenuto in costante crescita per il sistema di tutela dei salati, che venivano progressivamente adeguati all’aumento dei prezzi per mantenere il reale potere d’acquisto. Dall’altro lato, visto che la domanda di alcuni beni era elastica ovvero inversamente proporzionale al loro prezzo, ne conseguiva che, a fronte di un calo della domanda, la produzione di determinati beni rallentasse producendo stagnazione in quei settori. Fu per la combinazione di questi fattori che le economie dei paesi industrializzati, nella seconda metà degli anni 70, furono attraversate da fenomeni contrastanti, l’inflazione e la stagnazione. La crisi produsse numerosi effetti anche sul piano sociale, primi fra tutti il vertiginoso aumento della disoccupazione e un calo del tenore di vita generale. In ambito economico invece si assistette ad una accelerata “terziarizzazione” delle economie dei paesi di sviluppo avanzato che riuscirono in parte ad assorbire la disoccupazione prodotta dalla crisi delle industrie. In sintonia con le teorie proposte dalle scuole di pensiero economico liberista e monetarista (Hayek e Friedman) alcuni paesi intrapresero politiche di riduzione della spesa pubblica allo scopo di contrastare l’inflazione e favorire la stabilizzazione monetaria e il rigore economico. 14.4 Le difficoltà statunitensi e l’avvio della distensione La campagna elettorale del 1968 si svolse in un clima di grandi tensioni e fu completamente monopolizzata dal problema del Vietnam. Lo stesso partito democratico era ormai diviso tra quanti erano favorevoli a continuare la guerra e chi propendeva per un graduale ritiro delle truppe. Tra questi il senatore Robert Kennedy candidato alla presidenza per il partito democratico. Cadde però lui stesso vittima di un attentato. Fu in questo clima, percorso da preoccupanti segnali di violenza, che si svolsero le elezioni presidenziali del 1968, vinte dal candidato repubblicano Nixon. Egli si era presentato con un programma all’insegna della pace, dell’armonia nazionale e del rigore economico. La strategia che Nixon e il suo collaboratore Kissinger decisero di adottare in Vietnam era articolata su 3 punti: il ritiro graduale delle truppe di terra; l’intensificazione dei bombardamenti sul vietnam del nord; la cosiddetta “vietnamizzazione” del conflitto, tesa a rendere il regime del sud progressivamente autosufficiente e in grado di reggere lo scontro con i vietcong senza il sostegno americano. Il progressivo disimpiego del Vietnam dell’amministrazione Nixon, fu accompagnato in politica interna da un orientamento conservatore. Nixon mise in atto una dura battaglia giudiziaria e repressiva contro i gruppi pacifisti radicali e i movimenti di protesta; inoltre iniziò a smantellare molti dei provvedimenti di previdenza sociale varati da Johnson. Proprio per realizzare questi obiettivi presentò un progetto definito new federalism, con cui si proponeva di ridurre le competenze del governo centrale cedendole ai singoli stati. Al tempo stesso Nixon promosse lo strumento dell’affirmative action, un pacchetto di norme di contro-discriminazione a sostegno delle minoranze etniche. Il conflitto nel vietnam e la corsa agli armamenti si erano rivelati estremamente costosi per gli USA. Si aprì una nuova fase nella storia della guerra fredda comunemente definita “distensione”. Essa non solo avrebbe significato un sostanziale riconoscimento della forza del blocco sovietico da parte degli USA, ma avrebbe anche comportato per l’URSS l’accesso alle tecnologie e al commercio occidentale e le avrebbe consentito di ridurre i costi degli armamenti. Anche all’europa, vennero importati segnali di distensione. Willy Brandt da tempo era fautore di una politica di graduale apertura verso est, volta a riallacciare i rapporti con la DDR. A differenza di Adenauer era convinto che bisognasse accettare lo status quo della divisione della germania e alla fine la sua linea si impose. Nella strategia di distensione portata avanti dagli USA si era nel frattempo cominciata a profilare la possibilità dell’apertura verso la cina comunista. Iniziata con l’invio a pechino di una squadra americana di giocatori di tennis da tavolo, e con la successiva ammissione della cina nell’ONU, la distensione tra washington e pechino culminò con lo storico viaggio di Nixon in cina nel 1972, dove il presidente americano incontrò il leader cinese Mao. La reazione di Mosca al riavvicinamento tra USA e cina fu di accelerare il dialogo con gli americani sul problema della riduzione degli armamenti strategici. Nel 1972 Breznev e Nixon siglarono l’accordo SALT I che limitava il numero di missili intercontinentali e fissava una soglia alle armi strategiche offensive di entrambi i paesi. Allo stesso tempo, Mosca mantenne inalterato il suo sostegno alle forze rivoluzionarie nei paesi del terzo mondo, e Washington continuò a contrastare energicamente la possibile formazione di regimi filocomunisti in america latina. Le scelte di politica internazionale di Nixon furono in parte determinate anche dalla situazione interna. Lo stato di crisi in cui versava il paese peggiorò ulteriormente tra 1973 e 1974 quando il presidente fu travolto dallo scandalo Watergate in seguito ad un’inchiesta giornalistica che lo accusava di aver coperto attività illecite di spionaggio da parte dii suoi stretti collaboratori ai danni del partito democratico. Nixon si dimise. 14.5 L’Italia negli “anni di piombo” Sull’onda della mobilitazione studentesca ed operaia del 69 e 69, nel 1969-70-71 vennero presi dei provvedimenti: fu riformato il sistema pensionistico; l’ordinamento fiscale; venne attuato concretamente l’istituto delle regioni; si gettarono le basi del servizio sanitario nazionale gratuito per tutti i cittadini. Inoltre nel 1970 il parlamento approvò la legge sul divorzio. Negli stessi anni fu varato il nuovo diritto di famiglia e nel 78 il parlamento approvò la legge sulla legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza. Nonostante i primi adeguamenti legislativi alle pressioni sociali e culturali in atto, la riproposizione della tradizionale alleanza governativa di centro-sinistra svelò ben presto tutte le fragilità di un sistema politico bloccato. A cavallo degli anni 70 si cominciarono a formare organizzazioni eversive di destre come Ordine nuovo, Avanguardia nazionale, che intendevano dare, attraverso la lotta armata, un esito autoritario alla crisi politico-sociale in corso. Sul fronte opposto troviamo la sinistra extraparlamentare, da cui nacquero gruppi armati clandestini come le Brigate Rosse, Prima linea, desiderosi di intraprendere una lotta frontale contro lo stato e le sue istituzioni. Questa situazione di grande instabilità esplose del 1969. Questa fase drammatica per la storia italiana venne chiamata “gli anni di piombo”. Tra il 1969 e il 1980 il terrorismo eversivo di destra e sinistra provocò la morte di 415 persone e ne ferì circa un migliaio. Durante questi anni lo stato si trovò a dover far fronte ad un nemico interno di cui faceva fatica a mettere a fuoco le caratteristiche e il radicamento nel paese. Il primo il 12 dicembre 1969 quando fu fatta scoppiare una bomba nella sede della banca nazionale a Milano. La polizia arrestò alcuni esponenti del movimento anarchico che poi si rivelarono completamente estranei ai fatti. Uni di essi, Pinelli, durante l’interrogatorio cadde dalla finestra e morì, alimentando un clima di sospetto e odio nei confronti delle istituzioni che avrebbe lasciato un'altra scia di sangue. Accusato dalla sinistra estrema, il commissario di polizia venne ucciso nel 1972. Ben presto si comprese che la strage di piazza Fontana di Milano era il primo atto di un disegno eversivo dell’estrema destra promosso con la collaborazione di alcuni settori dei servizi segreti e delle forze armate italiane. Nonostante l’alone di mistero che ancora oggi continua a circondare molti dei drammatici eventi negli anni 70, appare confermata la collusione tra il terrorismo neofascista e alcuni settori deviati dai servizi segreti italiani anche per le successive stragi che insanguinarono il paese. Nel 1974 esplosero 2 bombe, una a Brescia, e una tra Firenze e Bologna. Il 2 agosto 1980 scoppiò una bomba nella stazione di bologna, e 4 anni dopo un ordigno esplose sul treno 904 Roma- Milano. Questa strage si può considerare l’ultima delle grandi stragi che insanguinarono gli anni 1969.1984. In parte come reazione agli attentati dei primi anni 70, in parte per rilanciare la prospettiva rivoluzionaria abbandonata dal partito comunista, i gruppi armati della sinistra estrema cominciarono a colpire i presunti simboli dello stato capitalista. Il giudice Sossi, tra il 1974 (quando fu rapito) e il 1978 (quando le brigate rosse portarono il loro attacco al cuore dello stato) la cosiddetta “propaganda armata” dei brigatisti dispiegò la massima violenza. La drammatica stagione del terrorismo si sovrappose ad una fase di recessione economica gravissima che a partire dal 1973 mise in ginocchio l’economia italiana. L’aumento del prezzo del petrolio aveva provocato un drastico aumento dei prezzi in tutti i settori, mentre il tasso di inflazione era cresciuto. Di fronte a questa miscela esplosiva di recessione economica, disoccupazione e terrorismo, una parte della classe politica capì che la sola strada per dare più solidità ed incisività all’azione dei governi era quella di cercare “equilibri più avanzati” rispetto all’alleanza tradizionale dei partiti centro-sinistra.si trattò di un percorso lungo e sofferto, che coinvolse sia il partito socialista e alcuni settori della sinistra, disponibili ad attuare una strategia dell’attenzione nei confronti del gruppo parlamentare comunista, sia lo stesso partito comunista. Già dal 1968 i comunisti italiani, francesi e spagnoli denunciando l’intervento sovietico a praga, avevano elaborato una via al socialismo alternativa a quella proposta da mosca, che prese il nome di “eurocomunismo” proprio per sottolineare l’accresciuta distanza dal modello sovietico e la volontà di trovare una strada comune fra i partiti comunisti dei paesi dell’europa occidentale. La scelta di Berlinguer di procedere verso un compromesso storico tra i comunisti, socialisti e democristiani, subì un accelerazione dopo che nel 1973 il governo socialista Allende era stato abbattuto in Cile. In realtà questo progetto si scontrò con la tenace resistenza di ampi settori della democrazia cristiana. Le elezioni politiche del 1976 fecero capire chiaramente che non si poteva prescindere da alleanze di tipo nuovo. Ci si apprestò quindi a formare governi che furono chiamati di “solidarietà nazionale”. Tale linea politica intendeva comprendere sia la strategia del “compromesso storico” di berlinguer, sia quella definita da Moro “terza fase”, ovvero una formula politica che doveva individuare i nuovi equilibri che si erano creati nel paese. A guidare il primo esecutivo di solidarietà nazionale fu Andreotti che costituì un governo monocolore democristiano che poteva contare sulle astensioni concordate dal PCI, PSI, PSDI, PLI e degli indipendenti di sinistra. Apparve in quel momento la sola strada percorribile di fronte alle resistenze di ampi settori della democrazia cristiana e alle perplessità della stessa amministrazione americana verso il pieno inserimento dei comunisti nell’area governativa. Tale strategia proseguì nei 2 anni successivi, quando si aggravò l’emergenza del terrorismo di sinistra e nel 1977 si ebbe una nuova fiammata di contestazione studentesca. La protesta dei giovani ritornava a denunciare il disagio giovanile verso una società avara di prospettive e verso una classe politica che sembrava aver perso la capacità di dialogare con i cittadini. Fu nel quadro di queste crescenti tensioni che si consumò l’azione più eclatante delle brigare rosse. Il 16 marzo 1978 un commando delle BR rapì il presidente della DC Aldo Moro. L’obiettivo era quello di colpire uno dei simboli di 30 anni di potere democristiano in italia. La maggior parte delle forze politiche optò per la linea del rifiuto di qualsiasi accordo con i brigatisti che chiedevano la liberazione di alcuni loro militanti detenuti in carcere. Lo stesso PCI fede subito quadrato con gli altri partiti per la difesa dello stato, condannando senza mezzi termini l’azione dei terroristi e respingendo qualsiasi ipotesi di compromesso. Il tragico episodio si consumò il 9 maggio 1978 quando il cadavere di Moro venne fatto trovare nel bagaglio di un’auto parcheggiata a Roma. Il rapimento e l’assassinio di Moro rappresentano un punto di svolta nella storia italiana dei drammatici “anni di piombo”. La linea della solidarietà nazionale si esaurì completamente nel corso del 1979, profilando già all’orizzonte un’alleanza governativa, il cosiddetto pentapartito, che avrebbe cercato di riproporre negli anni successivi i vecchi equilibri allargati del centro-sinistra sperimentato negli anni 60. Al tempo stesso però la capacità di tenuta delle istituzioni democratiche dinnanzi al caso Moro e l’ondata di indignazione che la vicenda aveva suscitato nell’opinione pubblica italiana esaurirono progressivamente la spinta delle BR, sempre più isolate anche all’interno dei gruppi di sinistra radicale. Inoltre il governo si impegnò a lanciare una sfida al terrorismo, affidando poteri speciali al generale dei carabinieri Della Chiesa. Comunisti e socialisti non si opposero a questo provvedimento. Della Chiesa grazie ai suoi uomini e sfruttando anche le divisioni interne delle BR, riuscì nel giro di pochi anni a smantellare molte cellule terroristiche e a ridurne drasticamente la capacità operativa. Nel 1981 tuttavia le BR tornarono all’azione con il rapimento del generale americano della NATO, Dozier. Il rapimento si concluse però con un’operazione di polizia che portò alla liberazione dell’staggio e all’arresto dei brigatisti, segnando una crisi irreversibile della loro organizzazione. Nonostante questo, nei 20 anni successivi, il paese fu ancora colpito da omicidi rivendicati dalla BR. Benchè quindi, all’inizio degli anni 80 la lunga e drammatica stagione degli anni di piombo fosse da considerarsi ormai chiusa, gli ultimi colpi di coda delle BR dimostrarono la presenza di nuclei isolati ancora operativi. 14.6 Dalla crisi dei modelli di welfare al neoliberismo di Marget Thatcher e Ronald Reagan Il decennio 1970-80 ha rappresentato per molti versi una cesura nella storia del 900. Dal punto di vitsta delle relazioni internazionali, la semplificazione de quadro geopolitico imposta dalla guerra fredda, era parzialmente venuta a meno, nel corso degli anni 60, con la decolonizzazione in asia e africa e la conseguente comparsa di nuovi stati-nazione in aree tradizionalmente considerate periferiche. Nell’agosto del 1975 si conclusero a Helsinki i lavori della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in europa con un atto finale che patrocinava il miglioramento delle relazioni reciproche tra gli stati per assicurare condizioni nelle quali i loro popoli potessero godere di una pace vera e duratura, liberi da ogni minaccia o attentato alla loro sicurezza. Sottoscritto da tutti i paesi europei, compresa l’URSS e USA, l’atto finale della conferenza sancì la volontà comune di stabilizzare l’assetto politico europeo e promuovere le relazioni economico-commerciali tra gli stati. La nuova amministrazione americana fu quella di Carter eletto nel 1976. Egli arrivò dopo lunghi negoziati, a siglare con mosca nel 1979 il SALT II, sebbene meno ambizioso di quello voluto inizialmente dal presidente, fissava un limite massimo al numero di missili intercontinentali e di quelli dotati di testare nucleari multiple. In quella data i rapporti tra USA e URSS stavano tornando ad essere fortemente antagonisti. Carter pose al centro della propria presidenza la questione della difesa dei diritti umani nel mondo e questo finì per raffreddare le relazioni bilaterali tra i due paesi soprattutto dopo il coinvolgimento dell’URSS e cuba nella guerra civile in corso a sostegno dell’etiopia. Alla fine degli anni 70, il processo di distensione tra USA e URSS sembrò un compromesso. Da un lato la politica internazionale di Carter si era rivelata ambigua, muovendosi tra il tentativo di superare gli antagonismi tradizionali della guerra fredda e la volontà di portare avanti gli interessi americani secondo il vecchio schema di contenimento; grecia scelse ufficialmente la forma-stato repubblicana e nel giro di pochi anni fu terminata la transizione verso la democrazia. Risaliva invece nel PORTOGALLO al 1926 il colpo di stato militare guidato da Salazar, che aveva posto fine alla giovane democrazia portoghese, avviando la costruzione di una dittatura di stampo corporativo cattolico. Salazar aveva istituito uno stato impermeabile alle interferenze economiche e politiche straniere, retto economicamente dall’intenso sfruttamento delle colonie. Il portogallo nel dopoguerra fu ammesso al piano Marshall e alla NATO. Proprio gli alti costi delle guerre nelle colonie costrinsero Salazar ad aprire l’economia agli investimenti stranieri e al turismo, dando avvio a quel boom economico che rese tuttavia evidenza l’arretratezza del paese rispetto al resto dell’europa occidentale e accrebbe le richieste interne di riforme politiche e istituzionali. Dopo l’uscita di scena di Salazar nel 1968 il potere fu assunto da Caetano, il quale decise di proseguire le guerre coloniali senza tenere in considerazione che proprio l’esercito cominciava ad essere fortemente critico nei confronti della politica repressiva attuata sia nelle colonie sia all’interno del paese. Proprio da un gruppo di ufficiali nel 1974 fu organizzato un colpo di stato che pose alla guida del paese il generale Spinola. Questi sciolse la polizia politica, eliminò la censura, concesse l’amnistia ai prigionieri politici e manifestò fin da subito l’intenzione di favorire il processo di decolonizzazione nei possedimenti africani. Nel 1974 Spinola, dopo aver tentato un colpo di stato, si dimise. Fu a questo punto che la cosiddetta “rivoluzione dei garofani” assunse un carattere decisamente radicale. Essa fu caratterizzata dalla nazionalizzazione delle industrie e da una estesa riforma agraria che, accolta favorevolmente nelle regioni del sud, incontrò invece la forte opposizione degli agrari del nord. Alle elezioni dell’anno successivo la vittoria andò al partito socialista Soares. Nell’aprile 1976 le elezioni politiche confermarono il risultato dell’anno precedente, assicurando ai socialisti la maggioranza relativa nell’assemblea legislativa. Al leader socialista Soares venne quindi affidato il mandato di formare il governo del nuovo presidente della repubblica Eanes. Sostenuto dagli aiuti economici di USA, FMI e CEE, il portogallo si avvicinò lentamente fuori dalla crisi e l’impianto presidenziale-parlamentare del suo nuovo testo costituzionale, garantì il consolidamento delle forze di centro, che avviarono una graduale ripresa economica. In SPAGNA fu lo stesso Franco che indicò la strada che il paese avrebbe dovuto percorrere dopo la sua morte. Nel 1975 Carlos fu incoronato re, e confermò Navarro alla guida del governo. Nell’anno successivo Navarro entrò in conflitto con la monarchia e si dimise, così il sovrano chiamò Suarez. Egli godeva della fiducia del vecchio apparato del regime e intraprese fin da subito un programma di riforme. Egli reintroduceva il suffragio universale e istituiva un parlamento bicamerale. Nel giro di pochi mesi vennero legalizzati tutti i partiti, le diverse associazioni sindacali, e fu concessa un’ampia amnistia ai detenuti politici. Nell’ottobre del 1977 Suarez sottoscrisse con tutte le forze politiche i “patti di Moncloa”, una sorta di concentrazione politica e sociale che favorì una svolta nell’economia del paese e nel giro di un anno riuscì a far scendere l’inflazione grazie ad un’attenta politica dei redditi e al contenimento della spesa pubblica. La nuova costituzione del 1978 manteneva una forma di stato monarchica, ma segnalava anche una rottura con il passato. Il cattolicesimo cessava di essere la religione di stato, la pena di morte fu abrogata e furono riconosciute ampie autonomie alle provincie, andando incontro alle tradizionali aspirazioni dei paesi baschi e della catalogna. Nel 1979 le elezioni politiche confermarono la leadership di Suarez, quelle amministrative diedero la vittoria a socialisti e comunisti in diverse grandi città. Proprio la nascita di giunte amministrative di sinistra causarono una crescente insofferenza elle file dell’esercito e a cavallo degli anni 80 ci furono ben 3 occasioni in cui parve che alcuni settori delle forze armate potessero mostrare concretamente il loro malcontento. La crisi più grave fu nel 1981 quando un gruppo di militari guidati da Molina occupò il parlamento. Carlos fu tuttavia irremovibile di fronte alle pretese dei militari golpisti e anzi condannò pubblicamente i rivoltosi. Questi eventi dimostrarono la capacità di tenuta del sistema politico e la ferma volontà del sovrano di consolidare la democrazia. In seguito alle vittorie elettorali dell’ottobre 1982 il leader del partito socialista Marquez divenne capo del governo e nel 1986 ottenne che la spagna fosse ammessa nella Comunità economica europea. A metà degli anni 80, anche in Spagna la transizione della democrazia poteva ritenersi conclusa. 15.2 L’URSS e i paesi del Patto di Varsavia: una convivenza difficile Gli anni della dirigenza di Chruscev rappresentarono per l’URSS una fase di cambiamento. In ambito sociale furono abrogate le leggi staliniane che limitavano la mobilità nel mondo del lavoro, venne ridotto l’orario di lavoro giornaliero, introdotto il congedo di maternità, fissati i minimi salariali e varato un sistema pensionistico. Era quindi un primo abbozzo di welfare state. In campo culturale fu consentita la libertà espressiva e artistica, che consentì a molte importanti opere di vedere luce. Sul piano economico la vasta campagna di dissodamento delle terre vergini e le ardite sperimentazioni in campo agricolo promosse da Chruscev non riuscirono ad incrementare la produzione fino ai livelli sperati. Proprio il basso livello di raccolto del 1963 costrinse l’URSS a importare grano dai paesi occidentali. Le difficoltà economiche e le conseguenze della crisi cubana furono all’origine della destituzione di Chruscev nel 1964. Alla segreteria del partito venne chiamato Breznev, mentre il governo fu affidato a Kosygin. Breznev dovette affrontare alcuni gravi crisi all’interno del mondo comunista. Otre al deterioramento dei rapporti con la cina, l’albania di Hoxha iniziò a stringere una forte partnership con pechino e decise di uscire dal patto di varsavia. Anche le relazioni con la romania erano fonte di preoccupazione per mosca. Assumendo atteggiamenti sempre più indipendenti da mosca, i leader rumeni ottennero una certa fiducia presso i paesi della sfera d’influenza americana, tanto che la romania fu il primo, tra i paesi del blocco comunista, ad entrare nelle istituzioni economiche occidentali. Negli stessi anni un vivace fermento attraversò tutti gli altri paesi del blocco sovietico, tra cui la cecoslovacchia. Questa, secondo la costituzione del 1960, aveva raggiunto un socialismo completo dove il livello di egualitarismo era massimo. Ma i costi che l’economia aveva pagato per permettere una distribuzione egualitaria del reddito erano stati talmente alti, che fu necessario intraprendere un coraggioso piano di riforme. Queste furono accelerate quando al partito comunista arrivò Dubcek. Egli prevedeva una serie di aperture che destarono allarme a mosca. Il partito comunista infatti tolse la censura, riabilitò numerosi esponenti caduti in disgrazia negli anni passati, fece i primi passi sulla strada della liberalizzazione a livello economico e politico. Le preoccupazioni che, sulla scia della primavera di Praga, mosca potesse perdere i controllo su tutti gli altri stati satellite che spinsero Breznev nel 1968 ad esprimere la linea di condotta sovietica di fronte alle eventuali iniziative dei partiti comunisti nazionali. Parzialmente diversa fu l’esperienza polacca. Il regime di Gomulka mostrava ormai molti segni di debolezza. Retto da un’elite chiusa e incapace di cogliere le spinte al rinnovamento provenienti dal paese, il partito mise a tacere duramente le critiche che cominciarono a provenire da un’intellicencija composta di studenti e docenti universitari. Nel 1971 venne sostituito Gomulka con Gierek. Il nuovo leader polacco rispose alle richieste operaie con misure congiunturali, volte ad aumentare i salari e a contenere i prezzi. Tali correttivi però non risolsero i problemi strutturali dell’economia del paese. Alla fine degli anni 70, grazie all’opera del Comitato per la difesa degli operai, composto sia di lavoratori sia di intellettuali, furono poste all’attenzione del partito 2 importanti richieste: il diritto di costituire sindacati liberi e il diritto di sciopero. Quando nel 1978 fu eletto al soglio pontificio il cardinale polacco Giovanni Paolo II, che nel giugno dell’anno successivo si recò a varsavia, i polacchi si resero conto che gli avvenimenti del loro paese si sarebbero posti all’attenzione di tutto il mondo. Anche per questo motivo il partito alla fine decise di aprire le trattative con i leader del movimento e nel 1980 si giunse alla storica decisione di concedere ai lavoratori polacchi il diritto di fondare organizzazioni sindacali libere. A novembre venne costituito il primo sindacato libero con Solidarnosc, il principale leader dell’opposizione al regime comunista. Ci si limitò a pressioni in ambito socio-economico, puntando sui diritti sociali e sull’autogestione nel posto di lavoro, senza affrontare temi strettamente politici o questioni riguardanti i rapporti all’interno del patto di varsavia. Nel 1981 venne proclamata la “legge marziale”. Il candidato Solidarnosc fu messo fuori legge e i suoi capi arrestati. Era la palese dimostrazione della consapevolezza dei dirigenti comunisti che il vero pericolo per il sistema sovietico era rappresentato dal riformismo. All’inizio degli anni 80, i problemi all’interno del blocco sovietico erano numerosi e sempre più pressanti. L’URSS si trovava infatti a dover affrontare da un lato le opposizioni che stavano emergendo nei paesi satellite, e dall’altro i propri problemi interni anche se di tipo parzialmente diverso da quelli degli altri paesi comunisti. Un segno evidente di questa fragilità apparve in occasione dell’invasione dell’Afghanistan nel 1979. 15.3 Il 1979 in Medio Oriente: Afghanistan, Iran, Iraq Il 1979 fu un anno cruciale sia nelle dinamiche generali della guerra fredda, sia per la definizione degli assetti di un’area strategica come quella mediorientale. Da un lato la rivoluzione teocratica in Iran mise in allerta gli americani per le conseguenze che una possibile destabilizzazione della regione avrebbe potuto produrre nell’accesso ai giacimenti di petrolio; dall’altro l’invasione sovietica dell’Afghanistan suscitò i timori americani che si trattasse di un’operazione volta a favorire la penetrazione dell’URSS nell’intera zona del Golfo Persico. La rivoluzione iraniana fu il risultato di un ampio movimento di passa che coinvolse quasi tutti gli strati della popolazione (“rivoluzione di popolo”) con caratteri assolutamente unici nello scenario del Medio Oriente contemporaneo. Il regime assolutista e repressivo di Pahlavi non aveva portato a miglioramenti rilevanti nelle condizioni di vita degli iraniani, nonostante il boom petrolifero avesse arricchito il paese e fosse stato avviato un programma di riforme economiche e sociali ispirate a criteri paternalistici. Inoltre il clima di terrore aveva per molti anni soffocato qualsiasi manifestazione di dissenso. Le proposte esplosero tuttavia nel biennio rivoluzionario nel 1977-79, durante il quale le manifestazioni contro lo scià si estesero a tutto il paese. Determinante nel far precipitare gli eventi fu il ruolo svolto dall’ayatollah Khomeini. Egli riuscì a diventare la guida morale e spirituale della rivoluzione islamica. Nel 1979 si svolse a Teheran una manifestazione di circa 2 milioni di persone che reclamò a gran voce il ritorno all’ayatollah; il 16 gennaio lo scià, incapace di far fronte alla rivolta, laciò l’Iran e dopo poco tempo Khomeini potè far ritorno in patria. Una violenta repressione colpì i collaboratori del deposto scià: ai più fortunati fu concesso di prendere la via dell’esilio, gli altri vennero arrestati e condannati a morte. Khomeini si dedicò alla costruzione di un vero e proprio stato islamico: fondato sulla legge del corano. Nel 1979 circa il 98% degli iraniani espresse il proprio assenso alla nascita di una “repubblica islamica” e un’assemblea di esperti fu incaricata ti redigere la nuova costituzione. La costituzione creava a tutti gli effetti una repubblica teocratica che trovava la propria legittimazione nell’esaltazione della fede religiosa e nel progetto di una progressiva diffusione del fondamentalismo sciita. Tra 1979 e 1881 si ebbe una grave crisi con gli USA. Nel 1979 infatti un gruppo di studenti islamici prese d’assalto l’ambasciata americana a Teheran. Il drammatico avvenimento ebbe anche l’effetto di radicalizzare le posizioni di khomeini ed accentuare l’isolamento internazionale dell’Iran. Se da allora il regime iraniano divenne per gli USA il principale avversario della regione, la repubblica islamica assunse connotati sempre più marcatamente antioccidentali, oltre che antisovietici. Invece in Iraq un colpo di stato militare aveva portato al potere nel 1968 Ba’ath, un uomo di un movimento di ispirazione nazionalista panarabica, laica e socialista. Al-Bakr era diventato presidente della repubblica e primo ministro, aiutato da Saddam Hussein, capo dei servizi di sicurezza del paese e della guardia presidenziale. Al-Bakr pose l’accento sulle solidarietà tribali e di clan, e in questo modo riuscì a far del partito Ba’ath una vera e propria estensione del suo potere personale, in cui prevalevano interessi più materiali che ideologici. La sua era una politica di concessioni e repressione. Da un lato infatti venne lanciato un vasto programma di lavori pubblici e infrastrutture, e furono introdotte riforme che parevano concedere un certo grado di autonomia alla regione; dall’atro però il regime iniziò il trasferimento coatto di famiglie arabe nel nord dell’Iraq allo scopo di riequilibrare l’assetto demografico della zona. Con l’avvento al potere del partito Ba’ath si deteriorarono i sempre delicati rapporti con teheran per motivi sia ideologici che politici. Lo sciò iraniano era un federe alleato degli USA e costituiva un ostacolo alle ambizioni espansionistiche del nuovo regime di Baghdad. Iran e Iraq erano divisi da tensioni di confine e da rivalità per il controllo dei giacimenti petroliferi. Queste tensioni con il vicino Iran finirono poi per accendere un altro focolaio di crisi interna. Nel tentativo di pacificare il fronte interno e di ottenere l’appoggio del potente partito comunista iracheno, nel 1972 Iraq strinse un’alleanza militare ed economica con l’URSS. Il massiccio arricchimento dovuto al petrolio consentì quindi al governo iracheno di rendersi più indipendente dagli aiuti sovietici e ciò indusse Saddam a sbarazzarsi del partito comunista e a rafforzare ulteriormente la natura ba’athista del regime, facendo del suo partito il principale strumento di potere e controllo nelle mani della classe dirigente. Nel 1977 Saddam fu posto a capo dell’intero settore petrolifero e gettò le basi della costruzione del proprio potere personale. Nel 1979 al-bakr lasciò la presidenza a Saddam Hussein. Egli si dedicò al potenziamento dell’esercito e al progetto di realizzare l’egemonia irachena sul golfo persico. Nel 1980 l’esercito iracheno invase l’Iraq. Inoltre saddam, ritenendo ormai esaurita l’alleanza con l’URSS, sperava in questo modo di attirarsi l’appoggio dell’USA, ormai acerrimi nemici del regime di teheran. Questa si trasformò in una sanguinosa guerra di logoramento, a causa dell’accanita ed imprevista resistenza dell’esercito iraniano. Nonostante il ricorso iracheno alle armi chimiche e il reclutamento da parte di khomeni perfino di adolescenti all’interno della Guardia rivoluzionaria, il conflitto si immobilizzò lungo la frontiera tra i 2 belligeranti. Il regime degli ayatollah dispiegò nel conflitto tutta la propria forza allo scopo di dimostrare al mondo la superiorità morale della rivoluzione islamica e la volontà di esportarla, in caso di vittoria, in tutti i paesi mussulmani. Ma gli USA fecero dell’iraq di saddam il proprio principale alleato nella regione contr il terrorismo iraniano. Nel 1987 una risoluzione del consiglio di sicurezza dell’ONU impose il cessate il fuoco, che tuttavia khomeini accettò solo nell’anno successivo, quando ormai il paese era allo stremo. Dopo 8 anni di ostilità, la guerra tra iran e iraq lasciava entrambi i paesi devastati nel loro potenziale economico e industriale, e nel caso dell’iraq, di fronte a un indebitamento estero praticamente insanabile. Se la guerra scatenata nel 1980 da saddam era in parte espressione delle tensioni fra iran e arabia saudita, il vero terreno di scontro tra le due teocrazie si giocò in Afghanistan. Nel 1979 il paese era stato invaso dall’esercito dell’URSS che sperava di riportare ordine nella complessa situazione politica afghana e consolidare il potere del regime comunista. Mentre per Mosca l’impiego militare in Afghanistan aveva l’obiettivo prettamente difensivo di contenere il fondamentalismo islamico, gli USA interpretarono l’iniziativa sovietica come un tentativo espansionistico in direzione della ricca regione del golfo persico. L’arabia saudita vide nella lotta morale e materiale condotta dagli islamici afghani contro il partito comunista locale e contro i sovietici, una concreta possibilità di riprendere il proprio ruolo di guida spirituale e politica dell’islam, anche perché la presenza di una grossa comunità sciita nell’ Afghanistan occidentale, poteva fornire il pretesto all’iran per tentare di esportarvi il suo modello di regime teocratico. La tenace resistenza degli afghani e l’invio di volontari e aiuti da parte del governo saudita fecero quindi della guerra civile in Afghanistan uno scontro strategico e ideologico tra iraniani e sauditi. Il ritiro delle truppe sovietiche dall’ Afghanistan avvenne nel corso del 1988 e fu portato a termine nel 1989. Sul piano internazionale l’operazione in Afghanistan si rivelò un completo fallimento per mosca, ed essa non servì nemmeno a mettere fine ala guerra civile nel paese. Caduta nel 1992, la repubblica democratica dell’ Afghanistan che era sorta nel 1973, nel paese si affermarono gradualmente i taliban, letteralmente “studenti di religione”, un movimento politico e militare islamico di stampo fondamentalista. Essi riuscirono ad estendere il territorio sotto il proprio controllo fino a conquistare nel 1996 la capitale Kabul. Dal canto loro gli USA, una volta crollato il regime sovietico, non interferirono più su quanto stava avvenendo nel quadrante afghano. 15.4 La politica riformatrice di Gorbacev e la dissoluzione dell’URSS All’inizio degli anni 80 l’URSS si trovava in una situazione di crisi. Le spese militari erano cresciute fino al 40%. L’industria aveva una produttività pasi alla metà di quella dell’USA, mentre l’agricoltura era ferma a 1/10 di quella dell’USA. La mancanza di libertà, benessere e giustizia aveva alimentato un’insofferenza che solo il ferreo sistema di polizia riusciva a contenere. Le tensioni etniche e religiose, sempre represse ma mai dominate, tornavano periodicamente alla ribalta. Nonostante questo difficile quadro, aggravato dalla guerra in Afghanistan, per l’URSS l’opzione dell’incremento delle spese militari continuava ad apparire senza alternative. In cecoslovacchia il nuovo corso di Gorbacev aveva avuto l’effetto di costringere alle dimissioni il segretario del partito, soprattutto perché il leader sovietico aveva duramente criticato la mancata liberalizzazione del regime. A innescare la crisi definitiva fu nel 1989 la brutalità con cui la plizia represse una manifestazione autorizzata degli studenti. Due gruppi, il ceco Forum civico e lo slovacco Pubblico contro la violenza, si misero alla testa degli oppositori e Husack si dimise. Rapida e gestita interamente dal partito fu la transizione in Bulgarua. A farne le spese fu Zivkov che guidata il partito comunista del 1954. Negli anni 80 aveva cercato di incanalare il dissenso interno verso un comune, potenziale nemico: la minoranza turca. I provvedimenti varati contro i bulgari-turchi, però, avevano avuto l’effetto di isolare il paese all’interno della stessa area sovietica, attirando inoltre la condanna dell’ONU e della comunità europea. A giugno si tennero libere elezioni per la nomina di un nuovo parlamento e a vincere furono gli stessi ex comunisti che tuttavia pur mantenendo il potere, accettarono la nascita di un’opposizione organizzata e si predisposero a governare secondo i principi del pluralismo politico. Un segnale evidente di questo nuovo corso di ebbe nel 1990 quando furono riconosciuti alle minoranze turche e mussulmane gli stessi diritti dei cittadini bulgari. Molto diversa da quella cecoslovacca e bulgara fu la fuoriuscita del comunismo della romania, che avvenne al prezzo di violenze e spargimenti di sangue. Nel 1989 gli oppositori organizzarono una dimostrazione di protesta e il leader del partito ordinò di sparare. La repressione ebbe un effetto boomerang per il regime. Le proteste e le rivolte si estesero a tutto il paese e raggiunsero anche bucarest. Alla guida del nuovo governo si pose Iliescu, capo di un sedicente Fronte di salvezza nazionale composto da ex funzionari comunisti che si erano da poco distaccati dalla dittatura del leader precedente. 15.6 Piazza Tiananmen: il vento della libertà non soffia in Cina Mao Zedong morì il 9 settembre 1976. L’ala più radicale del partito era favorevole a continuare nel solco della “rivoluzione culturale” ed era rappresentata dalla “banda dei quattro”, i quali intendevano guidare la Cina dopo la morte di Mao. Nel giro di pochi anni, furono arrestati e condannati; la guida del paese venne assunta nel 1978 da Deng Xiaoping. Egli volle porsi in netta discontinuità rispetto alla “rivoluzione culturale” e alla politica maoista. Impostò il proprio programma sulle cosiddette “quattro modernizzazioni” riguardanti: settore agricolo, industria, difesa e settore scientifico-tecnologico. Nel campo dell’agricoltura l’obiettivo a lungo termine era di abbandonare progressivamente il sistema collettivistico e favorire il graduale ripristino dell’economia di mercato. Il primo intervento fu volto a stimolare la massima produzione negli appezzamenti privati, lasciando poi i contadini liberi di vendere sul mercato i loro prodotti. Il secondo intervento, il “sistema di responsabilità produttiva” prevedeva che gli agricoltori ottenessero lotti di terra per la coltivazione di prodotti specificamente assegnati, da cui una quantità prestabilita di raccolto andava consegnata alle autorità competenti, mentre le eccedenze rimanevano ai contadini. Se i risultati in campo agricolo potevano considerarsi soddisfacenti, era tuttavia evidente che non bastavano per modificare il tenore di vita della maggioranza della popolazione. Erano quindi necessari interventi in campo tecnologico, incentivi alla produzione industriale e soprattutto misure per consentire una prima diffusione dei beni di consumo. Si decise di indirizzare una parte degli investimenti verso l’industria leggera e fu messo a punto un piano generale di intervento che modificò il sistema produttivo industriale grazie all’importazione di tecnologie dall’estero e a sempre più interventi stranieri. Nel 1980 la cina entrò nella banca mondiale e nel fondo monetario internazionale. Per facilitare questi investimenti furono create 4 zone economiche speciali, coincidenti con i principali porti di ingresso alla terraferma in quanto più facilmente raggiungibili dagli investitori stranieri. L’obiettivo fu pienamente centrato; i capitali stranieri arrivarono copiosi e con essi anche le più moderne tecnologie. Al progresso economico, che produsse anche degli effetti negativi, non corrispose comunque un’eguale apertura in ambito politico-istituzionale. Prese forma il Movimento per la democrazia, appoggiato all’inizio da Deng. A Pechino nacque il “muro per la democrazia” dove si affiggevano giornali murali con interventi a favore delle riforme oppure critiche nei confronti della dirigenza del partito comunista. Quindi si richiamavano le 4 modernizzazioni di Deng, aggiungendone una quinta: la democrazia. Convinto che le 4 modernizzazioni fossero state sufficienti al rilancio del paese, nel 1979 Deng condannò il Movimento per la democrazia fissando la sua linea politica nei cosiddetti “quattro principi cardinali”: il socialismo sarebbe rimasto alla base della vita politica in cina e di conseguenza, si riaffermavano la dittatura del proletariato, l’autorità del partito comunista e la dottrina marxista-leninista affiancata a quella di mao. Allo stesso tempo furono cancellate dalla costituzione le 4 libertà: espressione, parola, tenere dibattiti, scrivere giornali murali. Le proteste non cessarono del tutto, ma il movimento per la democrazia subì un durissimo colpo: i suoi esponenti furono condannati e arrestati. All’inizio degli anni 80, un certo fermento cominciò a circolare anche all’interno del partito. I crescenti contatti economici con i paesi occidentali finirono infatti per introdurre in Cina usanze e comportamenti molto lontani da quelli tradizionali: abbigliamento, musica, divertimenti. Critiche al partito furono espresse da intellettuali e persino da alcuni esponenti della leadership comunista. Nel dicembre 1986 una protesta di studenti contro presunte manipolazioni nelle elezioni dilagò da una città all’altra, e si tornò a parlare con insistenza di democrazia. La repressione del partito non si fece attendere e colpì le rivolte. Pochi giorni dopo, in occasione dell’anniversario della nascita del “movimento del 4 maggio”, un movimento studentesco anti-imperialista e riformatore che era sorto nel 1919 per protestare contro le decisioni delle potenze vincitrici della GM, gli studenti tornarono a manifestare in molte città cinesi. La grande ondata di protesta dei giovani culminò a Pechino in piazza Tiananmen; quando gli studenti decisero di non abbandonare la piazza come ordinato dalle forze dell’ordine, e di cominciare uno sciopero della fame per ottenere le necessarie riforme, la tensione crebbe. Ad aggravare la situazione c’era anche la visita ufficiale di Gorbacev in cina, che era la prima di un rappresentante dell’URSS dopo la rottura dei rapporti tra i due paesi. Tuttavia, dopo lunghe discussioni tra gli organi di governo, scelse la linea della repressione. Il 29 maggio gli studenti vi eressero una statua dedicata alla dea della democrazia. Il 3-4 giugno l’esercito entrò in azione provocando una strage, si contano tra le 3.000 e 7.000 vittime. La tragedia di piazza Tiananmen segnò pesantemente i rapporti tra cina e paesi occidentali. Le relazioni economiche furono interrotte, gli USA e altri paesi introdussero sanzioni contro il governo cinese. Tali misure furono temporanee e ben presto la cina potè riprendere la strada dello sviluppo economico e dei rapporti commerciali con l’occidente. Per Deng, la priorità rimanevano comunque quelle economiche, convinto che lo sviluppo economico e il miglioramento delle condizioni di vita de lavoratori avrebbero tolto il consenso a tutti i movimenti che protestavano contro il regime. Quindi egli riconfermò i quattro principi cardinali e ribadì la più assoluta inflessibilità verso le manifestazioni politiche. 15.7 I partiti comunisti dei paesi occidentali di fronte al crosso del “mito” sovietico La caduta del Muro di Berlino e la successiva dissoluzione dei regimi comunisti nei paesi dell’est europeo ebbero conseguenze politiche assai rilevanti anche il occidente, andando a mettere in discussione il ruolo tradizionalmente svolto dai partiti comunisti. Tra le democrazie occidentali quella che disponeva del più solido partito comunista era l’Italia dove dal 1948 in poi, il PCI aveva rappresentato la principale forza d’opposizione. Già nel corso degli anni 70 e dei primi degli anni 80 comunque, Berlinguer aveva in più occasioni preso le distanze da Mosca e lanciato il progetto di una “società socialista” compatibile con le istituzioni democratiche: una sorta di “via occidentale” al comunismo, il cosiddetto Eurocomunismo che avrebbe dovuto coinvolgere tutti i partiti comunisti dei paesi dell’Europa occidentale. Se da un lato l’azione di Berlinguer aveva progressivamente modificato la linea politica del PCI, dall’altro la “patria del socialismo”, l’URSS restava nell’immaginario collettivo di gran parte dei vecchi militanti. Dopo la morte di Berlinguer nel 1984 fu eletto Natta e in sintonia con quanto stava succedendo nell’URSS con Gorbacev, avviò un ampio dibattito all’interno del partito che riguardò anche il possibile cambio del nome. La vera svolta fu nel 1988 quando la sua guida fu assunta da una nuova generazione di dirigenti che riuscirono a far eleggere Occhetto. Egli annunciò la creazione di un nuovo soggetto politico che sarebbe dovuto diventare il punto di riferimento principale di tutte le forze di sinistra. Il cambio del nome venne formalizzato al congresso del 1991: il PCI cessava di esistere e al suo posto nasceva il Partito democratico della sinistra (PDS). Esso aveva l’obiettivo di aggregare l’elettorato di sinistra in una nuova forza politica socialista e democratica, ma causò l’immediata uscita delle correnti ancora legate all’esperienza del vecchio partito comunista e all’ideologia marxista-leninista, che andarono a costituire il partito di Rifondazione comunista. In Francia alla nascita dalla 5° repubblica in poi, il PCF aveva conosciuto un progressivo ridimensionamento del proprio elettorato che lo costrinse ad avvicinarsi sempre di più ai socialisti. La disfatta più grave si registrò in occasione delle elezioni amministrative del 1989, quando il PCF perse quasi la totalità dei sindaci delle principali città e vide anche modificarsi radicalmente la distribuzione del proprio elettorato, ormai concentrato solo in alcuni distretti. I dirigenti comunisti cercarono di puntare sulla riaffermazione dell’identità storica del comunismo, criticando la radicalità di alcune riforme effettuate da Gorbacev e chiudendosi nel culto di Cuba e del Vietnam. Queste scelte provocarono l’allontanamento di una parte dei militanti e produssero contrasti e tensioni. Il Partito comunista spagnolo, sotto la direzione di Carrillo, nel corso degli anni 70 si era avvicinato al progetto eurocomunista, ma al prezzo di numerosi e aspri contrasti interni. Nonostante queste scissioni, nelle prime elezioni dopo la fine della dittatura franchista, il partito si stabilizzò intorno al 10% dei consensi e la sua linea moderata e riformista ebbe un ruolo decisivo nel processo di democratizzazione della Spagna. Ricevette nel 1982 una secca sconfitta che causò le dimissioni di Carrillo. L’anno seguente i comunisti formarono un nuovo raggruppamento che sarebbe rimasto anche dopo la fine del regime sovietico a rappresentare le forze della sinistra radicale in Spagna. La SED, ovvero il partito socialista unificato della Germania Est, cambiò il proprio nome dopo il crollo del Muro di berlino, cioè Partito della sinistra. Il vecchio nome fu abbandonato definitivamente nel 1991. Il PDS raccolse fin dai primi anni 90 risultati soddisfacenti ma solo nelle regioni orientali. Nel 1991 ebbe inizio un vero processo di revisione interna nell’ex partito comunista tedesco, che imboccò una strada riformista e pluralista. Il partito comunista portoghese aveva maturato negli anni 80 posizioni vicine all’eurocomunismo, pur senza entrarvi ufficialmente. Alleatosi poi con il partito socialista, riuscì anche a vincere le elezioni per la municipalità di Lisbona. Dopo il crollo dell’URSS iniziò la fase di declino che si sarebbe protratta per tutti gli anni 90. In Grecia il partito comunista già dal 1986 aveva accettato di entrare in una coalizione denominata Sinistra ellenica che doveva rappresentare i gruppi della sinistra radicale alternativa ai socialisti. L’ala separatista di estrema sinistra assunse posizioni sempre più radicali e nel 1991 appoggiò il tentato colpo di stato di Mosca con il quale i gruppi conservatori della dirigenza sovietica tentarono l’ultima strenua difesa del “socialismo reale”. Nei paesi del Nord Europa il declino dei partiti comunisti era in molti casi già iniziato nella prima metà degli anni 80. Si avviarono infatti processi di ridefinizione identitaria che li portarono a moderare gli accenti ideologici più radicali e a confluire in ampie coalizioni con socialisti, pacifisti ed ecologisti. In tale operazione furono eliminati tutti i richiami all’ideologia marxista-leninista. 15.8 L’Unione Europea guarda ad Est: gli allargamenti Per la CEE gli anni 90 si aprirono all’insegna di due importanti sfide: da una parte la realizzazione dell’unione monetaria, dall’altra l’apertura ai paesi dell’europa centrale e orientale usciti dai regimi comunisti. La CEE era rimasta fino al 1973 un club ristretto di cui facevano parte solo i paesi fondatori; nel corso degli anni 70-80 se ne erano aggiunti altri 6, tra cui Grecia, Spagna e Portogallo. Al momento del crollo del muro di Berlino, la comunità europea era un organismo di 12 paesi. Si voleva approfondire anche l’unificazione politica, su cui si impegnò soprattutto Delors, convinto federalista. Il crollo dei regimi comunisti ebbe l’effetto di accelerare queste riflessioni. Al consiglio europeo di Strasburgo del dicembre 1989 ci si limitò ad auspicare che il popolo tedesco potesse ritrovare la propria unità tramite una libera autodeterminazione e ad approvare la creazione di una banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Alla fine dell’anno l’iniziativa di proporre soluzioni nuove per la riforma della comunità venne dal presidente francese Mitterrand, il quale propose la creazione di una confederazione europea che avrebbe dovuto associare tutti gli stati del continente per garantire un futuro di pace, sicurezza e proficue relazioni economiche. Mitterrand sottolineò anche che proprio la comunità europea, diventata un punto di riferimento per i popoli dell’Est, stava contribuendo alle trasformazioni in atto nell’Europa orientale. Egli riprendeva in questo modo la cosiddetta “teoria del magnete”, secondo la quale il modello socio-economico dell’europa occidentale avrebbe esercitato un fascino talmente forte sui paesi sottoposti al controllo sovietico da attirarli, come un magnete, nella propria orbita. Dal canto suo, anche il cancelliere tedesco Kohl era convinto che una maggiore integrazione dei paesi della CEE avrebbe dissipato le ultime riserve francesi e inglesi in merito al possibile predominio europeo della Germania. Il cancelliere ribadì più volte che il suo obiettivo non era un’Europa tedesca, ma una Germania europea. Ottenuto il consenso di Gorbacev affinchè la germania unificata entrasse nella NATO, nel 1990 furono siglati i trattati che sancivano la riunificazione tedesca e il 3 ottobre 16 milioni di tedeschi orientali entrarono ufficialmente nella CEE. La comunità assumeva quindi una nuova dimensione. Per Kohl la spinta verso un’unione politica con connotati federali era dettata dalla necessità di dotare la germania e il resto d’europa di un solido ancoraggio reciproco davanti alla disintegrazione del blocco sovietico. Nonostante la recessione economica del 1992-93, il progetto europeo non si arenò e al consiglio europeo di Maastricht del dicembre 1991 fu approvato il nuovo trattato, che aggiungeva alla cooperazione economica elementi di carattere politico in materia di giustizia, difesa, ricerca e sviluppo tecnologico, politiche sociali e ambientali; fissava inoltre le regole e le prescrizioni di tipo economico che avrebbero dovuto consentire, nel giro di un decennio, l’introduzione di una moneta unica. Venne comunque ribadita la volontà di coordinamento delle politiche estere nazionali e di ricerca di posizioni comuni in seno agli organismi internazionali e fu riconosciuta in prospettiva futura, l’eventualità di una politica di difesa comune. Venne inoltre inquadrata la tradizionale cooperazione intergovernativa in materia di circolazione di persone, diritto di asilo, accesso al lavoro, lotta all’immigrazione illegale. Se la firma al trattato di Maastricht avviava al processo di approfondimento economico e politico dell’unificazione europea, restava da risolvere il problema dell’ammissione dei nuovi paesi che facevano richiesta d’ingresso. I dubbi maggiori riguardavano le loro condizioni economiche. La privatizzazione delle economie socialiste procedeva infatti a rilento e l’ingresso die paesi dell’Europa orientale, avrebbe richiesto alle casse dell’unione un enorme sforzo monetario per sovvenzioni ed aiuti allo sviluppo. Il programma di sostegno dell’UE e diretto inizialmente solo a Ungheria e Polonia, fu allargato progressivamente a ben 11 paesi dell’Europa centro-orientale e balcanica. Tuttavia, l’ingresso di paesi più poveri nella media europea, rischiava di coinvolgere gli assetti politici interni. Alla fine però, prevalse una logica di tipo politico, che considerava l’inclusione delle neonate democrazie centro-orientali nella UE un modo per favorirne la stabilità politica e istituzionale. Rimase comunque aperto l’interrogativo sui criteri di ammissione. Si cominciò quindi a parlare di un’Europa “a più velocità” dove sarebbero stati messi a punto diversi livelli di adesione e partecipazione. Altre ipotesi prevedevano l’inclusione dei nuovi stati a singoli programmi di integrazione. La questione dei criteri di accesso fu affrontata nel consiglio europeo di Copenhagen nel 1993, che fissò esplicitamente alcune norme a cui tutti i paesi candidati avrebbero dovuto rispondere. Tali obblighi comprendevano la presenza di democrazia, principio di legalità, diritti umani, la disponibilità dei paesi candidati ad assumersi obblighi di tale appartenenza. Nel marzo 199, dopo che 3 anni prima Austria Svezia e Finlandia erano entrate nell’UE, si aprirono ufficialmente le trattative per l’ingresso di Polonia, Rep.Ceca, Ungheria, Slovenia, Estonia, Cipro. I negoziati furono lunghi e complessi. Uno dei problemi principali veniva dal fattore agricolo. In Polonia ad esempio il settore agricolo assorbiva il 27% della manodopera. Si decise quindi che i sistemi agricoli dei nuovi paesi avrebbero ricevuto inizialmente solo ¼ delle sovvenzioni concesse ai paesi occidentali. Un altro problema era costituito dalla libera circolazione di manodopera e soprattutto la Germania temeva un incontrollato afflusso di lavoratori dai paesi confinanti. Nel caso della Re. Ceca, poi gli ostacoli erano anche di natura giuridica, dal momento che l’amministrazione pubblica e la magistratura non erano state sufficientemente riformate e il governo non aveva disposto adeguate misure a tutela della minoranze. Per Cipro si inseriva anche un problema politico, poiché il 40% dell’isola era controllato dal governo turco, il quale non riconosceva l’esistenza della Repubblica cipriota. quello di costruire una grande serbia. Nel 1991 i serbi controllavano già 1/3 della croazia e Milosevic accettò il piano di cessate il fuoco promosso dalle nazioni unite. Nel 1992 la CEE riconobbe ufficialmente l’indipendenza di croazia e slovenia. Questo riconoscimento apriva un nuovo problema all’interno di quello che rimaneva della federazione jugoslava, ossia cosa avrebbe fatto la bosnia-erzegovina. La bosnia era la più frammentata delle repubbliche jugoslave, a maggioranza mussulmana ma con vari gruppi etnici sparsi sul territorio. Già nel 1991 erano emerse le prime tensioni. I serbi di bosnia, proclamarono la costituzione di un parlamento e di un governo serbi, affermando la volontà di secessione delle regioni serbe della bosnia. Per rispondere alla volontà secessionista dei serbo-bosniaci, il presidente della bosnia promosse nel 1992 un referendum sull’indipendenza della repubblica che vide la partecipazione di tutti gli altri gruppi etnici. Il 65% dell’elettorato si pronunciò a favore dell’indipendenza e l’immediata reazione dei serbi fu di proclamare la nascita della repubblica serba della bosnia-erzegovina. Fu la scintilla che avviò il conflitto: i bosniaci combattevano per garantire l’indipendenza della bosnia, mentre la minoranza serba si batteva per la propria autonomia. Nel giro di poche settimane i serbo-bosniaci riuscirono ad occupare quasi il 60% della bosnia. La guerra assunse i caratteri di una vera e propria pulizia etnica che preservava nei territori occupati dall’esercito serbo solo la popolazione serba. Ben presto inoltre, si ruppe la tregua tra croati e mussulmani e si assistette anche allo scontro tra queste due comunità. La comunità internazionale non prese le misure necessarie per fermare un massacro simile ad un genocidio. Nel 1992 il consiglio di sicurezza dell’ONU estese alla bosnia il mandato di forza di pace. Questo era un mandato di mera interposizione e assistenza alla distribuzione degli aiuti umanitari. Sulla scia di questi tragici eventi la comunità internazionale si mosse più attivamente. Per chiudere il conflitto era necessario separare la serbia dai serbo-bosniaci e in questa direzione si mossero sia gli USA sia l’UE, che chiesero un intervento concreto di Milosevic per convincere i serbi di bosnia ad accettare un accordo di pace. Inizialmente Milosevic accettò l’accordo, ma quando si propose un piano di pace che prevedeva l’attribuzione ai serbi di un’area inferiore a quella già controllata dall’esercito serbo, il leader serbo-bosniaco sfidò europa, USA, e lo stesso Milosevic. Rimasti soli, i serbi di bosnia attaccarono i territori non ancora sotto il loro controllo e su cui ritenevano di avanzare diritti. Nel 1995 i serbo-bosniaci misero in atto uno dei più sanguinosi stermini di massa e nella città di Srebrenica furono uccisi tra 8.000 e 10.000 mussulmani. Lo sterminio della popolazione mussulmana ebbe termine solo quando nel 1995 anche la croazia si inserì nel conflitto. A questo punto le potenze occidentali decisero di scendere in campo sotto la bandiera della NATO per realizzare l’operazione militare più significativa che l’alleanza atlantica avesse mai compiuto. Mentre i serbo-bosniaci furono costretti a retrocedere, Milosevic si offrì come mediatore di pace. Sempre in quell’anno i serbo-bosniaci accettarono le trattative; l’incontro si svolse negli USA. La bosnia venne divisa tra una repubblica dei serbi di bosnia, una federazione mussulmano croata, e una repubblica di bosnia erzegovina. Il Kosovo a maggioranza albanese, era stato inizialmente ignorato dal governo di belgrado, nonostante le continue richieste di indipendenza. Di fronte al silenzio serbo, nel 1996 i separatisti albanesi dichiararono guerra alla Serbia che reagì con una dura repressione. Nel 1997 USA e UE invitarono le parti al dialogo, anche il consiglio dell’ONU arrivò a prendere posizione. Nel 1998 si avviarono una serie di colloqui in Francia. Belgrado abbandonò le trattative e riprese l’offensiva militare serba nella regione del kosovo che provocò 20.000 profughi. Senza una precisa risoluzione dell’ONU, i paesi dell’alleanza atlantica fissarono un ultimatum al governo di belgrado nel 1999, e fecero eseguire pesanti bombardamenti sulle città e sui centri industriali serbi. Dopo oltre 2 mesi di operazioni, il parlamento serbo accettò le nuove condizioni di pace proposte da una delegazione europea. Vennero quindi ritirate le truppe serbe e furono dispiegati 50.000 uomini di una forza multilaterale formata dai paesi NATO e dalla Russia, mentre il kosovo veniva sottoposto ad una amministrazione internazionale. 16.3 La fine dell’apartheid in Sudafrica e il genocidio in Rwanda Il 1994 fu un anno memorabile. Se da una parte il sudafrica conquistò finalmente la democrazia mettendo fine al sistema di apartheid, dall’altra la Rwanda sprofondò nelle violenze del genocidio. Intorno alla metà degli anni 70 il sistema apartheid per salvaguardare la supremazia della razza bianca, si rivelò assai difficile da riformare. Sotto la pressione delle recessione economica, degli scioperi e delle sommosse, il governo Botha reagì con la repressione da una parte, e dall’altra avviando una serie di riforme che miravano a garantire la sopravvivenza del sistema di apartheid. L’opposizione del partito della maggioranza nera, African national congress, al regime di apartheid, insieme alla crescente stabilità interna, alla sconfitta del 1988 in angolia, posero le premesse per la risoluzione dei conflitti in Africa australe. Il 2 febbraio 1990 il nuovo presidente sudafricano Klerk annunciò la legalizzazione del partito dei neri. Questo consentì la liberazione di nelson mandela. Prese così avvio un difficile processo di transizione, accompagnato da episodi di grave violenza politica. La strada del progressivo superamento dell’apartheid era stata comunque imboccata e nel 1994 si svolsero le prime elezioni democratiche della storia del sudafrica, e vennero ammessi anche i neri. Il partito dei neri ottenne il 62,2% di voti e nelson mandela divenne il primo presidente nero del paese. La politica di stretto rigore economico adottata dal governo durante la presidenza di Mandela e proseguita dal suo successore Mbeki, non portò all’avanzamento sociale della grande massa della popolazione nera. Più complessa fu la ridefinizione delle relazioni politiche con l’angola e lo zimbabwe. Dal punto di vista delle relazioni all’interno del continente, il nuovo governo sudafricano si fece promotore della trasformazione dell’organizzazione dell’unità africana nell’unione africana nata nel 2002 e comprendente quasi la totalità dei paesi africani. Esso era volto a garantire il rispetto dei principali democratici e dei diritti umani, con la possibilità di intervenire nei conflitti interni. Nello stesso anno in cui ebbe fine il regime di apartheid in sudafrica, si consumò in rwanda uno dei più efferati genocidi del XX secolo. L’amministrazione coloniale introdusse una rigida separazione tra le due etnie presenti sul territorio: gli hutu e tutsi. Questi termini individuarono categorie socio-politiche in stretto rapporto tra loro. Le interazioni tra clan hutu e tutsi erano intense a livello non solo economico ma anche culturale religioso e matrimoniale. Quando il Rwanda e il Burundi ottennero l’indipendenza dal belgio nel 1962, il criterio ernico venne esasperato dalle nuove èlite. Nel 1961 un referendum decise l’abolizione della monarchia e la creazione della repubblica, forma-stato con cui il Rwanda conseguì l’indipendenza i presidenti avviarono una politica autoritaria di sopraffazione della maggioranza hutu, di cui si ersero a rappresentanti, sulla minoranza tutsu. I massacri del 1963 e le violenze tra 1972-73 spinsero molti tutsu a cercare rifugio in burundi dove gravi ondate di violenza da parte dell’elite politica tutsu sulla maggioranza della popolazione che si riconosceva come hutu. Il generale Habyarimana oltre ad introdurre nel 1991 una serie di riforme politiche e il multipartitismo, senza tuttavia riuscire a ristabilire la pace di rwanda. Il 6 aprile 1994 l’aereo del presidente Habyarimana venne abbattuto da un missile in circostanze mai chiarite, mentre rientrava dalla Tanzania in cui si erano svolti dei colloqui di pace. L’esercito rwandese avviò un massacro sistematic della popolazione tutsi e degli hutu accusati di sostenere il processo di democratizzazione. Nell’indifferenza della comunità internazionale, nell’arco di circa 3 mesi fu portato a termine il massacro sistematico dell’intera comunità tutsu, dove parte integrande del rituale dello sterminio era lo stupro di queste donne (800.000-1.000.000 di morti). Le nazioni unite non intervennero a fermare lo sterminio e il governo statunitense rifiutò di definirlo “genocidio”. La francia e il belgio si limitarono all’evacuazione dei propri cittadini. La fine del genocidio coincise con la presa del potere da parte del Fronte patriottico rwandese nel luglio 1994. Con il timore delle rappresaglie un milione di rifugiati si ammassarono alle frontiere con lo Zaire (ex congo). 16.4 Nazionalisti e unionisti: il Nord Irlanda a un punto di svolta All’indomani della 2GM la repubblica d’irlanda, uscendo dalla commonwealth, perse definitivamente le distanze dalla GB. Tuttavia a divisione del nord irlanda non mise fine alle tensioni nelle province del nord, dove la minoranza cattolica fu emarginata economicamente e sottoposta a varie forme di discriminazione. Ne conseguì una situazione di contrasti. Nella seconda metà degli anni 60, lo scontro fra il movimento dei diritti civili e la resistenza dell’establishment unionista, non fece che radicalizzare il conflitto semi-dormiente fra le due comunità del nord irlanda. Dal 1969 in poi lo scenario nordirlandese fu dominato da violente su larga scala e dal settarismo. Nell’agosto del 1969 londra decise di inviare nelle strade della regione truppe speciali per sedare i disordini. Accusando la leadership dell’IRA di non aver saputo difendere i quartieri cattolici delle principali città del nord irlanda durante gli scontri, tra 1969 e 1970 alcuni elementi dell’IRA fondarono la Provisional IRA, che negli anni successivi si dedicò all’addestramento di nuove reclute e diede inizio ad una vera e propria guerriglia contro le truppe britanniche. Il 30 gennaio 1972 una dimostrazione non autorizzata per i diritti civili provocò la morte di 13 cattolici negli scontri con l’esercito britannico e l’episodio (chiamato bloody Sunday) produsse un’escalation di violenze da entrambi le parti. Il governo inglese sospese temporaneamente l’autogoverno del nord irlanda, ma anche questo provvedimento fallì perché nel 1974 l’ala estremista dei protestanti unionisti prese il sopravvento. La risposta degli estremisti cattolici fu il crescente ricorso al terrorismo, mentre il governo di londra reagì intensificando le azioni repressive. Nel corso degli anni 80 la capacità militare dell’IRA aumentò notevolmente e fallirono anche i vari tentativi di mediazione promossi dal governo britannico e da quello della Repubblica d’irlanda. Solo grazie al Good Friday Agreement nel 1998, si fece un importante passo sulla strada della pacificazione, concedendo un’ampia autonomia al governo del nord irlanda ma riconoscendo anche come legittimo il desiderio dei nazionalisti di un’irlanda unita. L’accordo prevedeva la costituzione di un governo misto tra protestanti e cattolici i proporzione ai risultati elettorali e la liberazione entro 3 anni di tutti i detenuti appartenenti alle organizzazioni che avevano sottoscritto l’intesa. Il rifiuto dell’IRA di deporre le armi e un nuovo attentato nell’agosto 1998 rallentarono però il processo di pace, e solo nel 2000 l’IRA accettò di consegnare le armi. Nel 2005 i membri della Provisional IRA annunciarono di voler mettere fine alla lotta armata, ma non volevano sciogliere l’organizzazione, il cui obiettivo finale rimane tuttra la riunificazione delle 6 contee del nord irlanda con la repubblica d’irlanda. Una svolta nella complessa questione irlandese si è avuta con le elezioni del marzo 2007. La maggioranza relativa è stata conquistata dal Democratic Unionist Party con il leader protestante Paisley; il Sinn Fein si è affermato come secondo partito. L’8 maggio si è insediato il nuovo parlamento e si è costituito un governo che ha visto la coabitazione dei due gruppi di maggioranza: la guida dell’esecutivo è stata assunta da Paisley, mentre McGuinnes, leader storico dei repubblicani cattolici, è diventato vice primo ministro. 16.5 Il “pantano” mediorientale In seguito agli eventi del 1979, le dinamiche della guerra fredda in medio oriente subirono un repentino cambiamento. Con la rivoluzione islamica in iran, gli USA perdevano un prezioso alleato nella regione, ma ottenevano la pacificazione tra Israele ed egitto. L’URSS non trovò più nell’iraq di Saddam Hussein l’intesa degli anni passati, mentre la siria rimase in condizioni di crescente isolamento. Come la guerra fra iran ed iraq non aveva seguito le logiche dello scontro bipolare, fu completamente estraneo ad esso anche il conflitto che insanguinò il Libano nella prima metà degli anni 80. Già nel 1975 era esplosa una guerra civile fra le differenti comunità: sciiti, sunniti, palestinesi, druisi,.. e intervennero militarmente sia la Siria, che voleva espandere il suo controllo sul “paese dei cedri”, sia Israele, con la volontà di contrastare il nemico siriano e di garantire la sicurezza dei suoi confini settentrionali. La continua serie di attentati ed incursioni ad opera dei palestinesi dell’OLP spinse israele nel 1982, a compiere una seconda sanguinosa invasione, arrivando fino a cingere d’assedio la capitale Beirut. La durezza dell’occupazione siriana ed israeliana aveva indotto anche l’ONU ad intervenire disponendo la missione di una forza multinazionale di pase che però si dimostrò inefficace. Nel 1984 la minoranza sciita del sud del paese, fondò una nuova organizzazione combattente, il Partito di Dio. Le lotte non cessarono. Nei territori di Cisgiordania e Gaza il rovescio subito dall’OLP in libano contribuì allo scoppio nel 1987, di una vasta rivolta popolare, per iniziativa dei giovani palestinesi i quali, muniti solo di sassi e pietre, si scagliavano contro l’esercito israeliano che occupava quelle regioni dal 1967. La dura repressione di israele e la tenacia dei palestinesi indussero la giordania a ritirarsi dalla cisgiordania. Nell’estate 1990 un altro avvenimento causato sia dalla crisi dell’economa irachena, sia dalle tensioni scatenate dalla sovrapproduzione di petrolio, sconvolse l’instabile equilibrio mediorientale. Il dittatore saddam hussein assunse un atteggiamento via via più minaccioso, soprattutto nei confronti di arabia saudita e kuwait, arrivando a decidere di invadere il piccolo emirato confinante. Saddam, si trovò invece di fronte la dura condanna dell’ONU e della comunità internazionale. Si costituì nel giro di pochissimi mesi una grande coalizione militare formata da 35 paesi circa e 800.000 uomini. Di fronte ai reiterati rifiuti di saddam di ritirarsi dal Kuwait, a gennaio 1991 la forza multinazionale scatenò un massiccio attacco aereo contro obiettivi militari in Iraq e nel Kuwait occupato. Dopo la liberazione del kuwait il presidente americano Bush senior cercò di approfittare della situazione favorevole per rilanciare un piano di pace per tutto il medio oriente. Nell’ottobre 1991 si tenne quindi a madrid una conferenza. I colloqui di pace poterono proseguire e culminarono l’anno successivo quando Rabin e il suo ministro Peres, decisero di trattare direttamente con l’OLP. I negoziati furono firmati solennemente a Washington nel 1993 da Rabin e dal leader Arafat dell’OLP, alla presenza del presidente americano Bill Clinton. In cambio del riconoscimento di israele, l’OLP ottenne il diritto di autogoverno di una parte dei territori occupati, a partire dalla città di Gerico in cisgiordania e nella striscia di gaza. La presenza di numerosi questioni ancora aperte ebbe l’effetto di accentuare le resistenze da parte della destra nazionalista di israele e dei gruppi più intransigenti dell’OLP. Sul fronte palestinese, cominciò ad intensificarsi l’attività terroristica delle azioni integraliste. In questo crescendo di violenze e fanatismo, maturò l’attentato che per mano di un estremista di israele, nel 1995 uccise il premier Rabin. Nella seconda metà degli anni 90, le trattative di pace subirono una battura di arresto. Il nuovo governo guidato dal leader conservatore, costruì la propria maggioranza sui gruppi che si erano opposti ai negoziati di Robin con l’OLP. Optarono per un’azione politica dal basso volta a costruire un forte radicamento identitario all’interno della società. Rafforzarono il programma di penetrazione sociale attraverso la costruzione di ospedali, scuole, banche, ecc. Un processo analogo di radicalizzazione religiosa si verificò negli stessi anni in diversi altri paesi islamici. Infatti molti paesi arabi cominciarono a incontrare difficoltà economiche crescenti e si trovarono ben presto nell’impossibilità di garantire una discreta qualità di vita ai propri cittadini in cambio dell’assenza di libertà politiche. La crisi di questi cosiddetti Rentier States, ovvero stati che vivevano di rendita, originò fenomeni di rivolta politica e un potenziamento generale della sfera religiosa. Nel settembre 2000 esplose nuovamente la violenza nei territori occupati. Questa coinvolse non solo gaza e la cisgiordania ma anche le stesse città israeliane. Dopo alcuni mesi di rivolta spontanea l’iniziativa passò nelle mani dei gruppi terroristici professionisti, responsabili di numerosi attentati, contro civili israeliani. Il governo di israele, guidato da un leader della destra Sharon, reagì agli attacchi con crescente durezza, radendo al suolo le case dei famigliari degli attentatori, minando le strutture dell’ANP. A peggiorare ancora il clima, scoppiò anche una sorta di guerra non dichiarata fra le organizzazioni palestinesi, tra i movimenti islamisti e quelli laici. I negoziati tra il governo israeliano e i palestinesi sembrarono riprendere slancio del 2003, anche se ne frattempo gli attentati terroristici del 2001 negli USA e le campagne militari americane contr l’afghanistan e iraq, avevano ulteriormente complicato la situazione mediorientale. Nella primavera del 2003 l’elaborazione di una road map sulla questione israelo-palestinese da parte del presidente americano, posero le condizioni per un graduale superamento delle ostilità. La road map prevedeva la fine delle violenze terroristiche da parte degli estremisti palestinesi, lo smantellamento degli insediamenti israeliani costruiti dal 2001 in poi, e l’avvio di un piano per la costruzione di uno stato palestinese autonomo. Tuttavia l’obiettivo finale non è ancora stato raggiunto. 16.6 USA, NATO, ONU: un difficile orientamento dopo l’11 settembre L’11 settembre 2001 un gruppo di terroristi arabi prese il controllo di 4 aerei americani da boston, NY, e washington e diretti a los angeles e san francisco. L’obiettivo dei terroristi era di colpire gli USA nei simboli del loro potere internazionale. Due degli aerei si schiantarono sulle torri gemelle; un terzo fu diretto contro il pentagono, e il quarto precipitò a Pittsburgh (che secondo le ricostruzioni si sarebbe dovuto schiantare sulla casa bianca). Gli attentanti A partire dalla seconda metà degli anni 50, grazie anche al contributo di alcuni esponenti della comunità scientifica internazionale, la propaganda antinucleare e la crescente consapevolezza dei rischi di una apocalisse nucleare diedero un nuovo slancio al pacifismo internazionale. I pacifisti ritrovarono forza e coesione, accentuando la propria tradizionale vocazione verso la mobilitazione di massa e la pressione politica. Il movimento pacifista svolse quindi un ruolo significativo nl porre ai vertici dell’agenda internazionale la questione del disarmo, della non diffusione delle armi nucleari. Il primo trattato relativo al bando dei test nucleari nell’atmosfera venne firmato a Mosca nel 1963, fu il risultato maggiore ottenuto da questa ondata pacifista, alla quale si affiancarono delle tematiche pacifiste provenienti dalla chiesa cattolica, in particolare con l’enciclica di papa Giovanni XXIII. Il movimento pacifista conobbe poi un lento declino, dovuto anche alla relativa distensioni nelle relazioni tra le due superpotenze. Tra la seconda metà degli anni 60 e l’inizio degli anni 70, la grande ondata di opposizione contro la guerra del vietnam rappresentò il principale esempio delle proteste. Fu solo negli anni 80 che il movimento pacifista rifiorì attorno al tema del disarmo. L’obiettivo era quello di produrre una campagna di sensibilizzazione più raffinata e finalizzata alla costruzione di una vera e propria cultura della pace. Con la fine della guerra fredda, la trasformazione del sistema internazionale, il movimento pacifista subì numerosi cambiamenti, critiche e revisioni, e una diffusione di una frammentazione senza precedenti. I nuovi conflitti limitati degli anni 90 e le complesse emergenze umanitarie che ne derivarono, produssero diverse reazioni da parte delle organizzazioni di matrice pacifista. La novità principale fu un rinnovato interesse verso la promozione e la tutela dei diritti umani mediante il diritto internazionale; questo comportò un inevitabile scontro con le idee pacifiste meno radicali, favorevoli invece alla possibilità dell’uso della forza militare a sostegno della costruzione o del mantenimento della pace. Una seconda novità fu l’aumento delle connessioni con altre tematiche non direttamente legate al pacifismo, come quelle ecologiste. I cosiddetti peace studies, ha progressivamente contribuito ad individuare condizioni e strumenti sempre migliori e più raffinati per il consolidamento della pace internazionale. Solo negli ultimi anni, dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 il pacifismo ha potuto recuperare parte della propria specificità, riproponendo forme di protesta usate ampiamente in passato, come le marce e le manifestazioni di massa. Imponente ad esempio, fu la marcia del 2003 contro la guerra in iraq. 16.9 I moderni flussi migratori nel mondo globalizzato Il XIX e il XX secolo furono entrambi secoli di grandi migrazioni. Con la fine del 900 una serie di nuovi sviluppi ha determinato un salto di qualità e di scala nella composizione, nella geografia e nelle caratteristiche dei flussi migratori. Tra questi sviluppi si possono ricordare i cambiamenti demografici nei paesi del mondo industrializzato, dove c’è stato un calo delle nascite, i differenti tassi di natalità e le diverse aspettative di vita che hanno prodotto un crescente divario nei settori demografici del nord e del sud del mondo. Nel complesso si può individuare nel fenomeno della cosiddetta globalizzazione il contesto degli enormi flussi migratori organizzati tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo. La presenza di un’alta percentuale di popolazione giovane nei paesi in via di sviluppo, ma soprattutto l’enorme divario di possibilità economiche tra il nord e il sud del mondo hanno quindi provocato l’avvio di nuovi e massicci flussi migratori. Se all’inizio del XX secolo erano soprattutto gli USA e i paesi dell’america latina a costituire i poli di attrazione per l’emigrazione europea e asiatica, alla fine del secolo la situazione era completamente diversa: l’america latina si è trasformata in terra di emigrazione, mentre i paesi dell’europa sono diventati meta di immigrazione. La stessa italia si è trasformata negli ultimi anni in polo attrattivo per i migranti stranieri. Dalla cina e dall’india sono partiti negli ultimi decenni imponenti flussi migratori diretti non solo verso i paesi industrializzati. Una crescente eterogeneità culturale caratterizza i paesi di immigrazione, mentre le nuove tecnologie di comunicazione e la democratizzazione del sistema dei trasporti hanno posto le condizioni per la formazione di vere e proprie diaspore transnazionali, consentendo agli emigrati di mantenere una presenta all’interno dei paesi di provenienza. Le differenti cause di migrazione hanno prodotto ance diverse tipologie di migranti: dalla manodopera in cerca di una nuova sistemazione lavorativa permanente e più vantaggiosa, agli intellettuali e ai lavoratori altamente specializzati chiamati all’estero in virtù delle loro competenze professionali, e profughi politici. In tutto sono calcolati circa 13 milioni di persona a metà degli anni 90, di emigrati illegali e di quelli stagionali. Rispetto al passato poi, negli ultimi decenni si è verificata una crescente femminilizzazione dei flussi migratori. Se tra i migrati di inizio secolo, 2/3 o anche più erano uomini, oggi le donne sono in media la metà del totale. Una delle motivazioni è il ricongiungimento familiare. Mentre all’inizio del 900 gli emigrati aschi facevano ritorno alle loro terre di origine, oggi si verifica un maggior radicamento dei migranti e delle loro famiglie nei paesi ospitanti. Ma sempre più spesso si registra un incremento dell’autonoma mobilità femminile per motivazioni economiche e per una ricerca di emancipazione. Un dato notevole che accompagna le moderne migrazioni è la quantità di flussi finanziari da esse prodotti. Le somme di denaro inviate dagli emigrati alle loro famiglie in patria, sono arrivate a toccare nel 2000 i 62 miliardi di dollari. Tali somme hanno finito per superare in alcuni casi, l’ammontare complessivo degli aiuti internazionali diretti ai paesi in via di sviluppo. Nei paesi industrializzati gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un irrigidimento delle normative sugli accessi e da un aumento esponenziale del fenomeno dell’immigrazione irregolare che ha messo a rischio la capacità dei paesi ospiti di individuare strategie adeguate di accoglienza. Sia i modelli di integrazione repubblicana (francia) sia i modelli multiculturali (GB) si vengono a trovare di fronte a sfide inedite. E tradizionali politiche di gestione delle migrazioni, hanno via via mostrato i propri limiti di fronte a profonde trasformazioni del sistema economico. Si è venuta così a creare una filiera spesso drammatica in cui ai flussi migratori illegali si è risposto con la creazione di sistemi sempre più rigidi di raccolta e rimpatrio dei migranti in condizioni di irregolarità. Questo ha favorito la ricerca di metodi d’ingresso sempre più rischiosi, gestiti spesso da organizzazioni criminali. La lunga scia di morti nel disperato tentativo di attraversare il mediterraneo ha suscitato aspre polemiche nei paesi europei, impegnati a cercare modalità d’ingresso tali da impedire il fenomeno dell’immigrazione clandestina senza tuttavia bloccare l’accesso di quanti cercano in europa migliori condizioni di vita e di lavoro. Al tempo stesso, il fatto che molti di questi migranti siano di religione islamica suscita in una parte dell’opinione pubblica europea diffidenze e paure che sembrano alimentare quello scontro di civiltà già profetizzato negli anni 90. 16.10 Problemi aperti In discussione oggi ci sono temi cruciali che vedono intrecciarsi economia, finanza, politiche pubbliche e relazioni internazionali. Il problema dell’impatto ecologico in una terra sempre più affollata di consumatori, quello dei diritti umani ancora negati in molte parti del mondo. Non meno urgenti sono le questioni poste dalle massicce ondate di migranti che si muovono verso i paesi occidentali alla ricerca di migliori opportunità di vita. Se invece ci spostiamo a livello delle relazioni tra nazioni il quadro che oggi si profila all’orizzonte sembra andare oltre le previsioni di coloro che come i cosiddetti realisti, ipotizzavano il riprodursi dello scenario bipolare. Oggi infatti bisogna fare i conti con il disegno di Putin di restituire alla Russia un ruolo determinante nello scacchiere internazionale che nei prossimi anni subirà trasformazioni strategiche in conseguenza della nuova presidenza democratica negli USA. Le elezioni presidenziali americane del 2008 hanno prodotto una svolta storica con la vittoria del primo candidato di colore, Obama, che sconfiggendo il repubblicano McCain ha fatto emergere la profonda volontà di cambiamento del popolo americano rispetto sia alla politica interna che a quella internazionale dopo 8 anni di amministrazione repubblicana. Ci sono però nuove potenze emergenti di cui non è facile prevedere il ruolo nella politica mondiale dei prossimi anni. L’attenzione è puntata sulla cina. L’espansione economica cinese è destinata a dare a questo paese uno spazio centrale nello scenario mondiale. Il gap nella distribuzione del reddito interno mette però in dubbio le capacità di tenuta. Anche l’india, la più popolosa democrazia mondiale, sembra poter aspirare al ruolo di potenza, anche grazie agli alti tassi di sviluppo della sua economia, che negli ultimi anni è passata da un sistema chiuso ad uno aperto, e alle sfide soprattutto nei settori della tecnologia e del terziario avanzato. Tale trasformazione però non ha eliminato i tradizionali squilibri della società indiana. Tra potenze ed aspiranti potenze non possono evitare di confrontarsi sul tema degli armamenti. I paesi in cui si sono registrati i più alti tassi di crescita sono l’europa dell’est, la russia e anche l’europa orientale. A questo scenario va in ultimo connessa la crisi dell’economia fondata sui principi del libero mercato che sta attraversando una crisi senza eguali dai tempi del crollo del 1929. Il primo decennio del XXI secolo appare oggi un insieme di tensioni ma anche di occasioni che saranno tanto più fruttuose quanto più saremo stati in grado di far tesoro delle lezioni lasciateci in eredità dalla storia.
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