Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

RIASSUNTO CANTO VIII DELL'INFERNO, Dispense di Letteratura Italiana

RIASSUNTO CANTO VIII DELL'INFERNO

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 18/01/2024

alessiaxxxx
alessiaxxxx 🇮🇹

4.7

(3)

35 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica RIASSUNTO CANTO VIII DELL'INFERNO e più Dispense in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! CANTO VIII Per la prima volta un canto prosegue l’argomento del precedente nello stesso cerchio, perciò inizia con una formula di passaggio tipicamente narrativa (e in medias res). L’attraversamento della palude Stigia (formata dal fiume infernale Stige) è l’argomento generale del canto VIII: un canto in continuo movimento e senza una scena fissa. Possiamo tuttavia suddividere il canto in due parti. I)Il viaggio compiuto sulla piccola imbarcazione del guardiano del V cerchio, Flegias. II)L’apparizione delle mura infuocate della città di Dite, la cui descrizione proseguirà nel canto IX. Già prima che i due poeti fossero giunti ai piedi dell'alta torre sulla sponda della palude Stigia (narrato nell’ultimo verso del canto precedente), Dante aveva notato sulla cima 2 fiamme alle quali un’altra risponde di lontano. La fiammetta che risponde da lungi (oltre tutta l’estensione dello Stige) è sulle mura della città di Dite. Tuttavia, a questo momento del racconto non si sono ancora viste quelle mura, e quella lontana fiamma di risposta appare solo un segno di una presenza indeterminata nella tenebra. Allarmato, Dante pone a Virgilio 3 concitate domande: che messaggio trasmette questo fuoco? E quello di risposta? Chi ne è l’autore? Il maestro risponde che attraverso il vapore della palude Dante potrà scorgere colui che stanno aspettando. Dante osserva il pantano e vede avvicinarsi una piccola imbarcazione, che si muove assai più rapida di qualunque freccia scoccata da un arco. La barca è governata da un solo traghettatore (qui galeotto, propriamente il marinaio delle galee), Flegiàs, che apostrofa Dante scambiandolo per un dannato, finché Virgilio lo zittisce dicendogli che lui dovrà solo trasportarli attraverso la palude (come fece con Caronte, Virgilio chiama per nome il custode infernale, a lui ben noto in quanto figura mitologica presente anche nell’Eneide). Il demone reagisce con stizza, poi i due poeti salgono sulla barca (che affonda lievemente quando vi sale Dante, perché ha un corpo reale, motivo per cui l’imbarcazione taglia in profondità la superficie della palude). Flegias è un personaggio mitologico, figlio di Marte e Crise, condannato al Tartaro per aver incendiato il tempio di Apollo a Delfi, irato col dio che gli aveva sedotto la figlia. Questa figura si prestava dunque molto bene ad essere assunto come guardiano di un cerchio dove sono puniti iracondi e accidiosi, per due peccati che gli antichi consideravano, sulla scia di Aristotele, continui. I dannati hanno dunque un unico contrappasso: essere immersi dalle acque sporche e melmose della palude. Ma gli iracondi sono visibili, gli accidiosi sono invece completamente sommersi nell’acqua (la nebbia della palude Stigia simboleggia il peccato d’ira che accieca l’uomo). Mentre la barca attraversa la palude, si avvicina l'anima piena di fango di un dannato che chiede a Dante chi sia lui per giungere all'Inferno quando è ancora vivo. È il primo spirito infernale che va fisicamente incontro a Dante Dante risponde che lui non viene per restare e chiede a sua volta chi sia il dannato: questi non vuol dire il suo nome, per vergogna e per dispetto, e dice semplicemente di essere uno che sta scontando la sua colpa. Dante lo riconosce, completandone l’umiliazione e, con un atteggiamento completamente diverso da quello fino ad ora tenuto con gli altri dannati, lo fa oggetto di parole ingiuriose e di condanna. Il dannato si protende allora verso la barca, desideroso di rovesciarla per vendetta e per sfogare la sua ira, ma Virgilio lo spinge via. Virgilio poi non solo loda e benedice lo sdegno di Dante, ma gli cinge anche il collo con le mani e gli bacia il volto. È la prima e ultima volta che Virgilio compie un simile gesto. Questo fatto, e le solenni parole bibliche pronunciate al v45 (perifrasi evangelica riferita a Cristo e alla Vergine), non possono non dare una particolare rilevanza a questo episodio Virgilio descrive poi quel dannato come uno che in vita fu orgoglioso e che non compì alcun atto buono che adorni la sua memoria, poi rivolge una ammonizione a tutti gli uomini alteri e orgogliosi, che in vita si credono grandi re e all'Inferno finiranno come porci nel fango (l’immagine riprende le parole che Virgilio usa al v42). Dante manifesta il desiderio di vedere il dannato tuffato sotto la palude dai compagni di pena, e Virgilio afferma che ne avrà presto l'occasione. Poco dopo, infatti, Dante vede gli altri dannati avventarsi su di lui facendone strazio (la stessa anima si morde rabbiosamente), spettacolo che Dante gode pienamente. Non si tratta di vendetta, ma di un rifiuto morale di qualcosa che Dante respinge da sé. L’identità storica si rivela soltanto dopo che è conclusa la funzione dell’exemplum: si tratta di Filippo Argenti. FILIPPO ARGENTI: cavaliere fiorentino della famiglia degli Adimari, definito da tutti gli antichi prepotente e superbo. Lo stesso nome ‘Argenti’ deriverebbe, secondo Boccaccio, dal fatto che Filippo aveva voluto ferrare di argento un suo cavallo: tratto tipico di un uomo vanaglorioso e arrogante. I commentatori antichi riferiscono anche che era stato molto avverso agli stessi Alighieri e che un fratello di Filippo Argenti godé della confisca dei beni fatta a Dante all’indomani della sua condanna e del suo esilio. Il dialogo fra Dante e Filippo Argenti, fatto di battute che si riecheggiano l’una con l’altra, esprime insieme la violenza arrogante del peccato che qui si punisce e il riflettersi, come a specchio, del peccatore in Dante stesso. È evidente che Dante esprime così il suo identificarsi con la figura del peccatore, da cui contemporaneamente si distacca e si allontana, secondo un modello catartico. Infatti, Argenti rappresenta qui, comprendendola nel più generale vizio dell’ira, una colpa particolarmente grave: quell’arroganza orgogliosa, dovuta al credersi più degli altri. Lo stesso desiderio di Dante, in apparenza crudele, non è vendetta, ma un rifiuto morale di qualcosa che Dante respinge da sé. L’atteggiamento di Dante e Virgilio, così diverso dagli altri canti, può essere spiegato con la volontà dell’autore di dare forma narrativa a un concetto aristotelico, ossia la distinzione tra l’ira (peccato di incontinenza) e il santo sdegno (quello che i giusti provano di fronte alle ingiustizie subite dai loro simili). Poco dopo aver lasciato Filippo Argenti, Dante ode un suono che è un’espressione di dolore, grido, pianto o lamento. Virgilio prende la parola, avvisandolo che stanno per raggiungere la città di Dite (dopo queste mura inizia il basso inferno). Dite è la vera e propria città infernale, cinta di mura, che accoglie i peccatori più gravi, e a cui Dante ha riservato il nome antico che trovava in Virgilio e
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved