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Migrazioni in Europa: Storia e Conseguenze, Appunti di Storia

Sulla storia delle migrazioni in Europa, dalla fine dell'epoca napoleonica fino all'età moderna. le cause e le conseguenze di questi spostamenti, dalla crescita demografica a livello europeo e globale, alle politiche migratorie e all'economia. Il testo include esempi storici e biblici, oltre a una discussione sulle migrazioni interne e internazionali, e sulla loro influenza sulle società e sulle nazioni.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 29/05/2022

elisa116
elisa116 🇮🇹

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Scarica Migrazioni in Europa: Storia e Conseguenze e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! Riassunto Le Migrazioni Colucci-Sanfilippo Introduzione Prima di analizzare i principali fenomeni migratori degli ultimi due secoli, è necessario capire quali sono gli eventi storici legati alla mobilità internazionale che anticipano tale fase storica. Le migrazioni internazionali infatti hanno una storia lunga che in Europa vede un’improvvisa accelerazione durante l’ottocento a causa dell’unione socio economica e dello sviluppo dei mezzi di trasporto: treni e navi a vapore incentivano gli spostamenti e rendono più semplice varcare i confini ed oceani. La crescita della mobilità colpisce negativamente c’è di politici (che si stanno formando si sono formati) nel processo che porta alla nascita degli Stati-nazione ed, inoltre, conquista spazio sulla stampa periodica quotidiana, allora in pieno sviluppo. Proprio per questo, possiamo definire l’ottocento non soltanto come il secolo della “grande emigrazione“ ma anche come quello della scoperta di quest’ultima come problema politico economico e sociale. L’aspetto che colpisce maggiormente politici e giornalisti sono i flussi intercontinentali. Tra la restaurazione e la grande guerra salpano dal continente europeo decine di milioni di emigranti, divisi in più ondate. La prima è legata alla fine delle guerre napoleoniche: lo scioglimento degli eserciti lascia senza impiego senza radici moltissimi ufficiali e soldati degli eserciti vincitori e vinti.tale processo è particolarmente significativo non solo in Francia, dove l’aspetto politico dell’espatrio (la fuga degli antichi rivoluzionari nei Paesi Bassi e nelle Americhe) si unisce a quello economico, ma anche in Gran Bretagna, dove soldati ufficiali messi in ufficio a mezza paga devono trovare come sopravvivere. Una seconda ondata è più specificatamente politica e parte dalla fuga dei rivoluzionari e dei bonapartisti dalla Francia e dei territori che per un breve periodo sono stati francesi. Tale ondata, poi, si irrobustisce grazie ai moti democratici e/o indipendentisti degli anni 20/30 dell’ottocento. Essa raggiunge poi l’acme dopo il 1848, quando il fallimento dei moti sociali di quelli nazionalistici in tutta Europa spinge ad abbandonare la madrepatria caduta ormai sotto il dominio straniero. Nel frattempo prende slancio una terza ondata che si prolunga fino alla grande guerra ed a carattere più propriamente economico, pur mantenendo risvolti politici. A coloro che cercano soltanto occasioni di guadagno si aggiungono gli esuli della Comune di Parigi in Francia o i delusi dal Risorgimento in Italia: in quest’ultimo caso la diaspora repubblicana (O comunque contro i Savoia) si unisce con quella di chi ha partecipato alle grandi agitazioni dei fasci siciliani e nel 1898 e degli scioperi nel biellese agli inizi del 900. L’esilio patriottico coinvolge dunque sia i socialisti che gli anarchici, come d’altronde accade per tutti i paesi europei. I flussi di spostamenti legati a motivi economici, e quelli più specificatamente politici, continuano fino alla grande crisi del 1929 resistendo alla riduzione delle comunicazioni a causa della prima guerra mondiale e alle restrizioni anti-immigranti di numerosi Stati americani. Proprio per questo, le tre ondate appena descritte possono essere viste come un unico ed ininterrotto vuoi movimento che tra il 1815 e il 1930 porta allo spostamento dai 50 55 milioni di europei. Spesso però si tratta di un espatrio non definitivo, per cui almeno un terzo degli emigranti rientra e molti si spostano a più riprese e verso più destinazioni. Inoltre alla traversata dell’Atlantico corrisponde una forte mobilità all’interno del continente europeo ed, in particolare, ci si sposta da est e da sud verso il centro ovest e alcune grandi metropoli (come Parigi e Berlino) sono grandi poli di attrazione. In tale contesto singoli paesi o singole aree vivono situazioni particolari in cui motivazioni economiche e politiche si rafforzano a vicenda.l’Irlanda registra una crescita delle partenze alla fine dell’epoca napoleonica quando la riduzione dell’esercito britannico si accompagna a diverse crisi agricole, portando all’espatrio di quasi 1 milione e mezzo di emigranti tra il 1815 1845, niente a confronto con la grande carestia del 1845-50 che porta allo spostamento di oltre 1 milione e mezzo di irlandesi verso Scozia, Inghilterra, coloni canadesi australiani e Stati Uniti. A tali fattori si uniscono poi la penuria alimentare e la fallita ribellione antinglese del 48. Verso la metà del secolo quasi tutte le famiglie irlandesi, cattoliche e protestanti partecipano alla diaspora e, oltre ai trasferimenti definitivi diventano normali le trasferte temporanee dei figli maschi, che sostengono la famiglia dall’estero. Una situazione analoga è vissuta dal Galles, dall’Inghilterra e dalla Scozia in cui tra le mete troviamo anche gli avamposti imperiali.le due isole condividono sin dagli inizi dell’età moderna la propensione a partire, probabilmente a causa della limitata dimensione geografica. Dal 1820 esportano circa 19 milioni di lavoratori di cui più di 7 milioni provenienti dall’Irlanda. Tra il 1820 e il 1870, oltre a queste due isole, anche l’area germanica e quella dell’impero austroungarico vedono lo spostamento di più di 2 milioni di migranti (in particolare Scandinavia, Francia, Svizzera). In poche parole, le isole britanniche partecipano tutte le ondate ottocentesche, seguite con lieve ritardo dall’area tedesca e francese.con più netto ritardo si aggiungono nella seconda metà del secolo l’Europa orientale (soprattutto la Polonia e l’Ucraina) e quella meridionale (penisola iberica, italiana, balcanica). Alla fine del secolo dunque, sia l’impressione che l’intero continente europeo si è movimento e si cercano rimedi o metodi per diminuire questi esodi. Da un lato, infatti, l’ideologia nazista (che ha trionfato quasi ovunque) considera l’emigrazione un tradimento, in particolare quella definitiva.dall’altro, le chiese protestanti quella cattolica temono gli effetti la lontananza soprattutto quando le merde sono la Francia gli Stati Uniti, considerate zone di indifferenza religiosa.mentre gli esponenti nazionalisti tentano di scoraggiare le partenze, le associazioni religiose, protestanti e cattoliche, cercano di intervenire fra gli espatriati, alcune delle quali non si limitano solamente a curare i migranti nel luogo di arrivo ma li seguono nel viaggio e creano appositi istituti per loro. Gli esponenti di questo attivismo religioso si preoccupano inoltre di studiare il fenomeno e comprendono che solo nel frutto del loro secolo ma radici più antiche. Per Geremia Bonomelli (vescovo di Cremona e fondatore dell’opera di assistenza per gli italiani emigrati in Europa e nel levante) la storia dell’umanità e la storia delle migrazioni, dichiarazione che poggia non soltanto sulle vicende storiche ma anche sul racconto biblico in cui abbiamo diversi esempi (Adamo ed eva espulsi dal Paradiso terrestre, Noè i suoi figli animali che si disperdono sul pianeta una volta terminato il diluvio). ad oggi non ci spostiamo troppo da questa ipotesi interpretiamo la storia come una serie di spostamenti da un epicentro Fin dalla preistoria, passando per l’epoca romana fino al 1 l’altro aspetto delle migrazioni però significa scegliere un approccio ben preciso Per approfondire una tematica che ci porta ad una determinata lettura delle migrazioni. In questo capitolo passeremo in rassegna alcune di queste interpretazioni E affronteremo i principali problemi metodologici con cui hanno fatto i conti gli storici. Nell’otto-novecento L’esagerata crescita delle migrazioni di massa apportato l’attenzione degli stessi osservatori contemporanei sia nei luoghi di partenza dei migranti, sia in quelli di arrivo.la storia di interi paesi è stata letta anche come una gigantesca vicenda migratoria basata sulla stratificazione continua dei gruppi e delle nazionalità con un conseguente riassestamento degli equilibri sociali, politici ed economici. L’andamento crescente di impetuose dei flussi migratori ha portato gli studiosi ad interrogarsi su quali fossero le loro cause e le possibili conseguenze. Tra le diverse interpretazioni, la più plausibile è stata quella dell’espulsione di massa Per cui la migrazione è stata individuata come il prodotto di quelle trasformazioni sociali ed economiche che provocano la necessità per interi gruppi sociali di abbandonare i luoghi di origine e di recarsi altrove per cercare un lavoro che assicuri un reddito e condizioni migliori di vita. Si tratterebbe dunque di un movimento in uscita simile a un processo di espulsione con una conseguente pressione in entrata verso quei territori che per le loro condizioni economiche e grazie al loro mercato di lavoro attraggono i migranti. Descrivere l’immigrazione come un processo simile ad un’espulsione di massa comporta di dover mettere in conto il cosiddetto Push-Pull, ovvero l’analisi della combinazioni di quei fattori di esposizione (Push) e di attrazione (Pull) che determinano il boom delle migrazioni di massa. Gli studiosi hanno analizzato diverse tipologie di fattori Push Apple come la differenza dei salari da un paese all’altro, le migliori garanzie contrattuali, la presenza di mercati di lavoro più dinamici, un maggiore sviluppo tecnologico, la maggiore possibilità di accesso al risparmio e i diversi andamenti demografici. Gli studiosi che adottano lo schema del Push Pull dunque preferiscono i fattori “macro”, cioè quelle grandi differenze tra i contesti di partenza e di e i contesti di arrivo che condizionano i soggetti sociali provocandone la mobilità. Secondo questa lettura sono le condizioni socio economiche internazionali e le differenze tra i diversi paesi a dettare le forme e le caratteristiche delle migrazioni. I singoli individui e gruppi sociali a cui appartengono hanno una possibilità decisionale ridotta e sono costretti a subire il peso del contesto sociale ed economico in cui vivono. Abbiamo però altre chiavi di lettura delle migrazioni di massa. Quella che maggiormente si distanzia dalla visione dell’emigrazione come espulsione di massa si può definire “Dell’emigrazione come scelta“. Coloro che abbracciano queste ipotesi mettono in secondo piano i fattori Push-Pull e approfondiscono le origini individuali delle partenze degli emigranti. Secondo questa visione che parte non si muove solamente per cercare migliori condizioni salariali ma si sposta anche per migliorare il proprio status, per soddisfare aspettative non soltanto economiche ma esistenziali. La scelta di partire dunque viene presa in seguito ad una decisione consapevole sulla base delle differenti opzioni disponibili. I singoli individui divengono quindi migranti perché spinti verso un miglioramento della propria condizione. 4 Non tutti gli abitanti dei territori da cui si parte hanno scelto di emigrare e per questo l’emigrazione può essere vista come una scelta consapevole in base a discriminanti fondamentali fra le quali fattori Push-Pull hanno un peso importante ma non determinante. Variabili salariali ed economiche nella scelta di emigrare, infatti, sono accompagnate da altre variabili altrettanto importanti come la pratica religiosa, il rispetto dei diritti sociali, la libertà politica. La dimensione della scelta ha permesso agli studiosi di spiegare alcune caratteristiche delle migrazioni di massa difficili da interpretare utilizzando esclusivamente fattori macro. Ad esempio, da questa prospettiva si è riuscito a spiegare il perché in Italia l’emigrazione è iniziata dalle regioni più ricche —> evidentemente nelle regioni meno sviluppate economicamente non c’erano le condizioni favorevoli alla scelta migratoria come la presenza di un sistema di trasporto efficace, di un’amministrazione pubblica efficiente nelle procedure burocratiche preliminari all’espatrio e di un sistema creditizio affidabile in grado di sostenere lo sforzo necessario alla partenza. L’insistenza sulla scelta E sul mettere i singoli individui al primo posto A portato gli studiosi a dare più importanza ai migranti come protagonisti delle trasformazioni sociali e non come semplici spettatori. Francesco Ramella pone l’attenzione sulla necessità di andare oltre l’ottica dell’integrazione e considerare i migranti non in base a come si adattano un certo territorio ma in base a come lo trasformano. L’emigrazione come espulsione l’emigrazione come scelta ovviamente hanno avuto punti di contatto nel corso dei decenni per cui queste chiavi di lettura valgono più come suggestioni che come vere proprie categorie interpretative ma ci aiutano comunque a capire gli sviluppi successivi delle ricerche e le riflessioni che hanno accompagnato lo studio sulle migrazioni. Nel passaggio dall’Otto al Novecento la dimensione politica ha acquisito un peso crescente nel modo di intendere e studiare i fenomeni migratori. Man mano che gli Stati nazionali hanno posto vincoli sempre maggiori alla mobilità delle persone, gli studiosi si sono concentrati sul ruolo, sempre più determinante, assunto dalle politiche nazionali e internazionali nel condizionare lo svolgimento e la possibilità stessa dell’emigrazione. oltre a studiare i contesti sociali devo economici dei paesi di partenza e di arrivo dunque, sono stati evidenziati i fattori politici che hanno spinto gli Stati a privilegiare o a impedire determinati flussi migratori. Lo studio delle politiche migratorie si è quindi unito a quello della politica economica ed estera dei singoli Stati, partendo da quei provvedimenti che hanno impresso una svolta decisiva non solo all’andamento delle migrazioni internazionali, ma anche allo sviluppo economico e agli equilibri sociali di intere regioni. Il rapporto tra migrazioni e politiche statali attirato ancora di più l’attenzione gli studiosi quando, tra le due guerre mondiali, i regimi totalitari hanno usato (in modi differenti da paese a paese) le migrazioni interne ed internazionali e le migrazioni coatte come strumento per mettere in pratica i rispettivi progetti politici. Nel fascismo italiano, ad esempio, si appoggiava con grande enfasi la migrazione interna verso i territori da bonificare e la colonizzazione all’estero mentre si svalutava l’emigrazione in paesi non appartenenti al regime, vista come una tradizione vergognose da interrompere al più presto. 5 Nel corso del tempo, l’attenzione alla politica si estese anche ai paesi di partenza, per cui gli storici si sono concentrati su quelle politiche di sostegno all’emigrazione o comunque di pianificazione dell’esodo che hanno contribuito a incidere notevolmente sull’andamento dei flussi, integrandosi con il sistema delle relazioni internazionali tra paesi amici. Paola corti mette in evidenza come la progressiva politicizzazione delle migrazioni di massa è da mettere in relazione con il colonialismo nel quale è cresciuto proprio grazie ai movimenti coatti di intere popolazioni schiavizzate. L’attenzione alla dimensione politica delle migrazioni internazionali è cresciuta anche a causa dell’impennata delle migrazioni dei profughi che alla fine della seconda guerra mondiale si contavano milioni. La presenza centrale di fenomeni migratori nel novecento ha spinto gli studiosi a tornare alle origini delle migrazioni di massa e ad interrogarsi su quali siano state le cause iniziali che hanno contribuito alla loro diffusione così massiccia. La ricerca di caratteristiche comuni tra le diverse esperienze migratorie ha portato ad un nuovo approccio, il quale non si considera più la metà dell’ottocento come un momento di rottura in cui inizia il ciclo di massa delle migrazioni internazionali poiché dimostra che il boom delle migrazioni dirette all’estero si inserisce all’interno di una tradizione di lunga durata di mobilità locale. Già prima di questo periodo infatti, esistevano una serie di mestieri legati allo spostamento (come la transumanza, il baliatico, la vendita ambulante, il lavoro stagionale in agricoltura) Che creano un ambiente favorevole alla scelta dell’emigrazione all’estero nella seconda metà dell’ottocento. Studiosi come Piero Bevilacqua hanno messo in discussione l’immagine di un mondo contadino fermo immobile e hanno individuato la mobilità delle persone come chiave di lettura di differenti periodi storici e la considerano in grado di spiegare le origini delle emigrazioni di massa. In questa ottica le ricerche mettono al centro dell’attenzione tutte quelle figure che anticipano le migrazioni di massa e che hanno reso possibile l’apertura a nuovi canali migratori: dagli esuli del periodo risorgimentale ai musicisti girovaghi, agli agenti commerciali. Il panorama di questi “pionieri“ è molto articolato e risalire alle loro traiettorie internazionali ha permesso agli studiosi di spiegarsi perché i successivi flussi migratori si diressero verso determinate aree geografiche. Anche alla luce di questo tipo di ricerche gli storici hanno sfumato ulteriormente le differenze tra mobilità e migrazioni di massa comparando casi italiani e casi europei. Un ulteriore confine messo in discussione è quello tra migrazioni economiche e migrazioni politiche. In molti casi risulta difficile distinguere tra un migrante economico ed uno politico e gli studiosi, nel corso del tempo, hanno utilizzato diversi approcci per le interpretazioni sulle migrazioni di massa, testimoniando quanto sia complessa l’opera di ricostruzione di queste esperienze. Negli anni più recenti la crescita imponente dei flussi migratori internazionali ha portato gli storici a domandarsi se è possibile mettere a confronto le migrazioni di ieri con quelle di oggi. Secondo Giovanni Guzzini ciò è possibile a patto che si seguono delle regole ben precise. Inevitabilmente, il confronto tra migrazioni del passato e del presente, i fattori di continuità e gli elementi di differenza, le diverse trasformazioni che si hanno provocato nei luoghi in cui sono avvenute rappresentano uno degli aspetti più importanti da cui partire per studiarne la profondità storica. 6 Grazie All’afflusso di nuovi migranti diventa inutile la ricerca di manodopera coatta, tuttavia essa non scompare del tutto. La lotta contro la schiavitù è ancora lunga mentre il trasporto di galeotti contribuisce al pure amento dell’Australia. Soprattutto il lavoro contratto continua e io c’è Annie indiano e Pacifico e riacquista importanza con l’arruolamento di manodopera indiana, cinese e africana per le Americhe. Inoltre, almeno fino al 1820 molti lavoratori tedeschi ricorrono a questo tipo di contratto per pagarsi il passaggio. In ogni caso la rivoluzione americana rallenta solo per pochi decenni i flussi verso il nuovo mondo e sposta l’equilibrio tra migrazioni libere e corrotte grazie nuovi movimenti che provoca o attira. Anche la rivoluzione francese genera notevoli spostamenti di persone e fra il 1789 ed il 1799 più di 200.000 francesi fuggono: per la maggior parte sono nobili ed astici non mancano persone nel cielo inferiore. D’altronde anche nell’America del Nord i lealisti pro-britannici non sono appartenenti solamente gli strati superiori ma abbiamo anche schiavi neri che preferiscono varcare il confine orientale in Africa piuttosto che restare negli Stati Uniti nati dalla rivoluzione d’altronde anche nell’America del Nord i lealisti rubrica amici non sono appartenenti solamente gli strati superiori ma abbiamo anche schiavi neri che preferiscono varcare il confine orientale in Africa piuttosto che restare negli Stati Uniti nati dalla rivoluzione Dopo l’esilio, la costituzione degli eserciti rivoluzionari francesi prima, e di quelli napoleonici, poi, si rivela ulteriore incentivo della mobilità europea. In primo luogo uomini di molti altri paesi sono assorbiti nelle armate francesi con le quali si spostano per tutta Europa: abbiamo italiani, polacchi, istriani e dalmati desiderosi di combattere l’impero austriaco che hai invaso la loro patria. In secondo luogo, l’arruolamento di tanti giovani, trasforma il sistema migratorio europeo indebolendo alcuni flussi e irrobustendone altri. Per esempio, dalla Francia non partono più lavoratori per la Spagna meridionale la quale ricorre a manodopera proveniente dalla Galizia, Asturia e paesi baschi, instaurando un modello che in seguito non sarà più abbandonato. In terzo luogo, la diserzione crea altre partenze, spesso a lungo viaggio per sfuggire alle autorità napoleoniche. Infine, la guerra cambia gli equilibri economici europei, coinvolgendo i sistemi lavorativi locali. Il blocco napoleonico contro la Gran Bretagna diminuisce il traffico nel Baltico ed i marinai norvegesi, olandesi e tedeschi optano per riparare altrove: inizia così il suolo scandinavo ed olandese oltre l’Atlantico, mentre aumenta il già menzionato flusso tedesco verso gli Stati Uniti e altre località americane. I tedeschi non si dirigono più verso la sola America del Nord ma si installano in Brasile e nei Caraibi. In questo clima, si creano nuove reti migratorie. Francesi in fuga dalla rivoluzione si rifugiano in Inghilterra ma, successivamente, alcuni l’atlantico e stringono legami mantenuti anche dopo il ritorno. Per molti infatti l’esilio statunitense è una grande e piacevole esperienza e gli stati uniti iniziano ad essere considerati il futuro dell’Europa. Una volta caduto Napoleone e rientrati quasi tutti i vecchi emigrati, chi è troppo compromesso per il regime rivoluzionario attraversa a sua volta l’oceano. Le Americhe divengono quindi la meta principale degli oppositori francesi in esilio che tentano di fondare un insediamento utopico. Questi esperimenti francesi incuriosiscono gli esuli dei paesi in lotta per l’indipendenza con l’Italia, mentre si amplifica il mito dell’America quale terra dell’abbondanza, dove ciascuno vive come gli aggrada. Alla fine le Americhe, e in particolare gli Stati Uniti, si impongono sopra le più tradizionali mete di migrazione politica, quale Londra, Bruxelles e Ginevra e tanti francesi, tedeschi e italiani varcano l’Atlantico, 9 attratti dalle grandi città, ma anche dall’apertura dell’ovest americano e dalla corsa all'oro in California. Nel frattempo, altri francesi si sono mossi alla volta degli Stati Uniti creando piccole comunità nei porti principali, per esempio New York e New Orleans, ma anche Charleston e Boston, e dotandosi di propri giornali, secondo uno schema imitato da tutte le comunità straniere. Inoltre gli Stati Uniti sono divenuti il trampolino per entrare nel Messico, dove emigrazione e un fallimentare disegno imperiale francese coincidono, senza, però, precludere esperienze fourieriste o successivi insediamenti a carattere industriale. Ogni anno migliaia di francesi abbandonano l’Europa per l’America del Nord anglofona e ispanofona e altrettanti si muovono verso il Rio della Plata che, nel primo Ottocento attira anche emigranti dal regno di Sardegna, dalla Spagna, dall’Irlanda e dalla Germania. Questi flussi sono in genere identificabili con regioni periferiche e soprattutto estranee e avverse alla rispettive metropoli e ceti dominanti. Anche qui è evidente l’unione di motivazioni politiche e lavorative, come testimonia la partenza verso le Americhe di tanti esuli italiani. Grazie all’accesso a porti come Genova, Marsiglia, Le Havre e Amburgo questi emigranti tracciano nuovi percorsi e costruiscono nuove reti migratorie: aprono così il subcontinente meridionale all’emigrazione europea e ne allargano lo spettro demografico. In precedenza l'America Latina era stata popolata da schiavi neri, da portoghesi (Brasile) e dai sudditi e gli alleati della Spagna: baschi, galiziani, castigliani, fiamminghi e valloni, genovesi e napoletani. Ora invece l'Europa continentale prende parte ai nuovi flussi e pure le rivoluzioni latino-americane giocano la loro parte. La nuova leadership ha in molti casi viaggiato in Europa e vi ha stretto i legami con la propria controparte, che proprio per questo trova poi naturale rifugiarsi in questo settore del Nuovo Mondo in precedenza poco curato. Quando dunque i nuovi Stati (l'Impero messicano e quello brasiliano, ma anche il Venezuela e in seguito l'Argentina e l'Uruguay) hanno bisogno di attuare un nuovo popolamento sfruttano i rapporti in precedenza creati. Inoltre i nuovi arrivati permettono di sostituire il lavoro schiavo, questo infatti è da tempo decresciuto nell'America ispanica ed è stato bandito per legge nel 1867 in quella portoghese. Sono così costruite quelle reti che nella seconda metà dell'Ottocento sosterranno una vera e propria valanga migratoria. Il periodo dalla Rivoluzione americana al fallimento del 1848 in tutta Europa è compreso in quella lunga "età delle rivoluzioni" che termina dopo il fallimento della Comune di Parigi, se non addirittura con la nascita dell'Unione Sovietica. In questa fase di continui movimenti il mondo occidentale non è ancora uscito completamente dall'Antico regime e il modello migratorio dell'età moderna è in lenta trasformazione. La mobilità che qui ci interessa è ancora sostanzialmente interna all'Occidente e caratterizzata da una fortissima tendenza al rientro, che viene favorita dalle nuove tecnologie. Il trasporto transatlantico e ferroviario rende più facile raggiungere mete assai lontane e tornare dopo un breve periodo e quindi permette a una massa abbastanza ingente di muoversi attorno al globo. In questo contesto appaiono caratteristiche nuove dei flussi occidentali: la progressiva scomparsa dell'esilio religioso e il progressivo incremento dei numeri, l'intreccio di mobilità politica (di cui gli empiti indipendentistici fanno parte a pieno titolo) e di lavoro, l'allargarsi dei flussi a comprendere le Americhe e tutta l'Europa, ivi compresa quella orientale. Non dimentichiamo infatti che alla colonizzazione agricola delle Americhe corrisponde cronologicamente quella della Siberia e che la Russia accentua proprio allora il suo carattere di polo immigratorio per tutta l'Europa centro-orientale e per quella settentrionale (Hoerder, Rössler, Blank, 1994). 10 Nei decenni che vanno dal 1815 al 1850 ci troviamo di fronte a un periodo di passaggio del modello migratorio occidentale nel quale sono costruiti nuovi snodi, europei e americani, a partire da quelli che avevano caratterizzato il Settecento. Aumenta, per esempio, la mobilità della servitù, che muove ancora dal contado alla città, ma oltrepassa anche le frontiere europee o l'Atlantico. Tale fenomeno ha risvolti maschili e femminili sviluppa nuovi ruoli, accanto ai servi e alle balie si cercano maggiordomi, istitutori/istitutrici, cameriere specializzate e altre figure che ben presto si staccano dal servizio presso una singola famiglia (parrucchieri/e, stiratrici, gestori di lavanderie) e dal Vecchio passano al Nuovo Mondo o alle basi coloniali in Africa e Asia. Si gettano così le basi di flussi ancora oggi in pieno sviluppo. In questo contesto di accentuata mobilità acquista grande importanza la questione dei passaporti, già accennata nell'Introduzione, ma diviene rilevante pure la scelta dei singoli Stati di favorire, o comunque accettare, non solo l'immigrazione, ma anche l'emigrazione. Se torniamo alla Rivoluzione francese, possiamo ricordare come essa abolisca i divieti di Luigi XIV alla mobilità dei sudditi. Il Re Sole aveva infatti proibito ai sudditi di abbandonare i suoi territori senza passaporto e aveva stabilito che dalle colonie non si potesse liberamente tornare nella madrepatria. Tali restrizioni sono condannate dagli Stati generali riuniti a Versailles nel 1789 e abrogate dalla Costituzione del 1791. In verità il cammino non è così lineare, perché a più riprese le autorità rivoluzionarie si pongono il problema dell'emigrazione politica, cioè della fuga di religiosi e aristocratici. Tuttavia non aboliscono mai le nuove norme e queste perdurano anche durante l'Impero e la Restaurazione. D'altra parte la Rivoluzione e l'Impero hanno bisogno della libera circolazione, perché l'esercito e lo stesso territorio francese divengano rifugio per gli esuli di tutta Europa, per esempio italiani e polacchi. Ma anche la restaurata monarchia non rinnega questi ospiti, in particolare dopo la rivoluzione costituzionale del 1830. Essi infatti garantiscono una certa presa su realtà geopolitiche che non si vogliono trascurare: la Francia diviene così un luogo di arrivi e partenze. Di qui il suo ruolo di apripista nella costruzione delle transatlantiche ottocentesche: lo stesso movimento che porta nell'esagono esuli di tutta Europa spinge parte dei nuovi arrivati a ripartire per le Americhe o comunque suggerisce loro che esistono queste nuove mete. La nuova strategia migratoria è imitata da altri Stati. Nel 1807 Federico Guglielmo III di Prussia rafforza l'identità nazionale del suo piccolo regno, liberando i contadini dall'asservimento ereditario. Dieci anni dopo sono aboliti i passaporti per la circolazione interna, se non per gli ebrei o per chi non è cittadino secondo un criterio che resterà immutato nel futuro Reich. I passaporti sono dunque necessari solo per l'estero e la Prussia, come altri Stati tedeschi, li concede formalmente solo a chi dimostra di poter trovare lavoro. Tuttavia in Prussia e in altre aree germanofone sono incoraggiati coloro che dopo il 1815 si dimostrano disposti a emigrare in Russia, proseguendo un movimento torrenziale nel Settecento, ma attivo dal Medioevo e destinato a continuare sino alla Rivoluzione russa. Negli anni quaranta dell'Ottocento la Prussia accetta infine tutta l'emigrazione, salvo quando sente approssimarsi la guerra, e tale decisione è condivisa dalla Germania riunita, che accetta nel 1867 una certa libertà nella concessione di passaporti e di fatto promuove le migrazioni come una delle strategie possibili di ampliamento fuori dei propri confini. Gli Stati europei realizzano dunque già nella prima metà dell'Ottocento che il controllo e la direzione dei flussi in uscita sono altrettanto importanti del controllo e della direzione dei flussi in entrata. Le partenze alleggeriscono la pressione demografica o politica e costruiscono teste di ponte verso altre regioni. Inoltre tutti i governi comprendono di non poter facilmente bloccare le partenze per gli Stati Uniti. Questa enorme Repubblica, 11
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