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Riassunto cap su Quattrocento e Cinquecento, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto dettagliato dei capitoli sul Quattrocento e il Cinquecento del Marazzini

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

Caricato il 11/06/2024

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Scarica Riassunto cap su Quattrocento e Cinquecento e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! QUATTROCENTO 1.Latino e volgare 1.1 Il rifiuto Umanistico del volgare e il confronto con il latino. Si è visto come Petrarca, iniziatore dell’Umanesimo, affidasse la parte che riteneva più solida del proprio messaggio letterario al latino. Egli si ispirava ai classici come Cicerone, Livio, Seneca, Virgilio e Orazio misurando attentamente la differenza tra i modelli e il latino medievale, al contrario di Dante che invece utilizzava un latino “moderno”. Perciò Petrarca avviò un processo fondamentale per la lingua, in quanto fu decisivo per la formazione di una mentalità grammaticale, che sarà applicata in seguito anche all’italiano. Questa scelta orientò verso una concezione della lingua vista come frutto delle imitazioni dei classici modelli letterari, portando ad una “crisi del volgare”, che cominciò ad essere screditato dai dotti, mentre nell’uso pratico continuava a farsi strada. Questa crisi del volgare dunque riguardò soprattutto il giudizio che i letterati diedero di questa lingua, disprezzando apertamente la lingua moderna. Vi furono infatti umanisti della prima generazione Che non usarono per nulla il volgare, come ad esempio Coluccio Salutati ,figura centrale nell’Umanesimo fiorentino, in quanto diffuse nei primi anni del Quattrocento il proprio stile latino basato su quello ciceroniano. Egli è uno degli interlocutori del Dialogus ad Petrum Paulum di Leonardo Bruni, in cui lo si sente esprimere rammarico per il fatto che Dante avesse preferito non usare il latino per scrivere la Commedia. Sempre nel dialogo, un altro umanista, Niccolò Niccoli dichiara che per questo motivo Dante non dovrebbe nemmeno essere inserito nella lista dei letterati. Queste forse sono opinioni un po’ radicalizzate, ma necessarie per far capire la reale posizione dei letterati del tempo. Contrariamente invece Leonardo Bruni sembra elogiare le doti di Dante indipendentemente dalla lingua da lui usata. Il Bruni era difatti un grande ammiratore di Dante, tanto che scriveva di lui anche una Vita del poeta, in cui afferma che non c’è sostanziale differenza tra lo scrivere in volgare o in latino , così come non c’è tra il greco e il latino( e qui si può notare il paragone tra l’italiano e le lingue dei classici).Secondo il Bruni ogni lingua ha la sua perfezione, e un autore deve essere giudicato solo per la qualità delle proprie realizzazioni e non per la lingua adottata. Affinchè il principio di pari potenzialità delle lingue si affermasse ci volle un po’ di tempo; il volgare poteva affermarsi solo attraverso questa strada. Conseguenza di questa ipotesi è l’idea che gli scrittori avessero in mano il destino della lingua. Ma questa disponibilità si verificò solo nella seconda metà del secolo a Firenze, ma l’atteggiamento più comune fu quello di disprezzo per il volgare. Giorgio Valla ad esempio accennò con sufficienza ai cantiunculas, ovvero delle “canzoncine” in italiano per il popolo degli indotti scritte da Dante e da Petrarca , a cui avevano tenuto dietro altri autori di nessun conto. E nel 1477 Francesco Filelfo poteva ripetere che si scriveva in volgare solo quello che non era destinato ai posteri. Dunque il latino era preferito dagli umanisti in quanto lingua nobile, capace di garantire l’immortalità letteraria e l’uso del volgare era concesso solo nelle scritture e nelle pratiche non legate all’arte. Credere nel volgare significava scommettere su un incerto futuro, laddove invece il latino rappresentava una certezza indiscutibile sia nell’Italia antica che moderna. Le prime discussioni sull’origine del volgare e dei suoi rapporti con il latino classico non nacquero per un interesse rivolto alla nuova lingua, ma piuttosto per cercare di capire come fosse avvenuto il crollo della romanità ,in quali fasi fosse avvenuto e se fosse da attribuire al contatto con gli invasori barbari. E’ qui che nasce una storiografia interessata a definire in maniera più precisa il trapasso dall’antichità al Medioevo. 1.2 Macaronico e polifilesco. La cultura umanistica produsse alcuni tipi di scrittura letteraria in cui il latino e il volgare entrarono in simbiosi, a volte a scopo comico,più raramente con intento serio. Una simile mescolanza di codici colpisce molto ,in quanto ricorda la coesistenza del latino e del volgare che si trova in certe scritture pratiche quattrocentesche. Tali esperimenti di mistilinguismo furono frequenti e portarono a un livello artistico quella che in realtà era una pratica abbastanza comune. In questi esperimenti però la contaminazione è volontaria, non casuale, e anzi controllata in maniera sapiente da autori. Esistono due forme di contaminazione colta di latino e volgare: il “macaronico” e il “polifilesco”. La loro esistenza tocca in maniera marginale lo sviluppo della lingua italiana in quanto si tratta per lo più di esperimenti appartenenti al periodo umanistico. Con il termine “macaronico” si designa un linguaggio nato a Padova alla fine del Quattrocento. Tale linguaggio è caratterizzato dalla latinizzazione parodica di parole del volgare, oppure dalla deformazione dialettale di parole latine, con forte tensione ultra, autem ecc... 2.Leon Battista Alberti 2.1.Una nuova fiducia nel volgare Abbiamo avuto modo di vedere come lo sviluppo del volgare come lingua di cultura fosse in qualche modo rallentati dalla preferenza  degli umanisti per la lingua dei classici. Mancava dunque un aurore che dimostrasse piena fiducia nell'atlantico. Questa operazione fu anticipata da Dante nel De vulgari eloquentia ma il trattato dantesco nel Quattrocento non era conosciuto. Dunque risulta come innovativa la scelta di Leon Battista Alberti, intellettuale la cui figura sarà molto incisiva in vari settori. Egli  iniziò il movimento noto come "Umanesimo Volgare" ed elaborò un vero programma di promozione della lingua. Vi sono realizzazioni di poesia e di prosa, e la lingua è usata finalmente con un tono alto e per trattare argomenti seri e importanti. Ciò è presente nei trattati De famiglia e nei volgarizzamento dei saggi scientifici come il De pictura. Nel proemio al III libro del citato del Della Famiglia si ricollega alle tematiche affrontate nelle discussioni umanistiche sul passaggio dal latino all'italiano. Alberti attribuisce la causa della perdita della lingua italiana alla calata dei barbari .In questo modo si sarebbero introdotti i <<barbarismi>>. Compito del volgare dunque è quello di riscattare se stesso facendosi <<copioso>> e <<ornato>> come il latino. Alberti era convinto che bisognasse imitare i Latini in questo: nel fatto che avessero scritto una lingua universale, di uso generale. Il volgare però occorreva una promozione a livello alto ,da affidare ai <<dotti>>. La prosa di Alberti non a caso è caratterizzato da una forte presenza di latinismi, soprattutto a livello sintattico, oltre che lessicale e fonetico. A questo si unisce però l'uso di molti <<tratti popolari coevi>> della lingua toscana. L'influenza del latino sulla sintassi dell'albergo  da esiti diversi rispetto al modello ipotattico di Boccaccio ,anche perchè la prosa trecentesca non viene considerato come un esempio da imitare. 2.2 La grammatica della lingua toscana. All’Alberti è attribuita anche un’altra eccezionale impresa; la realizzazione della prima Grammatica della lingua italiana. Questa Grammatica della lingua toscana è tramandata da un unico codice apografo scritto per il Bembo, conservato nella Biblioteca Vaticana (e per questo conosciuta come Grammatichetta vaticana, dove il diminutivo allude alla grandezza dell’opera).Una breve premessa chiarisce il collegamento con le dispute umanistiche, polemizzando contro coloro che ritengono la lingua latina appartenente solo ai dotti. Per Alberti è importante riconoscere nel latino una lingua comune a tutti gli antichi romani. Era così possibile stabilire un’analogia con la situazione moderna del volgare. La Grammatichetta vaticana nasce da una sorta di sfida: dimostrare che il volgare ha una sua struttura grammaticale ordinata come il latino. La Grammatichetta non ebbe però influenza, perché non circolò e non fu data alle stampe. La prima grammatica uscì ben più tardi nel 1516.La Grammatichetta si rifà “all’uso” toscano del tempo, non negli autori antichi. Ciò è verificabile soprattutto nelle indicazioni date riguardo la morfologia: l’articolo el anziché il, che era stata la forma prevalente a Firenze fino alla metà del Trecento ,ma nel Quattrocento si era affermato el. A Firenze inoltre l’imperfetto del tipo io amavo aveva preso il sopravvento nel XV sec. nella forma io amava . 2.3 Il Certame coronario La promozione della lingua da parte dell’Alberti culminò in un Certame Coronario del 1441. Egli organizzò una gara poetica in cui i concorrenti si affrontarono con dei comportamenti in volgare. La giuria tuttavia, composta da umanisti, non assegnò il premio. Alla giuria fu dunque indirizzata una lettera di protesta anonima, che si pensa fu scritta dallo stesso Alberti e che venne definita da Tavoni come un documento straordinario. In essa veniva criticata la posizione conservatrice della cultura umanistica. 3.L’Umanesimo volgare alla corte di Lorenzo il Magnifico. 3.1.L’ispirazione al primato di Firenze. A Firenze, nell’età di Lorenzo il Magnifico, si ebbe finalmente un forte rilancio dell’iniziativa in favore del toscano, politicamente voluta e sostenuta al più alto livello. I protagonisti questa volta furono Lorenzo de’ Medici, l’umanista Cristoforo Landino e il Poliziano. Landino fu cultore della poesia di Dante e di Petraraca, tanto da introdurre la loro lettura nella cittadella universitaria, per lo più contraria al volgare. Questa esperienza di lettura aveva già buone radici, ricollegandosi alle Lecturae Dantis che risalivano a Boccaccio. Landino nega la naturale inferiorità del volgare rispetto al latino e invita i concittadini di Firenze a darsi da fare perché la città ottenga il “principato” della lingua. Lorenzo il Magnifico nel Commento della sua raccolta di sonetti, composto tra il 1482 e il 1484 ,prospetta un futuro mirabile per il fiorentino. Lo sviluppo della lingua si lega dunque ora a una concezione patriottica, dunque ad una visione soprattutto politica, cosa che verrà portata avanti nel Cinquecento da Cosimo I de’ Medici. 3.2 Landino traduttore di Plinio Landino nel suo commento a Dante e nella traduzione in volgare della Naturalis Historia di Plinio, particolarmente difficile per la gran quantità di tecnicismi scientifico-enciclopedici, sostiene la necessità che il fiorentino si arricchisca con un forte apporto delle lingue classiche. Nel tradurre inoltre diede spazio a voci toscane popolari. 3.3 La Raccolta aragonese. Nel 1477 Lorenzo il Magnifico inviò a Federico, figlio del sovrano Ferdinando di Napoli, una raccolta antologica di poesie in volgare note come Silloge o Raccolta Aragonese, che andava dai pre- danteschi e dallo Stilnovo fino a Lorenzo il Magnifico , e dunque la poesia fiorentina contemporanea. L’antologia è accompagnata da un’importante epistola, attribuita al Poliziano, segretario privato di Lorenzo. Nel 1476,anno precedente a quello dell’invio, Federico e Lorenzo si incontrarono a Pisa, e in tale occasione i due avevano discusso di letteratura volgare. Lorenzo inviò dunque a Federico quella raccolta unendovi con la lettera del Poliziano un elogio a quella lingua e letteratura. Con Lorenzo il Magnifico e con la sua esaltazione del fiorentino, che egli stesso e Landino riconoscevano “comune” a tutta l’Italia, per la prima volta la promozione del volgare e delle sue possibilità si collegavano ad un preciso intervento culturale e letterario, coniugato a un disegno “politico”. 3.4.Realizzazioni di linguaggio poetico in Toscana La vitalità del volgare fiorentino durante l’Umanesimo è dunque da attribuire a Lorenzo il Magnifico. Il volgare diviene in questo caso strumento di un esercizio letterario colto da parte di autori che sono in grado di godere delle bellezze della cultura classica ma che per ragioni teoriche mostrano interesse anche per l’adozione di modi e forme della lingua popolare. E’ significativo l’esperimento della cultura rusticale a cui appartiene la Nencia da Barberino, poemetto del Magnifico di cui esistono quattro redazioni di diversa lunghezza. Tra queste si ritiene che sia di Lorenzo quella costituita da venti ottave, che si trova nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. omogeneo. La prosa invece risentì maggiormente di oscillazioni, anche perché il modello di Boccaccio apparteneva a un genere letterario circoscritto (la novella) e non tutte le occasioni di scrittura potevano essere riportate adeguatamente a questo modello. La prosa infatti non si poteva di certo limitare a un uso novellistico- narrativo e doveva estendersi a settori extraletterari, pratici ,scientifici, familiari ecc… Ognuno di questi momenti richiedeva un grado di formalizzazione e quindi un diverso compromesso con i volgari regionali. Vi era una varietà scriptae , lingue scritte attestate dai documenti dell’epoca, collocate in precisi spazi sociali e geografici. La definizione di queste sciptae non riguarda solo il Quattrocento ,visto che tradizioni diverse esistevano prima, ma nel Quattrocento mostrano una tendenza all’eliminazione dei tratti locali. Tanto che non è sempre facile circoscriverle geograficamente. Dunque queste evolvono verso il koinè , termine con cui si indica una tecnica superdialettale. Quindi la koinè consiste appunto nell’eliminazione di almeno una parte dei tratti locali, accogliendo largamente latinismi e appoggiandosi al toscano. La diffusione di tale lingua non si può spiegare a prescindere dall’azione esercitata dalle corti signorili, dove esse aumentarono la loro diffusione. Non si deve dimenticare che una tale spinta all’uso del volgare fu data soprattutto dalle cancellerie principesche. I documenti volgari della cancelleria viscontea cominciarono nel 1426.Tale data segna addirittura un ritardo rispetto a Mantova e Urbino. Nella prima metà del secolo XV si comincia a usare il volgare anche nelle cancellerie di Venezia e Ferrara. Come osserva Tavoni il volgare e il latino qui coesistevano. L’uso delle cancellerie era influenzato dai gusti linguistici e letterari della corte signorile. I cortigiani non erano necessariamente legati in maniera definitiva a una sola corte, ma spesso si muovevano. Difatti le testimonianze più importanti in questo senso si trovano nelle lettere dei diplomatici. Essi si trovavano di fronte la necessità di adeguare il loro volgare originario ai volgari che incontravano. L’azione dei modelli letterari toscani influì sul livellamento delle koinai. A utilizzarle erano scrittori ,lettori attenti di autori toscani e potevano trasportare nelle scritture di uso pratico forme incontrate nei testi della letteratura. Lo scarto tra scrittura pratica e scrittura letteraria rimane ben marcata. E’ noto il caso di Boiardo , le cui lettere private sono a un livello di formalità minore rispetto alle liriche d’amore. Nelle sue lettere non si trovano tanto tratti dialettali tipici emiliani, ma piuttosto caratteristiche tipicamente settentrionali (barba “zio”; lune “lunedì”; magnano “fabbro”) . Non manca qualche toscanismo di matrice letteraria come il al posto di el , mentre vi è la presenza di latinismi. Il latinismo non segna una marcatura stilistica, ma piuttosto un soccorso per riempire una lacuna lessicale, lasciata dalla coscienza toscana dello scrivente. Ciò vuol dire che nell’incertezza della nuova lingua, non ancora codificata da grammatiche e vocabolari , il latinismo è una certezza. La prassi delle koinè si sviluppò anche nell’uso tecnico scientifico , si pensi all’opera Summa de arithmetica di Luca Pacioli e alla scrittura del matematico Tartaglia. Baldassar Castiglione, partito nelle sue lettere da un linguaggio cortigiano corrispondente alla koinè della cancelleria mantovana, se ne staccò mediante delle conversioni linguistiche, man mano che veniva a contatto con le altre corti. Dopo essere stato alla corte di Urbino eliminò le forme nui e vui per “noi” e “voi”, molto frequenti nelle scritture del settentrione e del meridione. 6.Fortuna del Toscano letterario 6.1. Modelli della lingua toscana nelle corti d’Italia. Il volgare toscano acquistò di fatto un prestigio crescente fin dalla seconda metà del Trecento , a partire dalla presenza di autori come Dante e Petrarca fuori dalla Toscana. La diffusione delle loro opere fu molto precoce. Con scopi diversi invece si andavano formando le biblioteche di studio, di taglio propriamente umanistico, in cui avevano spazio esclusivo gli autori latini. Il pubblico ideale , di rango signorile, è in quest’epoca bilingue e legge libri italiani, francesi, latini. A Milano l’apertura verso la letteratura toscana era stata, legata a una precisa scelta. Filippo Maria Visconti fece compilare intorno al 1440 un commento dell’Inferno dantesco, e fece commentare Petrarca dal Filelfo. Altre testimonianze ,dimostrano la simpatia con cui Ludovico il Moro guardava alla lingua fiorentina, era infatti vivo il culto per gli antichi scrittori toscani. E ancora la tipografia milanese aveva concesso spazio a opere dei grandi trecentisti. Questo testimonia la richiesta del mercato del tempo e di un effetto che si ripercuote sul mercato medesimo, indirizzando verso una letteratura volgare. Assieme a Firenze e a Milano, la città all’avanguardia nella stampa dei libri in volgare era Venezia. Ma la letteratura e la lingua volgare trovavano spazio anche nelle corti minori dell’Italia padana. Nell’ambiente emiliano, tra Reggio e Ferrara , ad esempio , operava Boiardo che si dedicava nell’imitazione petrarchesca negli Amorum libri, dove la toscanizzazione è più forte rispetto all’emiliano illustre dell’Orlando innamorato. A Mantova il mecenatismo dei Gonzaga si era esercitato con autori come l’Alberti e Poliziano, che qui compose nel 1480 l’Orfeo. 6.2.Un caso di toscanizzazione nel Settentrione d’Italia: la lirica di Boiardo. Matteo Maria Boiardo arrivò alla poesia in volgare dopo un’esperienza da poeta in lingua latina. Il linguaggio della poesia lirica volgare di Boiardo è bastato studiato dal Mengaldo, da cui si ricava il modo di procedere di questo autore. Egli operò in una dimensione “acronica”,nel senso sradicato del proprio terreno linguistico dialettale. Assimilò librescamente il toscano ,senza per altro recepire questo linguaggio come una lingua viva nei sui sviluppi diacronici. Il punto di riferimento di Boiardo è il Trecento, in particolare la poesia di Petrarca. Sono in lui frequenti i latinismi che si riflettono anche sul vocalismo tonico, in cui ricorrono i e u al posto di e ed o. Le forme nui e vui sono frutto di una coincidenza tra l’esito settentrionale metafonetico e la tradizione poetica siciliana. Un tratto Toscano è l’anafonesi, in lingua , vermiglio. Nel consonantismo , il settore delle scempie e delle geminate è l’unico in cui prevale la fonetica locale: troviamo ad esempio ,in posizione di rima, tuto “tutto” ,aiuto, arguto. Interessante è il confronto tra la poesia lirica di Boiardo e il suo poema incompiuto l’Orlando innamorato. Tale confronto è reso difficile dal fatto che non possediamo l’originale e nemmeno le sue edizioni principes. Le due più antiche edizioni del poema che ci sono giunte del 1487 e del 1506 sono arrivate in unica copia. Tale rarità si spiega con il carattere popolare del testo, ciò comporta sempre una forte deperibilità del libro. Abbiamo inoltre un manoscritto, ma esso è posteriore al 1495.Le due stampe sono più dialettali, mentre il manoscritto è maggiormente toscanizzato. Certo è pero che i lettori del testo originale lessero una forma che si riscontra nelle stampe, quella più vicina al “padano illustre”. 6.3. Il linguaggio della lirica nell’Italia meridionale Durate il periodo in cui si instaurò a Napoli la corte della dinastia aragonese fiorì una poesia cortigiana di cui sono esponenti autori come Francesco Galeota ,Joan Francesco Caracciolo, Pietro Jacopo de Jennaro. Anche la lingua di questi autori può essere studiata confrontandola con la koinè meridionale, con il toscano letterario e contemporaneo. La Raccolta Aragonese ha sintetizzato i tratti linguistici di questi poeti che si distinguono dal toscano, tra cui : oscillazione tra forme anafonetiche fiorentine e forme senza anafonesi, oscillazione tra ar protonica locale e er fiorentino nei futuri condizionali dei verbi, oscillazione tra i possessivi toa ,soa e i toscani tua, sua. Specificatamente meridionali sono poi le forme aveva introdotto l'italiano nelle procedure giudiziarie , nelle verbalizzazioni ecc... Senz'altro più conservatrice altra la prassi della Repubblica di Genova e del vicereame di Sicilia, in cui si usò il latino ancora nel Seicento nella stesura delle leggi e nella cancelleria, anche se furono in volgare le regole per la vita pubblica. Queste contengono anche delle scritture locali, come ad esempio camallo, che in Liguria si usava per dire "scaricatore di porto". Nelle zone sottoposte al governo spagnolo, come la Lombardia  e il Regno Meridionale entrarono molti ispanismi, come alborotto "tumulto",aprieto "urgenza", papeli "documenti". In Sardegna l'amministrazione spagnola mostrò un atteggiamento ostile verso il volgare italiano, tanto che venne avanzata la richiesta di tradurre in sardo o in catalano gli statuti di alcune città. Nell'isola di Malta l'italiano fu usato a partire dal Cinquecento nella prassi amministrativa e cancelleria. Invece quasi esclusivamente in latino si presentano la filosofia, la medicina e la matematica .Il volgare viene usato nella scienza quando si tratta di stampare opere di divulgazione, rilevante nei testi di "arti applicate", come l'arte di fondere metalli, i ricettari di medicina, cosmesi ecc... Quando al settore letterario il volgare trionfa nella letteratura , e si afferma vistosamente nella storiografia ,grazie a Machiavelli e Guicciardini. Nel XVI secolo noteremo che la percentuale più alta di libri in volgare venne stampata dell'editoria di Venezia, seguita dell'editoria di Firenze. Nella seconda metà del Cinquecento vi era nella produzione di un editore medio circa tra il 60% e il 75% di libri in italiano, e una percentuale tra il 40 e il 25% in latino. Nella Roma della seconda metà del Cinquecento la produzione di libri in volgare è al di sotto della soglia del 50%. A Torino e a Pavia accade la stessa cosa. Sono città periferiche rispetto al "centro" toscano, caratterizzate da una forte presenza nella cultura universitaria, legata alla lingua latina, mentre a Roma il latino è egemonico nella produzione libraria in quanto lingua della Chiesa , la quale si mantiene piuttosto distante dalla letteratura profana volgare. 2.La questione della lingua 2.1.Pietro Bembo : dalle edizioni aldine nel 1501-1502 alle <<Prose della volgar lingua>> Aldo Manuzio , uno dei grandi maestri dell'arte tipografica italiana ed europea. Manuzio aveva stampato nel 1499 l'Hypnerotomachia Poliphili, libro pieno di latinismi. Il secondo libro stampato da Manuzio fu Lettere di Santa Caterina , nel 1500. Nel 1501 Manuzio stampava due classici , Virgilio e Orazio, scegliendo un formato “tascabile", che avrebbe reso le sue edizioni "celebri anche per il suo carattere tipografico corsivo, detto "aldino". Nel frattempo usciva un piccolo formato il Petrarca volgare curato da Bembo. L'evento ha molta importanza storica e culturale. Tale allontanamento dalla consuetudine era visibile sin dal titolo del libro Le cose volgari di Messer Francesco Petrarca , e non le cose vulgari. Ma le innovazioni introdotte da Bembo erano anche di maggiore portata: la forma linguistica si quel testo di Petrarca era quella su cui si sarebbero fondate in seguito le teorizzazioni delle Prose della volgar lingua, in cui compare per la prima volta il segno dell'apostrofo, di origine greca. Nel 1502 invece Aldo pubblicò la Commedia curata da Bembo. Bembo scriveva gli Asolani, stampati nel 1505, anch'essi presso il Manuzio. In questa prosa trattatistica e filosofica era già in atto l'imitazione linguistica di Boccaccio. La novità sta nel fatto che Bembo ricavata da Boccaccio una lezione di lingua , prima ancora che di stile. In nessun altro secolo il dibattito sulla lingua ebbe importanza come nel Cinquecento, anche perchè l'esito di queste discussioni fu la stabilizzazione dell'italiano. Al centro di questi dibattiti possiamo trovare le Prose della volgar lingua,pubblicate a Venezia nel 1525: è l'editio princeps, di cui abbiamo un'edizione critica , con alcune varianti rispetto al manoscritto, e le varianti del manoscritto medesimo, il quale è conservato nella Biblioteca Vaticana di Roma. Le Prose sono divise in 3 libri. Il terzo contiene una vera e propria grammatica dell'italiano, anche se poco sistematica in quanto ha una forma dialogica. Il dialogo che costituisce le Prose è idealmente collocato nel 1502 , vi prendono parte quattro personaggi, ognuno dei quali è portavoce di una tesi diversa: Giuliano de' Medici  (terzo figlio del Magnifico)rappresenta la continuità con l'Umanesimo, Federico Fregoso espone le tesi storiche presenti nella trattazione ,Ercole Strozzi (umanista e poeta in latino ) espone le tesi degli avversari del volgare, e infine Carlo Bembo, fratello dell'autore , è portavoce delle idee di Pietro. Nelle viene svolta prima di tutto un'ampia analisi storico-linguistica, prendendo le distanze dalla tesi di Bruni. Secondo questa tesi l'italiano era già esistito al tempo dell'antica Roma, come lingua popolare. Bembo non accetta questa ricostruzione e ne individua i rischi facendo osservare a Strozzi che non ci sarebbe alcun valido motivo di adottare una lingua che a suo tempo era stata scacciata dalle scritture degli autori classici. Adottando invece il punto di vista di Biondo Flavio , secondo il quale il volgare era nato dalla contaminazione del latino ad opera dei barbari , il volgare era visto come una nuova entità capace di riscattarsi tramite gli autori e la letteratura. Dunque il discorso si spostò sull'ambito letterario , le cui sorti venivano giudicate inscindibili dalla lingua. Quando Bembo parla di volgare intende il toscano letterario degli autori trecenteschi. Questo è un punto fondamentale della tesi bembiana, egli non nega che i toscani siano avvantaggiati sugli altri italiani nella conversazione, ma dice che il trattato non si occupa del parlato ma della nobile lingua della letteratura. Prose dunque sostiene il primato della letteratura. La comunanza del fiorentino moderno con la lingua popolare è dannosa, in quanto i letterati fiorentini possono essere portati più di altri ad accogliere parole popolari che toccano la dignità della scrittura. La lingua dunque non acquisisce dal popolo ma dalla frequentazione di modelli scritti trecenteschi. Dunque requisito necessario per la nobilitazione del volgare era un totale rifiuto della popolarità. Ecco perchè Bembo non accettava il modello della Commedia dantesca, di cui non apprezzava il mistilinguismo. Il modello del Canzoniere di Petrarca invece non presentava difetti, mentre il Decameron presentava qualche problema , in quanto emergeva più vivace il parlato. Bembo infatti precisava che il modello non stava nei dialoghi delle novelle ma nello stile dello scrittore. La sintassi era latineggiante, vi erano inversioni e delle frasi gerundive. La soluzione del Bembo fu vincente , in quanto la lingua volgare ora aveva finalmente un modello a cui ispirarsi , in modo da potersi anche epurare dalle contaminazioni della koinè. Inoltre la sua teoria aveva le carte per essere gradita a una classe colta abituata al culto del passato. 2.2. La teoria cortigiana. Le fonti più ricche riguardo la teoria cortigiana arrivano dagli scritti degli avversari. Ne le Prose della volgar lingua Bembo sostiene , attraverso l'opinione di Calmeta, che il volgare migliore è quello parlato nelle corti italiane, specialmente quella di Roma. A sostenere questa tesi vi è Ludovico Castelverro, un letterato del Cinquecento, che faceva riferimento a una fondamentale fiorentinità della lingua che si doveva apprendere dai testi di Dante e Petrarca e poi affinata con l'uso nella corte romana, che era al di sopra dei particolarismi cittadini. Il fascino di Roma aveva attirato anche Mario Equicola, che aveva parlato in un primo tempo di una lingua capace di accogliere dei vocaboli di tutte le regioni d'Italia, mai plebea , con qualche sfumatura latineggiante. Nel suo De natura del 1525 dichiarava di aver usato una lingua come <<commune>>.Questo stesso aggettivo era stato usato da Baldassar Castiglione nel Cortegiano , uscito nel 1528.I fautori della lingua cortigiana non volevano limitarsi all'imitazione del toscano arcaico, ma molto più fruibile di quanto fosse quella delle Prose. Nel 1550 uscirono ad esempio le Osservazioni nella volgar lingua di Ludovico Dolce,che ebbero molte ristampe: si tratta di un libretto di piccole dimensioni , facile da consultare. Nel 1562 l'editore Sansovino di Venezia pubblicò le Osservazioni della lingua volgare de diversi uomini illustri che riproponeva riunite in un solo volume le opere di cinque opere grammaticali della prima metà del secolo di Fortunio, Bembo ecc...Sulla linea di Bembo si collocano i Commentarii della lingua italiana di Ruscelli , mentre Flaminio aveva  ricondotto a metodo le Prose del Bembo riordinandole alfabeticamente. Nel fiorire di grammatiche , pubblicate dell'editoria veneta, si segnala l'assenza di opere pubblicate da quella di Firenze. A Firenze si ebbe solo la grammatica di Giambullari uscita nel 1552 ,con la prefazione di Gelli. Questo libro, rivolgendosi ai non fiorentini, si rivelò un fallimento. Oltre alle grammatiche si diffusero anche i primi lessici ,antenati dei vocabolari. Questi avevano un numero limitato di parole, ricavate da spogli fatti sugli scrittori. Tra questi vi è Le tre fontane di Liburnio, del 1526, che è un'incrocio tra grammatica, retorica e lessicografia , e che si presenta come un aiuto per scrivere bene .Il titolo allide ai grandi Trecentisti. 3.3. Gli scrittori di forte alla grammatica di Bembo. L'adozione della soluzione linguistica proposta da Bembo fa riferimento a Petrarca e Boccaccio. L'effetto più noto fu quello che ebbe su L'Orlando Furioso perchè Ariosto corresse la terza edizione del poema seguendo le Prose di Bembo. La prima edizione del poema risente del padovano ,anche se toscanizzata. In esso vi sono oscillazioni dell'uso delle consonanti doppie c e z davanti a vocale, vi sono forme come giaccio, giotto, iusto, per ghiaccio, ghiotto e giusto, oltre che l'abbondo di latinismi lessicali. I ritocchi dell'edizione del 1521 sono pochi mentre la terza tiene decisamente conto delle regole delle "Prose". Tra le correzioni possiamo trovare la sostituzione dell'articolo "el " con "il " , le desinenze del presente indicativo della prima persona plurale in -iamo e la prima persona singolare dell'imperfetto in -a. Stella ebbe l'idea di confrontare l'Orlando Furioso con le lettere private di Ariosto e in quelle anteriori al 1516 spiccano forme non dittongate come "mei" per "miei" e "dece" per "dieci". Alcune forme del genere resteranno nelle prime due edizioni del poema, ma nella terza edizione vi saranno tre casi di mancato dittongamento ie: prigioniera, visera, destrero. Ruscelli intervenne con gli ultimi ritocchi ed eliminare queste tre eccezioni. F 4.L’Italiano come lingua popolare e pratica Al di fuori della letteratura, nel Cinquecento si assiste a una crescita dell'impiego del volgare. Dunque aumenta anche l'uso della lingua ad opera di persone di scarsa cultura. L'analfabetismo era molto diffuso nelle campagne ma soprattutto a Roma non mancarono persone in grado di leggere e scrivere. Armando Petrucci scoprì il quaderno di Maddalena, una pizzicarola trasteverina all'epoca del sacco di Roma e qui si trovano scritture autografe di popolani , caratterizzate da regionalismo, e dialettismi. Non mancano forme ibride che si trovano in diari privati, libri di famiglia ecc... Recentemente Bianconi ha preso in esame i carteggi di Carlo e Federico Borromeo , con servati nella Biblioteca Ambrosiana di Milano , che possono dare un'idea delle diverse forme di italiano non letterario. Ciò è evidente in una lettera proveniente da Claro, risalente al 1582. Un certo Battista chiede di ottenere un lavoro al monastero. È una lingua piena di elementi dialettali. Con un' incapacità di controllare la sintassi che rendono il testo incomprensibile. Le forme settentrionali riguardano soprattutto la fonetica (sonorizzazione di occlusive sonore intervocaliche, con esito in affricata palatale, -CL> Clericus> gerigo), sonorizzazione di C- iniziale in gardinalo; pronome personale "mi" per "io" ;desinenze dei nomi in -e regolarizzate in -o per il maschile e in -a per il femminile. Vi è un passo di una missiva scritta nel 1599 da un capitano sabaudo ,che informa i suoi superiori del diffondersi della peste in un paese vicino Torino. Questu termini locali sono attenuanti in quanto il funzionario è un uomo abituato a scrivere. Sono ipercorrettismi, scempiamenti, assibilazioni ecc... L'italiano dei semicolti si rintraccia nei campioni di italiano dei diari, come la cronaca di don Giorgio Franchi , che parla di un paese di montagna. Il dialetto affiora nella fonetica: mancata palatizzazione di s- in Sipione, metatesi in frabicatore, dittongo metaforico in manganiello,e anche nel lessico. Certi libri a stampa offrono materiale per la verifica dell'italiano non letterario con termini quotidiani. "I libri di segreti" , ovvero le raccolte di ricette medico-alchemiche ecc...offrono una terminologia tecnica estranea all'italiano poetico e adatto alle necessità pratiche. 5.Il ruolo delle accademie 5.1. L'Accademia padovana degli Infiammati e Sperone Speroni. L'italiano aveva dunque una sua realtà "povera". Nell'accademia padovana degli Infiammati , fondata nel 1540 ,era frequentata anche da Sperone Speroni , autore di un importante dialogo Delle lingue, pubblicato nel 1542.Tale dialogo si immagina avvenuto a Bologna nel 1530. In esso viene introdotto Pietro Bembo in persona, a difendere le proprie idee, mentre le altre posizioni nella questione della lingua sono rappresentato da un " cortegiano" , che sostiene la relativa tesi , e Lazzaro Bonamico che difende il latino. Nel dialogo viene introdotto successivamente, narrato da uno scolaro che ne è stato testimone, un altro dialogo che esprime una posizione molto originale: ovvero  quella del filosofo Pietro Pompanazzi che dichiarava che la filosofia avrebbe dovuto essere trasportata dalle lingue classiche al volgar, con conseguente modernizzazione della cultura. Il greco e il latino dunque sembravano un ostacolo stesso alla diffusione del sapere. 5.2. L'Accademia fiorentina L'Accademia fiorentina nata nel 1541 dall'Accademia degli Umidi ,dal 1542 essa divenne un organismo "uffuciale" patrocinato e finanziato dal duca di Toscana Cosimo de ' Medici. L'Accademia non fu tuttavia in grado di alrealizzare una grammatica "ufficiale " della lingua toscana. 5.3. L'Accademia della Crusca e Salviati. La più famosa accademia italiana che si occupò di lingua fu quella della Crusca, ancora oggi attiva. La sua fondazione risale al 1582. Inizialmente gli appartenenti ad essa si dedicarono a passatempi, componendo orazioni scherzose, <<cicalate>>. Con l'ingresso di Lionardo Salviati cominciarono ad affermarsi seri interessi filologici . La Crusca si fece conoscere per la polemica , contro la Gerusalemme liberata di Tasso, a sostegno del primato dell'Ariosto .Salviati prese fama pubblicando Avvertimenti della lingua sopra 'l Decameron , libro filologico e grammaticale , che venne dopo un intervento compiuto sul testo di Boccaccio, per spurgare dalle parti ritenute moralmente censurabile. Egli si era fatto le ossa come filologo proprio massacrando il capolavoro di Boccaccio, per toglierne tutto quanto vi potesse apparire come immorale e antireligioso. L'intervento di una censura moralistica , fu l'occasione per la nascita e lo sviluppo di un'attenzione filologica verso il Decameron. Nel capolavoro di Boccaccio ora venivano distintamente separati i <<contenuti>> dalla <<forma>>. Nel 1590 l'Accademia deliberò di rivedere e correggere il testo della Commedia di Dante .Nel 1595 uscì a Firenze la Divina Commedia di processo della lingua. La scelta del volgare acquista tuttavia un rilievo particolare con Galileo Galilei . Essa non è senza precedenti ,ma l’importanza di Galileo e del suo operato sta nel fatto che egli giungeva da un settore refrattario al volgare , quello della scienza universitaria. Rinunciando al latino Galileo finiva però per pagare un prezzo: il volgare , infatti, aveva lo svantaggio di limitare la circolazione internazionale. 6.3. La prosa di viaggio Nel settore dei libri geografici va registrata la pubblicazione della raccolta Navigazioni e viaggi di Ramusio ,che uscì presto l’editore Giunti di Venezia. I testi in essa compresi andavano dalla classicità e dal medioevo al sec. XVI(ne faceva parte persino Marco Polo). La letteratura da viaggio è molto interessante perché consente di recuperare neologismi e forestierismi , legati alla descrizione di nazioni e luoghi esotici . E’ rimasta famosa ad esempio un’edizione del mercante fiorentino Sassetti ,il quale in una lettera del 1586 segnalò una serie di curiose concordanze tra alcune parole indiane e le corrispondenti italiane ,anche se rimasero per lo più osservazioni isolate. Anche la chiesa partecipò alla scoperta delle civiltà esotiche , attraverso i missionari. Tra gli ordini più attivi possiamo trovare i Gesuiti, a cui apparteneva il maceratese Matteo Ricci , missionario in Cina. La lingua dei Commentari della Cina del Ricci è relativamente povera e disadorna, ma la sua opera ebbe successo. Tra i viaggiatori statici che utilizzarono materiale di altri , si può collocare anche il piemontese Botero, autore delle Relazioni universali, opera nella quale descrisse tutte le parti del mondo conosciuto: nella sua lingua troviamo diversi ispanismi, in quanto le sue fonti erano testi spagnoli. La lingua spagnola al tempo aveva grande importanza come lingua internazionale, vi è ad esempio Carletti, che compì il giro del mondo, che disse che le uniche lingue che gli erano servite nel suo viaggio erano lo spagnolo e il portoghese. Carletti nei suoi Ragionamenti, in cui racconta dei suoi viaggi, usa molti neologismi , come per esempio i cochos gustati a Capo Verde , ovvero le noci di cocco; le badanas , le banane;le patatas; le canoee, ovvero le barchette dell’ America centrale ; il cià , poi famoso come thè ; l’ananas; le mestizze , ovvero le donne nate da incrocio tra portoghesi e bengalesi; la monsone , ovvero la stagione dei venti. Egli usò anche iberismi che non misero radice nella lingua italiana , come ortalizza , che significa verdure e ghisare , che sta per cucinare. 6.4. Il mistilinguismo nella commedia (genere di opera teatrale) Fin dalla prima metà del Cinquecento la Commedia si rivelò come il genere ideale per la realizzazione di un vivace mistilinguismo , o per ricerca di particolari effetti di “parlato”. La ricerca del “parlato” propria del teatro toscano è esemplificata dal fiorentino Giovan Maria Cecchi . Egli per rendere colorito il dialogo delle proprie commedie lo riempì di motti e proverbi. Da questo virtuosismo contenuto ad esempio ne L’Assiuolo, compaiono espressioni come pretelle , ovvero gli stampi per i metalli fusi. Ma la caratteristica più evidente della lingua della commedia è data dalla compresenza di diversi codici per i diversi personaggi, secondo tendenze che presto finirono per cristallizzarsi. Ad esempio agli innamorati si addice il toscano, ovvero l’italiano rarefatto e stucchevole della tradizione poetica, ai vecchi il veneziano o il bolognese, per i capitani e per i bravi lo spagnolo(o parlate meridionali) ,ai servi il bergamasco, ecc… Il napoletano Giambattista Della Porta, ne La fantesca, impiegò diversi tipi tradizionali : la figura del pedante, che si esprime in forme auliche e latineggianti, rovesciate ad effetto comico. Il capitano spagnolo, erede del fanfarone plautino( uno dei personaggi tipo della commedia dell’arte di Plauto, autore latino)parla in spagnolo, simile al napoletano di un tempo. Non si può dimenticare uno dei personaggi più famosi di questo genere, contenuto ne Il Candelaio di Giordano Bruno : nelle sue battute il latino si mescola con il fidenziano e con il volgare. Tutta la commedia di Giordano Bruno è dotata di vitalità linguistica , con giochi di parole, allitterazioni, proliferazioni semantiche della variazione sinonimica ,alla satira. Quanto all’uso caricaturale del dialetto possiamo osservare la Rodiana di Andrea Calmo ,che approfitta per ben due volte della capacità polilinguistica di un servo che imita napoletano, francese, siciliano, spagnolo, fiorentino ecc… Las Spagnolas invece si tratta di una commedia poliglotta, dove si parla in veneziano, toscano…, ed è del resto a Venezia, città vivacissima al centro dei traffici commerciali del mediterraneo, che si trova l’ambiente adatto allo stimolo del plurilinguismo. Anche nella Tabernaria di Della Porta troviamo queste forme , ma soprattutto si ricorre a dei giochi comici basati sull’incomprensione tra uno spagnolo e gli altri personaggi. Quanto al linguaggio della Commedia dell’arte bisogna accettare che il testo orale delle commedie fatte tra il ‘500 e il ‘700 sono andate perdute. Ma alcuni elementi possono essere ripresi dai repertori per maschere, come quello di Andrea Perucci, ma soprattutto dall’opera di Falavolti, il quale ha pubblicato una raccolta di scrittori di commedie che esercitavano il mestiere di attore e che non si affidarono solo all’improvvisazione ma anche a testi scritti. Questi ultimi sono portatori di una vivacità linguistica estremamente notevole. 6.5 L’epistolografia Nel sec. XVI le raccolte di lettere , anche gli autori famosi costituirono un genere tra i più fortunati e diffusi .La grande maggioranza di questi venne stampata a Venezia, città che si riconferma la capitale dell’editoria del Rinascimento. Non a caso Traiano Boccalini ,in una centuria dei suoi Ragguagli di parnaso ,scherzava in maniera mordace sulla quantità “stomachevole” dei libri di lettere di mediocre qualità prodotti da segretari di poco talento. Il Secretario di Francesco Sansovino è un testi chiave, in quanto vi è il personaggio del segretario ,che risulta essere la figura emblematica del nuovo genere epistolare moderno, del quale si fa quotidiana esperienza nelle cancellerie signorili. Accanto alla pubblicazione di modelli epistolari si affianca una manualistica che propone i precetti per redigere una lettera adatta a ogni esigenza. 7.Linguaggio poetico 7.1. Ariosto Abbiamo visto come Ariosto adeguasse la propria lingua al modello toscano delle Tre Corone ,eliminando i settentrionalismi e accettando i dettami della grammatica di Bembo. Abbiamo anche visto che Machiavelli , in nome de proprio naturalismo filofiorentino, criticò il linguaggio teatrale di Ariosto , giudicandolo innaturale. .Lo scrittore realizza una lingua chiara, elegante, regolata. Soletti parla di un tono medio ottenuto anche attraverso l’eliminazione di epiteti preziosi, al pari dei termini prosaici o quotidiani, da aggettivi più sobri e indeterminati: è il caso del nettunio Egeo che diventa canuto , o della sicania valle che diventa solinga. 7.2 Il petrarchismo Il petrarchismo è tipico del linguaggio poetico . Si tratta di una soluzione coerente con il modello di Bembo.Il petrarchismo nella cultura italiana ed europea significa in primo luogo la scelta di un vocabolario lirico selezionato e di un repertotio di topoi. Colpisce anche la quantità della produzione poetica. Scrivere versi per encomio, per amore, per gioco galante o mondano ,ma anche per dare voce a passioni politiche o ad ansie ed inquietudini religiose, l'enjambement di Tasso non è paragonabile a quello delle Satire di Ariosto , esso non serve a far scendere la poesia verso la prosa, ma , al contrario, vuole sublimare il verso in funzione lirica . Intento non dissimile hanno gli elementi congiunti da <e> , che accrescono la forza del parlare per Tasso. Questo si pone come un caso particolare di espediente stilistico dell'enumerazione ,che può essere ottenuta a che per asindeto, mediante semplice accostamento di elementi, senza l'uso della congiunzione. L'enumerazione viene utilizzata più spesso del polisindeto, soprattutto quando vi è crescendo un climax. Nella pensiamo di Tasso emerge in maniera marcata la ricerca di un lessico poetico capace di rendere il senso dell'indeterminato e del vago. Tasso inoltre sottolineava l'importanza di duplicare le parole in forma di endiadi e di anafora e consigliava di cominciare il verso posponendo il soggetto. 8.La chiesa e il volgare. 8.1 La traduzione della Bibbia e la lingua della messa. La chiesa fu tra i protagonisti della storia linguistica nel periodo dal Concilio di Trento fino alla fine del Seicento .La lingua ufficiale delle Chiesa restò il latino, ma il problema del volgare emerse nella catechesi e nella predicazione. Il rapporto tra la Chiesa e la lingua volgare fu affrontato anche nel dibattito che si svolse al Concilio di Trento. Il Concilio discusse la legittimità delle tradizioni della Bibbia. Gli studi dimostrano come i padri del Concilio non arrivarono a una decisione radicale su questi punto. I pontefici intervennero successivamente con le liste dell'Indice dei libri proibiti .Nel 1559 Paolo IV riservava un'apposita menzione alle Bibbie volgari, delle quali era vietato il possesso senza apposita licenza del Santo Uffizio. La proibizione fu ribadita più volte nel Cinquecento e nel Seicento , e si attenuò solo a partire dal sec. XVIII. La questione in gioco, dietro il problema della traduzione, era quella della libera interpretazione della Scrittura. La diffusione del solo testo latino, avrebbe reso il libro sacro più distante dagli interpreti meno colti , garantendo la funzione di controllo della gerarchia ecclesiastica. È noto che la riforma protestante aveva puntato proprio sulla lettura diretta della Bibbia, facendo della comprensibilità di quel testo una questione decisiva: Lutero con si era mosso con la famosa versione in tedesco. Questo non poteva di certo essere dimenticato dai membri del Concilio , i quali vedevano nella Bibbia in mano a tutti una rischiosa fonte di errori e di eresie. Questi ultimi proposero una traduzione autentica della Bibbia nelle diverse lingue nazionali. La discussione sul tema della Messa ricalca ciò che era detto nella Bibbia .Anche in questo caso era necessario contrapporsi alla tendenza manifestata dal mondo protestante . Veniva sottolineata in maniera particolare la funzione di lingua sacra propria del latino, al quale era riconosciuto il carattere di lingua universale.Garantiva infatti il messaggio internazionale della Chiesa. 8.3 La Chiesa , la questione della lingua e la predicazione Il volgare, respinto dai piani alti della cultura ecclesiastica , confermava viceversa il suo ruolo decisivo nel settore che risentiva direttamente del confronto con i fedeli: il momento della predica. Ciò non toglie che ancora esistesse una predica in latino , ma di fatto era destinata solo ad un pubblico d'élite, quale simbolo di uno status culturale elevato, o per circostanze solenni. Il primo elemento di cui si deve prendere atto è la forte influenza del bembismo anche nel campo della predicazione. L'influenza di Bembo è delle Prose della volgar lingua , nelle quali veniva proposto un modello di italiano letterario nobile e classico, è facilmente riconoscibile nel primo predicatore di questo periodo, ovvero Cornelio Musso , che era stato allievo a Padova di Bembo stesso e che le sue prediche portano la prefazione di un altro letterato di Padova , ovvero Bernardino Tomitano. La predicazione si presentava come un settore vergine, ricollegabile alle regole dell'oratorio antica, ma sostanzialmente nuovo, a differenza dell'oratoria politica e giudiziaria , in cui il confronto con il passato è immediato. Non a caso molti predicatori come Panigarola tornano sul tema della pericolosa dolcezza delle arti oratorie dei pagani. Per la cultura cristiana si tratta di fare i conti con la cultura retorica e impadronirsene , mettendo quel patrimonio di conoscenze al servizio della verità religiosa. Dell'elocuzione del francescano Panigarola ,vescovo di Asti , ebbe questa funzione. Il libro uscito nel 1609 rappresenta un trattato importante per il rinnovamento della prosa della predicazione, per renderla adeguata ai dettami della retorica, assolutamente distinta dal livello popolare. L'intento del vescovo era quello compiere un'applicazione della cultura della fede. Nel predicatore trova posto una sezione specifica relativa alla lingua. Vi si trova non solo l'adesione ai principi fondamentali del Bembo, ma anche la teorizzazione del primato della lingua fiorentina parlata . Panigarola inoltre consiglia di imparare il buon italiano sulle grammatiche , ma esorta caldamente di soggiornare a Firenze per qualche tempo, soffermandosi sulla propria esperienza personale. Va osservato poi che il tentativo del frate di ottenere una lingua delle predicazione  situata a un livello alto di cultura , trova la sua realizzazione con la linea adottata dal cardinal Francesco Borromeo. Borromeo lamentava che a Milano ci fosse una carenza di persone che scrivono correttamente toscano e che il dare una scrittura copiata non è altro che renderla peggiore di quella con fatta con gli errori. Conscio di questo problema sottopose le sue prediche a un lungo processo di revisione linguistica. Sta di fatto che nella seconda metà del XVI vennero appunto alla luce molte opere retoriche, le quali mostrano che la Chiesa cercava di stabilire le norme per una predicazione colta, e che dimostrano anche che esisteva un pubblico di religiosi pronti ad aggiornarsi. Sopravvisse anche una predicazione popolare. Santini ricorda ad esempio la predicazione di Oratoriani, con Dan Filippo Neri, a partire dal 1548 .La funzione educativa rivolta al popolo, lo stesso per il quale venivano aperte le scuole popolari presso le parrocchie, sembra qui distinguersi in maniera netta dalla funzione assunta dalla predicazione  di livello alto. In prospettiva linguistica si nutre un certo interesse per la gestualità e la coreografia, tali da trasformare la predica in una sorta di monologo teatrale , magari con il supporto di trucchi scenici , quali le catene sbattute , le corse giù dal pulpito ecc...
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