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Riassunto capitoli da 1 a 6 + capitoli 7 e 10, Sintesi del corso di Psicologia Dinamica

è il riassunto dei capitoli da 1 a 6 e dei capitoli 7 e 10

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 17/01/2022

alessia_bracaglia
alessia_bracaglia 🇮🇹

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Scarica Riassunto capitoli da 1 a 6 + capitoli 7 e 10 e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Dinamica solo su Docsity! Introduzione Teoria generale dell’intervento psicologico + fondamento teorico-metodologico delle strategie e dei metodi dell’intervento psicologico. Nasce come critica alla logica applicativa del sapere psicologico, secondo la quale le conoscenze scientifiche sono separate e autonome rispetto al loro utilizzo. Però, in realtà: - L’agire e il sapere professionale si realizzano e si riorganizzano continuamente attraverso quel processo di negoziazione che caratterizza ogni circostanza sociale. - L’azione professionale non coincide con la prestazione del professionista, ma con l’intervento. Dinamica di utilizzazione di una tecnica in funzione di uno scopo professionale, guidato dalla relazione con l’utenza. è importanza del contesto! “Modello bidimensionale della professione psicologica”: l’agire professionale si dispiega su 2 assi: - L’esercizio di expertise (la tecnica). - Il metodo, che costruisce il setting appropriato all’esercizio dell’expertise. Da qui, la distinzione tra azione e intervento. AZIONE INTERVENTO E il contenuto dell’attività professionale, È la significazione di queste azioni, cioè la loro l’operazione attraverso la quale lo psicologo interpretazione alla luce di processi socio- eroga un servizio per il cliente. culturali. La lente interpretativa è il senso comune. La lente interpretativa è la teoria psicologica. La dinamica di significazione è inscritta in 2 prospettive tra loro complementari: - La significazione è locale, contingente: nasce dal contesto: si parla di FENOMENO. - La significazione è invariante, sempre uguale a se stessa, indipendente da spazio e tempo: si presta ad essere modellizzata in infiniti modi: si parla di DINAMICA. > c’è un’unica dinamica, ma tanti fenomeno, i quali servono a definire il modo in cui tale dinamica viene ad esistere come fenomeno locale. Il dominio di pertinenza della teoria generale dell’intervento psicologico è la dinamica di significazione. Questo equivale a dire che il dominio della teoria è definito dal contesto socio- culturale entro il quale la professione psicologica agisce ed è agita. 3 caratteristiche della pratica professionale psicologica: - il servizio da erogare al cliente si costruisce localmente, quindi si devono fare 3 cose: 1. Definire l’oggetto dell’azione professionale, cioè il pezzo di mondo su cui tale azione agisce. 2. Stabilire l’obiettivo dell’intervento (quindi l’output). 3. Riconoscere il valore dell’output nel contesto del cliente (cioè l’outcome). - La prassi professionale si attiva conseguentemente alla richiesta, da parte del cliente, di un servizio professionale. Il cliente percepisce che il suo stato delle cose è indesiderabile e dipendente da fattori psicologici, quindi per lui l’agire dello psicologo è funzionale alla modifica di tale stato. - L’idea di servizio deve tradursi in azioni e condizioni che la implementino. Questo significa creare un modello dei meccanismi che mirano al raggiungimento dell’output. La teoria generale dell’intervento psicologico è così articolata: - La teoria dell’oggetto: cioè il target (la classe di fenomeni) della professione psicologica. - La teoria della richiesta: cioè il processo di interpretazione del cliente (culturalmente orientato) e la conseguente richiesta. - La teoria della funzione: cioè il cambiamento dell’oggetto (output) che diventa valore (outcome) per il cliente. Esso è l’esito di un agire professionale. - La teoria del cambiamento: cioè quei meccanismi che producono l’output. - La teoria del setting: cioè la relazione psicologo-cliente che attiva e realizza il cambiamento. Domanda come fondamento costitutivo della committenza > la dimensione affettiva è l’interpretante che qualifica la relazione di corrispondenza (ground) tra il segno e ciò per cui esso sta (l’oggetto dinamico). Un’altra caratteristica fondamentale della domanda è che essa è “esercizio di un desiderio”: la domanda “impone” una forma di relazione oggettuale all’esperienza, la quale si configura a sua immagine e somiglianza. Questo vuol dire che anche nella relazione con il consulente, il cliente riproduce il significato generalizzato che orienta la sua interpretazione del mondo; e si aspetta che il consulente si muova entro tale visione. La domanda è una costruzione affettiva nel senso che è il risultato di un livello di funzionamento mentale inconscio. Il mondo di significato affettivo in cui la domanda consiste è universale dal punto di vista del cliente: egli agisce nell’unico modo per lui possibile e non riconosce la presenza di tale “limite”. Per questo, cioè poiché il punto di vista del cliente è assoluto, il suo mondo di significati tende necessariamente a riprodursi, per ricostruire il senso di continuità dell’esperienza: coazione a ripetere. In questo senso, la richiesta di una consulenza non è il risultato di un processo intenzionale (perché è infatti inconscio e come tale non ha scopi), bensì la conseguenza di un automatismo di ripetitività (non c’è altro che può fare). Uno scenario affettivo può entrare in fallimento; questo non significa che smette di funzionare, ma che si disancora dalla realtà, dalla sua funzionalità. È invece un modo di organizzare e interpretare emozionalmente l’esperienza che si riproduce per inerzia, perché non può fare altro. È questo il : non si autocorreggono sulla base dei riscontri critici. Transfert > è il processo per cui il cliente, nella relazione di consulenza, riproduce il modello culturale (lo scenario affettivo) cui afferisce. In questo senso, il transfert è la conseguenza necessaria dei vincoli e dei limiti in cui si muove il pensiero. Tutto questo discorso porta ad un apparente paradossi RICORDA: la committenza è la teoria che fonda e motiva la richiesta di consulenza. Allo stesso tempo, la committenza è funzione della domanda, che riproduce trasferalmente — nella relazione — il modello culturale che media la relazione tra attore e contesto. Quindi la domanda è funzione del modello culturale dell’attore. Perciò la committenza è un riflesso del modello culturale in crisi. È quindi un modello incompetente perché omogeneo al modello culturale alla base della criticità che motiva la richiesta. In pratica, modello culturale incompetente = committenza incompetente. Da qui genera il paradosso della richiesta, nel senso che la richiesta è ambivalente per le seguenti ragioni: - Daunlato, è il riflesso del modo con il quale il cliente persegue il proprio sviluppo. - Dall’altro, l’incompetenza del cliente indebolisce l’efficacia dell’intervento. È quindi, nello stesso tempo, risorsa e vincolo all’intervento. 27° x è l’investimento porta con sé il fallimento del cliente sul consulente della cultura organizzativa L’ambivalenza si può risolvere in 2 modi: 1) Si prescrive al cliente la “regola del gioco” dell’intervento (pensa a chi si rivolge ad un esperto e accetta la sua prescrizione di visita medica). 2) Sviluppo della committenza, perché è proprio nella committenza che sta il desiderio del cliente, e dunque lo spazio e le condizioni dell’incontro. > La competenza del cliente è obiettivo, mezzo e limite dell’intervento. ANALISI PELLA DOMANDA” N In termini psicodinamici (Carli): è la “operazione volta a rendere pensabile un processo di simbolizzazione affettiva”. È “un processo semiotico di costruzione affettiva” e configura il senso che il cliente attribuisce all’esperienza, quindi alla committenza. Va distinta da bisogno e richiesta. BISOGNO DOMANDA RICHIESTA È una condizione del contesto | Riguarda lo scenario affettivo | Pensando ad un evento del cliente che esprime del cliente, il suo modello linguistico, con la richiesta ci carenze ed esigenze. È una culturale. È in gioco il modo si focalizza sul suo contenuto caratteristica della realtà. Qui | di interpretare. semantico, quindi sulla sua è in gioco il contenuto della Pensando ad un evento valenza di veicolo di rappresentazione. linguistico, esso è visto nel significati. suo valore di significante della simbolizzazione affettiva (il suo modello culturale). “ANALISI” vuol dire promuovere l’attività elaborativa (working through) finalizzata a pensare le emozioni. La processualità mentale è descritta nel circuito fantasia-pensiero-azione (modello psicoanalitico). ( I processi di simbolizzazione affettiva tendono a tradursi in agito, in una condotta messa in atto dal soggetto. Il comportamento è uno dei possibili sistemi di espressione a disposizione. Il circuito fantasia-azione è espressione del processo primario, cioè del modo di essere inconscio della mente. Per interrompere tale circuito, la persona ha a disposizione una funzione mentale: il pensiero. Senza di esso, i comportamenti sarebbero agiti emozionali incapaci di orientamento allo scopo. Il pensiero sospende l’agito automatizzato, quindi depotenzia il senso di verità che accompagna la costruzione affettiva dell’esperienza e in questo modo rende possibile l'esplorazione di ulteriori modi di interpretare la realtà. E quando e come avviene questa sospensione? quando il soggetto trasforma il proprio stato mentale (cioè la sua fantasia/desiderio) in oggetto di discorso: il linguaggio (che è socializzabile). In termini psicoanalitici, vuol dire che il soggetto guarda al proprio modo di dare significato, invece che agli oggetti del mondo investiti da tale significato. Definizione di analisi della domanda > è l’interpretazione, da parte del consulente, dello scenario affettivo che orienta la committenza del cliente. Analizzare la domanda significa dunque considerare la committenza nei suoi termini simbolici (cioè il significato culturale che veicola, come simbolizza la relazione di consulenza), e non semantico- referenziali. Il presupposto dell’analisi della domanda è che la criticità del cliente riguarda lo scenario affettivo cui afferisce e che riproduce. Questo ha diverse implicazioni: - Il modo e i termini con cui il cliente si riferisce al proprio ambiente/scopo sono il prodotto del suo scenario affettivo, quindi riflette la stessa incompetenza del modello di crisi (vedi legge dell’incompetenza della committenza). - Tale rappresentazione del contesto non deve essere trattata dal consulente come fonte di informazioni circa il mondo del cliente, bensì come un ulteriore sintomo della crisi. Cioè, il problema che alimenta la committenza è il pretesto che attiva l’analisi, non il fatto di realtà. - Se- come abbiamo detto a proposito del transfert — il modello affettivo agito dalla committenza è la riproduzione del modello della relazione cliente-mondo, allora l’analisi della domanda — che rileva tale modello affettivo — produce una conoscenza del mondo di significati del cliente. Le funzioni dell’analisi della domanda sono: - Funzione DIAGNOSTICA: il consulente accede alla conoscenza del contesto cliente e così può formulare ipotesi psicologiche sulla sua criticità. - Funzione ORGANIZZATIVA: l’analisi della domanda favorisce o sviluppo della competenza della committenza perché permette al cliente di ri-conoscere il suo modello culturale attraverso la conoscenza delle connessioni tra: = Problema; = Crisi del modello culturale; = Forma della committenza. In altri termini, e per fare una sinte: Il risultato è la costruzione di un setting adeguato alla situazione del cliente. Questo potrebbe farci giungere alla conclusione che la funzione psicologica sia normativa, cioè orientata a priori da un’idea di come il mondo dovrebbe essere/funzionare. Ci sono 2 approcci all’interno della visione normativa: - Approccio “forte”: lo scopo del professionista è definito dalla scienza psicologica (questo è il punto di vista della psicologia positiva). - Approccio “debole”: il canone di desiderabilità non deriva direttamente dal corpus disciplinare, ma dal contesto sociale e culturale. C’è quindi un legame sistematico (evidence-basedì) tra lo stato dei fatti interpretati culturalmente come desiderabili/indesiderabili e i costrutti psicologici. Secondo questo punto di vista, la prassi psicologica opera al servizio dello scopo culturalmente definito di recupero della “canonicità”. Ma secondo la teoria generale dell’intervento psicologico, 3 sono i motivi per i quali la funzione normativa non è perseguibile: 1) La scienza psicologica si occupa di processi e dinamiche che sono cieche rispetto al loro contenuto/valore esistenziale; è piuttosto un esercizio di pensiero che trova al proprio interno il senso del proprio sviluppo. 2) La scienza psicologica non può adottare le norme sociali, perché il suo scopo è proprio quello di analizzare tali norme (come le società generano le norme di senso comune e come queste influenzano i suoi membri). 3) Indessicalità dei processi psicologici: lo stesso stato psicologico può innescare forme di comportamento molto diverse tra loro. Questo non vuol dire che non c’è legame tra stati psicologici e comportamento, ma che tale legame è situato/contingente. Il nesso output-outcome, in definitiva, può essere definito solo a livello sistemico, cioè a livello del sistema socio-culturale nel suo complesso, e non al livello locale del singolo cliente. Un dato output può avere diversi livelli di utilità e/o di coerenza con il sistema di valori del contesto socio-culturale in cui viene perseguito. Ma perché? - Lo stesso output può alimentare diverse esperienze e azioni all’interno dello stesso contesto socio-culturale. - Lo stesso output acquisisce differenti forme a seconda delle diverse condizioni attraverso le quali è implementato. - Queste forme acquistano senso a seconda del sistema di valori e credenze del contesto culturale. In definitiva, l’intervento psicologico fa parte di quegli interventi che portano allo sviluppo di competenze metodologiche, che in quanto tali non sono identificabili con specifici pattern di azione. E la funzione del valore della prassi professionale psicologica deve essere implementata nella fase iniziale dell’intervento, monitorata e rimodellata lungo tutto il suo sviluppo: è questa la “progettazione del servizio”. Capitolo 4 1) I processi psicologici hanno un carattere autopoietico: funzionano e si evolvono secondo proprie regole, in ragione della riproduzione nel tempo della propria modalità di funzionamento. Questo vuol dire che il cambiamento psicologico è la forma evolutiva con la quale il processo psicologico riproduce la propria organizzazione e la propria identità. Da ciò consegue un principio metodologico: il cambiamento va modellizzato secondo le stesse leggi, nei termini della stessa dinamica, che si utilizza per descriverne il funzionamento normale. Si tratta di capire in che modo questo funzionamento normale ha reso possibile quello che chiamiamo cambiamento. 2) La teoria del cambiamento si interessa a cosa è il cambiamento, non a come si può realizzare. DEFINIZIONI (preliminari) DEL CAMBIAMENTO PSICOLOGICO - Riguarda la dinamica di significazione, nel senso che l’obiettivo è lo sviluppo della significazione. L’intervento psicologico si propone infatti di cambiare le modalità del soggetto di interpretare il mondo, quindi la sua capacità di riconoscere e valorizzare le opportunità che offre. - La funzione psicologica è focalizzata sulla dinamica della significazione, piuttosto che sui contenuti che produce. È, in altri termini, una funzione ricorsiva: riguarda la capacità del soggetto di rapportarsi con la propria soggettività. Esistono diverse forme di apprendimento: - Regolazione della risposta: è la comprensione del modo di regolare la risposta (modellarla, re-indirizzarla, ecc.) in modo da modificarne gli effetti. Il soggetto, quindi, separa la componente che spinge ad agire e la componente che consiste nell’attivazione di un elemento esperienziale grazie al quale l’agire viene inibito/incanalato. ‘un segno (un pensiero, un'immagine, ecc.) L’attivazione di tale segno è una forma di conoscenza procedurale, incorporata (embodied), quindi non richiede la consapevolezza della propria soggettività. - Modifica del pattern comportamentale: la persona modifica le sue modalità di risposta ad una certa classe di eventi (da un pattern di tipo A ad un pattern di tipo B). Si parla si “classe di eventi” non perché siano eventi simili sul piano fattuale, ma per il valore psicologico per il soggetto. Il pattern comportamentale è quindi una forma di apprendimento che consiste nella generalizzazione della regolazione della risposta a situazioni nuove. La modificazione del pattern comportamentale consiste nello stabilirsi di un’abitudine (Pierce). - Riconoscimento del punto di vista: la capacità di capire che l’esperienza che si fa della realtà è sempre il riflesso del punto di vista (e quindi del desiderio) del soggetto. La soggettività è un processo di focalizzazione: emergono alcuni degli infiniti aspetti nei quali la realtà si rende disponibile ad essere esperita. Dal punto di vista della teoria dell’intervento, il riconoscimento del punto di vista ha un doppio valore: 1) La persona può riconoscere la propria soggettività in azione, quindi capisce che il mondo interno è un fattore da controllare in termini normativi e/o valoriali. 2) Sesi riconosce il ruolo costitutivo della soggettività, allora si riconosce il carattere variabile dell’esperienza: se ciò che sento dipende dal mio punto di vista, allora anche un altro modo di sentire è nel campo del possibile. - Contestualizzazione relazionale: è il riconoscimento che la propria esperienza è sempre inscritta nel rapporto con l’altro; ha perciò una valenza comunicazionale. Questo porta a dire che: = Gliatti degli altri sono connessi circolarmente alle modalità con cui ci rapportiamo a loro. = Glistati mentali (sia interni che comportamentali) sono intrinsecamente intenzionali, orientati all’oggetto (addressiveness). L'esperienza è comunicativa, animata da un’intenzionalità di rapporto. = Ogniatto non ha un proprio intrinseco valore/significato sociale e psicologico, perché questo valore dipende dalla risposta dell’altro. il valore di un atto dipende dall’atto successivo che lo interpreta. - Revisione delle premesse di senso: la premessa di senso è un significato generalizzato che opera come schema interpretativo dell’esperienza. - Strutturazione del campo interpretativo: la revisione delle premesse di senso è un processo vincolato a determinate condizioni strutturali che definiscono i termini e i limiti di possibilità del cambiamento. Quindi non tutte le traiettorie di revisione delle premesse di senso sono possibili, e tra quelle possibili alcune sono più probabili, perché più coerenti per la dinamica di significazione. Ci sono 2 tipi di cambiamento delle premesse di senso: = Il cambiamento si mantiene nei confini del mondo di significati del soggetto (cambiamento di contenuto). = Il cambiamento è strutturale: implica la modifica delle condizioni di possibilità, quindi dell’universo di senso del soggetto. È per questo che si parla di “strutturazione del campo interpretativo”. Un modo per modellizzare il nesso/distinzione tra la revisione delle premesse e la strutturazione del campo interpretativo è concettualizzare i processi di significazione in termini geometrici. I I significati sono probabilità di transizione tra segni; ogni segno è identificato da un punto di uno spazio iperdimensionale (lo spazio semiotico). Ogni soggetto è portatore di uno spazio caratterizzato da una certa distribuzione di punti-segni, quindi di una certa propensione dei segni ad associarsi tra loro, così da definire certi percorsi di senso piuttosto che altri. Ogni spazio è caratterizzato da una certa dimensionalità (cioè numero di dimensioni). La dimensionalità si costruisce in base a: - La dotazione di variabilità degli stati interni; Capitolo 5 Per SETTING si intende “l’insieme delle condizioni che organizzano e configurano la situazione di lavoro tra analista e analizzando”. Il setting ha un carattere “attivo”. Questo è sempre stato riconosciuto da Freud, secondo il quale gli aspetti del lavoro analitico (orari, posizione del paziente, elementi che indicano la personalità del clinico, ecc.) dovevano essere il più neutrali possibile per non influenzare la terapia. Oggi, si sa che ognuno degli elementi del contesto clinico può avere un effetto sul processo terapeutico, sia che siano aspetti macroscopici (orari, modalità di pagamento, ecc.) che aspetti micro. In più, la posizione agita nei confronti del setting è una delle modalità di comunicazione paziente- terapeuta. Se prima il setting coincideva con gli elementi materiali e normativi quali lo studio, gli orari, le regole di incontro, l’abbigliamento del terapeuta, ecc., ora si ha una concezione cognitivo- relazionale, che pone attenzione alle dimensioni di significato del setting. Così, il setting è costituito dai modelli interpretativi e di regolazione sociale della relazione paziente-terapeuta: l’immagine che ognuno ha dell’altro, della relazione, del senso di ciò che fanno, ecc. La teoria dell’intervento reinterpreta il concetto di setting, dicendo che esso è il continuo processo ermeneutico di costruzione di un modello di mondo fondato teoricamente. Cioè è il modello teorico grazie al quale lo psicologo costruisce l’oggetto dell’intervento, cioè grazie al quale può interpretare modellisticamente la richiesta. Quindi gli elementi materiali sono segni che riflettono e riproducono quel processo di costruzione. Il setting, quindi, è anche garanzia di autonomia della funzione professionale rispetto al senso comune. Infine, il setting può essere inteso anche come esercizio di una forma di estraneità: lo psicologo diventa portare di un nuovo e diverso sguardo sul senso dell’esperienza (alterità). Il cliente, nel momento in cui immagina e poi propone le proprie regole del gioco, sta comunicando il proprio mondo di significato e il desiderio che lo psicologo vi aderisca. Da un lato, questo rappresenta una risorsa perché permette al clinico di cogliere il vero significato della domanda; dall’altro, lo spessore emozionale della proposta del cliente è il motivo che rende difficile la committenza. Però, la proposta di setting avanzata dal cliente è ovviamente non coerente con l’esigenza dell’intervento. Infatti, nella fase istituente (iniziale) di ogni intervento, il compito di cliente e consulente è configurare il setting ottimale per il raggiungimento degli obiettivi. Gli aspetti da concordare sono: - L’interpretazione della situazione che ha motivato la committenza. - Una strategia di intervento. - Gliobiettivi sui quali il consulente assume responsabilità. - Le modalità di intervento. - Le condizioni organizzative dell’intervento. - Gli indicatori e le modalità di verifica. Tutto questo conduce e sostanzia l’alleanza terapeutica o alleanza di lavoro. Il setting può essere: Dato: è definito a priori (dal consulente o dal cliente). Il cliente vi si può sottrarre, ma in tal caso il servizio non verrà erogato. Quindi nel caso del setting dato la possibilità dell’intervento è questione di fattibilità e di selezione del cliente adeguato a quel setting. Negoziale: il consulente non propone norme a priori, ma criteri interpretativi ed organizzativi che strutturano una negoziazione con il cliente, il cui scopo è stabilire le regole del gioco. In altre parole, il cliente è implicato in un lavoro di esplorazione della propria committenza, così da potenziare la sua competenza. La teoria generale dell’intervento può quindi essere considerata come la componente strutturale del setting, perché diventa la matrice di significati che permette allo psicologo di costruire e regolare l’intervento, e nello stesso tempo nel quale l’agire professionale trova autonomia e insieme capacità di operare al servizio del progetto del fruitore. Esistono 2 modelli di funzione professionale: Funzione sostitutiva: il consulente prende in carico una parte del processo di funzionamento del fruitore. Il fruitore, quindi, in presenza di una criticità, rinuncia alla propria iniziativa e la delega al consulente. Funzione integrativa: è il fruitore stesso a farsi carico della propria crisi. La unzione del consulente è quindi sostenerlo. Queste funzioni sono connesse a 2 obiettivi differenti: Obiettivo di stato: è l'individuazione di uno stato terminale configurato come esito di un processo di trasformazione. Obiettivo metodologico: si tratta di un “conferimento di capacità” (Norman, 1991): non si basa sulla pre-definizione dell’esito, bensì è lo sviluppo processuale della capacità del cliente di perseguire la sua progettualità. Questo vuol dire che il consulente non ha idea di come il cliente affronterà il problema; egli offre “solo” un metodo e sarà il cliente ad organizzare, nella propria autonomia, la strategia per uscire dalla crisi. Dai 2 modelli di funzione professionale derivano 2 concezioni del fruitore: Utente: è portatore di bisogni, di uno scarto da un modello normativo, la cui soddisfazione è affidata sostitutivamente al consulente. Cliente: è portatore di una richiesta di potenziamento della propria capacità progettuale. FUNZIONE OBIETTIVO — SOSTITUTIVA DI STATO UTENTE FUNZIONE — OBIETTIVO INTEGRATIVA METODOLOGICO => CLIENTE Capitolo 7 Carli (1987) ha definito “modello medico” la concezione secondo la quale la criticità del cliente viene modellizzata in termini di psicopatologia e l’intervento in termini di cura. Per la teoria generale dell’intervento, il modello medico è un’idea di servizio ba sovrapposizione tra output e outcome: la cura della malattia è, insieme, il risultato perseguito dal medico e il suo valore per il paziente. In psicologia, l’uscita dalla condizione patologica che rappresenta l’esito dell’intervento (output) diventa il contenuto di utilità (outcome) che motiva il committente a richiedere l’intervento dello psicologo. ta sulla Il modello medico è quindi un forte organizzatore simbolico, ma Carli gli muove due critiche: - La nozione di malattia fa riferimento ad una teoria eziopatogenetica, fondata su un modello fisiologico normativo (questo accade nei disturbi “medici”, ma non nei processi mentali!). - La condizione psicopatologica si definisce necessariamente in ragione del contesto, quindi la cura diventa il mezzo per ripristinare il canone definito dalla norma culturale. Se si considera la mente in termini trascendentali ed invarianti, quindi come riflesso di una struttura universale e indipendente dal mondo esterno, allora la psicopatologia è l’effetto di un malfunzionamento di questa struttura. Se, invece, riconosciamo la contestualità della mente. allora essa non possiede una struttura trascendentale, ma prende forma dai processi di significazione entro cui opera. Da questo concetto, Wakefield propone di considerare il disturbo mentale come “disfunzionalità dannosa”. Questa definizione è coerente con il pensiero della contestualità della mente, perché, infatti, la dannosità varia in funzione del contesto e dei canoni valoriali che definiscono localmente le condizioni di adattamento. Ma, di fatto, la proposta di Wakefield richiede come pre-condizione di assumere la disfunzione come una realtà autonoma e indipendente dalla sua dannosità. Perciò, nel tentativo di porre rimedio all’irrisolvibilità del problema, Wakefield in realtà la evidenzia. 3 la psicopatologia, in quanto patologia, implica necessariamente il riferimento ad un modello di normalità. La normalità è ciò che deve essere presupposto per poter definire come disfunzionale lo scarto da essa; la disfunzione è tale in ragione del modello di normalità presupposto nella propria definizione. Tutto ciò porta al concetto di “reificazione dello scarto”: nel momento in cui si assume la sussistenza di un funzionamento normale della mente, allora si può rappresentare qualsiasi forma di attività umana in quanto “diversa da”, cioè come scarto da tale normalità. Ciò che viene messo in evidenza del fenomeno è quindi la sua valenza di deviazione dal canone atteso. Dal punto di vista clinico, la psicopatologia è molto utile perché è un codice comunicativo che permette l’instaurarsi della relazione tra psicologo e fruitore. Inoltre, la psicopatologia offre categorie descrittive che consentono allo psicologo di organizzare l’intervento. Se, invece di essere interpretate in termini descritti, le categorie psicopatologiche sono interpretate in termini normativi, quindi come scarti dalla normalità, allora ci sono dei problemi nell’intervento psicologico clinico. Nello specifico: - Impone di focalizzarsi sulla deviazione e di mettere quindi in secondo piano il significato soggettivo, idiosincratico e contingente del dato clinico. La condizione soggettiva del paziente non è negata, ma trattata come uno stato causato dalla condizione psicopatologica. - Implica una costruzione del rapporto fondata sulla scissione del fruitore in due componenti: quella malata, oggetto dell’intervento, e quella sana, con la quale il clinico si allea. In realtà, però, il fruitore non ha due parti, è anzi portatore di un’unica posizione, espressione di un’unica forma di desiderio, di un’unica modalità di relazione oggettuale. - Implica che la funzione dell’intervento è di ripristinare lo scarto dalla normalità, indipendentemente dalla specificità dei problemi che motivano la richiesta. In questo modo, viene a mancare la funzione di servizio dell’intervento psicologico, volta a sostenere il progetto del fruitore. Qual è, allora, la modalità alternativa a quella normativa? Quella del SERVIZIO. | Considerare l’intervento psicologico come un servizio vuol dire definire in maniera situata, specifica per il singolo fruitore, il nesso tra i parametri che seguono: - Il progetto del fruitore; - Il modello di adattamento; - Il pattern di funzionamento mentale; - La funzione di utilità dell’intervento. Il fruitore si rivolge allo psicologo perché vuole affrontare una criticità. La progettazione del servizio si fonda sull’interpretazione di tale criticità in quanto riduzione della capacità del fruitore di perseguire il proprio progetto. Il progetto di cui il fruitore è portatore non è la rappresentazione esplicita di uno scopo e dei passi per perseguirlo; bensì, deve essere inteso come ciò che è altro da sé (l’oggetto), il tendere verso il quale (pro-oggetto) definisce il soggetto stesso. La costruzione simbolica del progetto del fruitore combina più aspetti: - Il progetto si definisce in termini di maggiore o minore specificità (PLEROMATIZZAZIONE), quindi di minore o maggiore genericità (SCHEMATIZZAZIONE). - La definizione del progetto implica mettere in primo piano alcune esperienze e sullo sfondo altre. Maggiore è la pleromatizzazione, maggiore è la necessità di pertinentizzare, cioè di assumere una parte dei propri interessi e desideri come rilevante nella relazione con lo psicologo. Se, invece, la definizione del progetto è generalizzata, allora essa coinvolge l’insieme delle componenti del Sé, per cui non c’è necessità di pertinentizzare una certa area come focus dell’intervento. La definizione del progetto dipende da vari fattori, tra cui: - La missione che orienta il servizio. Ad esempio, un intervento di counseling psicologico universitario riguarderà una componente progettuale del fruitore più ristretta rispetto a quella di una psicoterapia. - Può evolvere nel corso della terapia. L’intervento può allargare gli ambiti di esperienza, quindi le componenti progettuali (direttrice estensionale); oppure può accadere che si costruiscano rappresentazioni progressivamente generalizzate del progetto, che consentono di assimilare una pluralità di esperienze. È il modo in cui la persona interpreta il proprio progetto entro le contingenze in cui si dispiega. È un modello di “adattamento” nel senso che, almeno fino ad un certo punto della vita della persona, ha alimentato modalità di rapporto con il mondo con le quali la persona si è identificata, indipendentemente dai costi esistenziali che ha comportato. In questo senso, la decisione di rivolgersi ad uno psicologo deve essere intesa come il riflesso dell’inaccettabilità attuale di tali costi. La disfunzionalità del modello non è quindi una caratteristica del modello stesso, ma funzione di variazioni di condizioni del contesto (nuovi compiti evolutivi, nuovi vincoli). È la riscrittura in chiave psicologica del modello di adattamento. In altre parole, il modello di adattamento è letto come espressione sul piano fenomenico (comportamentale) e fenomenologico (dell’esperienza vissuta) del pattern di funzionamento mentale. Ne deriva che la criticità del modello deriva — o è associata — da una componente psicologica, dunque trattabile in chiave psicologica. L'obiettivo dell’intervento ha a che fare con la relazione tra processo psicologico (il pattern di funzionamento mentale) e modello di adattamento, cioè con lo sviluppo/accomodamento del modello di adattamento nei termini del potenziamento delle sue valenze adattive. Il valore del servizio concerne quindi l’utilità per il fruitore (outcome) generata da tale potenziamento, inteso come capacità di fronteggiare e uscire dalla criticità. = La formazione del personale. Dopo aver definito il prodotto dell’intervento, il secondo passo è la costruzione dell’azione professionale: si tratta di chiarire (in modo dettagliato e comprensibile anche dal cliente) “che cosa” il consulente farà, “come” e “quando”. Nello specifico, l’attività professionale dello psicologo è definita “operazione”, un’unità intermedia tra l’attività (unità molare di analisi dell’azione) e la condotta (unità molecolare: singoli comportamenti). Articolare l’intervento in termini di operazioni consente di: Confrontare e mostrare il contenuto dell’intervento; Monitorare le componenti del processo; Rendere visibile e comprensibile (al cliente e alla comunità scientifica) la logica di ciò che si fa. L’intervento può essere considerato anche come “organizzazione” in quanto implica regole, funzioni, distribuzione di responsabilità, definizione di attivià e processi, modalità di gestione, monitoraggio, circolazione delle informazioni. Dell’intervento, si devono precisare: I tempi, le fasi, i luoghi, le risorse; Le funzioni e le responsabilità del consulente; Le funzioni del sistema cliente; Le modalità di resocontazione e monitoraggio; Le modalità della verifica; I dispostivi di correzione/miglioramento/sviluppo per eventi critici; Le modalità di acquisizione dei risultati e del loro successivo uso; La gestione che il cliente fa dei risultati. È il momento della valorizzazione della funzione professionale. Nel discorso sulla verifica, devono essere affrontati questi aspetti: Le funzioni della verifica, distinguibili in: =» Verifica: è l’analisi degli esiti raggiunti sulla base degli esiti attesi. È quindi l’analisi della capacità di efficacia dell’azione professionale (riguarda gli aspetti tecnici). = Valutazione: è il giudizio circa l’utilità/appropriatezza e il senso dell’intervento per il fruitore. Verifica e valutazione sono connesse, ma non sono necessariamente omogenee > una verifica positiva (l'operazione è andata bene) può tradursi in valutazione negativa (il paziente è morto comunque), e viceversa. =» Riesame: lo scopo è rivedere, alla luce dei risultati raggiunti, l’impianto metodologico dell’intervento. = Validazione: lo scopo è legittimare sul piano scientifico la teoria di riferimento. Le dimensioni della verifica si distinguono in: =» Processo: operazioni e attività dell’intervento. Ha a che fare con il piano tecnico. =» Esito. = Erogazione del servizio: riguarda il piano organizzativo e di relazione con il cliente. Connettere questi aspetti permette di acquisire informazioni per dare significato su ciò che si è fatto, come è stato fatto e cosa si è ottenuto. - Glioggetti della verifica: rimandano alla distinzione tra obiettivo, output e outcome. A seconda dell’oggetto di riferimento, variano le modalità, gli indicatori di analisi (verifica), così come le fonti e le tipologie dei dati. - I tempi della verifica: possono riguardare esiti attesi nell’immediato o esiti di medio periodo. - I soggetti della verifica: si tratta di: = Individuare i centri di responsabilità delle operazioni di verifica, cioè chi ha in carico la responsabilità dei suoi risultati e quindi ne governa il processo. Ad ogni centro di responsabilità corrisponde una determinata logica di verifica. I centri di responsabilità possono essere: la committenza, il professionista, gli utenti, gli stakeholders. = Individuare i punti di vista che producono e/o interpretano i dati. La verifica p condotta attraverso i giudizi del professionista, le valutazioni dei docenti, ecc. “Sistema criteriato di rappresentazione dell’azione professionale”. Non ci sono regole invarianti che definiscono come si deve resocontare, bensì esso dipende dagli scopi per cui viene posto in essere. Quindi devono essere individuati gli elementi che entrano in gioco nel determinare in che modo lo psicologo utilizza il resoconto. Gli elementi sono: - L’attore agente: viene definito “agente” perché è dotato di agency (=facoltà decisionale) e intenzionalità (=rappresentazione dello scopo). Qui il resoconto implica come oggetto un’azione intenzionale. - Il soggetto resocontante: è l’artefice della resocontazione. - Il sistema cliente: è l’insieme di soggetti che possono intervenire a mediare l’esercizio dell’azione professionale (committenza, utenti, enti locali, strutture, famiglie). - Il problema: è il pretesto istitutivo della relazione tra professionista e sistema cliente, e intanto è il parametro di validazione dell’obiettivo. - Il servizio: è l’interconnessione tra obiettivo, output e outcome; è il mediatore della relazione tra agente e cliente. Relativamente a questi ultimi 2 punti, resocontare vuol dire rendere chiara la logica che organizza il modo con cui l’azione professionale — attraverso l’interazione con il sistema cliente — affronta un certo problema in ragione dell’erogazione di un certo servizio. - Il destinatario del resoconto: è il lettore che interviene nella costruzione del testo, da un lato come criterio normativo e dall’altro come co-costruttore del suo significato. Il sistema professionale e culturale: da un lato è il sistema di categorie e di conoscenze che servono ad interpretare il testo, e dall’altro è l’intenzionalità comunicativa, cioè il senso del testo. La resocontazione può avere diverse funzioni: 1) 2) 3) 4) Validazione: sono quei resoconti pensati per sostenere e validare una determinata interpretazione e/o modalità di intervento (pensa ai resoconti dei casi clinici di Freud). Esemplificativa: vuole esplicitare e circostanziare (fare esempi) una affermazione teorica con il riferimento al dato clinico. Rendicontazione: il professionista descrive ciò che ha fatto, spiegandone le ragioni. Essa è organizzata sulla base del linguaggio e dei criteri di pertinentizzazione del cliente. Esercizio di riflessione e governo sulla dinamica dell’intervento: è l’analisi dei presupposti che fondano e orientano l’intervento. Il resoconto è, così, il riflesso del punto di vista del resocontante e il riflesso della dinamica socio-simbolica che caratterizza l'intervento. Sebbene non ci sia una procedura standard di resocontazione, esistono comunque dei criteri generali: Ricercare un equilibrio tra analiticità e sinteticità; ritorna la nozione di operazione, che è l’unità di analisi minima dell’azione professionale. Organizzare il resoconto in termini reticolari (=rete di resoconti) o gerarchici. Maggiore è l’articolazione dell’intervento, maggiore è la possibilità che una certa operazione contenga altre operazioni. Organizzare il resoconto in modo che rifletta il carattere transizionale dell’intervento, cioè il suo costituirsi come scambio dialettico tra azione professionale e sistema cliente. Il resoconto può essere organizzato in vari modi, a seconda dello scopo dell’intervento: In termini tematici e/o funzionali, cioè strutturati in ragione delle fasi logiche dell’intervento (primo contatto con gli utenti, ecc.) e/o per nuclei di significato (atteggiamento degli utenti, modo di rappresentare i problemi, ecc.). In termini storici, consequenziali. In termini di cronaca, come registrazione degli eventi. In chiave enemenziale, cioè centrando l’attenzione sugli eventi che si ritiene diano senso all’intervento. Un altro aspetto è il tipo di informazioni che il resoconto seleziona, così come l’organizzazione logica del testo, cioè non confondere i vari livelli del discorso.
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