Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto capitoli di Formazione, i Metodi, Appunti di Storia della Formazione

Un riassunto dei capitoli del libro "Formazione, i Metodi" di G. Quaglino, focalizzandosi sul metodo dell'Action Learning. Vengono descritte le radici del metodo, la definizione e i riferimenti operativi/esecutivi, i componenti e dispositivi, il processo di lavoro e i ruoli del facilitatore e del tutor. Viene inoltre sottolineata l'importanza dell'azione dell'uomo come modalità primaria del suo essere al mondo e della pratica quotidiana per l'apprendimento.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 07/05/2022

MariaLuciaDallOlio
MariaLuciaDallOlio 🇮🇹

4.7

(11)

25 documenti

1 / 38

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto capitoli di Formazione, i Metodi e più Appunti in PDF di Storia della Formazione solo su Docsity! RIASSUNTO CAPITOLI DI “FORMAZIONE, I METODI” G. Quaglino 
 
 1 - ACTION LEARNING (pag. 1-21): 
 Radici di un metodo 
 L’Action learning e la sua metodica nascono all’inizio degli anni ’80. L’ideatore del metodo è W. Revans, il quale sviluppa questa idea partendo da: 
 
 - Figura paterna e la sua attività: egli lavorava nella Marina mercantile e aveva grandi abilità di visione allargata dei problemi, era legato alle regole. Il figlio diede grande peso alla ricerca del padre in relazione alle cause del disastro del Titanic, questo caso aveva in se’ tutti gli elementi istituzionali dell’ AL.
 
 - Esperienze professionali prima dell’insegnamento universitario: R operò come Chartered Mining Engineer in un’azienda mineraria, esperienza fondamentale per il suo interesse nei confronti dei processi di apprendimento. Importante anche la sperimentazione della collaborazione di gruppo. 
 
 - Spiritualità quacchera e l’esperienza del Clearness Committee: la sua fede predicava tolleranza reciproca e l’assenza del clero esaltava ogni fedele a esprimere il proprio culto guidato dallo spirito. Questo aspetto sarà importante nell’ideazione degli action Learning sets. 
 Il Clearness Committee nasce nella cultura quacchera e si basa sul credere che ognuno affronti i problemi con risorse e “forze oscure” ostacolanti contemporaneamente. L’aiuto degli altri può essere positivo, ma anche occasione di giudizio. Il Clearness Committee è composto da: focus person testimone del problema e del gruppo di persone scelte con cui confrontarsi, la dichiarazione al Committee della natura del problema, il chairman si occupa della gestione della riunione. La focus person risponde alle domande dei membri e le domande generano altre domande. 
 
 Nel 1971 Revans scrive i principi fondamentali dell’ AL e ne istituisce il metodo nel 1980. R è molto legato al contesto e all’esperienza del soggetto, si concentra molto sulla pratica. L’AL è la novità che allontana l’educazione dal paradigma giudiziario del pensieri di Dewey. Si vogliono favorire PENSIERO CRITICO e COLLABORAZIONE SINCERA. 
 
 Definizione e riferimenti operativi/esecutivi
 L’AL è un metodo di formazione degli adulti operanti nelle organizzazioni che punta a supportare il superamento della sfida della complessità, problema o un progetto reale. Sono sempre presenti un gruppo di lavoro e uno specialista della formazione per adulti. 
 L’AL crede nell’azione dell’uomo come modalità primaria del suo essere al mondo. Per l’apprendimento la pratica quotidiana è imprescindibile e o ogni cambiamento esige l’esposizione ad no squilibrio. Fondamentale una coscienza critica e un’autonomia relazionale, solo collaborando il soggetto può costruire il proprio Se’. Il metodo fa sì che ci siano dei limiti temporali decisi dall’istituzione che la partecipazione all’ AL. 
 
 Componenti e dispositivi Caratteristiche operative: 
 1 - Ricerca di soluzioni a problemi reali da parte dei partecipanti; 
 2 - Nei partecipanti si generano investigazione e proposizione; 
 3 - Si analizza il problema e si cercano soluzioni in piccolo gruppo;
 4 - La ricerca della soluzione e l’apprendimento solo paralleli e correlati. 
 1 Dispositivi pilastro dell’ AL: 
 
 - LA NATURA DEL PROBLEMA —> il problema deve essere rilevante e presente da qualche tempo. La soluzione del problema deve portare ad un miglioramento sostanziale per l’organizzazione. Il problema individuato deve avere più soluzioni possibili ed imporre una scelta, il gruppo deve trovarsi davanti ad una sfida con cui misurarsi. Si deve trattare di un problema alla portata delle capacità dei partecipanti per non portare ad un sentimento di sopraffazione. 
 
 - IL SET DI ACTION LEARNING —> si tratta del piccolo gruppo tra i 4 e gli 8 membri con esperienze e conoscenze diverse, possono provenire da diversi ambiti della stessa organizzazione o da organizzazioni diverse. Il set è luogo di lavoro, confronto e decisione e contiene tre tipi di risorse: le risorse temporali, circa 10/15 gg full time liberi dagli impegni di lavoro per partecipare all’ AL. Le risorse consulenziali, possibilità di rivolgersi ad un esperto della materia per 3/4 gg full time. E i ruoli operativi di AL oltre ai membri del gruppo ci sono il facilitatore e lo sponsor. 
 
 - IL PROCESSO DI LAVORO DI AL —> il processo è composto da tre fasi: 
 1. Analisi della natura del problema: il gruppo è in contatto con l’istituzione committente i partecipanti devono essere posti davanti alla reale natura dei problemi individuati. Il gruppo focalizza il proprio apprendimento su: il problema affrontato, ciò che si scopre di se stessi e sulla propria professione e sull’imparare ad imparare. 2. Ricerca sul terreno e costruzione dell’ipotesi risolutiva: fase in cui il gruppo investe la maggior parte del tempo. Il gruppo ha un budget temporale predefinito e non ampliabile, i componenti devono saper gestire il fatto di sostare per un momento tra ignoranza e sapienza. Devono imparare a stare nell’incertezza senza lasciarsi andare alla ricerca di fatti e ragioni, attua quindi la “capacità negativa” che li conduce ad una decisionali più ricca. La capacità negativa è necessaria nei processi creativi perché riesca a portare a cogliere possibilità non immediatamente visibili ed è qui che il gruppo può accorgersi di avere bisogno di un consulente. 
 3. Presentazione della proposta e confronto con il committente: è occasione di apprendimento perché il gruppo arriva a confrontarsi con il proprio prodotto. In questa fase è presente anche il facilitatore per ulteriore supporto al gruppo. 
 
 - IL RUOLO DEL FACILITATORE/TRAINER —> il facilitatore assiste il gruppo durante le varie fasi. Può scegliere di dedicare parte delle riunioni per analizzare la dinamica di gruppo, non ha però nei confronti del gruppo responsabilità per il risultato del lavoro. Deve però garantire un livello di informazione adeguata, facilitare la riflessione individuale e di gruppo e assicurare una memoria storica in caso di successivi AL. 
 
 - IL RUOLO DEL TUTOR —> e’ l’autorità dell’organizzazione committente del progetto, gestisce tutte le problematiche “politiche”. Durante la fase di realizzazione si occupa della supervisione professionale del trainer e garantisce la conoscenza delle tappe istituzionali dell’attività da parte del gruppo, verificando periodicamente l’avanzamento del piano di lavoro. 
 
 AL: una formazione oltre l’aula L’AL è una delle più diffuse metodologie attive, considera l’azione come territorio di apprendimento che rompe la monotonia dei gesti ripetuti in serie. Ci si spinge oltre la formazioni imposta dall’alto e dal di fuori. L’azione di AL tiene costantemente presente e vicina ai partecipanti la problematica del cambiamento. 
 L’AL porta avanti azione e apprendimento contemporaneamente. La ricerca svolta dai partecipanti favorisce riflessione e confronto anche esterni al gruppo, portando ad un miglioramento anche individuale. 
 2 Una diversa prospettiva di metodo: promuovere, sostenere e aver cura delle comunità di pratica 
 Necessaria una figura esterna non intrusiva, ma dal ruolo direttivo. Questo soggetto attua un intervento diretto legato ai diversi passaggi vissuti dalla CdP. 
 La cura è un ulteriore elemento fondamentale, nella comunità si attua accompagnando, sostenendo e facilitando le dinamiche del gruppo. Chi si prende cura deve favorire la riflessione da parte dei soggetti i quali arriveranno a proporre autonomamente la soluzione a possibili problematiche = sviluppare capacità riflessive rispetto alla pratica. 
 Chi si prende cura della CdP si impegna al fine di rinnovare l’energia che alimenta la comunità e deve evitare che i componenti si approccino in maniera individualistica. Chi è parte delle CdP deve sfruttare la sfera informale che determina la costituzione di ciò che può realmente essere definito comunità. Grazie alla cura si evitano eccessiva autonomia sostenendo la cooperazione e la partecipazione. 
 
 Sfondo di riferimento: Variabili dello schema di cura: 1 - Presenza del facilitatore esterno al gruppo 2 - Individuazione del gruppo di professionisti impegnati nello stesso campo e motivati a far parte di una CdP
 3 - Presenza distruggenti e dispositivi per produrre conoscenze e saperi pratici, 
 4 - Con l’esperienza dei membri del gruppo si individuano i problemi e si ipotizzano le soluzioni, 
 5 - I soggetti riconoscono “l’impegno di continuità” e selezionano gli strumenti per creare una “comunità di apprendimento nella pratica”. 
 
 Lezioni dall’esperienza: vantaggi e limiti dell’approccio delle comunità di pratica Esempio di un CdP di formatori rivolti agli operatori del sistema della formazione di una regione italiana. 
 Terminato il percorso sono stata avanzate numerose richieste di continuare approfondendo alcune tematiche. E’ stata individuato nella sollecitazione un concreto segnale di disponibilità e quindi è stata accettata la richiesta. 
 La serie degli interventi ha evidenziato l’ambito della formazione professionale come in rapida e profonda evoluzione segnata da potenzialità ed incongruenze. Si è quindi deciso di programmare incontri da aprile ad ottobre definiti in corsa a seconda delle esigenze. E’ stata qui sollecitata una 5 Teoria costruzionista dell’ apprendimento: 
 - L’ organizzazione è basata sulla produzione e riproduzione di pratiche, 
 - La conoscenza è connessa a pratiche di azione e relazioni sociali, 
 - La condivisione di conoscenza è legata all’esperienza operativa e organizzativa dei soggetti,
 - L’esperienza lavorativa e i suoi significati ha grande rilevanza per chi ne prende parte 
 - Chi è membro di un’organizzazione partecipa alle pratiche che la compongono e ne socializza i significati Metodo della ricercazione: 
 L’azione degli esperti coinvolti produca cambiamento e conoscenza allo stesso tempo:
 - La conoscenza è basata su configurazione e confronto dei problemi;
 - La scoperta avviene grazie all’interazione tra esperti ed attori; 
 - Gli attori con il loro consenso legittimano la conoscenza ed il cambiamento che essa comporta. posizione volontaria, come disposizione personale e soggettiva. Il coinvolgimento produttivo è stato ostacolato dall’incertezza del contesto e dalla mancanza di precisi obiettivi. 
 Tematiche e retoriche:
 - Iniziativa proposta = spazio da coltivare messo a disposizione delle istituzioni;
 - Assunto alla base della proposta = riconoscimento dell’evoluzione del sistema della formazione professionale; 
 - Il contesto di riferimento promuoveva logiche evolutive e meno burocratiche; 
 - Gli incontri sono un’opportunità per orientare la formazione professionale della regione degli anni successivi; - L’adesione volontaria valorizzava un’occasione interessante legata alla disponibilità degli operatori.
 
 Si è quindi giunti alla conclusione che possa essere interessante utilizzare la soggettività come fonte di conoscenza. I coordinatori del gruppo avevano il compito di articolare proposte e indicazioni di metodo per gli incontri successivi. 
 I soggetti coinvolti hanno valutato come positiva la possibilità di stendere un artefatto contenente la sintesi dei pensieri raccolti e di consegnarlo ai responsabili regionali.
 
 Principali vantaggi e limiti Il carattere di emergenza non programmabile delle comunità di pratica chiede pratica di prefigurazione e di attesa allo stesso tempo. Saper usare logiche di azione formativa diverse implica il sapersi muovere nei processi della formazione e su cui la stessa esercita una prospettica riflessiva e trasformativa. 6 Vantaggi: 
 - Opportunità di valorizzare la vicinanza ai contesti come luoghi fisici e sociali e come matrici di significato Limiti: 
 - Necessario un costante esercizio di riflessione critica sul proprio coinvolgimento;
 - Necessità di un’attenta considerazione delle condizioni di sostenibilità e praticabilità. 9 - COLTIVAZIONE DI SE’ (pag. 179-206)
 
 La terza formazione è rivolta alla persona per lo sviluppo personale in una prospettiva educativa volta alla trasformazione di se’. Nasce verso la fine degli anni ’90 intorno ad alcuni interrogativi legati a modi e nodi del fare formazione, i principali sono: - Come è possibile per una qualunque esperienza formativa tenere conto anche della stessa esperienza dell’apprendere che inevitabilmente coinvolge ciascun destinatario della sua azione? - Come è possibile considerare la formazione come momento di un più ampio cammino di formazione nel corso della vita di ciascun partecipante? - Come è possibile saper essere capaci di entrare in risonanza con le singolarità di ciascuno dei suoi destinatari senza venir meno al la finalità implicita in ogni azione formativa di promuovere un apprendimento auspicabilmente uguale per tutti? Le risposte sono delineate in La scuola della vita (2011) di Quaglino. Qui la Terza Formazione è un cammino di apprendimento che intende rispecchiare più in profondità il soggetto a cui si rivolge. 
 
 La Terza Formazione dal “Terzo Paesaggio” La terza formazione è stata ispirata dal Terzo Paesaggio di Clément e di alcune letture in particolare di questa opera. 
 12 passaggi che sono potenti metafore attraverso le quali rileggere la figura della nuova formazione: 
 1. Il Terzo Paesaggio non ha scala: non è foresta, lichene, riva ecc
 2. Il TP e uno spazio in cui gli esseri non dipendono da colture o allevamenti 3. IL TP è uno spazio privo di funzione e si situa ai margini 4. Nel TP sono compresi gli spazi per l’organizzazione dei territori: siepi, bordi delle strade ecc
 5. Il TP ospita rifugi per la diversità: residui che derivano dall’abbandono di un terreno precedentemente sfruttato e riserve come luoghi non sfruttati per diversità
 6. Il TP ha carattere indeciso e corrisponde ad un’evoluzione del territorio in assenza di decisione umana 
 7. Per il TP ogni incidente naturale contribuisce a riaprire un terreno chiuso e permette la comparsa di nuove specie
 8. Il TP è luogo dell’invenzione possibile come situazione attiva 
 9. Il TP appare come uno spazio di scarto 
 10. Il TP è uno spazio che non esprime ne’ potere ne’ sottomissione al potere
 11. Per il TP crescita e sviluppo esprimono la dinamica di un sistema economico (accumulazione) e di uno biologico (trasformazione). 
 12. Il TP può essere visto come la parte del nostro spazio di vita affidata all’inconscio. 
 
 Si tratta di una formazione consapevole del proprio sapere lontano da teorie o modelli predefiniti. Il suo potenziale di apprendimento è legato a ciò che potrebbe essere definito come trascurabile. La formazione preferisce muoversi sul terreno di ciò che conosce, ma così corre il rischio di praticare la strada della conformità e dell’uniformità. 
 La TF intende cercare l’apprendimento nelle zone di “incolto formativo” di cui ciascuno è portatore, è valore della TF indirizzare l’azione il più pontano posizione da allineamento e convergenza. 
 La terza formazione consente un’ invenzione di se’ e considera l’inconscio un terreno per rimuovere contenuti attuata da chi ha facoltà di decisione. 
 Sette principi del manifesto che transita da TP a TF: 
 - Non organizzazione = principio vitale 
 - Rendere disponibili strum per l’osservazione, rendere accessibili immagini e allenare lo sguardo
 7 Narrare è applicarsi a: 
 1. Combinare racconti ricomponendo pensieri, significati e immagini. Sostituire pensieri con significati, variare significati con immagini e tramutare immagini e pensieri.
 2. Tramare racconti seguendo una traccia: impronte di pensieri, orme di significati e indizi di immagini. 
 3. Confondere racconti imbrogliando le combinazioni e sconcertando le trame accettando l’imprevisto. 
 4. Concludere racconti esercitandosi a finire, portare ad esaurimento pensieri, significati ed immagini. Conclusione
 La terza formazione guarda l’apprendimento come predisposizione al futuro. La coltivazione di se’ è un “quasi metodo” per assistere al prendere forma che deriverà da osservazione, ascolto e interrogazioni di se’. 
 Quattro direzioni delle vie maestre per la coltivazione del se’: 
 - Un riflettere paziente e diligente, andata e ritorno di pensieri senza preclusioni o predeterminazioni,
 - Un interpretare nomade a caccia di significati,
 - Un immaginare esitante che attende più che si manifesta senza un nostro sforzo, 
 - Un narrare imitativo ed inventivo di chi può mostrarsi solo nascondendosi ed occultarsi solo esponendosi. 
 
 La coltivazione di se’ è il metodo per arrivare alla terza formazione, una strada che tutti percorriamo ed esclusivamente singolare. 10 3 - AUTOFORMAZIONE (pag. 49-68) 
 Costrutto legato alla formazione degli adulti che comprende in se’: filosofia educativa (modifica positivamente atteggiamenti, pensieri e valori), pratica formativa (acquisizione di autonomia attraverso i compiti cognitivi ed evolutivi), lavoro pedagogico personale (il soggetto ri-conosce la sua identità) e un metodo (“auto” perché compete direttamente al soggetto). 
 
 Scenari e intrecci L’azione individuale in auto formazione si apre a ricerca, scoperta, dubbio e trasformazione. Il contesto è qui fondamentale e piò influire in modo positivo o negativo nella relazione tra il soggetto e il sistema formativo. Soprattutto in passato, infatti, l’auto formazione si è attuata al di fuori dei contesti educativi formali poiché spesso incompatibili con questa. Essendo però l’auto formazione fortemente lifewide questa distanza stona un po’. 
 
 Strutture concettuali Apprendimento di sé e da sé: l’autoformazione somma conoscenza e cura du sé. Ogni uomo ha l’impegno permanente di educassi autodirettamente, cercando vie per migliorare la propria, mente, le proprie emozioni e anche il proprio corpo. 
 L’autoformazione è contemporaneamente: Apprendimento auto diretto e auto direzione nell’apprendere: Autodirezione nell’apprendere:
 - Brockett —> processo esistenziale di formazione e metodologia della formazione degli adulti.
 - Candy —> unione di autogestione del percorso e disposizione personale del soggetto. 
 Definizione di autoform: processo in cui gli individui possono prendere l’iniziativa in relazione ai propri bisogni di apprendimento, di formulare obiettivi, scegliere strategie e valutare risultati. 
 Dimensioni qualificative dell’apprendimento autodiretto: 1991 —> Brockett e Hiemstra individuano persona (ciò che distingue un soggetto da un altro, attributi personali e bisogni), contesto (caratteristiche dell’ambiente: culture, clima…) e processo (autogestione delle attività) come dimensioni dell’apprendimento auto diretto. Le tre variabili interagiscono in una continua triangolazione. 
 
 Un modello concettuale Autoformazione= autodeterminazione (progetto esistenziale del soggetto legato alla libertà di decisione e di scelta e al voler apprendere) + autogestione (progetto operativo del soggetto in relazione all’orientamento del proprio apprendere). 
 Nel 1991 Candy giunse alla conclusione che i soggetti attuano maggiore autodirezione se ciò che apprendono è vicino a loro come inclinazione o grazie ad esperienze vissute. 
 L’autoformazione prevede che ci sia equilibrio tra sapere, volere e potere apprendere. Con “potere” si intende il controllo del soggetto sulle proprie scelte. Il sapere deve essere appreso e diventare una vera e propria competenza del soggetto e della sua autodirezione di apprendimento. 11 Apprendimento di sé: ciò motiva il soggetto ad intervenire in prima persona per risolvere una situazione. Apprendimento da sé: il soggetto autogestisce il proprio apprendimento grazie all’iniziativa e responsabilità che ha appreso anche dal confronto con altri. L’autodeterminazione
 Grazie alla capacità critica il soggetto valuta i contenuti interpretandoli anche a seconda delle proprie esperienze. Nell’approccio costruttivista l’autoformazione legittima la creatività intesa come ideazione di schemi attraverso cui gli individui possano crescere e diventare autonome. 
 
 L’autogesione L’autogestione è controllo pedagogico delle attività di chi sceglie di autodirigersi, il soggetto deve sapersi progettare in astratto e nel concreto. L’insegnante deve delegare al soggetto lo spazio didattico perché si possa verificare un apprendimento di tipo autodiretto. Il controllo pedagogico interno Il controllo pedagogico esterno Per attuare l’apprendimento autodiretto le persone devono avere controllo sullo spazio in cui agiscono. Qualsiasi processo di apprendimento contiene controllo pedagogico delegato e l’oggetto della delega è stabilito dal delegato in base agli obiettivi pensati. L’insegnante deve saper trovare il giusto equilibro tra facilitare (esaminare e accertare) e vigilare (decentrare e accentrare). 
 - Facilitare= valorizzare le potenzialità del soggetto creando nuove situazioni in cui le possa esprimere. 
 - Vigilare= regolare e mediare 
 E’ importante pensare momenti di feedback che permettano al formatore di essere disponibile senza sostituire il soggetto. Un’esagerazione nel sostegno dell’insegnante porta ad una sfiducia del soggetto. 
 
 Il metodo dell’autoformazione Metodo dell’autoformazione (sempre influenzato dalla personalità del soggetto) = 
 autogestione delle attività + caratteristiche di processo + apprendimento da sé
 Ogni esperienza formativa con intenzionalità pedagogica deve saper tradurre le intenzioni in azioni. La metacogniztione è unione di consapevolezza del soggetto dei processi cognitivi e controllo esercitato sui processi stessi. 
 —> Obiettivo della didattica metacognitiva = dare ai soffitti modo di imparare ad imparare (riflessione, organizzazione ecc). 12 - Apprendimento formale= scarso controllo di obiettivi e processo
 - Apprendimento informale= attraverso la socializzazione c’è maggiore controllo del processo di appr e minore degli obiettivi 
 - Apprendimento non formale= nella formazione professionale abbiamo più controllo sugli obiettivi e meno sul porcesso di apprendimento 
 - Self directed= elevato controllo su obiettivi e processo La parola autobiografia: un’apparizione tardiva
 Il termine “autobiografia” nasce solo secoli dopo l’intuizione di tale concetto. In Italia si insediò tardivamente a causa dell’alto tasso di analfabetismo e del controllo che la Chiesa aveva sulle coscienze. 
 
 Una presenza in ogni età della vita
 Scrivere di sé permette a chi scrive di prendere coscienza di sé e a chi legge di avere informazioni su come la rappresentazione di sé è cambiata nel tempo. 
 Narrare della propria persona può essere: 
 1 - Autodescriversi in relazione a situazioni particolari fin da piccoli e sottolineando momenti importanti a livello emotivo ed intellettuale 
 2 - Riepilogare la propria vita per intero in un testo che unisce letteratura e creazione artistica. 
 
 L’autobiografismo: spia del disagio e dei diritti personali contemporanei L’autobiografismo è un movimento culturale informale che si occupa di critica letteraria delle scritture di sé. Questa letteratura è in aumento anche in relazione alle nuove tecnologie che aumentano la necessità di mostrarsi agli altri attraverso Los strumento testuale. Scrivere su carta o digitalmente aiuta a ritrovare la concentrazione ed il silenzio tipici di questi momenti di introspezione.
 
 Chi è lo scrittore di sé, chi può diventare: un profilo
 Emozioni e fatti vissuti sono ciò che può sollecitare la scrittura. Cercando nella nostra memoria ciò che ricordiamo e scriviamo ci aiuta a trovare una direzione. 
 - Chi scrive di sé è appassionato e il risultato della scrittura sarà prova di aver vissuto davvero; 
 - Chi scrive di sé attua un continuo dialogo con se stesso;
 - Chi scrive di sé impara a fare attenzione ai dettagli e sviluppa quindi la propria mente; 
 - Chi scrive di sé risveglia un amore verso se stesso e di conseguenza sarà portato a cercare di “salvare” chi non scrive. 
 
 Un metodo per sperimentarsi pensanti Quando si scrive l’autoriflessione diventa introspezione, il narrare deve essere meno prolisso e il ricordare ci obbliga a fare sintesi di ciò che è la nostra storia. 
 Non tutte le storie, comunque, hanno vero e proprio valore formativo. 
 
 Il lavoro dell’IO: tra onnipotenza e fragilità Ogni scrittura è a sé, ma comunque influenzata dal contesto sociale e culturale in cui lo scrittore vive. Solitamente sono declinate alla prima persona singolare, ma a volte capita che vengano utilizzate la seconda o la terza persona. 
 Al lettore è chiesto di fidarsi di quanto letto sapendo che, comunque, l’autore può fare uso della “licenza letteraria” per rendere il testo più comprensibile o accattivante. 
 
 Un genere veritativo: re-immaginando il reale 
 Tutto ciò che viene affermato in un’autobiografia potrà essere più o meno attinente alla realtà, in ogni caso non attingerà mai del tutto all’immaginazione. Per questo motivo questa attività è formativa: perché genera una profonda riflessione nel soggetto.
 La necessità presente, a volte, nel lettore di sapere se quanto letto ia vero porta ricerche che ne provino la veridicità.
 
 15 Le tipologie cui attingere: dall’appunto alla biografia
 Scrivere di sé può essere fatto in forma minore (appunti personali, pagine sfogo…) o maggiori (autobiografia, memoriale, diario…). L’autobiografia vera e propria necessita fatica. Metodo e qualcuno che la sappia proporre al soggetto nel modo corretto. 
 
 Il metodo e i suoi momenti 
 Per raggiungere gli obiettivi legati alla scrittura di sé devono essere presenti tre condizioni: 
 1 - Il formatore deve aver provato in prima persona l’esperienza dell’autobiografia; 
 2 - La persona deve essere disponibile e motivata. Deve partecipare con interesse alle varie sessioni di lavoro; 
 3 - La scrittura di sé deve essere fatta in solitudine, solo così si potrà fare vera introspezione. 
 
 La partecipazione a questi momenti deve essere libera e non imposta, vivere questa esperienza potrà generare nel soggetto consapevolezza del potere di questo metodo e potrà quindi essere possibile che lui stesso lo proponga ad altri in futuro. 
 
 Posture, momenti, tempi e sedute della formazione: La durata delle sedute è variabile, le sessioni dovranno essere tra 8 e 12, mai meno di 5. 
 - MOMENTO 1 - Raccoglimento personale: ciascuno deve avere un paio su cui scrivere, i tavoli devono essere messi a quadrato o a cerchio in modo che tutti si vedano. Non deve essere messa fretta, è necessario del tempo per il raccoglimento meditativo. 
 - MOMENTO 2 - Il gruppo: elemento simbolico: durante gli incontri si legge con e per gli altri, ma allo stesso tempo l’accompagnamento ad ognuno è personalizzato. 
 - MOMENTO 3 - Le sollecitazioni: il formatore aiuta a comporre la propria mappa memoriale che, evocando ricordi, porta ad una scrittura basata su esperienze vere, anche se a volte un po’ romanzate. 
 
 Le apicalità esistenziali: Nelle pause tra un laboratorio e l’altro sono importanti i sollecitatori tematici, ossia suggestioni di diverso tipo che portano a riflettere su determinati momenti della vita. Si inizierà scrivendo di questi episodi per poi passare ad una narrazione più profonda e riflessiva. 
 Sceneggiatura e trame: a questo punto si richiede una trasformazione del pensiero che si allontana ancor di più dal gruppo diventando più personale e personalizzato. 
 Ai partecipanti sarà richiesto di: ricostruire la propria intera storia, individuare i passaggi più importanti, scegliere uno stile autobiografico, restituire la narrazione della propria storia, curare i particolari e collocare la storia in uno spazio temporale e culturale. 
 
 L’autofiction: anche se veritiera questa narrazione sarà comunque “letteratura personale” perché avrà in ogni caso un carattere simile a quello del romanzo. 
 
 Dall’autoformazione alla consulenza autobiografica
 La consulenza autobiografica vuole condurre una persona con un disagio di svariata natura ad alleviare la propria sofferenza scrivendo, con il sostegno del formatore (rapporto 1 a 1 o micro- gruppi di massimo 5 persone). Qui il formatore è maggiormente presente, anche se la sua funzione non è quella di psicoanalizzare ma è quella di attuare solidarietà umana. 16 7 - CINEMA (pag. 129-156) Il cinema è un metodo di formazione vero e proprio, anche se in alcuni casi viene usato come supporto ad altri metodi. Al giorno d’oggi esiste una letteratura che guida nella valutazione diell’ apprendimento quando si sceglie questo strumento in formazione. 
 Va fatta una distinzione dei materiali quando si tratta di audiovisivo in formazione: si può fare riferimento all’industria cinematografica oppure si possono usare filmati, spot, cortometraggi disponibili in TV o sul web. 
 Dopo la rivoluzione di internet è stato necessario cambiare l’approccio dell’audiovisivo in formazione visto che per i nativi digitali l’immagine non coincide più con un particolare stimolo. 
 Importante non confondere l’educazione AL cinema e l’educazione CON il cinema. 
 
 Il cinema per l’apprendimento e il cambiamento Sono diversi gli ambiti in cui il cinema viene speso per la formazione degli adulti: sensibilizzare rispetto ad una cultura, formare alla psicoterapia, formare a comportamenti organizzativi… L’attivazione generata da questo metodo nell’uomo è allo stesso tempo cognitiva ed emozionale, per questo si creano le condizioni per apprendere. - ATTIVAZIONE COGNITIVA Su piano generale: presentare lo stesso contenuto con diversi media sollecita diverse aree nervose e migliora la comprensione. 
 Su piano specifico: aiuta la concretizzazione e la capacità di analizzare una situazione da più punti di vista. Sostenuti anche la costruzione di realtà e significato.
 - ATTIVAZIONE EMOZIONALE Vengono suscitate reazioni emotive e immaginazione di tipo personale che ci fa immedesimare nelle situazioni che sto guardando. 
 L’utilizzo del cinema: processo e modalità Quattro passaggi necessari per il cinema in formazione: 
 1. Selezione dei film/sequenze —> in questa fase i formatori si dividono in due categorie: i cinefili con cultura personale sul tema e ampio archivio personale e chi non dispone di queste conoscenze e va alla ricerca di elenchi di materiale diviso per contenuti di apprendimento. 
 2. La progettazione dell’utilizzo—> comporta tre scelte: cosa (quale materiale), quando (il momento della visione) e come (modi di utilizzo). 
 Rispetto al come esistono 5 principali modalità:
 - Riscaldamento: può essere energia (il film aiuta ad essere partecipi e presenti), può essere entrata in un tema (entrare in contatto con un concetto) o creare gruppo (guardare il film insieme e rifletterci aiuta relazione e collaborazione). 
 - Esempio: quando attraverso il materiale viene dimostrata chiaramente una teoria, l’esempio può essere positivo o negativo. 
 - Caso: la trama di un film può essere usata per presentare un caso di discussione che favorisca riflessione e formulazione di ipotesi. 
 - Esercizio: qui le scene del film sono stimolo per un compito, un’effettiva messa in pratica delle ipotesi formulate
 - Simbolismo/metafora/ironia: le scene di un film possono diventare la mediazione simbolica di contenuti astratti, possono semplificare un pensiero complesso attraverso delle metafore e evidenziare paradossi o contraddizioni servendosi dell’ironia. 
 3. La messa a punto dei materiali —> il formatore deve ideare una scheda di descrizione del film che comprenda: dati generali (regista, anno ecc), trama, descrizioni della sequenza utilizzata, temi centrali, rimandi teorici, trascrizione della sequenza e modalità di utilizzo. Oltre alla scheda è utile avere una check list per la riflessione per aiutare il partecipante nella rilettura dei contenuti. 
 4. L’azione in aula —> la attività in aula seguono tre passaggi: il primo è l’osservazione dopo la visione del materiale si commenta il comportamento degli attori individuando esempi positivi e negativi. Il secondo è la concettualizzazione e riprogettazione dove gli esempi servono a 17 38 - TUTORING (pag. 913-932) Il tutor può agire sostenere percorsi di apprendimento in diversi campi, le sue azioni sono strettamente legate ad uno specifico ambito e hanno l’obiettivo di portare ad una crescita professionale attraverso a specifici risultati. 
 Tutor e tutoring: alcune definizioni “Tutari” in latino significa proteggere, per questo la figura del tutor ha il compito di prendersi cura di chi gli viene affidato. Nel 1999 Cortese e Quaglino parlano di tuto ring come di una relazione tra un individuo in formazione ed un esperto che ha il compito di fare da guida verso determinate capacità ponendo le giuste domande. Esistono definizioni di tuto ring date tra gli anni ’80 e gli anni ’90: 
 - Guilbert: il tutor stimola l’apprendimento stimolando l’attività a l’accettazione del fallimento, incoraggia l’interazione e l’autovalutazione; - Corradini: il tutor vuole giungere all’autonomia e all’autodeterminazione attraverso la relazione di aiuto; - Arenzi: il tutor deve essere un sostegno nelle dinamiche di cambiamento; - Barrows: grazie alla gestione autonoma del lavoro il tutor facilita soprattutto autoapprendimento; - Marsh: i tutor mira a portare ciò che si apprende al di fuori dell’aula. Tutto ciò si raggiunge con la triangolazione ed interdipendenze di tra fattori: funzioni (elementi organizzativi e processuali), processo (insieme di azioni del tutor) e competenze (apprese grazie all’esperienza). 
 Il primo vertice di analisi: le funzioni del tutor
 Funzioni del tutor in marciare:
 1. MACROAREA ORGANIZZATIVA/OPERATIVA: realtà operativa e organizzativa del corso. 
 - Il Tutor come coordinatore organizzativo controlla gli aspetti logistici (contatto con i docenti, creazione programma e materiale necessario, monitoraggio e valitazione)
 - Il Tutor come connessione e integrazione dell’apprendimento (collante tra i diversi partecipanti e facilitatore della relazione tra staff e partecipanti. Dovrebbe avere attenzione di quattro connessioni: tra diverse modalità didattiche dei docenti perché siano tutte collegate, tra i momenti del percorso di apprendimento per garantire continuità, tra le relazioni tra i partecipanti per valorizzare le differenze e tra le diverse risorse per l’apprendimento perché siano ben utilizzate e valorizzate).
 - Il tutor nelle attività di monitoraggio degli apprendimenti (ha due finalità: capire se ha raggiunto finalità rispetto a soddisfazione per ciò che è proposto e utilità delle evento e riflettere e rielaborare l’evento) 
 2. MACROAREA DINAMICA/PROCESSUALE: gestione delle dinamiche legate all’apprendimento
 - Il Tutor come consulente di processo (mira a creare problem solving, non deve essere troppo vicino alle dinamiche psicologiche o ai contenuti e può proporre metodi di apprendimento). 
 - Il tutor come rappresentante dell’apprendimento (capita che ci sia un trasferimento di emozioni dai partecipanti al tutor che deve essere un supporto perché l’apprendimento abbia senso).
 - Il tutor come presidio dei confini (ha il compito di riconoscere e nel caso spostare confini psicologici e istituzionali/sociali. Deve mantenere la giusta distanza dagli allievi perché non ne vanga fraintesa la figura e dai docenti per mantenere il suo ruolo di parte autonoma). 
 20 Il secondo vertice di analisi: il processo di tutoring
 Il tutto lega l’ente erogante e l’aula, è coinvolto in tutte le fasi del progetto con ruoli specifici. 
 Fasi e attività di un percorso formativo: 
 - Fase 1—> il tutor partecipa fin dalla progettazione del percorso e ricopre due ruoli: attività di back office (creare l’elenco dei partecipanti ed un doc da consegnare loro con varie info, stilare il registro e il foglio firme, preparare i materiali e cercare una cartina della città con eventuali attività per il tempo libero) e attività logistiche (controllo degli spazi, disposizione delle sedie a semicerchio e verifica dei materiali come lavagna, pc, casse ecc). 
 - Fase 2 —> il tutor ad inizio corso darà il benvenuto e si presenterà. Stimolerà poi la presentazione dei partecipanti e infine esporrà metodi, tempi, obiettivi ecc del percorso. 
 - Fase 3 —> in questa fase i tutor hanno due ruoli: supervisione logistica —> controllo dei tempi, e dei dispositivi, distribuzione materiali e comunicazioni di natura organizzativa e attività legate alla didattica —> facilitazione del confronto, proporre esercizi e sintetizzare apprentimenti, creare sintesi ragionate, valutare la motivazione dei partecipanti e sostenere partecipanti ed insegnanti. 
 - Fase 4 —> momento di chiusura e di saluto in cui il tutor si occupa di: controllare registri e fogli firme, creare una bibliografia per approfondimenti, smontare l’allestimento dello spazio di formazione. I partecipanti compileranno un questionario valutativo e, se il tutor lo ritiene, una check list per autovalutare l’apprendimento, il metodo, il percorso, i contenuti, i materiali e una possibile progettazione futura. I risultati saranno forniti a committenza e partecipanti all’interno di una relazione redatta dal tutor. 
 
 Il terzo vertice di analisi: le competenze del tutor Il tutor deve avere conoscenza di un sapere relativo a sei ambiti: organizzazione, età evolutiva, dinamica di gruppo, apprendimento, metodi didattici e processi formativi. 
 La competenze del tutor compongono una piramide con due aree alla base e una alla punta: 
 - BASE: Area didattica (costruzione materiali, preparazione quadri sintetici e griglie, rimando di feedback) + Area apprendimento (coordinamento dell’apprendimento con diversi stili e possibili difficoltà, promozione autonomia e rimando all’ambito professionale, sollecitazione della motivazione dei partecipanti)
 - PUNTA: Area dinamiche di gruppo e relazioni interpersonali (competenze complesse, sensibilità e competenze tecniche). 
 
 La formazione del tutor avviene sul campo attraverso autoformazione, ma ci sono specifici ambiti su cui il tutor andrebbe formato: 
 1. Psicorelazionale: per saper gestire relazioni educative con singoli o gruppi 
 2. Pedagogico: per conoscere modelli e ruoli del mondo della formazione 
 3. Professionalizzante specifico: per gestire il lato organizzativo 4. Tecnico: per la gestione di dati e documenti digitali 5. Progettazione e valutazione del corso: per la programmazione della didattica e della verifica di quanto fatto 6. Orientamento: per saper gestire i colloqui di orientamento 7. Amministrativo: per conoscere parte della burocrazia. Le esperienze di tutoring: i diversi Setting I tutor sono presenti principalmente in ambito universitario (come sostegno agli studenti con ruolo informativo), nella formazione a distanza (come supporto didattico, pedagogico e tecnico) e nella formazione in generale. 
 Il tutoring può essere: 
 - ONE TO ONE: vuole passare conoscenze dall’aula al mondo lavorativo e viceversa. Si usa principalmente per il tirocinio lavorativo e ha una durata tra i 3 e i 6 mesi. 21 - INDIVIDUALE: ha l’obiettivo di potenziare le risorse del soggetto, per esempio lungo il percorso universitario accompagnandolo in una graduale crescita. 
 - IN PICCOLO GRUPPO: esule in esperienze come laboratori, cerca di coordinare i sapersi dei diversi partecipanti promuovendo l’armonia del gruppo. 
 La tutorship: la gestione del potere
 La tutorship è caratteristica di chiunque faciliti l’apprendimento offerto occasioni di consapevolezza dei propri limiti e dei propri punti di forza e si declina in diversi ambiti. Questa caratteristica va gestita con attenzione perché può portare a discordie con insegnanti ed altre figure se attuata in modo scorretto, bisogna riuscire ad avere equilibrio tra tensioni e bisogni personali e dei soggetti che si seguono. 22 35 - SUPERVISIONE (pag. 843-861) La supervisione, in media, non dura mai meno di cento ore suddiviso in un numero imprecisato di sedute e la sua azione si riflette sui comportamenti da cui può dipendere più o meno benessere. Questo intervento ha un forte impatto emotivo ed è necessario che il supervisore agisca empaticamente nei confronti dell’allievo. Non esiste un’unica teoria della supervisione. 
 Cenni storici 1920: l’ istituto di psicoanalisi di Vienna stabilì che analista (terapia) e supervisore (insignamento) dovessero essere due persona diverse, prima di quell’anno la supervisione non era considerata un’attività specifica del percorso formativo. 
 1925: la supervisione diventa ufficialmente parte del percorso di formazione per decisione della scuola frudiana. 
 
 Definizione e funzioni della supervisione
 Le definizioni di supervisione cambiano a seconda delle funzioni che si danno all’esperienza. 
 1 - Funzione didattica: si vogliono stimolare riflessione e metariflessione trasmettendo competenze e tecniche. Si incontrano qui la figura del pedagogo che insegna teoria e tecnica e del esaminatore che verifica le conoscenze dell’allievo. 
 2 - Funzione empatica: punta sul fatto che la terapia non sia solo un percorso cognitivo, ma comprenda anche la condivisione di emozioni. 
 3 - Funzione di induzione creativa: per aiutare l’allievo a conoscere e creare il suo stile di lavoro lo si pone in situazioni che stimolino la sua creatività in momenti in cui la soluzione non è una sola ed è complesso capire come agire. 
 4 - Funzione analitica: comporta l’analisi della situazione e dei possibili problemi personali dell’allievo. E una funzione spesso sconsigliata perché porta il supervisore a trattare l’allievo come collega e non come paziente. Va quindi attuata solo occasionalmente su richiesta dell’allievo stesso. 
 5 - Funzione burocratica: spesso al supervisore è chiesto di esprimere un giudizio sulla supervisione e questo può inibire l’atteggiamento dell’allievo. Ha quindi grande importanza l’atteggiamento del supervisore che deve essere il più possibile attento e delicato. —> Tutte le funzioni possono coesistere, ma i supervisori tendono ad utilizzarne soprattutto una. 
 
 Stili di supervisione Si intende il modello ideale di comportamento del supervisore. I principali sono: 
 - Stile paterno: il modello educativo si esprime con i comportamenti normativi attuati attraverso un confronto critico con i valori dell’allievo. E’ qui positiva una forte identificazione e negativa un possibile comportamento infantile dell’allievo. Il mentore usa uno stile paterno e in modo più intellettuale ed è figura transazionale che porta l’allievo ad una maggiore saggezza. 
 - Stile materno: il supervisore tende a farsi carico delle difficoltà dell’allievo. Positivi la fiducia reciproca ed il Setting stabile e negativa la possibilità che l’allievo tenda a sentirsi onnipotente. Questo stile alimenta molto la bisognosi reciproca. 
 - Stile ermetico: vengono messe in risalto le contraddizioni mettendo così in tensione il soggetto. Spesso le cose vengono lasciate in sospeso per favorire l’autonomia, 
 - Stile immaginativo: il supervisore esce dalle sue funzioni tipiche e “sogna" il percorse insieme all’allievo.
 25 Due intermezzi Capita che l’allievo attui con il supervisore il comportamento che il paziente attua con lui. Il valora che l’interpretazione ha nel processo di supervisione allontana da un’assoluta verità. Il controtransfert, ossia la reazione ostacolo che l’analista può avere verso il paziente, può diventare uno strumento di conoscenza. La supervisione ha quindi deciso di coinvolgere il supervisore nella sua area di intervento e lui deve quindi accettare di essere interrogato e di porsi domande. 
 
 Tipi di supervisione
 - Supervisione individuale L’allievo è un collega e non un paziente, ma bisogna cercare di non creare un clima eccessivamente familiare. L’area di appartenenza teorica dei due può non essere la stessa e il supervisore deve essere in grado di non usare il confronto come conferma delle sue teorie. La supervisione finisce quando si raggiunge consapevolezza rispetto all’affrontare i possibili problemi durante l’analisi. Il maggiore punto di forza di questo tipo di relazione è il valore ineguagliabile del rapporto uno a uno.
 - Supervisione di gruppo Può assumere diverse forme ed il contenuto può essere trattato per una singola seduta o per più tempo. Può capitare che il nero di partecipanti venga limitato, alcuni autori indicano 5 come numero massimo. I temi specifici della supervisione cambiano a seconda delle opzioni teoriche scelte dal supervisore. Gli effetti positivi di questo tipo sono, ad esempio, i tanti punti di vista e la possibilità di conoscere lo stile lavorativo dei colleghi. Negativo il poco tempo dedicato al singolo, per questo spesso si sceglie di affiancare a questa supervisione una supervisione individuale. Possono poi sorgere antipatie nel gruppo e sentimento di competizione.
 
 Problemi della supervisione
 Problemi supervisore: 
 - Relazioni collusive: non vengono riconosciute e quindi vengono represse l’aggressività ed il riconoscimento delle differenze. 
 - Personalità paranoide: il supervisore non trasmette il suo sapere in modo totale per gelosia delle proprie idee. 
 - Tendenze depressive: si prodiga eccessivamente finendo per dare eccessive informazioni all’allievo. 
 - Carisma e narcisismo: il supervisore rende assoluta la sua teoria e si mostra infallibile con atteggiamenti autoritari e commenti di difficile interpretazione per l’allievo. 
 - Controtransfert: tratta l’allievo come il figlio che non ha e lo istruisce come avrebbe voluto essere istruito lui. 
 Problemi allievo:
 - Competizione: atteggiamento competitivo verso il supervisore espresso con un linguaggio eccessivamente formale. 
 - Proiezioni: proietta nel supervisore una figura di genitore più o meno buono conte relative aspettative, spesso questa idealizzazione non rispettata diventa rabbia.
 - Difese maniacali: l’allievo adotta comportamenti maniacali come difesa dall’angoscia derivante dal paziente. 
 - Ansia: la supervisione viene percepita come un esame. 
 - Modalità ossessive: produzione di interpretazioni piene di razionalizzazioni. La supervisione e le neuroscienze
 L’attivazione dei neuroni specchio e , di conseguenza, dell’empatia e dell’immedesimazione attivano un procedura di intersoggettività molto utile nel contesto formativo della supervisione. 26 RIASSUNTO CAPITOLI DI “FORMAZIONE, I METODI” G. Quaglino 
 
 37 - TEATRO (pag. 885-912): 
 Introduzione
 Il teatro è uno spazio nella formazione che mette al centro l’individuo, il suo metodo si contrappone a quelli tradizionali ed è particolarmente coinvolgente. Nella sua attuazione mantenere il giusto equilibrio tra apprendimento e divertimento è fondamentale perchè l’azione formativa sia credibile. 
 Con il teatro il soggetto può riconsiderare il proprio vissuto, lavorando su se stesso e attuando uno sviluppo che va oltre le esigenze organizzative. Le persone possono partecipare a laboratori teatrali per sviluppare competenze o per ripensare i diversi ruoli che interpretano nella vita. Spostare il baricentro del teatro in formazione dall’individuo all’organizzazione implica grandi differenze nella progettazione. 
 Si parla di teatro agito quando i soggetti sono implicati direttamente nel setting formativo e di teatro osservato quando i partecipanti sono spettatori. Il teatro agito fa sì che i soggetti vengano coinvolti con anima, mente e corpo; questo ha diversi risvolti positivi come: incidenza sul concetto di ruolo, creatività, comunicazione, relazioni in un gruppo, integrazione di diversità, miglioramento del clima, flessibilità, condivisione di obiettivi ecc. Il teatro osservato permette di essere spettatore di attori professionisti e capita che si venga coinvolti nella performance per creare spazi di riflessione. 
 Le tecniche usate sono categorizzate in base alle origini che hanno: psicodramma, pensiero di Augusto Boal e Teatro di impresa. Il teatro di impresa è nato negli anni ’80 in Canada e Francia e comprende metodi eterogenei tra loro. 
 Il teatro può essere utile nella gestione di diversi problemi in contesto lavorativo: conflitto, comunicazione, leadership, stress, problem solving, sicurezza, prevenzione, mobbing ecc… nella scelta di intraprendere questo percorso possono coesistere motivazioni personali e lavorative. I testi teatrali come casi studio Attraverso la lettura e l’analisi di alcuni testi teatrali si possono trattare diverse questioni organizzative. Per esempio alcuni testi di Shakespeare sono utili per riflettere sul management, ne è un esempio l’Enrico V in cui si trattano potere e leadership in modo positivo, suscitando riflessioni attuali. Il Teatro Forum Il TF è una tecnica di Boal degli anni ’60 e fa parte del Teatro dell’Oppresso insieme e a: teatro immagine, teatro invisibile e teatro giornale. Il TdO nasce per liberare gli individui dalle oppressioni della loro vita, partendo proprio da problemi concreti. 
 Il Teatro Forum è la tecnica del TdO più usata, è indicata per migliorare e sviluppare competenze relazionali e per migliorare conflitti e comunicazione con capi, collaboratori, colleghi e clienti. In questa tecnica sono presenti attori, pubblico e un conduttore (chiamato Jolly). Gli attori sono i partecipanti al corso e non professionisti. Il confine tra attore e spettatore e sottile, chi guarda può capitare che salga sul palco per rappresentare la propria visione del problema o può suggerire soluzioni varie. Il conduttore deve gestire i diversi momenti della sessione stimolando, interpretando e coinvolgendo. Può interrompere la scena quando vuole portare l’attenzione su una questione rilevante. Prima di iniziare il lavoro ci sono ore (o giorni) di riscaldamento fisico e di creazione del clima che possa permettere ascolto e apertura alle idee altrui. Nelle prime fasi viene individuato il problema e definito il copione che non è scritto a priori. Nella fase iniziale gli attori insceno la situazione conflittuale, ogni personaggio è definito in modo chiaro; terminato la scena il conduttore chiede se qualcuno non è d’accordo con quanto visto e vuole sostituirsi all’attore. La scena verrà rappresentata più volte a seconda delle diverse proposte di cui il Jolly poi farà una sintesi. 1 partecipanti. 
 Gli interventi più formativi per gli autori sono quelli in cui gli autori trovano se stessi, il loro ruolo, la loro voce e la loro storia. Nei casi di minore coinvolgimento i rischi sono l’affermazione di stereotipi negativi ed il rischio che l’evento diventi puro intrattenimento. Le forme ibride permettono un maggiore coinvolgimento dal punto di vista scenico. Il controllo del ruolo fa sì che vi siano dei vincoli che la struttura della storia pone e che possono limitarne l’espressione. Il teatro forum è la tecnica che offre maggior grado di libertà per il formando e, quindi, più ampie possibilità formative. I laboratori teatrali hanno alto impatto formativo per le ampie opportunità di crescita e di sviluppo personale.
 
 Conclusione Il teatro ha grandi potenzialità e possono amplificare o ridurre la portata formativa e la qualità dell’intervento, è necessario comprendere quali siano le soluzioni più indicati. La relazione tra progettisti della formazione e consulenza teatrale è fondamentale, è necessario comprendere le logiche della controparte ed in questo lo scroto maggiore spetta al progettista della formazione. 4 23 - LEZIONE (pag. 531-551): 
 Introduzione
 La lezione è la metodologia di insegnamento può diffusa, è impiegata in aule di formazione di ogni età. 
 - Il miglior contesto di applicazione di una lezione è legato ad alcuni obiettivi come migliorare conoscenze di principianti e migliorare la comprensione di concetti astratti. - La lezione è invece limitante quando si vogliono migliorare capacità pratiche o modificare comportamenti interpersonali e stimolare relazioni. 
 
 Aspetti generali Durata: non deve protrarsi troppo, pena la perdita della concentrazione che inizi a calare dopo 20/30 minuti. Solitamente non bisogna superare un’ora e mezza/due di lezione. 
 Utilizzo di differenti mezzi di comunicazione: parlare non è abbastanza, sono necessari altri strumenti come lavagne, slide, spezzoni di filmati ecc… 
 Interazione: necessaria, poiché ascoltare è faticoso e dopo un po’ porta alla perdita di attenzione. 
 
 Preparare una scaletta La tentazione dei docenti è quella di “dire tutto”, ma questo è controproducente. La scaletta è utile proprio a capire cosa si già non trattare, alla luce di quello che è il nostro obiettivo didattico, del livello di preparazione dei partecipanti e del tempo a disposizione. 
 
 La sequenza degli argomenti Esistono solitamente due sequenze possibili, la scelta di uno o dell’altro dipende dalla situazione in cui ci troviamo: 
 - La prima è deduttiva (scientifico, sequenziale ed ordinato)—> introduzione, inquadramento storico, presentazione concetti base, approfondimenti e presentazione di qualche esempio. 
 - La seconda è induttiva (esperienziale, dialettico e basato sulla scoperta)—> si parte da un caso concreto, ci si chiede quale sia il motivo, si costruiscono delle risposte e si provano ad applicare le risposte ad altri casi simili. 
 
 A condizionare la scelta è anche il tipo di argomento da trattare: solitamente le materie scientifiche sono maggiormente legate al metodo deduttivo, mentre quelle umanistiche possono adattarsi bene anche a quello induttivo. 
 
 Preparare i supporti visivi Le slide devono essere solo sintesi di quello che si dice, non si rispettano nel loro testo le regole sintattiche ma ci si ispira alla comunicazione intuitiva. I caratteri devono essere sobri e leggibili, con dimensioni adeguate ad un’agevole lettura. I concetti possono essere supportati da simboli e immagini, per le informazioni numeriche devono preferirsi istogrammi o rappresentazioni grafiche. Qualche animazione può aiutare il mantenimento dell’attenzione, ma non eccessive perchè potrebbero distrarre dal discorso. Si consiglia uno sfondo scuro per presentazioni in penombra e uno sfondo chiaro per presentazioni in aule luminose. La lavagna a fogli mobili è ormai spesso trascurata, ma può essere utile in alcuni casi come la raccolta di esperienze dei partecipanti, l’illustrazione di un concetto non chiaro o l’aggiunta di concetti non previsti. Se le slide possono avere un effetto passivizzante, la lavagna vita la relazione docente- partecipanti. 
 La LIM, connessa ad un PC permette di scriverci su con apposti pennarelli e ha la connessione ad internet, permette di ascoltare musica e di vedere video. Il contro di questo strumento è il costo. 
 I filmati sono utilizzati per diverse finalità: documentare una realtà esterna altrimenti non visibile, 5 mostrare una situazione relazionale emblematica, mostrare veri e proprio concetti che si vogliono insegnare, riportare il messaggio di un personaggio o mostrare un’intervista. Comunicare in aula 
 Vanno considerati alcuni elementi: 
 - La voce: tono e volume devono essere adeguati al contesto. Si suggerisce anche un ritmo alternato così da non risultare monotono. Anche il tipo di linguaggio è vincolante: non bisogna dare per scontato che un linguaggio tecnico sia comprensibile da tutti. 
 - La gestualità: è mezzo per comunicare e può aumentare l’efficacia della comunicazione. Può essere anche controproducente e non usata in modo consono. Importanti anche il movimento e l’occupare uno spazio adeguatamente, entrambi devono essere presenti ma non eccessivi perchè influenti rispetto all’attenzione dell’uditorio. 
 - Esempi e aneddoti stimolano l’attenzione e l’interazione in aula. 
 L’atteggiamento del docente Più l’atteggiamento del docente è positivo, più porterà ad un avvicinamento alla materia. Bisogna quindi considerare, per esempio: 
 
 - Vicinanza o lontananza:
 Vicinanza: è stimolata da entusiasmo, risposte esaustive, discussioni con rispetto, linguaggio non elaborato, guardare in faccia e sorridere Lontananza: tono annoiato, insofferenza verso le domande, sarcasmo sul gruppo, forme verbali formali, disciplina autoritaria e parlare guardando punti inanimati. 
 —> il gruppo tende a chiudersi e a non cercare il confronto. 
 
 - Competenza o potere: Competenza: mettere a disposizione il proprio sapere per condividerlo (sollecitare diversi punti di vista, rispondere alle obiezioni rispettandole, esprimere il proprio punto di vista in forma relativa…); Potere: comportamenti che fanno percepire che il docente usi il proprio sapere per affermare se stesso (prevaricare, condividere un sapere “alto”, citare autori, sottolineare il proprio ruolo…). 
 
 - Apprendimento o valutazione: Apprendimento: dare feedback sui contenuti e non sulle persone, feedback negativi costruttivi, ma anche positivi, evitare commenti sulle domande, evitare confronti tra le persone e ironia sugli errori. 
 Valutazione: comportamenti del docente che stimolano passività e competizione in classe (dare feedback sulle persone e non sui compiti, dare solo feedback negativi, esprimere valutazioni sulle domande ricevute, fare confronti tra le persone…). L’uso del tempo Può capitare che i tempi disponibili non sia cangrui con ciò che si è preparato, bisogna quindi privilegiare l’apprendimento a discapito dell’efficienza. Bisogna cercare di consentire di acquisire realmente i contenuti esposti a scapito del dire tutto ciò che è in scaletta. 
 
 Attivare la partecipazione Il rapporto didattico con gli adulti deve essere differente. Tre principali mezzi per favorire la partecipazione: 
 - Atteggiamento complessivo: manifestare vicinanza, competenza e orientamento all’apprendimento; 
 - Modalità per innescare confronti: per far aumentare gli interventi è consigliato chiedere, dopo ogni argomento, se ci sono dubbi o domande. 
 - Gestione di domande e obiezioni: limitarsi a rispondere alle domande senza aggiungere commenti o 6 centrale dell’apprendimento in OT è la consapevolezza che si tratti di finzione, che rassicura e rende accettabile la proposta. L’OT rende visibili le caratteristiche originarie del se’. 
 Il superamento o meno delle attività è immediato e potente feedback per i partecipanti e porta ad una coinvolgimento fisico e mentale, ricordando sempre l’importanza del gruppo e della relazione di esso con le nostre azioni. Questa pratica permette di arricchire il proprio repertorio comportamentale perdendo ciò che prima era convenzione. 
 
 Su cosa si basa l’efficacia dell’outdoor La sua efficacia è frutto di un mix di: 
 - Componente esperienziale —> utilizzo di risorse concrete e responsabilità in prima persona delle azioni intraprese e delle loro conseguenze. Il soggetto è qui libero di decidere quanto essere coinvolto, trovare nessi tra le attività metaforiche e riflettere e ragionare con gli altri. Il tutto fortemente legato alla realtà e al qui ed ora. 
 - Utilizzo della metafora —> le metafore riproducono le situazioni che le persone vivono quotidianamente sul posto di lavoro e fanno emergere atteggiamenti e criticità. 
 - Gioco, sfida e creatività —> si attiva un apprendimento basato sulla scoperta, in un contesto ludico che propone sfide verso se stessi e verso gli altri. Gli strumenti usati, palle corde ecc vengono associate al gioco e fanno sì che is abbassino le difese individuali e ci sia rilassamento. 
 - Coinvolgimento —> i protagonisti sono attività e attuano coinvolgimento intellettuale e fisico. Viene infatti favorita l’attivazione di risorse personali e di gruppo. Si mira ad abbassare la razionalità e alzare l’emozionalità. 
 - Importanza dell’osservazione e della riflessione —> obiettivo dell’OT è sospendere le azioni ripetitive e creare nuove dinamiche. Il partecipante si osserva e osserva gli altri durante l’azione e trae apprendimento dalla riflessione a posteriori su ciò. 
 - Divertimento e sorpresa —> la sorpresa aumenta il coinvolgimento dei partecipanti, per questo attività e luoghi sono fino all’ultimo sconosciuti ed inaspettati. 
 - Il gruppo —> l’attività in Outdoor deve considerare risorse e vincoli del gruppo, assegnazione di ruoli funzionali e corretta distribuzione dei carichi di lavoro. Presenza e contributo degli altri ci portano a riflettere su noi stessi. 
 
 Quando si usa una formazione in Outdoor Gli obiettivi sono scoprire le risorse del gruppo, la qualità dei contributi di ognuno e la consapevolezza delle correlazioni. Competenze, temi e contenuti trattati possono essere diversi (lavoro in gruppo, motivazione, solidarietà, conflitto e cooperazione, problem solving ecc…). 
 Il programma di un percorso di Outdoor training La durata è di due/ tre giorni consecutivi. La partecipazione è full time, spesso anche dopo cena. 
 Dopo le attività c’sempre il debriefing, attraverso emotività e coinvolgimento viene stimolata una riflessione a posteriori. Questo momento è composto da: rielaborazione dell’esperienza + deduzione di principi guida e modelli concettuali. I debriefing in media durano una/due ore. Durante l’esperienza verranno fatte delle foto usate poi per reintrodurre l’esperienza riletta a posteriori. 
 Il numero di partecipanti deve essere di cinque/dieci soggetti per ogni formatore e potranno essere un gruppo aziendale reale o uno interfunzionale. 
 
 Il follow up I un percorso di outdoor training E’ poi necessario un momento di rinforzo in aula dopo al massimo tre mesi, in genere dura una giornata e fa riflettere a mente fredda sugli apprendimenti dando continuità al processo. E’ un momento che permette di approfondire il significato degli obiettivi del programma e festeggiarne i successi. Ci sono poi tre momenti fondamentali: 
 - Reintroduzione delle competenze oggetto dell’OT; 
 - Riflessioni di gruppo sui collegamenti tra l’OT vissuto e situazioni aziendali reali; 
 9 - Fase individuale sui cambiamenti del singolo, anche in relazione al gruppo. 
 
 Quali sono le figure coinvolte nell’outdoor 
 Almeno due figure sono fondamentali: 
 - Il consulente esperto in OT: esperto in formazione esperienziale, conduce le attività e avvicina progressivamente gruppo e singoli agli obiettivi formativi. Mira a creare fiducia reciproca e inizia il percorso introducendo la metafora, consegnando le istruzioni e osservando in silenzio il gruppo che lavora. E’ più attivo nella fase di debriefing, offrendo spunti di riflessione alla luce di quanto annotato lungo il percorso. Non ha uno stile direttivo lasciano molta libertà ai partecipanti, dovrà però avere solide conoscenze psicologiche e pedagogiche. 
 - Il tecnico OT: responsabilità di progettazione e realizzazione tecnica e operativa delle attività. Si occupa dei briefing tecnici durante le spiegazioni. E’ organizzato, affidabile, tempestivo e chiaro nella comunicazione. 
 
 Come si realizza un outdoor training: il metodo Passaggi chiave: analisi della domanda, progettazione, realizzazione e chiusura. 
 
 1. Analisi della domanda: l’obiettivo è fissare obiettivi di apprendimento con il committente che può essere manager di una funzione aziendale o comitato di un prgetto. Il committente deve mettere a fuoco competenze e comportamenti da stimolare. Per raggiunge l’obiettivo di questa fase i passaggi sono: • Intervistare il committente: in una o più riunioni il consulente aiuta il committente a esplorare impliciti e manifesti dell’azienda, stimolando un pensiero sistemico. • Intervistare le persone coinvolte dalla formazione outdoor: raccogliere percezioni rispetto alle competenze che si vogliono sviluppare, viene coinvolto tutto il gruppo o solo un campione. -Verificare l’allineamento con la committenza: si controlla l’allenamento tra committenza e partecipanti. Quando non è presente la committenza può ridefinire gli obiettivi o convocare una riunione di confronto con partecipanti e consulente. 
 In questa fase si spiega a tutti nel dettaglio come si lavora in OT. 
 2. Progettazione: vengono scelti attività, metafore, livello di difficoltà e location. Le attività avranno dalla più facile alla più difficile e saranno comunque adattabili a possibili cambiamenti (clima, cambio di complessità, modifica metafore o sollecitazioni). 
 
 La progettazione si suddivide in: 
 - PROGETTAZIONE MACRO —> consulente e tecnico collegano attività e competenze e identificano il percorso di apprendimento ottimale. 
 - PROGETTAZIONE MICRO —> progettazione nel dettaglio delle attività, programma delle giornate e preparazione logistica. 
 
 3. Realizzazione dell’outdoor: la realizzazione si divide in quattro fasi
 - Apertura: è una fase responsabilità del committente che esplicita obiettivi, motivi che rendono importante l’OT per l’Azienda e le sue attese. Dopo di lui il consulente spiegherà la logica delle metafore, il meccanismo didattico delle attività e le modalità di partecipazione al progetto, questo responsabilizza i partecipanti e li stimola a mettersi in gioco. Successivamente viene consegnato i “diario di bordo” utile a riflessione e dialogo. In ultimo il tecnico presenterà l’attività di icebreaking e specificherà chetate le attività saranno fattibili, in sicurezza e non obbligatorie. 
 - Warm-up: attività per riscaldare l’atmosfera e far conoscere i partecipanti. Sono attività semplici e che permettono al consulente di “inquadrare” i partecipanti. 
 - Playing: composto dalle attività all’aperto tipiche dell’OT, attività insolite con difficoltà da superare con soluzioni creative. Le attività saranno metafore del lavoro. Ogni attività ha una struttura che le permette di essere esaminata e di esaminare le persone.
 10 - Debriefing: dopo ogni attività le persone saranno invitate a scrivere individualmente sul proprio diario per avviare una riflessione, volendo guidata da alcune domande stimolo presenti sul diario. Dopo la fase individuale si passa al confronto in gruppo in cui si analizzano i vari comportamenti e le loro conseguenze. Il consulente stimola l’autovalutazione anche dando feedback ai singoli e al gruppo. Attraverso delle domande il consulente guida il processo di rielaborazione. Al temine di questo momento viene chiesto ai singoli di scrivere sul diario i feedback ricevuti e le riflessioni per lui utili. 
 - Chiusura: in chiusura delle giornate si chiede ai partecipanti di darsi feedback reciproci per poi dare una valutazione sull’esperienza, metabolizzando quanto appreso. Ognuno viene girato a creare un paio d’azione da attuare professionalmente e come gruppo potrà essere fissata una riunione per concordare necessari cambiamenti in Azienda. E’ utile, in conclusione, lasciare qualcosa ai partecipanti che simboleggi l’esperienza: fotografie, un oggetto… 
 
 Rischi e opportunità di una formazione in outdoor training Principali rischi:
 - l’attività prende il sopravvento sulla riflessione, qui bisogna puntare sul debriefing; - i partecipanti faticano a partecipare alle attività, l’introduzione alla metodologia forse non è stata efficace; - attività troppo facili e metafore non credibili, probabilmente per delle mancanze in fase di progettazione. 
 Principali vantaggi: 
 - attiva apprendimento dall’esperienza, osservazione, confronto e deduzione; 
 - allena all’uso di percezioni reciproche tramite l’uso di feedback; 
 - è un metodo coinvolgente perchè le attività sono stimolanti, divertenti, impegnative e svolte in contesti accattivanti; - stimola a svelare lati inediti del proprio carattere; - Le attività provate giocando ed emozionandosi sono veicolo di apprendimento. 
 Alcuni esempi di attività che si usano durante un progetto di outdoor training 
 
 Attività dedicate alla fase di warm-up (Obiettivo: fornire occasioni di socializzazione attraverso il riscaldamento fisico e mentale) Esempio —> Silent line-up: in silenzio il gruppo deve comunicare per disporsi in ordine di giorno e mese di nascita entro un certo tempo. 
 
 Attività di team building (clima, relazione, comunicazione)
 (Obiettivo: alimentare lo spirito di squadra, l’interazione verbale ed il contatto fisico)
 Esempio —> La tela del ragno: con delle corde tese tra due alberi si forma una ragnatela su cui dorme un ragno. Tutti i partecipanti devono passare dall’altra parte della tela senza svegliare il ragno ed è necessaria la collaborazione di tutti. 
 
 Attività sulla fiducia reciproca 
 (Obiettivo: sperimentare situazioni di ansia e preoccupazione il cui superamento possa alimentare la fiducia verso se stessi e verso gli altri)
 Esempio —> Il tuffo negli altri: uno per volta ci si butta da una piattaforma di un metro e mezzo e si viene accorti dalla rete di faccia e mani dei compagni, precedentemente preparati per rendere la prova sicura. 
 
 11
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved