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Riassunto (capitoli I-IV) Il museo, Una storia Mondiale, Sintesi del corso di Museologia

Riassunto dei primi quattro capitoli, compresa l'introduzione, del libro (120 pagine circa) parte della bibliografia obbligatoria per l'esame di museologia

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 02/06/2023

Aleeberga
Aleeberga 🇮🇹

4.5

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Scarica Riassunto (capitoli I-IV) Il museo, Una storia Mondiale e più Sintesi del corso in PDF di Museologia solo su Docsity! KRZYSZTOF POMIAN, IL MUSEO, UNA STORIA MONDIALE UN PANORAMA GLOBALE Il museo è nato a Roma nel 1471 quando papa Sisto IV depositò in Campidoglio una collezione di antichità del papato considerate emblemi dell'Urbe. La parola «museo» indica qui qualunque collezione pubblica di oggetti naturali o artificiali esposta all'interno di un edificio secolare o secolarizzato, e destinata a venir preservata per un tempo futuro indefinitamente lontano. L'aggettivo «pubblica», significa al contempo «proprietà di un ente morale che si suppone possa rinnovarsi in perpetuo» e «aperta ai visitatori esterni». La collezione installata al Campidoglio soddisfaceva tali criteri. Oggi esistono circa 85.000 musei in tutto il mondo. Questa istituzione, all'inizio legata a uno spazio geografico ben delimitato, oggi è presente in tutti i continenti. Strada facendo il museo è cambiato sotto parecchi aspetti. In principio il suo contenuto era ristretto (antichità romane); nel tempo è divenuto onnivoro. All'inizio l'accesso era un privilegio riservato a una esigua élite sociale; oggi i musei possono essere visti da chiunque. Da cosmopolita il museo è diventato un'istituzione nazionale considerata proprietà collettiva dei cittadini del paese in cui si trova, anche se i grandi musei sono riconosciuti patrimonio dell'umanità. In origine il museo era un luogo in cui si andava per ammirare mentre oggi i musei sono anche luoghi di studio (all’approccio meramente estetico si sono aggiunti quello storico e quello scientifico). La gestione delle collezioni museali, affidata un tempo a personaggi in vista (collezionisti o artisti), è oggi riservata a conservatori professionisti. Per rispondere alla domanda “in che modo è avvenuta la transizione dallo stadio iniziale a quello odierno?” bisogna prendere in considerazione le dinamiche culturali e sociali. La crescita è stata molto diseguale, le date in cui la crescita accelera maggiormente il ritmo sono: 1790, 1879 e 1960. La prima corrisponde alla Rivoluzione francese; il 1870 segna l'inizio di una nuova fase della rivoluzione industriale che si avvia a conquistare il mondo; il 1960 rinvia all'apogeo della crescita economica del mondo occidentale dopo la Seconda guerra mondiale. I sette ottavi dei musei attualmente esistenti sono stati creati meno di 50 anni fa; gli ultimi cento anni hanno visto il moltiplicarsi di piccoli musei, il radicale rinnovamento di quelli esistenti e i musei si sono diffusi anche in aree nelle quali prima erano rari. Anche se nel corso dei secoli il museo è diventato onnipresente, la sua distribuzione spaziale è rimasta irregolare. Nell’area islamica e nell'Africa Subsahariana per esempio i musei rimangono molto rari; per spiegarlo dobbiamo considerare l’atteggiamento della religione dominante verso le immagini e le vestigia del passato. Altro fattore decisivo per la comparsa dei musei è la tradizione endogena delle collezioni private che in Europa è presente dal XIV secolo grazie alla riscoperta di quelle romane. Anche le collezioni pubbliche romane vennero riscoperte e il modo per ammirare le opere pagane senza entrare in conflitto con la sacralità cristiana fu sistemarle in uno spazio pubblico e profano (Campidoglio). Inoltre, più una società è secolarizzata, urbana, istruita è abituata all’autogoverno più musei avrà. La storia dei musei inizia con il papato ma già nel ‘700 inizia una secolarizzazione dei comportamenti all’interno degli spazi sacri e degli oggetti sacri. Le autorità statali creano musei dal XVI secolo con collezioni o acquistate con l’intenzione di farne dei musei o con il passaggio allo Stato dei beni già appartenuti alla dinastia regnante, alla Chiesa o alla nobiltà in seguito a espropriazioni rivoluzionarie (Rivoluzione francese e bolscevica) oppure nel pieno rispetto del diritto. La rivalità culturale tra i principi europei dal XVIII secolo si è tradotta nella creazione di musei, biblioteche pubbliche ecc fino ad arrivare allo scontro a colpi di acquisizione di opere e campagne archeologiche tra Germania, Francia e Gran Bretagna nell’800. Lo Stato con il tempo viene soppiantato da altri attori: autorità locali, società industriali e commerciali, fondazioni, associazioni, singoli individui. Questo processo di democratizzazione dell’istituzione museale va di pari passo con una democratizzazione del contenuto (musei dedicati alla storia delle piccole comunità). Si notano inoltre importanti differenze tra i paesi assoggettati al potere comunista e i paesi anglosassoni, dove i musei hanno avuto origine per la stragrande maggioranza dei casi da iniziative private. L’istituzione museale è rimasta confinata in Italia per due secoli e per quattro secoli si sviluppa esclusivamente nell’Europa occidentale, poi in Europa Centrale e nel tardo XVII attraversa gli oceani. Nella storia di ogni area culturale possiamo distinguere tre periodi: uno o due musei in un territorio dato, una lenta crescita, un'esplosione quantitativa (in Europa occidentale dal 1850, negli Stati Uniti dopo il 1870), che corrisponde alla transizione tra i musei concentrati nelle città più popolose al museo accessibile agli abitanti delle cittadine o delle campagne. La pace, la stabilità politica e un'economia che produce abbastanza surplus da permettere il sovvenzionamento delle arti sono condizioni necessarie per la proliferazione dei musei. Tra le condizioni cruciali della creazione dei musei c’è la secolarizzazione dei beni ecclesiastici e la violenta abolizione della gerarchia sociale tradizionale o la decadenza degli antichi lignaggi che ha comportato l’arrivo sul mercato artistico di molte opere. Entrambe si realizzarono in Europa a seguito alla Rivoluzione francese e ancora di più sotto l’impero napoleonico, tutto questo tuttavia non sarebbe bastato se non si fosse diffusa con l’Illuminismo la convinzione del valore educativo delle opere d’arte a cui ogni uomo deve avere il diritto.Possiamo suddividere i musei in un numero limitato di tipologie secondo il loro contenuto, che influenza sullo spazio museale e chi ci lavora: 1470: antichità; 1550: arte, storia naturale, curiosità, rarità; 1790: storia, medicina, tecnica; 1850: arti decorative; 1870: etnografia, industria, scienza; 1960: vita quotidiana, lavoro. Gli strati più antichi subiscono nel tempo una metamorfosi dovuta alla pressione degli strati più recenti. Possiamo quindi scorgere la tendenza alla differenziazione e alla specializzazione dei musei e un passaggio dagli oggetti alle persone. L’EPOCA DEI TESORI: TOMBE, TEMPLI, PALAZZI I TESORI E IL SACRO: Era largamente diffusa l’usanza di seppellire i detentori del potere supremo (e figure altolocate) con gli oggetti che dovevano accompagnarli nell’aldilà, altrettanto eccezionali quanto lo era il monarca (dipendente in primo luogo dai materiali oltre la qualità della lavorazione). In origine il re veniva seppellito nella sua dimora, considerata la dimora degli dei invisibili, e vi era perciò un unico tesoro; in seguito si compie una separazione tra palazzo e tempio quindi anche tra i tesori di palazzo e quelli del tempio. La funzione primaria del tesoro palaziale era servire da magazzino per il necessario a produrre gli oggetti del contesto materiale del monarca e il suo corredo funebre. I tesori fanno dunque parte del rapporto di scambio tra mondo terreno e al di là, ma i loro oggetti possono essere distribuiti ai servitori come ricompensa per i loro meriti o per garantirsene la fedeltà (che a loro volta costituiranno dei tesori), quindi sono tra i principali strumenti dell’esercizio del potere. I tesori sono segni visibili della predilezione divina, motivo per cui in una guerra uno degli obiettivi è impadronirsi dei tesori del nemico. Nei tesori dei templi, accanto a beni di uso comune, è contenuto oro e argento sotto forma di lingotti o oggetti, tessuti preziosi ecc e nei templi politeisti sculture, dipinti e reliquie. Mentre il tesoro palaziale era proprietà privata del re, quello del tempio era una sorta di tesoro pubblico cui si poteva attingere in caso di catastrofe maggiore (guerra). La loro caratteristica essenziale è la loro subordinazione allo scambio tra aldilà è mondo terreno: forniscono oggetti che permettono agli umani di manifestare alla divinità la propria gratitudine. I tesori cristiani custodiranno reliquie e immagini sacre quindi manifestano sempre il loro legame con il sacro. Il legame dei tesori con il sacro determina il ritenere conforme la loro distruzione rituale, la consunzione a causa dell’esposizione alle intemperie, il loro rifacimento e perfino la loro distruzione e sostituzione: l’oggetto che fa parte di un tesoro è un mezzo, non un fine in sé stesso. Un altro tratto specifico del tesoro è essere una collezione senza collezionista: la maggior parte dei tesori antichi e medievali si è formata e arricchita perché un’istituzione non poteva romane, circoscritte tra il I a.C e il II secolo d.C, in Cina le collezioni private hanno continuato a esistere fino ai giorni nostri. Come in Cina, a Roma la collezione privata si innesta sui tesori di famiglia. Essi contenevano le maschere di cera degli antenati eletti alla magistratura, segno concreto del legame tra il passato e il futuro della famiglia e circondate da un’aurea di sacralità, conservate nell’atrium delle abitazioni. I soggiorni romani degli Attalidi e viceversa rendono plausibile l’ipotesi che da lì i romani abbiano tratto l’idea della collezione privata. L’emulazione delle collezioni regali non era però facile perché per un privato una simile libertà non era altrettanto legittima. I tesori dei templi e le collezioni private a Roma sembrano avere un’origine comune: il bottino, composto di spolia e manubiae (oggetti raccolti sul campo di battaglia). Le collezioni d’arte appariranno però solo un centinaio d’anni dopo, con l’ondata impetuosa del lusso nelle alte sfere della società romana. È significativo che i generali inviati in Oriente o in Grecia e coloro che erano incaricati ad amministrare queste province furono i primi a collezionare su larga scala (Lucullo, Verre, Cesare, Marco Antonio, Augusto). Le guerre ebbero un ruolo essenziale, portando questi oggetti in grande quantità, per la comparsa a Roma della figura del collezionista: un individuo molto ricco dell’elite ma un semplice privato. Non tutti i magnati erano collezionisti ma tutti i collezionisti erano magnati a Roma. I collezionisti a Roma furono però effetto collaterale solo delle guerre (e degli scambi pacifici) condotte contro l’area ellenizzata, a cui i Romani riconoscevano una superiorità culturale e di cui apprezzavano le opere in quanto tali tanto da portarle con sé. In questa nuova epoca di ostentazione della ricchezza, la rivalità tra famiglie senatoriali include anche le opere d’arte e spesso è labile la distanza tra un collezionista è un predone. UN CASO: VERRE, VISTO DA CICERONE: Per illustrare il tipo psicologico e sociale del collezionista con un esempio concreto e caricaturale ci volgiamo al ritratto (non oggettivo) di Verre dato da Cicerone nella requisitoria contro di lui (De Signis). Questo modello ha attraversato i secoli e ci permette di capire la differenza di principio tra collezione privata e tesoro. Ci mostra un individuo posseduto da una “follia” che gli toglie ogni scrupolo morale e religioso, ossia il desiderio di arricchirsi e avere tutto ciò che hanno gli altri in fatto di opere d’arte e curiosità. Vuole godere di ogni piacere dei sensi e agli occhi di Cicerone è un accaparratore interessato al mero valore venale degli oggetti. Egli infatti aveva depredato i santuari delle città e delle famiglie degradando nel mondo terreno oggetto che partecipano dell’ aldilà. Una volta entrati in casa questi oggetti divengono infatti inaccessibili, perdono il loro carattere pubblico, vengono riservati al godimento personale del proprietario e i suoi amici e potrà farne quello che vuole. Le testimonianze di Plinio il Vecchio mostrano un forte legame personale tra i collezionisti e alcuni pezzi della loro collezione, investiti di una forte carica affettiva e in questo caso un attaccamento quasi ossessivo, legame che appare inedito a Roma, suscitando indignazione. Viene quindi inventata la collezione privata, definita da questo legame personale tra collezionista e oggetti, nato per libera scelta del collezionista, che la differenzia dal tesoro. Nel suo essere la proiezione di un individuo sugli oggetti che riunisce, la collezione privata appartiene alla sfera personale, dell’otium; essa è composta di pezzi che servono indirettamente a tesaurizzare ricchezze e saranno venduti in caso di necessità. Inoltre, diversamente dal tesoro, la collezione privata è profana, Cicerone insiste infatti sulla dissacrazione subita dalle opere. Fra gli oggetti accaparrati un posto a parte occupano statue e dipinti. I COLLEZIONISTI ROMANI: UN INTERMEZZO: Le fonti hanno fatto pensare che il numero di collezionisti a Roma fosse notevole, era invece limitato ma queste persone avevano grande visibilità, attirando l'attenzione dei moralisti. Seppur limitati, il loro ricordo ha favorito la rinascita delle collezioni private nella cristianità latina. Gli oggetti d’arte occupavano spazi chiamati pinacothecae, spazi per il ricevimento. L'unica collezione di sculture che ci sia pervenuta nella sua interezza è quella della Villa dei Papiri di Ercolano. Le collezioni giunte a noi mostrano l’impossibilità di separare il tesoro dall’ornamento e la collezione privata. E’ importante ricordare l’istituzione romana del tesoro della Repubblica, custodito nel tempio di Saturno e sottoposto al controllo esclusivo del Senato. A differenza dei tesori dei re ellenistici, conteneva esclusivamente monete e lingotti e fu alimentato da bottino di guerre, tributi e rendite. Se ne impossessò Cesare per finanziare la guerra civile e fu ereditata da Augusto, di cui divenne lo strumento per conquistare il potere. Augusto non solo si circonda di opere d’arte ma le destina all’uso pubblico. È un esempio eccellente dell'uso tipicamente principesco di una collezione. La collezione di Augusto con l’avvento del principato cessa di essere una collezione privata per trasformarsi in un tesoro: divenuto Augusto egli non fu più un collezionista e i suoi immediati successori ne seguirono l’esempio. Con Nerone abbiamo, per la prima e ultima volta, un collezionista investito della dignità imperiale. Il periodo del lusso esuberante e delle collezioni private si conclude fra gli ultimi decenni del I secolo e l'inizio del II. Dopodiché, non se ne sente piú parlare. Il silenzio delle fonti riflette la scomparsa dei collezionisti a seguito delle ripetute crisi finanziarie e di una politica fiscale che induce a nascondere le proprie ricchezze. Con la fine del collezionismo scompare anche la collezione privata come tipologia e le sole collezioni tornano a essere i tesori. IL TESORO IMPERIALE DA ROMA A COSTANTINOPOLI: TESORO PAGANO, TESORO CRISTIANO: Il tesoro più importante è naturalmente quello dell'imperatore. Non c'è dubbio che i Romani distinguessero tra le casse pubbliche, che erano beni dello Stato, e il patrimonio privato dei principi. Esso ha origine nell'enorme fortuna accumulata da Augusto e passerà da un imperatore all’altro. Il patrimonio privato permetteva agli imperatori di offrire ai soldati il donativum, concedere elargizioni ai senatori, costruire edifici pubblici e praticare varie forme di beneficenza, finanziare guerre. Il tesoro privato dell'imperatore e il tesoro pubblico includevano anche opere d'arte: Plinio menziona le dimore palatine dei Cesari piene di statue, come quella di Adriano. Successivamente si attenua, addirittura scompare, la distinzione tra tesoro di Stato e tesoro privato del principe. Con Costantino il tesoro imperiale diviene un tesoro cristiano, come indica la crescente importanza delle reliquie dei santi, che ristrutturano il tesoro conferendogli sacralità. I reliquiari sono portarti in processione o esposti sugli altari perché i fedeli possano ammirarli e il loro dono o invio diviene importante nella politica estera. Dobbiamo soffermarci sulla collezione di statue antiche riunita a Costantinopoli sotto Teodosio II dal suo ciambellano Lausio. Esse furono distrutte in un grande incendio ma essa ha lasciato traccia nella storiografia bizantina come “collezione personale”. In realtà ci impedisce di considerarla una collezione privata in primo luogo il fatto che le statue erano una proprietà pubblica e il fatto che esse forse si trovavano in un portico, costituendo quindi una collezione pubblica che lui si è limitato a riunire. Non si trovano collezionisti a Bisanzio dopo il V secolo. Il motivo non è legato solo alla monarchia sacra, altrimenti non si capisce perché non si è prodotto lo stesso effetto in Cina. L’assoluta supremazia dell’interiorità sull’apparenza e del sacro sul profano affermata dalla religione quindi a una rottura della continuità culturale si accompagna una rottura di quella sociale dovuta alla decadenza delle città e all’impoverimento. È solo con la ripresa della città che sarà possibile la rinascita delle collezioni private. I TESORI CRISTIANI: L’ORO E LA GRAZIA Il tesoro dell’imperatore a Costantinopoli dall’VII secolo rivaleggia, senza mai eguagliarlo, con quello dell’imperatore d’Occidente. Si moltiplicano i tesori dei re e dei principi, delle cattedrali e dei vescovi (innanzitutto il vescovo di Roma), i tesori monastici e più avanti i tesori delle città e delle confraternite. Ciò complica il tentativo di tratteggiare una storia dei tesori della cristianità tra la fine dell’Impero Romano d’Occidente e la riscoperta delle collezioni private. Tutti i tesori della cristianità formano un sistema di vasi comunicanti: gli oggetti si spostano da un tesoro all’altro grazie a scambi di doni, eredità, doti ma anche trafugazione. Una data spartiacque è la conquista di Costantinopoli nel 1204 dai crociati che porterà alla spartizione del tesoro imperiale, che fino ad allora ha un posto centrale sia per la lunga storia sia per lo stato del basileus, che rimase un esempio anche dopo la sua scomparsa. E’ facile pensare che il desiderio di impadronirsene abbia avuto un ruolo importante nella decisione di deviare su Costantinopoli. Questo evento dà avvia a una nuova epoca nel sistema dei tesori che gravita attorno a diversi centri che fanno a gara per ottenere le opere migliori ma che si può inserire in un sistema molto più vasto fuori dal mondo cristiano. I TESORI DEI RE BARBARI: CRISTIANIZZAZIONE E ROMANIZZAZIONE: Quando i barbari si stabilirono nell’Impero romano d’Occidente portarono con sé credenze, costumi e tesori. La specificità dei tesori dei principi barbari è la coesistenza di opere degli artigiani al servizio del principe e prodotti romani o bizantini arrivati come bottino, scambio o dono. La presenza di oggetti antichi dimostra che i tesori avevano il compito di garantire un legame con il passato lontano. Poiché i popoli barbari praticavano il baratto, i tesori erano privi di funzione economica. Il tesoro attestava che il suo detentore era scelto dagli dei quindi gli oggetti venivano esposti nelle cerimonie. Esso serviva a compiere gesti di generosità verso i compagni di battaglia, come dote alle figlie, per inviare doni agli alleati. Via via che i re si convertono al cristianesimo il carattere sacrale del tesoro cambia natura, come si vede dal suo contenuto (croci, reliquie..). La cristianizzazione dei tesori dei re barbari va di pari passo con la loro romanizzazione, come mostra bene il tesoro longobardo di Monza, mentre scompaiono gli oggetti di origine indigena, specie se contaminati dal paganesimo. Le reliquie dei santi hanno un valore inestimabile e sono un elemento indispensabile di tutti i tesori cristiani. Si formano vere e proprie collezioni a Costantinopoli, a Roma poi a Venezia e nei diversi centri dell’Occidente. Nel XII secolo alcuni teologi iniziano a concedere alle “arti meccaniche” e ai loro prodotti un’importanza che prima non avevano. Il più influente tra loro, Ugo di San Vittore, era noto a Suger, che sembra averne messo in pratica gli insegnamenti. La vista di questi oggetti materiali innalza lo spirito verso gli esseri immateriali, sono simboli il cui splendore prefigura la luce divina. L’atteggiamento di Suger verso gli oggetti è simile a quello di un collezionista verso la propria collezione ma ci sono delle differenze. Egli è orgoglioso del proprio operato e desidera lasciarne un ricordo perenne ma non agisce per proprio conto ma in nome dei “santissimi martiri” e il fine ultimo è la loro gloria. Il criterio di selezione è l’abbellimento della chiesa in maniera confacente alla loro altissima dignità nella gerarchia celeste, non il suo gusto personale o soddisfare la propria curiosità. Le qualità sensibili degli oggetti non sono ammirate in quanto tali ma perché aprono le porte dell’invisibile. IL TESORO IMPERIALE DI COSTANTINOPOLI, UN CONCENTRATO DI SACRALITA’ E RICCHEZZA: La falsa lettera dell’imperatore Alessio I Comneno che chiede aiuto contro i pagani contiene il catalogo delle principali reliquie di Costantinopoli: l’esca del bottino rafforzava per molti crociati la motivazione religiosa. La storia del tesoro risale al regno di Costantino e nel corso della sua lunga esistenza si era arricchito enormemente. Come tutti i tesori, anche quello del basileus aveva funzioni decorative, liturgiche e cerimoniali. Doveva offrigli la cornice adeguata al suo rango di essere semidivino. Era offerto allo sguardo dei visitatori ciò che era indossato dall’imperatore, le reliquie erano esposte nelle chiese della capitale durante le cerimonie mentre una parte era chiusa in locali e solo a rari invitati veniva dato il privilegio di ammirarla. Qui ci soffermiamo sulle reliquie della Passione che erano esposte nella chiesa della Vergine del Faro. Divenuta la cappella privata degli imperatori, essa era il fulcro del tesoro imperiale delle reliquie. Era concepita come un grande reliquiario e copia della cappella di Gerusalemme che aveva ospitato le reliquie di Cristo. Tutto questo crolla nel 1204, quando i crociati conquistano e mettono a sacco Costantinopoli. Oltre la distruzione della città, i palazzi dei dignitari e dei ricchi furono altrettanto ricca di quella di manoscritti e doveva essere di grande valore, fu infatti ampiamente conosciuta e visitata, ma fu costretto a venderla per ripianare i debiti. La sua collezione è memorabile per il contenuto, il suo legame con la biblioteca e le dimensioni. Il suo ricordo come archetipo del collezionista durò a lungo anche grazie al ritratto encomiastico dato da Vespasiano da Bisticci nelle sue Vite di uomini illustri. Niccoli dimostrò che era possibile ottenere la fama non grazie ai propri scritti ma per la propria collezione. Nella prima del XV secolo c’era a Firenze una decina di collezionisti tra umanisti, artisti e personaggi pubblici (Cosimo il Vecchio, Poggio Bracciolini). Venezia è al secondo posto dopo Firenze: seppur l’influenza delle sue raccolte non si diffonde in Italia quella di Pietro Barbo è una delle più importanti di questo periodo. Solo Roma sembra essere rimasta in disparte, proprio dove i fiorentini arricchirono le proprie collezioni. Collezionare antichità a Roma aveva infatti un doppio significato politico: contestare il potere papale e manifestare simpatia per il paganesimo. TRE DINASTIE DI COLLEZIONI: I GONZAGA, GLI ESTENSI E I MEDICI: Oltre le collezioni basate sull’esempio di Petrarca, nell’Italia del XV secolo molte erano anche le collezioni dei principi, sul modello di Carlo V, che ebbero vita ben più lunga. Fu Gianfrancesco Gonzaga che diede inizio alla tradizione delle collezioni di famiglia italiane, trasformando il tesoro di famiglia in una vera e propria collezione privata, che vide un grande sviluppo sotto il figlio Ludovico (opere commissionate a Pisanello e Mantegna). Niccolò d’Este, dopo essersi recato alla corte di Francia, a Ferrara formò una collezione privata annessa al tesoro principesco sull’esempio di Jean de Berry, fatta fiorire da Leonello. Si può dunque dire che furono gli Estensi e i Gonzaga a dare vita alle collezioni principesche italiane e alla politica culturale che abbellirà le città italiane come simbolo del potere familiare delle signorie. Queste due famiglie sono state legate per secoli anche con gli scambi tra i signori e gli umanisti. Presso queste corti erano presenti un grande numero di umanisti, precettori, artisti, motivo di vanto e di arricchimento artistico e culturale per le città. I Gonzaga primeggiavano per la pittura (Andrea Mantegna, Giulio Romano e Rubens); gli Este per letteratura (Ariosto, Tasso). Nessuna tra le collezioni delle due famiglie poteva dirsi superiore, né per estensione né per qualità, e uguale ne fu anche il destino: andarono frammentate. Quando a Ferrara la linea dinastica si interruppe fu lo Stato Pontificio a impadronirsi della città e dei suoi tesori (1597); per quanto riguarda Mantova, con l’estinguersi della linea diretta si creò una guerra per la successione (1630), che devastò la città e le sue bellezze. Quanto rimasto agli Estensi a Modena (unico dominio da essi conservato) fu ceduto ad Augusto il forte, re di Sassonia, giungendo a Dresda. Alfonso V d’Aragona, che conquistò Napoli alla metà del XIV secolo, fu un grande mecenate, rinominato “il Magnanimo” per aver ripagato i suoi artisti con premi e uffici pubblici, sviluppando l’imitazione dell’antico presso Napoli e la Spagna Si dice che i suoi appartamenti fossero pieni di quadri, statue, arazzi e monete, portati via dai francesi quando conquistarono la città. Il tesoro di Alfonso V può essere considerato al pari di una vera e propria collezione privata. Un caso particolare è quello di Pietro Barbo. Cardinale e grande collezionista, a Venezia accumulò molti tesori antichi e di pregiatissima fattura orientalegrazie agli scambi con i bizantini in fuga dai turchi. Diventato papa con il nome di Paolo II, fu il primo collezionista sul soglio pontificio. La sua collezione venne smembrata dal successore, Sisto IV, che ne vendette parte (le pietre incise in particolare) a Lorenzo de Medici. Alla corte medicea una collezione era già stata creata da Cosimo il Vecchio, un tesoro vasto e ricco di oggetti dal grande valore (tra cui le testimonianze dell’antichità che Cosimo tanto ammirava), accresciuta dal figlio Piero il Gottoso, ma è con Lorenzo che la collezione si estende considerevolmente. Il Magnifico fece incidere il proprio nome su vasi e pietre, legandoli a sé per sempre. Aveva portato a Firenze molte statue antiche che rappresentano come la collezione dei Medici non fosse solo di carattere principesco, ma anche umanistico, rivolta quasi più all’interesse per l’arte che all’esibizione del potere, in cui erano presenti anche le opere moderne (sculture di Donatello, pitture di Giotto fino a quelle di Botticelli). E’ una collezione di transizione, di certo diversa da quella di vecchia concezione (pietre e gioielli) ma ancora non se n’è del tutto emancipata. La maggior parte degli oggetti delle collezioni medicee sono rimaste a Firenze, mentre le pietre sono passate prima ai Farnese, per poi giungere a Napoli, dove sono ancora oggi custodite. L’idea che si è creata di Lorenzo (principe esemplare attento alla cultura e alla bellezza) ha inciso sul mito dinastico della famiglia, riconosciuto in tutta Europa, che ha fatto diventare Firenze il centro culturale dell’Italia. Già dalla fine del ‘400, tuttavia, la capitale delle collezioni non è Firenze, ma Roma, che lo rimarrà a lungo. Ogni residenza è tappezzata di opere e oggetti preziosi, in particolare antichi. L’attenzione per l’antichità a Roma era iniziata anni prima ma in questo periodo i papi diedero vita a un rinnovamento urbanistico che fece tornare dal passato le testimonianze della Roma imperiale. COLLEZIONI, INDIVIDUI, GLORIA: Negli ultimi decenni del XV secolo la collezione privata è una tipologia ben consolidata, soprattutto in Italia. Si trovano però collezionisti nelle città fiamminghe e renane, nel XVI secolo compaiono anche in Francia e Spagna e nella seconda metà del ‘500 sono ormai presenti in tutta la cristianità latina. Nonostante principe e umanista siano un binomio, le loro collezioni sono diverse: quella del principe ha un ruolo ludico e edonistico; quella dell’umanista è uno strumento di conoscenza. Dietro entrambi però c’è la medesima tendenza all’affermazione dell’individuo e il riconoscimento della propria unicità (i principi accumulano oggetti la cui eccezionalità corrisponda alla loro). Il tesoro diventa sempre di più espressione delle qualità, interessi e gusto del principe e dal tesoro emerge la collezione privata, un ritratto attraverso gli oggetti. Per gli umanisti la ricerca della gloria personale è inseparabile dal desiderio di conoscere l'antichità: la collezione è sia un autoritratto sia uno strumento di lavoro. Questa nuova psicologia ha la sua trasposizione architettonica negli spazi allestiti dai principi nei palazzi e dagli umanisti nelle loro dimore i cui modelli sono l’estude di Carlo V e lo studio di Petrarca. Erano luoghi dove ci si isolava per meditare, leggere o scrivere; fu con Niccoli e Bracciolini che si produsse il connubio della collezione privata con lo studiolo perché vi esponevano le loro antichità. In quanto luogo privato, gli oggetti erano solo per il piacere del proprietario e i suoi ospiti. Il cambiamento si deve a due personaggi con il desiderio di una gloria che fosse garantita dalle collezioni. Uno è Federico da Montefeltro, condottiero che aspira ad essere considerato un uomo di cultura, che nel Palazzo Ducale di Urbino fa approntare uno studiolo riccamente decorato. L’altro è Isabella d’Este, marchesa di Mantova. Collezionare opere d’arte divenne una delle sue più grandi passioni e fece costruire nel castello dei Gonzaga uno studiolo per i quadri e la cosiddetta “grotta” per la collezione. Nelle collezioni diventano sempre maggiori i dipinti, le sculture moderne e le antichità di ogni tipo, declassando le oreficerie. Due tendenze inscindibili sono lo studio dell’antichità e la formazione di un linguaggio per parlare d’arte a cui si unisce la formazione di uno sguardo sensibile al dettaglio delle opere. Il desiderio di vedere degli individui al vertice della gerarchia sociale privilegia non le qualità invisibili ma l’eccellenza delle opere che esse devono all’artefice. I tempi sono ormai maturi perché certe opere vengano esposte in un luogo non più privato ma pubblico e non più sacro ma profano.
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