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Riassunto Capitoli Minca- Appunti di geografia, Sintesi del corso di Geografia

Geografia storicaGeografia PoliticaGeografia culturaleGeografia ambientale

Riassunto del libro Appunti di Geografia di Minca

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 22/04/2023

nicolep.1815
nicolep.1815 🇮🇹

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Scarica Riassunto Capitoli Minca- Appunti di geografia e più Sintesi del corso in PDF di Geografia solo su Docsity! Capitolo I Geografia, due definizioni: Geografia, ossia scrittura della terra (geo-graphein). Tuttavia, quel graphein assume svariate accezioni, sinonimi, comportando differenze nelle sfumature di significato. Geografi come De Matteis mettono l’accento proprio sull’atto stesso di scrivere, smarcandosi dalla pretesa di una descrizione oggettiva tipica di una scienza pura/esatta. De Matteis insiste sul significato della parola “geografia” proprio per enfatizzare una delle possibili descrizioni della terra, non la scrittura della terra, tenendo in considerazione la consapevolezza di star descrivendo/riportando uno dei modi-di-dire il mondo. Tale posizione non è il frutto solo degli influssi del pensiero post-strutturalista, molto critico contro la pretesa oggettivante, ma trae le sue radici, in un certo senso da altri geografi/scienziati come Alexander Von Humboldt e Ratzel. La stessa descrizione/denominazione ed elenco di città, regioni è stati non è un atto “innocente”, ma densamente pregno di significati, primo tra tutti quello politico e in rapporto col potere. Il pensiero geografico: Le prime rappresentazioni della Terra sono vicine alla nascita della scrittura, come è confermato dalle incisioni rupestri dei Camuni in Valcamonica, risalenti al 2000 a.C. La prima rappresentazione del mondo è attribuibile al Pinax di Anassimandro, una tavola lignea andata perduta che illustrava la parte orientale del Mediterraneo, includendo Grecia, Egitto, Asia Minore, Mar Nero e giungendo fino al Golfo Persico. La rappresentazione verrà usata/tenuta in considerazione al tempo delle guerre persiane e avrebbe contribuito a legittimare le imprese di Alessandro Magno. Nel mondo antico vengono compiuti i primi tentativi di misurazione della terra (Eratostene) e di rappresentazione cartografica del mondo allora conosciuto (Claudio Tolomeo). Tali conoscenze sarebbero state riscoperte e ristudiate intorno al XV-XVI secolo, influendo notevolmente nelle rappresentazioni cartografiche moderne. Tuttavia, occorre tenere in considerazione anche il contributo proveniente da altri ambiti, quale quello artistico: nei primi decenni dell’età moderna viene riscoperta e perfezionata la prospettiva da parte di Brunelleschi e Leon Battista Alberti. Tale tecnica avrebbe influenzato profondamente la stessa visione cartografica con l’introduzione della tecnica della triangolazione, la quale, di fatto condivideva con la prospettiva gli stessi principi di proiezione, ma teneva anche in considerazione aspetti trigonometrici. Stato moderno e ragione cartografica: L’influsso della prospettiva, le scoperte, il clima culturale di alcune aree, come nell’Olanda del XVI-XVII influirono profondamente sulla percezione geografica e cartografica. Tuttavia, con la pace di Vestfalia, o almeno, dalla seconda metà del XVII secolo, il sapere cartografico diventa uno strumento indispensabile per la costruzione degli stati moderni, nonché per la razionalizzazione nell’allocazione delle loro risorse dal punto di vista strategico. In questo periodo potenze continentali come la Francia di Luigi XIV finanziano costosi progetti di misurazione cartografica del regno per migliorare in efficienza e ordine il rapporto tra centro-regioni periferiche. I cartografi vengono sempre di più associati agli stati maggiori, agli eserciti e alle politiche di potenza nel corso dei secoli XVIII-XIX. Ecco, dunque che il sapere cartografico pretende alla descrizione più oggettiva e fedele possibile, rafforzando notevolmente il suo status epistemologico. La pretesa di oggettività è il frutto dell’afflusso del pensiero prima razionalista, con Cartesio in primis, successivamente con l’empirismo catalogatore-classificatore, considerato humus culturale per la crescita e lo sviluppo dell’illuminismo. Geografia e scoperte geografiche: Con le scoperte geografiche si rivitalizza un altro filone geografico, quello più propriamente descrittivo, un filone che affonda le proprie radici nel pensiero antico con autori come Plinio il Vecchio, Strabone e Isidoro di Siviglia. La scoperta geografica, l’indagine dell’Altrove, contribuisce al processo di costruzione identitaria europea, certamente tale processo avrebbe avuto una catalizzazione nel corso dell’Ottocento, ma occorre precisare che un esordio risale con l’apertura e la scoperta degli altri continenti. Gli esploratori, geografi, naturalisti e botanici partono per raccogliere, descrivere e classificare la natura degli altri continenti. A cavallo tra XVI e XVII iniziano a crearsi le Wunderkammer, stanze nelle quali vengono raccolti i merabilia provenienti da luoghi remoti e lontani. Alexander Von Humboldt, spiegare che cosa significa la “fisica del mondo”: Indagine e misurazioni sule variabili e processi e relazioni tra le cose servendosi di un metodo comparativo e di diverse scale geografiche. Comprende anche i diversi campi del sapere per avere sempre di più un’immagine più nitida del mondo. L’approccio di cui si serve Humboldt è quello di comparazione e dialogo tra le differenti branche del sapere, ben conscio del fatto che ciascuna darà sempre una visione parziale del generale o del sistema mondo. L’intento di Humboldt è proprio quello di partire dalla consapevolezza di ciò per portare avanti un vivace dialogo tra le scienze dell’epoca e soprattutto nell’interpretazione delle enormi classificazioni che si stavano facendo in quel periodo, come ad esempio quello del sistema linneano. Insomma, si può indagare il kosmos per separatezza, certo, ma bisogna tenere in considerazione la reciproca influenza tra i vari ambiti del sapere. Il pensiero di Humboldt comunque cela dei riflessi politici: aldilà del contesto europeo di generale ascesa della borghesia, occorre sottolineare la forte carica di significato che la conoscenza riveste nel naturalista tedesco. Per Humboldt occorre creare questo dialogo non solo per sottolineare la parzialità e l’illusione d’oggettività, ma soprattutto per portare avanti un sapere che faciliti il progresso dei popoli. Influenze filosofiche che hanno condizionato la geografia. Qualche esempio: In questo discorso occorre sottolineare l’apporto filosofico che è andato a costituire significativi paradigmi nella ricerca scientifica, sia nelle hard sciences, che nei settori umanistici, inclusa la geografia. Il pensiero scientifico moderno e dell’epoca illuminista è strettamente condizionato dal razionalismo cartesiano, l’empirismo di Locke e soprattutto le concezioni della natura che ne risultano. Nel caso di Cartesio la suddivisione res cogitans e res extensa comporta un riflesso anche nella percezione naturale: se la natura è classificata come res extensa, allora essa sarà percepita come uno spazio a sé, altro dall’uomo, che non lo intacca, anzi, si percepisce come un qualcosa d’altro. La natura è così indagabile oggettivamente proprio perché è un qualcosa di staccato dall’uomo e da tutto ciò che è umano e rientrabile nella cerchia del civile. Un concetto del genere è presente pure nelle riflessioni di Rousseau, dove la natura è percepita come altra, una sfera genuina, che si contrappone al decadente spazio della civiltà. Quindi, la natura è indagata come alterità indagabile oggettivamente proprio in virtù/in relazione di questo dualismo cartesiano. Sullo stesso dualismo cartesiano si costruiscono le fondamenta anche del sistema cartesiano. Il presupposto logico è proprio quello del percepire la natura come una realtà altra e il corporeo e il mondo animale come preso dall’istinto e dalle proprie passioni, mentre l’uomo, poiché dotato delle facoltà mentali e di giudizio, può non solo indagarla da lontano, ma soprattutto è dotato in maniera intrinseca di particolari categorie per fare tale operazione. Kant, infatti, attribuisce all’essere umano delle categorie innate e presenti nell’intelletto, come la causalità, il tempo e spazio, ma allo stesso tempo si rende conto che l’uomo si trova in tensione tra la conoscenza fenomenica e la cosa in sé. Insomma, Kant ritiene che per quanto l’uomo possa indagare oggettivamente perché dotato di forme a priori, non potrà mai avere unas visione completa del mondo, o comunque, questo rientra nel sistema kantiano come noumeno: posso conoscere tutto, ma il limite si arresta nella conoscenza del mondo come sistema, proprio perché sono consapevole di una componente soggettiva del mio conoscere. Il pensiero kantiano lo si vede particolarmente nelle riflessioni di Humboldt (supra). Un discorso del genere si vede parecchio nel pensiero di Karl Ritter, geografo da collocare sul solco della riflessione di Humboldt, nonché contaminato dal clima culturale di Kant. Ritter sostiene che nella Parlare di luogo non è semplice dal momento che, come concetto, è stato parecchio rielaborato/ristrutturato da parte della geografia marxista e umanista a partire dagli anni ’80 in poi, le quali hanno subito un considerevole influsso del pensiero post-modernista e post-strutturalista. Il luogo è uno spazio al quale vengono associati affetti, ricordi, sensazioni ed emozioni. Può essere fondante per identità locali quanto nazionali tanto che si parla di luoghi della memoria comune. Nel corso degli anni ’80, come detto precedentemente, ci si è concentrati sempre meno sulla componente spaziale e più sul soggetto che lo pratica. Autori come David Harvey, Yu-Fu-Tuan hanno insistito sulla componente emozionale, sui legami umani (human bonds) e soprattutto sulle necessità dal punto di vista economico nell’insistere su tale principio d’associazione, specialmente se il luogo in questione è una regione o una città. Giocare/insistere su tale associazione può avere ricadute nell’attirare flussi turistici se non addirittura attività economiche, come nel caso del city branding. Altri autori, come Massey, notevolmente influenzato dal pensiero di Jacques Derrida, si sono concentrati sulla rinegoziabilità di significato. Il luogo presenta un significato proprio poiché necessita di un’associazione operata dal soggetto che lo vive e lo pratica, ma allo stesso tempo assume continue rinegoziazioni a seconda delle svariate associazioni che ogni individuo associa a esso. Quindi, il luogo è frequentemente soggetto a riscritture di significato a seconda del momento o dell’evento che ciascuna persona che lo vive e lo pratica associa a esso. Luogo, non-luogo, senso del luogo, assenza del luogo. Parla della posizione della geografia umanistica: Se il luogo è il frutto di un processo di significazione tra l’uomo/il soggetto e il territorio/l’oggetto, il non- luogo è uno spazio che non presenta questa caratteristica, o almeno non può avercela. Il non-luogo è, usando le parole dell’antropologo Marc Augé, “uno spazio che non può definirsi né identitario, né storico, né relazionale”, uno spazio che non riesce a creare/elaborare quest’associazione, appunto. Il paesaggio. Una definizione: Paesaggio: Il paesaggio è un luogo che ha già subito tale associazione, ma gode di una maggiore stratificazione di significati. Il paesaggio è allo stesso tempo oggetto e sua rappresentazione: oggetto per la sua componente territoriale, mentre rappresentazione per il suo punto di vista e modo d’osservazione. Il paesaggio ha/gode di una lunga tradizione e si ritiene, proprio per la sua componente visiva, che sia nato e sviluppato nell’Italia del Rinascimento, dove si stavano sviluppando le tecniche prospettiche e di triangolazione. (tesi di Cosgrove). Il paesaggio per Humboldt: Un importante contributo al paesaggio lo diede Alexander Von Humboldt a cavallo tra Settecento e Ottocento. Egli contestava la pretesa di oggettività del paesaggio a favore di un atteggiamento di maggiore consapevolezza della componente soggettiva nel processo di significazione del paesaggio. In altre parole, Humboldt insiste sul fatto che il paesaggio è uno degli sguardi possibili sul mondo, non l’unico, una critica, quella della presunta oggettività univoca, che costituisce un vero e proprio fil rouge nel suo pensiero. Il paesaggio va inteso per lo scienziato tedesco come divenire dello sguardo sul mondo, cosa strettamente in linea con la sua critica dal punto di vista epistemologico della pretesa di oggettività, come abbiamo visto nel capitolo sopra. Insomma, Humboldt parte da questo assioma di non-oggettività/soggettività nell’indagine e lo porta sia nel discorso/relazione tra le scienze (Cap. I), che nel caso concreto-singolo del paesaggio. Il suo, però, non è un discorso relativista. Ricordiamolo, la sua è una dichiarazione di non-esaustività dello sguardo sul mondo, come della sua indagine scientifica. Sia chiaro. È significativo il fatto che per lui il paesaggio si costituisca e configuri come “modo di guardare”. Capitolo III: Sul concetto di scala. Partiamo dai concetti di regione e Stato-nazione usando una prospettiva scalare. Ma che cos’è una prospettiva scalare? La scala è un filtro, è approssimazione. Studiare un fenomeno in scala significa conferirgli una dimensione e rapportarlo con unità di misura e con grandezze. Il libro fa un esempio d’analisi scalare dal punto di vista dell’identità: una persona residente a Roma può definirsi come abitante di una specifica città, regione, abitante d’Italia oppure come europea. Esistono quindi due concetti di scala: quella cartografica(quella della rappresentazione su scala per intenderci) e quella geografica(prospettiva continentale, nazionale, regionale e locale). scala cartografica: Occorre tenere in considerazione un punto-chiave: ogni scala prescinde approssimazione, perciò, ogni inclusione o esclusione. L’atto di includere o escludere delle località nell’approssimazione su scala di un luogo implica GIA’ DI PER SÉ un atto d’interpretazione. La descrizione della Terra, intesa in questo caso come approssimazione, contiene anche questa sfumatura di senso, ossia quella dell’atto interpretativo. La stessa interpretazione che muove la rappresentazione cartografica contribuisce poi enormemente alla percezione di sé stessi nello spazio e in relazione a esso. Si vedano in questo senso le cartine dell’Europa nelle proiezioni fatte da Mercatore, o in generale, lo stesso discorso d’imposizione del meridiano di Parigi o di Greenwich. In questo senso, la scrittura della terra si concretizza calcolando le distanze e soprattutto incidendo la matita nel suolo, creando così le arterie stradali, i confini o le dogane. Scala geografica: La scala geografica è invece un concetto sì d’approssimazione, ma si riferisce a spazi più specifici nella presa in considerazione e nell’analisi di un determinato luogo, come ad esempio un fenomeno migratorio in una scala continentale, nazionale, transcontinentale o transnazionale. La scala è quindi un punto di vista dal quale inizia la considerazione o l’analisi su qualcosa, molto semplice. La decostruzione e gli influssi del post (postmodernisti e post-strutturalisti) arriva anche qui e si criticano gli stessi concetti di scala geografica. Secondo il filone dei geografi critici l’operazione di scala non è assolutamente un dato di fatto naturale e neutrale. Quegli stessi filtri scalari (regione, Nazione) sono dei prodotti sociali, dei costrutti ricchi di stratificazioni di significato. Il pensare il mondo riconducendolo a regioni o Stati/nazione è un’operazione alla quale siamo stati abituati fin da piccoli studiando nelle cartine mute delle elementari. Qui non si tratta di fare complottismo, ma di criticare semplicemente il fatto che la ricostruzione del mondo nella logica cartografica non deve presentarsi come l’unica vera e accurata, dal momento che gli stessi cartografi che hanno concepito/sviluppato questo modus fingendi erano ben consapevoli del fatto che si trattava di UNO TRA TANTI, non l’UNICO. Certo, all’epoca erano ben consapevoli di questo modo di rappresentare, ma soprattutto iniziarono a rappresentare la Terra in tale modo perché spinti da esigenze molto pratiche. La rappresentazione del mondo in maniera topografica è mossa dall’esigenza di proiettare la figura tridimensionale della terra su un piano, tenendo conto dei rapporti di distanze tra un luogo e l’altro, costituendo uno strumento molto utile per i viaggiatori, mercanti, esploratori e marinai. Ma tutto ciò non implica che questo sia l’unico modo di rappresentazione della Terra, tantomeno l’unico vero. Quindi, lo scopo iniziale è quello di avere una carta che sia il risultato dell’insieme dei rapporti metrici dei vari luoghi della Terra. Quello che è stato appena fatto è la decostruzione della carta e la critica della ragione cartografica dietro, nonché la sua pretesa di oggettività. Due considerazioni su scala cartografica e scala geografica. La scala cartografica cela dietro a sé il rapporto tra spazio e potere, proprio in virtù dell’atto stesso della rappresentazione, come detto prima. Per geografi come Brian Harley, la carta geografica e la cartografia sono state discipline parecchio compromesse col potere, anzi, addirittura come instrumentum regni, come la statistica e la prassi del censimento. Le mappe per Harley sarebbero un prodotto/risultante tra il potere e il sapere, poiché presuppongono, nel concetto di rappresentazione, di stabilire un determinato ordine del mondo. Per una pretesa del genere ci sono due regole non scritte che entrano in gioco: etno-centrismo e ordine sociale(“normalizzazione”). Sulla base dell’etnocentrismo si può collocare/distillare il contesto storico nel quale è stato prodotto: un esempio è quello del nostro meridiano di Greenwich. Il meridiano, o almeno, la scelta di quel meridiano nell’iniziare a contare i fusi orari e a numerare gli altri meridiani, è un riflesso del contesto storico in cui è stata fatta tale scelta: siamo tra XVIII e XIX, il periodo in cui si sta affermando definitivamente il dominio inglese nel mondo. Lo stesso discorso va fatto anche per l’adozione della proiezione di Mercatore, la quale mette in ben risalto e con una certa centralità il continente europeo, sempre questo, un riflesso del contesto storico della colonizzazione tra i secoli XVI e XVII. L’ordine sociale è invece un codice non scritto che sta alla base della gerarchia della divisione, della scelta di convenzioni e percezioni spaziali. Il risultato è far apparire la carta come un qualcosa di naturale, che è SEMPRE stato così. Un eterno presente. Tenendo in considerazione questi due elementi, Harley sottolinea un sottile strato di polvere politica. Le carte presentano, proprio in quanto rappresentazioni e frutto di scelte di convenzioni e approssimazioni, una loro volontà politica, una loro gradazione politica. Un esempio che viene fatto è l’espressione di “confine naturale”. Certo, nella rappresentazione cartografica non si può negare l’esistenza di un monte, fiume, lago, bacino, ma è meno ovvio il significato che gli attribuiamo. Il confine è l’atto di delimitazione di un’area e proprio come tale, come frutto di una scelta nella rappresentazione, ha una valenza strettamente e intrinsecamente politica. In questo senso si ricollega la denominazione e la rappresentazione degli spazi. (cap. VIII) Passiamo ora al concetto di regione, alla sua decostruzione e a come è stata interpretata nel pensiero geografico. Regione, Cos’è una regione? La regione è un discorso che ha tanti significati, così tanti, che ci fa dubitare del fatto che può contenere un significativo tasso di relatività: per un italiano il termine richiama prima di tutto l’unità amministrativa del suo paese, un americano invece l’associa a un significato più fisico (es regione dei Grandi Laghi). Quindi, la regione presenta una certa stratificazione di significati, ma non dobbiamo arrenderci e proviamo ad abbozzarne un significato. La regione è il risultato di una combinazione di più criteri: linguistici, storici, etnici, culturali, fisici, geografici, ecosistemici. La combinazione di uno o più di questi elementi le conferisce un potere straordinario, o almeno, glielo conferiamo noi. Occorre ricordare che la regione si distingue dal suo esterno, da cosa NON è più tipico di un determinato spazio geografico. Partiamo quindi alle varie definizioni/figure/forme che son state attribuite alla regione: formale, funzionale, sistemica. regione formale La regione formale è una regione-contenitore, ci viene presentata come unità “naturale” che plasma la vita umana, come un qualcosa a sé e distinto da parte delle comunità umane. Si tratta di un qualcosa che va a pari passo con la concezione della natura in età moderna. (cartesiana, kantiana e mettiamoci pure Bacone. Vd Cap I). In questo senso, la presenza umana non è altro che un prodotto della superficie terrestre, un qualcosa di trascurabile o irrilevante nella descrizione geografica. Regione umanizzata può essere un piano d’investimenti in un paese in via di sviluppo, fatto da un organismo sovranazionale, come il FMI(Fondo Monetario Internazionale). Quest’ultimo paradigma è stato quello che “ha retto di più” e che si è consolidato durante gli anni Novanta, nello stesso periodo la questione ambientale stava sempre più prendendo il sopravvento nelle società civili del mondo. Dall’incontro tra Teorie economiche neoclassiche-Globalizzazione-Questione ambientale viene fuori il concetto di “sviluppo sostenibile”. Modernizzazione ecologica e sviluppo sostenibile. Che vogliono dire? La modernizzazione ecologica è l’obbiettivo, lo sviluppo sostenibile è il mezzo. Entrambi sono il frutto del compromesso tra lo sviluppo di tipo capitalistico e l’attenzione/sensibilità verso le tematiche ambientali. Il paradigma della modernizzazione ecologica è quindi un incontro, una rinegoziazione del paradigma della crescita tenendo in considerazione principi di natura etica verso la natura e verso le generazioni che popoleranno la Terra. In questo senso è utile rimandare al concetto di sviluppo sostenibile, concetto fatto proprio dall’ONU, che consiste non solo di conciliare queste due componenti, ma è monitorato attraverso la creazione/istituzione/calcolo di indici che tengano in considerazione fattori come la speranza di vita e il grado d’istruzione. Un esempio di questo discorso è l’ISU, Indice di Sviluppo Umano. Rapporto Brundtland, protocollo di Kyoto, COP e altre tappe delle conferenze sul clima: Antropocene e Capitalocene: Durante gli anni Novanta, nel clima delle conferenze e rapporti sul clima, si sviluppa un nuovo dibattito nel campo scientifico intorno al rapporto tra azione umana e ambiente. In questo periodo viene coniato il termine “antropocene”, volto a significare il protagonismo assoluto della specie umana nella modificazione dell’ambiente e nell’impatto in rapporto alla Terra. Tuttavia, vennero sollevate alcune critiche e obiezioni poiché relegare/scaricare la responsabilità dell’impatto ambientale solo all’uomo inteso come specie costituirebbe un grave gesto di deresponsabilizzazione. Insomma, non tutti gli uomini nel loro agire impattano in maniera eguale dal punto di vista ambientale, anzi, proprio in virtù di ciò, occorre diversificare e “pesare” le responsabilità. Proprio per questo motivo si costituì nei primi anni del 2000 il concetto provocatorio di “capitalocene”, ossia la considerazione dell’impatto del capitalismo nell’ambiente, attribuendogli così il significato di economia-mondo. Critiche contro lo sviluppo. Il post-sviluppo: Capitolo V: La città. Due o tre definizioni: Mumford e Soja La città. Una breve storia: Primi insediamenti, città Ippodamea, città razionali romane e mondo medievale, Quattrocento. Il fenomeno della città affonda le sue radici nel tardo neolitico, quando inizia il graduale processo di stanziamento e convivenza dei singoli gruppi umani. La città nasce quindi come esito di un graduale processo di convergenza e convivenza dei gruppi umani, si tratta di una lenta aggregazione che prende il nome di sinecismo. Le prime città nascono quindi da questa stratificazione e aggregazione abitativa. Con Grecia e con Roma si affaccia un nuovo modello, quello della creazione e fondazione della città, come testimoniato dalle colonie greche in Asia Minore nel Mediterraneo e quelle romane per tutto il corso del loro dominio. In questo modello è presente una forte componente razionalizzatrice degli spazi umani. Le colonie o le città di nuova fondazione vengono progettate e divise con un vivo interventismo da parte dell’uomo nella suddivisione degli spazi e delle aree: si pensi alle piante squadrate delle città di fondazione romana. Con l’età medievale scompare lentamente questo approccio d’intervento generale nella fondazione cittadina a favore, invece, di una conservazione di interessi privati, o almeno, dell’integrità dei propri spazi: un atteggiamento di progettualità pubblica sarà “riscoperto” o ripreso in maniera esplicito soltanto nel XV secolo e con un clima culturale di riscoperta e legittimazione del sapere riappellandosi ai testi della classicità greca e romana. Nel corso Quattro e Cinquecento, quindi, tale orientamento d’intervento urbano si fa sentire vivamente: a titolo d’esempio occorre citare l’esplicito desiderio di progettazione urbanistica degli estensi a Ferrara o al caso di Sforzinda, ristrutturazione di Milano rimasta su carta. Modernismo. La città funzionale e la città fordista. Che vogliono dire? Haussmann, Carta d’Atene e Le Corbusier La progettualità e i rifacimenti degli spazi urbani s’intrecciano indelebilmente col processo di costruzione degli stati-moderni, motivato sia dall’esigenza di mostrare la potenza e il lustro del loro regno che per esigenze più puramente amministrative. Parigi, Berlino, Londra, Madrid vedono significative trasformazioni dei loro spazi urbani tra Settecento e Ottocento. Tuttavia, l’esempio più archetipico del rifacimento intensivo/incisivo dello spazio urbano si deve all’operato del Barone Haussmann a Parigi negli anni del secondo impero, un’opera di tale portata che è stato coniato il termine “haussmanizzazione” per riferirsi a un’operazione d’incisiva trasformazione degli spazi urbani. Nel corso dei decenni centrali del XIX secolo il Barone amplia le strette vie della capitale parigina, dotandola di ampi boulevard e grandiose piazze circolari. Certamente l’intervento non era solo motivato da esigenze d’ordine pubblico e di controllo sociale, ma anche legittimato in quanto miglioria delle condizioni igienico-sanitarie, evitando e riducendo l’impatto di malattie che proliferavano grazie alla sporcizia urbana, quali tifo, colera. [sulla speculazione edilizia dovuta a sto discorso]. Il rovescio della medaglia fu quello di spostare le classi meno abbienti (o che non potevano permettersi di mantenersi il tenore di vita delle nuove zone ristrutturate) verso le periferie. Nei primi decenni del Novecento e nel primo dopoguerra i governi europei sono attirati dalle condizioni delle classi sociali più subalterne, sia per il mantenimento dei regimi, che come attenzione alla questione sociale in sé. Nel corso degli anni Venti prende via la ricerca a nuove risposte d’intervento urbano nelle periferie delle grandi città europee, un atteggiamento che culmina con la Carta d’Atene, manifesto firmato e sostenuto dagli architetti del Bauhaus o da esponenti del funzionalismo come Le Corbusier. La Carta costituisce la concretizzazione del problema, dell’intervento nel ridisegnare lo spazio pubblico urbano in rapporto al cittadino, seguendo i principi del funzionalismo e in linea col processo d’accumulazione capitalistica di quel periodo storico, quella di tipo fordista. Ecco, dunque che corre ridisegnare gli spazi urbani affinché risultino funzionali e ottimali non solo dal punto di vista economico, ma anche di ricreare spazi di riaggregazione sociale, sempre in un’ottica funzionale. Cos’è lo zoning e il clean-sweep planning ? La concretizzazione di questo approccio funzionalista è quella dello zoning, ossia la suddivisione della città per apparati e zone in maniera funzionale alla tipologia d’esigenza: il risultato è una città divisa per aree/quartieri industriali per la produzione, amministrative per i servizi, commerciali per l’intrattenimento e ricreative. La città viene quindi divisa a “macchie” e considerata e suddivisa come le componenti di una macchina, prefissando a essa e ai suoi abitanti lo scopo dell’efficienza. L’approccio dello zoning si [combina/sposa/accompagna/è affine] al concetto del clean-sweep planning, ossia al fare tabula rasa dei quartieri e costruire qualcosa di completamente nuovo e diverso. Sono approcci che ben si sposano con il gigantismo architettonico, un atteggiamento che, alla lunga, non dialoga/è attento alle esigenze del cittadino e alle sue comodità. La città postmoderna. Le trasformazioni della città: cityscape e townscape City branding, gentrification e gated communities . Due definizioni e spiegazioni: trasformazioni dell’economia (sull’immobiliare e verso i mercati finanziari) Con la crisi del modello fordista, nonché il tramonto dei settori trainanti della seconda rivoluzione industriale, avvenuta negli anni ’70, le città iniziano a cambiare lentamente volto, sia nel loro ruolo che nella natura d’intervento urbanistico. La crisi del fordismo, dei settori pesanti, degli alti costi di produzione comportano una lenta ritirata delle fabbriche dalle città. I quartieri, che una volta ospitavano tali attività industriali, subiscono tale crisi e in alcuni casi cadono nel pieno degrado, le attività iniziano a chiudere e a spostare la loro produzione in altri paesi del mondo, a causa di un minor costo del lavoro e dei materiali. Queste enormi aree ex-industriali si riempiono e attirano nuove attività economiche, che basano il loro business su nuovi settori in forte espansione, quali l’informatica, internet e i settori della finanza e verso il settore immobiliare. Nelle città, quindi, inizia una rivalutazione degli spazi e dei vecchi quartieri degradati, con lo scopo di migliorare sia la città dal punto di vista del decoro urbano, che per risultare attraente da parte delle nuove attività economiche, incentrate su nuovi settori in rapida crescita ed espansione. Si tratta di un discorso simbiotico: da una parte le aziende sono interessate ad aprire i loro stores in città con un nome elevato o dal buon status symbol, dall’altra, le stesse città cercano, attraverso il processo del city branding di attirare tali attività, improntando significative modificazioni al tessuto economico locale. Allo stesso tempo si apprestano ad aprire e a ridisegnare nuovi spazi e centri per la formazione di capitale umano adatto per quei settori: ecco, dunque, che ex quartieri industriali vengono sottoposti a incisivi progetti urbanistici per far posto a poli universitari o a città della scienza. Un’altra variante da tenere in considerazione è il concetto stesso di città globale. Habitus . Che cos’è? (‘A so) Che cos’è una città globale e qual è il suo rapporto con la globalizzazione? La città globale è una tipologia di spazio urbano, che, in virtù del suo straordinario dinamismo economico e finanziario, costituisce un luogo chiave per influire nei meccanismi della globalizzazione. Entriamo meglio nel dettaglio. Le città globali sono quelle città che ospitano le sedi di importanti enti finanziari, quali banche commerciali o banche e fondi d’investimento, i quali detengono rilevanti quote azionarie di determinate società o determinate filiere di produzione. Perciò, proprio in virtù di tale possesso azionario, controllano o almeno influiscono sui processi di globalizzazione. Le città globali possono essere sede anche d’importanti multinazionali e/o leader di primo piano nei loro campi o in settori altamente importanti, quali quello dell’informatica, dell’ingegneria, della produzione dei derivati dei semiconduttori, dell’e-commerce. In questo senso, quindi, le città globali si trovano in terminali importanti tanto nell’essere la concentrazione di rilevanti asset finanziari, quanto nel trovarsi in cima/lista/posizione di preminenza nelle cosiddette supply chain. Dagli influssi post-strutturalisti si evince che la stessa attribuzione di nomi e la pretesa di normalizzarli è un atto evidentemente politico, nonché di proiezione e rappresentazione in ottica statuale e geopolitica. La geopolitica, quindi, è un altro modo di rappresentare gli spazi in maniera spettacolare, tendendo alla semplificazione, ma allo stesso elaborando concetti geostrategici e focalizzandosi su temi cruciali per gli stati, quali gli approvvigionamenti di risorse per le economie dei paesi. La geopolitica cerca di rappresentare la terra/il mondo come campo nel quale agiscono le potenze e sul quale competono tra loro, sia in termini d’interessi, che in termini di competizione tra le sfere d’influenza. La geopolitica diventa quindi l’esplicitazione di quel modo di rappresentare il mondo in maniera cartografica, un esito di quel lungo processo che ha accompagnato la costituzione dello stato moderno. Abbozziamo ora un percorso breve, ma incisivo sulla concezione della geopolitica. Kjellén Il termine “geopolitica” nasce a cavallo tra Otto e Novecento dal politologo svedese Rudolph Kjellén, per la precisione nel 1899. Per lo studioso svedese il concetto di “geopolitica” si accosta all’esigenza di costituire un ponte tra il sapere geografico e quello politico, riprendendo implicitamente le idee di Friedrich Ratzel. Per Ratzel, ricordiamolo, sussiste un’equazione (proporzione è meglio) tra stato e organismo vivente. Kjellèn riprende la lezione ratzeliana e in parte darwinistica della lotta della sopravvivenza evidenziando nel suo saggio Deer staat als lebensform la necessità di applicare e coniugare le categorie della politica a quelle dello spazio. Il contesto in cui prendono forma tali idee/sollecitazioni nel pensiero accademico è quello della competizione tra le varie potenze internazionali, la stessa che di lì a poco avrebbe fatto sprofondare il mondo nella Prima Guerra Mondiale. Kjellèn riprende sempre da Ratzel il concetto di panregione, ossia una macroregione nella quale agiscono le potenze vincitrici di questa continua lotta. Per Kjellèn e Ratzel il mondo è quindi una royal rumble, un deathmatch in una gabbia, all’interno della quale avranno la meglio, secondo lo svedese, gli imperi, diventando dei soggetti in grado di condizionare la politica e le decisioni all’interno delle loro macroregioni: si sta iniziando ad abbozzare e a rendere concettualmente pensabile la futura categoria delle “sfere d’influenza”, ossia lo spazio essenziale/vitale per la sopravvivenza di uno stato- nazione. Mackinder Mackinder è pressoché contemporaneo di Kjellèn, ma ha una formazione differente ed è animato e motivato da uno scopo diverso. Mackinder è un geografo proveniente dall’ambiente accademico inglese e sente che nel primissimo Novecento la Gran Bretagna sta/stia perdendo colpi, o almeno, sia giunta nella sua fase apicale, se non addirittura il suo plateau. Mackinder è convinto che la geopolitica possa servire come strumento utile per le concezioni/decisioni geostrategiche per la classe dirigente inglese, permettendo ai sudditi di sua Maestà di ripensare al meglio l’impero. Nel 1904 viene pubblicata la celebre mappa The Natural Seats of Power, dove sviluppa la sua celeberrima teoria geopolitica (smentita con le batoste della Prima guerra mondiale). Secondo l’accademico inglese, è possibile dividere il mondo in due macroregioni: Hearthland (il cuore della macroisola continentale euro-afro-asiatica) e Outher/Insular Crescent (Mezzaluna esterna o Insulare: in pratica gli altri continenti che girano attorno alla Hearthland). H. comprende il cuore dell’Asia (uno spazio compreso tra Siberia, attuali paesi Stan, Mongolia e Iran), mentre O./I.C. tutto il resto. Mackinder sostiene che la potenza che detiene il controllo dell’Hearthland ha ottime possibilità di dominare il mondo. Aldilà della suddivisione quasi manichea del mondo, è interessante notare come in tale teoria geopolitica venga fuori, non solo una squisita concezione eurocentrica degli spazi, ma soprattutto vengono messe da parte, se non appiattite le peculiari realtà di continenti radicalmente differenti tra di loro. [Nota mia, la uso come raccordo per quel nazistone di Hausofer] Aldilà delle critiche che si possano tirare dietro a Mackinder, occorre sottolineare che tale rappresentazione geopolitica è allo stesso tempo un prodotto culturale dell’élite britannica dell’epoca, ancora pesantemente russofobica: questa teoria esce nel 1904 e, ricordiamolo, solo nel 1906 la Gran Bretagna si sarebbe mossa verso l’Entente cordiale, l’intesa cordiale, firmata tra Francia e Impero Russo l’anno prima. Ah, per confermare tale russofobia, la Gran Bretagna aveva supportato il Giappone nella guerra russo-giapponese del 1905. Insomma, per quanto possa sembrare una teoria strampalata, quella di Mackinder è il frutto dei tempi che correvano. Haushofer Proprio per sottolineare quanto le contingenze del presente influenzino la geopolitica, occorre introdurre Karl Hausofer, ex combattente della Prima Guerra Mondiale, contestatore del trattato di Versailles e fortemente desideroso di una sua messa in discussione. Hausofer muove dalla radicale obiezione delle condizioni storiche, sulle quali si era mosso il trattato di pace del 1919. Allo stesso modo fa leva sulla necessità di dare/conferire alla Germania quello spazio vitale che le spetta in quanto grande potenza e soprattutto per sopravvivere: è evidente quanto abbia assimilato l’equazione di Ratzel (Esistenza Stato=Spazio vitale). Hausofer immagina, auspica e prospetta l’idea di una Grosserdeutschland, una grande Germania, intesa come potenza continentale e leader della macroregione Eurafrika. Le teorie di Hausofer vengono subito ben viste dal NSDAP (Nationalsozialistische deutsche Arbeiterpartei), contribuendo/imprimendo ai dirigenti del partito notevoli influenze nella politica estera del Terzo Reich, come, ad esempio, il concetto di Stato-organismo, spazio-vitale e le istanze aggressive del Lebensraum. Kennan , containment e guerra fredda: All’indomani del secondo conflitto mondiale, la geopolitica e il concetto stesso alla base vengono stigmatizzati, gettati nell’oblio e marchiati come un qualcosa di pesantemente macchiato col nazismo. Tuttavia, il lupo perde il pelo, ma non il vizio: se da una parte il termine “geopolitica” venne abbandonato, dall’altra, vennero recuperate alcune concezioni geostrategiche di fondo. Nello scenario tra 1945 e 1949 rifà di nuovo capolino la concezione di Mackinder e (la russofobia in allegato), specialmente in una situazione in particolare e con un attore, il 1947 e George Frost Kennan, ambasciatore americano a Mosca. Tra il 1945 e il 1949 non si verifica subito una chiusura a cerniera tra le due superpotenze, l’idea di una cerniera-lampo chiamata “cortina di ferro” è un discorso che nasce nel contesto del viaggio per Fulton di Churchill nel 1947. L’eredità di Mackinder si condensa nel cosiddetto Long Telegram, un lungo comunicato da George Frost Kennan [ambasciatore?]. Nel documento, tuttavia, si percepisce una certa contaminazione dell’eredità geopolitica. Il mondo postbellico viene letto come uno scacchiere, dove ciascuno degli stati in questione è una casella caratterizzata da una specifica natura e da un’identità unica e descrivibile. Il rapporto accoglie un particolare successo, sia per la riflessione in sé, che per gli umori che correvano all’epoca, nonché sulle linee d’azione da utilizzare nello scenario post Seconda guerra mondiale. Dal punto di vista storiografico è considerato come una delle tappe per l’elaborazione della dottrina Truman e del Containment, che si sarebbero concretizzate nel 1947 con la cosiddetta teoria del domino del segretario di Stato Dean Acheson. [Intervento del segretario a p.353]. Il post La guerra fredda fu una guerra di parole, dichiarazioni, propaganda, percezioni e auto percezioni. Con il crollo del muro. La fine del conflitto richiese una nuova immaginazione geopolitica: una volta vinto contro il comunismo, qual era lo scopo, il senso e le nuove prospettive per l’occidente, ma soprattutto, quali nuovi nemici da pensare? In un saggio/libro degli anni Novanta, Francis Fukuyama ritiene che ormai si sia giunti alla fine della storia: una volta trionfato il blocco occidentale, non era più necessario parlare di storia, o almeno, come la intendeva lui: per Fukuyama la storia era inscritta nel quadro di una lotta evolutiva tra idee e ideologie. Il trionfo dell’Occidente, secondo l’ex consigliere di Reagan, significava/avrebbe corrisposto a una fase di irradiazione dei suoi valori, un fenomeno ormai inarrestabile. La vittoria delle democrazie capitalistiche era quindi da considerare come la prova/l’esito finale della selezione della migliore forma di governo ed economia esistente, come una ciliegina sulla torta, pinnacolo del progresso umano, una ricetta perfetta per ogni luogo e tempo futuro. Le vere sfide di quest’età del Post erano quelle di attualizzare e concretizzare questi valori universali, che l’occidente stava pompando e irradiando nel mondo grazie alla globalizzazione e all’apertura di nuovi mercati con gli ex paesi comunisti o con la Cina. Huntington , rogue states Sempre nel corso degli anni Novanta, nel contesto delle guerre del Golfo, si diffonde un’altra percezione, in parte complementare a quella di Fukuyama, si tratta del paradigma dello “Scontro di civiltà” di Samuel Huntington. Lo scenario del Post è, dunque, caratterizzato dallo scontro tra civiltà culturali (occidentale, islamica, indù, africana, latino-americana). In questo scontro, la civiltà occidentale ha una posizione dominante, o almeno, in maniera temporanea. Questo filtro/paradigma si sposa bene, o comunque è allo stesso tempo influenzato, dallo scenario terroristico e dai conflitti in Medioriente. In generale, sia Fukuyama che Huntington poggiano su un assunto di fondo, ossia sul presupposto di concepire l’Occidente come un blocco unico. Questa monoliticità nella rappresentazione ben favorisce quelle visioni binarie della biopolitica nel definire il “noi” e l’”altro”, coltivando un fertile terreno per demonizzare il nemico, inteso come Stato canaglia o come cittadino qualsiasi. Biopolitica: [x] Kjellèn. Biopolitica. Descrivere, mettere in rapporto la componente biologica dal punto di vista politico, specialmente in quanto suggestionato dalla correlazione/metafora/equazione (Stato come organismo). [x] Quel malandrino di Foucault. F. riprende l’accezione di Biopolitica. Bene, ora integriamola alla sua nozione di politica detta supra. Se con la modernità lo Stato/le logiche di potere statuale avanzano nella società, quindi, la stessa nozione di politica diventa talmente pervasiva da essere/risultare quasi invisibile e di fatto inondando la società, nonché alcune sue zone. Una di queste zone è appunto quella della vita. La biopolitica, quindi, è l’esito di un processo di penetrazione profonda del potere statuale, in maniera tale che la legittima a normalizzare gli stessi comportamenti degli individui in svariati campi e, in questa sede, ci occupiamo di quello della vita biologica. Per Foucault “la soglia della modernità biologica di una società si situa nel punto in cui la specie e l’individuo diventano la posta in gioco delle strategie politiche”. Ecco, quindi, che si consuma un progressivo passaggio del potere politico all’aumentare dell’importanza della vita biologica, come componente fondamentale per mantenere in salute la nazione e il suo potere sovrano. [x] Dalla lezione di Foucault si muovono le riflessioni di altri due filosofi, Giorgio Agamben e Roberto Esposito, entrambi sul solco della lezione del filosofo francese. Agamben si chiede, sempre nel campo della riflessione foucaultiana sui limiti tra le tecniche di potere, di un controllo esterno e la zona individuale e di autocoscienza. [x] Esposito rimane invece perlopiù sul campo dei paradigmi e su quanto la lezione filosofica di Foucault abbia condizionato la ricerca geografica, specialmente sul versante stato-nazione e individuo. La geografia moderna avrebbe quindi aiutato allo sviluppo e consolidamento anche del versante biopolitico, ma soprattutto il suo presupposto epistemologico di fondo, la pretesa di oggettività nella rappresentazione univoca. Ora, facciamo degli esempi di biopolitica, delle applicazioni pratiche:
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