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riassunto capitolo 1 libro Arte una storia naturale e civile, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Storia dell'arte europeaStoria dell'arte italianaStoria dell'Arte Moderna

riassunto con foto del 1° capitolo del libro, per esame della Cavicchioli

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 31/01/2020

annatea_d_alessandro
annatea_d_alessandro 🇮🇹

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Scarica riassunto capitolo 1 libro Arte una storia naturale e civile e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Riassunto 1° cap libro 2 Lo sguardo più lucido sui primi anni del 600 è quello racchiuso nell’opera vita dei pittori e scultori… di Bellori, il quale pensa che i primi sintomi di forte discontinuità rispetto all’arte manierista si registra nell’ultimo decennio del 500 con Caravaggio e Annibale Carracci. Il teatro di questo strappo è Roma, dove entrambi i pittori giungono, indipendentemente, insieme a loro anche un artista flammingo, Pieter Paul Rubens. Bellori pensa che tutto il periodo che va dal 1595 al 1672 è uno sviluppo che vede Roma come centro, ma che estende le sue conseguenze a tutta l’Europa. Cominciamo allora con la Santa Caterina dei Funari, che è una piccola chiesa ricostruita durante il secondo 500, nella quale è riconosciuta l’avvenuta della prima rivoluzione dell’arte italiana. È qui fu collocata la prima opera pubblica di Annibale Carracci: Santa Margherita, 1599, una figura sola, monumentale e vibrante, interpella lo spettatore, lo guarda negli occhi, lo guida, la pittura dei Carracci agisce sulla realtà. Margherita è una ragazza contemporanea, appoggiata con indolenza un piedistallo antico è un po’ sbreccato, Immersa nella meravigliosa campagna romana, la composizione, i colori, la tensione: tutto parla del mondo reale. Vi è un motto inciso sul piedistallo “in alto i cuori” un’invocazione alla liturgia, non rivolta allo spirito, ma al cuore di carne che batte nel petto dello spettatore. Nella cappella accanto fu collocata in un’affollatissima Deposizione di Girolamo Muziano, 1580, un gruppo di figure concepito come un bassorilievo, senza profondità, l’espressione del dolore è contenuta, accennata, modulare, ancora prigioniera delle gesti famose di Michelangelo e Raffaello; i colori delle vesti temi ed eleganti, variati con l’attenzione di un tappezziere che scelga da un campionario; il paesaggio è l’ennesima edizione di quelli inventati da Sebastiano del piombo. Ancora più avanti, abbiamo un’altra cappella, quella di Scipione Pulzone, dove vi è affrescata l’Assunzione della vergine, 1598-1604, questa è astratta, formalizzata, mentale; le figure sono pensate come statue giustapposte in un vuoto pneumatico, coperto da stoffe preziose, dei risvolti cangianti, ci si rivolge agli occhi dei conoscitori di pittura, non all’anima dei fedeli. trasmissione di un sapere da rinnovatore continuatore, che non alla pratica di bottega degli artisti, ma senza rinunciare, anzi esaltando, la materialità dell’arte della pittura. È questo il punto cruciale della riforma dei Carracci: una pittura che assolutamente è di carne viva. 1 Molti artisti si recarono a Roma per ammirare in quest’opera di Annibale Carracci tra questi vi era anche Caravaggio, il quale ci moriva sopra, nel riguardarla. A unire Annibale e Caravaggio era certo l’avversione per il conformismo pittorico tardo manierista: in un’annotazione scritta proprio intorno al 1600 sulle pagine dell’opera di Vasari, Carracci non apprezza i dipinti di quest’ultimo, gli sembrano cose sciocche da fare in pochi giorni, somiglia alla realtà, ma sono piene di affettazione, e senza giudizio. Carracci e Caravaggio sono scesi a Roma in periodi non molto lontani, le loro prospettive erano molto diverse: il primo era uno sconosciuto pittore ventenne in cerca di fortuna, il secondo un artista di 35 anni già fermato, invitato a lavorare presso un cardinale assai illustre potente. Annibale Carracci insieme al fratello Agostino e al cugino Ludovico aveva fondato un’accademia che proponeva una formazione artistica impregnata sul recupero della pittura e del primo cinquecento e su valori assai lontani da quelli correnti: lo studio della natura, in primo luogo. L’apprendimento era ispirato più a quello universitario della Macelleria, Annibale Carracci, 1580. inventare un astratto un mondo immaginario in cui fuggire, ma invece costruisce se stessa con la carne e il sangue del mondo reale. Studio di ragazzo addormentato, Annibale Carracci, 1582-85 Un magnifico disegno a matita rossa, in cui Annibale ritrae un modello del suo studio: non mentre è in posa, ma in un momento in cui si è addormentato, tutto nudo, forse vinto dal caldo estivo. Ora anche gli espedienti più estremi della pittura manierista, per esempio gli scorci prospettici arditissimi, sono messi al servizio di un’imitazione della realtà che ha lo scopo di sbatterci in faccia l’urgenza materiale della vita vera. Pietà, Annibale Carracci, 1585 Ludovico Carracci seguiva la strada di Annibale, con esiti personalissimi, e determinati da una straordinaria urgenza espressiva, da un senso dell’umanità anche più forte di quello del cugino. Visione di San Francesco, Ludovico Carracci, 1584-85 2 È una delle prime opere più impressionanti del giovane Annibale: una scena quotidiana assume la solennità di una scena sacra e la viva carne degli uomini intenti al lavoro è come parificata a quella macellata e offerta allo sguardo senza mediazioni. Siamo lontanissimi dalla pittura levigata e astratta del manierismo: e se la figura serpenti nata alla sinistra può alludere ironicamente a quel mondo, Annibale sceglie di autoritrarsi nel giovane macellaio, che si piega su un montone, in primo piano. Da qui parte una pittura che non aspira a Nel 1585 Annibale ottenne la commissione della pala d’altare della chiesa dei Cappuccini a Parma. Il risultato è un’affollatissima pietà, che si può definire il primo dipinto barocco: un giudizio che si basa sull’altissimo pathos che anima la scena. In basso la vergine è al centro di una spettacolare teatro di emozioni e di espressioni enfatiche a cui il fedele è inviato a unirsi attraverso un eloquente gesto di San Francesco. In alto sono gli angeli ad animare la scena, mentre portano in cielo la croce in un trionfo di luce e nuvole che corona un paesaggio naturalissimo. Sebbene la preoccupazione di Annibale riguarda la resa credibile della materia dei corpi, l’insieme dell’opera fece capire i contemporanei che lo stile e lo spirito di Correggio erano tornati: in versione aumentata, incendiata. Anche Ludovico si spira ai dolci notturni di Correggio, ma qua disarmante appare la semplicità, colta sul vero, di quel confidenziale idillio tra personaggi che esistono e nulla di più, sebbene in una dimensione differente, immersi in una natura resa nel contempo familiare e misteriosa, per via soprattutto di un luminismo moderno, sapiente e straordinariamente consapevole. Santa Maria del popolo, Caravaggio e Annibale Carracci L’unico luogo pubblico in cui le loro opere si incontrano: un luogo essenziale per il rinascimento romano. Crocefissione di Pietro e Conversione di Saulo, Caravaggio, santa maria del popolo 5 L’assunzione della vergine, fu affidata ad Annibale, fino ad allora nessun altare mostrava qualcosa di simile, il quadro evoca un’altra assunta, quella di Tiziano, ma in quella mancava la costruzione così intrecciata dei corpi, nei gesti parlanti degli apostoli, cose che invece abbiamo potuto già vedere in Raffaello, sono Annibale è riuscito ad unirli. Ma Annibale ha aggiunto di più, questa madonna sembra sparata fuori dall’aria compressa, come un bolide lanciato dalla profondità del quadro, verso lo spettatore. Le tele laterali non potevano essere più distanti dalla pala che affiancavano, in queste opere c’è silenzio, immobilità e buio. Come in un fotogramma Caravaggio blocca la ferocia degli aguzzini bestiali, spossati dal peso fisico di Pietro, inconsapevoli del peso morale della loro azione, non si apre nessun cielo, non ci sono angeli, non c’è annuncio di resurrezione, non c’è speranza, solo silenzio sporco e disperato. Una sorta di eterno fermo immagine che blocca anche la meravigliosa folgorazione di Saulo, caduto a terra e illuminato da una visione che i Caravaggio non ci mostra, perché è tutta mentale e privata, per questo va fuori dall’esperienza della natura che sola guida la pittura. Morte della vergine, Caravaggio, 1604 Storie di carne: la galleria di palazzo Farnese 6 Quest’opera non fu probabilmente mai esposta sull’altare: i padri la rifiutarono, perché nel volto della madonna impersonificò una cortigiana da lui amata, senza devozione. Ma al di là dei particolari indecorosi, o della possibilità di identificare la modella-prostituta, ciò che era inaccettabile era il violento realismo del quadro. È una morte: senza angeli, senza gloria, senza assunzione al cielo, senza nessun segno non diciamo di trascendenza, ma nemmeno di speranza. È una situazione letteralmente disperata, la morte di una popolana del rione. Il clero e probabilmente anche il popolo non riuscivano ad accettare tutta questa verità, gli artisti compresero subito che si trattava di un capolavoro senza precedenti. Ciò che non andava bene in una chiesa mandava invece in visibilio gli artisti, e andava benissimo in una galleria principesca: la forma e la funzione prendevano strade diverse, avviando un processo di trasformazione. La galleria di Palazzo Farnese a Roma è la palestra della scuola romana dei Carracci, testo di fondazione di una nuova stagione dell’arte italiana, vero avvio del barocco e sorta di accademia della pittura europea fino a quando Picasso non inventerà il cubismo. Il committente della decorazione della sala fu il cardinale Odoardo Farnese. La potenza di amore è il vero tema degli affreschi: in particolare l’alterno rapporto tra amor celeste e amor terreno. Per rappresentare, Annibale dà vita a una struttura pittorica complessa, scalata su vari livelli di illusione: la sala appare incoronata da una sorta di altana, o belvedere, immaginata come un’architettura antica. Il primo ordine è scandito dai telamoni in marmo, in parte sbreccati, Separati da grandi medaglioni bronzi ossidati, e da quadri che raffigurano celebri episodi degli amori degli dei, tratti dal mito dell’epica classica. Quest’ordine è popolato da numerosi ignudi, e da puttini che Annibale finge vivi e intenti a sorreggere festoni di frutta. Ai quattro angoli, la struttura si apre in una loggia circondata da balaustre: stagliati, contro il cielo, si affrontano l’amore celeste e l’amor terreno. Il secondo ordine consiste nella volta vera e propria, composta da una serie di quadri riportati, tra cui spicca quello, grandissimo al centro, con il trionfo di Bacco e l’incontro tra la Venere celeste e quella terrena. La libertà e la sensualità dell’immagine fecero presto capire che nel palazzo del cardinale Farnese era tornata aspirare, vitalissima, la libertà dell’antichità e del Rinascimento: e che era ormai solo un ricordo il rigore del concilio di Trento. Per convincersene, basta guardare la scena con Giove e Giunone: è vero che si tratta di un lecito amore coniugale, ma l’aquila con i fulmini il pavone non bastano a camuffare una scena da altissima temperatura erotica. Fu, tuttavia, la pittura in sé, e non i suoi soggetti a segnare una svolta epocale, venendo subito riconosciuta come uno degli apici dell’intera storia artistica italiana: è la vocazione sostanzialmente pubblica del grande ambiente della galleria fece velocissimamente deflagare questa novità. Annibale non è più il solo grande naturalista rivoluzionario nutrito della pittura padana e veneta del 500, ma è ormai colui che più di ogni altro ha saputo metabolizzare la lezione del grande Rinascimento toscano e romano. Nella galleria Farnese possiamo leggere una riscrittura della volta Sistina di Michelangelo, ricalibrata attraverso uno studio diretto della scultura antica, quindi tuffata nella luce e nella sensualità di Tiziano e incarnata nella morbidezza e nel languore del Correggio. Le sette opere di misericordia, Caravaggio, 1606 7 Qualcosa di paragonabile avviene con le scene di genere, e con le mezze figure sacre: come comprendiamo se affianchiamo alla buona ventura di Caravaggio la riscrittura che ne offre vent’anni dopo il pittore francese Simon Vouet, o ancora se accostiamo a uno degli ombrosi e malmostosi giovani San Giovanni dello stesso Caravaggio il medesimo soggetto affrontato da un altro francese, Valentin di Boulogne, in una tela miracolosamente scampata al terremoto. In tutte e due questi casi la palese dipendenza dall’invenzione, dall’iconografia, dall’illuminazione l’altissima qualità pittorica non riescono a coprire la distanza per così dire etica: ciò che manca e la sovra umana capacità di Caravaggio di fissare per sempre nei colori la tensione di uno sguardo tra esseri umani, o la incombente presenza di un carattere. Madonna con Francesco e donatore, Tanzio da Varallo, 1614 10 Questo Bacco che esprime le sue uve direttamente nel bicchiere di un avido bevitore in costume contemporaneo e fu dipinto da Bartolomeo mentre Caravaggio era ancora in vita. In esso tutto è caravaggesco, ma niente lui è davvero: nel senso che ognuno dei vocaboli, e anche la sintassi sono quintessenzialmente caravaggeschi, ma Caravaggio non avrebbe mai dipinto un quadro così privo di tensione, così didascalico e puramente decorativo. Cioè il corpo, potremmo dire: ma non l’anima. È un giudizio che affiora dalle labbra di fronte a molti degli infiniti quadri che moltiplicarono, impastarono le più famose composizioni del Caravaggio. È il caso della tela dipinta dal padre di Artemisia, Orazio Gentileschi, un pittore che aveva nove anni più di Caravaggio, fu uno di coloro che si convertì al nuovo stile quando era un artista ormai maturo, e assai raffinato. David di Orazio ha un paesaggio sereno e la tavolozza chiarissima, sembra remota da Caravaggio: perché è intimamente debitore a quest’ultimo è il carattere del protagonista, questo David malinconico e il risoluto, che appare come bloccato nei suoi pensieri, Altri artisti seppero interpretare in modo profondo e, non di rado, sorprendente lo spirito della rivoluzione caravaggesca. L’anima e l’angelo custode, Spadarino, 1616 Cristo di fronte a Caifa, Gherardo delle notti, 1617 San Lorenzo distribuisce ai poveri il tesoro della Chiesa, Giovanni Serodine, 1623 11 Questo è uno degli artisti più affascinanti del seicento italiano, detto Tanzio da Varallo. Il quadro che vediamo è una specie di fedele riduzione, del mezzo busto, della Madonna del Rosario di Caravaggio. Tanzio immaginavo la scena metafisica, una specie di visione nella visione: di fronte alla vergine cade in ginocchio un severissimo San Francesco, che introduce un donatore a metà tra lo spazio del dipinto e il nostro, per nulla interessato alla trascendenza e invece intento a fissare negli occhi suoi sudditi. È un’altra altissima prova della profonda impressione che Caravaggio fece su molti dei suoi contemporanei. Qui il romano Giovanni Antonio galli, pensa un’intera pala d’altare come una sorta di passo a due: un ballo scherzoso e rischioso tra due fratelli, Guidato da quello adolescente e come subìto da quello ancora bambino, Che si spaventa quando si accorge di danzare sull’orlo dell’abisso. Il tema è quello dell’angelo custode che protegge l’anima dalla voragine del peccato: ma questo svolgimento tutto risolto in studio, con due corpi, qualche panno e due ali finte su uno sfondo nero, è davvero la quintessenza della rivoluzione caravaggesca. Con il passare degli anni si moltiplicano le opere esplicitamente caravaggesche. In quest’opera ammiriamo la suggestiva ambientazione notturna, che ne vale il suo nome, che non cancella, anzi esalta, la drammaticità di questo interrogatorio, di questo terzo grado seicentesco in cui la vicenda sacra serve a rappresentare l’ennesimo abuso di polizia su un margine, un migrante o un eterodosso. Santa Cecilia, Stefano Maderno, 1599 visto. Maderno lo fece con la forza e la verità di un Caravaggio della scultura. Maderno dice il vero: e non necessariamente sul Cecilia, ma sulla vera natura di un corpo, questa ragazza senza occhi senza labbra non può vederci o parlarci. Perché ha la faccia a terra, nella polvere, proprio come i corpi dei migranti che il mare spinge oggi sulle nostre spiagge. Costringendoci a dire che siamo testimoni oculari, era questa, in fondo, l’essenza della rivoluzione di Caravaggio. Napoli fu un luogo dove la rivoluzione di Caravaggio si affermò: qui la stagione naturalista durò fino al tre la metà del secolo, garantendo ai suoi protagonisti un ruolo pubblico è un successo che altrove non vennero colti. Immacolata concezione, Battistello Caracciolo, 1608 12 Forse il più grande tra i caravaggeschi fu il ticinese Giovanni Serodine. Egli immagina un angosciante sotterraneo, in cui le persone sono come inghiottite dal vuoto dell’oscurità, dove un giovane vestito in bianco e oro, distribuisce il tesoro a tre esemplari e interni della povera gente venuta dai tuguri al limite della campagna romana: il giovane storpio patetico, il vecchio sanguigno di apostolica serietà e incredibile barba nera… Nessun accento caricaturale, neppur lontano, serietà di obiettiva azione che non si raggiunge senza umana simpatia. È proprio questa altissima sintonia poetica con i propri soggetti a fare di Serodine una sorta di Rembrandt italiano. Si racconta che Papa Clemente VIII, il quale ritrovo il corpo dell’antica martire Cecilia, Sotto l’altare della chiesa di Trastevere. Oggi abbiamo molti dubbi su ciò che realmente conteneva la cassa, che era stata confezionata dal Papa Pasquale I, Alcune cautele precisazioni di illustri testimoni suggeriscono che forse si volle intravedere nella singolare sagoma di un mucchio di stoffe, la forma di un corpo umano. Il cardinale Paolo Camillo Sfondrati e domando a moderno di scolpire nel marmo candido ciò che tutti dicevano di aver visto Ultima comunione di San Girolamo, Domenichino, 1614 dei volti, gli affetti interiori che animavano i scuotevano ogni attore. Belloni dedico a quest’opera una delle pagine più ispirate della letteratura artistica seicentesca:’ il santo vecchio infermo portato in chiesa piega le ginocchia sulla predella dell’altare, e nel languore delle membra appare più viva la brama interna del vino pane. Viene su ostentato dal manto rosso onde si svela il corpo nudo: apre le braccia e le mani dimesse cadenti, aggrava il suo peso indietro, rilassa le gambe per mancanza di spirito e di vita, ogni membro si corica e si aggrava smorto ed esangue. Lo regge un giovane sotto il braccio destro, E nel sollevarli la spalla scorre si increspa Larry da pelle delle coste e delle mammelle vuote di carne di umore. Pare che in questo punto il santo accolga l’anima del suo signore, in questa figura il colore trapassa le forze di migrazione e vive nella stessa natura.’ Guido Reni 15 È fra i quadri più celebri del 600 romano. In esso l’artista prende le mosse dal dipinto di identico soggetto realizzato dal fratello di Annibale, Agostino Carracci e, sviluppandone però all’invenzione di una direzione di eloquenza compositiva, cromatica ed espressiva, che si può definire proto-barocco. La scena si svolge in una chiesa scenograficamente aperta su magnifico squarcio della campagna romana: una visione all’altezza delle migliori prove romane di Annibale. Il colore luminoso che anima le vesti liturgiche dei personaggi, collega idealmente il giovane Tiziano e il veronese maturo a esiti più vicini all’esperienza di Domenichino, quali preziosissimi di Federico Barucci, e financo le sontuose stoffe del Rubens romano. Ma a colpire l’immaginario dei contemporanei fu la capacità di rivelare, nei moti dei corpi e nelle espressioni Era un pittore del tutto indipendente. Guido fu il più sensibile all’eredità di Raffaello e a quello che sarebbe poi stato chiamato l’ideale classico. Questo felicissimo equilibrio tra imitazione ed idealizzazione lo porto a creare non solo uno stile, ma anche dei veri e propri tipi iconografici, il San Sebastiano ne è un esempio. Per quanto oggi fatichiamo a comprenderlo, a reni è stato il principale pittore del seicento, più celebrato in assoluto: ben più controverso di Caravaggio. Enormi quantità di riproduzioni, poster, derivazioni, riduzioni ha replicato in tutto il mondo Della sua celeberrima Aurora: la fresco di Guido e per Scipione borghese. Si tratta di un’immagine che occupa il centro di una sala del casino, la casa di villeggiatura, in cui il cardinale si ritirava e. Qui Reni non dimostra alcun desiderio di coinvolgere i sensi e dello spettatore, la pittura rimane rigorosamente un quadro riportato, mostrandosi come una tela che fosse stata attaccata al soffitto, dentro una cornice. La scena è composta come un rilievo antico, in cui l’aurora spargendo petali di rosa, colora il cielo dove avanza il carro del sole, guidato da Apollo. È evidente l’ispirazione classica, non però dovuta all’imitazione di un singolo modello, quanto più una rielaborazione. Aurora,Guercino, 1621 L’illusionismo sensoriale e la capacità di sedurre lo spettatore che Guercino sfoggia nel casino e forniranno strumenti importanti ai grandi orchestratori dei soffitti romani delle generazioni successive. La visione romantica di un paesaggio capriccioso, bagnato da una luce reale, è tradotto in macchie impressionistiche, che avrà seguito nella visione barocca della natura. Peter Paul Rubens L’impostazione del nome a Gesù, Rubens, 1605 16 Guercino era un carraccesco che porta fino nel cuore del barocco le inquietudini della tradizione pittorica della sua Ferrara. L’aurora che egli dipinge sul soffitto del casino suburbano del Cardinale nipote di Ludovico Ludovisi è molto distante da quella neoclassica, che Guido reni aveva evocato, non è più un quadro riportato, ma uno sfondato illusionistico in cui l’antichità, romanticamente in rovina introduce un cielo incendiato dal carro dell’aurora, il quale procede lento, tirato da due cavalloni, caravaggescamente naturali. Sotto appare una di quelle viste dei giardini di Roma: come se la parete del casino fosse scomparsa, e lo spettatore si trovasse nella villa che lo circonda. Proprio in questo giardino dorme la personificazione della notte, tra pipistrelli civette e putti. Venuto in Italia con la libertà di un pittore in viaggio di formazione, Peter Paul Rubens mise a frutto per otto anni le sue doti di straordinario osservatore. Con i suoi occhi fiamminghi è possibile vedere in Caravaggio in Annibale il barocco, e in qualche modo lo possiamo vedere davvero attraverso le sue opere romane di quel periodo. Si tratta di dipinti in un certo senso aurorali, come nel caso del ciclo realizzato per la cappella di Santa Croce in Gerusalemme. Cristo deriso e l’innalzamento della croce sembrano quadri di Caravaggio, per luce, composizione tipi di modelli, ma privati della loro immobilità e del loro silenzio, accelerati, affollati e immersi in un percepibile rumore di fondo. Nella terza tavola, con la matrona sant Elena vediamo una purissima creatura carraccesca, Ma come intrinseca di luce, e resa inquieta e vibrante. Contrariamente a quanto si ritiene di solito, la struggente deposizione, creata dopo la visione della deposizione di Tiziano, che egli, serratamente parafrasa. Il sarcofago, il sudario, il braccio del Cristo vengono direttamente da Tiziano, insieme al tuo non cromatico generale, la relazione altamente patetica che quasi fonde il corpo di Cristo a quello della madre scaturisce dalla recente conoscenza della pittura di Caravaggio: ed era stato Annibale a mostrare a Rubens come metabolizzare fondere insieme le suggestioni di questi tuoi giganti del secolo precedente. Una tela alta 4 m dipinta Roma, ma destinata alla chiesa di Genova. Composizione, tensione e movimento di quest’opera dolce solenne, dove l’irruzione della gloria celeste si accompagna alla monumentalità dei personaggi sul proscenio, alla delicatezza delle espressioni, al violento, elettrizzante contrasto luce ombra. È ancora possibile identificare i singoli prestiti da Tiziano il Correggio, Annibale Caravaggio: non è più possibile isolarli, o trattarli separatamente, perché negli occhi e nelle mani di Rubens tutte queste suggestioni sì sono ormai fuse in un linguaggio nuovo. Madonna della vallicella, tra angeli e santi, Rubens, 1606 inconfondibilmente caraccesco. Al centro Rubens dipinse un’immagine della Madonna col bambino portata in volo da tutti angelici in un turbinio di nuvole paradisiache, Adorata da un cerchio di angeli genuflessi in primo piano, proprio sopra la mensa dell’altare. Nel trittico della madonna si avverte che nato qualcosa di complementarmente nuovo: lo studio di Correggio e di Tiziano ha generato una nuova retorica dell’immagine, basata sul movimento sul colore, funzionale a costruire una fortissima empatia emotiva con lo spettatore. La grande novità sta proprio nella sua articolazione in tre parti distinte: grazie al dialogo di sguardi e di gesti e all’unità dell’azione che congiunge i tre quadri attraverso lo spazio reale del presbiterio, quest’ultimo diviene una sorta di palcoscenico, dove si agita perennemente con una sacra rappresentazione. Deposizione, Caravaggio vs Rubens il barocco esplose negli ultimi quadri di Rubens, ma nessuno sembrò accorgersene. Bisognerà aspettare oltre 10 anni perché le opere lasciate a Roma da Rubens fossero davvero comprese messe a frutto. In un ennesimo colpo di scena, ad appiccare finalmente il fuoco alla lentamente miccia Rubensiana non fu un pittore, ma uno scultore: Bernini. Al Palazzo Magnani di Bologna Ludovico, Annibale ed Agostino Carracci dipinsero la storia di Roma, tra il 1590 e il 1591. Qui ad essere protagonista non è la lupa con Romolo e Remo: ma proprio la dilagante, preponderante visione di quest’Ansa del Tevere. Non c’è nulla di pettinato, di coltivato, di idealizzato: chiuso e poteva riconoscere il paesaggio autunnale in cui sfumavano, con un dolce, 17 L’estremo traguardo delle Rubens italiano si compia Roma, egli ottenne con tanta gloria l’incarico di dipingere la pala dell’altare maggiore della chiesa nuova fondata dagli oratoriani di Filippo neri. L’opera apprezzatissima, fu collocata sull’altare, dove però risultò quasi illeggibile a causa dei perversi lumi, l’artista non si perse d’animo e mi condusse una nuova versione, questa volta concepita come un trittico, e dipinta su grandi lastre d’ardesia, per evitare riflessi. Anche i vincoli iconografici erano pesanti, poiché il cardinale aveva chiesto che vi fossero rappresentati alcuni dei santi dei quali la chiesa possedeva le reliquie, e che al centro fosse venerata l’icona della madonna. Rubens divise i santi in due gruppi: nel quadro alla sinistra dei fedeli dipinse San Gregorio magno, tra i santi Mauro e Papiano, stagliandoli sul fondo nero tipicamente caravaggesco. In quello a destra rappresento Santa Domitilla, trai due schiavi, immergendoli in un paesaggio Caravaggio sulla chiesa nuova, aveva lasciato una delle sue opere più avanzate, che rappresenta il monumento più terribile della passione, Giovanni e Giuseppe che calano lentamente il corpo del salvatore nella tomba. Egli aveva immaginato la scena come un gruppo scolpito dalla luce e posto su una sorta di piedistallo di marmo: quest’ultimo non è altro che il coperchio del sepolcro, che buca la tela proprio in faccia allo spettatore, e che è dipinto in modo da sovrapporsi direttamente alla mensa dell’altare su cui è collocato il quadro. L’invenzione e teologicamente fortissima: il corpo di Cristo sembra deposto sull’altare su cui si compie il sacrificio eucaristico, e su cui posa il pane divenuto corpo di Cristo. Rubens studiò con grandissima attenzione la deposizione di Caravaggio, che replicò con qualche variante, in una tela dipinta nel 1612. L’aspetto davvero paradossale di tutto ciò è che
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