Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Le trasformazioni dell’Europa nel XIX secolo: Inghilterra vittoriana, Francia e Germania, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Sistemi Politici EuropeiGuerra di CrimeaPolitica coloniale italianaStoria del XIX secoloUnificazione tedesca

Le trasformazioni politiche e sociali in Inghilterra, Francia e Germania durante il XIX secolo, con particolare attenzione al sistema politico inglese dopo la Glorious Revolution, alla Seconda Repubblica Francese e al Secondo Impero, e all'unificazione tedesca sotto la guida della Prussia. Vengono inoltre trattati argomenti come la Guerra di Crimea, la Questione d'Oriente, la Triplice Alleanza e la politica coloniale italiana.

Cosa imparerai

  • In che modo la politica coloniale influenzò l'espansione dell'Italia?
  • Quali furono le principali fasi dell'unificazione tedesca?
  • Come si evolse il sistema politico inglese dopo la Glorious Revolution del 1688-1689?
  • Come si sviluppò la Seconda Repubblica Francese e il Secondo Impero?
  • Quali furono le conseguenze della Guerra di Crimea e della Questione d'Oriente?

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 03/06/2022

f_francy
f_francy 🇮🇹

4.4

(11)

31 documenti

1 / 11

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Le trasformazioni dell’Europa nel XIX secolo: Inghilterra vittoriana, Francia e Germania e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! CAPITOLO 2 Le trasformazioni dell’Europa 2.1 L’Inghilterra vittoriana e la trasformazione del sistema politico negli anni di Gladstone e Disraeli Il sistema politico istituzionale della Gran Bretagna, dopo la Glourious Revolution del 1688-1689, divenne un modello di regime costituzionale liberale basato sulla sovranità della nazione e del Parlamento. Si fondava sulla monarchia, l’aristocrazia e la rappresentanza popolare. Il sistema istituzionale inglese prevedeva che il potere legislativo fosse detenuto da due camere: la Camera dei Comuni, elettiva e composta dai rappresentanti delle comunità delle nazioni; la Camera dei Lord, con i membri dell’aristocrazia e della Chiesa anglicana di nomina regia o per eredità. Inizialmente, il re possedeva il potere esecutivo ma venne sempre più limitato, fino alla riforma del 1867, con la quale si instaurò un rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo. Il primo priministro era un rappresentante del partito vincitore alle elezioni. I due partiti principali sono i Whigs e i Tories, che dal XIX secolo costituiranno i liberali e i conservatori. Tra gli anni Sessanta e Settanta, liberali e conservatori cominciarono a dotarsi di strutture organizzative stabili e a carattere nazionale. Il sistema inglese della prima metà dell’Ottocento si basava su un’estensione limitata del suffragio e la Camera elettiva veniva decisa solo dalle classi medie e medio-alte. Nel 1832, il First Reform Act sanciva il diritto di voto ad un maschio adulto su cinque. Con il Second Reform Act del 1867, varata da Benjamin Disraeli, venne concesso ai proprietari di beni mobili e immobili e a coloro che pagassero un affitto nei centri urbani. Il sistema elettorale inglese rimase il maggioritario a turno unico che, però, con il tempo favorì un sistema tendenzialmente bipartitico. Il sistema inglese era composto da elementi tradizionali e rituali del sistema politico, come la monarchia e la Camera dei Lord, che garantivano stabilità e continuità alle istituzioni, e elementi razionali e pratici, quindi il governo di gabinetto e la Camera dei comuni per l’efficienza e la funzionalità del sistema. Dagli anni Settanta dell’Ottocento, ci fu la figura della regina Vittoria che consolidò il sistema liberal parlamentare inglese. Il suo regno durò dal 1837 al 1901, definendo questo periodo come Epoca Vittoriana, caratterizzato da una nuova monarchia popolare. La stabilità dell’Inghilterra contribuì alla crescita economica inglese e grazie all’ampliamento dei commerci e all’industrializzazione, alla fitta rete ferroviaria e alla grande flotta mercantile, il paese divenne il principale centro commerciale e finanziario. Dal punto di vista sociale, lo sviluppo portò al consolidamento della classe media. Infatti, il XIX secolo viene definito secolo della borghesia, la quale includeva le élite economiche e colte, ma anche le figure sociali di più basso livello, come artigiani, piccoli proprietari terrieri e commercianti. I valori dell’etica borghese prevedevano l’austerità, l’inclinazione al risparmio, il rispetto dell’autorità del capofamiglia, la subordinazione della donna e il decoro della famiglia. Questi influenzarono anche la morale della classe lavoratrice nella seconda metà dell’Ottocento. Dal punto di vista politico, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, l’egemonia del Whig lord Henry John T. Palmerson rappresentò il culmine della golden age Vittoriana e della supremazia economica e culturale del modello inglese. Dopo la sua morte, si riaccese il conflitto riguardo all’estensione del suffragio. Le elezioni del 1868 furono le prime a suffragio allargato e vinse il leader del Partito Liberale William E. Gladstone che rimase in carica fino al 1874. Nel 1872 venne abolito il voto palese e venne varato l’Education Act, una riforma che migliorò il funzionamento dell’istruzione pubblica. Venne riformata l’amministrazione pubblica attraverso l’introduzione del reclutamento mediante concorsi e con la rimozione delle barriere dell’avanzamento in base al merito. Nell’esercito, inoltre, venne proibita la compravendita delle cariche e dei gradi. Per quanto riguarda le rivendicazioni dell’Irlanda, dovute al sentimento nazionalista di autonomia irlandese dalla Gran Bretagna della maggioranza cattolica, Gladstone tentò la conciliazione attraverso l’eliminazione dei privilegi della Chiesa anglicana e con l’irish Land Act del 1870, migliorò le condizioni dei fittavoli. Alle elezioni del 1874, nonostante questo, vennero eletti alcuni rappresentanti del partito nazionalista irlandese che sostenevano la necessità di un Parlamento irlandese autonomo. A queste elezioni, vinsero i conservatori di Disraeli, i quali vararono delle riforme sociali riguardo la salute pubblica, la casa, le sofisticazioni alimentari, l’istruzione e l’attività sindacale, eliminando delle restrizioni al diritto di sciopero per le Trade Unions. Inoltre, il governo si impegnò anche in un forte attivismo in politica estera, promuovendo la politica coloniale britannica, specialmente con il consolidamento dei possessi indiani attraverso la proclamazione di Vittoria imperatrice delle Indie (1876). Cercò anche di assicurare alla Gran Bretagna un ruolo più attivo nella gestione degli affari europei. Al Congresso di Berlino del 1878, dopo la guerra russo-turca, Disraeli riuscì ad ottenere l’isola di Cipro. Intanto, Gladstone rimase a capo del Partito Liberale, il quale vide l’emergere di Joseph Chamberlain, leader radicale fondatore della National Liberal Federation nel 1877. Per evitare contrasti tra l’ala moderata e l’ala radicale, Gladstone concentrò il Partito sull’opposizione alla politica estera filoturca di Disraeli in quanto in contrasto con la morale e la religione inglese. Il Partito Liberale vinse alle elezioni del 1880, grazie anche alla Bulgarian Agitation. Gladstone, però, non riuscì a ribaltare totalmente l’indirizzo imperialistico di politica estera. Infatti, nel 1882 avviò l’occupazione dell’Egitto. In politica interna, nel 1884 varò il Third Reform Act, una legge elettorale che estese il Second Reform Act anche ai lavoratori agricoli e nel 1885 approvò una legge per una più equa distribuzione delle circoscrizioni elettorali. Nel 1886, Gladstone promosse la legge per l’Home Rule (autogoverno) irlandese e ciò causò la spaccatura tra i liberali inglesi. Sanciva l’istituzione di un Parlamento autonomo a Dublino, lasciando a quello di Londra il controllo della difesa, della politica estera e delle finanze. Era volto a cessare le aspirazioni autonomistiche dell’Irlanda e a terminare le azioni terroristiche del movimento feniano. L’opposizione dei liberali, specialmente radicali, fece fallire il disegno di legge. Gladstone si dimise. Gli oppositori dell’Home Rule, guidati da Chamberlain, costituirono il Partito Liberale Unionista che in futuro si avvicinerà al Partito Conservatore. Così, il Partito Liberale divenne più compatto e radicale e il Partito Unionista consentì al Partito Conservatore di proseguire l’indirizzo di Disraeli, basato sul riformismo sociale, sul nazionalismo e sulla politica imperialistica. Alle elezioni del 1886 venne sconfitto il Partito Liberale in favore dei conservatori che, guidati dal 1886 da Lord Salisbury, governeranno fino al 1905. 2.2 La Francia dal Secondo Impero alla Terza Repubblica La Seconda Repubblica Francese nacque dai moti del 1848 dall’elezione quasi plebiscitaria della Repubblica del conservatore Luigi Napoleone Bonaparte. Nel luglio 1851, Luigi Napoleone cercò di far approvare dall’Assemblea nazionale un progetto di revisione costituzionale per potersi ricandidare, nonostante la Costituzione sancisse la non rieleggibilità consecutiva del presidente. L’Assemblea si rifiutò, quindi Napoleone fece occupare dall’esercito Parigi e la sede del Parlamento il 1° dicembre 1851. Il 21 dicembre indisse un plebiscito grazie al quale riuscì ad ottenere anche i poteri per redigere una nuova Costituzione che venne promulgata a gennaio 1852. La carica del presidente venne prolungata di dieci anni, stabiliva il suffragio universale maschile diretto e toglieva alla Camera l’iniziativa legislativa, trasferendo nelle mani del presidente e di una seconda Camera, il Senato di nomina presidenziale. Il 7 novembre 1852, attraverso una modifica costituzionale, venne reintegrata la dignità imperiale e venne attribuita allo stesso Luigi Napoleone, che assunse il nome di Napoleone III. In dicembre, attraverso un plebiscito, venne istituito il Secondo Impero Francese. In questo periodo, si costituì una nuova firma di governo, definita Bonapartismo, una dittatura basata su elementi di modernità, quali il suffragio universale diretto mediante plebiscito, e su forme arcaiche e conservatrici come il recupero dell’Ancien Régime. Il regime era tra il paternalismo e l’autoritarismo: infatti, garantì ai contadini la conservazione della proprietà terriera e cercò l’appoggio della borghesia urbana e degli imprenditori attraverso la crescita delle attività legate al settore bancario e agli investimenti in opere pubbliche. Perciò, in politica interna, l’obiettivo era quello di evitare scontri politici interni e di legittimare l’Impero. In politica estera, invece, puntò sulla condotta aggressiva per riaffermare Parigi come massima potenza continentale e sulla revisione del sistema successivo al Congresso di Vienna. Con la riaffermazione della Questione d’Oriente, cioè il tentativo russo di espandersi nel Mar Nero e nei Balcani, Napoleone III scese in guerra affianco alla Gran Bretagna contro i russi nella Guerra di Crimea. Nel 1854 cadde Sebastopoli e la Conferenza di pace di Parigi del 1856 sancì la sconfitta russa. In questa conferenza venne affermata la potenze inglese, seguita subito da quella francese. Da questo momento Napoleone III divenne favorevole ai movimenti nazionali che contestavano l’ordine della Restaurazione e ciò si tradusse nell’alleanza del 1858 col Regno di Sardegna: gli accordi di Plombières tra Napoleone III e il presidente del Consiglio del regno sabaudo Camillo Benso Conte di Cavour sancivano che in caso di conflitto con Vienna, la Francia avrebbe ottenuto Nizza e Savoia, mentre Napoleone sull’Italia Centrale. Con la vittoria del 1859 contro l’Austria, però, Napoleone non riuscì a subentrare all’Impero asburgico come potenza egemone sul territorio italiano poiché l’imperatore francese si ritirò dal conflitto e siglò un armistizio a Villafranca con l’Austria l’11 luglio 1859. Infatti, questo conflitto gli stava causando una perdita di consensi e le aspirazioni all’unificazione italiana gli avrebbe fatto perdere molto sostegno. Per riacquistare legittimazione, Napoleone III varò un piano di riforme in senso liberale che portò alla modifica della Costituzione nel 1869. Venne, infatti, introdotto il principio della responsabilità ministeriale verso il Parlamento, ritornando ad un sistema rappresentativo. Questa fase venne definita Impero Liberale (1870). La svolta liberale trovò l’opposizione dei monarchici e dei conservatori ma le grandi ambizioni egemoniche di Napoleone entrarono in conflitto con la Prussia, da sempre in contrasto per la alle leggi antisocialiste vennero approvati una legislazione sociale che prevedeva assicurazioni contro malattie, infortuni, invalidità e un sistema pensionistico per la vecchiaia. L’obiettivo era quello di sconfiggere la socialdemocrazia impedendole l’azione e la propaganda attraverso leggi repressive e sottraendo consensi da parte della classe operaia attraverso la legislazione sociale. Questa strategia però finì per rafforzare il Partito stesso in quanto le leggi antisocialiste lo avevano costretto a dotarsi di un'efficace organizzazione e alle elezioni del 1890 riuscì a fare eleggere alcuni deputati al Reichstag. Per quanto riguarda la politica estera, Bismarck costituì dal 1870 delle alleanze che avrebbero posto il Reich in una posizione di egemonia e fautore dell’equilibrio politico. Per garantirsi la neutralità delle potenze orientali in caso di conflitto con la Francia, Bismarck promosse con Austria e Russia il Patto dei tre imperatori (1873), un’alleanza fondata sulla difesa reciproca basato sulla conservazione. Nel 1878 convocò il Congresso internazionale di Berlino per ridimensionare gli spazi dello zar di Russia conquistati dopo lo scontro con l’Impero ottomano del 1877, che si scatenò in difesa dei popoli slavi che subivano le repressioni attuate nel 1875-1876 da parte del governo ottomano. Lo zar sconfisse i turchi e, attraverso la pace di Santo Stefano del 1877, consolidò il suo potere nei Balcani che si scontrava con il progetto di equilibrio europeo. Perciò, al Congresso di Berlino, la Germania dovette promuovere l’ordine geopolitico europeo ridimensionando i territori russi e avvantaggiando le posizioni dell’Austria. La Gran Bretagna ottenne Cipro e rafforzò il suo primato nei mari e il controllo sul Mediterraneo orientale. Alla Francia venne lasciata la libertà di conquistare la Tunisia. Le decisioni di Bismarck complicarono i rapporti con Russia e Austria a causa della rivalità per il controllo della penisola balcanica. Nel 1881, Bismarck riuscì a sottoscrivere un nuovo Patto dei tre imperatori che stabilisse una mediazione riguardo le aree di influenza all’interno dei Balcani. Siglò anche un’alleanza segreta con l’Impero asburgico, alla quale si aggiunse l’Italia nel 1882, istituendo la Triplice Alleanza. Tra il 1885 e il 1886, nuovi scontri causarono la fine al Patto dei tre imperatori ma Bismarck, temendo una rivolta russa, strinse un patto segreto con lo zar nel 1887, definito Patto di contrassicurazione, che stabiliva la neutralità russa in caso di conflitto franco-tedesco e la neutralità tedesca in caso di guerra austro-russa. Bismarck riuscì, così, ad isolare la Francia eliminando la possibilità di un’alleanza franco-russa. Con il nuovo imperatore Guglielmo II, salito al trono 1888, l’equilibrio si ruppe a causa delle sue aspirazioni in politica estera. Inoltre, fallirono anche le leggi antisocialiste poiché alle elezioni del 1890, l'SPD ebbe un grande consenso che costrinse Bismarck alle dimissioni. 2.4 L’Impero asburgico L’Impero asburgico era riuscito a superare il biennio 1848-1849 grazie all’apparato burocratico-militare. L’instabilità dei moti, però, preoccupò la classe dirigente asburgica. La riorganizzazione istituzionale venne attuata all’assolutismo, revocando la Costituzione del 1849 e dando vita ad un organismo rappresentativo bicamerale. L’amministrazione era centralizzata ma le varie etnie cominciarono a sviluppare sentimenti autonomistici sempre più forti. A causa anche del malcontento dell’aristocrazia terriera dovuto all’abolizione della servitù della gleba, la casa d’Asburgo ottenne una nuova legittimazione dalla classe dei contadini, i quali crearono una piccola proprietà contadina. Il clero divenne il secondo sostenitore, grazie al Concordato del 1855 tra l’Impero e la Santa Sede. Il centralismo burocratico, i contadini e il Concordato erano gli elementi conservatori che reggevano l’Impero di Francesco Giuseppe ma proprio a causa loro, nacque un’insoddisfazione borghese. L’Impero infatti non si sviluppò in economia e industria e non riuscì ad avviare riforme sociali adeguate. Inoltre, sul piano internazionale, l’Impero asburgico costituì il primo grande ostacolo al progetto di costruzione di uno Stato nazionale delle popolazioni di lingua tedesca di Bismarck. La prima sconfitta asburgica avvenne nella guerra del 1866 e con la Pace di Praga, l’Impero perse il Veneto e passò nelle mani del Regno d’Italia. Questi eventi portarono al compromesso del 1867 e alla Costituzione che fece nascere la duplice monarchia austro-ungherese. Austria e Ungheria possedevano un Parlamento e un Governo autonomi ma erano accomunate dallo stesso imperatore, che possedeva poteri sulla politica estera, di difesa e finanziaria. La lingua ungherese divenne il secondo idioma del regno, dopo quella tedesca. Il compromesso del 1867 causò un aumento del malcontento delle minoranze, specialmente quella slava alla quale venne negata l’autonomia che venne concessa agli ungheresi. 2.5 L’Italia: l’unificazione da Cavour alla caduta di Crispi Il fallimento dei moti del 1848-1849 segnò il ritorno sui troni dei legittimi sovrani e il ritiro di ogni progetto di riforma istituzionale. Solo in Piemonte venne mantenuto in vigore lo Statuto Albertino per volontà del nuovo sovrano Vittorio Emanuele II. Dal 1850, nel governo piemontese cominciò ad affermarsi la figura del Conte di Cavour, liberale sostenitore del parlamentarismo e della modernizzazione economico-politica del Regno di Sardegna. Nel 1852 venne nominato presidente del Consiglio e stabilì una coalizione tra la maggioranza moderata, guidata da lui, e l’ala più moderata della sinistra parlamentare, guidata da Urbano Rattazzi. Nacque così il cosiddetto “connubio” grazie al quale le forze estreme, quali i clericali ultraconservatori e i democratici, venne esclusi dall’attività politica. Cavour riuscì a formare un governo dotato di ampia maggioranza di centro. Si impegnò anche nell’interpretazione in senso parlamentare dello Statuto Albertino. Nel regno sabaudo cominciò ad affermarsi un sistema di monarchia costituzionale parlamentare. Cavour, inizialmente, non sosteneva il progetto di unificazione italiana in quanto era convinto che ciò dovesse avvenire in maniera graduale. Si concentrò perciò sull’opera di modernizzazione economica del Piemonte sabaudo, su basi liberoscambiste, attraverso opere pubbliche e impegnandosi nello sviluppo agricolo e industriale. Alla Conferenza di Parigi del 1856, con il Piemonte come potenza vincitrice della guerra di Crimea, si pose il problema dell’indipendenza della penisola. Cavour voleva allargare i confini a scapito dell’Austria ma il progetto si scontrò con le mire espansionistiche francesi. Oltre a ciò, Cavour doveva impegnarsi nel controllo dei fermenti patriottici rivoluzionari che nacquero dal 1849. Infatti, l’ala democratica di Giuseppe Mazzini sosteneva che l’unità d’Italia sarebbe stata possibile solo attraverso un moto insurrezionale repubblicano. A causa dei continui fallimenti e della repressione austriaca delle organizzazioni mazziniane in Lombardia, nacque all’interno dei democratici un’ala patriottica filosabauda. Nel 1857 nacque la Società nazionale, fondata dal veneziano Daniele Manin per operare con il governo costituzionale sabaudo per l’unità. Alla proposta aderirono molti democratici, tra cui Giuseppe Garibaldi. Il Regno di Sardegna cominciò ad essere l’unica soluzione per raggiungere l’obiettivo di unità. Nel gennaio 1858 fallì l’attentato alla vita di Napoleone III da parte del mazziniano Felice Orsini e ciò causò un avvicinamento della Francia al Piemonte di Cavour. Nel 1858 vennero siglati gli accordi di Plombières che prevedevano la cessione alla Francia dei territori transalpini di Nizza e della Savoia e la divisione della penisola italiana in Stato del Nord sotto il controllo Sabaudo, Stato del centro costituito dalla Toscana e dalle province pontificie, e Stato meridionale liberati dal controllo borbonico. Per rendere questo accordo effettivo, era necessaria un’aggressione da parte dell’Austria e Cavour la ottenne attraverso delle manovre militari al confine tra Piemonte e Lombardia con la fornitura di armi ai corpi volontari dei Cacciatori della Alpi guidati da Garibaldi. L’ultimatum di Vienna giunse il 23 aprile 1859 ma Cavour lo respinse e cominciarono le ostilità. Dopo le prime vittorie franco-sabaude, Napoleone III decise di firmare l’armistizio di Villafranca con l’Austria nel 1859, senza consultare il regno sabaudo. Stabiliva il passaggio della Lombardia alla Francia, per poi passare al Piemonte. La decisione di Napoleone III fu dovuta alla situazione italiana caratterizzata da insurrezioni che costrinsero alla fuga i sovrani e alla rottura della divisione in tre stati come stabilito dagli accordi di Plombières. Nel 1860, l’Emilia, la Romagna e la Toscana votarono un plebiscito riguardo all’assetto dei loro territori e vinse la soluzione unitaria sotto il controllo del Piemonte. Poco prima, Cavour aveva ceduto Nizza e Savoia alla Francia in cambio della non intromissione di Napoleone III riguardo alle trasformazioni territoriali italiane. Il Regno Sabaudo si trasformò così in un vero e proprio stato nazionale e ripresero le iniziative democratico-mazziniane che sollecitarono l’intervento di Garibaldi a sostegno di un’insurrezione antiborbonica in Sicilia. Il 5 maggio 1860, Garibaldi guidò la Spedizione dei Mille partendo da Quarto e ciò gli consentì di controllare tutta l’isola e risalire fino a Napoli. Cavour si mobilitò immediatamente per sostenere il movimento nazionale e per impedire eventuali velleità di avanzate garibaldine. Il governo piemontese inviò l’esercito nello Stato Pontificio dove sconfisse le truppe pontificie a Castelfidardo. Vittorio Emanuele II raggiunse così Garibaldi nell’ottobre 1860 a Teano. Nel frattempo, nelle province meridionali, nelle Marche e in Umbria, attraverso un plebiscito venne decretata l’annessione al regno sabaudo. Il 17 marzo 1861, il Primo Parlamento nazionale, eletto con la legge elettorale del Regno di Sardegna, proclamò Vittorio Emanuele II re di Italia, chiudendo così la prima fase del Risorgimento. L’unificazione venne ottenuta attraverso l’iniziativa liberal-moderata di Cavour e della monarchia sabauda, dal movimento popolare con le insurrezioni nell’Italia meridionale e centrale e dalla spedizione garibaldina dei mille. Poco dopo la proclamazione dell’unità, Cavour morì e la classe dirigente moderata perse il suo dirigente principale. Questo gruppo avrebbe governato fino al 1876 e viene definito Destra Storica, fondata su liberalismo moderato, favorevole alla libertà costituzionale ma contrario alla democratizzazione rapida delle istituzioni, liberista in economia e laica nei rapporti Stato-Chiesa. I suoi esponenti principali furono Quintino Sella, Luigi Carlo Farini, Marco Minghetti, Stefano Jacini, Silvio Paventa, tutti aristocratici terrieri o alti borghesi. Dall’altro versante vi era la Sinistra Storica composta dalla vecchia sinistra piemontese, con il leader Agostino Depretis e dai patrioti mazziniano o garibaldini come Francesco Crispi e Benedetto Cairoli, staccatisi dalla componente repubblicana. Sosteneva un liberalismo più progressista, favorevole all’allargamento delle basi democratiche del regno, al decentramento amministrativo, al completamento dell’unità nazionale attraverso l’iniziativa popolare. I consensi giungevano specialmente dalla piccola e media borghesia e dal ceto agrario del sud. Entrambi gli schieramenti erano espressione di una classe dirigente ristretta con una legittimità elettorale limitata in quanto la legge elettorale permetteva solo al 2% della popolazione il diritto di voto. Grazie all’assenza del sistema strutturato di partiti, la lotta politica era caratterizzata da un gioco di alleanze e mediazione tra i gruppi di notabili del Parlamento lontani dal Paese reale. La Destra dovette operare in un contesto caratterizzato da emergenze e squilibri e perciò non si utilizzò un sistema decentrato, ma ci si concentrò sull’accertamento amministrativo e sulla piemontesizzazione, cioè l’estensione a tutte le regioni delle leggi presenti nel vecchio Regno di Sardegna, che avvenne tra il 1861 e il 1865. In questo periodo si verificò anche il fenomeno del brigantaggio, specialmente in meridione, rivelando l’arretratezza e il malessere delle popolazioni contadine meridionali. Si componeva di bande di ribelli, contadini insorti, ex militari borbonici. Nel 1863, perciò, il governo emanò la Legge Pica, dichiarando lo stato di emergenza nel mezzogiorno e inviando l’esercito che represse la guerra civile. La Destra Storica si convertì ad un’attitudine statalista e al dirigismo di stampo giacobino per concludere l’unificazione amministrativa e legislativa del Paese. In campo finanziario, dal 1861 si cercò di raggiungere il pareggio del bilancio e ciò avvenne grazie alla politica fiscale e al rigore finanziario, che colpirono anche i ceti più agitati oltre a quelli meno abbienti, già da penalizzati dalla legge sul macinato del 1868. Questo fiscalismo causò delle agitazioni sociali ma consentì al governo di raggiungere a metà degli anni Settanta il pareggio d bilancio. Inoltre, la Destra procedette anche alla requisizione in favore del demanio pubblico dei beni di proprietà delle congregazioni e degli ordini religiosi. Un altro grande obiettivo era quello del completamento dell’unità nazionale. Dopo aver fermato sull’Aspromonte la Spedizione garibaldina per non inimicarsi la Francia, la situazione si arenò con la firma della Convenzione di settembre del 1864 tra Marco Minghetti e Napoleone III. Essa stabiliva che l’Italia sarebbe rimasta all’interno dei propri confini rinunciano a Roma capitale e la Francia avrebbe ritirato le truppe dal Lazio. Il governo perciò trasferì la capitale da Torino a Firenze. Però, la guerra scoppiata nel 1866 tra la Prussia e l’Impero asburgico permise all’Italia di ottenere dall’Austria la cessione del Veneto, attraverso un’alleanza con la Prussia. Per quando riguarda la questione romana, invece, nel 1867 Garibaldi tentò nuovamente di occupare Roma ma vennero bloccati dall’esercito francese, nonostante la convenzione del 1864. Grazie alla sconfitta subita dai francesi durante la guerra Franco-prussiana del 1870, che comportò il venire meno degli accordi, il governo adottò l’opzione militare. Il 20 settembre 1870 le truppe italiane entrarono a Roma e la proclamarono capitale di Italia grazie alla Breccia di Porta Pia. Nel 1871 venne varata la legge delle guarentigie per definire i rapporti con la Santa Sede: il Regno d’Italia garantiva al Pontefice la massima autonomia nel magistero spirituale secondo il principio libera Chiesa in libero Stato e si impegnava a fornire al Pontefice una dotazione annua per il mantenimento della corte papale. Pio IX non accettò la perdita del potere temporale e adottò una linea di intransigenza. Nel 1874 venne formulato il divieto per i cattolici di partecipare alla vita politica, definito non expedit. Perciò, all’interno del cattolicesimo si delinearono il transigentismo, cioè il tentativo di conciliazione e l’intransigentismo, dotato di un’organizzazione chiamata Opera dei Congressi, basato sul liberalismo laico. La Destra iniziò poi a dividersi al suo interno e la spaccatura definitiva di ebbe il 18 marzo 1876, quando il governo guidato da Minghetti fu messo in minoranza e costretto alle dimissioni su un provvedimento riguardo alla gestione statale delle ferrovie. Vittorio Emanuele II affidò così l’incarico di formare un nuovo esecutivo al leader della Sinistra Storica Agostino Depretis. Alle elezioni successive si verificò un netto mutamento elettorale con la netta vittoria della Sinistra. Nel 1876 iniziò così il governo della Sinistra basato sull’allargamento del suffragio, sulla riforma dell’istruzione e sulla riforma fiscale. Nel 1877 venne emanata la Legge Coppino che sanciva l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione pubblica fino al primo biennio elementare. Nel 1882 venne emanata una nuova legge elettorale che abbassò la maggiore età a 21 e i requisiti divennero l’alfabetizzazione e l’istruzione: il corpo elettorale si triplicò. Il sistema elettorale venne modificato sostituendo il collegio uninominale con collegi plurinominali che avrebbero dovuto portare i deputati ad occuparsi della politica nazionale complessiva. Per quanto riguarda il sistema finanziario, la Sinistra garantì sgravi fiscali per i settori più in difficoltà, aumentò la spesa e iniziò a seguire una linea protezionistica che giunse definitivamente nel 1887. Venne infatti varata una nuova tariffa generale per proteggere l’industria e l’agricoltura italiane dalla concorrenza straniera con l’imposizione di dazi all’entrata. Finì però per colpire soprattutto il settore agricolo delle colture specializzate, che si basava sulle esportazioni. In vista delle elezioni del 1882, cominciò a delinearsi una prima possibile alleanza tra la Destra e la Sinistra Storica che si stabilì quando Depretis e Minghetti presentarono il loro progetto di formazione di un l’autogoverno locale, con l’istituzione nel 1864 di consigli distrettuali e provinciali elettivi in rappresentanza dei proprietari, delle comunità rurali e della popolazione urbana. Erano però sottoposti al controllo dell’autorità centrale e composti in maggioranza da nobili, ma cominciarono ad essere importanti nella gestione dei servizi pubblici, dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione. Vennero riformati il sistema giudiziario, l’esercito e il sistema scolastico. Queste riforme avviarono un processo di modernizzazione che venne messo in discussione quando, nel 1863-1864, i polacchi insorsero rivendicando una maggiore autonomia. Lo slancio riformista si concluse nel 1866, con un fallimentare attentato allo zar. Tra le generazioni più giovani e più colte, cioè l’intelligencija, si diffusero atteggiamenti di rifiuto totale dell’ordine costituito: sentimenti di rigetto in blocco della società del tempo e dei suoi valori morali (individualismo anarchico), il nichilismo. Questo atteggiamento portò alla volontà dei giovani di far prendere consapevolezza maggiore alle classi meno agiate delle proprie condizioni di vita e a richiedere riforme e cambiamenti. Questo movimento venne definito movimento populista, che riuniva gruppi clandestini legati all’anarchismo europeo, democratici occidentalisti e socialisti. Il valore comune era la prospettiva di un socialismo agrario in grado di far leva sul proletariato delle campagne e sulla tradizione comunitaria della società rurale russa. Lo Stato cominciò ad attuare un’azione repressiva e, nel 1881, un anarchico uccise Alessandro II. Questo evento portò al trono Alessandro III che scelse di ritornare all’autocrazia degli anni precedenti. Le riforme di Alessandro II vennero bloccate e così si bloccò anche lo sviluppo democratico-costituzionale. Attuò una forte repressione delle opposizioni politiche, delle minoranze etniche e religiose, specialmente ebraiche. Perciò si ritorno al potere basato sullo zar, sull’apparato repressivo, sulla Chiesa ortodossa e la sua gerarchia, e sull’esercito. Non si riuscì però ad avviare una modernizzazione sul piano politico e sociale. 2.8 I Paesi scandinavi nell’Ottocento Anche i Paesi scandinavi vennero influenzati dagli eventi di quegli anni. La Danimarca era alleata di Napoleone I all’inizio dell’Ottocento ma fu costretta a firmare nel 1814 la pace di Kiel, secondo la quale venne sottratta la Norvegia per assegnarla alla Svezia. Il Congresso di Vienna stabilì che in cambio della Norvegia, la Svezia avrebbe dovuto cedere alla Russia il granducato di Finlandia e la Pomerania alla Prussia. Alla Danimarca, invece, vennero concessi a titolo personale, i granducati dello Schleswig e dell’Holstein, che appartenevano alla Confederazione germanica. Proprio il loro controllo causò numerosi conflitti. I tentativi dei re danesi, prima Federico VII e poi Cristiano IX, di annettere totalmente le due regioni alla Danimarca che portarono ad uno scontro nel 1848 con la Prussia e nel 1864 con l’alleanza austro-prussiana, al termine del quale perse definitivamente i due territori. La Norvegia, unita formalmente al Regno di Svezia, conservò un’ampia autonomia interna. L’esercito svedese non poteva avere truppe stanziali in territorio norvegese in tempo di pace e il Parlamento norvegese, eletto a suffragio universale maschile dal 1898, amministrava autonomamente le finanze del Paese. In quegli anni ebbe una forte crescita economica, basata sullo sfruttamento delle risorse naturali, sulla pesca e sul potenziamento della flotta commerciale. Nella fase riformatrice sul piano politico, vennero riconosciuti i diritti civili, la libertà religiosa, il libero esercizio delle professioni e estesi i diritti politici. Però, I sentimenti indipendentisti continuarono a persistere, tant’è che, nel 1905, a causa delle resistenze del re di Svezia a concedere una rappresentanza diplomatica autonoma e un esercito indipendente, il Parlamento votò la separazione dalla Corona svedese, decisione poi confermata da un referendum popolare. Venne chiamato sul trono di Norvegia il principe Carlo di Danimarca, che prese il nome di Haakon VII, sotto al quale venne approvato il diritto di voto alle donne nel 1913. La Svezia, dotata dal 1809 di una Costituzione di stampo parlamentare e basata sulla divisione dei poteri, attuò un ammodernamento delle strutture istituzionali e della legislazione svedese quando vennero introdotte le due Camere elettive, una eletta dalle corporazioni comunali e l’altra dai cittadini in base a criteri censitari. In questa fase si costituì una prima organizzazione politica dei contadini che lottavano per l’abolizione dell’antica imposta fondiaria e per riformare l’organizzazione dell’esercito, che obbligava alla leva solo il ceto contadino. Nel 1889, nacque in Svezia il Partito Socialdemocratico che permise l’avvio di riforme sociali e politiche, tra le quali l’estensione del diritto di voto. Nel 1900, dall’unione di gruppi liberal-borghesi e radicali, fu fondato il Partito Liberale. Socialdemocratici e liberali divennero i pilastri del sistema politico svedese e avviarono uno slancio riformatore dopo la Prima Guerra Mondiale, grazie alla sua neutralità. Fra il 1918 e il 1921 vennero ampliati i criteri di accesso al voto, arrivando al suffragio universale. Nel Regno di Danimarca, il clima della Restaurazione (dopo 1815) aveva favorito la riaffermazione del potere assoluto del sovrano. Con i moti rivoluzionari (dopo 1848), invece, Federico VII concesse una Costituzione, che venne poi modificata in senso conservatore. Nella seconda metà dell’Ottocento si verificò uno scontro tra le due Camere del Parlamento. La Camera Bassa, eletta a suffragio universale maschile, era composta da formazioni politiche progressiste mentre la Camera Alta, da conservatori. Il sovrano si schierava a favore dei conservatori, affidando loro il governo. Dopo le elezioni del 1901, alle quali venne sconfitto il Partito Conservatore, il re Cristiano IX si piegò al regime parlamentare e chiamò al governo un liberale. Nel 1915, venne varata una nuova Costituzione che introdusse il suffragio universale per l’elezione di entrambe le Camere. 2.9 L’Impero ottomano L’Impero ottomano era composto da numerosi gruppi etnici e nazionali. Entrò in una fase di crisi e di declino militare ed economico dopo le sconfitte subite dall’Austria che portarono alla firma dei Trattati di Carlowitz (1699) e Passarowitz (1718), alla perdita dell’Ungheria, della Transilvania e della Serbia settentrionale. L’apparato finanziario e amministrativo ottomano si basava sulle prede di guerra e sul sistema fiscale che prevedeva la decima dei prodotti delle terre, il testatico applicato ai cittadini non musulmani, i tributi, tra i quali quelli per gli Stati Vassalli. Perciò, ogni perdita territoriale si traduce a in perdita di risorse fiscali, volte al mantenimento della struttura militare, fondata su due corpi principali, i giannizzeri e gli spahi. Per uscire da questa fase di crisi, l’Impero ottomano cercò di riformare la struttura militare in senso moderno secondo i canoni europeo-occidentale, ma fallì. I giannizzeri e gli spahi si ribellarono, causando la soppressione fiscale nel 1826. Nel 1830 perse la Grecia e il clima era caratterizzato da corruzione e insurrezioni, procurando la crisi dell’Impero turco. Nel 1839 venne avviato un processo di rinnovamento e di secolarizzazione delle istituzioni con le riforme del tanzimat e si concluse nel 1876, quando venne concessa una nuova Costituzione di stampo liberale. Nel 1877 venne convocato il primo Parlamento, sciolto quasi subito a causa della crisi provocata dalla guerra contro la Russia. Nonostante questa fase riformatrice, le pressioni autonomistiche delle diverse etnie persistettero, poiché gran parte del potere continua a ad essere esercitato dal sultano, che nomina a il gran visir con funzioni analoghe a quelle di un primo ministro, dai funzionari di corte e dalla élite militare dei giannizzeri. Subì anche diverse sconfitte militari da parte delle potenze europee e ciò scatenò una nuova fase di declino. Nella guerra di Crimea del 1853-1856, l’Impero turco aveva evitato lo smembramento grazie all’intervento franco-inglese-piemontese; al Congresso di Berlino del 1878, dopo la sconfitta da parte della Russia, venne riconosciuta l’indipendenza di Serbia, Montenegro e Bulgaria e la Bosnia-Erzegovina divenne austriaca; nel 1881 venne abbandonata la Tunisia dove si istituì un protettorato francese; nel 1882 furono costretti ad abbandonare l’Egitto, occupato dalla Gran Bretagna; nel 1912 persero la Libia che verrà conquistata dall’Italia. A questo punto, maturò il progetto di rinnovamento politico-istituzionale del movimento dei Giovani Turchi, formato da intellettuali dell’esercito, della burocrazia e delle élite colte. Essi premevano per una trasformazione in senso liberale delle strutture imperiali prendendo in considerazione le riforme del tanzimat e i modelli istituzionali europei. Nel 1908 i Giovani Turchi, con ideali nazionalisti ed aspirazioni di rinnovamento costituzionale, aprirono una rivolta per costringere il sovrano a ripristinare la Costituzione del 1876 e a riconvocare il Parlamento. Nel 1909, il sultano Abdulhamid II, che rimise in vigore la Costituzione e indisse le elezioni, venne deposto e sostituito dal fratello Maometto V. Una volta al potere, i Giovani Turchi non riuscirono ad affrontare il problema delle spinte indipendentiste. Vennero attuate delle riforme per ridurre i poteri del sultano e rendere i ministri responsabili davanti al Parlamento, però allo stesso tempo i Giovani Turchi realizzarono un ordinamento amministrativo ancora più centralizzato. Tra il 1909 e il 1911, il Parlamento si servì dei suoi poteri per limitare le libertà personali e di stampa. Abbandonarono quindi le istanze liberali per seguire quelle nazionaliste, ai danni delle minoranze non turche con l’effetto di aumentare il loro malcontento.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved