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Riassunto capitolo per capitolo de "La camera chiara" di Roland Barthes, Sintesi del corso di Comunicazione Grafica

E' un riassunto dettagliato fatto capitolo per capitolo de "La camera chiara" di Roland Barthes, un saggio sulla fotografia e le sue possibili interpretazioni.

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 27/06/2016

Bianca0203
Bianca0203 🇮🇹

3.7

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Scarica Riassunto capitolo per capitolo de "La camera chiara" di Roland Barthes e più Sintesi del corso in PDF di Comunicazione Grafica solo su Docsity! La camera chiara Nota sulla fotografia Roland Barthes Prima parte: 1. SPECIALITA' DELLA FOTO A volte ero colto da quello stupore nel vedere una fotografia ("Sto vedendo gli occhi che hanno visto l' imperatore"), ma siccome nessun sembrava condividerlo lo dimenticai (la vita è fatta di piccole solitudini). Nei confronti della fotografia, ero colto da un desiderio ontologico: volevo sapere ad ogni costo che cos'è era in sé, attraverso quale caratteristica essenziale essa si distingueva dalla comunità delle immagini. Non ero sicuro che la fotografia esistesse, che essa disponesse di un suo proprio "genio". 2. LA FOTO INCLASSIFICABILE Si direbbe che la fotografia non sia classificabile. Tutte le classificazioni possibili (paesaggi, oggetti, ritratti, nudi) potrebbero benissimo applicarsi ad altre rappresentazioni antiche. Mi chiesi da cosa poteva dipendere quel disordine. In primo luogo ciò che la fotografia riproduce all'infinito è accaduto solo una volta, essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai ripetersi esistenzialmente. La fotografia è il particolare assoluto, la contingenza suprema, il tale, il reale nella sua espressione infaticabile. il buddismo per indicare la realtà usa il termine "tathata" cioè il fatto di essere lì, di essere così, di essere quello. La radice "Tat" vuol dire QUELLO, come il gesto del bambino che indica qualcosa. Una fotografia si trova sempre all' estremità di quel gesto. Questo è proprio questo, è esattamente così. Una foto non può essere trasformata filosoficamente. La fotografia non è altro Ero così un soggetto sballottato tra due linguaggi, uno espressivo e l'altro critico (Semiologia, sociologia, psicoanalisi). In questa controversia tra la soggettività e la scienza maturai un'idea bizzarra: perché non avrebbe dovuto esserci una nuova scienza per ogni oggetto? 4. OPERATOR, SPECTRUM E SPECTATOR La foto può essere oggetto di tre azioni: fare, subire, guardare. L'OPERATOR è il fotografo LO SPECTATOR siamo tutti noi che guardiamo le fotografie LO SPECTRUM è colui che è fotografato, il referente. Questa parola attraverso la sua radice mantiene rapporto con lo spettacolo aggiungendovi quella cos vagamente spaventosa che c'è in ogni fotografia: il ritorno del morto. Potrei supporre che l'emozione dell'operator derivi dal rapporto con il piccolo foro (foro stenopico) attraverso il quale egli guarda e inquadra. Tecnicamente parlando la fotografia sta nel punto d'incontro di due procedimenti: Il PRIMO è di ordine chimico: l'azione della luce su determinate sostanze. Il SECONDO è di ordine fisico: formazione dell'immagine attraverso un dispositivo ottico. Comunque io ho a disposizione due esperienze, quella del soggetto guardato e quella del soggetto guardante. 5. COLUI CHE E' FOTOGRAFATO Non appena io mi sento guardato dall'obiettivo tutto cambia: mi metto in un atteggiamento di posa, fabbrico istantaneamente un altro corpo. Questa trasformazione è attiva, io sento che la fotografia crea o mortifica a suo piacimento il mio corpo. Io vivo nell'ipotesi di una filiazione incerta, la mia immagine sta per nascere. Che aspetto avrò? La posa consiste in un mutamento di noi stessi. Decido allora di far comparire sulle mie labbra un leggere sorriso indefinibile. Io mi presto al gioco sociale, poso, so che sto posando, voglio che voi lo sappiate ma questo non deve alterare minimamente la mia persona. Io vorrei quindi che la mia immagine sballottata secondo le situazioni coincidesse sempre con il mio io. E' il contrario in realtà, sono io che non coincido mai con la mia immagine, infatti è l'immagine che è pesante, immobile, tenace (ecco perché la società vi si appoggia) e sono io che sono leggero, diviso, disperso. Ah se la fotografia potesse darmi un corpo neutro. Il mio corpo non trova mai il suo grado zero, nessuno glielo dà, forse solo mia madre infatti NON E' L'INDIFFERENZA CHE TOGLIE IL PESO DELL'IMMAGINE MA E' L'AMORE, L'AMORE ESTREMO. Io vorrei una storia degli sguardi, la fotografia è infatti l'avvento di me stesso come altro: un'astuta dissociazione della chieda. Io constatavo che certune in me provocavano gioie sottili, come se rinviassero a un centro sottaciuto, a un bene erotico o straziante, nascosto dentro di me. Altre invece mi lasciavano talmente indifferente che a forza di vederle moltiplicarsi provavo nei loro confronti una sorta di avversione. Anzi constatavo che io non amavo mai tutte le foto di uno stesso fotografo. Di Stieglitz per esempio mi affascina solo la sua foto più famosa. io sentivo che la fotografia è un'arte poco sicura, proprio come lo sarebbe una scienza dei corpi desiderabili o detestabili. Mi piace, non mi piace, chi di noi non ha una sua tabella interiore di gusti? 7. LA FOTOGRAFIA COME AVVENTURA Decisi di assumere come guida della mia analisi l'attrattiva che provavo per certe fotografie, di quella seduzione almeno potevo dirmi sicuro. Ciò che io provo è tutt'altro che ebetudine ma piuttosto un'agitazione interiore, una festa, un interesse. Ci sono varie ragioni che ci spingono a provare interesse per una fotografia: sia desiderare l'oggetto, il paesaggio, il corpo che essa raffigura, sia amare o aver amato l'essere che essa ci fa conoscere, si ammirare o mettere in discussione la prova del fotografo. Mi pareva così che la parola più giusta per designare l'attrattiva fosse "avventura". Il principio di avventura mi permette di far esistere la fotografia. In questo deprimente deserto, tutt'a un tratto la tale foto mi avviene; essa mi anima e io la animo. Ecco dunque come devo chiamare l'attrattiva che la fa esistere: animazione. La foto mi anima ed è questo appunto che fa un'avventura. 8. UNA FENOMENOLOGIA DISINVOLTA In primo luogo io non riuscivo ad uscire dal paradosso: da una parte la voglia di poter definire un'essenza della fotografia (tracciare le linee di una scienza) e dall'altra la radicata impressione che essenzialmente la fotografia è solo contingenza, singolarità, avventura. In secondo luogo l'affetto era ciò che non volevo ridurre; essendo irriducibile, esso era appunto per questo ciò a cui volevo, ciò a cui dovevo ridurre la foto; ma era possibile frenare un'intenzionalità affettiva, una mira dell'oggetto che fosse immediatamente penetrata di desiderio, di repulsione, di nostalgia, di euforia? Nella fotografia io scorgevo distintamente tutta una rete di essenza: essenze materiali (studio fisico, chimico, ottico) essenze settoriali (sfera dell'estetica, della storia, della sociologia). Oltre alle essenze materiali e settoriali esiste l'affetto, desiderio repulsione, nostalgia per l'oggetto rappresentato. In me l'essenza prevista della foto non poteva separati dal "patetico" di cui essa è fatta. Come Spectator io mi interessavo della fotografia solo per "sentimento", volevo Ci sono foto maculate di questi punti sensibili (Punctum). Questi sono due temi individuati nelle fotografie. 11. LO STUDIUM La maggior parte delle foto suscita in me un interesse generico, educato: in esse non vi è alcun punctum. Sono investite unicamente dallo studium. Lo STUDIUM è il vastissimo campo del desiderio non- curante e appartiene alla sfera del to like non del to love, esso mobilita un semi- desiderio, un semi-volere. Riconoscere lo studium significa essere d'accordo con le intenzioni del fotografo poiché la cultura è un contratto stipulato tra i creatori e i consumatori. Attraverso lo studium posso fraternizzare con l'intento dell'Operator e rivivo le sue pratiche. Lo studium non è mai godimento o dolore ma informare, rappresentare, sorprendere, far significare. 12. INFORMARE La fotografia consegna immediatamente allo spectator certi particolari che costituiscono il sapere etnologico. Klein fotografò dei Russi nel 1959, egli mi informa si come si vestono, mi fornisce una collezione di oggetti parziali. Vi è un io che ama il sapere. Nello stesso modo amo degli aspetti biografici di uno scrittore e mi affascinano come certe fotografi, ho chiamato questi sapete BIOGRAFEMI. 13. DIPINGERE Il primo uomo che vide la prima fotografia dovette pensare che si trattasse di un dipinto. La fotografia è stata, ed è assillata dal fantasma della pittura, come se fosse nata dal quadro. in realtà non è attraverso la pittura che la fotografia perviene all'arte, bensì attraverso il teatro. Se la fotografia mi pare più vicina al teatro è attraverso un relais: la morte. Rapporto tra morti e teatro: i primi attori interpretavano la parte dei morti, truccarsi significava designarsi come un corpo vivo e morto nello stesso momento. "La foto è come un teatro primitivo, come un quadro vivente: la raffigurazione della faccia immobile e truccata sotto la quale noi vediamo i morti" 14. SORPRENDERE Il gesto essenziale dell'Operator è quello di sorprendere qualcosa o qualcuno e tale gesto è perfetto quando viene all'insaputa del soggetto fotografato. Infatti lo shock fotografico consiste non tanto nel traumatizzare, ma rivelare ciò che è così ben nascosto, ne consegue tutta una gamma di sorprese: 1) La prima sorpresa è quella del "raro" pieno di ammirazione (l'uomo con due teste, la donna con tre seni, il bambino con la coda: tutti sorridenti) 2) La seconda è quando la foto immobilizza una scena rapida nel suo momento decisivo. 3) La terza è quella della "prodezza". Harold D. Edgerton fotografa al Per me le fotografie di paesaggi devono essere abitabili, no visitabili. Questa fotografia mi commuove perché è là che vorrei vivere. Questo desiderio penetra in me ad una profondità che non conosco. Questo desiderio di abitazione non è né onirico né empirico. Il mio desiderio è fantasmatico, esso nasce da uno stato di veggenza che sembra portarmi avanti o indietro, non so verso quale regioni di me stesso, è come se io fossi sicuro di esserci stato o di doverci andare. Parlando del corpo materno Freud dice " Non c'è nessun altro luogo di cui si possa dire con certezza che ci siamo già stati. L'essenza del paesaggio sarebbe allora questo: che risveglia in me la Madre. 17. LA FOTOGRAFIA UNARIA Nonostante molte foto non attirassero il mio interesse mi pareva di constatare che lo studium dava vita ad un tipo di foto molto diffuso che potremmo chiamare la fotografia unaria. una trasformazione è unaria se attraverso lei una sola concatenazione è generata dalla base. La fotografia è unaria quando trasforma enfaticamente la realtà senza sdoppiarla, senza farla vacillare, nessun duale, nessuna interferenza. La fotografia unaria ha tutto per essere banale, semplice, senza accessori inutili, questo si chiama: la ricerca dell'unità. Le foto di reportage sono molto spesso fotografie unaria. In queste foto il punctum è assente. Vi è shock, LA FOTO PUO' URLARE MA NON FERIRE. Mi interessano le foto di reportage ma non le amo. Anche la fotografia pornografica è unaria, omogenea. Proprio come una vetrina la fotografia pornografica è costituita dall'ostensione di una sola cosa: il sesso. Però Mapplethorpe fa dei primi piani sulla trama deg i slip, la foto non è più unaria, dal momento che io adesso mi interesso della trama del tessuto. 18. CO-PRESENZA DELLO STUDIUM E DEL PUNCTUM In questo spazio quasi sempre unario, qualcosa attira la mia attenzione e la sola presenza di quel qualcosa modifica la mia lettura, come se quella che sto guardando fosse una nuova foto. Questo particolare è il punctum. Quella tra studium e punctum è una co-presenza. Nella foto di Wessing, con i soldati e le due suore, tutta una casualità spiega la presenza di questo particolare. Il quadro non è affatto composto e costruito ma tutto avviene per caso e senza scopo. 19. IL PUNCTUM: ASPETTO PARZIALE Molto spesso il punctum è un particolare, un oggetto parziale. Per esempio in una foto di James Van der Zee in cui è ritratta una famiglia negra americana lo studium è chiaro: io mi interesso con simpatia, da buon soggetto culturale, la foto esprime rispettabilità, familialismo, il conformismo. Lo spettacolo mi interessa ma non mi Il punctum è un dettaglio che sconvolge tutta la mia lettura fotografica, la foto non è più una foto qualunque, un qualcosa ha fatto tilt, mi ha emesso delle vibrazioni. La lettura del punctum è spedita e attiva insieme, contratta come una belva. Si dice sviluppare una foto ma ciò che si sviluppa è l'insviluppabile, è una essenza (di ferita), è ciò che non può trasformarsi ma solo ripetersi. In una foto di Lewis H. Hine in cui sono raffigurati due bambini mongoloidi di un istituto del New Jersey tutto quello che io riesco a notare è il colletto largo inamidato del bambino e il dito fasciato della ragazza. Io mi spoglio di ogni sapere, di ogni cultura, mi astengo dal raccogliere il retaggio (eredità) d'un altro sguardo. 22. SUCCESSIVAMENTE E SILENZIO Lo studium è in definitiva sempre codificato (spiegato) mentre il punctum no, infatti in una foto di Nadar rappresentante Savorgnan de Brazza attorniato da due negretti vestiti da marinai c'è un gesto incongruo: uno dei due mozzi ha posato la mano sulla gamba di de Brazza ma non è quello il punctum perché io codifico immediatamente quel gesto come "strambo", il punctum per me sono le braccia conserte dell'altro marinaio. L'impossibilità di definire un buon sintomo di turbamento. C'è un altro caso in una foto di Mapplethorpe ce ha fotografato Bob Wilson e Phil Glass. Wilson mi attrae ma non so cos'è che in Glass mi attrae di più. Non so dove, forse la pelle, la posizione delle mani, le scarpe da tennis, lo sguardo. L'effetto è inindividuabile e netto plana in una zona indefinita di me stesso, acuto e soffocato grida in silenzio. L'effetto molto spesso si manifesta successivamente, quando lo foto è lontana dai miei occhi e io la ricordo. Così quando ripenso alla negra con le scarpe con il cinturino penso che il vero punctum sia invece la collana di perle (né aveva una uguale una mia parente che è morta e la collana è rimasta in un cassetto). Per quanto incisivo il punctum poteva adattarsi ad una certa qual latenza. Per vedere meglio una fotografia bisogna chiudere gli occhi, la fotografia deve essere silenziosa. La foto mi colpisce se io la tolgo dal suo solito bla-bla "Tecnica" "Realtà" "Reportage" "Arte". Chiudere gli occhi lasciare che il particolare risalga da solo alla coscienza affettiva. 23. CAMPO CIECO Il punctum è un supplemento, è quello che io aggiungo nella foto e che tuttavia è già nella foto. Per esempio nella foto dei due bambini mongoloidi quello che io aggiungo è il colletto e la fasciatura pur essendo già presenti nella foto. Nel cinema per esempio non riesco a cogliere un punctum nelle immagini perché si succedono troppo velocemente. Nel cinema un campo cieco rafforza la distingue ai suoi occhi da qualunque altra immagine. Io devo fare la mia palinodia (componimento poetico che si configura come una ritrattazione di parole o idee precedentemente espresse). Seconda parte: 25. "UNA SERA.." Una sera mi misi a riordinare delle foto sperando di ritrovare la foto di mia madre ("certe fotografie d'una persona, guardando le quali ci par di ricordarla meno bene di quando ci accontentiamo di pensarla"). Sapevo che non avrei mai più potuto ricordarmi i suoi lineamenti. Non potevo dire neanche che quelle foto io le amassi (salvo una in cui mia madre passeggiava su una spiaggia delle Landes in cui riconoscevo il suo passo e ritrovavo il suo fascino e la sua salute). Non mi mettevo a contemplarle,non mi ci perdevo. 26. LA STORIA COME SEPARAZIONE Ciò che mi separava da molte fotografie era la Storia. Che cos'è la storia? Non è forse quel tempo in cui non eravamo ancora nati? Vedo mia madre nelle foto vestita in un altro modo. E' l'unica volta che io la vedo così, colta nella storia. La mia attenzione passa da lei all'accessorio. Per riconoscere mia madre avevo bisogno di oggetti da lei usati (portacipria d'avorio). "La storia è isterica: essa prende forma solo se la si guarda - e per guardarla bisogna esserne esclusi." In una persona vissuta prima di noi è racchiusa la tensione stessa della storia. Non vivrò mai il tempo di mia madre sulla mia pelle. Io come essere vivente sono il contrario della storia, la smentisco, la distruggo. 27. RICONOSCERE Nelle foto mia madre la riconoscevo a pezzi, il suo essere mi sfuggiva. L'avrei riconosciuta tra migliaia di donne, tuttavia non la ritrovavo. Mi dibattevo tra fra immagini parzialmente vere, era quasi lei. Il quasi: atroce regime dell'amore ma anche condizione deludente del sogno - è per questo che odio i sogni. Guardarla in foto è come sognarla, c'è ma mai tutta intera. La sua essenza mi sfugge. In quelle foto un posto riservato ce l'avevano i suoi occhi che facevano da mediazione che mi portava verso un'identità essenziale. Nelle foto traspariva esattamente il sentimento che provava mia madre nel momento dello scatto. Lei riusciva a mettersi davanti all'obbiettivo con discrezione: Essa non combatteva con la sua immagine come io invece faccio con la mia: lei non s'immaginava. 28. LA FOTOGRAFIA DEL GIARDINO D'INVERNO Mi imbattei in una fotografia che raffigurava due bambini in un giardino d'inverno (Mia madre di 5 anni e suo fratello). Mia madre aveva congiunto le mani tenendole con un dito. Osservai la Bisognava interrogare l'evidenza della fotografia: l'amore e la morte. Per voi questa foto sarebbe solo una manifestazione del "qualunque", non si può fondare su un oggettività, per voi non vi sarebbe nessuna ferita (Da questo la frase: la scienza impossibile dell'essere umano). 31. LA FAMIGLIA, LA MADRE Avevo stabilito un principio: Non ridurre mai il soggetto che io ero al socius disincarnato, amorfo, di cui si occupa la scienza. Questo principio mi obbligava a dimenticare due istruzioni: la Famiglia e la Madre. Non volevo ridurre la mia famiglia al concetto di Famiglia come appartenenza ad un gruppo pieno di conflitti e costrizioni ma mantenere vivo il concetto di famiglia in cui ci si ama. Benché nato in una religione senza immagini in cui la Madre non è adorata (Il protestantesimo) davanti alla foto del giardino d'inverno io mi abbandonavo all'immagine, all'immaginario. Nel simbolo della Madre vi era un nucleo irradiante, irriducibile: mia madre. Il mio dolore è determinato da chi lei era, un'anima particolare e irriducibile. Ciò che ho perduto non è una figura, ma un essere,una qualità. La mia vita dopo sarebbe stata inqualificabile (senza qualità). 32. "E' STATO" Ogni foto è in un certo senso co-naturale al suo referente. Dovevo accettare di mescolare due voci: quella della banalità, cioè dire ciò che il mondo vede e sa e quella della singolarità cioè ricuperare la banalità con tutto lo slancio di un'emozione che appartenesse solo a me. Dovevo capire ed esprimere bene in cosa il Referente della fotografia è diverso da tutti gli altri. Chiamo REFERENTE FOTOGRAFICO la cosa necessariamente reale che è stata posta dinnanzi all'obiettivo, senza cui non vi sarebbe fotografia alcuna. La pittura può simulare la realtà senza averla vista, tali referenti possono essere delle "chimere". Nella fotografia io non posso mai negare che la cosa è stata là. Vi è una doppia posizione congiunta: di realtà e di passato. Questa bisogna considerarla come l'essenza stessa della fotografia, come il nomea della fotografia. Non è l'arte e neppure la comunicazione ma la Referenza, che è l'ordine fondatore della fotografia. Il nome del NOEMA sarà "E' STATO" o anche "l'intrattabile" da "interfuit": ciò che io vedo si è trovato là tra infinito e soggetto. E' stato sicuramente presente e tuttavia è già differito. La fotografia dichiara la verità del referente. 33. LA POSA Ciò che costituisce la natura della fotografia è la POSA, anche se per un milionesimo di secondo è comunque stata La foto è letteralmente un'emanazione del referente. Da un corpo reale che era là, sono partiti dei raggi che mi raggiungono. Una specie di cordone ombelicale collega il corpo della cosa fotografata al mio (la luce è qui un nucleo carnale, una pelle che condivido con il soggetto fotografato). In latino fotografia potrebbe dirsi "imago lucis opera espressa" che significa immagine rivelata, tirata fuori, spremuta dall'azione della luce. Il corpo amato è immortalato dall'azione di un metallo prezioso, l'argento. Bisognerebbe aggiungere che questo metallo, come tutti i metalli dell'Alchimia, è vivo. Io non amo affatto il colore. Ho sempre l'impressione che allo stesso modo, in ogni fotografia, il colore sia un'intonacatura apposta successivamente sulla verità originaria del Bianco-e-nero. Il colore è per me un make-up. Ciò che mi sta a cuore è che il corpo fotografato mi tocchi con i suoi raggi e non con una luce aggiunta successivamente (La fotografia del giardino d'inverno è per me il tesoro dei raggi). 35. LO STUPORE La fotografia non ricorda il passato, l'effetto che essa produce su di me non è quello di restituire ciò che è abolito dal tempo ma di attestare che ciò che vedo è effettivamente stato.La fotografia mi STUPISCE sempre. Forse questo stupore affonda le radici nella sostanza religiosa di cui sono imbevuto: la fotografia ha qualcosa a che vedere con la risurrezione. Ciò che vedo è il reali allo stato passato, è il passato e il reale insieme. In una fotografia la data ha un ruolo fondamentale perché induce a fare mente locale, a considerare la vita, la morte, l'inesorabile estinguersi delle generazioni. E' possibile che Ernest, scolaretto fotografato da Kertész nel 1931 viva ancora oggi? io sono il punto di riferimento di ogni fotografia ed è per questo che essa mi induce a stupirmi ponendomi l'interrogativo fondamentale "perché mai io vivo qui e ora?". La fotografia pone una presenza immediata al mondo e questa presenza non è solo di ordine politico (partecipare attraverso l'immagine agli eventi contemporanei) ma anche di ordine metafisico. Il genere di interrogativi che la fotografia mi pone sono sulle stelle, sul tempo, sulla vita, sull'infinito. 36. L'AUTENTIFICAZIONE La fotografia non dice ciò che non è più, ma soltanto e sicuramente ciò che è stato. La strada della certezza è la cosa comune a tutte le foto, non quella della nostalgia: l'essenza della fotografia è di ratificare ciò che essa ritrae. Una volta ricevetti da un fotografo una fotografia di cui non riuscivo a ricordare dove ma, tuttavia, appunto perché si trattava di una fotografia non potevo negare di essere stato là. Il non potersi identificare da sé è la sventura del soffro immobile, non posso lasciar vagare il mio sguardo. Questa sofferenza viene direttamente dalla finitezza dell'immagine. La mia fotografia è senza cultura, quando è solforosa nulla in lei può trasformare quest'afflizione in lutto. La fotografia è indialettica, è un teatro snaturato in cui la morte non può contemplarsi o interiorizzarsi, è il teatro morto della morte, essa esclude qualsiasi purificazione, qualsiasi catarsi. Nella fotografia l'immobilizzazione del tempo avviene in un modo mostruoso, il tempo è ostruito. Non solo la fotografia non è un ricordo ma per di più blocca il ricordo. Un giorno i miei amici si misero a parlare dei ricordi d'infanzia e io che avevo appena guardato le mie fotografie non ne avevo più. La fotografia è violenta perché ogni volta riempie di forza la vista e perché in essa niente può sottrarsi o trasformarsi. Molti dicono che lo zucchero è dolce, io invece lo trovo violento. 38. LA MORTE PIATTA Storicamente parlando la fotografia deve avere qualche rapporto con la crisi della morte che ha inizio nel 21esimo secolo. Vorrei ci si interrogasse sulla morte e la nuova immagine, bisogna pure che in una società la morte abbia una proprio collocazione. La fotografia potrebbe corrispondere all'irruzione nella nostra società moderna, di una morte simbolica, al di fuori della religione, al di fuori del rituale:una specie di repentino tuffo nella morte letterale. Con la fotografia entriamo nella morte piatta. Il solo pensiero che io posso avere è che all'estremità di questa prima morte è iscritta la mia proprio morte; fra le due morti; più niente, solo un'attesa, non ho altre risorse oltre a questa ironia: parlare del niente da dire. Non solo la fotografia condivide le sorti della carta che è deperibile ma anche se fissata su dei supporti più solidi essa è comunque deperibile come un essere vivente. Le società del passato facevano in modo che il ricordo fosse eterno e per far avvenire questo si servivano del monumento. Ma oggi facendo della fotografia mortale il testimone principale la società ha rinunciato all'eternità. Paradosso: lo stesso secolo ha inventato la storia e la fotografia, solo che la storia è una memoria costruita secondo ricette positive e abolisce il tempo mitico, la fotografia è una testimonianza effimera. L'era della fotografia è anche l'era delle rivoluzioni, delle contestazioni, degli attentati, delle esplosioni, in poche parole dell impazienze, di tutto ciò che nega la maturazione. Quello che sta per annullarsi con questa foto che ingiallisce è non solo la vita ma L'Amore. Quando guardo la foto di mia madre e mio padre che si amavano io questo amore lo vedo, ma morto io chi riconoscerà l'amore? Nessuno rimarrà solo l'indifferente Natura. Michelet concepì la storia come un'attestazione privato viene consumato pubblicamente (privato dei divi). Ma dato che il privato è un luogo assolutamente prezioso in cui io sono padrone della mia libertà, attraverso una necessaria resistenza ricostruisco la separazione tra pubblico e privato. Io vivo la fotografia distinguendola in due regioni: da una parte le immagini, dall'altra le mie foto. Da una parte il sorvolare, il chiasso, l'inessenziale, dall'altra ciò che brucia, ferisce. Di solito il dilettante è considerato come un'immaturazione dell'artista. Nel campo della pratica fotografica, è invece il dilettante ad essere l'esaltazione del professionista: è lui infatti che sta più vicino al noema della fotografia. 41. SCRUTARE Se una foto mi piace e mi turba io v'indugio sopra. La guardo, la scruto come se volessi sapere di più su quella cosa o persona. Quando ho visto la fotografia del giardino d'invern in un primo momento ho riconosciuto mia madre, era lei. Adesso pretendo di sapere il perché, in che cosa è lei. Ho voglia di ingrandire la foto per vederla meglio, per capirla. Credevo che sarei finito finalmente per pervenire l'essere di mia madre. Scomponevo, ingrandivo, e rallentavo per avere il tempo di sapere. Io posso avere la folle speranza di scoprire la verità solo perché il noema della fotografia è "è stato" perché vid o nell'illusione che per accedere a ciò che sta dietro basta pulire la superficie dell'immagine. Ma ahimè non trovo nulla. L'approfondimento non ha prodotto nulla. Così è la foto: non sa dire ciò che da a vedere. 42. LA SOMIGLIANZA Nella tale foto, io credo di scorgere i lineamenti della verità. E' appunto ciò che accade quando giudico "somigliante". Tuttavia io mi chiedo "chi assomiglia a chi?La somiglianza è una conformità all'identità? Tale identità è imprecisa, addirittura immaginaria, tanto che io posso continuare a parlare di somiglianza senza aver mai visto il modello. Così è per la maggior parte dei ritratti di Nadar. Marceline Desbordes-Valmore riproduce sul suo volto la bontà un po' sempliciotta dei suoi versi. Posso spontaneamente definirli somiglianti dal momento che sono conformi a ciò che mi aspetto da loro. Non si è mai che la copia di una copia, reale o mentale che sia. Tutt'al più posso dire che su certe foto mi sopporto secondo che mi trovi conforme all'immagine che vorrei dare a me. In fondo una foto assomiglia a chiunque tranne a colui che essa ritrae. La somiglianza ritrae l'identità del soggetto, essa lo ritrae "in quanto se stesso" e invece io lo voglio "come in se stesso". La somiglianza mi lascia insoddisfatto (l'unica foto che mi ha dato la stupefazione della verità è quella del giardino d'inverno). 43. LA DISCENDENZA è certa. Questa certezza è assoluta perché ho la possibilità di osservare la fotografia con intensità, d'altra parte anche se prolungassi questa osservazione non apprenderei nulla. E' nella sospensione dell'interpretazione che risiede la certezza della foto. Purtroppo è proporzionalmente alla certezza dell'è stato che io non posso dire niente di quella foto. 45. L' ARIA Se il soggetto di una foto è una persona, l'evidenza della fotografia assumerà tutt'altro rilievo. Dal momento che la fotografia autentifica l'esistenza di quella persona io voglio rivederla come in se stessa. La persona raggiunge l'essenza nella fotografia attraverso "l'aria" che ha. L'aria di un volto non è scomponibile, infatti l'evidenza è ciò che non vuol esser scomposto. L'aria è quella cosa esorbitante che si trasmette dal corpo all'anima, animella, piccola anima individuale. L'aria è l'espressione della verità, è come il supplemento intrattabile dell'identità. L'aria non si dà importanza e quindi esprime il soggetto. Su questa foto di verità il soggetto che ho amato non è separato sa se stesso ma finalmente coincide. Forse l'aria è qualcosa di morale che apporta al volto il riflesso di un valore di vita. Nella foto di Philip Randolph, il leader del Labor americano, fotografato da Avedon leggo un'aria di bontà (nessuna pulsione di potere: è certo). L'aria è dunque l'ombra luminosa che accompagna il corpo e una volta che quest'ombra viene separata dal corpo non rimane che un corpo sterile. Se il fotografo non sa dare all'anima trasparente la sua ombra chiara il suo soggetto è morto per sempre, il valore scompare. Il fotografo che fotografò mia madre nel giardino d'inverno era ignaro che quello che stava fissando era la verità. 46. LO SGUARDO La fotografia ha la facoltà di guardarmi dritto negli occhi anche se ultimamente la posa frontale è giudicata arcaica. In un bar entrato un ragazzo in quel momento avevo l'impressione che mi stesse guardando senza tuttavia essere sicuro che mi stesse vedendo. Essa è come un intendimento senza obiettivo finale e tuttavia è proprio questo movimento scandaloso a determinare la più rara qualità di un'aria. Come si può avere un'aria intelligente, senza pensare a nulla d'intelligente? (Andrè Kertesz, Piet Mondrian nel suo studio). A volte lo sguardo sembra essere trattenuto da qualcosa d'interiore come il ragazzino povero che tiene in braccio un cagnolino. Lui guarda l'obiettivo con occhi tristi, gelosi, spauriti. In effetti lui non guarda nulla, trattiene dentro di sé il suo amore e la sua paura, ecco lo Sguardo è questo. ora se è insistente lo sguardo è sempre virtualmente pazzo: esso è al tempo un'arte, quando però non vi è alcuna follia, quando il suo nomea è dimenticato. Il cinema partecipa a questo addomesticamento. Un film può essere pazzo per artificio ma mai per natura, esso è sempre l'esatto contrario di un'allucinazione, esso è semplicemente un'illusione, la sua visione è sognante, non ecmnesica (Ecmnesia: Alterazione psichica con perdita della memoria relativa a fatti presenti, che dà al paziente la sensazione di rivivere un periodo anteriore della sua vita). Il secondo consiste nel generalizzarla, banalizzarla, al punto che di fronte a lei non vi sia più nessuna immagine rispetto alla quale essa possa spiccare, affermare la sua specialità, la sua follia. Questo è quello che accade nella nostra società: la fotografia schiaccia le altre immagini. Uno dei segni distintivi del nostro tempo è che viviamo conformemente ad un immaginario generalizzato. Negli Stati Uniti per esempio tutto si trasforma in immagini. Provate ad entrare in un locale porno di New York, non ci troverete il vizio ma solo i quadri viventi. L'anonimo individuo concepisce il suo piacere solo se questo piacere coincide con l'immagine stereotipata del sadomasochista: il godimento passa per l'immagine, ecco il grande mutamento. Un simile rovesciamento mette in ballo la questione etica: non perché l'immagine sia immorale ma perché se generalizzata essa derealizza (appannamento del senso della realtà) completamente il mondo umano dei conflitti e dei desideri, mentre invece vuole illustrarlo. Oggi la società consuma immagini più liberali meno fanatiche ma anche più "false" cosa che nella coscienza comunque noi traduciamo con l'ammissione di una noia nauseante, come se l'immagine producesse un mondo senza differenze. Da questo nasce a voglia di abolire le immagine e salvare il desiderio immediato. Pazza o savia ? La fotografia può essere l'una e l'altra cosa: è savia se il suo realismo resta relativo, temperato da abitudini estetiche, è pazza se questo realismo è assoluto e per così dire originale, se riporta alla coscienza amorosa la lettera del tempo, che chiamerò per concludere "l'Estasi fotografica". Le due vie della fotografia sono queste, sta a me se aggiogare i suo spettacolo al codice civilizzato delle illusioni perfette, oppure se affrontare in esse il risveglio dell'intrattabile realtà. 15 Aprile - 3 Giugno 1979
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