Scarica Il Barocco: periodizzazione e caratteri e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Coordinate storico-culturali 1.Il barocco: periodizzazione e caratteri. Tratti fondamentali. Il barocco è un fenomeno europeo, interdisciplinare, che rappresentò una tendenza a enfatizzare gli aspetti formali delle varie arti, con una ricerca di soluzioni inedite, ardite e spettacolari. Questo non implica una totale indifferenza ai contenuti: l’inquietudine e la capacità di indagare dell’animo umano che emergono nelle opere migliori ne sono testimonianza. Il barocco presenta una forte carica eversiva nei confronti delle regole e dei precetti elaborati nel corso del Cinquecento, dipendenti in misura maggiore o minore dagli ideali classicisti. In un’epoca che ha stravolto i fondamenti scientifici e filosofici antichi, si mira al superamento dei vincoli e alla creazione di opere in cui risplenda l’abilità inventiva e la raffinatezza intellettuale dell’artista, il quale deve cercare in primo luogo l’originalità, la stravaganza, l’estraneità ai canoni rinascimentali dell’armonia e della misura. In Italia, condizionata dal dominio spagnolo nonché dal nuovo potere della Chiesa della controriforma, si sviluppò un preciso gusto barocco, il cui esponente di punta è il poeta Giovan Battista Marino. A queste tendenze comunque non mancarono vivaci opposizioni, mosse dalla fedeltà alla tradizione. Nel complesso, nel corso del Seicento l’arte italiana perse progressivamente il suo ruolo centrale in ambito europeo. Motivi e temi. Alcuni studiosi ritengono che il termine barocco derivi dal portoghese “barroco”, termine che designa un tipo di perla di fattezze irregolari; altri (fra i quali Benedetto Croce) credono invece che esso sia legato alla cultura filosofico-scolastica, nella quale ”baroco” definisce un genere di ragionamento vuoto e tortuoso. Il termine fu usato per la prima volta, in riferimento alle arti, nel XVIII secolo, con una sfumatura negativa che rimanda alla irregolarità e alla vuotezza artificiosa del fenomeno che designa (con preciso riferimento e critica all’anticlassicismo del barocco), in seguito fu esteso per analogia all’ambito letterario. Il barocco è caratterizzato in primo luogo da un’insofferenza alle regole, che fa sì che le forme tradizionali siano svuotate e contraddette, deformate e stravolte. Costituisce un movimento innovativo e autonomo rispetto alla tradizione: l’arte barocca è spesso estroversa, spettacolare, ma anche popolare e ricerca la meraviglia, lo stupore suscitato all’improvviso, di frequente attraverso artifici estremi; tende al grandioso, al molteplice, alle immagini proliferanti. La ricerca della novità e della meraviglia si deve alla volontà di ridestare l’interesse e il piacere in un pubblico ormai stanco e annoiato da un tipo di letteratura che, fortemente regolata, tende a essere prevedibile e ripetitiva. L’inatteso, lo stupefacente, lo strabiliante, allontanano dal principio di verosimiglianza, sia sul piano dei contenuti, sia su quello delle forme (metro e generi) e dello stile. Il Seicento è il secolo dei generi misti (“tragicomico” ed “eroicomico”), della contaminazione tematica e stilistica. Il gusto barocco nasce in un secolo dominato da spinte contraddittorie: da una parte ha ormai preso piede l’ideologia della controriforma e la Chiesa cattolica fa un uso politico della cultura, stimolando l’elaborazione di nuovi contenuti che affermino la sua autorità e rafforzando gli strumenti di controllo e censura di fronte all’imporsi della teoria copernicana, confermata dal sistema Galileiano. In secondo luogo proprio la teoria copernicana e le nuove scoperte tecnico-scientifiche ed astronomiche, segnano radicalmente l’immaginario collettivo dell’uomo e provocano un mutamento psicologico e filosofico. Infatti il cambiamento di prospettiva fa sì che l’uomo del Seicento perda la sua posizione privilegiata al centro dell’Universo e, conseguentemente, viene meno anche la fiducia umanistica nelle sue possibilità di dominio del mondo e di sé stesso. Le caratteristiche ricorrenti della cultura barocca sono quindi: o Incertezza, instabilità, precarietà, forte sentimento della morte, la quale si presenta in maniera ossessiva nell’arte come nella letteratura, attraverso motivi come quello del tempo fugace, delle devastazioni, al cui immaginario hanno dato un contributo anche le numerose guerre, pestilenze e carestie del secolo. Ad esempio, la rosa, la cui immagine aveva fornito il topos rinascimentale della gioia e il cui utilizzo costituiva un invito gioioso a godere dell’esistenza, diventa ora emblema della fugacità della vita e della necessaria consunzione della bellezza (Marino). 1 o La predilezione per le forme in movimento, indefinite, decentrate, sempre per ottenere il senso della labilità delle cose. Altro tema ricorrente infatti è quello delle metamorfosi, ripreso dalla poesia di Ovidio. o Altro motivo frequente è quello della finzione, soprattutto nel teatro, genere di vasto successo nel Seicento in tutta Europa (vi operano autori come Shakespeare e Calderón de la Barca), che diventa anche uno dei simboli prediletti: infatti è presentata spesso l’identificazione fra vita e teatro, fra uomo e maschera, nella quale la vita è una grande rappresentazione e l’uomo recita nel mondo solo una parte, portando una maschera che è espressione della sua inautenticità. o Il tema della pazzia deriva dal senso di disarmonia che l’uomo prova nei confronti del mondo che lo circonda, e quindi trionfa nella produzione barocca, da Amleto a Don Chisciotte. La pazzia è in ultima analisi l’unica forma di saggezza possibile, ma anche un atto di libertà che consente di esprimersi. Nella cospicua produzione trattatistica barocca ci si riferisce, con il termine “ingegno”, all’inventiva negli accostamenti concettuali, all’abilità nel trovare soluzioni formali applicabili in modo originale, persino ai significati banali, mentre è chiamata “acutezza” la capacità interpretativa dei concetti, ovvero i prodotti dell’ingegno. Per quanto riguarda lo stile, si afferma un forte gusto dell’artificio e la rottura dell’armonia si realizza nell’impiego di una sintassi disgiunta e contorta, nella ricerca di figure retoriche che rendono oscuro il significato e impegnano il lettore in uno sforzo interpretativo. Ruolo preminente ha la metafora, costruita con l’ingegno e nella quale il rapporto fra la figura retorica e l’oggetto a cui essa si applica diventa sempre meno evidente, il lettore deve utilizzare la sua acutezza per rintracciarlo. Spesso i poeti barocchi sembrano abbandonare del tutto l’idea di un messaggio da comunicare e concentrare i loro sforzi verso un unico fine: quello di stupire attraverso all’artificiosità sublime, che a volte diventa tortuosità. 2.Contesti e confronti Il Seicento è considerato come un secolo di crisi in Italia, la quale, dal punto di vista politico fu soggetta soprattutto al dominio spagnolo, finendo per rimanere coinvolta nella crisi della monarchia ispanica, che culminò con la guerra dei Trent’anni. Alla complicata situazione politica deve sommarsi anche la crisi economica e demografica che colpì durante il secolo l’intera Europa, nonostante la quale, però, il fulcro del progresso politico, economico e culturale si sposta definitivamente dal Mediterraneo verso l’asse Inghilterra-Francia-Olanda. 2.1 La cultura della Controriforma. In seguito alla riforma protestante luterana, la Chiesa (cattolica) agisce per consolidare il proprio potere in Italia, rafforzando le strutture create nella prima fase della Controriforma: il nuovo ordine della compagnia di Gesù, con i suoi colti rappresentanti, dirige le scuole ed esercita una forte influenza politica. Oltre al controllo e alla censura, praticate rigorosamente, la Chiesa interviene sulla cultura, da quella ufficiale, morale e spirituale, a quella laica della politica e dell’intrattenimento, soprattutto attraverso l’esercizio della critica letteraria da parte dei gesuiti, che spesso erano anch’essi scrittori e cercavano di offrire un modello ritenuto adeguato. Gli intellettuali, le corti e le accademie. I fenomeni letterari più rilevanti si sviluppano al di fuori del controllo ecclesiastico, nella laica istituzione della corte, ma la svolta assolutista implica anche nelle piccole corti una riorganizzazione, ed è difficile per l’uomo di cultura dedicarsi unicamente alle lettere e agli studi, facendo affidamento al mecenatismo disinteressato. Alla figura del cortigiano si sostituisce quella del segretario, che impiega il suo impegno per svolgere servizi diplomatici e amministrativi, e a cui serve, sempre di più, essere specializzato in un ruolo, pur essendo poi disposto a grande mobilità, spostandosi di corte in corte, anche all’estero. Aumentano anche gli artisti “slegati” da ogni patronato, come i cosiddetti 2 allegorico poiché il narratore assume le veste del “menante” (cioè il giornalista dell’epoca), che informa dei fatti che accadono nel Regno di Parnaso, del quale Apollo è re, tramite dei “ragguagli” e così può descrivere gli eventi dell’epoca apparentemente senza prendere posizione esplicita riguardo ad essi. È antiecclesiastico ed antispagnolo, ma anche in disaccordo con una ragion di stato che sia contraria alla legge di Dio, condannando i vizi del secolo come interesse, ipocrisia, ecc. L’opera è molto originale poiché dà veste comico-satirica (“metafore e scherzi di favole”) ad una materia seria, mescolando toni gravi e scherzosi. 3.La storiografia. Spesso la storiografia seicentesca si occupa di religione e dei rapporti tra politica e religione, perché molti storici di questo periodo sono gesuiti (o in generale religiosi) e hanno intenti propagandistici. È anche particolarmente interessata alla contemporaneità, specie per quanto riguarda gli eventi notevoli della storia europea: o Istoria delle guerre civili di Francia (1630), di Enrico Caterino Davila. Ma non solo grandi eventi, hanno importanza anche le storie locali, difatti fiorisce la storiografia municipale, spesso favorita o direttamente commissionata dal governo a Venezia, Napoli e Milano, dove Giuseppe Ripamonti (1573-1643) è autore di due opere che saranno utilizzate da Manzoni nella scrittura dei Promessi Sposi: o Historiae patriae (1641-1648); o De peste Mediolani (1640). Ci si occupa anche delle questioni teoriche di metodo per l’indagine storiografica: o Dell’arte istorica (1636), del gesuita Agostino Mascardi, è un trattato volto a insegnare come costruire un racconto storico, il cui fine dev’essere la ricerca del vero, condotta nella più totale libertà da condizionamenti esterni. Paolo Sarpi (1552-1623), nato Pietro, è lo storico più eminente del periodo. Dottore in teologia, dotato di vastissima cultura, scrisse: o Istoria del concilio tridentino (1619, Londra — sotto pseudonimo), frutto di un paziente ed accurato lavoro di documentazione, ripercorre il periodo che va dagli inizi della Riforma protestante fino alla chiusura de lavori del Concilio, del quale dà un giudizio pessimistico. Infatti se il concilio si era aperto grazie ad istanze innovatrici e unificatrici, progressivamente le aveva però tradite, facendo raggiungere alla Chiesa della Controriforma il suo grado massimo di degenerazione. La scrittura è limpida, efficace, oggettiva ma spesso ironica, egli si dimostra attento alla storia umana più che alle questioni teologiche. Già dai primi scritti Sarpi aveva sviluppato un atteggiamento critico nei confronti del potere ecclesiastico e si era schierato a difesa della sovranità dello Stato, criticando le ingerenze papali poiché, nella sua visione, Chiesa e Stato costituiscono due poteri indipendenti, l’uno spirituale e l’altro temporale, i quali non hanno il diritto di intervenire l’uno nelle faccende dell’altro. L’opera fu immediatamente messa all’Indice e al gesuita Pietro Sforza Pallavicino (1607-1667) fu commissionata una Istoria del Concilio di Trento in chiave apologetica. 4.La scrittura filosofica e scientifica. Le tendenze importanti sono: una condivisa rivalutazione del «naturalismo» e un atteggiamento critico nei riguardi del presente. 4.1. Giordano Bruno e i «Dialoghi». Seppur vissuto nella seconda metà del Cinquecento (1548-1600), Bruno esercitò un importante influsso sulla cultura del periodo barocco. Nacque nel vicereame di Napoli, divenne 5 un domenicano, nonostante questo lesse Erasmo da Rotterdam (proibito ai domenicani), in seguito aderì al calvinismo, ma anche in questo caso solo per un periodo. Manifestava spiccati interessi per l’ermetismo, il neoplatonismo, la magia, l’astrologia e la mnemotecnica. Girò per varie corti europee, producendo diversi tipi di scritti, fino a quando un patrizio veneziano incuriosito da alcuni suoi studi non lo invitò a Venezia, ma forse deluso lo denunciò all’Inquisizione ed egli, dopo un processo durato sette anni, fu messo al rogo per eresia (1600). Le opere (6 dialoghi): o La cena de le Ceneri (1584) è un dialogo filosofico e cosmologico, scritto in volgare con toni comico- satirici — l’esempio di Bruno per quanto riguarda la lingua, lo stile e il genere, verrà seguito da Galilei, anche se per quanto riguarda quest’ultimo, con intenti divulgativi più espliciti; o De l’Infinito, universo e mondi (1584), è un dialogo scientifico, nel quale viene messa in crisi l’idea stessa che nello spazio possa esistere un centro; o De causa, principio et uno (1584), è un dialogo su questioni metafisiche; o Lo spaccio della bestia trionfante (1584), è il primo dei dialoghi morali, Bruno vi affida il suo scetticismo riguardo alla doppia natura di Cristo, il suo rifiuto del culto dei Santi e l’opposizione al dogma protestante della salvezza grazie alla fede; o Cabala del cavallo Pegaseo (1585), con l’aggiunta dell’Asino cillenico (1585), dialogo dall’impianto satirico; o Degli eroici furori (1585), è sempre un dialogo di tipo morale e filosofico. o (1591) 2 poemi filosofici in esametri, in latino, accompagnati da commenti in prosa (sul modello del De rerum natura di Lucrezio) o Candelaio (1592 — Parigi), commedia caratterizzata da una forte carica comico-parodica. 4.2. Tommaso Campanella e «La città del Sole». Campanella (1568-1639), calabrese, fu allievo di Bernardino Telesio, filosofo naturalista dal quale fu influenzato nell’antiaristotelismo, nell’insofferenza per ogni forma di regola precostituita, nella passione per la libertà in campo espressivo e il culto per Dante, ma soprattutto per l’importanza data all’osservazione diretta della natura. Fattosi domenicano in giovane età, entrò però presto in conflitto con le autorità ecclesiastiche, arrivando addirittura a promuovere una congiura antispagnola e antiecclesiastica, con il progetto di dar vita a una nuova organizzazione sociale, motivo per il quale, rimase per trent’anni in prigione (dopo essersi finto pazzo per evitare la pena di morte), dalla quale comporrà la maggior parte delle sue opere: o La città del Sole (1602), composta in volgare e poi tradotta anche in latino col titolo di Civitas Solis, è un’operetta utopistica in forma di dialogo fra un membro dell’ordine religioso-cavalleresco degli Ospitalieri e il nocchiere genovese di Colombo, il quale descrive una città fantastica collocata nell’attuale Sri Lanka e la sua organizzazione sociale perfetta: nella città del Sole vi è una società comunitaria in cui ognuno opera dando il meglio di sé in base alla sua naturale disposizione, non esiste la proprietà privata (né dei beni né delle donne), la società è organizzata razionalmente e priva di tabù, è governata dai sapienti, cioè i filosofi. Campanella, fallito il tentativo di congiura, si ritrovò diviso tra il sogno di un ideale di società comunista e l’apologia del presente e del potere assolutistico, così quando si propose il problema della realizzazione concreta del suo ideale, arrivò perfino ad ipotizzare un coinvolgimento della Chiesa e del governo spagnolo nei suoi progetti di riforma universale, piegando verso un’idea di governo monarchico e assolutistico. o Del senso delle cose e della magia (1604); o Apologia di Galileo (1615-6), nel quale egli si mostra entusiasta per l’opera dello scienziato e per le sue rivoluzionare scoperte; o Cantica > Scelta d’alcune poesie filosofiche di Settimontano Squilla (1622) vd.5.3. Prendendo nettamente le distanze dalla lirica edonistica e disimpegnata del Barocco, Campanella propone una poesia filosofica che è insieme frutto e specchio del suo pensiero. La sua vasta produzione lirica sarebbe dovuta essere pubblicata in un raccolta, oggi per la maggior parte perduta, ma invece egli pubblicò una selezione, nella quale sono presenti poesie che insistono sul punto, fondamentale per Campanella, della necessità che la poesia non sia menzognera, ma portatrice di verità, cosa che le 6 consentirebbe di essere utile e non fine a sé stessa. Egli ha infatti in mente un modello di poeta- profeta come Dante, mosso da una forte tensione morale e da un costante impegno educativo. Per questo scopo egli utilizza un linguaggio atto a tradurre efficacemente i contenuti filosofici e morali, dalla forte carica espressiva (Commedia, Rime “petrose”), antipetrarchista e antiaccademico, quindi all’insegna della sperimentazione e della varietà, come anche per la metrica. 4.3. La nascita della prosa scientifica. L’affermazione definitiva della teoria eliocentrica copernicana causò la fine di un mondo culturale e di un sistema filosofico e teologico che ponevano l’uomo al centro dell’Universo, ma comportò anche la fine di un sapere chiuso e unitario, fondato su antiche certezze e sulle pagine degli auctores, in favore di una ricerca aperta e progressiva. Sul piano letterario la rivoluzione scientifica segna la nascita e l’affermarsi di un nuovo linguaggio e l’acquisizione di nuovi generi nel campo dell’espressione e della divulgazione scientifica: infatti la nascita della prosa scientifica significò anche la fondazione di un nuovo lessico, comprensibile ma anche scientificamente esatto, in grado quindi di stabilire una relazione univoca tra parola e cosa, che non lasciasse spazio a equivoci o interpretazioni ambivalenti (vd. Galilei). Fra gli studiosi che raccolsero l’eredità di Galilei in questo senso, il suo più illustre allievo Evangelista Torricelli (1608-1647), ideatore del barometro a mercurio e autore di importanti Lezioni accademiche. Inoltre è necessario menzionare l’Accademia scientifica fiorentina del Cimento (1657), di cui fecero parte anche tanti altri scienziati e studiosi che utilizzavano la nuova prosa scientifica. Oltre al metodo di ricerca scientifica, essi ereditarono dal maestro anche quella poliedricità di interessi per i vari campi del sapere, compreso quello della lingua e della letteratura, non trascurando però anche di specializzarsi in determinati campi, di cui si soffermavano a descrivere i più piccoli particolari, e proprio in questo si trova il punto di contatto evidente, seppur inconsapevole, tra il poeta barocco (che canta il piccolo neo della donna nei suoi dettagli) e lo scienziato (che descrive senza preclusioni le meraviglie della natura). 5.La lirica. La lirica seicentesca è in larga misura pervasa dal marinismo: Marino fu un caposcuola in campo lirico, si propose e fu accolto come modello di una nuova poesia, di rottura rispetto al passato, e la cui consapevolezza teorica è testimoniata da una lettera del 1624 a Girolamo Preti in cui afferma che «la vera regola è saper rompere le regole a tempo e luogo». Il marinismo non fu l’unica corrente poetica del secolo, ma fu quella attorno a cui ruotarono gran parte delle attenzioni, sia di chi vi aderiva, sia dei detrattori, che volevano correggerla o stemperarla (i moderato-barocchi), sia di coloro che volevano contrapporre invece un ritorno al modello classicista. È giusto ricordare che comunque anche il marinismo dipende dall’esperienza tardocinquecentesca, specie Tasso, che per primo si era svincolato in pare dalla stretta osservanza del modello petrarchesco, per arricchire la sua poesia di nuovi motivi e aveva ricercato un linguaggio “eletto” lontano dalla linearità e dall’equilibrio canonici trecenteschi. La differenza fondamentale è quindi un’altra: cioè che per Tasso il concetto (il prodotto degli ingegni retorici) doveva rimanere, e rimaneva, strettamente connesso e funzionale al significato, al contenuto, mentre invece nei cosiddetti “concettisti” (i marinisti, estremi utilizzatori di figure retoriche), il concetto diventa un gioco fine a sé stesso, non è più vincolato ad un messaggio preciso. 5.1. La lirica marinista. Porta avanti una programmatica rottura dei canoni, dettata dal bisogno di spezzare l’uniformità prodotta dall’imitazione del modello. Casadei e Santagata sottolineano come non abbia prodotto nomi di particolare rilievo, come se la voglia di rompere col passato tramite determinati schemi, comune a tutta una schiera di poeti, avesse come finito per uniformarli tutti ad un nuovo canone e li avesse resi poco originali. Comunque, i centri propulsori del fenomeno sono principalmente Bologna e Napoli ed è possibile individuare due fasce cronologiche: 1. Primo momento “rivoluzionario”, rappresentato da Marino e i suoi seguici, come Claudio Achillini, Girolamo Preti e Girolamo Fontanella; 7 Francesco Bracciolini (1566-1645), insieme a Tassoni, è uno dei maggiori esponenti del genere, precursore della di una produzione che avrà notevole successo anche nel secolo successivo, anche all’estero. Il suo poema Scherno degli dei (1618), presenta un soggetto già compromesso comicamente, cioè gli amori di Venere, abbandonando ogni preoccupazione strutturale e alternando, sul piano stilistico, il grave al faceto. La comicità è pesante, basata spesso sull’allusione oscena. 6.3 Alessandro Tassoni e «La secchia rapita». Alessandro Tassoni (1567-1635) è fra i letterati e polemisti di maggior rilievo nel primo trentennio del secolo. Modenese, studiò giurisprudenza e poi si trasferì a Roma, dove fu uno dei fondatori dell’Accademia degli Umoristi (1603), in seguito fu a servizio dei Savoia ma alla fine della sua vita si ritirò a Modena, deluso e insoddisfatto, dove strinse amicizia con Fulvio Testi anche grazie al comune antispagnolismo. In letteratura fu anticlassicista, antipetrarchista e antiaristotelico, contestando e demolendo alcuni dei capisaldi del potere costituito, spesso in forme paradossali. Abbandonò quasi subito il linguaggio lirico tradizionale per dedicarsi ai soggetti e ai registri più vari o Filippiche (1615, pubblicate anonime), sono degli scritti marcatamente antispagnoli; o Oceano (1617), è un’opera epica, tentativo non riuscito di poema «colombiano»; o Pensieri (1620, ed. definitiva), è l’opera in cui esprime le sue riflessioni intorno alla letteratura e all’epica, che Tassoni considera - secondo i canoni - come il genere eletto, ma si schiera apertamente a favore dei moderni sugli antichi, quindi Tasso e Ariosto contro Omero, del quale, senza paura del paradosso anacronistico, mette in luce le «rozzezze»; o La secchia rapita (1622). Il poema è diviso in 12 canti, come l’Eneide di Virgilio, e narra di una guerra fra Modena e Bologna per il possesso di un secchio di legno, «rapito», come Elena di Troia (ironica analogia con Omero), dai modenesi, durante una battaglia nel ‘300, quando questi si erano spinti fin dentro Bologna. In questo poema eroicomico, la materia storica e quella epica sono liberamente mescolate a quella leggendaria: Tassoni fa infatti agire personaggi storici antichi accanto a personaggi contemporanei o leggendari, mescolando tempi e fatti diversi. Secondo le tendenze barocche si possono individuare nell’opera il gusto sperimentale, l’ansia di stupire e il piacere della mescolanza disarmonica di opposti, che, com’è tipico dell’eroicomico, nel registro e nello stile si concretizza in una miscela di «grave e burlesco», per cui il linguaggio in certi punti è regolarmente epico, sostenuto o addirittura altisonante, connotato da un lessico ricercato e magniloquente, mentre in altri è basso, caratterizzato da parole comuni o perfino oscene. Sono presenti i topoi eroici ma anche quelli romanzeschi o comici (tradimenti, travestimenti, aneddoti curiosi, ecc). L’alternanza di queste caratteristiche risulta divertente perché inattesa, ma è anche simbolica del processo di demolizione del genere epico, connotata dall’ironia amara di un autore che crede ancora nei valori eroici, ma che ritiene anche che il presente non possa più offrire materia degna di un racconto epico. In questo modo il diletto è accompagnato anche dalla satira nei confronti dei tempi e della società seicenteschi. A corredo dell’opera vi è un complesso paratesto (come in uso all’epoca), del quale fanno parte le Dichiarazioni, che con il pretesto di dare spiegazioni al lettore, aggiungono notazioni ironiche, allusioni mordaci e aneddoti su fatti e personaggi. Nell’anno successivo alla pubblicazione di questo poema eroicomico, lo stesso editore, a Parigi, pubblicherà anche l’Adone di Marino: nonostante le radicali differenze di genere, i due autori conducono un’operazione parallela di erosione del modello epico di stampo tassiano, intaccando entrambi il principio di unità (la struttura della storia nelle loro opere perde la sua coerenza interna a favore dell’inserimento di episodi secondari, o anche per la brusca interruzione di quelli principali), mescolando temi e stili differenti in nome del diletto e distruggendo la figura dell’eroe. 7.Il romanzo Il romanzo seicentesco è un genere completamente nuovo, che non deriva la sua novità da una commistione studiata a tavolino, bensì da una pratica di scrittura che opera, nel pratico, una poderosa 10 sintesi di tradizioni diverse: il romanzo greco e latino, quello cavalleresco, il poema eroico e quello pastorale, la commedia, la novella e perfino le forme liriche. La finalità è esplicitamente quella dell’evasione e le produzioni sono destinate al consumo immediato, difatti i romanzi hanno spesso un’alta tiratura e le edizioni sono di qualità media o scadente perché siano più economiche e facili da produrre, inoltre il genere, sin dalla sua forma medievale, presenta carattere ciclico e questo favorisce l’abbondanza di materiale da trattare. Il pubblico che consuma questi libri è borghese e aristocratico e in Italia i centri di elaborazione e stampa maggiori sono Genova, Bologna, ma soprattutto Venezia, dove il circolo libertino dell’Accademia degli Incogniti dà origine all’Eromena (1624), di Francesco Biondi, considerato il primo vero romanzo barocco italiano: è un romanzo di tipo erotico-avventuroso, che lascia largo spazio alla componente politica e agli intrighi di potere, attraverso cui Biondi manifesta anche la sua vena polemica e lo spirito di ribellione (tratto tipico dei romanzi veneziani di matrice libertina). Predilige le scene dai colori forti, il sangue, i delitti, gli incesti. Questi aspetti furono propri anche dei romanzi (e della vita) di Ferrante Pallavicino (1615-1644), autore di romanzi satirico-polemici in cui denuncia la corruzione ecclesiastica; altro romanzo di rilievo è Istoria del Cavalier Perduto (1634) di Pace Pasini (1583-1644) che ruota intorno ad uno dei motivi centrali della poetica barocca: quello dell’identità indefinita, perché infatti sia il protagonista sia i lettori, ignorano l’origine del cavaliere (denominato appunto “perduto”), per lunga parte del romanzo, stimolando la curiosità del pubblico. Secondo alcuni, quest’opera ha avuto rilievo nella scrittura dei Promessi sposi. Il romanzo di Biondi ebbe successo anche all’estero e fu tradotto in varie lingue, bisogna infatti tenere presente che questo è un genere europeo e si può notare quindi come i romanzi prodotti in Italia risentano fortemente delle produzioni straniere contemporanee diffuse anche tramite traduzioni (un modello riconosciuto è in particolare il romanzo francese Astrea). I romanzi, come in uso all’epoca per la maggior parte dei generi, sono introdotti da ampie prefazioni nelle quali gli autori dichiarano i loro fini e cercano una giustificazione morale dell’aver scritto un’opera interamente per diletto. Come per gli altri generi, anche in questo caso il fine è la meraviglia, che viene ricercata tramite l’abbondanza di particolari macabri o del tema erotico, specie nei suoi aspetti perversi e illeciti. Questo genere, libero dalla rigida regolamentazione cinquecentesca (poiché, specie in Italia, diffusosi solo successivamente), incarna anche le esigenze antiregolistiche grazie alla sua assenza di canoni. L’evoluzione interna presenta due fasi: o Nei suoi esordi il genere risente dell’influsso del poema epico e del romanzo cavalleresco, dai quali dipende direttamente, tende alla scelta di un’ambientazione alta, antica e spesso esotica; o In un secondo momento manifesta invece interesse per le tematiche familiari e per l’introspezione psicologica, tende quindi verso una maggiore aderenza al reale e l’evasione non è più garantita dalla diversità del mondo rappresentato ma dalla sua similarità con quello vero e vissuto dai lettori: il piacere sta nell’identificazione. Gerolamo Brusoni (1614-1686), scrittore di romanzi di origine veneta, produce la maggior parte dei suoi scritti nella seconda metà del secolo e intercetta quindi la seconda fase evolutiva del genere, con romanzi quali La gondola a tre remi, Il carrozzino alla moda, La peota smarrita. Egli stesso, nell’introduzione ad uno dei suoi lavori, parla di «libro alla moda» e, in merito alle sue scelte poetiche, della mescolanza di «favolose narrazioni» con «istorica verità». 8.La novella La novellistica risulta legata ad una solida tradizione, soprattutto allo schema narrativo e strutturale boccacciano, ma più nell’apparenza che nella realtà dei fatti: infatti anche questo genere subisce delle contaminazioni e così la cornice tende a diventare il contenitore per vari generi o a svilupparsi autonomamente. In questo ultimo caso il confine tra novella e romanzo non è netto, come ne o La Lucerna (1625), di Francesco Pona (1595-1655), il quale è un racconto volutamente caotico nella costruzione, fondato su un esile filo narrativo, motivo per il quale può forse essere definito un romanzo. Inoltre l’opera presenta anche un’impronta satirica e pessimistica di derivazione libertina 11 che le varrà la messa all’Indice (motivo per il quale Pona scriverà poi una Antilucerna, 1648, in cui ritratterà apertamente la sua opera). Il modello più seguito della novellistica è il Decameron di Boccaccio: o Duecento novelle (1609), di Celio Malespini (1531-1609), già dal titolo allude al grande archetipo; o Le instabilità dello ingegno (1635), di Anton Giulio Brignole Sale (1605-1662), è un esempio di libera interpretazione del modello di Boccaccio; o L’Arcadia in Brenta (1667), di Giovanni Sagredo (1617-1682), tende a polverizzare l’ossatura della novella in brevi aneddoti, motti e battute che creano un clima conversevole e poco impegnato; o Cento novelle amorose dei signori accademici Incogniti (1651), è una raccolta scritta appunto da molti autori, che collaborano al testo, tra i quali il fondatore dell’Accademia, Giovan Francesco Loredano. Le novelle sono sostanzialmente di argomento erotico, come suggerito dal titolo, con una netta predilezione per i rapporti complessi, i triangoli amorosi, le gelosie, le vendette, le sfide, i duelli e altri aspetti “sociali” e travagliati dei rapporti. L’obiettivo è quello della meraviglia, che porta quindi ad una ricerca sia contenutistica che stilistica. 9.La letteratura dialettale e popolare In armonia con la voglia di sperimentare barocca, specie in area partenopea, si sviluppa un nuovo interesse per i dialetti, legato a ragioni regionalistico-municipaliste, ma anche al desiderio di produzioni anticlassicistiche e antiregolistiche. Giulio Cesare Cortese (1575 ca.-1625) o La vaiasseide (1612, vaiasse = serve), è un poemetto eroicomico, in ottave, in dialetto napoletano, con il quale Cortese esordisce nel campo dialettale. È accompagnato da Argomenti (versi introduttivi) e prose dell’amico Giambattista Basile (vd. Più avanti). L’impalcatura è quella epica tradizionale ma il soggetto è basso: sullo sfondo della plebe cittadina, costituita da serve, prostitute, osterie e luoghi di malaffare, si mettono in scena le bravate, le gesta brigantesche e le peripezie amorose di Micco Passaro, gradasso millantatore, creando il nuovo epos plebeo. La lingua in questo caso ha un fine realistico mimetico, poiché specchio del mondo che si vuole rappresentare; o Micco Passaro ‘nnamorato (1619) è il continuo del precedente; o Viaggio di Parnaso (1621) è il poema in ottave nel quale Cortese illustra la dignità letteraria e la ricchezza del dialetto, lingua viva ed espressiva (in contrapposizione con il rigido toscano illustre). Giulio Cesare Croce (1550-1609), è stato uno scrittore bolognese, di umili origini, realizzò tantissime operette sia in italiano sia in dialetto, alcune delle quali poi pubblicate nell’opera Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1620), originariamente divise in: o Le sottilissime astuzie di Bertoldo (1606); o Le piacevoli e ridicolose simplicità di Bertoldino, figlio del già astuto Bertoldo (1608). Queste sono raccolte di episodi e facezie incentrare appunto sul personaggio di Bertoldo e di suo figlio Bertoldino, legati in modo casuale con un andamento simile a quello dei racconti orali. Scrisse anche dialoghi. 10.Il teatro Il teatro nel Seicento riuscì ad accogliere e interpretare le principali istanze della cultura seicentesca: l’idea della vita come spettacolo e del mondo come teatro, il gusto per la metamorfosi, il travestimento, lo scambio. Si spiega quindi il grande successo di nuove forme come il melodramma e la Commedia dell’Arte, 12 alla storia contemporanea, sottendono chiaramente una polemica antitirannica e anticortigiana, distaccandosi dal taglio controriformistico (e filospagnolo) della prima. Carlo de’ Dottori (1618-1685), è noto soprattutto per: o Aristodemo (1657), tragedia di impronta classicistica per la quale l’autore dichiara di essersi ispirato a Euripide, Sofocle e Seneca, oltre ad aver subito l’influsso della tragedia francese di Corneille. Quest’opera, che mette a fuoco i personaggi tragici centrali del padre e della figlia al fine di destare emozioni profonde, è costruita sul principio del rovesciamento drammatico, in base al quale lo sviluppo dell’azione, manovrata da un destino avverso, rivolge al contrario le premesse e le intenzioni. La trama deriva da un episodio narrato dallo storico greco Pausania. Durante la guerra tra Sparta e Messene, gli dèi offesi impongono attraverso l’oracolo di Delfi che si sacrifichi una giovane messenia. Aristodemo, mosso da un egoistico desiderio di grandezza che si confonde con la «ragion di Stato», offre la figlia, Merope. Ma Policrate, che la ama, cerca di salvarla facendo credere che ella sia incinta. Aristodemo, per punirla, la uccide, ma non trova la prova della colpa di cui è stata accusata a fin di bene. Avvedutosi dell’errore, si uccide. Galileo Galilei 1.La vita. Galileo Galilei (1564-1642) nasce da famiglia fiorentina, il padre Vincenzo, commerciante di professione, era anche un noto musicologo della Camerata dei Bardi (gruppo di nobili fiorentini che si riunivano per discutere di musica, letteratura ed altro). Ebbe quindi un’educazione umanistica ed entrò poi all’Università come studente di Medicina. Insegnò matematica a Padova, ambiente culturalmente conservatore. Nei circoli e nei salotti veneziani potè frequentare personalità di spicco come Paolo Sarpi e conoscere scienziati come Keplero. In quel periodo compì alcune scoperte e inventò il cannochiale, sfruttando indicazioni che gli provenivano dall’Olanda e influenzando così non solo il progresso scientifico ma anche la letteratura, che trasse ispirazione da questo rivoluzionario strumento (vd. Marino). Con il cannochiale Galilei dette nuovo fondamento all’ipotesi copernicana, alla quale aveva già da tempo aderito. Nel 1616 la teoria copernicana, cui Galilei aveva aderito, viene dichiarata eretica dalla Chiesa e Galilei viene “ammonito”, ma egli decise di non fermarsi e continuò a pubblicare opere in merito, nel 1632 l’Inquisizione si mosse, dichiarando il Dialogo (vd. Sotto) sovversivo e sequestrando il libro. L’anno successivo Galilei fu condannato al carcere e all’abiura dal Sant’Uffizio, pena poi commutata in una sorta di esilio, che egli trascorso nelle colline vicino Firenze e dove, dopo essere riuscito a pubblicare un ultimo trattato scientifico sotto forma di dialogo (1638), morì nel 1642. o Sidéreus Nuncius (1610) opera in latino, vuol dire “messaggero delle stelle”, ebbe vasta circolazione in Europa e buona accoglienza anche in ambito ecclesiastico; o Lettere copernicane (1613-1615) è un gruppo di epistole nelle quali Galilei tratta del rapporto tra scienza e fede, sostenendo che la ricerca dev’essere autonoma: infatti le osservazioni scientifiche si traducono nel linguaggio matematico, e hanno per cui un certo grado di certezza, di contro le Sacre Scritture si servono di un linguaggio figurato e poetico e devono per cui essere interpretate, poiché non parlano alla lettera, sono metaforiche e simboliche; o Il Saggiatore (1623) vd. Sotto; o Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1624>30). Vd. Sotto. 2.«Il Saggiatore». (1623) Composto in volgare e di taglio apertamente polemico, voleva smentire le teorie del gesuita Orazio Grassi, il quale nel suo lavoro Libra astronomica ad philosophica (1619) sosteneva che le comete fossero corpi celesti, di contro Galilei riteneva che queste fossero effetti ottici – teoria poi smentita. La ragione del titolo risiede quindi nel fatto che all’opera di Grassi, il cui titolo era “libra”, cioè bilancia grossolana, Galilei voleva contrapporre il “saggiatore” cioè la bilancia di precisione usata dagli orafi. Quest’opera è un esempio di vivacità polemica per il tono comico e la messa in ridicolo dell’avversario, ma dimostra anche una notevole capacità retorico-letteraria e il rigore del metodo scientifico: infatti è evidente come lo scienziato pisano rifiuti nettamente un tipo di conoscenza libresca fondata sull’autorità e sia consapevole che per la conoscenza della natura è necessaria una preliminare conoscenza del linguaggio 15 matematico, e deve procedere coniugando l’esperienza diretta e dell’osservazione con il ragionamento. Galilei ha interesse quindi ad elaborare una teoria matematica e non si occupa delle interpretazioni di tipo religioso o metafisico, che ritiene materia per altre discipline. Il libro fu pubblicato a cura dell’Accademia dei Lincei e piacque molto al papa Urbano VIII. 3.Il «Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo». (1624>30) È un emblema della mediazione necessaria per tentare di sfuggire alla censura dell’Inquisizione per due motivi. Intanto il titolo, che era inizialmente Dialogo sulle maree, il quale però palesava da subito la sua adesione al sistema copernicano e quindi era rischioso e poco neutro, motivo per il quale venne cambiato, nell’intento di far sembrare la questione più aperta e presentare la teoria copernicana solo come un’ipotesi. Il secondo tentativo di mediazione è riscontrabile nella forma stessa dell’opera, non un trattato, bensì un dialogo: questa forma letteraria, di lunga tradizione dall’antichità classica al Rinascimento, consentiva infatti di mettere in campo opinioni diverse attribuendole ai vari personaggi, senza coinvolgere direttamente l’autore ma allo stesso tempo permettendogli di raggiungere più efficacemente gli intenti didattico-dimostrativi, contemporaneamente intrattenendo il lettore, al quale sembra di assistere ad una commedia di argomento filosofico. I personaggi che partecipano al dialogo sono 3, due sono personaggi storici contemporanei a Galilei e che egli aveva frequentato: o Giovan Francesco Sagredo, patrizio veneziano, nella cui dimora è ambientata la scena; o Filippo Salviati, nobile fiorentino, controfigura dell’autore; Il terzo personaggio è invece di invenzione: o Simplicio, portavoce del principio aristotelico-tolemaico, deriva il suo nome da quello di un commentatore di Aristotele vissuto nel VI secolo, ma ha anche una valenza simbolica evidente, poiché è emblema dell’ottusità intellettuale del personaggio. Simplicio diventa un personaggio comico, cosa che contribuisce a distruggere in partenza le sue opinioni. La lingua del dialogo è il volgare, scelto per la seconda volta dopo il Saggiatore, e si può definire un parlato di tipo teatrale, congeniale alle esigenze e agli intenti dell’opera, la quale è caratterizzata anche dal gioco ironico (ad esempio quando definisce “salutifero” l’editto che ha messo a tacere l’ipotesi della mobilità della terra, contraddicendo palesemente questa stessa premessa nel corso dell’opera). La scelta del volgare denota la distanza programmatica dell’opera dall’uso tradizionale del latino, utilizzato per i trattati scientifici in tutta Europa, ma anche dal dialogo accademico rinascimentale, che usava il volgare, ma alto e letterario. 4.Galilei letterato e critico. Galilei ricevette come prima educazione quella umanistica e non abbandonò mai l’interesse per le lettere, questo è dimostrato dal fatto che si servì delle forme letterarie come dialogo, commedia, parodia, anche per comunicare verità scientifiche e per insegnare a ragionare scientificamente. Si rese conto da subito che affinché l’operazione di comunicazione e divulgazione fosse efficace, era necessario riporre particolare cura e attenzione anche nei confronti aspetti linguistici, motivo per il quale scelse il volgare e condusse sempre un’attenta indagine al fine di utilizzare termini univoci e comprensibili. Fu egli stesso occasionalmente anche poeta e non fu estraneo anche ai dibattiti letterari del suo tempo e prendendo posizione contro le tendenze manieriste e barocche a favore degli ideali classicisti e rinascimentali. Espresse le sue considerazioni in alcune opere: o Lezioni all’accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante (1588) o Postille al Petrarca (?) o Postille all’Ariosto (1588). Egli ebbe modo di conoscere l’Orlando Furioso da una versione particolarmente corrotta, motivo per il quale, con attenzione quasi filologica, appose delle postille al testo, correzioni e commenti sull’opera di Ariosto, di cui era appassionato estimatore e che riteneva elogiabile per la sua limpidezza linguistica e razionalità sintattica, l’uso proprio e non traslato dei termini e l’armonia costruttiva; o Considerazioni al Tasso (1590), testimonia che nel panorama contemporaneo Galilei forse di tutti, fosse il più accesso detrattore della Gerusalemme liberata, della quale non apprezzava il linguaggio artificioso e manieristico, la prolissità e allo stesso tempo oscurità, le contorsioni sintattiche e l’abuso metaforico. 16 Giovan Battista Marino 1.La vita. Giovan Battista Marino (1569-1625) nacque a Napoli, il cui vivace ambiente letterario, alla fine del Cinquecento, era ancora fortemente influenzato da Tasso. Marino divenne membro dell’Accademia degli Svegliati. In questo periodo iniziò a progettare la scrittura dell’Adone e si cimentò anche nel genere epico, cercando di costruire un poema eroico-cristiano alla maniera di Tasso ma senza riuscire a portare a termine i due tentativi (Anversa liberata – la cui attribuzione in realtà è dubbia – e Gerusalemme distrutta, 1602). La sua vita fu inquieta e avventurosa, fu anche incarcerato e raccontò l’esperienza ne Il Camerone, prigione orridissima in Napoli (1598), ma incarcerato una seconda volta, riuscì a fuggire a Roma, dove trovò impiego presso un mecenate e frequentò l’Accademia degli Umoristi, conoscendo Tassoni, Preti, Guarini, Chiabrera e altri. Grazie al successo delle sue poesie ottenne poi un ruolo di prestigio presso il cardinale Pietro Aldobrandini, al seguito del quale fu prima a Ravenna e poi a Torino: gli anni torinesi furono di intensa produttività o La Lira (1614); o Dicerie sacre (1615); o Il Tempio (1615). Marino trova protezione a Parigi alla corte di Concino Concini, favorito della regina Maria di Francia, dove è oggetto di ammirazione nei circoli, ma attraversa un momento di difficoltà quando Concini, caduto in disgrazia, viene ucciso. o Epitalami (1616), dedicati a Concino Concini, favorito della regina; o La Galeria (1619, Venezia), raccolta di versi dedicati a pitture e sculture; o La Sampogna (1620), raccolta di idilli; o Adone (1623) anche se era già concluso due anni prima. Marino tornò quindi in Italia, l’anno dell’elezione a papa di Urbano VIII Barbenini, fiorentino, poeta classicista e antimariniano, giudice severo dell’erotismo pagano del poema. Nel 1624 quindi il poeta tornò a Napoli e vi morì, nel 1625, lo stesso anno in cui la sua opera maggiore, l’Adone, veniva iscritta nell’Indice dei libri proibiti, dopo essere stata oggetto di polemiche e controversie numerosissime. o La strage degli innocenti (1632), poema sacro, uscì postumo. 2.La lirica mariniana. Le liriche mariniane sono sistemate in alcuni progetti e raccolte: o La Lira (1614, Venezia), è l’edizione definitiva della prima parte delle rime di Marino. Il titolo fa riferimento allo strumento a corde e sottolinea la stretta parentela tra musica e poesia, secondo il topos che le vede come arti “sorelle”. L’opera è molto varia come toni e stili e ha carattere enciclopedico, perché il poeta voleva raccogliere «l’universo degli argomenti poetabili». È strutturata sia sulla base di una ripartizione per generi metrici (sonetti, madrigali, canzoni e canzonette), sia per sezioni tematiche (amorose, marittime, boscherecce, eroiche, lugubri, morali, sacre e testi di corrispondenza), alle quali, rispetto all’edizione del 1602, conosciuta come Rime e contenente 679 componimenti, si aggiunge anche una terza parte di 408 nuove liriche, suddivisa tematicamente (Amori, Lodi, Lagrime, Divozioni, Capricci), per un totale di 1087 poesie. Evidente il distacco nell’organizzazione rispetto all’organicità narrativa, tematica e costruttiva del Canzoniere petrarchesco, con il quale ha però in comune la preponderanza del tema amoroso, che il Marino viene comunque declinato in senso barocco e per cui ampliato rispetto ai motivi tradizionali: la donna è colta in atteggiamenti vari all’interno della cornice domestica, descritta in particolari inediti. Fra i temi centrali, il bacio in tutta la sua vasta fenomenologia, con una forte inclinazione alla sensualità. La critica moderna è portata a considerare Marino non come un estremista dei «concetti» e delle figure retoriche, ma gli riconosce un certo equilibrio e una sobrietà di gusto ancora cinquecentesco. Saranno i suoi imitatori ad essere estremisti, paradossali e oscuri. o La Galeria [distinta in pitture e sculture] (1619, Venezia>1620 Milano) è una raccolta di sonetti, madrigali e altri metri vari, «la più vasta e ambiziosa celebrazione poetica delle arti figurative mai apparsa nella letteratura europea» (Caruso). Come dice il titolo è stata iniziata con l’ambizioso 17