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Il Barocco: periodizzazione e caratteri, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Una panoramica sul Barocco, un fenomeno europeo interdisciplinare che rappresentò una tendenza a enfatizzare gli aspetti formali delle varie arti, con una ricerca di soluzioni inedite, ardite e spettacolari. Il Barocco presenta una forte carica eversiva nei confronti delle regole e dei precetti elaborati nel corso del Cinquecento, dipendenti in misura maggiore o minore dagli ideali classicisti. i motivi e i temi del Barocco e le spinte contraddittorie che lo hanno caratterizzato.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 17/01/2024

letizia-sanna
letizia-sanna 🇮🇹

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Scarica Il Barocco: periodizzazione e caratteri e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Coordinate storico-culturali     1.Il barocco: periodizzazione e caratteri.   Tratti fondamentali. Il barocco è un fenomeno europeo, interdisciplinare, che rappresentò una tendenza a enfatizzare gli  aspetti formali  delle  varie arti,  con una ricerca di soluzioni   inedite,  ardite e spettacolari. Questo non implica una totale indifferenza ai contenuti: l’inquietudine e la capacità di indagare dell’animo umano che emergono nelle  opere migliori  ne sono testimonianza.   Il  barocco presenta una forte carica eversiva nei confronti delle regole e dei precetti elaborati nel corso del Cinquecento, dipendenti in misura maggiore o minore dagli ideali classicisti. In un’epoca che ha stravolto i fondamenti scientifici e filosofici antichi, si mira al superamento dei vincoli e alla creazione di opere in cui risplenda l’abilità inventiva e la raffinatezza   intellettuale   dell’artista,   il   quale   deve   cercare   in   primo   luogo   l’originalità,   la   stravaganza, l’estraneità ai canoni rinascimentali dell’armonia e della misura. In Italia, condizionata dal dominio spagnolo nonché dal  nuovo potere della  Chiesa  della  controriforma,  si  sviluppò un preciso  gusto  barocco,   il   cui esponente di punta è il poeta Giovan Battista Marino. A queste tendenze comunque non mancarono vivaci opposizioni, mosse dalla fedeltà alla tradizione. Nel complesso, nel corso del Seicento l’arte italiana perse progressivamente il suo ruolo centrale in ambito europeo.    Motivi e temi. Alcuni studiosi ritengono che il termine barocco derivi dal portoghese “barroco”, termine che designa un tipo di perla di fattezze irregolari; altri (fra i quali Benedetto Croce) credono invece che esso sia legato alla cultura filosofico-scolastica, nella quale ”baroco” definisce un genere di ragionamento vuoto e tortuoso. Il termine fu usato per la prima volta, in riferimento alle arti, nel XVIII secolo, con una sfumatura negativa che rimanda alla irregolarità e alla vuotezza artificiosa del fenomeno che designa (con preciso riferimento e critica all’anticlassicismo del barocco), in seguito fu esteso per analogia all’ambito letterario. Il barocco è caratterizzato in primo luogo da un’insofferenza alle regole, che fa sì che le forme tradizionali siano svuotate e contraddette, deformate e stravolte. Costituisce un movimento innovativo e autonomo rispetto alla tradizione: l’arte barocca è spesso estroversa, spettacolare, ma anche popolare e ricerca la meraviglia, lo stupore suscitato all’improvviso, di frequente attraverso artifici estremi; tende al grandioso, al molteplice, alle immagini proliferanti. La ricerca della novità e della meraviglia si deve alla volontà di ridestare   l’interesse e  il  piacere  in un pubblico ormai  stanco e annoiato da un tipo di   letteratura  che, fortemente regolata,  tende a essere  prevedibile  e ripetitiva.  L’inatteso,   lo stupefacente,   lo strabiliante, allontanano dal principio di verosimiglianza, sia sul piano dei contenuti, sia su quello delle forme (metro e generi)   e   dello   stile.   Il   Seicento   è   il   secolo   dei   generi   misti   (“tragicomico”   ed   “eroicomico”),   della contaminazione tematica e stilistica. Il gusto barocco nasce in un secolo dominato da spinte contraddittorie: da una parte ha ormai preso piede l’ideologia   della   controriforma   e   la   Chiesa   cattolica   fa   un   uso   politico   della   cultura,   stimolando l’elaborazione di nuovi contenuti che affermino la sua autorità e rafforzando gli strumenti di controllo e censura di fronte all’imporsi della teoria copernicana, confermata dal sistema Galileiano. In secondo luogo proprio   la   teoria   copernicana   e   le   nuove   scoperte   tecnico-scientifiche   ed   astronomiche,   segnano radicalmente l’immaginario collettivo dell’uomo e provocano un mutamento psicologico e filosofico. Infatti il cambiamento di prospettiva fa sì che l’uomo del Seicento perda la sua posizione privilegiata al centro dell’Universo e, conseguentemente, viene meno anche la fiducia umanistica nelle sue possibilità di dominio del mondo e di sé stesso. Le caratteristiche ricorrenti della cultura barocca sono quindi: o Incertezza,   instabilità,  precarietà,  forte sentimento della  morte,   la  quale si  presenta in maniera ossessiva nell’arte come nella letteratura, attraverso motivi come quello del tempo fugace, delle devastazioni, al cui immaginario hanno dato un contributo anche le numerose guerre, pestilenze e carestie del secolo. Ad esempio, la rosa, la cui immagine aveva fornito il topos rinascimentale della gioia e il cui utilizzo costituiva un invito gioioso a godere dell’esistenza, diventa ora emblema della fugacità della vita e della necessaria consunzione della bellezza (Marino).  1 o La predilezione per le forme in movimento, indefinite, decentrate, sempre per ottenere il senso della labilità delle cose. Altro tema ricorrente infatti è quello delle metamorfosi, ripreso dalla poesia di Ovidio. o Altro motivo frequente è quello della finzione, soprattutto nel teatro, genere di vasto successo nel Seicento in tutta Europa (vi operano autori come Shakespeare e Calderón de la Barca), che diventa anche uno dei simboli prediletti: infatti è presentata spesso l’identificazione fra vita e teatro, fra uomo e maschera, nella quale la vita è una grande rappresentazione e l’uomo recita nel mondo solo una parte, portando una maschera che è espressione della sua inautenticità. o Il tema della pazzia deriva dal senso di disarmonia che l’uomo prova nei confronti del mondo che lo circonda, e quindi trionfa nella produzione barocca, da Amleto a Don Chisciotte. La pazzia  è  in ultima analisi   l’unica   forma di   saggezza  possibile,  ma anche un atto di   libertà  che consente  di esprimersi.    Nella cospicua produzione trattatistica barocca ci si riferisce, con il termine “ingegno”, all’inventiva negli accostamenti concettuali,  all’abilità nel trovare soluzioni formali applicabili   in modo originale, persino ai significati banali,  mentre è chiamata “acutezza” la capacità interpretativa dei concetti, ovvero i prodotti dell’ingegno.    Per  quanto riguarda  lo  stile,  si  afferma un forte gusto dell’artificio  e  la  rottura dell’armonia  si   realizza nell’impiego di una sintassi  disgiunta e contorta,  nella ricerca di figure retoriche che rendono oscuro il significato e impegnano il lettore in uno sforzo interpretativo. Ruolo preminente ha la metafora, costruita con l’ingegno e nella quale il rapporto fra la figura retorica e l’oggetto a cui essa si applica diventa sempre meno evidente, il lettore deve utilizzare la sua acutezza per rintracciarlo. Spesso i poeti barocchi sembrano abbandonare del tutto l’idea di un messaggio da comunicare e concentrare i loro sforzi verso un unico fine: quello di stupire attraverso all’artificiosità sublime, che a volte diventa tortuosità.      2.Contesti e confronti   Il Seicento è considerato come un secolo di crisi in Italia, la quale, dal punto di vista politico fu soggetta soprattutto al dominio spagnolo, finendo per rimanere coinvolta nella crisi della monarchia ispanica, che culminò  con  la  guerra  dei  Trent’anni.  Alla   complicata   situazione  politica  deve  sommarsi  anche   la   crisi economica e demografica che colpì durante il secolo l’intera Europa, nonostante la quale, però, il fulcro del progresso   politico,   economico   e   culturale   si   sposta   definitivamente   dal   Mediterraneo   verso   l’asse Inghilterra-Francia-Olanda.   2.1 La cultura della Controriforma.  In seguito alla riforma protestante luterana, la Chiesa (cattolica) agisce per consolidare il proprio potere in Italia, rafforzando le strutture create nella prima fase della Controriforma: il nuovo ordine della compagnia di Gesù, con i suoi colti rappresentanti, dirige le scuole ed esercita una forte influenza politica. Oltre al controllo  e alla  censura,  praticate rigorosamente,   la  Chiesa  interviene  sulla  cultura,  da  quella  ufficiale, morale e spirituale, a quella laica della politica e dell’intrattenimento, soprattutto attraverso l’esercizio della critica letteraria da parte dei gesuiti, che spesso erano anch’essi scrittori e cercavano di offrire un modello ritenuto adeguato.    Gli   intellettuali,   le   corti  e   le   accademie.   I   fenomeni   letterari   più   rilevanti  si   sviluppano  al  di   fuori  del controllo ecclesiastico, nella laica istituzione della corte, ma la svolta assolutista implica anche nelle piccole corti una riorganizzazione, ed è difficile per l’uomo di cultura dedicarsi unicamente alle lettere e agli studi, facendo  affidamento  al  mecenatismo  disinteressato.  Alla  figura  del   cortigiano   si   sostituisce  quella  del segretario,  che  impiega  il  suo  impegno per  svolgere servizi  diplomatici  e  amministrativi,  e  a cui  serve, sempre di più, essere specializzato in un ruolo, pur essendo poi disposto a grande mobilità, spostandosi di corte in corte, anche all’estero. Aumentano anche gli artisti “slegati” da ogni patronato, come i cosiddetti 2 allegorico poiché il  narratore assume le veste del “menante” (cioè il giornalista dell’epoca),  che informa dei fatti che accadono nel Regno di Parnaso, del quale Apollo è re, tramite dei “ragguagli” e così   può   descrivere   gli   eventi   dell’epoca   apparentemente   senza   prendere   posizione   esplicita riguardo ad essi. È antiecclesiastico ed antispagnolo, ma anche in disaccordo con una ragion di stato che sia contraria alla  legge di Dio,  condannando i  vizi  del  secolo come interesse,  ipocrisia,  ecc. L’opera è molto originale poiché dà veste comico-satirica (“metafore e scherzi di favole”) ad una materia seria, mescolando toni gravi e scherzosi.      3.La storiografia.  Spesso la storiografia seicentesca si occupa di religione e dei rapporti tra politica e religione, perché molti storici  di  questo periodo sono gesuiti (o  in generale  religiosi)  e  hanno  intenti propagandistici.  È anche particolarmente   interessata  alla   contemporaneità,   specie  per  quanto   riguarda  gli  eventi  notevoli   della storia europea: o Istoria delle guerre civili di Francia (1630), di Enrico Caterino Davila. Ma   non   solo   grandi   eventi,   hanno   importanza   anche   le   storie   locali,   difatti   fiorisce   la   storiografia municipale, spesso favorita o direttamente commissionata dal governo a Venezia, Napoli e Milano, dove Giuseppe Ripamonti (1573-1643) è autore di due opere che saranno utilizzate da Manzoni nella scrittura dei Promessi Sposi: o Historiae patriae (1641-1648);  o De peste Mediolani (1640). Ci si occupa anche delle questioni teoriche di metodo per l’indagine storiografica:  o Dell’arte istorica  (1636),  del   gesuita  Agostino  Mascardi,   è  un   trattato  volto  a   insegnare   come costruire un racconto storico,  il  cui fine dev’essere la ricerca del vero, condotta nella più totale libertà da condizionamenti esterni.    Paolo Sarpi (1552-1623), nato Pietro, è lo storico più eminente del periodo. Dottore in teologia, dotato di vastissima cultura, scrisse:  o Istoria del concilio tridentino (1619, Londra — sotto pseudonimo), frutto di un paziente ed accurato lavoro di documentazione, ripercorre il periodo che va dagli inizi della Riforma protestante fino alla chiusura de lavori  del  Concilio,  del quale dà un giudizio pessimistico.  Infatti se il  concilio  si  era aperto grazie ad istanze innovatrici e unificatrici, progressivamente le aveva però tradite, facendo raggiungere alla Chiesa della Controriforma il suo grado massimo di degenerazione. La scrittura è limpida, efficace, oggettiva ma spesso ironica, egli si dimostra attento alla storia umana più che alle questioni   teologiche.  Già   dai   primi   scritti  Sarpi   aveva   sviluppato   un   atteggiamento   critico   nei confronti del potere ecclesiastico e si era schierato a difesa della sovranità dello Stato, criticando le ingerenze papali poiché, nella sua visione, Chiesa e Stato costituiscono due poteri  indipendenti, l’uno spirituale e l’altro temporale, i quali non hanno il diritto di intervenire l’uno nelle faccende dell’altro. L’opera fu immediatamente messa all’Indice e al gesuita Pietro Sforza Pallavicino (1607-1667) fu commissionata una Istoria del Concilio di Trento in chiave apologetica.          4.La scrittura filosofica e scientifica.   Le tendenze importanti sono: una condivisa rivalutazione del «naturalismo» e un atteggiamento critico nei riguardi del presente.    4.1. Giordano Bruno e i «Dialoghi». Seppur vissuto nella seconda metà del Cinquecento (1548-1600), Bruno esercitò un importante influsso sulla cultura del periodo barocco. Nacque nel vicereame di Napoli, divenne 5 un domenicano, nonostante questo lesse Erasmo da Rotterdam (proibito ai domenicani), in seguito aderì al calvinismo, ma anche in questo caso solo per un periodo. Manifestava spiccati interessi per l’ermetismo, il neoplatonismo, la magia, l’astrologia e la mnemotecnica. Girò per varie corti europee, producendo diversi tipi di scritti, fino a quando un patrizio veneziano incuriosito da alcuni suoi studi non lo invitò a Venezia, ma forse deluso lo denunciò all’Inquisizione ed egli, dopo un processo durato sette anni, fu messo al rogo per eresia (1600).  Le opere (6 dialoghi):  o La cena de le Ceneri (1584) è un dialogo filosofico e cosmologico, scritto in volgare con toni comico- satirici — l’esempio di Bruno per quanto riguarda la lingua, lo stile e il genere, verrà seguito da Galilei, anche se per quanto riguarda quest’ultimo, con intenti divulgativi più espliciti; o De l’Infinito, universo e mondi (1584), è un dialogo scientifico, nel quale viene messa in crisi l’idea stessa che nello spazio possa esistere un centro; o De causa, principio et uno (1584), è un dialogo su questioni metafisiche; o Lo spaccio della bestia trionfante  (1584),  è   il  primo  dei  dialoghi  morali,  Bruno  vi  affida   il   suo scetticismo riguardo alla doppia natura di Cristo, il suo rifiuto del culto dei Santi e l’opposizione al dogma protestante della salvezza grazie alla fede; o Cabala del cavallo Pegaseo  (1585), con l’aggiunta dell’Asino cillenico  (1585), dialogo dall’impianto satirico; o Degli eroici furori (1585), è sempre un dialogo di tipo morale e filosofico.    o (1591) 2 poemi filosofici in esametri, in latino, accompagnati da commenti in prosa (sul modello del De rerum natura di Lucrezio) o Candelaio (1592 — Parigi), commedia caratterizzata da una forte carica comico-parodica.   4.2. Tommaso Campanella e «La città del Sole». Campanella (1568-1639), calabrese, fu allievo di Bernardino Telesio, filosofo naturalista dal quale fu influenzato nell’antiaristotelismo, nell’insofferenza per ogni forma di regola precostituita, nella passione per la libertà in campo espressivo e il culto per Dante, ma soprattutto per l’importanza data all’osservazione diretta della natura. Fattosi domenicano in giovane età, entrò però presto   in   conflitto   con   le   autorità   ecclesiastiche,   arrivando   addirittura   a   promuovere   una   congiura antispagnola e antiecclesiastica, con il progetto di dar vita a una nuova organizzazione sociale, motivo per il quale, rimase per trent’anni in prigione (dopo essersi finto pazzo per evitare la pena di morte), dalla quale comporrà la maggior parte delle sue opere:  o La città del Sole (1602), composta in volgare e poi tradotta anche in latino col titolo di Civitas Solis, è un’operetta utopistica in forma di dialogo fra un membro dell’ordine religioso-cavalleresco degli Ospitalieri  e   il   nocchiere  genovese  di  Colombo,   il   quale  descrive  una  città   fantastica  collocata nell’attuale Sri Lanka e la sua organizzazione sociale perfetta: nella città del Sole vi è una società comunitaria in cui ognuno opera dando il meglio di sé in base alla sua naturale disposizione, non esiste la proprietà privata (né dei beni né delle donne), la società è organizzata razionalmente e priva di tabù, è governata dai sapienti, cioè i filosofi. Campanella,  fallito il tentativo di congiura, si ritrovò diviso tra il sogno di un ideale di società comunista e l’apologia del presente e del potere assolutistico, così quando si propose il problema della realizzazione concreta del suo ideale, arrivò perfino ad ipotizzare un coinvolgimento della Chiesa e del governo spagnolo nei suoi progetti di riforma universale, piegando verso un’idea di governo monarchico e assolutistico.  o Del senso delle cose e della magia (1604); o Apologia di Galileo (1615-6), nel quale egli si mostra entusiasta per l’opera dello scienziato e per le sue rivoluzionare scoperte; o Cantica  >  Scelta d’alcune poesie filosofiche di Settimontano Squilla  (1622)   vd.5.3.   Prendendo nettamente le distanze dalla lirica edonistica e disimpegnata del Barocco, Campanella propone una poesia filosofica che è insieme frutto e specchio del suo pensiero. La sua vasta produzione lirica sarebbe dovuta essere pubblicata in un raccolta, oggi per la maggior parte perduta, ma invece egli pubblicò una selezione, nella quale sono presenti poesie che insistono sul punto, fondamentale per Campanella, della necessità che la poesia non sia menzognera, ma portatrice di verità, cosa che le 6 consentirebbe di essere utile e non fine a sé stessa. Egli ha infatti in mente un modello di poeta- profeta come Dante, mosso da una forte tensione morale e da un costante impegno educativo. Per questo scopo egli utilizza un linguaggio atto a tradurre efficacemente i contenuti filosofici e morali, dalla forte carica espressiva (Commedia, Rime “petrose”), antipetrarchista e antiaccademico, quindi all’insegna della sperimentazione e della varietà, come anche per la metrica.    4.3. La nascita della prosa scientifica. L’affermazione definitiva della teoria eliocentrica copernicana causò la fine   di   un  mondo   culturale   e   di   un   sistema   filosofico   e   teologico   che   ponevano   l’uomo   al   centro dell’Universo, ma comportò anche la fine di un sapere chiuso e unitario, fondato su antiche certezze e sulle pagine  degli  auctores,   in   favore  di  una ricerca  aperta  e  progressiva.  Sul  piano  letterario   la   rivoluzione scientifica segna la nascita e l’affermarsi di un nuovo linguaggio e l’acquisizione di nuovi generi nel campo dell’espressione e della divulgazione scientifica: infatti la nascita della prosa scientifica significò anche la fondazione di un nuovo lessico, comprensibile ma anche scientificamente esatto, in grado quindi di stabilire una relazione univoca tra parola e cosa, che non lasciasse spazio a equivoci o interpretazioni ambivalenti (vd. Galilei).  Fra  gli   studiosi  che raccolsero   l’eredità  di  Galilei   in  questo  senso,   il   suo più  illustre  allievo  Evangelista Torricelli  (1608-1647),   ideatore  del  barometro  a  mercurio  e  autore  di   importanti  Lezioni  accademiche. Inoltre è necessario menzionare l’Accademia scientifica fiorentina del Cimento (1657), di cui fecero parte anche tanti altri scienziati e studiosi che utilizzavano la nuova prosa scientifica. Oltre al metodo di ricerca scientifica, essi ereditarono dal maestro anche quella poliedricità di interessi per i vari campi del sapere, compreso quello della lingua e della letteratura, non trascurando però anche di specializzarsi in determinati campi, di cui si soffermavano a descrivere i più piccoli particolari, e proprio in questo si trova il punto di contatto evidente, seppur inconsapevole, tra il poeta barocco (che canta il piccolo neo della donna nei suoi dettagli) e lo scienziato (che descrive senza preclusioni le meraviglie della natura).      5.La lirica.   La lirica seicentesca è in larga misura pervasa dal marinismo: Marino fu un caposcuola in campo lirico, si propose   e   fu   accolto   come  modello   di   una   nuova   poesia,   di   rottura   rispetto   al   passato,   e   la   cui consapevolezza teorica è testimoniata da una lettera del 1624 a Girolamo Preti in cui afferma che «la vera regola è saper rompere le regole a tempo e luogo». Il marinismo non fu l’unica corrente poetica del secolo, ma fu quella attorno a cui ruotarono gran parte delle attenzioni, sia di chi vi aderiva, sia dei detrattori, che volevano correggerla o stemperarla (i moderato-barocchi), sia di coloro che volevano contrapporre invece un   ritorno   al   modello   classicista.   È   giusto   ricordare   che   comunque   anche   il   marinismo   dipende dall’esperienza  tardocinquecentesca,  specie  Tasso,  che per  primo si  era svincolato  in pare  dalla  stretta osservanza del  modello petrarchesco,  per arricchire  la  sua poesia di  nuovi  motivi  e aveva ricercato un linguaggio “eletto” lontano dalla linearità e dall’equilibrio canonici trecenteschi. La differenza fondamentale è quindi  un’altra:  cioè che per  Tasso  il   concetto (il  prodotto degli   ingegni  retorici)  doveva rimanere,  e rimaneva, strettamente connesso e funzionale al significato, al  contenuto,  mentre  invece nei  cosiddetti “concettisti” (i marinisti, estremi utilizzatori di figure retoriche), il concetto diventa un gioco fine a sé stesso, non è più vincolato ad un messaggio preciso.    5.1. La lirica marinista. Porta avanti una programmatica rottura dei canoni, dettata dal bisogno di spezzare l’uniformità   prodotta   dall’imitazione   del  modello.   Casadei   e   Santagata   sottolineano   come   non   abbia prodotto nomi di particolare rilievo, come se la voglia di rompere col passato tramite determinati schemi, comune a tutta una schiera di poeti, avesse come finito per uniformarli tutti ad un nuovo canone e li avesse resi poco originali.  Comunque,   i   centri   propulsori   del   fenomeno   sono   principalmente   Bologna   e   Napoli   ed   è   possibile individuare due fasce cronologiche:  1. Primo momento “rivoluzionario”, rappresentato da Marino e i suoi seguici, come Claudio Achillini, Girolamo Preti e Girolamo Fontanella; 7 Francesco Bracciolini (1566-1645), insieme a Tassoni, è uno dei maggiori esponenti del genere, precursore della di una produzione che avrà notevole successo anche nel secolo successivo, anche all’estero. Il suo poema  Scherno degli dei  (1618), presenta un soggetto già compromesso comicamente, cioè gli amori di Venere, abbandonando ogni preoccupazione strutturale e alternando, sul piano stilistico, il grave al faceto. La comicità è pesante, basata spesso sull’allusione oscena.     6.3 Alessandro Tassoni e «La secchia rapita». Alessandro Tassoni (1567-1635) è fra i letterati e polemisti di maggior rilievo nel primo trentennio del secolo. Modenese, studiò giurisprudenza e poi si trasferì a Roma, dove fu uno dei fondatori dell’Accademia degli Umoristi (1603), in seguito fu a servizio dei Savoia ma alla fine della sua vita si ritirò a Modena, deluso e insoddisfatto, dove strinse amicizia con Fulvio Testi anche grazie   al   comune   antispagnolismo.   In   letteratura   fu   anticlassicista,   antipetrarchista   e   antiaristotelico, contestando   e   demolendo   alcuni   dei   capisaldi   del   potere   costituito,   spesso   in   forme   paradossali. Abbandonò quasi subito il linguaggio lirico tradizionale per dedicarsi ai soggetti e ai registri più vari      o Filippiche (1615, pubblicate anonime), sono degli scritti marcatamente antispagnoli; o Oceano (1617), è un’opera epica, tentativo non riuscito di poema «colombiano»; o Pensieri  (1620, ed. definitiva), è l’opera in cui esprime le sue riflessioni intorno alla letteratura e all’epica,   che   Tassoni   considera   -   secondo   i   canoni   -   come   il   genere   eletto,  ma   si   schiera apertamente a favore dei moderni sugli antichi, quindi Tasso e Ariosto contro Omero, del quale, senza paura del paradosso anacronistico, mette in luce le «rozzezze»; o La secchia rapita   (1622).  Il  poema è diviso in 12 canti, come l’Eneide  di Virgilio,  e narra di una guerra fra Modena e Bologna per il possesso di un secchio di legno, «rapito», come Elena di Troia (ironica analogia con Omero), dai modenesi, durante una battaglia nel ‘300, quando questi si erano spinti fin dentro  Bologna.   In  questo  poema eroicomico,   la  materia  storica  e  quella  epica  sono liberamente  mescolate   a   quella   leggendaria:   Tassoni   fa   infatti   agire   personaggi   storici   antichi accanto a personaggi contemporanei o  leggendari,  mescolando tempi e fatti diversi.  Secondo le tendenze barocche si possono individuare nell’opera il gusto sperimentale, l’ansia di stupire e il piacere della mescolanza disarmonica di opposti, che, com’è tipico dell’eroicomico, nel registro e nello stile si concretizza in una miscela di «grave e burlesco», per cui il linguaggio in certi punti è regolarmente   epico,   sostenuto   o   addirittura   altisonante,   connotato   da   un   lessico   ricercato   e magniloquente,  mentre in altri  è basso, caratterizzato da parole comuni o perfino oscene. Sono presenti i topoi eroici ma anche quelli  romanzeschi o comici (tradimenti, travestimenti, aneddoti curiosi, ecc). L’alternanza di queste caratteristiche risulta divertente perché inattesa, ma è anche simbolica del processo di demolizione del genere epico, connotata dall’ironia amara di un autore che crede ancora  nei  valori  eroici,  ma che  ritiene anche che  il  presente  non possa  più  offrire materia degna di un racconto epico. In questo modo il diletto è accompagnato anche dalla satira nei confronti dei tempi e della società seicenteschi. A corredo dell’opera vi è un complesso paratesto (come in uso all’epoca), del quale fanno parte le Dichiarazioni,   che  con   il  pretesto  di  dare  spiegazioni  al   lettore,  aggiungono  notazioni   ironiche, allusioni mordaci e aneddoti su fatti e personaggi. Nell’anno successivo alla pubblicazione di questo poema eroicomico,  lo stesso editore, a Parigi, pubblicherà  anche   l’Adone  di  Marino:  nonostante   le   radicali  differenze  di  genere,   i  due  autori conducono un’operazione parallela di erosione del modello epico di stampo tassiano, intaccando entrambi il principio di unità (la struttura della storia nelle loro opere perde la sua coerenza interna a   favore   dell’inserimento   di   episodi   secondari,   o   anche   per   la   brusca   interruzione   di   quelli principali), mescolando temi e stili differenti in nome del diletto e distruggendo la figura dell’eroe.        7.Il romanzo   Il   romanzo   seicentesco   è   un   genere   completamente   nuovo,   che   non   deriva   la   sua   novità   da   una commistione studiata a tavolino,  bensì da una pratica di scrittura che opera, nel pratico, una poderosa 10 sintesi   di   tradizioni   diverse:   il   romanzo   greco   e   latino,   quello   cavalleresco,   il   poema   eroico   e   quello pastorale, la commedia, la novella e perfino le forme liriche. La finalità è esplicitamente quella dell’evasione e le produzioni sono destinate al consumo immediato, difatti i romanzi hanno spesso un’alta tiratura e le edizioni  sono di  qualità  media  o  scadente  perché siano più  economiche  e  facili  da produrre,   inoltre   il genere,   sin   dalla   sua   forma  medievale,   presenta   carattere   ciclico   e   questo   favorisce   l’abbondanza  di materiale da trattare. Il pubblico che consuma questi libri è borghese e aristocratico e in Italia i centri di elaborazione e stampa maggiori sono Genova, Bologna, ma soprattutto Venezia, dove il circolo libertino dell’Accademia degli Incogniti dà origine all’Eromena (1624), di Francesco Biondi, considerato il primo vero romanzo   barocco   italiano:   è   un   romanzo   di   tipo   erotico-avventuroso,   che   lascia   largo   spazio   alla componente politica e agli intrighi di potere, attraverso cui Biondi manifesta anche la sua vena polemica e lo spirito di ribellione (tratto tipico dei romanzi veneziani di matrice libertina). Predilige le scene dai colori forti, il sangue, i delitti, gli incesti. Questi aspetti furono propri anche dei romanzi (e della vita) di Ferrante Pallavicino (1615-1644), autore di romanzi satirico-polemici in cui denuncia la corruzione ecclesiastica; altro romanzo di rilievo è Istoria del Cavalier Perduto (1634) di Pace Pasini (1583-1644) che ruota intorno ad uno dei motivi centrali della poetica barocca: quello dell’identità indefinita, perché infatti sia il protagonista sia i lettori,   ignorano  l’origine  del  cavaliere (denominato appunto “perduto”),  per  lunga parte del  romanzo, stimolando   la   curiosità   del   pubblico.   Secondo   alcuni,   quest’opera   ha   avuto   rilievo   nella   scrittura   dei Promessi sposi.   Il  romanzo di Biondi ebbe successo anche all’estero e fu tradotto in varie  lingue, bisogna infatti tenere presente che questo è un genere europeo e si può notare quindi come i romanzi prodotti in Italia risentano fortemente   delle   produzioni   straniere   contemporanee   diffuse   anche   tramite   traduzioni   (un  modello riconosciuto è in particolare il romanzo francese Astrea). I romanzi, come in uso all’epoca per la maggior parte dei generi, sono introdotti da ampie prefazioni nelle quali gli autori dichiarano i loro fini e cercano una giustificazione morale dell’aver scritto un’opera interamente per diletto. Come per gli altri generi, anche in questo caso il fine è la meraviglia,  che viene ricercata tramite l’abbondanza di particolari macabri o del tema erotico, specie nei suoi aspetti perversi e illeciti. Questo genere, libero dalla rigida regolamentazione cinquecentesca   (poiché,   specie   in   Italia,   diffusosi   solo   successivamente),   incarna   anche   le   esigenze antiregolistiche grazie alla sua assenza di canoni.      L’evoluzione interna presenta due fasi:  o Nei suoi esordi il genere risente dell’influsso del poema epico e del romanzo cavalleresco, dai quali dipende direttamente, tende alla scelta di un’ambientazione alta, antica e spesso esotica; o In un secondo momento manifesta invece interesse per le tematiche familiari e per l’introspezione psicologica, tende quindi verso una maggiore aderenza al reale e l’evasione non è più garantita dalla diversità del mondo rappresentato ma dalla sua similarità con quello vero e vissuto dai lettori: il piacere sta nell’identificazione.  Gerolamo Brusoni (1614-1686), scrittore di romanzi di origine veneta, produce la maggior parte dei suoi scritti nella seconda metà del secolo e intercetta quindi la seconda fase evolutiva del genere, con romanzi quali La gondola a tre remi, Il carrozzino alla moda, La peota smarrita. Egli stesso, nell’introduzione ad uno dei suoi lavori, parla di «libro alla moda» e, in merito alle sue scelte poetiche, della mescolanza di «favolose narrazioni» con «istorica verità».      8.La novella   La   novellistica   risulta   legata   ad  una   solida   tradizione,   soprattutto  allo   schema   narrativo  e   strutturale boccacciano,  ma più nell’apparenza che nella realtà dei  fatti: infatti anche questo genere subisce delle contaminazioni   e   così   la   cornice   tende   a   diventare   il   contenitore   per   vari   generi   o   a   svilupparsi autonomamente. In questo ultimo caso il confine tra novella e romanzo non è netto, come ne  o La Lucerna (1625), di Francesco Pona (1595-1655), il quale è un racconto volutamente caotico nella costruzione, fondato su un esile filo narrativo, motivo per  il  quale può forse essere definito un romanzo. Inoltre l’opera presenta anche un’impronta satirica e pessimistica di derivazione libertina 11 che le varrà la messa all’Indice (motivo per il quale Pona scriverà poi una Antilucerna, 1648, in cui ritratterà apertamente la sua opera). Il modello più seguito della novellistica è il Decameron di Boccaccio:  o Duecento novelle (1609), di Celio Malespini (1531-1609), già dal titolo allude al grande archetipo; o Le instabilità dello ingegno (1635), di Anton Giulio Brignole Sale (1605-1662), è un esempio di libera interpretazione del modello di Boccaccio;  o L’Arcadia in Brenta  (1667), di Giovanni Sagredo (1617-1682), tende a polverizzare l’ossatura della novella in brevi aneddoti, motti e battute che creano un clima conversevole e poco impegnato;  o Cento novelle amorose dei signori accademici Incogniti  (1651), è una raccolta scritta appunto da molti autori,  che collaborano al  testo,  tra   i  quali   il   fondatore dell’Accademia,  Giovan Francesco Loredano. Le novelle sono sostanzialmente di argomento erotico, come suggerito dal titolo, con una netta predilezione per i rapporti complessi, i triangoli amorosi, le gelosie, le vendette, le sfide, i duelli  e altri  aspetti “sociali”  e travagliati dei  rapporti. L’obiettivo è quello della meraviglia,  che porta quindi ad una ricerca sia contenutistica che stilistica.   9.La letteratura dialettale e popolare   In armonia con la voglia di sperimentare barocca, specie in area partenopea, si sviluppa un nuovo interesse per   i   dialetti,   legato   a   ragioni   regionalistico-municipaliste,   ma   anche   al   desiderio   di   produzioni anticlassicistiche e antiregolistiche.  Giulio Cesare Cortese (1575 ca.-1625) o La vaiasseide (1612, vaiasse = serve), è un poemetto eroicomico, in ottave, in dialetto napoletano, con   il   quale   Cortese   esordisce   nel   campo   dialettale.   È   accompagnato   da  Argomenti  (versi introduttivi) e prose dell’amico Giambattista Basile (vd. Più avanti). L’impalcatura è quella epica tradizionale   ma   il   soggetto   è   basso:   sullo   sfondo   della   plebe   cittadina,   costituita   da   serve, prostitute, osterie e luoghi di malaffare, si mettono in scena le bravate, le gesta brigantesche e le peripezie amorose di Micco Passaro, gradasso millantatore, creando il nuovo epos plebeo. La lingua in   questo   caso   ha   un   fine   realistico   mimetico,   poiché   specchio   del   mondo   che   si   vuole rappresentare;  o Micco Passaro ‘nnamorato (1619) è il continuo del precedente; o Viaggio di Parnaso  (1621) è il poema in ottave nel quale Cortese illustra la dignità letteraria e la ricchezza del dialetto, lingua viva ed espressiva (in contrapposizione con il rigido toscano illustre). Giulio   Cesare  Croce  (1550-1609),   è   stato  uno   scrittore  bolognese,   di   umili   origini,   realizzò   tantissime operette sia in italiano sia in dialetto, alcune delle quali poi pubblicate nell’opera  Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1620), originariamente divise in: o Le sottilissime astuzie di Bertoldo (1606); o Le piacevoli e ridicolose simplicità di Bertoldino, figlio del già astuto Bertoldo (1608).  Queste sono raccolte di episodi e facezie incentrare appunto sul personaggio di Bertoldo e di suo figlio Bertoldino,   legati  in  modo casuale  con un andamento  simile  a  quello  dei   racconti orali.  Scrisse  anche dialoghi.      10.Il teatro   Il teatro nel Seicento riuscì ad accogliere e interpretare le principali istanze della cultura seicentesca: l’idea della  vita  come spettacolo  e del  mondo come teatro,   il  gusto  per   la  metamorfosi,   il   travestimento,   lo scambio. Si spiega quindi il grande successo di nuove forme come il melodramma e la Commedia dell’Arte, 12 alla storia  contemporanea,  sottendono chiaramente una polemica antitirannica e anticortigiana, distaccandosi dal taglio controriformistico (e filospagnolo) della prima.  Carlo de’ Dottori (1618-1685), è noto soprattutto per:  o Aristodemo (1657), tragedia di impronta classicistica per la quale l’autore dichiara di essersi ispirato a Euripide,  Sofocle e Seneca, oltre ad aver subito l’influsso della tragedia francese di Corneille. Quest’opera, che mette a fuoco i personaggi tragici centrali del padre e della figlia al fine di destare emozioni  profonde, è costruita sul principio del  rovesciamento drammatico,  in  base al quale  lo sviluppo   dell’azione,  manovrata   da   un   destino   avverso,   rivolge   al   contrario   le   premesse   e   le intenzioni.  La trama deriva da un episodio narrato dallo  storico greco Pausania. Durante  la guerra tra Sparta e Messene, gli dèi offesi impongono attraverso l’oracolo di Delfi che si sacrifichi una giovane messenia. Aristodemo, mosso da un egoistico desiderio di grandezza che si confonde con la «ragion di Stato», offre la  figlia,  Merope.  Ma  Policrate,   che   la   ama,   cerca  di   salvarla   facendo   credere   che  ella   sia   incinta. Aristodemo, per punirla, la uccide, ma non trova la prova della colpa di cui è stata accusata a fin di bene. Avvedutosi dell’errore, si uccide.       Galileo Galilei   1.La  vita.  Galileo  Galilei   (1564-1642)  nasce  da   famiglia  fiorentina,   il  padre  Vincenzo,   commerciante  di professione,  era anche un noto musicologo della  Camerata dei  Bardi   (gruppo di  nobili  fiorentini  che si riunivano per discutere di musica, letteratura ed altro). Ebbe quindi un’educazione umanistica ed entrò poi all’Università   come   studente   di   Medicina.   Insegnò   matematica   a   Padova,   ambiente   culturalmente conservatore.  Nei circoli e nei salotti veneziani potè frequentare personalità di spicco come Paolo Sarpi e conoscere   scienziati   come   Keplero.   In   quel   periodo   compì   alcune   scoperte   e   inventò   il   cannochiale, sfruttando indicazioni che gli provenivano dall’Olanda e influenzando così non solo il progresso scientifico ma anche  la   letteratura,  che trasse  ispirazione  da questo rivoluzionario  strumento (vd.  Marino).  Con  il cannochiale Galilei dette nuovo fondamento all’ipotesi copernicana, alla quale aveva già da tempo aderito. Nel 1616 la teoria copernicana, cui Galilei aveva aderito, viene dichiarata eretica dalla Chiesa e Galilei viene “ammonito”, ma egli decise di non fermarsi e continuò a pubblicare opere in merito, nel 1632 l’Inquisizione si mosse, dichiarando il  Dialogo  (vd. Sotto) sovversivo e sequestrando il libro. L’anno successivo Galilei fu condannato al  carcere e all’abiura dal Sant’Uffizio,  pena poi commutata  in una sorta di esilio,  che egli trascorso nelle colline vicino Firenze e dove, dopo essere riuscito a pubblicare un ultimo trattato scientifico sotto forma di dialogo (1638), morì nel 1642. o Sidéreus Nuncius (1610) opera in latino, vuol dire “messaggero delle stelle”, ebbe vasta circolazione in Europa e buona accoglienza anche in ambito ecclesiastico; o Lettere copernicane  (1613-1615) è un gruppo di epistole nelle quali Galilei tratta del rapporto tra scienza e fede, sostenendo che la ricerca dev’essere autonoma: infatti le osservazioni scientifiche si traducono nel linguaggio matematico, e hanno per cui un certo grado di certezza, di contro le Sacre Scritture si servono di un linguaggio figurato e poetico e devono per cui essere interpretate, poiché non parlano alla lettera, sono metaforiche e simboliche; o Il Saggiatore (1623) vd. Sotto; o Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1624>30). Vd. Sotto.   2.«Il Saggiatore». (1623) Composto in volgare e di taglio apertamente polemico, voleva smentire le teorie del gesuita Orazio Grassi, il quale nel suo lavoro Libra astronomica ad philosophica (1619) sosteneva che le comete fossero corpi celesti, di contro Galilei riteneva che queste fossero effetti ottici – teoria poi smentita. La ragione del titolo risiede quindi nel fatto che all’opera di Grassi,   il  cui titolo era “libra”, cioè bilancia grossolana,  Galilei   voleva   contrapporre   il   “saggiatore”   cioè   la   bilancia   di   precisione   usata   dagli   orafi. Quest’opera è un esempio di vivacità polemica per il tono comico e la messa in ridicolo dell’avversario, ma dimostra anche una notevole capacità retorico-letteraria e il rigore del metodo scientifico: infatti è evidente come  lo   scienziato  pisano   rifiuti nettamente  un tipo  di   conoscenza   libresca   fondata  sull’autorità  e   sia consapevole che per la conoscenza della natura è necessaria una preliminare conoscenza del linguaggio 15 matematico, e deve procedere coniugando l’esperienza diretta e dell’osservazione con il  ragionamento. Galilei ha interesse quindi ad elaborare una teoria matematica e non si occupa delle interpretazioni di tipo religioso o metafisico, che ritiene materia per altre discipline. Il libro fu pubblicato a cura dell’Accademia dei Lincei e piacque molto al papa Urbano VIII.    3.Il   «Dialogo   sopra   i   due  massimi   sistemi   del  mondo».   (1624>30)   È   un   emblema   della  mediazione necessaria per tentare di sfuggire alla censura dell’Inquisizione per due motivi. Intanto il titolo, che era inizialmente Dialogo sulle maree, il quale però palesava da subito la sua adesione al sistema copernicano e quindi era rischioso e poco neutro, motivo per il  quale venne cambiato, nell’intento di far sembrare la questione  più  aperta  e  presentare   la   teoria   copernicana  solo  come un’ipotesi.   Il   secondo  tentativo di mediazione è riscontrabile nella forma stessa dell’opera, non un trattato, bensì un dialogo: questa forma letteraria, di lunga tradizione dall’antichità classica al Rinascimento, consentiva infatti di mettere in campo opinioni diverse attribuendole ai vari personaggi, senza coinvolgere direttamente l’autore ma allo stesso tempo   permettendogli   di   raggiungere   più   efficacemente   gli   intenti   didattico-dimostrativi, contemporaneamente intrattenendo il lettore, al quale sembra di assistere ad una commedia di argomento filosofico. I personaggi che partecipano al dialogo sono 3, due sono personaggi storici  contemporanei a Galilei e che egli aveva frequentato:  o Giovan Francesco Sagredo, patrizio veneziano, nella cui dimora è ambientata la scena; o Filippo Salviati, nobile fiorentino, controfigura dell’autore; Il terzo personaggio è invece di invenzione:  o Simplicio,   portavoce   del   principio   aristotelico-tolemaico,   deriva   il   suo   nome   da   quello   di   un commentatore di Aristotele vissuto nel VI  secolo, ma ha anche una valenza simbolica evidente, poiché  è  emblema dell’ottusità   intellettuale  del  personaggio.   Simplicio  diventa  un  personaggio comico, cosa che contribuisce a distruggere in partenza le sue opinioni.  La lingua del dialogo è il volgare, scelto per la seconda volta dopo il Saggiatore, e si può definire un parlato di tipo teatrale, congeniale alle esigenze e agli intenti dell’opera, la quale è caratterizzata anche dal gioco ironico (ad esempio quando definisce “salutifero” l’editto che ha messo a tacere l’ipotesi  della mobilità della terra, contraddicendo palesemente questa stessa premessa nel corso dell’opera). La scelta del volgare denota   la   distanza   programmatica   dell’opera   dall’uso   tradizionale   del   latino,   utilizzato   per   i   trattati scientifici in tutta Europa, ma anche dal dialogo accademico rinascimentale, che usava il volgare, ma alto e letterario.    4.Galilei letterato e critico. Galilei ricevette come prima educazione quella umanistica e non abbandonò mai l’interesse per le lettere, questo è dimostrato dal fatto che si servì delle forme letterarie come dialogo, commedia, parodia, anche per comunicare verità scientifiche e per insegnare a ragionare scientificamente. Si   rese   conto  da   subito   che  affinché   l’operazione  di   comunicazione  e  divulgazione   fosse  efficace,   era necessario riporre particolare cura e attenzione anche nei confronti aspetti linguistici, motivo per il quale scelse il volgare e condusse sempre un’attenta indagine al fine di utilizzare termini univoci e comprensibili. Fu egli stesso occasionalmente anche poeta e non fu estraneo anche ai dibattiti letterari del suo tempo e prendendo   posizione   contro   le   tendenze   manieriste   e   barocche   a   favore   degli   ideali   classicisti   e rinascimentali. Espresse le sue considerazioni in alcune opere:  o Lezioni all’accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante  (1588) o Postille al Petrarca (?) o Postille all’Ariosto  (1588).   Egli   ebbe   modo   di   conoscere   l’Orlando Furioso  da   una   versione particolarmente corrotta, motivo per il quale, con attenzione quasi filologica, appose delle postille al   testo,  correzioni  e  commenti sull’opera  di  Ariosto,  di  cui  era appassionato estimatore e che riteneva  elogiabile  per   la   sua   limpidezza   linguistica  e   razionalità  sintattica,   l’uso  proprio  e  non traslato dei termini e l’armonia costruttiva;  o Considerazioni al Tasso (1590), testimonia che nel panorama contemporaneo Galilei forse di tutti, fosse il più accesso detrattore della Gerusalemme liberata, della quale non apprezzava il linguaggio artificioso e  manieristico,   la  prolissità  e  allo  stesso tempo oscurità,   le  contorsioni   sintattiche e l’abuso metaforico. 16       Giovan Battista Marino   1.La vita. Giovan Battista Marino (1569-1625) nacque a Napoli, il cui vivace ambiente letterario, alla fine del Cinquecento, era ancora fortemente influenzato da Tasso. Marino divenne membro dell’Accademia degli Svegliati. In questo periodo iniziò a progettare la scrittura dell’Adone e si cimentò anche nel genere epico, cercando di costruire un poema eroico-cristiano alla maniera di Tasso ma senza riuscire a portare a termine i due tentativi (Anversa liberata – la cui attribuzione in realtà è dubbia – e Gerusalemme distrutta, 1602). La sua vita fu inquieta e avventurosa, fu anche incarcerato e raccontò l’esperienza ne Il Camerone, prigione orridissima in Napoli (1598), ma incarcerato una seconda volta, riuscì a fuggire a Roma, dove trovò impiego presso un mecenate e frequentò l’Accademia degli Umoristi, conoscendo Tassoni, Preti, Guarini, Chiabrera e altri.  Grazie  al   successo delle  sue poesie  ottenne poi  un ruolo  di  prestigio  presso  il   cardinale  Pietro Aldobrandini,  al seguito del quale fu prima a Ravenna e poi a Torino: gli anni torinesi furono di intensa produttività o La Lira (1614); o Dicerie sacre (1615); o Il Tempio (1615). Marino trova protezione a Parigi alla corte di Concino Concini, favorito della regina Maria di Francia, dove è oggetto di  ammirazione  nei  circoli,  ma attraversa  un momento di  difficoltà  quando Concini,  caduto   in disgrazia, viene ucciso.  o Epitalami (1616), dedicati a Concino Concini, favorito della regina; o La Galeria (1619, Venezia), raccolta di versi dedicati a pitture e sculture; o La Sampogna (1620), raccolta di idilli; o Adone (1623) anche se era già concluso due anni prima.  Marino   tornò   quindi   in   Italia,   l’anno   dell’elezione   a   papa   di  Urbano  VIII   Barbenini,   fiorentino,   poeta classicista e antimariniano, giudice severo dell’erotismo pagano del poema. Nel 1624 quindi il poeta tornò a Napoli e vi morì, nel 1625, lo stesso anno in cui la sua opera maggiore, l’Adone, veniva iscritta nell’Indice dei libri proibiti, dopo essere stata oggetto di polemiche e controversie numerosissime.  o La strage degli innocenti (1632), poema sacro, uscì postumo.      2.La lirica mariniana. Le liriche mariniane sono sistemate in alcuni progetti e raccolte: o La Lira  (1614, Venezia), è l’edizione definitiva della prima parte delle rime di Marino. Il titolo fa riferimento allo strumento a corde e sottolinea la stretta parentela tra musica e poesia, secondo il topos  che   le  vede  come arti  “sorelle”.   L’opera  è  molto  varia   come  toni  e   stili  e  ha  carattere enciclopedico,   perché   il   poeta   voleva   raccogliere   «l’universo   degli   argomenti   poetabili».   È strutturata   sia   sulla   base   di   una   ripartizione   per   generi  metrici   (sonetti,  madrigali,   canzoni   e canzonette), sia per sezioni tematiche (amorose, marittime, boscherecce, eroiche, lugubri, morali, sacre e testi di corrispondenza), alle quali, rispetto all’edizione del 1602, conosciuta come Rime e contenente 679 componimenti, si aggiunge anche una terza parte di 408 nuove liriche, suddivisa tematicamente (Amori, Lodi, Lagrime, Divozioni, Capricci), per un totale di 1087 poesie. Evidente il distacco nell’organizzazione rispetto all’organicità narrativa, tematica e costruttiva del  Canzoniere petrarchesco, con il quale ha però in comune la preponderanza del tema amoroso, che il Marino viene comunque declinato in senso barocco e per cui ampliato rispetto ai motivi tradizionali:   la donna  è  colta   in  atteggiamenti  vari   all’interno  della   cornice  domestica,  descritta   in  particolari inediti. Fra i temi centrali, il bacio in tutta la sua vasta fenomenologia, con una forte inclinazione alla sensualità.  La critica moderna è portata a considerare Marino non come un estremista dei «concetti» e delle figure retoriche, ma gli   riconosce un certo equilibrio  e una sobrietà di gusto ancora cinquecentesco. Saranno i suoi imitatori ad essere estremisti, paradossali e oscuri.   o La Galeria [distinta in pitture e sculture] (1619, Venezia>1620 Milano) è una raccolta di sonetti, madrigali e altri metri vari, «la più vasta e ambiziosa celebrazione poetica delle arti figurative mai apparsa nella  letteratura  europea» (Caruso).  Come dice  il  titolo è stata  iniziata  con  l’ambizioso 17
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