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Riassunto - "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza", Giorgetti, Sintesi del corso di Diritto fallimentare

Riassunto del manuale di Giorgetti "Commento al codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza".

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 06/02/2021

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Scarica Riassunto - "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza", Giorgetti e più Sintesi del corso in PDF di Diritto fallimentare solo su Docsity! 1. CODICE DELLA CRISI E DELL’INSOLVENZA Non vi è più una pluralità di leggi, di norme, di procedure ma vi è un unico codice che raccoglie più prospettazioni. Le procedure concorsuali sono distribuite in leggi destinate ad essere abolite. Rimangono fuori dal CCI solo le norme di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Bisogna citare le procedure: 1. Procedura uniforme per l’insolvenza 2. Procedure allerta e prevenzione 3. Procedura liquidazione giudiziale 4. Procedura di concordato preventivo 5. Procedura di sovraindebitamento, a sua volta scomposta in: a. Concordato minore b. Accordo di ristrutturazione c. Liquidazione controllata 6. Procedura di piano attestato 7. Procedura di accordo di ristrutturazione dei debiti. Ci sono procedure che vengono in gioco e che spetta al consulente o avvocato selezionare. Il primo vero principio generale è quello dell’allargamento soggettivo. Si è sempre stati abituati a pensare che la legge fallimentare riguardasse gli imprenditori ma non è più così. Il CCI regola la crisi finanziaria di tutti i soggetti di diritto nel nostro ordinamento (persone fisiche, piccoli imprenditori, start-up innovative) e di ognuna ha dalla sua la gestione di una procedura diversa ed è per questo che il primo punto da esaminare è l’importanza di qualificare soggettivamente quale è l’oggetto cui si sta riferendo. Occorre individuare esattamente di quale soggetto ci dobbiamo occupare in quanto cambia anche la procedura per lui disponibile. L’altra novità importante pertiene alle caratteristiche soggettive, cioè in base al soggetto che viene a essere coinvolto, se si trova in stato di crisi o di insolvenza. Già fin dal suo nominativo si evidenzia l’ampio contenuto del codice. L’insolvenza è l’incapacità definitiva di far fronte alle proprie obbligazioni, la crisi è invece l’incapacità temporanea di far fronte a queste obbligazioni, e quindi quando non si è in grado per il momento di far fronte alle obbligazioni ma allo stesso tempo si è in grado di riprendersi avendo la possibilità di superare questa situazione. Crisi  difficoltà temporanea; insolvenza  difficoltà che non si riesce a superare. È stato introdotto un allargamento delle situazioni rilevanti con questo codice. Si è regolamentata la pre-crisi, cioè la situazione in cui il profilarsi della difficoltà finanziaria potrebbe portare a una progressiva difficoltà d’impresa. Significa che il CCI si rivolge non solo alle imprese in crisi (che non riescono a far fronte temporaneamente alle obbligazioni assunte), non solo alle imprese in difficoltà finanziaria ma anche alle imprese che potrebbero profilare una soluzione di crisi e cerca di introdurre degli immediati correttivi. È stata accolta la convenzione che si interviene più facilmente sulla crisi quando si interviene in anticipo. Si sta valutando come monitorare situazioni di difficoltà ma che al tempo stesso possono essere gestite, quindi essendo in difficoltà vengono a essere subito monitorate perché possano essere superate. Questo monitoring avviene attraverso l’introduzione di 2 organismi di gestione della crisi e soprattutto non sono giudici, ma organismi che gestiscono le difficoltà, la pre-concorsualità e vengono a rappresentare proprio questi nuovi momenti di gestione collegiale. L’imprenditore in crisi è accompagnato attraverso il formarsi di una pluralità di consulenti che lo guida nel superamento della crisi verso il famoso fresh start, vale a dire la ripartenza: è un nuovo modo di gestire la difficoltà superandola. Ci si chiede allora come questo fresh start possa essere attuato. Ci sono momenti in cui l’accompagnamento dell’imprenditore può portare a un modo diverso di impressione e di gestione. Ci si chiede come in concreto si possa addivenire ad una gestione dell’imprenditore che si fa accompagnare, con la creazione di 2 organismi: OCRI e OCC. OCRI  organismo crisi impresa. Questo è composto da una pluralità di esperti che vedono questi passaggi: studio della crisi  individuazione  gestione accompagno ossia verifica a livello sempre consulenziale, non si è nell’ambito dell’attività giurisdizionale. Piuttosto è un insieme di momenti dove l’imprenditore in crisi con i suoi consulenti si confronta e viene a delineare in modo collegiale la sua ripartenza. Per questo ci si riferisce ad ambiti dove effettivamente si coopera per questa soluzione. La stessa impostazione è tipica dell’OCC  organismo di composizione della crisi. Questi organismi sono tali perché già sono stati costituiti ma nella nuova legge risultano potenziati e gli OCC andranno ad occuparsi di concordato minore, ristrutturazione dei debiti del consumatore e liquidazione controllata. 2. DISPOSIZIONI GENERALI Art. 2  contiene la descrizione definitoria di una serie di istituti che sono determinanti nella nuova prospettiva del CCI. È la prima volta che il nostro ordinamento vede la specifica di che cosa si intende per crisi. È la difficoltà economico finanziaria che si sostanzia come una inadeguatezza, vale a dire la non sufficienza tra le obbligazioni pianificate (i soldi che si pensano di incassare) e queste obbligazioni. I flussi di cassa in entrata non sono allineati con quelli di uscita. Non si ha un rapporto equilibrato tra ciò che si prevede di incassare e ciò che si prevede di pagare. Quindi, non significa che ad oggi non si hanno già delle obbligazioni inadempiute, significa che non si sarà in grado in futuro di adempiervi, in quanto non si avrà abbastanza liquidità. Del tutto diversa è l’insolvenza, che è una situazione definitiva, cioè l’incapacità di soddisfare in modo regolare le obbligazioni. Le obbligazioni assunte non verranno adempiute in quanto non si è in grado di adempierle per mancata possibilità. Si ha una certezza di inadempimento. L’incapacità definitiva si evidenzia anche attraverso fatti esteriori: 1. I protesti; 2. Le cambiali scadute; 3. Gli assegni; 4. I pignoramenti; 5. Tutti i procedimenti giudiziari che hanno un contenuto esecutivo sanzionatorio, o che confermano che dei denari non sono stati pagati dopo tanto tempo nonostante diffide, e si giunge a necessità di un procedimento giudiziale. L’insolvenza è un fatto esterno, non è interno come la crisi. Il sovraindebitamento è lo stato di crisi o di insolvenza in cui si trova colui che non può essere liquidato. Sono tutti i consumatori, professionisti, imprenditori agricoli, start-up, soggetti non assoggettabili alla liquidazione coatta amministrativa, quindi coloro che non possono essere dichiarati liquidati. I liquidati non possono essere sovraindebitati. Sono 2 categorie autoescludentesi. I liquidati vanno per la liquidazione giudiziale, gli altri per il sovraindebitamento. Il punto di confine è sulla figura dell’imprenditore/impresa minore: è quella che nel c.c. viene vista come tutti quei soggetti con caratteristiche di business limitato. Al di là dei limiti numerici, l’allargamento soggettivo del CCI passa proprio per questa categoria di sovraindebitati. È proprio a riguardo di questa tipologia che si conferma il concetto di allargamento. Si passa al centro degli interessi principali del debitore, il COMI. La nuova legge ha mutato il principio di competenza territoriale. Per le persone fisiche vale la residenza/domicilio, mentre per le persone giuridiche vale la sede legale. Ora si è diffusa una tipologia di situazioni che vede una separazione fittizia tra sede legale e amministrativa. Viene in gioco una diversa ricostruzione di ciò che rileva. Rileva quindi il COMI, ovvero il luogo dove vi è la reale ed effettiva collocazione degli interessi e quindi questa collocazione non permette più di far prevalere un’impostazione formale che appuntava la competenza unicamente su un fatto formale. Non si consente di secondare iniziative di un foro favorevole, perché questo è il foro che meglio consente per orientamenti giurisprudenziali una miglior tutela. Questa prassi nella nuova legge non è più possibile, è stata cancellata e ciò che consente è di appuntare in modo certo ed indiscutibile la competenza in un luogo che è competenza che inerisce tutto (fase di pre-crisi, allerta e prevenzione, crisi, concordato, insolvenza e liquidazione). Le altre definizioni ineriscono la pre-crisi, il sistema dell’allerta e prevenzione. Nell’idea del nuovo legislatore ci si attiva con urgenza per gestire la situazione di difficoltà in modo tempestivo ed immediato, ancora prima che si verifichi. Lo si fa per proteggere il proprio patrimonio, il patrimonio aziendale e si vuole fare in modo che si possa recuperare (ripartenza, fresh start). Per tenere il patrimonio unito, e proteggerlo da ogni attacco di esecuzione individuale, ci sono misure protettive che impediscono dette azioni. Le misure cautelari sono le misure che in via di urgenza consentono le esecuzioni di atti a tutela del patrimonio. L’OCC è l’organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento. Sono degli organismi privati che agiscono in una prospettiva non giurisdizionale ma unicamente gestoria. Non servono per decidere ma per guidare, supportare l’imprenditore in crisi. L’OCC è un organismo con ambito di applicazione più ampio, si discute di un organismo completo che si occupa di tutta la situazione di difficoltà in qualsiasi grado la medesima si manifesti. Gli organismi di composizione della crisi di impresa, OCRI, raccolgono le segnalazioni di crisi perché nell’ottica dell’OCC manifestano un intervento tecnico perché possano impedire l’aggravarsi. Si vuole uscire dalla pre-crisi con una continuità aziendale. Gli OCRI non accompagnano i liquidabili in tutte le fasi della crisi, ma riguardano la fase iniziale. Quindi questi hanno il compito di ricevere le segnalazioni, di condurre uno “screening” preliminare di quello che può accadere in una prospettiva futura di dissesto. La necessità è di verificare come la prospettiva di risanamento si persegua in concreto. È composto da altri professionisti che vengono a gestire l’intera possibilità di fare propri gli esiti dello “screening” preliminare. Art. 3  doveri del debitore. Il debitore deve cooperare con gli organismi che gestiscono lo stato di crisi, evidenziare da subito e con certezza se si trova in difficoltà. Art. 4  doveri delle parti. Stessi doveri del debitore. Sono gli organismi che cooperano nello stato di crisi. Art. 5  doveri delle autorità. Devono fare lo stesso ed improntare il loro agire a concetti di trasparenza ed efficienza. Crediti chirografari – assistititi da nessuna garanzia; crediti privilegiati – assisiti da garanzia, crediti prededucibili (art. 6) – crediti che asseriscono alla procedura e vengono soddisfatti prima degli altri. Tutte le procedure che ineriscono la medesima crisi aziendale sono trattate in modo unitario (art.7), secondo una medesima idea etica. Al fondo della procedura c’è l’idea del salvataggio, della ripartenza. Le misure protettive (art. 8) durano al massimo 1 anno. In questo tempo o si individua la strada giusta per uscire dalla difficoltà o ci si indirizzerà alla liquidazione. Le comunicazioni sono principalmente attuate in modo telematico (art. 10). L’attribuzione della giurisdizione vede il prevalere della giurisdizione italiana quando in Italia vi è un’attività che sia centro degli interessi principale o di pendenza (art. 11). Non vi è un arretrare della giurisdizione italiana ma il contrario. Questi principi generali vengono a essere inglobati in una parte iniziale del CCI. Con l’introduzione del COMI non è più possibile che si verifichino processi pendenti in diverse sedi. Sul versante processuale questo è il punto innovativo. Dal punto di vista sostanziale la vera novità è l’allargamento dei soggetti che possono essere interessati. Nell’ottica del CCI vi è un cambio netto di prospettiva, ma le procedure di pre-crisi possono funzionare solo se all’interno delle imprese e delle società vi sono organi di sorveglianza che verificano la veridicità dei dati aziendali. Qui si inserisce l’ampia modifica apportata. All’interno dei soggetti ricompresi dal CCI rientrano anche i soggetti di governance societaria. Sono questi con cui in più ci si dovrà confrontare. La crisi se fermata in tempo può essere superata. Si comincia con le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi e si passa alle procedure di regolazione delle crisi o insolvenza. 3. PROCEDURA DI ALLERTA E COMPOSIZIONE ASSISTITA DELLA CRISI (DA ART. 12 A 25) L’allerta e la composizione assistita sono norme che mirano a regolamentare la preconcorsualità, la fase anteriore alla crisi. Gli studi condotti dicono che le società in crisi hanno possibilità di superare detta crisi se vi è intervento tempestivo, se si gestisce in modo anticipato. La segnalazione avviene in modo anticipato, si ottiene facendo valere l’idea che segnalando prima si ottiene un vantaggio, una maggior riduzione dei debiti, delle tasse, un sistema premiale. L’emersione della pre- crisi avviene attraverso il sistema delle segnalazioni: si individuano una serie di soggetti esterni o interni alle imprese che pongono in essere ciò che è necessario per gestire il veicolare di informazioni qualificate agli organi competenti. Le di controllo). Dunque, la vera novità accanto al momento di pubblicità immediata è la legittimazione di questi organi di controllo, siamo in un momento in cui è l’organo di controllo che fa la differenza, perché è solo in questa fase che noi possiamo ottenere giustizia. Gli organi di controllo devono notificare anche il debitore, perché possono agire in via autonoma, separata e indipendente. È l’art. 41 che scandisce come dobbiamo procedere e quindi siamo in una fase che vede l’attività del tribunale  il tribunale con decreto convoca le parti non oltre 45 giorni dal deposito del ricorso. Il plus di questo procedimento unitario è l’accertamento immediato della situazione da gestire. Oggi una procedura fallimentare dura almeno 3 anni, questo perché l’esperienza insegna che più la crisi degenera, più è irreversibile. Il CCI è nelle situazioni di pre-crisi, pre-insolvenza, vuole evitare che si aggravi. Il fallimento era la procedura principe, la liquidazione giudiziale è la procedura residuale. Art 42  Si esaminano i debiti risultanti dai pubblici registri. Sono i debiti che vengono in rilievo per argomentare l’esposizione della società verso lo Stato. Questi documenti del debito pubblico sono acquisiti dalla cancelleria del tribunale direttamente presso gli enti proposti (Inps, AE, Registro delle imprese). Non è come adesso che si richiede al debitore di depositare la situazione fiscale. Siamo in una situazione di potere inquisitorio d’ufficio, cioè potere del giudice di valutare come io possa attivarmi per gestire la debitoria. Allora qualche specifica va data se si richiede un concordato preventivo, un accordo di ristrutturazione, perché in questi casi siamo in un momento in cui è proprio la procedura che stiamo formando che vuole preferire una gestione che si ragguaglia a come se richiedo una procedura concordata o più il campo che vede assai significativo accordare lo spazium temporis che consente di gestire la ricerca di questo accordo. È vero che sono tutte uguali, ma è anche vero che poi si ripensa esattamente a come si gestisca tutto questo, quindi io mi domando se allora si possa in concreto parlare di procedura unitaria. Sembra che poco vi sia di unitario, e che invece l’insieme delle cose che ci indichi come concordato e insolvenza abbiano 2 anime diverse. La crisi si distacca dall’insolvenza. Nella liquidazione il giudice dichiara l’insolvenza, non ha bisogno di fermare la procedura perché si ricerchi l’accordo. Concordato e ristrutturazione sono procedure di regolazione negoziale, in cui si proviene ad un accordo, quindi non vi è un accertamento del giudice, la procedura si ferma e si cerca di gestire uno spazium temporis in cui forma questo accordo. Ci interroghiamo ora su momenti descrittivi e correlati alla procedura di concordato. La domanda di concordato inibisce il compimento di atti che riguardano la straordinaria amministrazione, perché in questi casi sono atti che attengono a dei mutamenti aziendali che sono quelli che si sostanziano in un atto dispositivo dei beni. Il concordato ha un’ottica di salvaguardia, sono interamente presieduti da un controllo maggiore che vede un governo limitato dell’imprenditore, che per compiere questi atti deve ragguagliarsi a che cosa il concordato propone. Vi sono delle limitazioni: è vero che non è una procedura così invasiva come la liquidazione giudiziale, però non consente all’imprenditore di mantenere in toto il governo della sua impresa. Allora è chiaro che l’apertura del concordato determina il fatto che l’impresa non sia più in bonis ma per l’appunto in fase concordataria. La liquidazione giudiziale non è una procedura con un vaglio di ammissibilità se è richiesta dall’imprenditore. Egli auto dichiara di avere quei requisiti. Allora ci chiediamo come si possa conciliare una procedura così che non ha vaglio di ammissibilità con tutte le altre procedure che invece riconoscono questo vaglio. È con questo spirito che dobbiamo considerare il procedimento unitario, unitario nella partenza ma non nello sviluppo. Infatti, tutti gli articoli successivi sono dedicati o alla liquidazione giudiziale o al concordato, quindi di unitario c’è ben poco. Una disciplina unitaria la si ritrova nell’articolo 54 - misure cautelari e protettive. Abbiamo già visto le misure premiali nella procedura di composizione della crisi, dove se l’imprenditore è disposto ad auto-denunciarsi avrà una riduzione delle sanzioni (riduzione che viene a porsi come la proiezione necessaria della scelta, quindi vengono a evidenziare un insieme di domande che si connotano nel fatto che “io denuncio e sono premiato”). Le misure cautelari e protettive sono diverse, sono correlate a un fine protettivo del patrimonio del quale si deve poter comunque disporre solo in via unitaria, cioè nel rispetto della parcondicium creditorum. In sostanza io dispongo di un bene che viene a essere gestito con un unico scopo, che non è più la scelta dell’imprenditore, ma il soddisfo dei creditori. Queste misure protettive inibiscono ogni possibilità di gestione di una procedura singola. È un momento in cui veniamo a configurare la possibilità di impedire che si possa procedere per un soddisfacimento unico, perché è solo da una gestione unitaria che io arrivo al maggior tempo possibile, nella possibilità di un maggior realizzo. Queste sono le misure protettive. Dall’art 56 in avanti abbiamo la parte dedicata ai singoli momenti regolativi, le singole procedure. Queste sono: art. 56  piani attestati art. 57  accordi di ristrutturazione da art. 65 ad art. 83  sovra indebitamento art. 84  concordato preventivo art. 121  liquidazione Piani attestati  sono i piani volti a consentire il riequilibrio dell’impresa e riguardano l’integrale possibilità di superare la difficoltà finanziaria. Il piano deve avere data certa e indicare le strategie di recupero, cioè come si supera questa difficoltà, anche e soprattutto con la garanzia di un’attestazione, cioè la dichiarazione di un professionista che vede questi piani e ne conferma l’integrale veridicità. Sono redatti in forma scritta ed è preferibile che siano anche rapportati a una situazione in cui è proprio questo momento che vede la gestione unica di una garanzia unitaria, che evidenzia che quello è il sistema con il quale si può superare la difficoltà. 6. ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI E SS. Accordi che riguardano tutti gli imprenditori, anche non commerciali, e che ineriscono lo stato di crisi o di insolvenza. Rappresentano un’intesa, un accordo tra il creditore e i debitori per proporre un modo di gestione dei debiti, in una prospettiva di riduzione e di dilazione. Riduzione perché si propone di pagare una parte, dilazione perché si paga il ridotto in un tempo più lungo. Con questi accordi gli accordi valgono, prendono vita quando sono approvati da almeno il 60% dei creditori e con essi si raggiunge l’omologa. È un patto privato per il quale un creditore liberamente rinuncia al suo debito per intero a fronte della evidenza che vede la possibilità di sottomettere la disponibilità di privati ad una garanzia giudiziale che si sostanza nell’omologa. Siamo in una situazione in cui non basta un singolo creditore che si accorda, ma è un accordo che ha anche un contenuto pubblico. Dunque, non essendo solo privato, è soggetto ad altre prescrizioni di contenuto o forma, cioè a prescrizioni che vedono la specifica (COMI) del piano economico-finanziario che ne consentono l’esecuzione. Sono i flussi prospettici. Quando abbiamo analizzato l’art. 2 abbiamo riportato il concetto di insolvenza e abbiamo anche distinto dal concetto di crisi. La crisi è l’incapacità di fare fronte ai flussi prospettici, quindi in questo caso è la veridicità di questi flussi che vengono in gioco. Il piano poi è soggetto alle prescrizioni dell’art. 56. Deve avere data certa e contenere svariate specifiche, cioè situazioni che ineriscono i debiti e i crediti, ma soprattutto gli apporti di nuova finanza, cioè quello che rappresenta un quadro che non deve essere approfittamento, ma gestione paritaria del disponibile. Allora l’accordo è quando io offro di pagare di meno e un po’ più a lungo perché ho solo questi soldi. Quali sono le condizioni nel ricorrere delle quali l’accordo è perseguibile?  obbligo di pagare entro 120 gg dall’omologa i crediti scaduti, obbligo di pagare entro 120 gg dalla scadenza i crediti non ancora scaduti. L’accordo si sostanzia, quindi, in una dilazione di pagamento. Io sposto in là le scadenze per adempiere, perché solo così ho la possibilità di trovare un soddisfo, cioè un soddisfo di quello che vi è nel disponibile. Serve: - Approvazione 60% - Omologa - Data certa - Stima dei flussi di cassa - Dettaglio di tutte le prescrizioni art. 56, una per tutte ammontare dei crediti e dei debiti - Che tutti i flussi prospettici garantiscano l’adempimento di questi debiti secondo le cadenze previste (120 gg dall’omologa per debiti già scaduti, 120 gg da quando scadranno per i debiti non ancora scaduti). I creditori che non aderiscono al piano saranno pagati per intero. È per questo che questi piani non hanno avuto nessun successo, perché chi aderisce alla fine è pregiudicato. Ciò non toglie che la gestione possa passare per una serie di pattuizioni che in qualche modo garantiscono anche la maggiore attenzione di quanto già detto. Si accetta per avere questo soddisfo, però chi non accetta è in condizione migliore di chi ha accettato. L’art. 57 pone delle altre prescrizioni, riguarda l’attestatore. È colui che vede tutti i dati e ne garantisce veridicità, fattibilità economica e giuridica del piano, idoneità a pagare nei termini prima indicati i creditori che hanno rifiutato. Se io non aderisco ho più possibilità di essere pagato e anche più velocemente che se aderisco. Quello che però è anche altrettanto sicuro è che è più facile che si vadano ad annidare altre situazioni di criticità, questo è un tema su cui riflettere. È proprio la parcondicium creditorum che viene soddisfatta. Si paga secondo il piano, si rapporta a questa significativa volontà per raggiungere un soddisfo paritario, non posso mai verificare e accettare che avvenga qualcosa in violazione della parcondicium creditorum. La vera novità è che questo accordo vale per chi accetta, ma introduce una dilazione anche per i creditori non aderenti, subiscono gli effetti del piano pure se non aderisce. Nel codice si pongono delle prescrizioni in alcuni articoli introduttivi e poi ve ne sono altre che sono tutte notazioni importanti ma molto dettagliate. I piani attestati (art. 56) e accordi di ristrutturazione (art. 57) sono modificabili, coinvolgono anche i coobbligati o i soci illimitatamente responsabili se ciò è espressamente previsto; è un grado di coinvolgimento che vede il diverso peso di questa situazione e che rappresenta com’è effettivamente solo questa specifica che può portare che alcuni sono responsabili per un ambito e altri per un altro (es. soci accomandanti e accomandatari possono avere un diverso grado di responsabilità e di obbligazione). Vi sono poi delle forme agevolate. Sono agevolati gli accordi in cui non è proposta la moratoria dei debitori estranei, anche alla luce del fatto che non siano richieste misure protettive e temporanee. Es. azione di revocatoria, divieto di avvio di procedure esecutive. Perché si tutela l’integrità del patrimonio societario. Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, accordi che riguardano tutti i creditori anche non aderenti che però appartengono ad un’identica categoria di interessi omogenei. Quindi siamo in una situazione in cui non vi è un consenso diretto del creditore, ma il suo consenso è implicito per l’omogeneità della posizione. Posso arrivare ad un accordo con efficacia estesa quando vi sono tanti creditori, perché l’accordo esteso mira a creare una sorta di autonomia di tutti i creditori, che però sono conglobati in classi. Art 62  convenzione di moratoria. Si individua un insieme di situazioni che rimanda a una dilazione dei crediti, una sospensione del mondo esecutivo, un accordo per interessi omogenei. In questo caso, dice la norma, è possibile se vi sono concrete prospettive di soddisfare creditori aderenti che appartengono alla stessa categoria e che devono rappresentare il 75% dei creditori. Poi, deve emergere che questo soddisfo possa portare ad un miglioramento. La versione di questo accordo deve essere condivisa da tutti i creditori, chi non ravvede ha la possibilità di separare le procedure per trarre maggior soddisfo rispetto alla liquidazione. Art 63  transazione fiscale. È la gestione unicamente del debito fiscale che deve avvenire nell’ambito di accordi di ristrutturazione (art. 57), accordi di ristrutturazione agevolata (art. 60) e accordi di agevolazione efficacia estesa (art. 61). Si porta questa proposta corredata dei documenti che attestano l’origine dei debiti fiscali agli enti che vi presiedono (Agenzia delle Entrate o Agenzia delle Dogane) e i debiti fiscali devono essere pagati secondo gli accordi o comunque in un termine non superiore a 90 gg dalle scadenze. L’ulteriore effetto di questo accordo è una ri-disegnazione degli obblighi societari, in quanto non si è più tenuti agli obblighi di ricapitalizzazione. Quando una società ha un dubbio di continuità aziendale si deve verificare se vi è necessità di ricostruire il capitale sociale andato perso, e se quindi vi è necessità di fare affluire degli altri denari nella società. Non siamo di fronte ad una società in procedura, ma ad una società che si sta ristrutturando perché vuole evitare di andare in procedura. È una società che sta compiendo un percorso di ristrutturazione negoziale, non giudiziale, ma che nel suo termine presuppone un’omologa. 7. SOVRAINDEBITAMENTO (ARTT. 65-66) Si è visto come sia possibile evidenziare questa ulteriore parte di gestione della difficoltà finanziaria dei soggetti non fallibili (soggetti che secondo l’impostazione ordinaria non potevano essere dichiarati falliti perché non ne avevano le caratteristiche). Il sovraindebitamento riguarda la crisi o l’insolvenza di persone fisiche, start-up, professionisti, imprenditori che non possono essere dichiarati falliti, quindi tutti coloro che entrano nel CCI come sovraindebitati. Nel sovraindebitamento le procedure in gioco sono gestite dall’OCC, che si sostituisce al commissario visto all’OCRI dove si celebrano le misure di allerta e prevenzione, quindi dei soggetti che vengono in gestione allorché vi è necessità di gestire dall’esterno la crisi d’impresa. Tale gestione esterna è realizzata da questo organismo che vede un interessamento autonomo, terzo. Le procedure di sovraindebitamento hanno un contenuto ampio: si estendono anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, se si originano da un unico debito possono anche avere il contenuto familiare, cioè riguardare i membri di un’unica famiglia e che si trovano a essere coinvolti in una procedura comune che viene ad essere gestita come un ambito che riguarda non la singola soggettività ma che è composta come se fosse un unico . Questa è la novità più importante. Ci si riferisce a questa situazione che vede la possibilità di gestire la procedura come se fosse una sola, pure a fronte della pluralità di situazioni, per far sì che vi sia un unico debito e che sia gestito in modo unitario. Non pare invece che questo modo unitario presieda la scelta che il legislatore ha compiuto per la liquidazione giudiziale, dove questa sorta di cumulo estensivo non è ammissibile. Qui è introdotto un profilo di comunanza della debitoria ma che non è comunanza del lato creditori. Dunque, i creditori rimangono sempre gli stessi, ma non vi è confusione sulle masse attive da dividersi. La trattazione unitaria non è sinonimo di unitarietà perché ciò che è destinato al soddisfo dei creditori degli uni non si confonde con ciò che è destinato al soddisfo dei creditori degli altri. La prima procedura è quella di ristrutturazione dei debiti (artt. 67-73). Si rivolge a chi ha contratto debiti nell’ambito della propria attività d’impresa. Qui è l’imprenditore non fallibile che è tornato in gioco e che vuole ristrutturarsi. La domanda di ammissione alla procedura di ristrutturazione (art. 68) è complessa. Occorre specificare la consistenza e la composizione del patrimonio, la descrizione di un quadro aziendale degli ultimi 5 anni e le dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni, in sostanza tutto ciò che viene in rilievo per argomentare la necessità di una falcidia, una riduzione. Si riduce l’ammontare del pagamento dei vecchi debiti perché non si ha più denaro. Questa è una procedura che si riferisce a far valere un richiedente che non deve aver mai avuto problematiche di questo tipo, vale a dire che non ci devono essere stati accessi a questa procedura nei 5 anni anteriori. Non deve essere una procedura riguardante un soggetto che ha causato di proposito il debito, non si deve cioè trattare di un sovraindebitamento colpevole. L’origine della situazione non deve dipendere da una volontà. Nel sovraindebitamento incolpevole non si è in grado di gestire la situazione e siccome non la si sa gestire ci si indebita sempre di più, si contraggono nuovi debiti per pagare quelli vecchi. Il piano di cui si è discusso è omologato per essere valido: è solo con riguardo a un piano verificato come legittimo, appunto omologato, che si è a verificare la situazione di cui si chiede ricerca. L’omologa del piano sospende tutte le esecuzioni individuali e quindi si gestisce la debitoria in un unico modo. L’attività è quindi quella di ambito pieno ed assoluto in cui vi è una volontà esclusiva di gestione assoluta di remissione, gestione e variazione, ripensamento dell’allocazione delle risorse rispetto al tutto. L’omologa è sempre revocabile (art. 72) quando si gestisce un momento di frodo, di non comunicazione di taluni degli atti, perché è solo in questo momento che si può argomentare la necessità di far valere un’unica comunicazione trasparente al gestore. L’articolo più importante di questo gruppo di norme è l’art. 73: segna il passaggio da una procedura all’altra, si pone il principio che se non riesce a far fronte a detti debiti, allora tali debiti sono destinati ad essere liquidati per quanto possibile, non sono più ristrutturati ma entrano a far parte di un’ottica di unitarietà. Con riguardo a questo, si viene a discutere di conversione, appunto la liquidazione. Ma prima di arrivare ad essa vi è il concordato minore. Quello che interessa è piuttosto questa possibilità di gestire secondo le forme concordataria i debiti degli imprenditori non liquidabili. Ci si riferisce ad un ambito in cui l’intero momento è quello unico, esclusivo di una procedura che vede il soddisfo parziale dei debiti nel rispetto della parcondicio creditorum. Quindi si è ad evidenziare che è l’ambito unitario ed esclusivo che vede la soddisfazione di chi ricerca della meritevolezza. Mentre nel concordato maggiore non si ritiene di scrutinare l’atteggiamento soggettivo dell’imprenditore maggiore o liquidabile, è invece nel concordato minore che si va a muovere. Non ci si deve far tradire dal fatto che si chiamino uguale concordato. In sostanza, nel concordato minore si verifica proprio la possibilità escludente. Qui più che mai se non ci sono i presupposti di meritevolezza si passa alla liquidazione, che è la terza procedura e che vede l’eliminazione non fisica ma commerciale. Il sovraindebitato non opererà più nel mercato. Non vi è alcuna ripartenza. È colui che non è più in grado di continuare il business e che viene a liquidarsi, cioè ad eliminarsi. Si è dinnanzi ad un ambito che vede di nuovo la soddisfazione della debitoria nel rispetto della parcondicio creditorum. La liquidazione giudiziale non è più la procedura principe, nel senso che prima ci si risana e se non si può proseguire si passa ad essere liquidati. Quando si dice che il sovraindebitamento è per tutti i debitori si sbaglia. È unicamente per i debitori che possono in qualche modo ripartire. Chi non può ripartire si passa subito alla liquidazione. Anche l’esdebitazione non è per tutti ma solo per i meritevoli. Non vi sono timori di incertezza, non vi sono timori di eccessivo favor ma vi sono piuttosto momenti in cui ci si trova a dover gestire una debitoria molto più elevata rispetto al disponibile e allora si liquida si distribuisce quello che c’è. 8. CONCORDATO PREVENTIVO È una delle procedure più importanti e più frequenti. L’art. 84 pone il principio che vede il concordato di 2 tipologie principali. La prima è quella del concordato in continuità, che prosegue l’attività aziendale. La seconda è il concordato liquidatorio, che evidenzia l’effettiva necessità che vede distinguere la continuità che è la base dalla prospettiva liquidatoria. È dibattuto come questa prospettiva eliminativa veda una possibilità che rimanda nella selezione unica e unitaria di gestire un debito, cioè io vedo che non sono più in grado di rimanere nello scenario produttivo e quindi mi liquido. La differenza in sintesi tra il concordato liquidatorio e la liquidazione giudiziale è che nel primo è assicurata una % per questa procedura. Il primo momento importante è che si tratta di una procedura che vede la gestione residuale, questo perché prima si compiono gli altri tentativi per gestire la difficoltà dell’impresa. Gli organi che governano la liquidazione sono il tribunale concorsuale, il giudice delegato e il curatore. Ci si concentra sui primi 2. Il tribunale concorsuale è l’organo che ammette l’imprenditore in insolvenza alla procedura di liquidazione. È l’organo attraverso cui si gestisce l’andamento della liquidazione. Ha poteri soprattutto gestori perché rappresenta l’autorità che nomina e revoca degli organi della procedura. Rappresenta il potere di governo della procedura stessa. È l’organo che vede la possibilità di convocare innanzi a sé sia il debitore sia il creditore e rappresenta la possibilità di creare ogni gestione delle controversie relative alla procedura. Esso gestisce il tutto nel pieno rispetto delle norme di diritto, in particolare rappresenta la possibilità di gestire la prosecuzione della procedura considerata. Il tribunale procede attraverso i decreti motivati, per procedere in modo snello e prioritario. Si ha poi il giudice delegato, colui che viene a far valere i provvedimenti più strettamente gestori. Sono i provvedimenti che possono più velocemente rispondere alle esigenze della procedura, che possono dare corso ad altre attività, quali la convocazione del debitore, del curatore e tutto ciò che può rappresentare il pieno momento gestorio. Mentre il tribunale concorsuale è il depositario delle valutazioni di legalità, il giudice delegato ha in sé le valutazioni che attengono al momento operativo. Infatti, non a caso il giudice delegato si interfaccia quotidianamente con il curatore. Il curatore è il vero organo della procedura, rappresenta il momento di gestione e valutazione. È il manager della crisi della società in liquidazione. Gli articoli del curatore da ricordare sono il 127 e il 128. Art.127  il curatore ha la qualità di pubblico ufficiale. Questo significa che è rappresentato un pieno momento di gestione e di rappresentazione, qui il curatore deve verificare il pieno rispetto della legalità perché è solo così che si potrà far valere il suo ruolo concreto di pubblico ufficiale. È colui che deve garantire la legalità, che si attiva per controllare ogni aspetto e che verifica ogni ambito dell’operato degli organi della procedura. Altro momento di significativa attenzione è che con riguardo all’elenco dei poteri (art. 128). Sono quei momenti che vedono la fase gestoria, si deve significare che cosa può fare il curatore (poteri), cosa deve fare (obblighi), che diritti ha. In relazione a questi 3 momenti vi sono delle notazioni: 1. La prima vede l’assoluta possibilità di far fronte ad un obbligo di amministrazione  con questo, si può dare corso a momenti unici, ovvero quello di gestione unitaria. Non vi è nessuna limitazione di poteri, anzi si può dire che vi è un accentramento di poteri perché essi fanno venire in gioco la possibilità che si possa escludere ogni limitazione. È l’esatto contrario di quello che accade nella società ordinaria perché in essa si ha una diversa situazione che per l’appunto vede questa possibilità, cioè la presunzione che all’amministrazione siano conferiti tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione ma tuttavia la possibilità che l’amministrazione sia anche limitata. Non è così in questa situazione: si potrà far valere una possibilità di effettiva gestione perché la vicenda è nella direzione di presumere che questa limitazione non ci sia. Mentre nell’amministrazione dell’impresa in bonis ci sono limiti, nella amministrazione della liquidazione giudiziali di limiti non ci sono; 2. La seconda riguarda i poteri del curatore come rappresentanza giudiziale  egli ha la rappresentanza legale della società e il potere di stare in giudizio ma con l’autorizzazione del giudice delegato. Sono situazioni in cui è con riguardo al diverso ambito di poteri che viene rilievo un diverso momento e quindi se i poteri amministrativi ordinari sono illimitati non è la stessa cosa per quelli giudiziali. Deve avere previa autorizzazione del giudice legale; Al comma 3 si introducono regole per il caso in cui il curatore sia un avvocato. Fino ad ora c’è sempre stata una separatezza tra essi nella procedura. Questo è cambiato e si sta valutando la possibilità di rappresentare l’unione tra i 2. Questo è possibile in tutti i giudizi con natura tributaria e per il caso in qui detti giudizi siano portati avanti nell’interesse della massa. Per tutti gli altri vale la regola di nomina da parte del curatore di un avvocato. Ci si concentra ora sulle successive attività del curatore, in particolare sui rapporti riepilogativi in quanto è proprio con riguardo a questi che si deve pensare agli obblighi informativi. Essi si riferiscono ai modi con cui si può far valere la piena operatività, vale a dire l’obbligo di conoscenza che c’è tra le informazioni che ha il curatore e l’elenco che devono avere il giudice delegato e il tribunale concorsuale. Il curatore ha l’obbligo gestorio ed amministrativo, questo si sostanzia nei rapporti riepilogativi e nelle relazioni. Il curatore fin dall’inizio deve compiere un’attività di reportistica che va a ricostruire tutto quello che è accaduto negli ultimi 5 anni. È qualcosa di simile alla attività di due diligence che si può far valere quando si fa un’operazione di merge e acquisition. In questi casi si sostanzia di un’informativa riguardante le cause dell’insolvenza, la responsabilità del debitore, degli amministratori e degli organi di controllo della società. Qui più che mai verrà in rilievo il distinguo tra insolvenza esterna (la crisi è dipesa da ragioni non dipendenti dalla volontà del debitore) ed interna (il debitore ha male agito). Siccome il punto di riferimento è lo studio delle ragioni della crisi, viene in rilievo il momento di esame del comportamento dell’imprenditore per comprendere se vi sono suoi eventuali momenti di responsabilità. Quindi una due diligence, una tax due diligence, una legal due diligence. Se si va a rappresentare questa piena situazione si nota che il curatore deve anche acquisire tutti i documenti necessari per compiere questa verifica. Ciò accade se riesce ad entrare in possesso di tutte le scritture contabili e delle operazioni compiute negli ultimi 5 anni. In questi casi si andrà a verificare la possibilità che vi sia una assoluta e indiscutibile possibilità di far valere una completezza ricostruttiva. Per raccogliere tutti i documenti il curatore è anche ammesso a chiedere i documenti alle p.a. La relazione che il curatore va formando sarà poi la base per la successiva operatività. Il curatore illustrerà nella relazione ciò che può interessare anche i fini delle indagini in sede penale; se poi l’imprenditore è una società, l’indagine è anche da estendere alle società collegate. Fallisce innanzitutto la società operativa di un gruppo e a seguire fallisce la società immobiliare, ancora in questo caso il curatore viene a far parte di situazioni in cui vi è l’obbligo di rappresentare questa piena operatività di momenti che vedono una estensione di verifica e di gestione di tutto ciò che è stato il modus procedendi dell’imprenditore. Si ha un’ottica di gruppo. Vi è anche l’obbligo di dare corso ad altre segnalazioni, quelle che hanno l’obbligo di comunicazione ogni 4 mesi di una prima relazione di aggiornamento e poi ogni 6 mesi. In queste relazioni si ha un resoconto in più anche di quello che è stato fatto dal curatore, è una rendicontazione non solo ricostruttiva del passato ma anche di cosa ha fatto il curatore. Per questo si figura un obbligo costante del curatore di rendicontare. Accanto a questi organi appena considerati c’è il comitato dei creditori: è nominato dal giudice delegato e per gestisce le transazioni, gli accordi, i momenti solvitori del contenzioso, della procedura. È composto dai creditori che vengono ad essere individuati come esponenziali, ad esempio, un creditore tra i fornitori, uno tra le banche, uno tra i professionisti ecc. Ognuno viene in rilievo in un diverso ambito. Per questo viene in gioco come momento assoluto, cioè un momento che può argomentare una valutazione più ampia in quanto valuta nell’interesse dei creditori. Ha anche delle funzioni ispettive dell’operato del curatore: può chiedergli il rendiconto e lo può convocare, può dare diniego di alcuni suoi atti. Il giudice delegato decide in caso di contrasto tra cosa effettivamente viene a svolgere come attività e quale è l’utilità della procedura. 11. EFFETTI DEL DEBITORE ALL’APERTURA DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE (ART. 142 E SS.) Per effetto della liquidazione giudiziale, il debitore subisce dei limiti. Il debitore dichiarato liquidato perde una serie delle sue capacità e la disponibilità dei suoi beni (tranne quelli personalissimi). Quello che si deve tenere in mente è che bisogna distinguere l’ambito gestorio e l’ambito personale; in sostanza, si va a gestire la possibilità che il debitore è colui che oggettivamente si fa portatore di una visione diversa che distingue i beni che ricadono nella procedura da quelli che rimangono fuori perché indispensabili. Sono compresi nella liquidazione tutti i beni che provengono al debitore durante la procedura, perché essa continua ad avere il carattere di universalità  si raccolgono i beni che vengono sottoposti alla gestione del debitore, sono quelli che vengono gestiti perché possono essere utili per la prosecuzione della liquidazione. Il 3° c. art. 142 dice che è possibile su autorizzazione del curatore e sentito il comitato dei creditori. Il momento è un momento di selezione dei beni. È la novità più grande. Qui non vi è il principio che vede nella liquidazione giudiziale un momento di disponibilità di questo principio. Ci si chiede come si possa coordinare l’universalità con il carattere necessario della procedura. È uno scenario che vede la possibilità di essere unici ed esclusivi destinatari di una procedura più duttile che meglio si adatta alle caratteristiche delle singole fattispecie. È questo il discorso che vede una perdita della capacità processuale del liquidato, i giudizi sono tutti proseguiti solo nei confronti del curatore e proseguiti dallo stesso. Significa che il liquidato è privato della capacità processuale. Art. 142 e 143 vengono in gioco come elementi di teoria di principio. Sotto l’ambito processuale, regola che prevale è una segnalazione che argomenta la possibilità che tutti i giudizi sono proseguiti dal curatore ma per le questioni di bancarotta fraudolenta è segnalato il potere del debitore di procedere ad una sorta di legittimazione processuale (art.143). La partecipazione necessaria del debitore è presente per i giudizi in ambito tributario. Art.144  si rivolge agli atti sostanziali inefficaci, cioè gli atti che il liquidato ha compiuto relativamente a questo momento (es. atti risolti in un momento di aggravamento, sottrazione, limitazione, riduzione del passivo). Sono tutti inefficaci. Sono anche acquisite alla liquidazione tutte le utilità che derivano dal compimento di questi atti. Questi 3 articoli dicono la stessa cosa, ovvero che sono atti destinati a non essere efficaci perché il liquidato, per effetto dell’apertura della liquidazione, perde la sua legittimazione. Esistono delle eccezioni che vengono fatte valere avuto riguardo alla situazione di liquidazione. Le eccezioni sono: • beni non compresi nel fallimento; • alimenti e abitazione del debitore che rimangono al debitore; • obblighi, limitazioni, situazioni che vedono un obbligo del debitore a dare comunicazioni di modifiche. Accanto al principio di universalità vi è quello della completezza della procedura di liquidazione, che vede la possibilità che tutto sia tenuto in un unico momento gestorio, in tal modo si amplia l’ambito di gestione della procedura. Vi sono delle esigenze preminenti che vedono il momento di nuovo collettivo, universale come momento unico ed unitario rispetto alla intera situazione. Anche i creditori subiscono una auto limitazione, non sono più in grado di poter agire liberamente. Dunque, si configura la necessità di gestire al meglio le azioni dei creditori, facendo prevalere un’ottica di coordinamento. Per questo si valuta la possibilità di coordinare la situazione facendo riferimento solo al momento che vede l’assoluta possibilità di divieto (art. 150) delle azioni esecutive individuali. L’unica cosa che deve prevalere è il recupero del concordo. Anche nell’ambito della gestione del concordo deve prevalere una gestione collettiva, non è quindi possibile che l’iniziativa di un creditore prevalga sugli altri. Si rispetta la parcondicio creditorum. Ogni credito deve essere accertato, nel rispetto delle norme. La liquidazione giudiziale (art. 151 c. 1) opera per tutte le attività che confluiscono nel momento della piena novità. Si è in una situazione in cui il punto è che si possa far valere il momento unico in cui le tutte le azioni sono recuperate per far valere un’esclusiva e sola volontà ma per far valere un momento collettivo. Opera il principio di concorsualità. Dall’art. 150 fino all’art. 162 ci sono una serie di declinazioni del principio di concorsualità. Dal 163 si analizza il tema delle revocatorie. Gli art. 163-164-165-166 sono momenti qualificanti l’intero scenario procedurale perché fanno scenario nell’ambito recuperatorio. In questa situazione, si segnala un momento diverso che raccomanda la possibilità che si possa far valere un recupero attraverso una dichiarazione di inefficacia degli atti compiuti. Sono le famose azioni revocatorie, che prima erano nominate azioni revocatorie fallimentari. Il principio di questi articoli inerisce la gestione unitaria della procedura: gli atti compiuti in violazione della procedura non hanno per alcun verso la gestione della volontà. Si configura la possibilità di rimeditazione e di gestione. Si deve far valere la possibilità della visione assoluta della situazione perché il momento è quello di far valere una possibilità che viene ad argomentare come sia solo una gestione assoluta. Gli atti a titolo gratuito (art. 163) sono fatti valere come possibilità di rivisitazione della procedura e di acquisizione della gestione. Gli atti a titolo gratuito sono inefficaci se compiuti nei 2 anni prima della gestione liquidatoria (es. donazione a titolo gratuito). Sono ritenuti validi solo gli atti che si sostanziano in regali d’uso, in liberalità che però devono poter gestire questa situazione in una situazione di piena e assoluta gestione. Art. 164  inefficaci i pagamenti di crediti non scaduti o di crediti postergati. Sono privi di effetti i pagamenti anticipati dei crediti. Tutto ciò che è anticipato non è valido. Sono inefficaci i pagamenti dei crediti postergati ancora in vita. La postergazione (si rinuncia al pagamento tempestivo) viene anticipata. Art. 165  legittimazione del curatore a far valere l’azione revocatoria ordinaria. È l’azione che dichiara inefficaci gli atti che il debitore ha compiuto in pregiudizio alle ragioni del creditore (art. 2901 c.c.). È il momento in cui si può far valere la possibilità di dichiarare invalido un atto facendo valere la possibilità di argomentare una valenza unica. Sono atti che sottraggono dei beni su cui il creditore potrebbe andare a soddisfarsi. Per agire occorre che il creditore conosca il pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, che fosse partecipe della dolosa preordinazione. Occorre che chi compie gli atti sia consapevole, cosciente di questi aspetti che gli atti arrecano alla situazione patrimoniale. Questo pregiudizio si concretizza  da una parte come atto se successivo al sorgere del credito è fatto per sottrarre, se anteriore deve essere preordinato con il creditore. Il creditore sa che quel debito è un debito che viene in rilievo per gestire detta procedura vi è una dolosa preordinazione. Negli atti a titolo oneroso deve essere compartecipata anche dal terzo la dolosa preordinazione. Il terzo è consapevole della sottrazione da patrimonio di liquidità da ripartire. Deve esserci quindi prova della partecipazione del terzo per fare azione revocatoria ordinaria. Art. 166  articolo che argomenta la piena possibilità di far proprio il momento gestorio, cioè il momento che fa dichiarare invalidi una serie di atti a titolo oneroso in un periodo anteriore ad 1 anno o 6 mesi alla dichiarazione di liquidazione. Il punto è come si possa far valere in questo articolo il principio di concorsualità e universalità: si può sempre far valere l’ambito della gestione autonoma e la possibilità che si può anche far valere come unica e sola che il momento sia assolutamente principale di gestione. Significa che se vi è una possibilità, essa è di recupero integrale di ciò che è stato posto in essere. Si eliminano tutte le operazioni in danno nel senso di depauperamento del patrimonio del debitore. 12. ART. 166: ATTI A TITOLO ONEROSO, GARANZIE, PAGAMENTI Si è in una situazione in cui c’è la specifica volontà del legislatore di dettagliare al meglio per poter dare sempre corso ad ogni trattativa. Si sono premuniti di poter evidenziare la possibilità che questi atti siano atti non compiuti in modo valido, perché sono in frode ai creditori. Essendo atti in frode o che hanno determinato una riduzione della garanzia patrimoniale, devono poter essere revocati. Sono atti in astratto che sarebbero validi, ma essendo stati compiuti nell’ambito di un’azienda in una situazione di difficoltà, viene in rilievo la possibilità che si possa ritenere che un atto normalmente valido non lo sia più. Ci si riferisce ad un atto con duplice contenuto: da una parte sarebbe valido ma non lo è in quanto contiene situazioni invalidate non per come sono state compiute ma perché sono state oggettivamente individuate, create dal contesto esterno. Primo ambito di revocatoria concorsuale  è la revocatoria che si presume operante a favore del curatore. Questi atti sono revocati, con la sola esclusione che la parte cui confronti l’atto è stato compiuto provi che conosceva lo stato d’insolvenza del debitore. Il curatore è presunto come soggetto passivo ed è colui che ha questo beneficio probatorio. È per questo che grava sull’altra parte la possibilità di far valere la volontà di ampliare, creare, aggiungere una possibilità che vi sia un momento di prova che gravita a carico del soggetto i cui confronti l’atto è compiuto. Le obbligazioni assunte per essere revocate sono superiori di ¼ di quanto dato o promesso se compiuti dopo il deposito della domanda cui è seguita l'apertura della liquidazione giudiziale o nell'anno anteriore. In questo caso l’atto è dannoso per la liquidazione perché si è venduto ad un prezzo inferiore ciò che potrebbe essere venduto a di più guadagnando di più per la procedura. L’atto non vale in modo assoluto e quindi i beni venduti ad una somma inferiore ritorneranno all’interno della procedura, facendo valere la circostanza di invalidità dell’atto. Sono revocati tutti gli atti estintivi di debiti pecuniari caduti ed esigibili non effettuati con denaro o altri mezzi di pagamento, se compiuti dopo il deposito della domanda cui è seguita l'apertura della liquidazione giudiziale o nell'anno anteriore. Si esclude il pagamento avvenuto in modo difforme alla prassi. Si pagano ad esempio debiti non scaduti, si pagano in anticipo delle rate o sono ulteriormente posticipate. Si reca un favor al creditore ma si arreca danno a tutti gli altri. Sono ritenuti dannosi quegli atti che vengono a far valere la possibilità di creare dei crediti privilegiati, che beneficiano di particolari garanzie. Sono invalidate anche le garanzie su debiti scaduti a seguito dell’apertura della domanda o nei 6 mesi antecedenti ad essa. Viene meno la possibilità di selezionare una garanzia contro il rispetto della parcondicio creditorum. Comma 2  possibilità che si possa far valere l’invalidità e revocare atti già compiuti. Sono revocati se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l'apertura della liquidazione giudiziale o nei 6 mesi anteriori. Sono gli stessi atti del 1° c. ma hanno significato diverso a seconda che vi sia la possibilità di provare o no la conoscenza dello stato di insolvenza. Ci sono poi le esenzioni dell’azione revocatoria: pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’impresa secondo le modalità d’uso (prevale la salvaguardia dell’esercizio); le rimesse effettuate su un c/c bancario che non hanno ridotto in maniera consistente l'esposizione del debitore nei confronti della banca; le vendite e i preliminari di vendita conclusi a giusto prezzo con riguardo all’acquisto di immobili ad uso abitativo destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, o immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente, purché alla data dell'apertura della liquidazione giudiziale tale attività sia esercitata o siano stati compiuti investimenti per darvi inizio; gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie in esecuzione del piano attestato di cui all'art. 56 o all'art. 284 (procedure che vedono la possibilità di raggiungere un accordo sui pagamenti da eseguirsi, si salvaguarda i creditori che volevano il salvataggio d’impresa che non è riuscito); atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione di un concordato preventivo e dell'accordo di ristrutturazione omologato e gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di accesso al concordato preventivo o all'accordo di ristrutturazione. L'esclusione opera anche con riguardo all'azione revocatoria ordinaria; i pagamenti eseguiti nei confronti in un tempo successivo perché in questo tempo sono i momenti principali che vedono gli ambiti di chiarimento anche dei crediti sopravvenuti (che prima non c’erano e che si sono aggiunti per essere comunque ammessi al passivo). Art. 209  previsione di insufficiente realizzo. Se, sulla base delle indagini condotte dal curatore, non vi è alcun ulteriore momento di realizzo dell’attivo, è possibile che l’accertamento del passivo si concluda immediatamente e in questo caso si darà corso ad un provvedimento di non luogo provvedere sui crediti. È un fallimento dove non c’è nulla, quindi è inutile dare corso al passivo. L’apertura della liquidazione giudiziale non determina la cessazione dell’attività d’impresa se ricorrono le condizioni seguenti: • Autorizzazione del tribunale a proseguire l’attività, anche limitatamente a specifici rami d’azienda se dall’interruzione può provenire un danno e se la prosecuzione non arreca pregiudizio ai creditori. Si comparano gli effetti dell’interruzione e della prosecuzione. È una volontà di garantire una prosecuzione unitaria nell’interesse dei creditori. • Può avvenire anche come momento gestorio, come momento di valutazione successiva che è lasciata nelle mani del curatore. Il curatore si interfaccia con il debitore, con la società fallita e all’esito di ciò viene ad essere colui che garantisce la prosecuzione. Art. 211  l’esercizio provvisorio interviene quando la cessazione dell’attività è rischiosa. Art. 212  anche prima della presentazione del programma di liquidazione, su proposta del curatore, il giudice delegato (previo parere favorevole del comitato dei creditori) autorizza l'affitto dell'azienda del debitore a terzi, anche limitatamente a specifici rami, quando appaia utile al fine della più proficua vendita dell'azienda o di parti della stessa. Si evidenzia un’utilità per il creditore. Si prosegue l’attività di impresa da parte di un soggetto terzo e dura finché dura la liquidazione. L’affittuario avrà poi un diritto di prelazione nell’esecuzione della liquidazione. 15. PROGRAMMA DI LIQUIDAZIONE (ART. 213) La norma declina il contenuto del programma di liquidazione. Entro massimo 180 gg. si vuole mettere a frutto ogni momento che vede la liquidazione, la conversione in denaro di ciò che si sta discutendo. Vi è ampio potere discrezionale del curatore  come per il concordato preventivo, egli ha la possibilità di argomentare l’ingresso nell’attivo solo dei beni per cui l’attività di liquidazione sia conveniente. Se i beni non entrano nell’attivo potranno essere oggetto di selezione con le altre azioni esecutive dei creditori. È un principio nuovo che sancisce un criterio prevalente di utilità  quando si ha un bene la cui liquidazione porta qualcosa di favorevole, allora si può far valere l’ingresso del bene nella liquidazione, se invece non conviene, il bene non entra nella liquidazione e quindi si potrà far valere la soggezione del bene alle azioni esecutive individuali. Non si fanno rientrare i beni quando l’attività di liquidazione dopo 6 esperimenti di vendita non ha portato ad alcuna aggiudicazione, salvo che il giudice delegato non autorizzi il curatore a continuare l’attività liquidatoria in presenza di giustificati motivi. Il programma è suddiviso in sezioni in cui sono indicati criteri e modalità della liquidazione dei beni immobili, degli altri beni e della riscossione dei crediti, con indicazione dei costi e dei presumibili tempi di realizzo. Non esiste più un momento unitario, ma si hanno tempistiche diverse a seconda della complessità delle situazioni. Se vi sono delle esigenze sopravvenute, il curatore può presentare delle variazioni del programma di liquidazione. Se il curatore non rispetta il programma di liquidazione è sanzionato con la revoca. La liquidazione è una vendita, una trasformazione in denaro dei cespiti. Gli elementi che vengono in gioco sono: la possibilità di vendere l’azienda, i suoi rami, i suoi beni o rapporti in blocco. Si è in un ambito che vede una scelta di vendere l’azienda in blocco come momento preliminare rispetto alle fasi successive. Una volta acquisiti i denari, si passa alla liquidazione dei denari (art. 219). Si ricerca il disponibile e si procederà all’assegnazione a ciascuno dei creditori. Viene in rilievo una delle norme più importanti del CCI, l’art. 221, che è l’attuazione concreta del principio della parcondicio creditorum. Le somme ricavate devono essere obbligatoriamente secondo il seguente ordine di pagamento: • crediti prededucibili  hanno diritto ad essere pagati prima perché riferiti ad esigenze imminenti della procedura; • crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute secondo l'ordine assegnato dalla legge  crediti che fanno valere un diritto preliminare principale. Hanno un privilegio che viene in gioco come diritto del credito ad essere soddisfatto prima sul frutto, sull’esito della vendita; • crediti chirografari  crediti ordinari; • crediti postergati  sono quei crediti che avrebbero un diritto ad essere pagati prima ma il titolare del credito rinuncia al diritto e lo posterga, lo pospone. I riparti sono disciplinati dagli art. 227 e seguenti. Si dividono in parziali e finali. Si ha poi la graduazione di come i denari vengono distribuiti. Si ha l’individuazione delle quote di distribuzione assegnate ai creditori nei riparti parziali. Il riparto parziale non avviene se sono presenti: creditori ammessi con riserva (hanno un titolo contestato), creditori che hanno proposto opposizione allo stato passivo, creditori oggetto di impugnazione o di revocazione. Per tutti questi, le somme sono trattenute, depositate secondo forme di garanzia, accumulate e fatte valere come un accantonamento che verrà liberato una volta che i crediti diventano definitivi. Le somme versate non possono essere richieste indietro salvo caso di accoglimento di domande di revocazioni o se i denari versati risultano non dovuti. Il curatore chiede autorizzazione al giudice delegato per il pagamento dei crediti. Con la richiesta di autorizzazione si fa valere l’obbligo del curatore a pagare, e il diritto dei creditori a ricevere il giusto; nel caso di credito ceduto si farà valere la cessione argomentando che, a seconda del tempo in cui è avvenuta, ci sarà un trasferimento di quote al titolare del credito per quanto di sua competenza e al cessionario del credito. Quando i riparti sono compiuti viene in gioco il rendiconto del curatore, che segna la fine della procedura di liquidazione. Si può dare corso quindi alla liquidazione. Occorrerà che il curatore illustri cosa ha incassato, come ha distribuito ai creditori per effetto del riparto. Il rendiconto viene depositato in cancelleria e i creditori ammessi al passivo, che hanno posto opposizione o in prededuzione non soddisfatti possono presentare eventuali osservazioni o contestazioni fino a 5 giorni prima dell'udienza. Se all'udienza stabilita non sorgono contestazioni, il giudice approva il rendiconto con decreto; altrimenti, fissa l'udienza innanzi al collegio che, sentite le parti, provvede in camera di consiglio. Non può esserci chiusura della liquidazione se non c’è approvazione del rendiconto. Una volta approvato e liquidato il compenso del curatore, il giudice ordina il riparto finale (art. 232). Si dà ripartizione di tutto quello che la liquidazione ha avuto. Vengono distribuiti in questo caso gli accantonamenti fatti. Il curatore assegna tutto quello che è possibile. La possibilità di assegnare i crediti d’imposta rappresenta un’attuazione del principio di rapidità che si è ricercato con il CCI ed è autorizzata dal giudice. Le somme sono fatte valere come tutte distribuibili e devono pervenire ai creditori. Il riparto è il bilancio finale della liquidazione. 16. CHIUSURA DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE (ART. 233) Ci si concentra sul momento ultimativo della chiusura della liquidazione giudiziale. L’art. 233 pone il principio secondo il quale vi sono momenti che non rendono più attuale la possibilità di proseguire nella gestione della procedura di liquidazione giudiziale perché è prioritario terminare la stessa. Primo caso  nel termine per la dichiarazione di fallimento non è stata proposta alcuna insinuazione, nessuno lamenta la possibilità di far gestire i denari in quanto nessuno li chiede  liquidazione giudiziale senza creditori. Secondo caso  le ripartizioni ai creditori raggiungono l’intero ammontare e quindi sono tutti soddisfatti  viene in gioco la possibilità di chiudere perché tutti si sono soddisfatti. Se non c’è più nessuno da pagare non vi è luogo ad alcuna prosecuzione della procedura. Terzo caso  è stata già compiuta la ripartizione finale dell’attivo  il riferimento è al corso naturale della liquidazione e alla possibilità che si possa fare proprio l’esaurimento delle operazioni dell’attivo e la liquidazione di quelle del passivo. In tutti questi casi si vuole avere un esito ordinario. Quarto caso  vi è l’esaurimento del distribuibile e ciò vede una volontà di proseguire verso la fine. Il curatore è colui che procede verso la chiusura della liquidazione, anche quella riguardante i soci illimitatamente responsabili. Questo non esclude che vi siano giudizi pendenti: ad esempio giudizi dell’opposizione allo stato passivo, quelli che ineriscono altri ambiti, che più esattamente si riferiscono al mondo del contenzioso del fallimento. Questi giudizi sono spesso lunghissimi e sono portati a durano molti anni. Si è cercato di risolvere il problema di coordinamento tra il giudizio pendente e l’esigenza di chiudere in tempi contenuti la procedura. Vi sono dei riferimenti a 2 situazioni. Se le cause che proseguono sono attive, i denari entreranno nella procedura fallimentare e saranno ripartiti tra i creditori secondo le cause legittime di prelazione. Se invece i denari non vi faranno parte perché si tratta di cause passive, si vorrà far fuoriuscire i denari dall’ambito concorsuale ; vengono così destinati a pagare i debiti che sono nel frattempo maturati dalla procedura. In ogni caso è pronunciato il provvedimento di chiusura e, se non reclamato nel termine di 10 gg. di deposito, si completa la fase eliminativa e la società è cancellata dal registro delle imprese. Altro ambito vede la possibilità di raggiungere un accordo nella liquidazione giudiziale. Si chiama anche in questo caso concordato. È una gestione libera dell’ambito che fa proprio una possibilità definitoria della liquidazione giudiziale nella situazione di un’ottica concordato. Esso permette di definire, tramite un’offerta ai creditori, anche il procedimento di liquidazione giudiziale. Si individua un accordo simile al concordato preventivo, con la variante che la liquidazione è già pendente e che è un momento di superamento della liquidazione. È un accordo con i creditori e che viene in gioco come momento principale rispetto all’intero scenario di gestione di crisi. Il curatore subentra non solo nelle azioni ma anche nella gestione della procedura. Viene in gioco un coordinamento tra gli amministratori e il curatore. Egli ha anche la titolarità delle azioni di responsabilità (art. 255), vale a dire sia delle azioni che ineriscono il potere dei soci di sindacare l’operato degli amministratori, sia i poteri che ineriscono i creditori sociali. L’apertura della liquidazione di una società a responsabilità illimitata comporta l’apertura della procedura anche per i soci con responsabilità illimitata (art. 256). Ci sono delle eccezioni: l’estensione automatica non opera 1 anno da quando si è verificato lo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata (se la responsabilità è stata persa da più di 1 anno, non si ha l’estensione diretta della procedura). Al tempo stesso l’estensione non ha luogo se l’insolvenza della società attiene solo tempo in cui questa responsabilità illimitata non era attiva. L’art. 257 prevede la possibilità di far valere questa responsabilità illimitata, e il conseguente raccordo tra le 2 situazioni dipende da una volontà di coordinamento: si coordina la liquidazione giudiziale della società con quella dei soci illimitatamente responsabili. È un coordinamento che vede 1 giudice delegato e 1 curatore, mantenendo però distinti i patrimoni posti a procedura. È possibile accedere alla logica del concordato e domandare il concordato nella liquidazione giudiziale. Può accadere che vi sia la necessità di coordinamento tra la crisi o la liquidazione giudiziale di una società e la crisi o liquidazione di una società a questa collegata, il caso dei gruppi societari. Gli art. 284 e seguenti si riferiscono al concordato e agli accordi di ristrutturazione e poi all’insolvenza di gruppo. Più imprese in stato di crisi o di insolvenza appartenenti al medesimo gruppo e aventi ciascuna il centro degli interessi principali in Italia possono proporre, con un unico ricorso, la domanda di accesso al concordato preventivo (art. 40) con un piano unitario o con piani reciprocamente collegati e interferenti. Possono essere proposti in modo unitario i ricorsi volti a far accedere tutte le imprese del gruppo ad una domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione. Tutte le procedure già viste in capo ad una singola azienda, riguardanti la volontà negoziale di gestione della crisi d’impresa, sono momenti unitari che vedono la prevalenza dell’unitarietà dell’interesse di salvataggio del gruppo. Nel gruppo non si confondono le masse passive ed attive, pur se i piani sono unitari e la gestione è unitaria. 17. GRUPPO D’IMPRESE ART. 285 (CONTENUTO DEI PIANI DI GRUPPO) E LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA Il piano di gruppo può riguardare sia una prospettiva liquidatoria sia di continuità. Le 2 prospettive sono sovrapponibili ma con delle caratteristiche. Se si vuole far valere una continuità vi possono essere anche dei casi in cui la continuità è del tutto prevalente e quindi si vuole far valere una volontà di collocazione anzitutto della prospettiva liquidatoria. La liquidazione ha sempre un ruolo secondario e quello che conta è la continuità. Nell’art. 285 si prevede che ha corso un concordato in continuità allorché si confrontano i flussi complessivi derivanti dalla continuazione e i rapporti derivanti dalla liquidazione. Si vedranno i flussi correlati alla continuità e alla liquidazione e in questo confronto si verificherà quali sono le attività prevalenti. I piani possono anche prevedere operazioni infragruppo. Molto spesso vi sono società che hanno un diverso ruolo. Gli effetti delle operazioni di eventuali attivazioni di piani possono essere contestati dai creditori di ciascuna società. C’è la volontà di salvaguardia del gruppo. Questa pluralità di imprese, di massa creditoria impone un’analisi completa che impone di tenere distinti i debiti e crediti delle società. Il procedimento è unitario ma gli effetti sono sempre separati. Nel concordato di gruppo non si può far valere separazione tra ciò che viene in gioco e ciò che invece è preliminare, separato. Il concordato di gruppo non è concordato dei creditori. C’è unità del gruppo ma non unità dei creditori, che rimangono separati. Sulla liquidazione giudiziale di gruppo i principi specifici da ricordare è che non esiste una possibilità di far venir meno l’autonomia delle singole imprese del gruppo. L’insolvenza di gruppo è un coordinamento di queste imprese. Le azioni del curatore della liquidazione giudiziale di gruppo vengono ad essere prioritarie. Le norme successive impongono l’ultimo principio della postergazione dei crediti del gruppo, che si riferisce al momento della rinuncia dei creditori infragruppo a far valere questa possibilità, e rinuncia ad essere sempre soddisfatti dopo gli altri. I principi da ricordare sono quindi: gestione unitaria della procedura, momento unitario di partecipazione preliminare con organi coordinati che tuttavia non può rapportarsi ad alcun esito diverso rispetto alla selezione iniziale (se vi sono dei creditori, questi sono preliminari; dunque non si può far valere un superamento dell’autonomia del gruppo) e postergazione dei crediti del gruppo. La liquidazione coatta amministrativa è la procedura di liquidazione per le banche. Si gestisce il credito bancario con il quale viene in rilievo ogni possibilità di far valere l’insolvenza del gruppo bancario. È simile alla liquidazione giudiziale. È un momento in cui prevale la prospettiva liquidatoria. La prospettiva è eliminativa, ma anche di tutela dei correntisti. Le connotazioni tipiche del procedimento di liquidazione giudiziale sono innanzitutto le volontà di gestire il tutto in modo unitario attraverso un commissario, che coordina le attività liquidatorie con quelle di salvaguardia dei soggetti. Si presuppone l’accertamento dello stato di insolvenza e costituisce il presupposto tecnico e amministrativo. Una volta accertato lo stato di insolvenza (art. 299) è poi possibile passare a verificare la possibilità di esercitare la separazione. Il commissario liquidatore prende in consegna i beni, fa propri tutti i riferimenti e vuole essere colui che argomenta la volontà di raccordare il fine liquidatorio con il fine di paritario soddisfo della parcondicio creditorum. Il commissario esegue ogni attività volta a garantire il più possibile la veridicità, propria di una procedura gestita da un pubblico soggetto. Un comportamento può avere rilevanza penale o civile. Si considerano i rapporti tra liquidazioni giudiziale e misure cautelari penali, queste ultime danno la possibilità di bloccare dei beni in attesa della definizione del giudizio di merito. Il legislatore ha introdotto a chiarimento come si raccordano queste 2 tipologie con le possibili misure penali/civilistiche. Si parla dei sequestri preventivi o conservativi. Il sequestro preventivo mira a prevenire l’aggravarsi di condotte illecite, a fare proprio il momento di blocco della libera disponibilità dei beni che sono frutto del reato. Il sequestro conservativo invece mira a bloccare i beni in funzione di una volontà di fare proprio ciò di cui vi è disponibilità (blocco i beni perché in futuro potrò soddisfarmi). Se è pendente la liquidazione giudiziale non si potrà dare corso al sequestro preventivo. Se è stato ottenuto prima il sequestro e poi è sopravvenuta la liquidazione giudiziale è il curatore che ha il potere di chiedere la revoca del sequestro e il curatore apprende tutti i beni e li mette a disposizione della procedura concorsuale. I beni vengono inglobati nell’attivo fallimentare della liquidazione in vista del riparto. Anche il sequestro conservativo non può essere disposto in pendenza della liquidazione giudiziale. È il curatore che può decidere, al punto che lo stesso diventa legittimato a proporre ogni iniziativa verso il sequestro. Queste norme valgono anche per la liquidazione coatta amministrativa. 18. I REATI PENALI COLLEGATI ALLE FATTISPECIE FALLIMENTARI Si sanzionano, sotto un duplice ordine di considerazione, dei comportamenti. Viene in gioco la possibilità di far valere una responsabilità penale che si somma a quella civile, quindi una responsabilità che accorda il momento penale agli esiti civilistici. Si parla, alla luce che uno stesso comportamento può essere sanzionato in diversi modi, dei reati fallimentari. Primo reato sanzionato è la bancarotta fraudolenta (art. 322)  punisce il soggetto che ha compiuto atti di distrazione o occultamento che si risolvono in una commutazione delle scritture contabili. Sono atti che vedono un momento di rilevante non veridicità del momento comunicativo interno aziendale. Il trattamento sanzionatorio è elevato (3-10 anni). La bancarotta fraudolenta è una sottrazione che è eliminazione di cespiti attivi o simulazione di passivo. Altro discorso è da riservarsi all’art. 323, la bancarotta semplice. Si rilevano comportamenti imprudenti perché non si è usata l’accortezza dovuta, il comportamento dell’imprenditore ha distratto il patrimonio con comportamenti imputabili a negligenza o colpa grave. Sono comunque comportamenti distrattivi e non segnalativi di volontà. È semplice perché non c’è il dolo di approfittamento. È volta ad un ambito punitivo, sanzionatorio di colui che non ha avuto l’accortezza. L’art. 324 evidenzia che i comportamenti discussi non sono causa di bancarotta se tenuti in ambito di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione o nelle procedure di gestione negoziale della crisi. Si è innanzi a una situazione in cui è il contesto in cui l’atto è compiuto che divide le varie situazioni. Meno frequenti ma comunque importanti sono gli altri reati. Il ricorso abusivo al credito (art. 325) è il reato che commettono amministratori, liquidatori, direttori generali quando questi ricorrono continuamente al credito dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza. Caso tipico è il deposito di bilanci falsi richiedendo il mantenimento delle linee di credito iniziali. Vogliono prospettare qualcosa che non c’è e far valere qualcosa che non è confermato. In questo reato le false dichiarazioni sono rese alle banche.
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