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Riassunto Compendio di Procedura Penale CONSO-GREVI, Sintesi del corso di Diritto Processuale Penale

Edizione aggiornata 2020/2021, Vendo riassunto totalmente sostitutivo del compendio Conso-Grevi. Frutto di 3 mesi di duro lavoro passati su una scrivania a riassumere 30 pp. al giorno. Ho superato al 1o appello con voto 30 l'esame. Ho scelto di riassumere interamente il compendio poiché credo che sia un'offesa a noi studenti far studiare su un manuale con 55 righe scritte a caratteri minuscoli una materia già molto complessa. PARTE 1 SU 4 TROVATE LE ALTRE SU DOCSITY. Soddisfatti o rimborsati

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 27/05/2021

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Scarica Riassunto Compendio di Procedura Penale CONSO-GREVI e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! COMPENDIO DI PROCEDURA PENALE - CONSO, GREVI. Breve parentesi sui Modelli Processuali: I due grandi modelli astratti teorici sono: accusatorio (triangolo); inquisitorio (segmento). I parametri che determinano l’uno o l’altro tipo si incentrano sulla minore o maggiore valorizzazione del ruolo riconosciuto a taluno dei soggetti che compongono la triade processuale: giudice, pm, imputato. Sistema accusatorio: immaginiamo un triangolo che vede al vertice il giudice e ai due lati accusa e difesa in posizione contrapposta ma su un piano di parità di facoltà e diritti. Il processo è pubblico sin dall’inizio, si svolge davanti al giudice, spettatore e arbitro imparziale che vigila sul rispetto delle regole processuali. Vi è completa equidistanza dal giudice rispetto ad accusa e difesa. Il giudice non ricerca ne forma la prova ma si limita a valutarla. Le prove sono fornite dall’accusa (organo pubblico pm) e vengono raccolte nella fase pre-processuale in quanto incombe su di essa l’onere probatorio. L’accusato oltre a beneficiare della presunzione di innocenza, ha il diritto di sindacare le prove di accusa soprattutto mediante il cosiddetto contro-interrogatorio. Sistema inquisitorio: immaginiamo un segmento che vede da un lato giudice/accusa, dall’altro la difesa. Il giudice qui assorbe due funzioni facendo capo ad esso la ricerca, acquisizione e valutazione delle prove. È quindi esterno ad una sola delle parti. Il processo è scritto e segreto, mancano pubblicità e oralità. Di fronte al giudice accusatore non è concepibile una parità tra accusa e difesa. Differenze: - Nel rito accusatorio le indagini sono svolte da pm e pg, il giudice ha il solo compito di giudicare; nel rito inquisitorio è il giudice che svolge le indagini più complesse e raccoglie le prove - Nel rito accusatorio le prove si raccolgono nella dialettica e nel dibattimento e non sono utilizzabili le dichiarazioni e gli accertamenti raccolti nelle investigazioni (es. se un teste ha dichiarato nelle indagini di aver riconosciuto un rapinatore, se non ripete ciò in dibattimento non si forma la prova per giungere alla condanna. In ciò consiste il principio di oralità). Nel rito inquisitorio invece le prove si raccolgono nel corso delle indagini senza contraddittorio - Nel rito accusatorio la parità tra accusa e difesa è accentuata, mentre nel sistema inquisitorio non vi è parità fra le due parti, svolgendo il giudice il ruolo di accusa e giudizio. Sistema misto: è un sistema caratterizzato dalla combinazione dei caratteri del sistema accusatorio e inquisitorio nello sforzo di conciliare le esigenze di repressione dei reati (privilegiate nell’inquisitorio) con quelle di libertà dell’accusato (favorite dall’accusatorio). Il sistema in vigore è ispirato al rito accusatorio con alcuni temperamenti, ed è di natura prevalentemente accusatoria. I caratteri del rito accusatorio sono: - Massima semplificazione e celerità nello svolgimento del processo - Metodo orale - Parità accusa e difesa in ogni stato e grado del processo - Garanzie per la libertà del difensore - Garanzie e diritti per l’imputato. È interessante ripercorrere le numerose varianti mano a mano intervenute, individuando chiavi di lettura che meglio possano far cogliere i connotati venuti via via a caratterizzarne l’insieme. 1 CAPITOLO 1: SOGGETTI Premessa: La distanza del codice di procedura penale del 1988, ispirato al modello accusatorio, dal codice previgente, ancorato ad un processo avente come indiscusso baricentro la fase dell’istruzione, si misura anche sul piano sistematico. Una conferma in tal senso si trae dallo stesso libro iniziale del codice, il primo della parte statica (libri I-IV), alla quale si contrappone la parte dinamica (libri V- XI), che si occupa, appunto, del progressivo sviluppo della vicenda processuale a partire dal momento in cui viene acquisita una notizia di reato. Mentre nel codice abrogato il libro I disciplinava anzitutto le azioni, il libro I del codice vigente, relativo ai “soggetti”, si apre con il titolo dedicato al giudice. Ciò mette in risalto la centralità della giurisdizione nell’ambito di un processo concepito essenzialmente come sistema di garanzie. Negli altri sei titoli del libro I vengono presi in considerazione: il pubblico ministero, la polizia giudiziaria, l’imputato, la parte civile con il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, la persona offesa dal reato, il difensore. Restano esclusi dall’elenco i cosiddetti ausiliari del giudice e del pm, ma anche altre figure come il testimone, il perito, il consulente tecnico, i quali forniscono apporti di primaria importanza ai fini della decisione conclusiva del processo. È opportuno distinguere subito tra “soggetto” e “parte”. L’ultima qualifica spetta a chi vanta il diritto ad una decisione giurisdizionale in rapporto ad una pretesa fatta valere nel processo, quindi non spetta alla totalità dei soggetti elencati nel libro I del codice. Bisogna escludere il giudice, visto che il suo ruolo istituzionale esige il requisito della imparzialità. Neppure la polizia giudiziaria, la persona offesa e il difensore assumono la qualifica di parte, che invece compete ai rimanenti soggetti elencati nel libro I. La giurisdizione penale: In accordo con l’articolo 102 comma 1 cost. che attribuisce la funzione giurisdizionale a magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario, l’articolo 1 riserva l’esercizio della giurisdizione penale ai giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario. Ciò significa che solo il giudice, e non qualsiasi magistrato (quindi non il pm) può essere titolare di funzioni giurisdizionali penali. La qualità di giudice si acquisisce con un atto di investitura regolato dalle leggi di ordinamento giudiziario, e il valido esercizio della funzione giurisdizionale è condizionato dalla ritualità dell’investitura. Secondo l’articolo 178 “è sempre prescritta a pena di nullità assoluta l’osservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi”. Non sono invece attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla sua destinazione agli uffici, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici. Questi aspetti concernono la questione inerente alla distribuzione delle cause tra giudici già parimenti legittimati all’esercizio della funzione giurisdizionale. L’assegnazione degli affari è operata dal dirigente dell’ufficio alle singole sezioni e dal presidente della sezione ai singoli collegi seguendo criteri obiettivi e predeterminati. La violazione delle disposizioni concernenti il numero dei giudici necessari per costituire il collegio è sanzionata con nullità assoluta, art. 179. Osservando il comma 3 dell’articolo 33, disposizione connessa alla riforma del Luglio 1997 con la quale il governo è stato delegato a realizzare una più razionale distribuzione delle competenze degli uffici giudiziari, si sottolinea la soppressione dell’ufficio del pretore, compensata dalla possibilità per il tribunale di giudicare a seconda dei casi in due diverse composizioni: in composizione collegiale cioè con 3 componenti, oppure in composizione monocratica. 2 fatto che abbia cagionato la morte di una o più persone, del reato permanente e del delitto tentato. Nel primo caso è parso preferibile radicare la competenza nel luogo in cui è avvenuta l’azione o l’omissione. Nelle altre due ipotesi si è optato per il criterio del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione e per il criterio del luogo in cui è stato compiuto l’ultimo atto diretto a commettere il delitto. Quanto alle regole suppletive occorre rispettare la gerarchia interna risultante dall’articolo 9. È prioritario il criterio del luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione; seguono il criterio della residenza, della dimora, del domicilio dell’imputato, ed infine quello del luogo in cui ha sede l’ufficio del pm che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’articolo 335. Altre deroghe traggono la loro legittimazione dal 210 disposizioni di attuazione, come quella di cui ai reati commessi a bordo di navi ed aeromobili non militari ovvero fuori dal mare o dallo spazio aereo territoriale. Poi in conformità con i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, altre deroghe sono riconducibili a leggi successive alla pubblicazione del codice: come quelle per i reati commessi dal premier o dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni. La cura posta dal legislatore nell’approntare un reticolo di norme dirette all’individuazione del giudice competente, scongiurando i rischi di interventi discrezionali, raggiunge il suo massimo impiego nella definizione della connessione come criterio autonomo di attribuzione di competenza. Una scelta che comporta l’automatico confluire davanti ad un unico giudice di procedimento, riservati in base alle regole sulla competenza per materia e per territorio, a giudici diversi. Quanto alle ipotesi di connessione, l’articolo 12 dispone che si ha connessione di procedimenti: - Se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o in cooperazione tra loro, ovvero se più persone, con condotte indipendenti, hanno determinato l’evento - Se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale) ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso (reato continuato) - Se dei reati per cui si procede taluni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri. In questo ultimo caso non è necessario che l’autore o gli autori del cosiddetto reato-mezzo siano gli stessi del cosiddetto reato-fine, per cui si può prescindere dal requisito dell’identità soggettiva. Anche il criterio per la determinazione del giudice competente nel caso di procedimenti connessi riflette l’esigenza di non concedere spazio a scelte discrezionali. È prioritario il criterio del giudice superiore, dal quale discende che i procedimenti di competenza del tribunale risultano automaticamente attribuiti alla corte d’assise (articolo 15); quando invece ci si muove sul versante della competenza territoriale, coinvolgendo i procedimenti connessi più giudici ugualmente competenti per materia, prevale il giudice competente per il reato più grave o in caso di pari gravità, quello competente per il primo reato. Inoltre vi è la regola che garantisce la connessione anche quando nel caso di concorso di persone o di condotte indipendenti le azioni o le omissioni sono state commesse in luoghi diversi e dal fatto è derivata la morte di una persona: in deroga al criterio generale di cui articolo 8, si attribuisce competenza al giudice del luogo in cui si è verificato l’evento. Nell’ipotesi poi di competenza concorrente tra corte costituzionale e giudice ordinario, prevale la competenza del giudice speciale, mentre nel rapporto tra giudice militare e ordinario prevale la regola opposta. Per i minorenni, la connessione non opera. 5 La competenza funzionale: Il concetto di competenza funzionale fa riferimento alla funzione che diverse figure di giudici svolgono nell’ambito di un medesimo procedimento. Ci si riferisce ai vari gradi che percorre una vicenda processuale. Riferendoci soltanto al settore dei giudici ordinari, partendo dalla suddivisione per gradi, è possibile distinguere tra giudice di pace, tribunale ordinario e corte d’assise (giudici di primo grado), tribunale (in composizione monocratica), corte d’appello e corte d’assise d’appello (giudici di secondo grado con riferimento alle decisioni del giudice di pace, del tribunale, e della corte d’assise), poi corte di cassazione cui è demandato il controllo di legittimità sulle decisioni assunte nei gradi precedenti. Viene poi in rilievo l’articolazione in fasi, a cominciare dalla fase anteriore al giudizio, nella quale si collocano l’attività del giudice per le indagini preliminari e poi quella del giudice per l’udienza preliminare. Seguono la fase del giudizio e quindi la fase dell’esecuzione. Rispetto ad essa vanno distinte le funzioni del giudice di esecuzione da quelle della magistratura di sorveglianza. Le attribuzioni del tribunale: Una volta appurato che in relazione ad un certo reato deve giudicare il tribunale, s’impone un ulteriore passaggio logico che permetta di stabilire se sia richiesta la composizione monocratica ovvero quella collegiale. In questo caso si va nella sottocategoria indicata col termine di “attribuzione”. Avendo come obiettivo una più rigorosa ed efficace utilizzazione delle risorse, la composizione monocratica del tribunale in primo grado è stata eletta come regola base. Vi è stato dunque un ridimensionamento dell’importanza prima attribuita al principio della collegialità. Attualmente il criterio quantitativo consente di devolvere al tribunale collegiale i delitti puniti con la reclusione superiore nel massimo a 10 anni, anche nell’ipotesi del tentativo. Il criterio quantitativo va coordinato con quello qualitativo, che implica deroghe di non trascurabile portata: per un verso, risultano sottratti al tribunale collegiale taluni delitti puniti con la reclusione superiore a dieci anni, e per un altro verso, gli vengono attribuiti reati che in base al suddetto criterio quantitativo, dovrebbero essere giudicati dal tribunale in composizione monocratica. Quanto alle attribuzioni del tribunale in composizione monocratica, vale la regola della complementarietà. Il tribunale monocratico infatti, oltre che sui delitti previsti dal d.p.r. 309/1990, giudica sui reati non attribuiti al tribunale collegiale dall’articolo 33-bis o da altre disposizioni di leggi (33-ter): risultano ad esempio attribuiti al tribunale monocratico i reati di guida in stato di ebbrezza e di guida in stato di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti. Passando all’incidenza di un eventuale vincolo connettivo, il 33-quater dispone che, quando il vincolo riconducibile a taluna delle ipotesi previste dall’articolo 12 intercorre tra procedimenti dei quali alcuni appartengono alla cognizione del tribunale collegiale e altri a quella del tribunale monocratico, si applicano le disposizioni relative al procedimento davanti al giudice collegiale, cui sono attribuiti tutti i procedimenti connessi. L’incidenza della connessione non è circoscritta alla fase dibattimentale ma opera anche in rapporto alle indagini preliminari. La disciplina della riunione e della separazione dei processi: Diversamente dalla connessione, che essendo criterio attributivo di competenza produce i suoi effetti sin dall’inizio del procedimento, la riunione e la separazione sono istituti che operano a partire dal momento in cui, in seguito all’esercizio dell’azione penale, il procedimento si è evoluto in processo. La riunione dei processi produce come risultato la trattazione congiunta di processi in 6 precedenza pendenti davanti a diversi giudici, sezioni dello stesso ufficio giudiziario, preventivamente individuato in base ai normali criterio di competenza. Per la riunione dei processi devono sussistere i seguenti presupposti: - La pendenza davanti al medesimo ufficio giudiziario dei processi da riunire - Uno sviluppo omogeneo di questi ultimi, che devono trovarsi nello stesso stato e grado - Una prognosi negativa circa un possibile ritardo nella definizione delle singole vicende processuali - La sussistenza di uno dei casi tassativamente indicati dalla legge: per esempio quando i processi pendenti siano connessi ai sensi del 12 nonché quando siano relativi ai reati dei quali taluni siano stati commessi in occasione di altri ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza. Da tenere a mente che in sostanza la riunione è atto dovuto quando venga esclusa la sussistenza di un pregiudizio nel ritardo della definizione. Inoltre, se alcuni dei processi pendono davanti alle due diverse composizioni di un medesimo tribunale, viene disposto l’accorpamento in capo al tribunale in composizione collegiale, il quale si pronuncerà su tutte le questioni anche nell’eventualità in cui esse siano oggetto di un successivo provvedimento di separazione. In posizione speculare si colloca l’istituto della separazione di cui articolo 18, che nel primo comma elenca una serie di ipotesi in presenza delle quali il giudice deve scindere un processo cumulativo, tale sin dalla sua nascita, oppure in seguito a riunione disposta. Sono ipotesi accomunate dal fatto che per taluni imputati o talune imputazioni si versa in una situazione di attesa, mentre per altri imputati o per altre imputazioni è possibile l’immediata trattazione. Si deve inoltre procedere alla separazione allorché sia stata disposta la sospensione del procedimento, oppure quando in seguito all’incolpevole assenza in sede dibattimentale di un imputato o di un suo difensore, bisogna rinnovare a favore dell’uno o dell’altro la citazione o l’avviso. Un’ulteriore ipotesi di separazione vi è quando il processo abbia come protagonisti uno o più imputati chiamati a rispondere di reati di elevata gravità, sempre che tali imputati siano prossimi ad essere rimessi in libertà per scadenza dei termini massimi di custodia cautelare. Alla base della separazione ci sono dunque esigenze di celerità, che però soccombono di fronte alle esigenze di accertamento: infatti la separazione è esclusa qualora il giudice ritenga che la riunione sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti. Al di fuori di queste ipotesi, la separazione dei processi può essere anche disposta sulla base di un accordo tra le parti, sempre che il giudice la reputi utile sotto il profilo della speditezza. Il provvedimento utilizzato è sempre quello dell’ordinanza, anche d’ufficio, sentite le parti. I procedimenti di verifica della giurisdizione e della competenza: La disciplina cerca di anticipare il più possibile la risposta definitiva sulla giurisdizione e sulla competenza, oltre che di scongiurare i rischi di regressione di procedimenti giunti in stadi avanzati, evitando le eccezioni tardive. Gli articoli 20 e 21 indicano i momenti in cui può essere sollevata la relativa questione. Quanto al difetto di giurisdizione, ravvisabile sia quando un giudice ordinario si ritiene competente in ordine ad un reato su cui dovrebbe pronunciarsi un giudice speciale (e viceversa), sia quando nessun giudice penale, ordinario, o speciale è fornito della potestà giurisdizionale su una fattispecie, si prevede che lo stesso possa essere rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. Quindi a cominciare dalla fase delle indagini preliminari. Se lo stesso è rilevato nel corso delle indagini preliminari, il giudice provvede con ordinanza e dispone la restituzione degli atti al pm, fermo restando che la sua ordinanza non risolve definitivamente la 7 La questione della violazione delle regole sulle attribuzioni può fiorire anche nel giudizio di appello e in quello di cassazione. Dall’articolo 33-octies si desume che: - Quanto al giudice di appello, qualora lo stesso ritenga che dovesse giudicare il tribunale in composizione collegiale, pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al pm presso il giudice di primo grado, purché l’erronea attribuzione sia stata tempestivamente eccepita ai sensi del 33-quinquies e successivamente denunciata nei motivi di appello. Il giudice di appello pronuncia, invece, nel merito, qualora ritenga che il reato appartenesse alla cognizione del tribunale in composizione monocratica - Quanto alla corte di cassazione, bisogna distinguere tra attribuzione viziata per difetto o per eccesso: nel primo caso, la corte procede come il giudice di appello - sentenza di annullamento e trasmissione degli atti al pm. - nel secondo vale la stessa regola, purché il ricorso riguardi una sentenza inappellabile o si tratti di un ricorso per saltum ai sensi del 569 comma 1. Al di fuori di queste ipotesi, l’errore di attribuzione risulta irrilevante. Riferendoci alle prove acquisite dal giudice che abbia proceduto in seguito ad un’erronea applicazione delle disposizioni sulla composizione monocratica o collegiale del tribunale, in conformità con il 26, il 33-nonies stabilisce che in tal caso sono pienamente utilizzabili. Si precisa inoltre che non è neppure inficiata la validità degli atti compiuti. Accennando alla questione relativa alla inosservanza dei criteri di ripartizione territoriale tra sede principale e relative sezioni distaccate del tribunale, va precisato che la violazione può essere rilevata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ex 163-bis disp. att. Inoltre, il giudice che la consideri sussistente, o che ritenga anche solo non manifestamente infondata la relativa questione, rimette gli atti al presidente del tribunale affinché quest’ultimo si pronunci in proposito con un decreto non motivato e non soggetto a impugnazione. Le cause personali di estromissione del giudice: incompatibilità, astensione e ricusazione: Parliamo di ipotesi in cui il giudice ha l’obbligo di non esercitare la sua funzione giurisdizionale (astensione) e di ipotesi in cui le parti hanno diritto di chiederne l’estromissione (ricusazione). Le cause di incompatibilità sono previste negli articoli 34 e 35 autonomamente e inoltre sono ricomprese nella stessa disciplina delle ipotesi di astensione e ricusazione di cui 36 comma 1. L’esistenza di una situazione di incompatibilità costituisce esclusivamente un motivo di ricusazione, che la parte interessata deve far valere tempestivamente qualora il giudice sospetto non abbia ottemperato all’obbligo di astenersi. Le cause di incompatibilità sono stabilite in parte dalle leggi di ordinamento giudiziario e in parte dal codice di rito. Le prime attengono esclusivamente alla costituzione dell’organo giudicante e prefigurano alcune condizioni dirette ad assicurare che la persona chiamata ad esercitare la funzione giurisdizionale non solo sia, ma anche appaia imparziale. Si prevede ad esempio che non possano far parte della stessa corte o dello stesso tribunale i magistrati legati tra loro da un vincolo di parentela o di affinità fino al secondo grado, o dal vincolo di convivenza o coniugio. Si distingue tra incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugio di cui 35, e incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento. Quest’ultima species è disciplinata dal 34, il quale contempla quattro diversi gruppi di situazioni: - Il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, ne partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento da parte della cassazione o al giudizio per revisione. - In base al 34 comma 2, non può partecipare al giudizio ne il giudice che ha pronunciato il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha 10 emesso decreto penale di condanna, ne quello che ha deciso sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere, pronunciata dal giudice dell’udienza preliminare. La corte costituzionale ha aggiunto anche specifiche situazioni che, implicando a loro volta una penetrante delibazione del merito della controversia, devono ritenersi idonee a compromettere l’imparzialità del giudice. Vengono però escluse situazioni in cui il giudice adotti, nell’ambito della medesima fase processuale, decisioni preordinate al proprio giudizio o incidentali rispetto ad esso. - Il giudice che in un determinato procedimento ha esercitato le funzioni di giudice per le indagini preliminari non può in quello stesso procedimento emettere il decreto penale di condanna, ne partecipare al giudizio; inoltre, è incompatibile alla funzione di giudice dell’udienza preliminare. Tuttavia, viene esclusa la ricorrenza di una situazione di incompatibilità allorché il giudice per le indagini preliminari si sia limitato ad adottare, nell’ambito del medesimo procedimento, taluno dei seguenti provvedimenti, ritenuti (non idonei) cioè inidonei a determinare una situazione di pregiudizio: il provvedimento con cui si autorizza il trasferimento in un luogo esterno di cura dell’indagato sottoposto a custodia cautelare in carcere e quello con cui si autorizza il medesimo ad essere visitato; i provvedimenti relativi ai permessi di colloquio; il provvedimento con cui si accoglie o si rigetta la richiesta di un permesso di uscita dal carcere in presenza di imminente pericolo di vita di un familiare; il provvedimento con cui una parte o un difensore vengono restituiti in un termine stabilito a pena di decadenza; il provvedimento con cui viene dichiarata la latitanza dell’indagato. - Non può, infine, esercitare l’ufficio di giudice in un determinato procedimento chi, in quello stesso procedimento, ha esercitato funzioni di pm o ha svolto atti di polizia giudiziaria ovvero un altro ruolo idoneo a comprometterne l’imparzialità. È incompatibile anche chi ha proposto la notizia di reato. Per quanto concerne le cause di astensione e di ricusazione, esse sono disciplinate unitariamente nella disposizione relativa all’astensione di cui 36. Non vi è totale coincidenza: non costituisce, infatti, motivo di ricusazione l’ipotesi in cui sussistono non meglio specificate gravi ragioni di convenienza, e, viceversa, non costituisce motivo di astensione la manifestazione indebita da parte del giudice, nell’esercizio delle sue funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, del proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione. Per il resto tutti i motivi sono comuni. Il catalogo di cui 36 e 37 è tassativo ed i casi considerati riguardano in linea generale i rapporti del giudice con le parti ovvero con la situazione dedotta in giudizio. Ha l’obbligo di astenersi (e può anche quindi essere ricusato dalle parti) il giudice che abbia interesse nel procedimenti; che sia tutore curatore procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero che sia prossimo congiunto del difensore di una delle parti; che abbia dato consigli o manifestato suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie; che sia in rapporto di grave inimicizia con una delle parti private. È ulteriormente previsto l’obbligo di astensione quando alcuno dei prossimi congiunti del giudice o del coniuge è offeso, danneggiato dal reato o parte privata; quando un prossimo congiunto svolge o ha svolto nello stesso procedimento funzioni di pm. Dal punto di vista del procedimento, la divaricazione tra astensione e ricusazione è marcata: mentre per la prima è prevista la procedura semplificata di cui articolo 36 comma 3 (la dichiarazione di astensione è presentata al presidente della corte o del tribunale che decide con ordinanza senza formalità di procedura), per la ricusazione si è in presenza di un impianto normativo che persegue un triplice obiettivo: 11 - Accentuare il carattere giurisdizionale della procedura incidentale - Escludere un’automatica sospensione dell’attività processuale in seguito alla semplice presentazione della domanda di ricusazione - Assicurare criteri oggettivi per l’individuazione del giudice che sostituisce quello ricusato. Il procedimento di ricusazione inizia con la presentazione della dichiarazione nella cancelleria del giudice competente e con il deposito di una copia di questa nella cancelleria del giudice ricusato. Da li scatta il divieto per il giudice ricusato di pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza di inammissibilità o di rigetto della dichiarazione stessa. Articolo 38 fissa termini e modalità, a pena di inammissibilità. Il 40 indica gli organi competenti a decidere (ad esempio per ricusazione di un giudice del tribunale, la corte d’appello). Nell’intento di scoraggiare un uso dilatorio dell’istituto il legislatore ha potenziato la funzione di filtro della dichiarazione di inammissibilità: la corte, competente a decidere sulla ricusazione, pronuncia infatti ordinanza d’inammissibilità, oltre che per mancanza di legittimazione soggettiva e per inosservanza di forme e termini, anche per manifesta infondatezza dei motivi addotti. La decisione consegue ad una procedura senza avvisi alle parti e nell’assenza di contraddittorio. È previsto però un controllo successivo, mediante ricorso per cassazione. La cassazione deciderà in camera di consiglio, ai sensi del 611. Superata la fase dell’ammissibilità, la corte decide, in camera di consiglio, sul merito della ricusazione con le forme prevista dal 127, dopo aver assunto le necessarie informazioni. La stessa corte può anche disporre, con ordinanza, che il giudice ricusato sospenda temporaneamente ogni attività processuale o si limiti al compimento degli atti urgenti. Grazie al rinvio di cui 127, si afferma la ricorribilità in cassazione dell’ordinanza che si pronuncia sul merito. Quanto agli effetti della dichiarazione di ricusazione, la semplice presentazione della domanda non comporta per il giudice ricusato alcuna limitazione di poteri nello svolgimento dei compiti istituzionali, ne tanto meno l’insorgere di un obbligo di astensione. L’unico divieto è che non gli è consentito pronunciare, ne concorrere a pronunciare, sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione. L’accoglimento della dichiarazione di astensione o di ricusazione segna un importante punto di svolta. A tale momento si ricollega il potere del giudice decidente di disporre la conservazione di efficacia degli atti compiuti dal giudice astenutosi o ricusato, e inoltre un effetto automatico di divieto assoluto, per tale giudice, di compiere qualsiasi atto del procedimento. Qualora nel provvedimento che accoglie la richiesta di astensione o di ricusazione manchi una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia, gli atti precedentemente compiuti dal giudice astenutosi o ricusato devono considerarsi inefficaci. Inoltre, ovviamente, alla pronuncia di accoglimento consegue la sostituzione del giudice con altro magistrato dello stesso ufficio designato secondo le leggi di ordinamento giudiziario. Tutte le ordinanze che si pronunciano sul merito, emesse dal giudice competente a decidere sulla ricusazione, sono immediatamente eseguibili. Articolo 127, infatti, stabilisce una deroga espressa al principio dell’effetto sospensivo dell’impugnazione per tutti i provvedimenti emessi in camera di consiglio, a meno che il giudice non disponga diversamente. 12 inammissibile, provenga da un altro imputato del medesimo processo o di un processo da esso separato. Resta da precisare che invece la richiesta dichiarata inammissibile per motivi diversi dalla manifesta infondatezza può essere sempre riproposta. La posizione di parte del pubblico ministero e la sua funzione tipica: Il pubblico ministero, pur rivestendo la qualità di parte nel processo, anzi fin dalla fase delle indagini preliminari, costituisce al tempo stesso un organo dell’apparato statale incaricato di vegliare “all’osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia”; nonché tra l’altro di iniziare ed esercitare l’azione penale (art. 73 e 74 ord. giud.) e infine, di far eseguire i giudicati (art. 78 ord. giud.). Da qui la questione circa il suo ruolo istituzionale, secondo l’antica concezione napoleonica di “rappresentante del potere esecutivo presso gli organi giurisdizionali”, oggi non più valida (vedi art. 69 ord. giud.) per il quale il pm esercita sotto la vigilanza (e non più sotto la direzione) del Ministro della giustizia, le funzioni che la legge gli attribuisce. Il pm non è solo affrancato dal potere esecutivo, ma gode di una posizione di indipendenza (cosiddetta esterna) rispetto a tutti gli altri poteri costituzionali. Un peso riveste poi il canone della obbligatorietà dell’azione penale, articolo 112 cost. Secondo l’indirizzo della corte costituzionale questo principio, risolvendosi nella proiezione processuale del diritto di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale, postula l’indipendenza dagli altri poteri dell’organo a cui l’azione stessa è demandata, tanto più che esso non fa valere interessi particolari ma agisce nell’interesse all’osservanza della legge. Allo stato, il pm risponde del suo operato solo di fronte alla legge, godendo delle stesse garanzie attribuite al giudice circa il reclutamento, l’inamovibilità dalla sede e la soggezione al potere di controllo del C.S.M. Sul piano ordinamentale, i magistrati del pm sono accomunati ai giudizi dei tribunali e delle corti nell’appartenenze all”ordine giudiziario” (art. 4 ord. giud.). Il conferimento delle funzioni giudicanti e requirenti avviene all’esito di un concorso unitario. Il passaggio dalle prime alle seconde e viceversa è disposto a seguito di concorso, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un altro giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal C.S.M su parere del consiglio giudiziario. Tale passaggio non è pero consentito all’interno dello stesso distretto o di un altro distretto della stessa regione. L’aspirazione in senso accusatorio del sistema e la parità tra accusa e difesa trovano un primo sviluppo nel titolo II del libro I dedicato al pm colto quale soggetto del procedimento (art. 50, 54- quater). Vi si evidenzia la natura di parte del titolare dell’accusa. Il legislatore, con l’inserimento della disciplina nel titolo II dell’articolo 50 (dedicato all’azione penale), ha voluto segnalare subito la funzione davvero tipica del pubblico ministero, che non può essere affidata a giudice senza intaccarne il ruolo di organo tendenzialmente passivo reclamato dal principio di imparzialità (articolo 101 comma 2 cost). L’articolo 50 conferisce, prima di tutto, la titolarità dell’azione penale al pm. La norma poi che ne sancisce il monopolio è il 231 disp. att. Pertanto, nel sistema codicistico non trova spazio ne l’azione penale privata, conferita cioè alla persona offesa dal reato, né l’azione penale popolare, attribuita cioè al quisque de populo (cittadino medio). L’articolo 50 enuncia poi il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, in piena aderenza al 112 cost: il doveroso esercizio dell’azione rinviene quale suo unico limita la richiesta di archiviazione. La lettura coordinata con l’articolo 405, che elenca gli atti tipici di esercizio dell’azione penale, contenenti tutti la formulazione dell’imputazione, permette di individuare il momento di inizio del processo penale in senso proprio, riservando la fase delle indagini preliminari al mero procedimento. Al contempo, la lettura coordinata con l’articolo 60, dedicato all’assunzione della qualità di imputato, chiarisce come quest’ultima discenda unicamente da un atto, la formulazione 15 dell’imputazione, che segna l’avvenuto esercizio dell’azione penale. A sua volta, l’articolo 50 comma 2 ribadisce il tradizionale principio dell’officilità dell’azione penale, circoscrivendo l’efficacia delle condizioni di procedibilità alle figure ivi richiamate. L’elenco cosi fornito (querela, richiesta, istanza, autorizzazione a procedere) non è pero esaustivo. Suona pertanto più adeguata la formula aperta adottata dal 345 comma 2: sono, ad esempio, generalmente ritenute condizioni di procedibilità la presenza del reo nel territorio dello Stato per i delitti comuni del cittadino e dello straniero commessi all’estero (art 10 c.p.), ovvero l’assenza di una sentenza o di un decreto penale irrevocabili pronunciati nei confronti della medesima persona per il medesimo fatto (articolo 649). Il 3 comma esprime poi il principio della irretrattabilità dell’azione penale: questa, una volta esercitata, esce dalla sfera del suo autore e comporta l’insorgere di un dovere decisorio in capo al giudice: ciò equivale a dire che l’oggetto del processo penale è indisponibile e che esso si può chiudere solo con l’emissione di una sentenza o di un atto equivalente (come è il decreto penale di condanna). Naturale, a tal punto, sottoporre le cause di sospensione o di interruzione dell’azione penale al principio di tassatività (divieto di ogni integrazione analogica.). la legge 67/2014 ha immesso nel sistema altri due casi di sospensione del processo: - Il primo si determina quando non sia certa o non sia, ad ogni modo, presumibile la conoscenza del processo da parte dell’imputato. Il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo nei confronti dell’imputato assente. Il provvedimento ha una durata annuale dopo dice valgono cadenze analoghe a quelle impresse alla sospensione del processo per incapacità dell’imputato di parteciparvi coscientemente, sempre che l’infermità di mente non assuma carattere irreversibile. - Il secondo caso consegue all’applicazione dell’istituto della messa alla prova per i reati puniti con pena pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni. Qui l’esito positivo di questa sorta di probation processuale genera l’estinzione del reato. Il sistema conosce anche cause di sospensione del procedimento inteso come fase delle indagini preliminari. Accanto a quella obbligatoria dopo l’accertata incapacità della persona sottoposta alle indagini di partecipare coscientemente al procedimento, sempre che l’infermità mentale non presenti carattere irreversibile (art 71), si è pure prevista la sospensione conseguente all’insorgere di indizi del reato di false informazioni rese al pm (art 371-bis) o di false dichiarazioni al difensore. Analoga ipotesi di sospensione deriva poi dal 162-ter c.p. con riguardo all’estinzione del reato per condotte riparatorie (legge 103/2017). Uffici del pubblico ministero distrettuale: Il proposito di accrescere l’efficienza degli apparati giudiziari nei confronti di taluni gravissimi reati di criminalità organizzata di stampo mafioso aveva suggerito di introdurre deroghe destinate ad incidere sulla divisione del lavoro e sui rapporti tra gli uffici del pm, cosi da creare una sorta di procedimento speciale per tali reati (cosiddetto doppio binario). Questa strada il legislatore l’ha percorsa più volte per la categoria dei reati di criminalità organizzata. Per quel che qui importa, la disciplina speciale concernente il pm opera nei procedimenti di cui al 51 comma 3-bis, cioè quelli relativi ai delitti consumato o tentati di associazione per delinquere aggravata, di associazione per delinquere allo scopo di commettere taluno dei delitti di cui al 12 commi 3 e 3-ter t.u. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, nonché di quelli ex art. 12 comma 1 del medesimo t.u., di associazione per delinquere allo scopo di commettere delitti di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli o disegni, di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, dei delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù, di acquisto di schiavi, di scambio elettorale 16 politico-mafioso, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, nonché associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Il legislatore ha incrementato poi le fattispecie per le quali è appunto prevista la legittimazione dell’ufficio del pm presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, sganciandola dall’originario riferimento esclusivo alla criminalità organizzata (come sopra). Dapprima la manovra ha investito i delitti con finalità di terrorismo, poi è stata estesa ad una serie di reati in tema di criminalità informatica. Si tratta cioè dei delitti di istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia, di prostituzione minorile, di pornografia minorile, di detenzione di materiale pornografico, di adescamento di minorenni, di installazione di apparecchiature atte ad intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche, di danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici, di frode informatica o danneggiamento di sistemi informatici o telematici. Per tutti i reati tassativamente indicati dal 51 commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies le funzioni di pm nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono attribuite all’ufficio istituito presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello nel cui ambito ha sede il giudice competente. Inoltre il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto costituisce, sempre nell’ambito del suo ufficio, una direzione distrettuale antimafia (Dda) per la trattazione dei soli procedimenti relativi ai reati indicati nel 51 comma 3-bis, designando i magistrati che devono farne parte per un tempo non inferiore a 2 anni. Lo stesso procuratore distrettuale è preposto all’attività della direzione e cura che i magistrati addetti ottemperino all’obbligo di assicurare la completezza e la tempestività della reciproca informazione sull’andamento delle indagini. Salvo casi eccezionali, vengono designati i magistrati addetti alla direzione. Su richiesta del procuratore distrettuale, il procuratore generale presso la corte d’appello, per giustificati motivi, può disporre che le funzioni di pm per il dibattimento siano esercitate da un magistrato designato dal procuratore della Repubblica presso il giudice competente. La concentrazione dell’attività investigativa presso le direzioni distrettuali accresce il grado di efficienza del sistema non solo per la specializzazione dei magistrati addetti ma pure per la conduzione, ab origine unitaria all’interno dello stesso distretto, delle indagini preliminari. Tutto ciò non esclude che vi siano contrasti eventuali, positivi o negativi, tra i diversi uffici del pm sulla relativa legittimazione a procedere. Il 54-ter muove dalle consuete due ipotesi: - Se il contrasto si verifica tra diverse direzioni distrettuali, la risoluzione è affidata al procuratore generale presso la corte di cassazione; ma al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo è demandata, in virtù della sua sfera di cognizione privilegiata, una funzione consultiva. - Se invece il contrasto insorge all’interno del medesimo distretto, il compito tocca al procuratore generale presso la corte d’appello. Diversa è invece la collocazione ordinamentale della procura (direzione) nazionale antimafia, istituita nell’ambito della procura generale presso al corte di cassazione ed ora denominata direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Alla direzione sono preposti un magistrato con funzioni di procuratore nazionale, e ora due magistrati con funzioni di procuratore aggiunto, nonché, in qualità di sostituti, magistrati (in numero minimo 20) che abbiano conseguito la terza valutazione di professionalità. Tutti i magistrati sono scelti tra coloro che hanno svolto funzioni di pm per almeno un decennio e che abbiano specifiche attitudini, capacità organizzative ed esperienze nella trattazione di procedimenti in materia di criminalità organizzata e terroristica. L’incarico di procuratore nazionale e aggiunto ha durata 4 anni, rinnovabile una volta max. Dato che al 17 dell’arma dei carabinieri e del corpo della guardia di finanza, come per esempio il reparto investigazioni scientifiche (Ris). Inoltre in determinate regioni e per particolari esigenze possono essere costituite le strutture predette in servizi interforze, come l’unità antiterrorismo per le esigenze derivanti da indagini su delitti di terrorismo di rilevante gravità. In sede attuativa è stata collocata la regola secondo la quale fanno parte dei servizi tutti gli uffici e le unità cui, dalle rispettive amministrazioni o dagli organismi previsti dalla legge, sono affidate, in via prioritaria e continuativa, le funzioni di polizia giudiziaria. Lo stesso articolo 12 prevede che siano comunicati periodicamente al procuratore della Repubblica il nome e il grado degli ufficiali che dirigono i servizi di polizia giudiziaria, in modo da individuare con certezza e tempestività i responsabili dei servizi. Essendo la destinazione dei capi dei servizi demandata in via esclusiva ai dirigenti degli enti di appartenenza, anche da questo punto di vista si avverte il permanere di uno sbilanciamento tra i poteri di gestione conferiti all’autorità amministrativa rispetto a quelli propri dell’autorità giudiziaria. Il grado massimo di dipendenza organizzativa e funzionale dall’autorità giudiziaria si coglie in rapporto alla seconda struttura, cioè alle sezioni di polizia giudiziaria. Esse sono istituite unicamente presso ogni procura della Repubblica al fine di garantire uno stretto rapporto con l’organo che dirige, per regola, le indagini preliminari (327) e di scongiurare una proliferazione che avrebbe finito per comprometterne il livello di efficienza. Le sezioni sono composte da ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria appartenenti alla polizia di Stato, all’arma dei carabinieri ed alla guardia di finanza. Il personale delle sezioni non deve essere inferiore al doppio dei magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale e viene stabilito in due terzi il rapporto numerico tra ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria. Al grado minimo di dipendenza sono posti (quale terza struttura) i restanti ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria tenuti per legge a compiere indagini a seguito di una notizia di reato. I profili organizzativi sono demandati agli enti di appartenenza, data la struttura eterogenea. Il profilo di dipendenza è impostato dal 58 con riguardo al rapporto che intercorre tra l’autorità giudiziaria e gli organi di polizia giudiziaria. Dal sistema si ricava che la disponibilità è conferita al magistrato in quanto titolare delle indagini preliminari o del processo, benché data l’organizzazione verticistica tipica dell’ufficio del pm, al procuratore della Repubblica sia sempre consentito sostituirsi al magistrato designato per le indagini preliminari nell’impartire ordini alla polizia giudiziaria. La regola per cui ogni procura della Repubblica dispone della relativa sezione evidenzia la natura privilegiata del legame instaurato tra chi dirige le indagini ed il personale di polizia giudiziaria appartenente alla rispettiva sezione. In questa sola fattispecie la disponibilità da parte del singolo magistrato, oltre che diretta, può dirsi anche immediata, non essendo sottoposta ne al filtro dei capi dell’organizzazione della pg ne a quello del dirigente dell’ufficio del pm. Inoltre presso alcune procure, il personale applicato alle sezioni è assegnato in via continuativa ed esclusiva ad un singolo magistrato del pm, risultandone ancora più accentuato il grado della dipendenza funzionale. Le attività di pg per i giudici del distretto ivi compreso il giudice per le indagini preliminari, sono svolte dalle sezioni istituite presso le corrispondenti procure della Repubblica: qui la disponibilità non è immediata, come esplicitano sia il 58 comma 2 sia il 131, laddove prevede che il giudice, ancorché ai fini dell’esercizio dei poteri coercitivi, possa chiedere l’intervento della polizia giudiziaria. Una disponibilità di natura meno intensa è attribuita infine a qualsiasi autorità giudiziaria nei confronti delle sezioni, dei servizi e dei restanti organi di polizia giudiziaria. 20 I rapporti di subordinazione: La diffusa convinzione che la dipendenza funzionale della pg dall’autorità giudiziaria risulterebbe priva di una qualche effettività se non fosse accompagnata da forme di dipendenza organizzativa ha trovato nel sistema uno spazio di notevole rilevanza nella direzione attuativa del 109 cost. Benché gli ufficiali e gli agenti di pg restino sempre subordinati, in via di principio, agli enti amministrativi di appartenenza, l’autorità giudiziaria risulta anch’essa investita di una serie di poteri di natura tipicamente gerarchica. L’entità di tali poteri segna il reale livello della dipendenza funzionale. Il 59 costruisce il rapporto di subordinazione anche qui con riguardo alla tipologia dell’organizzazione della pg. Le sezioni, considerate quali unità organiche, si pongono in un rapporto di subordinazione nei confronti del procuratore della Repubblica che dirige l’ufficio presso cui esse sono istituite (59). Il disegno di evitare interferenze con l’amministrazione di appartenenza è perfezionato dal divieto di distogliere gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria dalla loro attività se non per disposizione del magistrato dal quale dipendono. Il riferimento all’attività di pg dimostra come destinatari di un simile divieto siano le singole amministrazioni e non i magistrati che possono avvalersi del personale delle sezioni, tanto che ne abbiano già una propria, quanto che non l’abbiano. L’esclusiva destinazione a compiti di pg può essere derogata solo in casi eccezionali o per necessità di istruzione o di addestramento (10 comma 3 disp. att.). Anche in simili ipotesi è sempre necessario il previo consenso del capo dell’ufficio della procura presso il quale la sezione è istituita. Nei confronti dei servizi il rapporto di subordinazione si attenua nel senso che gli ordini dell’autorità giudiziaria sono mediati dalle gerarchie amministrative. Pertanto la responsabilità personale investe unicamente l’ufficiale preposto al servizio. Ne sono oggetto l’adeguata organizzazione del servizio, la sorveglianza sullo svolgimento delle attività di pg ecc. Trattandosi di responsabilità per fatto proprio, la condotta degli altri ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria appartenenti al servizio la quale contrasti con i rispettivi doveri funzionali è invece valutata in sede disciplinare e eventualmente penale. Dal punto di vista del potere disciplinare la relativa responsabilità si pone nei soli confronti del procuratore della Repubblica presso il tribunale. Il rapporto di subordinazione è ulteriormente rafforzato dall’obbligo in capo alle singole amministrazioni di ottenere il consenso del procuratore della Repubblica presso il tribunale o del procuratore generale presso la corte d’appello per allontanare, anche provvisoriamente, dalla sede od assegnare ad altri uffici i dirigenti dei servizi e di vincolare altresì le promozioni dei dirigenti degli uffici al parere favorevole dei magistrati predetti. In ordine al profilo disciplinare, alcune singole fattispecie di illecito con relative sanzioni sono per esempio la grave infrazione consistente nel dare consigli sulla scelta del difensore di fiducia. L’imputato e la persona sottoposta alle indagini: L’individuazione del momento in cui taluno assume la qualità di imputato e quindi di parte in senso stretto discende dalla volontà di creare un rigido spartiacque tra la fase delle indagini preliminari (il procedimento) e quella successiva all’esercizio dell’azione penale (il processo vero e proprio). Nella prima fase, l’attribuzione di un reato (imputazione preliminare, ovvero ipotesi di imputazione), sebbene emergente ad esempio dall’adozione di una misura restrittiva della libertà personale, presenta un carattere precario connaturato allo stato fluido delle indagini; in sede processuale invece, superato il dubbio circa la non infondatezza della notizia di reato, l’addebito si cristallizza nella formulazione dell’imputazione che a sua volta si risolve nella richiesta dell’indefettibile accertamento giurisdizionale. 21 Facendo coincidere l’assunzione della qualità di imputato con l’atto che contiene la formale individuazione della persona a cui un determinato fatto storico penalmente rilevante è attribuito, e quindi con l’avvenuto esercizio dell’azione penale, ai sensi del 405 sicché senza imputato non c’è processo, l’articolo 60 enumera gli atti tipici dai quali tale assunzione scaturisce. Alcuni si configurano quali domande dell’organo dell’accusa, come le richieste di rinvio a giudizio (suscettibile poi di sfociare nel giudizio abbreviato), di giudizio immediato e di decreto penale di condanna. Altri sono il prodotto di un incontro di volontà tra le parti, come la richiesta di applicazione della pena formulata o il consenso prestato dal pm nel corso delle indagini preliminari (447). Altri ancora assumono la veste di atti di impulso: tali il decreto di citazione diretta nel giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica emesso dal pm (550), o nel giudizio direttissimo la contestazione orale dell’imputazione in dibattimento o il decreto di citazione a giudizio se l’imputato è libero (451 e 450). All’elenco codicistico sono almeno da aggiungere sia la contestazione del reato connesso o del fatto nuovo nell’udienza preliminare (423) o nel dibattimento (517, 518), sia la formulazione coatta dell’imputazione allorquando la richiesta di archiviazione non sia stata accolta, neppure in seconda battuta, dal giudice per le indagini preliminari (409). Da ultimo va considerata l’ipotesi del 464-ter comma 2, cioè richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari, che assume cadenze analoghe a quanto appena detto a proposito dell’applicazione della pena su richiesta delle parti. Il consenso prestato dal pm alla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, presentata nel corso delle indagini preliminari dalla persona sottoposta alle indagini, concreta anch’esso un atto di esercizio dell’azione penale anche se il legislatore ha dimenticato di menzionarlo nel 60 comma 1. In un sistema in cui l’azione penale è irretrattabile (50 comma 3), la perdita della qualità di imputato può derivare solo da una sentenze o da un provvedimento ad essa assimilabile. L’articolo 60 comma 2 fornisce la relativa casistica (sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione, sentenza di proscioglimento o di condanna irrevocabili, decreto penale divenuto esecutivo) da integrarsi con l’ordinanza che dichiara l’inammissibilità dell’impugnazione (591), nonché con le sentenze che dichiarano il difetto di giurisdizione (20 comma 2) o di competenza (22 comma 3) in quanto importano la trasmissione degli atti al pm presso il giudice ritenuto competente. Per contro ai sensi del 60 comma 3 la qualità di imputato risorge per effetto della revoca della sentenza di non luogo a procedere o dell’emissione del decreto di citazione a dibattimento per il giudizio di revisione, essendo la relativa richiesta apparsa ammissibile e non manifestamente infondata (636), ma in margine al primo caso bisogna introdurre una distinzione. Il prosciolto infatti riacquista la qualità di imputato con l’ordinanza che fissa l’udienza preliminare allorché il pm abbia richiesto il rinvio a giudizio, essendo già state acquisite le nuove fonti di prova (436); se invece le nuove fonti debbano essere ancora acquisite, l’ordinanza di riapertura delle indagini non produce il medesimo effetto formale. Il prosciolto riassumerà in tal caso la qualità di imputato unicamente allorquando, a seguito delle indagini espletate, il pm provveda a formulare l’imputazione (436). La casistica codicistica va ora integrata con la rescissione del giudicato ex articolo 629-bis. Il mezzo straordinario di impugnazione scatta nel caso in cui sia stata emessa una sentenza, di condanna ovvero applicativa di una misura di sicurezza, passata in giudicato e pronunciata all’esito 22 Il comune presupposto è che emergano indizi di reità a carico di chi non è ancora imputato o persona sottoposta alle indagini. Il 63 quindi viene in gioco nei confronti di chi abbia già commesso il reato sebbene ciò fosse ignorato dall’autorità procedente, e non già di chi ponga in essere il reato mediante le stesse dichiarazioni che sta rendendo: si pensi ad una falsa testimonianza o ad una frase calunniosa proferita sempre nello stesso contesto testimoniale. Profilatisi gli indizi, si determinano in capo all’autorità procedente tre obblighi distinti: - Anzitutto vige l’obbligo di interrompere l’esame, come pure l’eventuale assunzione di informazioni. La durata della pausa si adegua alle necessità per la nomina del difensore, potrà poi seguirne l’interrogatorio del pm o l’assunzione di sommarie informazioni ex 350 da parte della pg - Inoltre, l’autorità procedente deve avvertire la persona che potranno essere svolte indagini nei suoi confronti per effetto della mutata veste processuale. (Le dichiarazioni indizianti sono magari rese di fronte alla pg o ai giudici, che saranno tenuti a trasmetterle al pm, titolare delle indagini). Poiché il 63 non contempla l’obbligo di avvertire l’indiziato che le sue dichiarazioni potranno essere sempre utilizzate nei suoi confronti cosi come prevede invece il 64 comma 3, il soggetto non è messo sull’avviso circa gli effetti sfavorevoli che potrebbero scaturire da ulteriori dichiarazioni rese prima dell’inizio dell’interrogatorio o delle sommarie informazioni ex 350, nei cui preamboli è dato avvertimento della facoltà di non rispondere (64, comma 3) - Infine, l’obbligo di invitare la persona che ha rilasciato le dichiarazioni indizianti a nominare un difensore, che accentua il divario rispetto a coloro ai quali il fatto è attribuito da una comune notizia di reato. Nei confronti di costoro l’invito è formulato, di regola, nell’informazione di garanzia, da inviarsi pero solo a partire dal primo atto cui il difensore ha diritto di assistere (369). La disciplina del 63 si perfezione con il divieto di utilizzare contro la persona auto-indiziatasi, le dichiarazioni rese prima dell’avvertimento. La norma vuole tutelare la libertà di auto determinazione di chi, se fosse consapevole del proprio status, avrebbe ben potuto esercitare il diritto al silenzio e non rilasciare dichiarazioni a se pregiudizievoli. L’interrogatorio: Il sistema distingue in maniera netta l’esame dell’imputato dall’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini e dell’imputato stesso, ancorché la corte costituzionale (sentenza 191/2003) abbia osservato che i due atti appartengono ad un medesimo genus. Date le loro rispettive funzioni, il primo è collocato tra i mezzi di prova, il secondo è disciplinato dagli articolo 64 e 65, nonché, per aspetti specifici correlati alla progressione del rito, da altre disposizioni, tutte naturalmente riferite a contesti diversi dall’udienza dibattimentale. Nella fase delle indagini preliminari, il pm procede all’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale (294), dell’arrestato o del fermato (388), e anche tramite delega alla pg (370), di chi si trova a piede libero mediante invito a presentarsi (375), ma se la persona non vi ottempera, l’accompagnamento coattivo è disponibile solo a seguito di autorizzazione del giudice (376). Il titolare delle indagini è libero di scegliere il momento in cui assumere l’atto, salvo che si tratti di una persona sottoposta a custodia cautelare: in tal caso l’interrogatorio del giudice deve precedere quello del pm (294 comma 6). Il titolare delle indagini è libero nella sua strategia di non procedervi nel corso delle indagini preliminari tanto che la richiesta di archiviazione può ben essere formulata inaudita altera parte. Tuttavia ai sensi del 415-bis il pm ove non intenda formulare richiesta di archiviazione è chiamato a notificare prima della scadenza del termine di durata delle indagini preliminari, un avviso di conclusione delle medesime indirizzandolo alla persona sottoposta alle indagini ed al difensore. 25 Tale avviso contiene l’avvertimento che l’indagato ha facoltà entro 20 giorni di presentarsi per fare dichiarazioni o chiedere di essere interrogato. Quindi non solo il pm deve procedere all’interrogatorio se il soggetto lo richiede, ma all’inosservanza della prescrizione è ricollegata una nullità della richiesta di rinvio a giudizio (416), o del decreto di citazione a giudizio del pm (552). Infine, il titolare dell’accusa, se vuole inscenare il giudizio immediato secondo il 453, deve procedere all’interrogatorio sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova o comunque deve averlo disposto ex 375 comma 3, a meno che la persona sottoposta alle indagini non sia comparsa a causa di un legittimo impedimento, ovvero sia risultata irreperibile. Nella fase in discorso, essendo il giudice per le indagini preliminari privo di poteri ufficiosi, il relativo interrogatorio si atteggia come attività sempre legislativamente doverosa. Dal punto di vista funzionale, all’interrogatorio condotto dal pm si suole attribuire un prevalente carattere investigativo perché finalizzato alle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale (326), mentre a quello condotto dal giudice si suole ricollegare un prevalente significato di controllo e di garanzia. Dal punto di vista delle modalità, l’interrogatorio è disciplinato in modo da assicurarne la natura di strumento di difesa. Quanto all’assistenza tecnica, un dato comune è rappresentato dal diritto del difensore di essere, anche in termini brevi, avvisato del compimento dell’atto cosi da potervi sempre assistere: anzi a volte la sua presenza diviene condizione di validità dell’atto perché la legge impone ciò (294) o nel contesto dell’udienza di convalida o in quella preliminare. Quanto alla difesa personale, il 64 e 65 modellano l’interrogatorio in maniera idonea a garantire una partecipazione libera e cosciente da parte del soggetto. L’interrogatorio si svolge nell’istituto penitenziario in cui si trova l’arrestato, il fermato o l’imputato in detenzione. Il giudice può disporre che il soggetto sia trasferito davanti a sé, con decreto motivato. Il 64 comma 1 stabilisce che la persona assoggettata al regime di custodia cautelare o detenuta per altra causa, intervenga libera nell’interrogatorio, salve le cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenze. Cosi facendo pone una regola di protezione della personalità correlata anche ad un’esigenza di economia processuale allorché una persona in stato di arresto o di detenzione domiciliare debba comparire davanti all’autorità giudiziaria. Il comma 2 esplicita il principio per cui nel corso dell’interrogatorio non possono essere impiegati metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare le capacità mnemoniche o valutative (neanche col consenso della persona interrogata). Si tratta di un divieto indisponibile. L’interrogatorio è sede di dichiarazioni liberamente prestate in assenza di ogni condizionamento psicologico. In questo quadro si colloca il nucleo essenziale del diritto al silenzio della persona sottoposta ad interrogatorio. Prima che inizi l’interrogatorio vero e proprio scatta per l’organo procedente l’obbligo di rivolgere alla persona interrogata un triplice avvertimento ai sensi del 64 comma 3: - Il soggetto deve essere edotto che le dichiarazioni che renderà potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti - Deve essere avvertito che, fermo restando il 66 comma 1, circa l’obbligo di fornire le proprie generalità, gli compete la facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma che in ogni caso il procedimento proseguirà il suo corso. All’omissione di queste prescrizioni è collegata la inutilizzabilità delle dichiarazioni eventualmente rese, tanto nei confronti dell’interrogato quando nei confronti dei terzi (64 comma 3-bis) 26 - Deve essere avvertito che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone. Il 64 comma 3-bis assolve anche il compito di dettare i presupposti da cui scaturiscono gli obblighi testimoniali in capo all’imputato. Il 197-bis comma 2 subordina infatti l’ammissibilità della testimonianza assistita dell’imputato alla circostanza che si sia verificato il caso previsto dal 64 comma 3 lettera c. Il d.lgs. 101/2014, impone ora di somministrare l’avviso della facoltà di non rispondere subito dopo l’esecuzione delle più severe restrizioni della libertà personale. L’avviso in questione mostra di tener conto della condizione di stress in cui versa il soggetto al momento dell’arresto o del fermo tale da spingerlo a rendere dichiarazioni avventate, specie con l’intento di subito discolparsi, ma che potrebbero poi essere usate contro di lui nel proseguo del processo. Infatti, ai sensi del 350 comma 7, le dichiarazioni che la pg riceve spontaneamente dall’indagato possono essere utilizzate sia a fini contestativi in sede di esame dibattimentale sia in chiave probatoria nei riti alternativi al dibattimento. Dall’esercizio del diritto di non rispondere l’organo procedente non può ricavare conseguenza alcuna in quanto insindacabile espressione del diritto di difesa personale. Una volta somministrati gli avvertimenti preliminari entrano in gioco le prescrizioni dettate per l’interrogatorio nel merito dal 65. Esse operano soltanto per l’atto assunto dall’autorità giudiziaria e si risolvono in puntuali obblighi: contestare in forma chiara e precisa alla persona sottoposta alle indagini il fatto attribuitole, dalla cui sola previa conoscenza può derivare una scelta consapevole circa l’esercizio del diritto al silenzio, ma non farle conoscere il titolo del reato addebitato nella fase delle indagini preliminari, renderle noti gli elementi di prova esistenti a suo carico e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, comunicargliene le fonti. Poi dipende dall’iter perché ad esempio l’invito a presentarsi per l’interrogatorio deve già contenere una sommaria enunciazione del fatto, e se pm vuole presentare richiesta di giudizio immediato, anche l’indicazione degli elementi e delle fonti di prova. La dimensione dell’interrogatorio come strumento difensivo emerge dal successivo invito ad esporre quanto la persona ritenga utile per discolparsi e dalla mancata riproduzione dell’invito ad indicare le fonti di prova a proprio favore, nonché dall’assenza dell’obbligo di dire la verità, salvi i limiti scaturenti dalle norme che incriminano l’autocalunnia, la calunnia o il favoreggiamento personale. Ne è segno la facoltà di non rispondere a singole domande sul merito, benché di ciò debba farsi menzione nel verbale (65 comma 3). La tecnica è quella delle domande poste in via diretta dal solo organo procedente. L’identificazione e l’esistenza in vita dell’imputato: Per identificazione si intendono i contrassegni che caratterizzano l’individuo nella vita di relazione. Per il profilo dell’identità personale o anagrafica (66), nel primo atto del procedimento in cui è presente l’imputato, l’autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità e quanto serva ad identificarlo. Il 21 disp. att. prevede che l’autorità giudiziaria deve richiedere anche una serie di informazioni sull’identità personale, la vita di relazione, la posizione patrimoniale e gli eventuali ruoli pubblici ricoperto e precedenti penali. L’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalità è irrilevante in quanto non pregiudica il compimento di alcun atto, purché sia certa l’identità fisica della persona. L’attribuzione di generalità erronee è trattata come mero errore materiale, cosi da dar vita a rettificazione in camera di consiglio. 27 idonea spetta all’autorità competente (il sindaco) per l’adozione delle misure previste dalla normativa sul trattamento sanitario delle malattie mentali. Se vi è pericolo di ritardo il giudice ordina d’ufficio il ricovero provvisorio. La parte civile: legittimazione, costituzione ed esodo dal processo penale: Tra le parti cosiddette eventuali va collocata in primo piano la parte civile, il cui intervento è finalizzato ad ottenere le restituzioni o il risarcimento del danno ricollegabili al reato oggetto di accertamento in sede penale (185 cp). La normativa vigente ha un’impostazione notevolmente differente rispetto a quella del codice del 1930. Elementi di quest’ultima erano la pregiudizialità necessaria del processo penale rispetto a quello civile di danno (quest’ultimo restava sospeso fino a giudicato penale), le preclusioni e i vincoli che la pronuncia irrevocabile del giudice penale esercitava nei confronti dell’azione riparatoria ex delicto proposta in sede propria, nonché gli scarsi poteri riconosciuti all’offeso del reato in quanto tale. Insomma un sistema che sollecita i soggetti legittimati ad inserire la pretesa restitutoria o risarcitoria all’interno del processo penale. Nel nuovo contesto si è prefigurato un processo ispirato alla massima semplificazione, e tale sollecitazione è venuta meno, anzi, risulta orientata in senso opposto. In correlazione con i maggiori poteri riconosciuti alla persona offesa dal reato, si è predisposto per la parte civile una normativa più in linea con il suo ruolo istituzionale all’interno del processo penale, che non è quello di accusatore privato, ma quello di un soggetto proteso verso il soddisfacimento delle sue pretese di carattere civilistico. Per quanto concerne la legitimatio ad causam, il 74 stabilisce che l’azione civile di cui al 185 cp possa essere esercitata dal soggetto che mira alle restituzioni o al risarcimento del danno cagionato dal reato, o dai suoi successori universali. Il danneggiato (che non sempre coinciderà con l’offeso, cioè con il titolare del bene giuridico protetto dalla norma penale) può costituirsi parte civile anche per mezzo di un procuratore speciale, fermo restando però che ai fini della suddetta costituzione difetta di legittimazione il sostituto eventualmente nominato dal difensore del danneggiato, che gli abbia conferito una procura speciale al fine di esercitare l’azione civile nel processo penale, salvo che detta facoltà sia stata espressamente contemplata nella procura ovvero che la costituzione di parte civile in udienza avvenga in presenza del danneggiato. Laddove il codice consente il compimento di un atto per mezzo di procuratore speciale, se la procura è rilasciata per scrittura privata al difensore, la sottoscrizione può essere autenticata dal difensore medesimo. Una volta costituitosi a meno di un’eventuale esclusione o di un suo esodo volontario, il danneggiato, in ossequio al principio della immanenza della costituzione di parte civile, partecipa al processo in tutti i suoi gradi, compreso l’eventuale giudizio di rinvio, senza dover assumere ulteriori iniziative (76). Qualora sia carente la capacità processuale del danneggiato costui deve essere rappresentato, assistito o autorizzato nelle forme prescritte per l’esercizio delle azioni civili. Il 77 prevede poi due diversi correttivi per l’ipotesi in cui risulti impedito l’inserimento dell’azione civile all’interno del processo penale. Anzitutto viene considerata l’eventualità della nomina di un curatore speciale, necessaria quando manchi la persona a cui spetterebbe la rappresentanza o l’assistenza e ricorrano ragioni di urgenza, oppure quando sussista un conflitto di interessi tra l’incapace e il suo legale rappresentante (provvede alla nomina il giudice). Secondariamente, ma solo sul presupposto di una assoluta urgenza, viene consentito che il pm eserciti l’azione civile nell’interesse del minore o dell’infermo di mente, finché non subentri il legale rappresentante o il curatore speciale previsto dal 77 comma 2. 30 La parte civile può stare in giudizio solo con il ministero di un difensore munito di procura speciale (100), e inoltre ai fini della regolare costituzione devono essere rispettate le formalità del 78: occorre che unitamente alla procura venga depositata nella cancelleria del giudice procedente o presentata in udienza una dichiarazione contenente, a pena di inammissibilità, gli elementi indicati nel 78 comma 1 lett. a-e. tra cui l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda. Inoltre deve essere notificata a cura della parte civile, al pm e all’imputato (per corretta instaurazione contraddittorio, se non sia stata presentata in udienza). Il 79 stabilisce un termine iniziale e uno finale tra i quali deve collocarsi la costituzione di parte civile: quanto al primo la stessa deve avvenire per l’udienza preliminare. Dunque non solo durante essa ma anche prima, purché sia già stata esercitata dal pm l’azione penale e quindi a partire dal deposito della richiesta di rinvio a giudizio ex 416. Dunque nel corso delle indagini preliminari resta esclusa la partecipazione del danneggiato, il quale solo se è anche l’offeso dal reato può avvalersi dei diritti e delle facoltà che la legge riconosce a quest’ultimo soggetto. Quanto al termine finale, a pena di decadenza, coincide con l’effettuazione degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti di cui 484, risulta quindi preclusa la costituzione di parte civile una volta iniziata la trattazione delle questioni preliminari di cui 491. Se la costituzione avviene in extremis cioè dopo il termine di cui al 468 (7 giorni prima della data del dibattimento), la parte civile non può più avvalersi della facoltà di presentare le liste dei testimoni, periti o consulenti tecnici (secondo regola che esclude l’introduzione in sede dibattimentale di prove a sorpresa). L’eventuale esclusione della parte civile può essere conseguenza di una richiesta motivata proveniente dal pm, dall’imputato e dal responsabile civile (80), con cui vengono denunciati profili di illegittimità come la tardiva costituzione o il difetto di legittimazione. Relativamente a tale richiesta il giudice deve pronunciarsi senza ritardo con ordinanza inoppugnabile. Anche per la richiesta di esclusione occorre rispettare dei termini perentori: se la parte civile si è costituita per l’udienza preliminare, la richiesta va effettuata prima che siano terminati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti; se invece la parte di è costituita nella fase degli atti preliminari al dibattimento o nel corso degli atti introduttivi al medesimo, la richiesta deve essere avanzata in sede di trattazione delle questioni preliminari di cui al 491. Una seconda ipotesi di esclusione è quella disposta ex officio dal giudice (81), il quale quando accerti l’inesistenza dei requisiti stabiliti per la costituzione di parte civile, può provvedere in conformità fino a che non sia stato aperto il dibattimento di primo grado. Le ordinanza con cui la parte viene ammessa o esclusa dal processo penale sono di carattere meramente processuale: ne viene esclusa qualsiasi ulteriore implicazione circa il diritto al risarcimento del danno e alle restituzioni. Si può anche verificare uno spontaneo recesso del danneggiato che revoca la costituzione di parte civile, p.es. perché ha concluso una transazione con l’imputato sul danno oppure perché ritiene meglio tutelabili le sue pretese in sede civile. Nel caso di revoca espressa, che può avere luogo in ogni stato e grado del procedimento, occorre una dichiarazione resa personalmente o per mezzo di procuratore speciale. Le ipotesi di revoca tacita o meglio presunta, sono tassativamente prevista dall’82 comma 2 che menziona anche la mancata presentazione in sede di discussione dibattimentale delle conclusioni riservate dal 523 al difensore della parte civile. Altro caso è quello del promovimento dell’azione di danno davanti al giudice civile. Comunque vale la regola in base alla quale la revoca della costituzione di parte civile non preclude il successivo esercizio dell’azione 31 aquiliana in sede propria, pur tenendo presente che ai sensi del 75 comma 3, il giudizio civile resta sospeso finché in sede penale non venga pronunciata la sentenza non più soggetta ad impugnazione. Segue: i rapporti tra azione civile da reato e azione penale: L’articolo 75 si occupa delle possibili interferenze tra processo penale e parallela azione di danno davanti al giudice civile, e opera una scelta a favore dell’autonomia dei rispettivi giudizi. Ciò emerge dai commi 2 e 3 del 75, mentre il comma 1 disciplina la trasferibilità nel processo penale dell’azione che il danneggiato dal reato abbia promosso davanti al giudice civile. Il trasferimento è subordinato a due condizioni che riguardano lo stadio di progressione del giudizio a quo e quello del giudizio ad quem, per cui se da un lato per ragioni di economia processuale l’attore è vincolato alla sua scelta iniziale dopo la pronuncia in sede civile di una sentenza di merito anche non definitiva, dall’altro non è più consentito l’inserimento dell’azione civile nel processo penale una volta spirato il termine finale del 79 comma 1, cioè finché non siano compiuti gli adempimenti del 484. Il cambiamento in sede processuale comporta l’estinzione del giudizio civile per rinuncia agli atti e la devoluzione al giudice penale della decisione sulle spese afferenti al processo civile interrotto. Guardiamo al 75 comma 2: nulla impedisce che l’azione di danno esercitata nella sua sede naturale proceda in modo assolutamente autonomo rispetto al parallelo processo penale. Il comma 2 deve essere coordinato con il 651 e 652, dai quali emerge una regolamentazione che può sintetizzarsi cosi: nell’ipotesi in cui il processo penale si concluda con una sentenza irrevocabile di condanna, il danneggiato può sfruttare nel giudizio civile l’efficacia di giudicato ad essa riconosciuta dal 651, mentre non può accadere il contrario, poiché, grazie alla clausola di salvezza inserita nella parte finale del 652 comma 2, è esclusa l’efficacia di giudicato della sentenza assolutoria. Solo in via di eccezione alla regola, il 75 comma 3 dispone che il processo civile rimane sospeso in attesa del giudicato penale qualora l’azione sia stata proposta in sede civile dopo la sentenza penale di primo grado o dopo la precedente costituzione di parte civile nel processo penale. Il pregiudizio che implica tale previsione sarebbe ingiustificato nelle ipotesi in cui l’esodo dal processo penale sia il risultato di un’azione subita dal danneggiato, anziché di una sua scelta libera. Quindi il comma 3 del 75 fa salve le eccezioni previste dalla legge, con la conseguenza che il giudizio civile prosegue senza interruzioni quando: - Il processo penale è stato sospeso per incapacità dell’imputato - Vi è stata esclusione ai sensi dell’80 e 81, della parte civile - Sebbene ricorrano i presupposti di legge per tale adempimento, non risulta possibile notificare personalmente all’imputato assente l’avviso dell’udienza preliminare - La parte civile ha abbandonato il processo penale in seguito alla sua mancata accettazione del rito abbreviato - L’esodo della parte civile consegue alla pronuncia di una sentenza che applica la pena su richiesta delle parti - Viene accolta dal giudice la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova - Il danneggiato, già costituitosi parte civile, esercita l’azione civile in sede propria, dopo che il giudice penale ha dichiarato estinto il reato per intervenuta oblazione. Il responsabile civile: Oltre che nei confronti dell’imputato, il soggetto danneggiato può agire per le restituzioni e il risarcimento del danno nei confronti della persona fisica o dell’ente plurisoggettivo che, come recita il 185 comma 2 cp, è tenuto a rispondere per il fatto dell’imputato. A questo soggetto, obbligato in 32 incisivo. Il panorama cambia se si considerano le fonti sovranazionali europee, dove è stabilito a carico dei singoli Stati il compito di assicurare un ruolo effettivo e appropriato alla vittima che intervenga nel processo penale. Deve essere ricordata la direttiva 2012/29/UE che detta norme minime (base di partenza) in materia di diritto, assistenza e protezione delle vittime di reato. Grazie alla suddetta normativa europea il legislatore italiano ha integrato la normativa originaria, considerando più attentamente le esigenze della persona offesa che ora ha maggiori garanzie. Ci si riferisce al decreto legge 93/2013 con disposizioni per il contrasto della violenza di genere, collegato alla Convenzione di Istanbul del 2011 sulla prevenzione della violenza contro le donne e la lotta contro la violenza domestica. L’articolo da considerare è il 90-quater dove vengono indicati i criteri dai quali è desumibile che la persona offesa versa in una condizione di particolare vulnerabilità. Gli elementi da considerare sono l’età della vittima e il suo eventuale stato di infermità o deficienza psichica, cosi come il tipo di reato nonché le modalità e le circostanze del fatto per il quale si procede. Qualora si pervenga alla conclusione che la persona offesa dal reato può essere definita particolarmente vulnerabile, le devono essere assicurate varie forme di tutela previste dal 398 comma 5-ter e da altre disposizioni del d.lgs. 212/2015. Sono disposizioni volte a rispettare il più possibile la fragilità psico-emotiva di persone seriamente ferite dal reato commesso nei loro confronti. Inoltre con la legge 208/2015 viene prevista l’attivazione nelle aziende sanitarie e ospedaliere di un protocollo di protezione (cosiddetto codice rosa) per dare supporto medico e psicologico alle persone vulnerabili che abbiano subito altrui violenza, in particolare violenza sessuale, maltrattamenti o atti persecutori. Infine la legge 122/2016 prevede un indennizzo da parte dello Stato alle vittime di un reato intenzionale violento nei casi di: coloro che sono stati vittime di un reato doloso commesso con violenza alla persone e coloro che sono vittime di reato di violenza sessuale, lesione personale gravissima nonché reato di deformazione dell’aspetto mediante lesioni permanenti al viso. I diritti e le facoltà della persona offesa: L’articolo 90 rinvia ai diritti e alle facoltà della persona offesa garantiti da specifiche previsioni legislative e puntualizza che a prescindere da tali attribuzioni egli è legittimato a presentare memorie e, con esclusione del giudizio di cassazione, a indicare elementi di prova. Se all’iniziativa della persona offesa corrisponde una situazione di obbligo in capo al destinatario dell’iniziativa si potrà parlare di diritto, altrimenti di facoltà. Come si è detto, l’offeso può presentare memorie cioè elaborati scritti di vario contenuto, mediante i quali avanzare istanze, illustrare questioni. Però non c’è un dovere ne del pm ne del giudice al quale siano rivolte di deliberare sulle medesime. Inoltre, in ogni stato e grado del procedimento escluso il giudizio davanti alla corte di cassazione, l’offeso ha il potere di indicare elementi di prova. Anche relativamente alla persona offesa si pone la questione della capacità processuale. Il 90 comma 2 prende in considerazione il soggetto minorenne nonché quello interdetto per infermità di mente o inabilitato, rinviando a quanto disposto dal 120 e 121 cp in tema di esercizio del diritto di querela. Essi (minore di 14 anni o interdetto) devono essere rappresentati dai genitori e dal tutore, mentre nel caso di maggiore di 14 anni o inabilitato, la legittimazione spetta tanto al diretto interessato quanto ai genitori, al tutore, al curatore. In ogni caso si consideri che a differenza di quanto previsto per le parti private, la legge autorizza ma non obbliga la persona offesa a nominare un difensore. L’interessato potrà operare validamente anche in prima persona. 35 La persona offesa ha il diritto di essere informata su una pluralità di profili della vicenda processuale che la riguarda, oltre che ricevere la comunicazione di una serie di informazioni sul diritto di difesa. Tutte queste informazioni confluiscono in un atto scritto, dal tono inevitabilmente burocratico, che finisce per essere poco fruibile alla stragrande maggioranza delle persone offese. Consideriamo il 90-ter: bisogna informare immediatamente la persona offesa che l’imputato, il condannato o l’internato non è più in vinculus: vuoi in seguito a scarcerazione o a cessazione della misura di sicurezza, vuoi in seguito ad evasione. E devono sussistere tre condizioni affinché si proceda alla comunicazione in esame: il processo penale deve avere riguardo ad un delitto commesso con violenza alla persona; bisogna che la persona offesa abbia richiesto di essere informata; si deve poter escludere che dalla comunicazione derivi il pericolo concreto di un danno per l’imputato, condannato, legato a condotte di carattere ritorsivo. In conclusione, bisogna sottolineare che la comunicazione delle informazioni del 90-bis e quella delle segnalazioni di cui al 90-ter non sono previste a pena di nullità, per cui dalla loro eventuale omissione deriva una semplice irregolarità. Gli enti e le associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato: Se si tiene presente che oltre ai reati esclusivamente lesivi di interessi individuali, esistono reato che violano interessi collettivi o diffusi (illeciti penali collegati a violazioni norme su salubrità ambiente di lavoro o inquinamento), si comprende la ratio del 91, che crea un soggetto processuale ignoto alla legislazione previgente, equiparandolo alla persona offesa dal reato. Gli enti e le associazioni aventi finalità di tutela degli interessi lesi dal reato possono esercitare in ogni stato e grado del procedimento i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato. Qualora l’ente collettivo risulti direttamente danneggiato dal reato, niente gli impedisce di inserire la sua pretesa civilistica all’interno del processo penale mediante la costituzione di parte civile: se manca tale presupposto e risultano soddisfatti i requisiti del 91, l’ente può partecipare al processo in veste di accusatore privato al fianco della persona offesa disposta ad accettare il suo intervento (92) senza che ciò comporti alcun trasferimento di poteri dall’accusatore privato principale all’ente collettivo. Gli articoli 91 e 92 stabiliscono i requisiti ai quali è subordinata l’acquisizione da parte dell’ente della qualifica di soggetto processuale, concentrandosi sugli attributi idonei ad una appropriata caratterizzazione dell’ente collettivo e sui rapporti tra esso e il soggetto passivo del reato. Si richiede non solo che l’ente non abbia scopo di lucro, ma anche che gli siano state riconosciute in forza di legge finalità di tutela degli interessi lesi dal reato. Si esige inoltre che il riconoscimento sia avvenuto anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede. Quanto al 92 che si uniforma all’esigenza del costante consenso della persona offesa (per via del fatto che potrebbe avere strategie processuali divergenti) , il consenso stesso deve essere prestato con atto pubblico o scrittura privata autenticata e si ammette la possibilità di una revoca in qualsiasi momento dell’iter processuale: dopo la eventuale revoca resta in assoluto esclusa per la persona offesa la possibilità di essere nuovamente fiancheggiata da uno degli enti di cui al 91. È previsto inoltre che il consenso può essere prestato ad un unico ente, prevedendo l’inefficacia, in caso contrario, dei consensi prestati. Affinché l’ente possa svolgere il ruolo ausiliario che gli compete, è indispensabile che il suo difensore munito di procura speciale presenti all’autorità procedente un atto di intervento, da notificare alle parti quando la presentazione non avviene in udienza, il cui contenuto deve essere conforme alle indicazioni risultanti dal 93 comma 1. 36 Con riferimento ai limiti temporali, per il termine finale l’intervento non può avvenire dopo che si è conclusa la fase del dibattimento dedicata alla verifica della regolare costituzione delle parti; può collocarsi l’intervento nella fase delle indagini preliminari (in modo da permettergli di essere attivo anteriormente alle determinazioni del pm circa le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale). Successivamente all’intervento può esserci una sua estromissione, disposta dal giudice con ordinanza in seguito ad una opposizione di parte oppure d’ufficio, allorché si riscontri un motivo di inammissibilità o un vizio attinente alla capacità processuale del soggetto intervenuto. Il difensore di fiducia dell’imputato: La difesa tecnica è una logica conseguenza dell’inviolabilità del diritto di difesa proclamata dal 24 comma 2 cost., il quale garantisce un’adeguata copertura nei confronti non solo della difesa tecnica, ma anche dell’autodifesa: ossia di quel complesso di attività che l’imputato esplica personalmente per dimostrare l’inconsistenza o la minore gravità dell’accusa a suo carico (65 o 494). Ulteriore elemento da considerare è l’opzione a favore di un processo tendenzialmente accusatorio, all’interno del quale risulta determinante la capacità di attivazione delle parti e, per converso, innaturale quell’atteggiamento compensatorio del giudice che era talora in grado di ridurre, durante la vigenza del codice abrogato, lo squilibrio tra accusa e difesa. Ne consegue che il difensore dell’imputato al quale il 99 attribuisce le facoltà e i diritti che la legge riconosce all’imputato stesso, viene chiamato a svolgere un ruolo più importante, essendo tenuto a dimostrare la scarsa significatività degli elementi di prova a valenza accusatoria, ma anche ad individuare ed acquisire elementi probatori che scagionino l’imputato o alleggeriscano la sua posizione. Con il 97 e il 369- bis si è negato qualsiasi spazio all’ipotesi di un’esclusiva autodifesa dell’imputato. Il difensore è inserito fra i soggetti processuali. Viene riconosciuto all’imputato e alla persona sottoposta alle indagini (61), il diritto di nominare non più di due difensori di fiducia (96). Vengono elencate tre possibili modalità di nomina consistenti: nella dichiarazione orale resa dall’interessato all’autorità procedente; in quella scritta consegnata alla medesima dal difensore; e nel documento di nomina trasmessole con raccomandata. Non c’è tassatività, si è in presenza di un atto a forma libera, il cui fondamentale requisito è quello di esprimere chiaramente la scelta del suo autore. La nomina può anche essere fatta in via preventiva cioè per l’eventualità che si instauri un procedimento penale. Qui il mandato difensivo deve contenere anche l’indicazione dei fatti ai quali si riferisce. Il difensore deve possedere i requisiti richiesti dalla legge professionale altrimenti c’è un vizio equiparabile all’assenza del difensore. La prestazione del difensore di fiducia costituisce l’oggetto di un contratto per la cui conclusione è indispensabile l’accettazione sia pure implicita del nominato. Va dato atto della possibilità per l’imputato di orientare liberamente la propria scelta, senza alcun limite derivante dall’appartenenza etnica o linguistica del difensore: indipendentemente dalla lingua utilizzata nel processo. La nomina produce di norma i suoi effetti, salvo che intervengano cause risolutive del rapporto contrattuale, per tutto l’arco del processo di cognizione. Considerando l’ipotesi della custodia carceraria dell’imputato, viene in luce la sua ridotta autonomia, non potendosi parlare di libera scelta del difensore da parte dell’imputato quando questi è sottoposto alla più radicale restrizione della sua libertà personale. Alla luce di tale constatazione si deve riconoscere l’opportunità della regola che legittima i prossimi congiunti della persona arrestata, fermata o sottoposta a custodia cautelare in carcere ad attivarsi in sua vece. A costoro è consentito nominare un difensore di fiducia che cessa di operare non appena l’interessato manifesti 37 sequestrate, oltre che della notificazione dell’atto di impugnazione. Anche presso l’ufficio del pm e cioè nell’ambito della sua segreteria opera un ausiliario che svolge funzioni analoghe a quelle del cancelliere. Quanto all’ufficiale giudiziario la sua principale funzione è quella di curare l’esecuzione delle notificazioni, svolgendo quindi una attività ausiliaria sia del giudice sia del pm. Un importante corollario di tale funzione è la relazione di notificazione (168) che documenta l’attività svolta con riferimento all’atto da notificare. Al medesimo sono attribuiti anche compiti funzionali al corretto svolgimento dell’udienza. Anche il direttore dell’istituto penitenziario opera come ausiliario sia del giudice sia del pm. ——— 40 CAPITOLO 2: ATTI Premessa: La disciplina contenuta nel libro II si riferisce ad atti che si formano nel contesto del medesimo procedimento, con la eccezione relativa al rilascio o alla richiesta di copie, estratti, certificati o informazioni di atti esterni al procedimento (116, 118). Dunque la normativa sui documenti, intesi come il prodotto di un’attività svoltasi fuori dal procedimento o in un procedimento penale diverso è stata collocata nel libro dedicato alle prove. Si tratta ora di definire l’atto processuale penale. Sul piano soggettivo, sono tali quelli posti in essere dai soggetti del procedimento. Pertanto anche i soggetti privati realizzano atti processuali: si pensi alla proposizione di impugnazione dell’imputato. Sul piano oggettivo due sarebbero le caratteristiche essenziali: l’attitudine dell’atto a produrre effetti giuridici dotati di rilevanza processuale penale ed il suo realizzarsi nel contesto del processo penale, ossia all’interno di una fattispecie a formazione progressiva. Una simile impostazione però non appare oggi più accoglibile, stante la scelta del codice di definire due distinte sequenze denominate procedimento e processo, la prima più ampia e comprensiva della seconda. Ciò che precede l’esercizio dell’azione penale e dunque l’intera fase delle indagini preliminari, compone già la sequenza degli atti del procedimento, mentre ciò che segue fa parte anche del processo: ivi compresa dunque la fase dell’udienza preliminare fino alla sentenza definitiva. Quel che più conta è il dato strutturale. Nella fase delle indagini preliminari difetta un giudice investito del procedimento in senso proprio, dato che l’intervento del giudice per le indagini preliminari si configura come meramente eventuale ed è sempre circoscritto al provvedimento richiesto. Solo nel processo opera un giudice investito della pienezza delle proprie funzioni giurisdizionali e abilitato a pronunciare sentenze. La nozione di processo è in rapporto di specie a genere rispetto a quella di procedimento, per una nota ulteriore: la giurisdizionalità piena degli atti relativi, che impone la completa attuazione del contraddittorio. Circa la questione del momento iniziale, sembra fuori discussione che gli atti posti in essere prima che la notizia di reato sia venuta ad esistenza non possano mai costituire atti del procedimento. Il primo atto del procedimento si fa coincidere con quello immediatamente successivo alla ricezione della notizia di reato da parte della pg o del pm istituito presso il tribunale. Ne segue che gli atti nei quali la notizia medesima di sostanzia (denuncia, referto, querela, istanza, richiesta) si collocano al di fuori della sequenza del procedimento penale. Per le notizie apprese di propria iniziativa dalla pg o dal pm bisogna introdurre distinzione capace di tener conto del fatto che in simili casi la notizia di reato non trova mai consacrazione originaria in un atto tipico, ma è sempre frutto di un giudizio dell’organo procedente. Se la notizia è stata acquisita dal pm, poiché scatta l’obbligo di iscriverla nell’apposito registro (335), è da tale iscrizione che ha inizio il procedimento. Se invece la notizia di reato viene formata dalla pg, va escluso che la successiva informativa al pm ex 347 valga allo scopo. In mancanza di un atto tipico, il primo atto del procedimento sarà costituito da quello cronologicamente anteriore tra gli atti compiuti dopo l’acquisizione della notizia di reato. Anche per l’individuazione dell’atto finale occorre distinguere. Se le indagini preliminari sfociano in un provvedimento di archiviazione, questo sarà. Se invece l’azione penale è stata esercitata, il 650 comma 2 individua nell’esecutività il momento finale del processo relativamente alle sentenze di non luogo a procedere, cosi come il 648 individua nella irrevocabilità il momento finale relativamente alle sentenze pronunciate in giudizio ed al decreto penale di condanna. Infine, devono 41 considerarsi atti processuali penali quelli relativi al procedimento di esecuzione ed al procedimento di sorveglianza. Il divieto di pubblicazione: L’articolo 114 assegna una circoscritta durata al divieto incondizionato di pubblicazione, ma nel contempo prevede numerosi limiti alla pubblicazione tra cui quelli derivanti dalla flessibilità dell’obbligo del segreto investigativo ex 329. Si ricava dalla lettura del 114 commi 1 e 7 come siano stati concepiti due tipi di divieto di pubblicazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione ivi compreso internet, che si distinguono in ragione del loro oggetto. Il primo concerne la riproduzione totale o parziale dell’atto. Il secondo riguarda la pubblicazione di quanto l’atto esprime anche dal punto di vista concettuale, sicché rileva pure la pubblicazione fatta solo in modo meramente informativo. Per quanto riguarda gli atti coperti dal segreto investigativo, il divieto risulta assoluto, investendo sia la riproduzione pubblica dell’atto parziale o totale sia il contenuto dell’atto nel senso appena detto. Il divieto in discorso dovrebbe durare per tutta la durata delle indagini preliminari, finché restano ignoti i potenziali autori del reato. Esso cadrà solo con la chiusura della fase, per venir meno del limite alla segretezza posto dal 329 comma 1. Naturalmente il divieto di pubblicazione in parola non investe le indagini difensive. Dal momento nel quale è individuata la persona sottoposta alle indagini, il divieto si modella in funzione del regime di conoscenza di ogni singolo atto. Il d.lgs. 216/2017 ha inteso impedire che le intercettazioni di comunicazioni e di conversazioni processualmente irrilevanti confluissero tra gli atti del procedimento e da qui transitassero sui mezzi di comunicazione di massa. Occorre poi precisare che le ordinanze applicative di una misura cautelare sono, prima della loro esecuzione o notificazione, pur sempre presidiate dal 326 cp che punisce la rivelazione e l’utilizzazione del segreto d’ufficio. Tornando ai profili generali, gli atti delle indagini preliminari che non sono stati mai coperti dal segreto investigativo o per i quali è ormai caduto, non sono o non divengono, per ciò solo, pubblicabili. Nei loro confronti opera una serie di divieti stabiliti dal 114 commi 2 e 3. L’interdizione concerne la sola pubblicazione anche parziale dell’atto cosi come documentato, sicché il legislatore per graduarne l’efficacia fa leva sulla durata dei divieti modulata con riguardo alla funzione dell’atto. Se non si procede a dibattimento, il divieto in discorso cade o con la conclusione delle indagini preliminari o con il termine dell’udienza preliminare. Se invece si procede a dibattimento è necessario distinguere tre categorie di atti: - Gli atti che all’epilogo del dibattimento risultavano inseriti nel relativo fascicolo, senza che ne fosse stata data lettura in udienza, erano oggetto di un divieto di pubblicazione destinato a cadere con la pronuncia della sentenza di primo grado. Una declaratoria di illegittimità ha accorciato la durata del divieto: ora gli atti inseriti nel fascicolo per il dibattimento sono pubblicabili sin dalla relativa formazione. Se però l’atto viene trasferito nel fascicolo del pm il divieto di pubblicazione si ripristina automaticamente. - Gli atti che, terminato il dibattimento, risultano, invece, collocati nel fascicolo del pm, sono pubblicabili solo dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado. Sono tuttavia immediatamente pubblicabili gli atti già posti in quest’ultimo fascicolo, in quanto siano stati utilizzati per le contestazioni. La diversa estensione e la tipologia dei divieti svelano gli interessi per tale via tutelati. Nella prima si coglie l’intento di preservare la neutralità psicologica del giudice che sarà investito del procedimento. Posto che lo stesso obiettivo è perseguito dalla creazione del doppio fascicolo, nel caso si proceda a dibattimento la scadenza dei divieti è 42 minorenni che concedono il perdono giudiziale, le sentenze di riabilitazione, nonché quelle che riconoscono efficacia alle sentenze penali straniere (730). A tal punto, meglio si comprende il senso di un’altra classica distinzione: quella tra sentenze di merito e sentenze processuali, posto che essa è ricavata dall’efficacia della decisione in sede extra- penale. Le prime risolvono la questione relativa al dovere di punire e pertanto a tale categoria si ascrivono le sentenze di condanna e di assoluzione nonché le sentenze che dichiarano l’estinzione del reato. Le seconda al contrario non affrontano tale questione, ma sciolgono meri nodi processuali, come le sentenze di annullamento, quelle sulla competenza, quelle che dichiarano l’improcedibilità dell’azione. Poi vi sono le sentenze di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto immesse nel sistema dal d.lgs. 28/2015. Previste nel 131-bis cp, con esse si è dato vita ad una causa in senso stretto di non punibilità, avente natura soggettiva, intesa a produrre una sorta di depenalizzazione in concreto. L’opzione a favore della natura sostanziale ha comportato che la stessa corte di cassazione sia stata subito investita da una serie di quesiti applicativi. Il 131-bis cp atteggiandosi a norma penale più favorevole ai fini dell’articolo 2 comma 4 cp. può scattare in tutti i procedimenti già in corso ed anche per i reati (fatti) commessi prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo in parola. La sentenza in esame presuppone l’accertamento del reato perché si può riconoscere la particolare tenuità solo di ciò di cui si predica l’offensività. Essa segue cioè all’accertamento che il fatto è storicamente avvenuto, è stato commesso dall’imputato senza cause di giustificazione ed integra una fattispecie incriminatrice da cui sono estranee cause estintive o altre cause di non punibilità. L’applicazione del 131-bis cp si atteggia come un procedimento pienamente cognitivo, ben lontano dunque dalle cadenze proprie del procedimento applicativo della pena su richiesta delle parti. Risolvendo le questioni incidentali, le ordinanze governano l’andamento del processo, pur essendovene alcune in grado altresì di concluderlo, come quelle che dichiarano l’inammissibilità dell’impugnazione (591). Assumono forma di ordinanza i provvedimenti del giudice in tema di misure cautelari personali e quelli che concludono l’udienza di convalida. Di regola, le ordinanze sono revocabili come espressamente sancito per esempio per quelle applicative di una misura cautelare personale (299). A sua volta, il requisito della inoppugnabilità, inteso alla stregua di un corollario della revocabilità, non è un dato costante, soffrendo diverse deroghe. I decreti esprimono un comando dell’autorità procedente, assumendo natura prevalentemente amministrativa, il che spiega perché possano essere emessi anche dal pm; sono assoggettati al regime della revoca, al quale non si sottrae neppure il decreto penale di condanna, assimilabile tuttavia per i suoi requisiti e per taluni suoi effetti, alle sentenze. La scelta circa l’adozione di un provvedimento con una data forma, rispetto ad un altro con forma diversa, è frutto di una opzione demandata al legislatore (cosiddetto criterio nominalistico). I decreti, a differenza delle sentenze e delle ordinanze, non abbisognano, se non diversamente esposto, di motivazione. Essa si sostanzia nella esposizione concisa delle ragioni di fatto e di diritto (apparato giustificativo) che stanno a fondamento del dispositivo del provvedimento, vale a dire del comando dell’autorità giudiziaria. Al tempo stesso è comminata in via generale (125 comma 3) la nullità relativa per la mancanza di motivazione nelle sentenze, nelle ordinanze e ove prescritta nei decreti, con l’intento di attuare pienamente il 111 comma 6 cost.: le norme processuali che concretano principi costituzionali necessitano del presidio di apposite invalidità al fine di garantire l’effettività di quei principi. 45 Secondo la giurisprudenza prevalente, la motivazione per relationem, ossia quella che si riporti al contenuto di un altro atto, non è causa di nullità tutte le volte in cui il secondo, se non trascritto o non materialmente allegato, sia conosciuto o facilmente conoscibile dalla parte, ad esempio, per effetto del deposito in cancelleria. In tal modo è dato alla parte tramite l’esame dell’atto diverso, purché valido, il potere di controllare l’adeguatezza e la congruità del ragionamento giustificativo del giudice. Nulla impedisce però di irrigidire la motivazione mettendo fuori gioco la tecnica del copia incolla, come ad esempio avviene nel 292, il quale impone al giudice, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio, di operare nel caso di ordinanza applicativa di una misura cautelare personale, un’autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, delle esigenze cautelari, del rilievo degli elementi addotti dalla difesa nonché delle ragioni del ricorso alla custodia in carcere. La giurisprudenza ammette poi l’uso di moduli prestampati purché essi siano adeguatamente completati tramite argomentazioni che specifichino le ragioni concrete della decisione adottata. Nella prospettiva di una massima semplificazione trova spazio la categoria dei provvedimenti adottati senza formalità, innominati, ed esternabili anche oralmente (125 comma 6): come quelli emessi dal presidente del collegio. Il 125 non si occupa solo delle forme dei provvedimenti ma anche della relativa deliberazione in camera di consiglio, la quale come si desume dal 525, si caratterizza per l’immediatezza rispetto alla chiusura della trattazione, per l’immutabilità dei giudici rispetto alla trattazione medesima e per la continuità delle operazioni. Dalla fase deliberativa è escluso, unitamente alle parti, l’ausiliario che di regola assiste il giudice in tutti gli atti ai quali procede in conformità del 126. Nel comma 4 del 125 è previsto il segreto sulla deliberazione, tutelato dal 326 e 685 cp. A ciò si collega in vista di una eccezionale deroga il comma 5. Nel caso di provvedimenti collegiali e purché lo richieda un componente del collegio che non abbia espresso voto conforme alla decisione, è compilato sommario verbale contenente l’indicazione del dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si riferisce il dissenso ed i motivi dello stesso, succintamente esposti. Il verbale viene conservato a cura del presidente in plico sigillato presso la cancelleria dell’ufficio: potrà servire a chi ha dissentito, liberandolo da ogni eventuale responsabilità, se gli altri saranno chiamati a rispondere del loro operato in sede civile. Il procedimento in camera di consiglio: Il 127 delinea un modello valido per tutti i procedimenti che si svolgono in camera di consiglio (rito camerale), svolgendo una duplice funzione: realizza un’apprezzabile economia narrativa, e assicura il contraddittorio tra le parti e il diritto di difesa dei soggetti interessati (sia pure in modo meno intenso rispetto a udienza dibattimentale). Si possono distinguere i numerosi casi riferibili soprattutto a procedimenti incidentali (32, 41, 48) in cui poiché l’espresso riferimento al 127 il rinvio a tali forme è integrale, da casi in cui la norma speciale introduce adattamenti talora piuttosto sensibili. Ciò si spiega considerando come il procedimento in camera di consiglio possa essere adottato anche ai fini dell’emissione di una sentenza potenzialmente suscettibile di definire il procedimento: come quella di non luogo a procedere (425), quella resa al termine del giudizio abbreviato (441). 46 Il senso della deviazione dal modello si apprezza guardando al modo di realizzazione del contraddittorio. Una garanzia più intensa (modello forte) vale nell’area dei procedimenti in cui è imposta la partecipazione necessaria del difensore della persona sottoposta alle indagini, dell’imputato o dell’interessato, nonché del pm. Vi si collocano l’udienza per l’incidente probatorio, l’udienza preliminare, le udienze dei procedimenti di esecuzione, l’udienza a consentire il proscioglimento prima del dibattimento. Per contro, vi sono ipotesi in cui il contraddittorio è assicurato ad un livello inferiore al modello del 127, assumendo forma meramente cartolare (modello debole). Tali sono il procedimento in cui il giudice autorizza senz’altro la proroga del termine delle indagini preliminari o il procedimento in cui la cassazione decide i ricorsi quando sussistano i presupposti del 611. Tale procedimento non deve essere sempre adottato allorché il giudice assume una deliberazione in camera di consiglio, infatti il 127 mette in risalto l’esistenza di due categorie: ci sono le forme da seguire quando si deve procedere in camera di consiglio, e dall’altra parte il caso in cui vi è l’adozione di un provvedimento “anche senza formalità di procedura”, come viene esplicitato nel comma 9 che sancisce l’inammissibilità dell’atto introduttivo del procedimento che emerga prima dell’inizio dell’udienza camerale. La distinzione serve per capire perché si configuri la categoria dei provvedimenti assunti de plano, cioè senza formalità. L’attuazione del contraddittorio è scandita dall’obbligo a pena di nullità, di dare avviso alle parti private nonché al pm, alle altre persone interessate ed ai difensori, avviso da notificarsi almeno 10 giorni liberi prima della data fissata per l’udienza, e di provvedere a nominare un difensore d’ufficio all’imputato che ne sia privo. Fino a 5 giorni prima dell’udienza possono presentarsi memorie in cancelleria. Il procedimento si svolge nel contesto spaziale e temporale dell’udienza. Non è ammessa in aula la presenza del pubblico, come puntualizzato dal comma 6 del 127. Anzitutto si compiono gli atti introduttivi volti ad accertare la regolare costituzione delle parti. Nei procedimenti davanti ad organi collegiali la relazione orale è svolta da uno dei componenti, previa designazione del presidente, in funzione della natura dialettica del procedimento. Il pm, gli altri destinatari dell’avviso ed i difensori sono sentiti, a pena di nullità, se compaiono, donde si ricava che non è prescritta la partecipazione necessaria del pm e del difensore, eccettuati alcuni casi (quelli del “modello forte” suddetto). Anche nei procedimenti in camera di consiglio vige il principio di immutabilità del giudice nel corso della trattazione o nella deliberazione, prevedendo nullità assoluta in caso di violazione. Il 127 poi si occupa della fase successiva alla decisione: si prevedono la forma del provvedimento finale (ordinanza), la sua comunicazione al pm e la notificazione alle parti private, alle persone interessate ed ai difensori, la ricorribilità per cassazione, nonché l’esclusione dell’effetto sospensivo: impregiudicato il potere del giudice di disporre diversamente con decreto motivato. La regola appare opposta a quella dettata in sede di disposizioni generali sulle impugnazioni dal 588, dove vi è pero una clausola di salvezza. In ordine ai procedimenti deliberati in camera di consiglio senza il procedimento descritto, il comma 9 considera solo quelli conseguenti all’inammissibilità dell’atto introduttivo, le cui cause sono individuate nel 591. Tramite il deposito, i provvedimenti emessi a seguito di procedimento in camera di consiglio o de plano entrano a far parte dell’ordinamento. Il 128 eccettua i provvedimenti emessi nell’udienza preliminare e nel dibattimento, che vengono pronunciati nel contesto dell’udienza. 47 Il secondo periodo del 130 comma 1-bis demanda poi, in caso di impugnazione, la correzione di quegli stessi errori materiali alla corte di cassazione, richiamando il 619 comma 2, cosi esentando il giudice di legittimità dal pronunciare una sentenza di annullamento con rinvio. I poteri coercitivi: I poteri coercitivi del giudice di cui si occupa il 131 assumono natura tipicamente amministrativa (polizia processuale). La norma non impone perciò l’osservanza di particolari formalità. Il giudice deve però avvalersi della polizia giudiziaria e solo se quest’ultima non sia in grado di provvedere, ricorrere alla forza pubblica. Ciò manifesta una tendenza (ex 109 cost) volta a valorizzare il legame tra autorità giudiziaria ed polizia giudiziaria. Tra gli atti manifestazione del potere coercitivo si colloca l’accompagnamento coattivo, ordine eseguibile anche con l’uso della forza (46 disp. att.). L’istituto si risolve in una restrizione della libertà personale resa necessaria dall’indispensabile acquisizione di un contributo probatorio, per questo non è collocato tra le misure coercitive personali, ma tra i provvedimenti del giudice e le attività espletabili dal pm (375, 376, 377). L’accompagnamento coattivo infatti può essere adottato anche per reati di minima entità per i quali non è consentita l’emissione di una misura coercitiva personale! (280). In sintesi, l’accompagnamento coattivo dovrebbe essere preceduto a seconda dei casi da un avviso notificato o da un decreto di citazione rimasti senza effetto; può essere disposto in sede di incidente probatorio (399) o nel dibattimento (490) con esclusione, pertanto, in forza della riserva assoluta di legge vigente in tema di restrizioni della libertà personale, dell’udienza preliminare, dove pur per regola non si assumono prove; suoi destinatari sono la persona sottoposta alle indagini, l’imputato e gli imputati in un procedimento connesso (210 comma 2, 513 comma 2); suo scopo l’assunzione di prove diverse dall’esame, eccezion fatta per l’esame di persona imputata in un procedimento connesso. Il decreto motivato di accompagnamento assume un’efficacia temporale predeterminata al fine di evitare che divenga una sorta di criptocustodia cautelare. Non solo non è consentito protrarre la messa a disposizione davanti al giudice oltre il compimento dell’atto previsto e di quelli consequenziali, ma se ne è stabilita la durata massima pari a 24 ore. (Ricordiamo che il provvedimento è assoggettabile a ricorso per cassazione, vedi 568 comma 2 ). La formula del 133 concernente l’accompagnamento coattivo dei testimoni, periti, persone sottoposte all’esame del perito diverse dall’imputato, consulenti tecnici, interpreti e dei custodi di cose sequestrate, contiene una specifica indicazione dei presupposti. Essi sono passibili di accompagnamento solo se, regolarmente citati o convocati, omettano di comparire nel luogo e nel tempo stabiliti senza addurre un legittimo impedimento: la medesima condizione vale pure per l’accompagnamento coattivo disposto dal pm (377). Le persone in discorso possono essere condannate ad una sanzione pecuniaria, nonché alle spese causate dalla mancata comparizione. I principi in materia di documentazione degli atti: La documentazione è l’attività attraverso cui un atto viene inserito e conservato nella sequenza procedimentale, affinché giudice e parti possano controllarne la regolarità ed averne memoria ai fini delle decisioni che si dovranno adottare in primo grado e, soprattutto, nei giudici di impugnazione. L’espressione è utilizzata per antonomasia per gli atti processuali la cui esternazione si realizza mediante dichiarazioni verbali e per quelli consistenti in operazioni. Solo in tali casi assume autonoma rilevanza l’attività intesa a documentarne l’avvenuta confezione. Sul piano soggettivo, l’autore dell’atto documentato non coincide con l’autore della documentazione: ma eccezioni sono ad esempio quelle delle annotazioni e dei verbali redatti dalla pg. Mentre sul piano oggettivo, 50 l’attività di documentazione produce come risultato un documento avente natura rappresentativa di un’entità distinta dalla propria materialità, consistente in un supporto cartaceo, magnetico ecc. Un sistema processuale in cui la formazione della prova avviene tendenzialmente in sede dibattimentale e, in particolare, in cui vige il metodo dell’esame incrociato, impone di servirsi di tecniche documentative diverse dalla redazione del verbale con caratteri comuni. Il cosiddetto verbale manuale non è mai in grado di fornire un completo risultato rappresentativo, e può anche nuocere alle accelerate cadenze e al dialogo reclamati dalla tecnica adottata per l’assunzione della prova orale. Perciò si è voluto aumentare la qualità della documentazione, con il supporto della evoluzione tecnologica. Attualmente devono considerarsi tipologie di documentazione le annotazioni, i verbali, le riproduzioni fonografiche ed audiovisive. Le modalità della documentazione: Il 134, dedicato alle singole modalità di documentazione, rappresenta la chiave di volta che sorregge l’intera costruzione della materia. Il comma 1 enuncia il principio generale per cui la documentazione degli atti del giudice si effettua mediante verbale. Esso da vita ad una narrazione di quanto avviene al cospetto del verbalizzante, redatta contestualmente al compimento dell’atto. La formula esclude che per tali atti valga quella modalità documentativa che si sostanzia nella semplice annotazione: essa è praticabile solo per gli atti del pm o della pg. Nonostante il sistema resti ancora ancorato all’esigenza che gli atti del giudice siano oggetto di verbalizzazione, questa modalità ne esce ridimensionata, con il codice che le assegna il compito di fornire non già una fonte di prova, ma soltanto di svolgere una funzione rappresentativa e conservativa degli atti che si compiono nel procedimento. Il verbale può essere redatto in forma riassuntiva o in forma integrale, e di solito la scelta è rimessa al giudice (a parte casi in cui si esige l’integrale). La scelta è indirizzata dal legislatore verso la forma riassuntiva “quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza ovvero quando si verifica una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici”. Nell’udienza preliminare di regola il verbale è riassuntivo, ma su richiesta di parte il giudice dispone la riproduzione fonografica o audiovisiva, ovvero la redazione del verbale con la stenotipia. Nell’elencare i mezzi di documentazione il codice pone sullo stesso piano la stenotipia o altro strumento meccanico, e in posizione subordinata la scrittura manuale, utilizzabile solo se sia impossibile il ricorso agli altri mezzi. Il comma 4 del 134 prevede che se le modalità di documentazione già considerate appaiono al giudice insufficienti, può essere aggiunta la riproduzione audiovisiva “se assolutamente indispensabile”. Nell’ambito di una manovra intesa a rafforzare il ruolo processuale dell’offeso, il d.lgs. 212/2015 incrementa l’impiego della riproduzione audiovisiva. Essa è consentita anche al di la del limite suddetto, per le dichiarazioni rese dalla persona offesa che versi in condizioni di particolare vulnerabilità secondo i parametri definitori forniti dal 90-quater. Il contenuto del verbale si sostanzia nei normali referenti topografici e cronologici, nella menzione delle generalità delle persone intervenute e nell’indicazione delle cause, se conosciute, della mancata presenta di coloro che sarebbero dovuti intervenire. L’ausiliario deve indicare quanto ha fatto o constatato, nonché quanto è avvenuto in sua presenza. Deve inoltre non solo menzionare le dichiarazioni ricevute da lui o da altro pubblico ufficiale, ma deve indicare in modo analitico tutti gli elementi che possano influire sulla credibilità delle dichiarazioni stesse, come la loro 51 spontaneità. Previa lettura del verbale, la firma viene apposta alla fine di ogni foglio da parte del pubblico ufficiale che lo ha redatto, dal giudice e dalle persone intervenute. Le trascrizioni e le riproduzioni: I nastri impressi con i caratteri della stenotipia sono trascritti in caratteri comuni ai sensi del 138 non oltre il giorno successivo a quello in cui sono stati formati, ma ormai c’è la possibilità di procedere ad una trascrizione simultanea mediante computer. Il verbale del dibattimento deve essere trascritto invece non oltre tre giorni dalla sua formazione. Le riproduzioni fonografiche e audiovisive sono in seguito trascritte, senza limiti di tempo, a cura del personale tecnico giudiziario. Vengono poi allegate al fascicolo del procedimento. Le cause di nullità relativa del verbale sono ridotte dall’articolo 142 all’incertezza assoluta sulle persone intervenute ed alla mancata sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale che ha redatto il verbale. Essendo il verbale un atto del procedimento, pure l’inosservanza delle prescrizioni dettate dal 109 commi 1 e 2 produce nullità. La documentazione dell’interrogatorio del detenuto: Per la documentazione dell’interrogatorio svoltosi fuori udienza, di chi sia in stato di detenzione, è prevista la documentazione integrale con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Consideriamo il 141-bis. Tre sono le condizioni perché scatti la disciplina speciale: anzitutto il riferimento all’interrogatorio include varie ipotesi come l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, e quello dell’imputato in un procedimento per reato connesso o collegato. Stante poi il limite semantico, la norma non opera per le dichiarazioni introdotte a diverso titolo: si pensi alle informazioni assunte da persone informate dei fatti per cui si procede. Infatti, ed ecco la seconda condizione, l’interrogato deve essere a qualsiasi titolo, in stato di detenzione. Infine, la norma non vale per gli interrogatori assunti nel contesto spaziale e temporale dell’udienza: esclusi pertanto quelli svoltisi in sede di convalida dell’arresto in flagranza o del fermo o nell’udienza preliminare. La circostanza che la presenza del difensore si atteggi come indefettibile nel contesto dell’udienza aiuta ad illuminare la ratio della norma. Diciamo che possiamo intendere il 141-bis come una previsione volta a rafforzare la determinazione della persona sottoposta ad interrogatorio ad avvalersi della facoltà di non rispondere, in situazioni in cui il suo esercizio, già indebolito per la soggezione psicologica conseguente alla compressione della libertà personale, potrebbe essere esposto a sollecitazioni allorquando il difensore non sia presente. Ovviamente sono anche tutelati i soggetti coinvolti dalle dichiarazioni dell’imputato in quel procedimento. Sussistendo i presupposti dunque nasce il vincolo a disporre la riproduzione fonografica o audiovisiva integrale, cioè per intero e senza interruzioni. Essendo la scelta tra le due rimessa all’organo procedente, risulta superato il canone circa la mera funzione aggiuntiva esplicata dalla funzione audiovisiva. La trascrizione non è obbligatoria, ma avviene solo su richiesta di ciascuna parte o del giudice. È prevista la inutilizzabilità per la mancata documentazione integrale, poiché l’attività diretta a documentare l’atto funge qui da condizione di validità del relativo contenuto. Per il suo carattere oggettivo ed assoluto, l’inutilizzabilità prevista dal 141-bis copre ogni impiego dell’interrogatorio: non solo in sede dibattimentale, ma anche nei riti alternativi al processo ordinario, ovvero ai fini dell’adozione di una misura cautelare. 52 (Il tema dell’abuso del processo inteso come impiego pretestuoso e pregiudizievole, sebbene formalmente legittimo, dei poteri assegnati alle parti dalla legge, è stato risolto nel senso che esso costituisca un vizio, per sviamento, della funzione del processo, ovvero in una frode alla funzione medesima che si realizza allorché un diritto o una facoltà processuale sono esercitati per scopi diversi da quelli per i quali l’ordinamento processuale astrattamente li riconosce all’imputato.) Dato che le nullità formano un sistema chiuso, al di fuori delle ipotesi esplicitamente definite o implicitamente definibili non vi sono spazi residui per questa specie di invalidità. Tra le nullità non sono inquadrabili gli errores in iudicando, vale a dire quei vizi dei provvedimenti del giudice che investono la legge sostanziale, elevati dal 606 comma 1 ad autonomo motivo di ricorso per cassazione. Comunque essi entrano a far parte della teoria dell’invalidità. Le restanti difformità dallo schema tipico, escluse ovviamente le specifiche ipotesi di inammissibilità e di inutilizzabilità non possono che essere riportate alla tipologia della mera irregolarità, produttiva, tutt’al più, di conseguenze di natura disciplinare ex 124, o ricavabili da altri rami dell’ordinamento, come quello penale, civile, o tributario. Poi occorre considerare la specie più grave di invalidità e cioè la inesistenza giuridica. Essa comprende quei vizi tanto macroscopici da indurre il legislatore a non ipotizzarne neppure l’eventualità e l’interprete a negarne la collocazione nell’ambito degli atti giuridici. Essa genera poi un vizio rilevabile non solo in ogni stato e grado del procedimento, ma anche oltre, mediante una semplice azione di accertamento, in quanto la gravità del vizio è tale da impedire la formazione del giudicato. Su un piano concettuale distinto dall’inesistenza si colloca l’abnormità dei provvedimenti del giudice. Qui l’atto è idoneo ad integrare lo schema normativo minimo benché so caratterizzi per il suo contenuto del tutto estemporaneo: valga l’esempio relativo ad un provvedimento del giudice per le indagini preliminari che, rigettando la richiesta di archiviazione, ordini ex 409 comma 5, al pm di formulare l’imputazione per un reato diverso da quello oggetto della richiesta. Non contrasta con il principio di tassatività il fatto che talune nullità, in luogo di essere di volta in volta stabilite, siano ricavabili da una disposizione generale che rinvia ad una serie di fattispecie altrove disciplinate. Il 178 è dedicato alle nullità di ordine generale. In tale classe figura l’inosservanza di una serie di disposizioni che concernono il giudice, il pm, l’imputato, le altre parti private, i loro difensori e rappresentanti, nonché la citazione a giudizio della persona offesa dal reato e del querelante. Il 178 adempie anche alla funzione di porre le premesse affinché, all’interno delle nullità generali, possano distinguersi due sottocategorie assoggettate dagli articoli 179 e 180 a trattamenti diversi. Alle nullità di ordine generale si contrappongono quelle speciali, perché stabilite da un’apposita previsione legislativa, la quale può essere contenuta tanto nel corpo della stessa fattispecie quanto in altre. Trattandosi di una categoria costruita in via residuale, il legislatore non può, per definizione, occuparsene in sede di previsione generale, ma solo in sede di trattamento. Tuttavia, ad evitare che le reciproche interferenze tra tecniche di previsione e regole di trattamento ingenerino difficoltà negli interpreti, si è avvertita l’esigenza di precisare che non sempre la previsione in maniera specifica comporta, di per se, il regime consueto delle nullità speciali, come lascia chiaramente intendere il dettato del 179 comma 2. In sintesi, quando si parla di nullità 55 generali e speciali si allude alla differente tecnica di previsione (cioè di comminatoria) adottata dal legislatore. Quando invece si parla di nullità assolute o di nullità intermedie, ed ancora di nullità relative, si allude al trattamento previsto dalla legge per le diverse specie di nullità. Le nullità assolute: Le nullità che la rubrica del 179 designa come assolute si caratterizzano per l’insanabilità. A ben vedere, l’insuscettibilità a divenire oggetto di sanatoria non è carattere indefettibile delle nullità assolute. Anch’esse continuano ad essere sottoposte alla forza preclusiva del giudicato, o più esattamente della irrevocabilità della sentenza (648), nonché dell’immutabilità dell’ordinanza o del decreto che chiude il procedimento. Non solo, il codice annovera in modo esplicito almeno un caso in cui una sanatoria opera in un momento anteriore: dal 627 comma 4 si apprende che non sono rilevabili nel giudizio di rinvio le nullità assolute verificatesi anteriormente, in forza del cosiddetto giudicato implicito (quindi è come se venissero di fatto sanate ecco). Deve, pertanto, concludersi che ciò che distingue le nullità assolute da tutte le altre è il normale regime di insanabilità fino all’irrevocabilità del giudicato. Il secondo attributo menzionato dal 179 consiste nella rilevabilità ex officio da parte del giudice in ogni stato e grado del procedimento. Non è pero nota caratterizzante, poiché comune pure alle nullità a regime intermedio nonché ad alcune nullità relative. Per quanto riguarda il giudice, l’area delle nullità assolute si sovrappone per intero a quella delle nullità di ordine generale, stante il rinvio integrale del 178 comma 1. È pertanto causa di nullità assoluta l’inosservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice ed il numero dei giudici necessario a costituire i collegi giudicanti. Non sono riconducibili a tale ambito invece i vizi concernenti la nomina del giudice, ove non rientranti nell’ambito della capacità. Per quanto riguarda la figura del pm, tra le nullità di ordine generale sono assolute solo quelle concernenti l’iniziativa del medesimo nell’esercizio dell’azione penale. Si annoverano quindi le violazioni delle disposizioni concernenti l’atto di promuovimento dell’azione penale, facendo riferimento sia alla sua mancanza che alla sua invalidità. Soccorre al riguardo l’elenco fornito dal 405 ma occorre anche aggiungere l’ipotesi della imputazione coatta e della contestazione in udienza del reato connesso o del fatto nuovo. Pertanto, si configura una nullità assoluta quando il giudice decide sul fatto nuovo emerso nell’udienza preliminare o nel corso dell’istruzione dibattimentale senza che lo stesso sia stato formalmente contestato dal pm, oppure quando il fatto storico descritto nell’imputazione viene sostituito con un altro fatto. Ancora, si collocano nell’ambito delle nullità assolute le violazioni delle disposizioni sulla capacità e sulla legittimazione del rappresentante del pm, purché si riflettano sulla sua iniziativa nell’esercizio dell’azione penale. Si può menzionare il caso delle funzioni dell’accusa esercitate da chi non appartiene all’ufficio del pm, o il promuovimento dell’azione davanti ad un giudice diverso da quello presso cui l’ufficio del pm è istituito. Per ciò che riguarda l’imputato e il suo difensore, la disciplina mira a presidiare le numerose sedi del contraddittorio indefettibile. L’intervento dell’imputato è garantito nei confronti delle nullità che derivano dall’omessa o invalida citazione al dibattimento di primo grado (429 comma 4, 465 comma 2), ancorché tenuto a seguito di giudizio direttissimo instaurato nei confronti di imputato libero o di giudizio immediato, ed al dibattimento di secondo grado. La protezione della vocatio in iudicium investe tutti gli atti che compongono tale fattispecie complessa recettizia, ivi compresa la 56 notificazione. È stata anche rilevata una nullità assoluta nell’omessa notifica all’imputato dell’avviso della fissazione dell’udienza preliminare di cui al 419. Quanto al difensore dell’imputato, è presidiata da nullità assoluta non solo l’assenza dal dibattimento di primo e di secondo grado, cosi da ribadire l’indefettibilità dell’assistenza tecnica nel giudizio di merito, ma pure ogni altra ipotesi rispetto alla quale ne sia dichiarata obbligatoria la presenza. Si collocano in tale ambito l’assenza del difensore dall’interrogatorio di persona sottoposta a misura cautelare personale; dalle sommarie informazioni che la pg assume dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini; dall’interrogatorio e dal confronto, delegati dal pm alla pg, cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà; dall’udienza di convalida dell’arresto in flagranza o del fermo di indiziati; dall’udienza destinata allo svolgimento dell’incidente probatorio. Il comma 2 del 179 riconosce poi l’esistenza di nullità a previsione speciale definite espressamente come assolute. L’esempio è fornito dal 525 comma 2 dov’è stabilito, con riguardo al principio di immediatezza del giudizio, che alla deliberazione della sentenza debbono concorrere gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. Anche se questa precisazione appare superflua dal momento che soccorrerebbe la formula imperniata sulle condizioni di capacità del giudice che, in ogni caso, determinerebbe la riconduzione dell’ipotesi nell’alveo delle nullità assolute. Le nullità intermedie: Il regime delle nullità intermedie è dettato dal 180. Il relativo trattamento si situa in posizione mediana tra quello delle nullità assolute e quello delle nullità relative. Al pari delle prime, sono rilevabili anche ex officio, mentre al pari delle seconde risultano sanabili in un momento anteriore all’irrevocabilità della sentenza, seppure in forza di termini meno contenuti. A queste ultime vanno anche accostate in tema di operatività delle cause generali di sanatoria. Esse non possono essere ne rilevate dal giudice ne dedotte dalle parti, se verificatesi prima del giudizio, dopo la deliberazione della sentenza di primo grado o, se verificatesi in giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo. Eccezion fatta per le nullità che si riferiscono al giudice, per intero assorbite nella classe delle nullità assolute, l’area delle nullità intermedie si ricava per sottrazione dell’area dalle nullità assolute ex 179 comma 1 e dalla più ampia area delle nullità generali ex 178. In esse figurano anzitutto l’inosservanza delle disposizioni circa la partecipazione del pm al procedimento, sempre che tale attività non sia inquadrabile in quella di iniziativa nell’esercizio dell’azione penale. La norma si riferisce in primo luogo all’attività di prosecuzione dell’azione, sicché, ad esempio, appare inficiata da nullità intermedia l’inosservanza delle disposizioni circa la modifica dell’imputazione nell’udienza preliminare o nel dibattimento, ovvero circa l’applicazione della pena a richiesta, la dove si prevede il necessario consenso del pm. In secondo luogo, essa si attaglia a tutti quegli interventi in cui si risolve il contributo dialettico del pm al procedimento (ivi compresa la fase delle indagini preliminari, ad esempio in rapporto all’incidente probatorio): come può dirsi per le conclusioni che gli competono nell’udienza preliminare, o nel dibattimento di primo e di secondo grado, ovvero nel giudizio di cassazione. È facile cogliere la diversa posizione del pm rispetto a quella del difensore dell’imputato. L’assenza del pm in relazione a sequenze procedimentali in cui la sua presenza è indefettibile genera, infatti, 57 Da segnalare la sanatoria per acquiescenza introdotta dalla legge 103/2017, che fa discendere dalla richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare, la sanatoria delle nullità relative e delle nullità a regime intermedio. La stessa regole vale nel caso in cui la richiesta di questo rito sia presentata entro 15 giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato. Alla seconda figura di sanatoria si riferiscono, invece, i casi in cui la parte si sia avvalsa della facoltà al cui esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato, formula che ha inteso disegnare con maggior concretezza la tradizionale sanatoria per il raggiungimento dello scopo rispetto a tutti gli interessati. La clausola di salvezza posta all’inizio del 183 esclude che le sanatorie generali operino nei confronti delle nullità assolute che il 179 dichiara espressamente insanabili. Per contro, non è dubbio che esse valgono, oltre che per le nullità relative, anche per quelle a regime intermedio, perché collocate anch’esse in una disposizione autonoma (180). La sanatoria speciale prevista dal 184 scatta nei confronti del pm, delle parti private e dei loro difensori in ordine alla nullità di una citazione o di un avviso, nonché delle relative comunicazioni e notificazioni. La comparizione deve essere personale, sicché quella del difensore non funge da sanatoria rispetto all’imputato, ne valgono presunzioni di alcun genere; inoltre, deve essere volontaria, sicché non opera come causa di sanatoria l’accompagnamento coattivo (132). In ogni caso la comparizione opera come sanatoria, ancorché la parte non abbia consapevolezza del vizio o non sia intenzionata a sanarlo. Secondo una regola tradizionale, la parte (ivi compreso il pm) che dichiari di essere comparsa con l’unico intento di far valere l’irregolarità non impedisce il verificarsi della sanatoria, ma ha diritto ad un termine a difesa non inferiore a 5 giorni. Per la sola citazione a comparire al dibattimento il 184 comma 3 precisa poi, attesa l’importanza dell’atto e quindi la gravità del vizio, che il termine a difesa non può essere inferiore a 20 giorni, pari cioè a quello contemplato in via ordinaria dal 429 per il giudizio davanti al tribunale o la corte d’assise. Questo nuovo termine dilatorio parrebbe valere altresì per il giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica. Gli effetti della dichiarazione di nullità: Una volta escluso che ricorrano limiti all’eccezione o alla deduzione della nullità ovvero che si siano verificate cause di sanatoria, il giudice deve dichiarare la nullità dell’atto. Gli effetti della dichiarazione di nullità sono disciplinati, sotto un triplice profilo, dal 185 che li colloca in successione logica. La nullità di un atto comporta anzitutto l’invalidità di quelli consecutivi che dipendono da esso (diffusione dell’invalidità), (articolo 185): di qui il concetto di nullità derivata, che si trasmette nello stesso tipo di quella anteriore. In ogni caso la propagazione si riferisce solo ad un rapporto di successione cronologica, tale da tradursi in un nesso di causalità necessaria o sul piano logico (la sentenza è viziata da nullità perché fondata in via esclusiva su una prova nulla, mentre tra le singole prove esiste soltanto un nesso a livello psicologico), ovvero sul piano giuridico (l’atto successivo è nullo perché è nullo quello che ne costituisce il presupposto). È poi esclusa l’eventualità di una propagazione a ritroso degli effetti della dichiarazione di nullità ad un atto anteriore o contemporaneo. Il giudice che dichiara la nullità dispone, ecco il secondo profilo, la rinnovazione dell’atto soltanto qualora essa sia necessaria (il che non accade quando l’atto viziato di nullità assoluta abbia egualmente raggiunto il suo scopo) e possibile (il che non si verifica nei confronti di atti ab origine non reiterabili). La rinnovazione diviene invece sempre obbligatoria per gli atti aventi natura propulsiva. Quando si procede alla rinnovazione, il giudice ne pone le spese a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave (185 comma 2). Se la nullità è dichiarata in uno stato o grado diverso da quello 60 in cui la stessa si è verificata, il codice opera una distinzione. La dichiarazione di nullità comporta, indipendentemente dalla tipologia della nullità in gioco, la regressione del procedimento allo stato e grado in cui è stato compiuto l’atto nullo, purché si tratti di un atto di natura non probatoria. Però questo obiettivo di reintegrare le parti nella posizione in cui si trovavano non è sempre perseguito per ragioni di economia processuale, come dimostra la clausola di salvezza del 185 comma 3: le ipotesi derogatorie più cospicue sono delineate dal 604 in rapporto ai poteri del giudice d’appello, sensibilmente ampliati in materia. Se, invece, si tratta di nullità concernenti le prove, il giudice non può avvalersi della regressione (185 comma 4), ma deve provvedere, ai sensi del comma 2, alla rinnovazione, sempre che ciò sia necessario ai fini della decisione e la prova sia ripetibile. Ovviamente il disegno di realizzare una economia processuale (avvertibile anche nella linea di tendenza che riconosce efficacia alle prove acquisite dal giudice incompetente) non può mai operare nel giudizio di cassazione: i limiti istituzionali propri del giudizio di legittimità impongono di far luogo all’annullamento con rinvio (623). ——— 61 CAPITOLO 3: PROVE Premessa. Le scelte sistematiche nella disciplina delle prove: L’intero libro III è dedicato alla tematica delle prove, con la disciplina dei mezzi di prova e dei mezzi di ricerca della prova, dopo un esordio dedicato alle disposizioni generali sulla materia. L’idea di racchiudere in un unico contesto normativo la disciplina delle prove corrisponde ad una duplice esigenza: sottolineare la centralità del tema e ripudiare l’impostazione frammentaria cui erano ispirati i codici pre-vigenti. Si è voluto inoltre ripristinare il principio di legalità sull’intera disciplina della prova. Particolare interesse a riguardo rivestono le disposizioni generali da cui scaturisce un catalogo dei principi-guida da osservarsi in materia probatoria, destinati a trovare applicazione ogniqualvolta nel corso del processo si ponga un problema di prova di fatti rilevanti ai fini della decisione. Segue: il problema della sfera di incidenza della normativa contenuta nel libro sulle prove: Fermo restando che il libro III non è l’unico luogo del codice dove siano ospitate delle norme sulla prova, ci si deve domandare se le disposizioni in esso contenute possano o debbano trovare applicazione anche al di la delle aree processuali tecnicamente destinate alla formazione della prova: quali sono, in particolare, la fase del dibattimento e quella di svolgimento dell’incidente probatorio. Non si vede per esempio come potrebbe sostenersi che le norme del libro sulle prove non debbano applicarsi nelle fasi anteriori al dibattimento, con riferimento ai diversi momenti in cui è previsto l’intervento del giudice, in funzione di organo di garanzia, o di organo di decisione, anche nel merito. Riferendoci cioè alla attività del giudice in sede di udienza preliminare, sembra fuori dubbio che il medesimo giudice debba attenersi, di regola, alle norme sancite nel libro III, fermi ovviamente i limiti risultanti da specifiche previsioni di natura derogatoria. La conclusione non può essere diversa anche riguardo alle ipotesi in cui il giudice sia chiamato ad intervenire, nel corso delle indagini preliminari, nell’adempimento del suo tipico compito di garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali: ad esempio essendogli richiesta l’adozione di un provvedimento in tema di coercizione personale (291), ovvero in tema di intercettazioni telefoniche (267). Si deve ritenere che il giudice per le indagini preliminari qui possa utilizzare alla base del proprio provvedimento soltanto gli elementi probatori (fornitigli a supporto delle relative richieste) il cui impiego non sia incoerente con la corrispondente disciplina stabilita in materie di prove. Più delicato è il discorso per quanto concerne l’operatività delle disposizioni sulle prove rispetto alle indagini preliminari svolte dal pm: sia a causa della loro ordinaria inidoneità a conseguire risultati utilizzabili come prova in sede dibattimentale, sia a causa della stessa scelta legislativa di adottare per molti di tali atti di indagine una terminologia diversa rispetto ai corrispondenti atti compiuti di fronte al giudice, proprio al fine di sottolinearne la differente rilevanza probatoria. Ciò non significa che il pm o gli organi di pg si trovino senza alcun obbligo di osservanza almeno dei principi di fondo dettati sul terreno probatorio. Ciò perché in primis vi sono determinati atti del pm o della pg per loro natura destinati ad essere inseriti nel fascicolo del dibattimento e quindi ad essere acquisiti con il valore di prova in tale sede e altri atti che il medesimo valore possono assumere per effetto del verificarsi di determinate circostanze, o in conseguenza del loro impiego per le contestazioni dibattimentali, ovvero a seguito dei relativi verbali, in presenza di particolari situazioni, o ancora in forza di accordo intervenuto tra le parti. Inoltre perché dipende in definitiva dal consenso delle parti che tutti gli atti di indagine preliminare compiuti dal pm e dalla pg possano venire utilizzati come prove alla base di una 62 Diritto alla prova e criteri di ammissione: Viene riconosciuto alle parti un vero e proprio diritto alla prova, manifestazione del diritto di difesa. Lungo questa linea, capovolgendo la logica inquisitoria ispirata dall’idea della iniziativa officiosa del giudice in materia di prove, e relegando nei confini delle eccezioni stabilite dalla legge i casi in cui le prove sono ammesse d’ufficio, il 190 non esita ad affermare il principio, di impronta accusatoria, per cui le prove sono ammesse su richiesta di parte, e su tale base impone al giudice di provvedere senza ritardo con ordinanza alla delibazione di ammissibilità che gli è demandata. Emerge cosi il duplice livello sul quale si articola il diritto alla prova riconosciuto alle parti. In primo luogo come diritto di richiedere l’ammissione di determinate prove, espressivo di un potere di disponibilità in ordine all’intera gamma delle prove ammissibili, salve le ipotesi in cui ai sensi del 190 comma 2 è consentito al giudice un intervento ex officio: ciò che ovviamente si traduce in un onere di iniziativa al fine dell’acquisizione al processo delle stesse. In secondo luogo, una volta adempiuto a tale onere, come diritto ad ottenere la prova richiesta, entro i limiti in cui la medesima possa venire ammessa o comunque ad ottenere una tempestiva pronuncia sulla richiesta ritualmente formulata. Tra le concrete specificazioni del diritto alla prova cosi riconosciuto alle parti, si deve ricordare l’esplicita attribuzione all’imputato del diritto ad ottenere l’ammissione delle prove a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, ed al pubblico ministero del corrispondente diritto in ordine alle prove a carico sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico. Particolare risalto viene dunque dato al diritto alla contro-prova, tipica espressione della dialettica del contraddittorio, tanto da configurare anche uno specifico motivo di ricorso per cassazione con riferimento alla mancata assunzione di una prova decisiva, allorché la stessa sia stata richiesta dalla parte, anche nel corso dell’istruzione dibattimentale, a norma del 495 comma 2. Per quanto concerne i criteri della pronuncia sulla ammissibilità della prova, il giudice risulta vincolato ad un duplice ordine di parametri, ai fini del giudizio che gli compete (190) e che rappresenta un punto di passaggio obbligato in vista della successiva acquisizione della prova stessa. Da un lato il giudice dovrà escludere anzitutto le prove vietate dalla legge, cioè quelle per le quali esista un espresso divieto in ordine all’oggetto o al soggetto della prova, ovvero in ordine alla procedura di acquisizione probatoria. D’altro lato, il giudice dovrà escludere le prove che risultino in concreto, e manifestamente, superflue o irrilevanti. A tal proposito, mentre la verifica sulla rilevanza della prova si risolve in un giudizio circa la sua riconducibilità all’ambito oggettivo delineato dal 187, la successiva verifica sulla non superfluità comporta un giudizio sulla potenziale utilità della stessa, e sulla sua attitudine a contribuire in termini positivi all’arricchimento della piattaforma su cui dovrà formarsi il convincimento del giudice. Rispetto alla disciplina ordinaria di ammissione della prova presenta carattere derogatorio la norma del 190-bis comma 1, destinata ad operare nei procedimenti per i delitti di criminalità organizzata indicati nel 51 comma 3-bis. Nel corso di tali procedimento, quando sia richiesto l’esame di un testimone o di uno dei soggetti di cui al 120, i quali abbiano già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o dibattimento, purché nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime dovranno essere utilizzate, ovvero, all’interno di altro procedimento, abbiano reso dichiarazioni i cui verbali siano stati acquisiti ai sensi del 238, l’esame di tali soggetti è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni, ovvero quando il giudice o una delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze. Questa disciplina viene estesa anche nei processi per i gravi delitti di natura 65 sessuale, nonché, in ogni caso, quando l’esame testimoniale richiesto riguardi una persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità. Ciò risponde ad esigenza di tutela delle persone da esaminare di fronte al pericolo dell’usura psicologica. È per questo che la disciplina subordina il potere del giudice di ammettere o non ammettere la rinnovazione dell’esame dei soggetti in questione all’accertamento di un presupposto ben definito (effettiva diversità dei fatti o circostanze indicati come tema della prova), o comunque ad una valutazione di necessità, che non potrà non essere legata alla verifica di “specifiche esigenze” nascenti da incompletezze o lacune del quadro probatorio già acquisito. E questa valutazione deve riservarsi sempre al giudice. Infine, va detto che i principi espressi nel 190 sono applicabili nell’intero arco del procedimento, e quindi anche nelle fasi anteriori al dibattimento, beninteso entro i limiti di compatibilità con tali fasi della tematica che vi è disciplinata. Si deve aggiungere che proprio in rapporto alla fase dibattimentale sono previste le più vistose eccezioni al principio dell’iniziativa di parte sul terreno probatorio, accanto a quelle stabilite in via generale nell’ambito della regolamentazione di singoli mezzi di prova. Ci si riferisce alle diverse ipotesi in cui il codice configura determinati poteri di iniziativa probatoria come esperibili ex officio. Prove illegittimamente acquisite e sanzione di inutilizzabilità: Sempre nell’ottica di tutela del principio di legalità si colloca la regola che sancisce la non utilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, cioè ammesse o assunte in violazione dei divieti stabiliti dalla legge (191). Si parla delle prove acquisite contra legem: cioè nella inosservanza di un divieto concernente il momento della loro acquisizione, ovvero prima ancora della loro ammissione, ivi compresi i divieti dettati con riferimento all’acquisizione di elementi probatori nel corso delle indagini preliminari. Assume cosi risalto la categoria della inutilizzabilità intesa come vizio e come sanzione processuale predisposta in via generale nel caso di violazione dei divieti probatori risultanti ex lege. Per quanto riguarda il regime di rilevabilità del vizio, contrariamente a quanto accade nella maggior parte dei casi di nullità, non ammette sanatorie, essendo modellato sullo schema del regime previsto per le nullità assolute (179). La inutilizzabilità della prova è infatti rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento (191 comma 2), quindi pure nell’ambito del giudizio di cassazione: infatti tra i motivi a fondamento del relativo ricorso è stato annoverato anche quello concernente la inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità (606). Quanto alla sfera di operatività della sanzione prevista dal 191, essa va individuata avendo riguardo ad ogni ipotesi di inosservanza di un divieto sancito dalla legge processuale, per via diretta o indiretta, in materia di ammissione ovvero di acquisizione probatoria, ivi comprese le ipotesi in cui il divieto, per sua natura, possa emergere soltanto ex post rispetto al momento acquisitivo, e quindi si concreti esclusivamente nel momento di valutazione della prova. Il disposto del 191 si configura come norma generale di previsione della sanzione di non utilizzabilità, destinata a combinarsi con tutte le svariate disposizioni che, pur sancendo un divieto probatorio (cioè divieto di ingresso della prova nel processo) non prevedono alcun riflesso sanzionatorio per l’ipotesi della sua trasgressione. Dall’altro lato (comma 2), come norma generale di riferimento per il regime normativo del vizio della inutilizzabilità, che si applica tutte le volte in cui singole disposizioni dichiarino inutilizzabili determinati atti probatori, oltreché nel caso in cui venga esplicitamente richiamata (esempio 729). 66 La sanzione della inutilizzabilità opera nei confronti di tutte le prove acquisite contra legem cioè nella inosservanza di un divieto di ammissione o acquisizione, come quelle acquisite senza essere state ritualmente ammesse, ovvero ammesse d’ufficio al di fuori dei casi stabiliti dalla legge (190); ed ancora di quelle ammesse senza il rispetto di criteri generali a tal fine legislativamente predeterminati. Il comma 2-bis del 191 aggiunto nel 2017 prevede uno specifico caso di inutilizzabilità per le dichiarazioni o informazioni ottenute mediante delitto di tortura. Valutazione della prova e regole di convincimento del giudice: Vi è dedicato il 192, che ribadisce il principio del libero convincimento del giudice. Tale principio viene affermato con esclusivo riferimento al momento della valutazione della prova, non anche a momenti anteriori del procedimento probatorio: per cui parliamo di una valutazione che può avere ad oggetto soltanto l’area delle prove legittimamente ammesse ed acquisite, dunque utilizzabili. Questa esigenza di legalità circa il momento valutativo della prova trova la sua conferma nella previsione del necessario raccordo tra le valutazioni operate dal giudice, ai fini del proprio convincimento, e la motivazione dei provvedimenti che ne siano derivati, nella quale dovrà essere dato conto sia dei risultati acquisiti sia dei criteri adottati (192). Come dire che l’obbligo di motivazione dei provvedimenti, se da un lato rappresenta un limite intrinseco alla libertà di convincimento del giudice, dall’altro si configura quale premessa logica imprescindibile per l’esercizio del successivo controllo sulle linee di formazione di quel convincimento. Il giudice dovrà quindi ricostruire in concreto il percorso logico-conoscitivo che lo abbia condotto ad apprezzare in un certo modo le prove disponibili ed a trarne determinate conclusioni: anzitutto per la propria consapevolezza, ma anche per gli eventuali riscontri da parte del giudice d’impugnazione. All’interno della motivazione non solo dovranno essere indicati i criteri di valutazione della prova adottati, ma dovranno essere altresì enunciate le ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie (546). Oltre al limite razionale derivante dall’obbligo della motivazione, il principio del libero convincimento del giudice incontra tuttavia anche alcuni limiti di tipo normativo, a parte la dichiarata irrilevanza degli sbarramenti probatori stabiliti dalle leggi civili (non penali), con l’unica eccezione per quelli concernenti lo stato di famiglia e di cittadinanza (193). Più precisamente, è lo stesso 192 ad enunciare due specifiche regole di giudizio, volte a circoscrivere la sfera di libero apprezzamento probatorio. In primis, si esclude che a tal fine possano essere utilizzati elementi di natura soltanto indiziaria, a meno che i medesimi possano qualificarsi come gravi, precisi e concordanti, secondo la tradizionale formula mutuata dalla disciplina civilistica delle presunzioni (2729 cc). Quando si accertino questi caratteri, allora gli indizi assumo valenza di prova, e sono idonei a integrare la piattaforma di convincimento, da cui può essere desunta l’esistenza di un fatto (192 comma 2). In secondo luogo, ma questa volta con riferimento alla situazione dei coimputati del medesimo reato, ovvero degli imputati in un procedimento connesso a norma del 12, si stabilisce che le dichiarazioni, di natura sostanzialmente testimoniale, provenienti da una di tali persone non possano venire valutate ex se, ma debbano sempre esserlo unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità (192 comma 3). E lo stesso vale anche nei confronti delle dichiarazioni rese dall’imputato di un reato collegato a quello per cui si procede, nell’ipotesi di collegamento probatorio ai sensi del 371 comma 2; nonché nei confronti delle dichiarazioni rese dall’imputato che abbia assunto l’ufficio di testimone, per effetto del disposto ex 197-bis comma ultimo. 67 segreto d’ufficio (201), senza dubbio comprensivo anche del segreto di Stato, sempreché le medesime persone non abbiano deposto sugli stessi fatti, o non li abbiano altrimenti divulgati, manifestando una scelta incompatibile con il mantenimento del vincolo di segretezza. Il codice poi si sofferma sulla disciplina delle incompatibilità con l’ufficio di testimone (197) ed in particolare sulle ipotesi di incompatibilità a testimoniare dell’imputato. Questa disciplina trova la sua premessa negli avvertimenti preliminari che a norma del 64 comma 3 devono essere dati ad ogni persona sottoposta ad indagine (come pure ad ogni imputato) in sede di interrogatorio, nonché nelle conseguenze che il successivo comma 3-bis fa discendere dalla violazione della relativa previsione, articolata su un triplice livello. Alla luce del contenuto degli avvertimenti previsti dal comma 3 del 64 acquistano significato le modifiche introdotte al 197 lett. a e b in materia di incompatibilità dell’imputato a deporre come testimone e la correlata procedura di testimonianza assistita disciplinata ex novo dal 197-bis con riguardo alle ipotesi in cui l’imputato possa assumere il ruolo di testimone, ovviamente in rapporto al fatto altrui. In particolare, per quanto concerne l’area dell’incompatibilità, essa risulta oggi circoscritta in termini assoluti alla situazione di chi sia coimputato del medesimo reato o imputato in un procedimento connesso a norma del 12 comma 1 lettera a, sempreché nei suoi confronti già non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, ovvero sentenza irrevocabile di condanna o di applicazione della pena ai sensi del 444. A questa ipotesi di incompatibilità assoluta a testimoniare dell’imputato, si affianca nella successiva lettera b un’ulteriore ipotesi ad essa speculare, con riferimento alla situazione di chi sia imputato in un procedimento connesso ai sensi del 12 comma 1 lettera c, ovvero di un reato collegato a norma del 371 comma 2 lettera b, naturalmente sempre che nei suoi confronti non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi del 444. Sennonché tale ulteriore ipotesi di incompatibilità risulta temperata dalla clausola di esordio della stessa lettera b del 197, che fa salvo quanto previsto dal 64 comma 3 lettera c. Se ne desume che quest’ultima causa di incompatibilità non opera allorché si realizzino le circostanze descritte nel medesimo 64 comma 3 lett. c, dopo che all’imputato dichiarante sia stato dato il relativo avvertimento. In eventualità del genere gli imputati cui si riferisce il 197 lett. b assumono il ruolo di testimone in ordine ai fatti concernenti la responsabilità di altri che siano stati oggetto delle proprie precedenti dichiarazioni. Non cosi, invece, gli imputati cui allude la lett. a dello stesso 197, come si ricava anche dal 64 comma 3 lett. c ai quali è riservata la disciplina del 210. Tutto ciò trova conferma nel 197-bis, destinato a disciplinare la posizione delle persone che rivestendo o avendo rivestito la qualifica di imputato in un procedimento connesso o collegato, nondimeno possono ricoprire l’ufficio di testimone (ferme le incompatibilità sancite dal 197). Tali sono in primis tutti gli imputati che si trovano nelle situazioni descritte dal 197 lett. a e b, allorquando nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento ovvero sentenza irrevocabile di condanna, ivi compresa la sentenza di patteggiamento ex 444. 70 Tali sono, in secondo luogo, tutti gli imputati in un procedimento connesso ai sensi del 12 comma 1 lett. c o di un reato collegato a norma del 371 comma 2 lett. b, i quali in sede di interrogatorio abbiano reso dichiarazioni concernenti l’altrui responsabilità, essendo stati ritualmente pre-avvertiti ex 64 comma 3 lett. c circa le conseguenze del rilascio di simili dichiarazioni proprio in ordine all’assunzione, da parte degli stessi, dell’ufficio testimoniale. Le previsioni contenute nel 1 e 2 comma del 197-bis definiscono dunque l’ambito soggettivo degli imputati destinatari della particolare disciplina ivi delineata, con riferimento alle ipotesi in cui gli stessi assumano l’ufficio di testimone. Un testimone che è tale a tutti gli effetti, e rispetto al quale dovranno perciò osservarsi i comuni adempimenti relativi all’introduzione della prova testimoniale, a cominciare dalla presentazione della lista ex 468, con l’indicazione delle circostanze oggetto dell’esame. Ma anche un testimone nel contempo che gode di un regime particolare dal punto di vista delle garanzie, in ragione del rischio che dall’adempimento del dovere di deporre possa derivargli qualche pregiudizio sul terreno dell’accertamento delle proprie eventuali responsabilità. Anzitutto si stabilisce che nelle ipotesi in questione il testimone venga assistito da un difensore (di qui la formula di “testimone assistito”), con l’ulteriore precisazione relativa alla nomina di un difensore d’ufficio nel caso di mancanza di un difensore di fiducia. A questo difensore, anche se non viene attribuito il diritto di partecipare all’esame del tipo di quello che spetta al difensore dei soggetti ai quali si riferisce il comma 4 del 210, non è in dubbio che debba comunque riconoscersi ad egli sia il diritto di presenziare all’esame dei testimoni di cui tratta il 197-bis, sia il diritto di formulare in quella sede richieste, osservazioni, riserve, ovviamente a tutela della posizione del testimone assistito e delle corrispondenti prerogative sul versante dei limiti al dovere testimoniale. A tal proposito, per quanto riguarda gli obblighi di quest’ultimo testimone di fronte al giudice, va detto che il 197-bis comma 4 individua due altre specifiche ipotesi con riferimento alle quali il medesimo testimone non può essere obbligato a deporre, e quindi può legittimamente rifiutarsi di rispondere alle relative domande. In primo luogo quando si versi in una delle situazioni previste dal comma 1 del 197-bis, si stabilisce che il testimone è esonerato dall’obbligo di deporre sui fatti per i quali in giudizio sia stata pronunciata a suo carico sentenza irrevocabile di condanna allorché nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Inoltre, quando si versi nelle situazioni previste dal comma 2 del 197-bis, il testimone è del pari esonerato dall’obbligo di deporre sui fatti concernenti la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti, cosi specificandosi il già ricordato principio per cui nessun testimone può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale (198 comma 2). Ma non è tutto, poiché accanto a queste garanzie che operano ex ante, il comma 5 del 197-bis si preoccupa di predisporre anche un diverso tipo di garanzia, destinata ad operare ex post, cioè con riferimento al potenziale ambito di impiego processuale delle dichiarazioni comunque rese dall’imputato che abbia assunto l’ufficio di testimone a norma dello stesso 197-bis. Si prescrive che tali dichiarazioni non possano essere utilizzate “contro” la persona da cui provengano non solo nel procedimento a suo carico, ove ancora in corso, ma nemmeno nell’eventuale procedimento di revisione della sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti, ne in qualsiasi altro giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto di tali procedimenti o di tale sentenza. 71 Si tratta di una classica previsione di chiusura grazie alla quale viene assicurata all’imputato dichiarante sul fatto altrui una sorta di garanzia ombrello idonea a funzionare a lungo raggio rispetto a tutte le dichiarazioni da lui rese in qualità di testimone ex 197-bis: nel senso cioè di renderle inutilizzabili a suo danno, dato che sono state rilasciate nell’adempimento dell’ufficio testimoniale e quindi sul presupposto di non potersi sottrarre alla relativa deposizione. Ciò è coerente con la logica interna del sistema ed è in armonia con la ratio del meccanismo di salvaguardia del 63 nei confronti del soggetto che abbia reso dichiarazioni auto-indizianti all’autorità giudiziaria o alla pg al di fuori del contesto garantistico tipico della posizione dell’imputato o della persona sottoposta alle indagini. Infine, secondo l’ultimo comma del 197-bis, alle dichiarazioni provenienti dai testimoni indicati nel medesimo articolo viene estesa la regola dettata nel 192 comma 3, nel senso di esigere che anche le suddette dichiarazioni, per assumere pieno valore probatorio, debbano venire corroborate da altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità. Per quanto riguarda i doveri processuali cui è tenuto in via generale il soggetto che assume la veste di testimone, il 198, dopo aver definito i tradizionali obblighi propri dell’ufficio testimoniale (di presentarsi al giudice, di attenersi alle prescrizioni e di rispondere secondo verità), vi ricollega la classica garanzia contro il rischio della self-incrimination, stabilendo che il medesimo teste non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale. La disposizione cosi consacrata nel comma 2 del 198 non costituisce tuttavia l’unica eccezione all’obbligo del testimone di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte, poiché il legislatore ha avuto cura di confermare la tradizionale area delle deroghe a tale obbligo. Deroghe da inquadrarsi tra gli effetti dei segreti opponibili allo stesso giudice, e modellate come altrettanti divieti (da valutarsi ex 191) rispetto all’assunzione della testimonianza in chiave obbligatoria, sia pure con diverse modulazioni, a seconda che in capo al testimone sussista una facoltà oppure un obbligo di astenersi dal deporre. A parte la disciplina della testimonianza dei prossimi congiunti dell’imputato, imperniata sul riconoscimento della facoltà di astensione e sul diritto al relativo avviso, a pena di nullità (199), le deroghe all’obbligo della deposizione sono dunque riconducibili alla sfera dei segreti, cui la legge attribuisce rilevanza in sede di acquisizione probatoria. Per quanto riguarda l’ambito del segreto professionale (200), oltre alle categorie tradizionalmente legittimate all’opposizione di tale segreto, va soprattutto segnalato il riferimento anche agli esercenti altri uffici o professioni cui la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale. Un limite a tale facoltà è però previsto in rapporto ai casi in cui i soggetti elencati nel 200 hanno l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria le notizie conosciute per ragione del proprio ministero, ufficio o professione. Fermo restando il potere del giudice di ordinare che, in ipotesi del genere, il testimone deponga, tutte le volte in cui si sia convinto, dopo i necessari accertamenti, della infondatezza della dichiarazione di segretezza opposta dal medesimo per esimersi dal deporre, un regime particolare è previsto nei confronti dei giornalisti professionisti iscritti all’albo relativamente ai nomi delle persone che abbiano loro fornito notizie in via fiduciaria. Entro questi limiti anche ad essi viene estesa la normativa dettata per il segreto professionale, ma al giudice è sempre riservato il potere di obbligarli a rivelare l’identità di tali persone, quando le suddette notizie siano indispensabili per la prova del reato, e la loro veridicità possa venire accertata solo attraverso l’identificazione della fonte fiduciaria (200 comma 3). 72 Un’apposita regolamentazione risulta prevista, infine, dal 210 con riferimento all’esame dibattimentale delle persone imputate in un procedimento connesso (salva l’ulteriore precisazione per cui deve trattarsi di procedimenti connessi a norma del 12 comma 1 lett. a, nei confronti delle quali si proceda, o si sia proceduto, separatamente, e che comunque non possano assumere l’ufficio di testimone). Riguardo a tali soggetti si stabilisce allora che nei dibattimenti relativi a processi diversi da quello in cui rivestano formalmente la qualità di imputati (ma anche nei processi in cui rivestano tale qualità, ove l’esame si riferisca al fatto altrui), essi vengano di regola esaminati a richiesta di parte, ma possano, o meglio debbano, esserlo anche d’ufficio, allorché ai medesimi sia stato fatto riferimento nell’ambito di una testimonianza, o di un esame, di natura indiretta (210). Per il resto, la disciplina dell’esame dei soggetti in questione risulta costruita sulla base di un assetto intermedio tra quello del testimone e quello dell’imputato: da un lato sotto il profilo del richiamo delle norme concernenti la citazione, l’obbligo di presentazione e l’eventuale accompagnamento coattivo dei testimoni; dall’altro sotto il profilo della necessaria assistenza difensiva, se del caso anche con nomina di un difensore d’ufficio, nonché ancora sotto il profilo dell’esplicito riconoscimento a tali soggetti del diritto al silenzio, coessenziale alla loro qualità di imputati in un procedimento connesso, evidentemente allo scopo di tutelarli rispetto al rischio di dichiarazioni contra se, che potrebbero essere utilizzate a loro carico nel procedimento di provenienza. Ne deriva che il coimputato potrà essere sempre costretto a soggiacere all’esame diretto, salvo il diritto ad essere avvertito della facoltà di non rispondere, come se si trattasse di un interrogatorio (210 comma 4). Come ambito di operatività del 210, ricadono sotto di esso i soggetti non ricompresi nell’area degli imputati che a norma del 197-bis assumono l’ufficio di testimone. Quindi lo speciale meccanismo ex 210, con le sue peculiarità tra le quali il ricordato riconoscimento al soggetto esaminato della facoltà di non rispondere anche sul fatto altrui, risulta oggi riservato anzitutto alle persone imputate in un procedimento connesso a norma del 12 comma 1 lett. a, le quali non possono assumere l’ufficio di testimone. Per quanto riguarda invece le persone imputate in un procedimento connesso ai sensi del 12 comma 1 lett. c o di un reato collegato a norma del 371 comma 2 lett. b, occorre distinguere sulla base della loro precedente condotta processuale, in forza del combinato disposto degli articoli 210 comma 6 e 197-bis comma 2. Dispone a quest’ultimo proposito il comma 6 del 210 che la disciplina contenuta nell’intero articolo debba applicarsi anche ai soggetti in questione, ma solo quando i medesimi non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato. Si prevede altresì che a tali soggetti, pur chiamati per essere esaminati a norma del 210, venga comunque dato l’avvertimento previsto dal 64 comma 3 lett. c, nel qual caso, ove non si avvalgano della facoltà di non rispondere, gli stessi assumeranno l’ufficio di testimone (sui fatti che concernono la responsabilità di altri): come sarebbe stato cioè se già in precedenza essi avessero reso dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato. Al loro esame dovranno applicarsi non solo le disposizioni relative alla deposizione testimoniale richiamate dal comma 5 del 210, ma anche le disposizioni dettate dagli articoli 197-bis e 497: ivi compreso quindi l’avvertimento al testimone dell’obbligo di dire la verità. Confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali: Cominciando dai confronti, ammessi esclusivamente fra persone già esaminate o interrogate, nel caso di dichiarazioni in contrasto su fatti e circostanze importanti (211), si tratta di un mezzo che dovrebbe trovare largo impiego anche, se non soprattutto, nel corso delle indagini preliminari (non a caso il relativo potere viene riconosciuto al pm dal 364), pur al di la dell’ipotesi prevista in termini espressi con riferimento all’incidente probatorio (392). Circa le modalità dell’atto, ne risulta 75 evidenziata la funzione propulsiva attribuita al giudice nel richiamare le precedenti dichiarazioni, sulle quali i soggetti ammessi al confronto siano risultati in disaccordo, nonché nell’invitarli alle reciproche contestazioni, quando le medesime siano state confermate. Il tutto nell’ambito di un rapporto dialettico a più voci, di cui dovrà essere dato puntuale riscontro in sede di verbale (212). La disciplina delle ricognizioni si caratterizza per la accuratezza e analiticità della descrizione degli adempimenti preliminari e, quindi, dei modi di svolgimento dell’atto (214), evidentemente a causa di una certa diffidenza legislativa verso l’attendibilità dei risultati di questo delicato mezzo di prova. Si prevede che sia causa di nullità addirittura anche soltanto la sola mancata menzione, in sede di verbale, dell’osservanza delle forme prescritte per scandire la relativa procedura, dai suoi preliminari alla vera e propria attività ricognitiva. Va sottolineata l’attribuzione al giudice del potere-dovere di adottare, anche in sede dibattimentale, le necessarie cautele volte ad impedire che la persona chiamata ad effettuare la ricognizione possa subire intimidazioni da parte di quella sottoposta all’atto, disponendo che l’atto stesso sia compiuto senza che quest’ultima possa vedere la prima. Il 216 parla di ricognizione di voci, di suoni o di quanto altro può essere oggetto di percezione sensoriale, riconoscendo l’ammissibilità di queste specie di ricognizioni. Sia nel caso dei confronti sia delle ricognizioni la persona chiamata a compiere l’atto viene a trovarsi nella condizione di dover rilasciare dichiarazioni che, a seconda della sua posizione processuale, sono assimilabili per il loro contenuto informativo a quelle rese dall’imputato in sede di interrogatorio ovvero di esame ex 503 o, rispettivamente, dal testimone in sede di sommarie informazioni ovvero di esame ex 500. Per conseguenza quando si tratti dell’imputato non sembra dubbio che nei suoi riguardi debbano operare le garanzie ispirate al principio nemo tenetur se detegere, quali si concretano nel riconoscimento al medesimo del diritto a non collaborare allo svolgimento dell’atto ovvero della facoltà di non rispondere alle domande che gli vengano rivolte. Le stesse garanzie devono valere anche nei confronti dei coimputati dello stesso reato, nonché degli imputati in un procedimento connesso o di un reato collegato: ivi comprese le ipotesi in cui a loro carico si proceda separatamente, in conformità al disposto del 210, e tenendo conto dei rilievi già svolti a proposito di quest’ultima disposizione. Quanto agli esperimenti giudiziali, mezzo di prova tipicamente finalizzato ad accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un determinato modo, attraverso la riproduzione della situazione e la ripetizione delle modalità relative al suo presumibile svolgimento (218), il legislatore si è preoccupato dell’esigenza di una maggiore specificazione in ordine alle forme da osservarsi, come risulta dal 219. Di qui la dettagliata previsione sia dei contenuti dell’ordinanza, sia dei poteri del giudice diretti ad assicurare un efficace e corretto svolgimento dell’atto. Rimane confermato obbligo del giudice di provvedere affinché l’esperimento possa svolgersi senza offendere sentimenti di coscienza e senza esporre a pericolo l’incolumità delle persone o la sicurezza pubblica. La perizia: La disciplina della perizia è molto importante (220-233). Circa l’oggetto della perizia, viene delineato dal 220 attraverso la definizione del presupposto di ammissibilità della prova peritale (che si configura nel contempo come presupposto del dovere del giudice di disporre la perizia), facendo cosi riferimento alle situazioni in cui occorre svolgere indagini ovvero acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. Quando il giudice accerti una delle necessità indicate nel 220 sarà obbligato ad ammettere e a disporre la perizia anche d’ufficio (con nomina del perito e sommaria enunciazione dell’oggetto delle indagini). 76 L’ammissibilità della perizia è esclusa in rapporto a determinati oggetti. Sono vietate le perizie concernenti il carattere e la personalità dell’imputato, le forme qualificate di pericolosità sociale e le sue qualità psichiche indipendenti da cause patologiche (salvo quanto disposto in sede di esecuzione della pena o della misura di sicurezza). Non è consentita cioè la perizia psicologica o criminologica, al di fuori della fase esecutiva. La disciplina si preoccupa poi di garantire adeguato livello di specifica qualificazione delle persone cui la perizia venga affidata. Criterio principale è quello della iscrizione del perito negli appositi albi professionali, nonché il fatto di imporre al giudice di disporre una perizia collegiale quando le indagini e le valutazioni risultano molto complesse, ovvero quando le medesime richiedono distinte conoscenze in differenti discipline (221). Il 224-bis prevede che quando si proceda per delitti di una certa gravità (delitti non colposi puniti con pena detentiva superiore nel massimo a 3 anni, ovvero in materia di omicidio stradale per i delitti colposi di cui 589-bis e 590-bis cp), oltre che in altri casi espressamente previsti dalla legge, se per l’esecuzione di una perizia sia necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale come prelievo di capelli, peli, mucosa, ai fini del DNA, e in proposito manchi consenso persona, il giudice possa disporre anche d’ufficio con ordinanza la esecuzione coattiva, purché essa sia assolutamente indispensabile per la prova dei fatti. Il giudice deve indicare nella ordinanza le ragioni appunto, unitamente all’avviso della facoltà della persona di farsi assistere da un difensore o comunque da una persona di fiducia. Comunque le operazioni non possono contrastare espressi divieti di legge ne mettere in pericolo la vita, l’integrità fisica o la salute della persona, e non possono provocare sofferenze di non lieve entità, restando sempre salva tutela e rispetto della dignità e pudore di chi vi è sottoposto. Se la persona non si presenta senza addurre legittimo impedimento, si dispone accompagnamento coattivo, o esecuzione in forma coattiva con mezzi di coercizione fisica da impiegarsi in modo proporzionato allo scopo e per il solo tempo necessario. Atto peritale è nullo se persona non è assistita dal difensore, ove nominato. Tornando in generale, una volta che giudice abbia conferito incarico con formulazione dei relativi quesiti (226), il perito può essere autorizzato dal giudice ad assistere all’esame delle parti e all’assunzione delle altre prove, e potrà prendere visione degli atti e delle cose prodotti dalle parti soltanto nei limiti in cui i medesimi siano acquisibili al fascicolo dibattimentale (228). Il perito può anche raccogliere notizie dall’imputato, dall’offeso o da altre persone, ma gli elementi cosi acquisiti possono essere usati solo ai fini dell’accertamento peritale e della relazione per rispondere ai quesiti. Quanto a quest’ultima, si prevede che perito risponda immediatamente ai quesiti, e comunque in forma orale, mediante parere raccolto nel verbale, salvo potere giudice di autorizzare anche presentazione di relazione scritta, ove sia necessaria. Se perito non riesce a fornire risposta immediata, e se giudice decide di non sostituirlo, si prevede concessione di termine di 90 giorni prorogabili fino ad un massimo di 6 mesi (per accertamenti molto complessi) entro il quale il medesimo dovrà fornire il prescritto parere. Per la tutela dei diritti delle parti è prevista partecipazione dei consulenti tecnici, che possono essere nominati in numero non superiore a quello dei periti, sia dal pm sia dalle parti private, lungo l’intero arco di svolgimento della perizia. C’è a tal fine possibilità di esame in sede dibattimentale 77 511-bis è il normale strumento di acquisizione processuale dei verbali di prove provenienti da altri procedimenti ex 238). Ispezioni e perquisizioni: Passando all’area dei mezzi di ricerca della prova, il codice comincia con i due tipici atti a sorpresa, quali sono le ispezioni e le perquisizioni; le une e le altre disciplinate attraverso l’attribuzione dei relativi poteri all’autorità giudiziaria: col preciso intento di sottolineare come si tratti di atti appartenenti alla sfera di competenza non solo del giudice ma altresì e anzi soprattutto del pm. (e questo vale anche in tema di sequestro). Ferma la distinzione finalistica tra l’attività dell’inspicere, diretta ad accertare sulle persone, nei luoghi o nelle cose le tracce e gli altri effetti materiali del reato (244), e l’attività del perquirere, diretta a ricercare il corpo del reato o cose pertinenti al reato sulle persone od in luoghi determinati, ovvero ad eseguire in questi ultimi l’arresto dell’imputato o dell’evaso (247), riguardo ad entrambi gli istituti viene specialmente in rilievo la sensibilità legislativa per il profili della loro incidenza sui diritti di libertà tutelati a livello costituzionale (13 e 14 cost.), il che si traduce in un concreto rafforzamento della dimensione garantistica delle previsioni ad essi collegate, a cominciare dalla necessità del decreto motivato dell’autorità giudiziaria quale presupposto per l’esercizio dei corrispondenti poteri. (Sia le ispezioni che le perquisizioni possono avere ad oggetto anche sistemi informatici o telematici) Per quanto riguarda le ispezioni, la prospettiva di garanzia emerge ad esempio dalla disciplina dell’ispezione penale (245). Viene previsto l’avvertimento all’interessato della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché reperibile ed idonea secondo i canoni dettati dal 120 per i testimoni agli atti del procedimento, e viene sancita l’esigenza che l’ispezione, da compiersi personalmente ad opera dell’autorità procedente, ovvero anche per mezzo di un medico, venga eseguita nel rispetto della dignità e del pudore della persona che deve soggiacervi. Circa l’ispezione di luoghi o di cose, va sottolineata la garanzia rappresentata dalla consegna del correlativo decreto, prima dell’inizio delle operazioni, all’imputato e alla persona titolare della disponibilità dei luoghi, sempre che siano presenti. Viene riconosciuto il potere all’autorità giudiziaria di impedite l’allontanamento di una o più persone dai luoghi dell’ispezione, prima della loro conclusione, e di farvele ricondurre se del caso in forma coattiva, in entrambe le ipotesi con provvedimento motivato da ricomprenderei nel verbale. Inoltre autorità ha anche potere di disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici, insieme ad ogni altra necessaria operazione tecnica. Anche in materia di perquisizioni si è voluto garantire la tutela dei diritti delle persone interessate, con una disciplina che sia rispetto alle perquisizioni personali sia a quelle locali, ricalca quella suddetta delle ispezioni. Viene previsto limite temporale (dalle ore 7 alle 20 salvo espressa deroga), e rispetto alle perquisizioni locali si evidenzia una cura per gli adempimenti connessi alla consegna del decreto e dell’avviso circa la facoltà di assistenza nel corso delle operazioni. I poteri dell’autorità sono estesi all’eventuale perquisizione delle persone sopraggiunte, nonché all’adozione degli altri provvedimenti coercitivi temporali previsti relativamente alle ispezioni locali (250). Viene enunciato in termini generali il principio della richiesta di consegna come attività prodromica rispetto alla perquisizione, allorquando si ricerchi una cosa determinata. Nell’ipotesi infatti in cui la cosa venga presentata in adesione all’invito, la perquisizione potrà essere evitata, a meno che non risulti utile procedervi per la completezza delle indagini. 80 Mentre per le garanzie in tema di assistenza del difensore agli atti di ispezione e perquisizione (atti non ripetibili ai sensi del 431) si rinvia alla disciplina delle indagini preliminari della polizia giudiziaria e del pm (352, 354, 356, 364, 365), ricordiamo qui la normativa circa la fisionomia e i limiti delle ispezioni e delle perquisizioni presso gli uffici dei difensori. Questi atti devono essere eseguiti dal giudice in persona ovvero, nel corso delle indagini preliminari, da parte del pm, sulla scorta di un motivato decreto autorizzativo del giudice competente per tale fase. Viene inoltre reso necessario che venga avvisato il locale consiglio dell’ordine forense, affinché il presidente od un consigliere suo delegato possa assistere alle operazioni. A ciò si aggiunga che identiche modalità sono stabilite dal 103 per il sequestro, con la precisazione che presso i difensori ed i consulenti tecnici non si può procedere a sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato. In applicazione della medesima esigenza di tutela della riservatezza dei rapporti funzionali all’esercizio della difesa (24 comma 2 cost.), sono vietati inoltre il sequestro ed ogni altra forma di controllo della corrispondenza tra l’imputato ed il proprio difensore (sempre che autorità non abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato); e alla stessa stregua sono vietate le intercettazioni di conversazioni e di comunicazioni dei difensori, dei consulenti tecnici e dei loro ausiliari nonché quelle tra i medesimi ed i loro assistiti. Il legislatore precisa che oltre alla regola del 191 per cui sono escluse le prove illegittimamente acquisite, i risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri e intercettazioni eseguiti in violazione delle suddette disposizioni non possono essere utilizzati (103), con l’unica eccezione rappresentata dall’ipotesi in cui essi costituiscano corpo del reato. (Inoltre è stato aggiunto nel 2017 il divieto, nell’ipotesi di ascolto casuale delle comunicazioni del difensore nel corso di un’intercettazione legittimamente autorizzata, di trascriverne anche sommariamente il contenuto, ad evitare qualunque tipo di impiego delle notizie cosi ottenute). Da ricordare che ci sono alcune particolari figure di perquisizione consentite agli organi di polizia giudiziaria da leggi speciali per la repressione di determinati delitti e situazioni di particolare urgenza tali da non consentire un tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria (come traffico illecito di stupefacenti, armi, esplosivi sul luogo ecc.). In tali casi delle operazioni compiute si deve dare immediata notizia al procuratore della Repubblica in vista della eventuale convalida delle stesse, che dovrà sopravvenire entro le successive 48 ore, affinché i risultati cosi acquisiti possano venire utilizzati nel procedimento. Il sequestro: Parliamo del sequestro penale, diverso dalle altre figure di sequestro che, pur concretandosi anch’esse nell’imposizione di un vincolo di indisponibilità sulla cosa, ubbidiscono invece ad una esigenza di natura cautelare: ora con finalità conservativa ora preventiva. La caratterizzazione in chiave probatoria dell’istituto in esame emerge dalla stessa definizione del suo oggetto che il 253 individua facendo riferimento al “corpo del reato” ed alle “cose pertinenti al reato”, le quali risultino “necessarie per l’accertamento dei fatti”. Circa la nozione di corpo del reato, essa viene precisata dal comma 2 del 253, con riguardo non solo alle cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso, ma anche quelle che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo. Si tratta delle stesse cose per la cui ricerca può essere disposta perquisizione, sicché è coerente con i meccanismi del sistema che si instauri un rapporto di logica consequenzialità tra perquisizione e sequestro. Ben potendo accadere che il sequestro non sia preceduto da 81 perquisizione, appartiene tuttavia all’ordine naturale delle sequenze di ricerca probatoria che le cose rinvenute a seguito di perquisizione, ove questa abbia avuto buon fine, vengano sottoposte a sequestro (252). Dovrebbe da tutto ciò desumersi che nell’ipotesi di perquisizione eseguita contra legem, dalla illegittimità della attività dovrebbe scaturire la illegittimità del sequestro ad essa conseguente e la inutilizzabilità come prova dei suoi risultati. Tuttavia le sezioni unite della Cassazione hanno ritenuto che la sanzione della non utilizzabilità non operi quando si tratti di sequestro ex 253 del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, poiché in tali ipotesi deve reputarsi irrilevante il modo con cui si sia pervenuti ad esso e debba invece prevalere l’obbligo dell’autorità procedente di disporre il sequestro. Ad ogni modo, viene prescritta la necessità del decreto motivato (da consegnarsi in copia all’interessato) ad opera dell’autorità giudiziaria procedente, e viene stabilita altresì che la medesima autorità possa procedere all’atto sia di persona, sia a mezzo di un ufficiale di polizia delegato con il predetto decreto, ferma in ogni caso la redazione dell’apposito verbale. Poi il codice passa a disciplinare alcune fattispecie peculiari di sequestro: sequestro di corrispondenza, sequestro presso banche, sequestri aventi ad oggetto atti o documenti rispetto ai quali venga eccepita la sussistenza di un segreto. Cominciando con il sequestro di corrispondenza, la disciplina del 254 prevede la sequestrabilità negli uffici postali di lettere, pieghi, pacchi e di ogni altro oggetto presumibilmente spedito dall’imputato o a lui diretto o che comunque possa avere relazione con il reato. Qualora proceda al sequestro un ufficiale di pg, egli ha obbligo di consegnare gli oggetto sequestrati al magistrato senza aprirli ne alterarli e senza prendere in altro modo conoscenza del loro contenuto (in ottemperanza al 15 comma 2 cost.). Il comma 3 del 254 prevede la immediata restituzione all’avente diritto delle carte e dei documenti laddove si accerti ex post la loro estraneità all’ambito della corrispondenza suscettibile di sequestro con la conseguente inutilizzabilità dei medesimi. Il 254-bis si riferisce al sequestro presso i fornitori di servizi informatici, telematici o di telecomunicazioni dei dati dagli stessi detenuti, e prevede che in tal caso autorità giudiziaria può stabilire che per esigenze legate alla regolare fornitura dei medesimi servizi, la loro acquisizione avvenga mediante copia su adeguato supporto con procedura che assicuri conformità dei dati acquisiti agli originali e loro immodificabilità. Delicata è la tematica dei rapporti tra sequestro e segreti (quei segreti di cui si parla nella disciplina della prova testimoniale). Non ci sono elementi di novità però, essendo state ricalcate le linee della normativa dettata a proposito dei rapporti tra testimonianza e segreti, sulla base del dovere di esibizione imposto alle persone indicate nel 200 e 201, allorché venga loro richiesta dall’autorità giudiziaria la consegna di atti, documenti e ogni altra cosa cui abbiano la disponibilità per ragioni del loro ufficio, incarico, ministero, professione o arte. A meno che, si aggiunge, le medesime persone vi si oppongano, dichiarando per iscritto il vincolo derivante da un segreto professionale, o d’ufficio, ovvero da un segreto di Stato (256). Tuttavia ove autorità giudiziaria dubiti della fondatezza della suddetta dichiarazione, essa potrà disporre i necessari accertamenti con tutto ciò che ne consegue. Per quanto riguarda il segreto di Stato vale quanto visto nel 202 nella disciplina a proposito della analoga eventualità in ordine alla prova testimoniale. Resta fermo anche principio sancito dal 204. 82 ma che le stesse possano venire prorogate con decreto motivato dal giudice, previa verifica della permanenza dei presupposti richiesti dalla legge, per periodi successivi di 20 giorni. Quando poi si tratti di intercettazioni di conversazioni tra persone presenti, sempre in tema di delitti di criminalità organizzata, si precisa ulteriormente che in deroga al comma 2 del 266, la relativa operazione possa venire autorizzata e disposta, anche nei luoghi di domicilio, pur quando non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si sita svolgendo l’attività criminosa. Tornando alla disciplina ordinaria si prevede di annotare in un apposito registro riservato, secondo il loro ordine cronologico, tutti i decreti che abbiano disposto, autorizzato, convalidato ovvero prorogato le intercettazioni, nonché, in rapporto a ciascuna di esse, i tempi di inizio e di conclusione delle operazioni. Si prevede che queste ultime vengano compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica, salvo consentire subito dopo che lo stesso pm (nel caso siano insufficienti e/o inidonei) possa autorizzare con decreto motivato l’uso degli impianti di pubblico servizio, o quelli in dotazione della pg, qualora sussistano eccezionali ragioni di urgenza. Quanto alle forme, il 268 stabilisce che le comunicazioni intercettate siano sempre registrate, e che nel relativo verbale venga trascritto anche in maniera sommaria il loro contenuto. Dopo la scadenza del termine stabilito per lo svolgimento delle operazioni i verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pm, che entro 5 giorni deve depositarli a disposizione dei difensori delle parti. I difensori vanno avvisati della facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni entro il termine fissato dal pm ed eventualmente prorogato dal giudice. Scaduto il termine per i difensori per prenderne conoscenza, il giudice in apposita udienza cosiddetta di stralcio, dispone acquisizione delle intercettazioni indicate dalle parti che non appaiano manifestamente irrilevanti o non utilizzabili, a norma del comma 6 del 268. Il giudice provvederà per la trascrizione integrale delle registrazioni destinate ad essere acquisite, rispettando forme e garanzie previste per le perizie, salva ai difensori la facoltà di estrarre copia delle trascrizioni e di trasporre le registrazioni: dopo di che le trascrizioni cosi ottenute, in quanto espressive di atti per loro natura “non ripetibili”, saranno inserite nel fascicolo per il dibattimento formato ai sensi del 431. Nella pratica però l’udienza di stralcio risulta quasi sempre omessa e l’acquisizione delle intercettazioni rinviata in sede dibattimentale, considerato anche che il deposito viene usualmente ritardato fino alla chiusura delle indagini. Talvolta le intercettazioni devono essere usate prima della conclusione delle operazioni o comunque senza che sia avviata la procedura acquisitiva davanti al giudice: è il caso della richiesta di una misura cautelare, richiesta alla quale il pm deve allegare, ai sensi del 291, gli elementi che dimostrino la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari. A questi fini, se la richiesta precede il deposito e lo stralcio delle intercettazioni, o addirittura la conclusione delle operazioni, possono essere presentate al giudice le trascrizioni sommarie contenute nei verbali della polizia (cosiddetti brogliacci), che sono utilizzabili per la decisione. Una volta eseguita la misura cautelare, l’ordinanza va depositata in cancelleria ai sensi del 293 comma 3, insieme alla richiesta del pm e agli atti presentati con la stessa: sono inclusi ovviamente anche i verbali delle intercettazioni. La corte costituzionale ha riconosciuto alla difesa il diritto di richiedere copia delle registrazioni per prenderne conoscenza in vista dell’impugnazione del provvedimento. La documentazione delle intercettazioni deve essere di regola conservata integralmente fino al passaggio in giudicato della sentenza, cosi da consentirne recupero eventuale anche nei gradi successivi del giudizio. 85 Tuttavia gli interessati, a tutela della propria riservatezza, possono chiederne la distruzione al giudice, il quale provvederà in camera di consiglio e, qualora la distruzione venga disposta, curerà che sia eseguita sotto il proprio controllo (269). Salva la possibilità di desumere eventuali notizie di reato anche da intercettazioni disposte in altri procedimenti, per quanto attiene al profilo della utilizzabilità probatoria delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli rispetto ai quali siano state autorizzate, essa viene disciplinata dal 270. Vi si prevede, in deroga alla regola generale della non utilizzabilità, la più coerente con la garanzia del 15 cost che in contesti del genere le suddette intercettazioni possano venire usate solo quando le medesime risultino indispensabili per accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza. Le sezioni unite della Cassazione hanno ritenuto che il procedimento non va considerato “diverso” per i reati connessi ai sensi del 12 che fossero scoperti nel corso di un’intercettazione autorizzata per un altro reato, e che quindi l’intercettazione sarebbe in tal caso utilizzabile: a patto, comunque, che si tratti di reati per i quali il 266 consente l’intercettazione. All’interno del diverso procedimento si prescrive che una volta trasmessi le registrazioni e i verbali all’autorità giudiziaria competente, nell’ambito di tale procedimento debba assicurarsi il contraddittorio in ordine alla suddetta documentazione nelle forme previste dal 268. Si prevede tuttavia che, ad evitare i rischi connessi ad una trasmissione soltanto parziale dei verbali e delle registrazioni, il pm ed i difensori possano esaminare l’intera documentazione delle stesse, compresi i verbali e le registrazioni non acquisiti, cosi come depositata ex 268 nel procedimento per il quale le intercettazioni siano state all’inizio autorizzate. Occorre ricordare che ove la conversazione o comunicazione intercettata costituisca essa stessa corpo del reato (a condizione che integri ed esaurisca completamente la condotta criminosa) è sempre utilizzabile nel processo penale e pertanto anche in procedimenti diversi da quello d’origine, pure quando non indispensabile per l’accertamento di delitti per i quali sia obbligatorio l’arresto in flagranza. Per ciò che riguarda il regime dei divieti di utilizzazione delle intercettazioni eseguite contra legem, il 271 stabilisce che i relativi risultati non possano venire autorizzati sul piano probatorio (non anche dunque quale fonte di una notizia di reato), quando le stesse siano state effettuate senza osservare le disposizioni previste dal 267 e 268 commi 1 e 3, o comunque fuori dei casi consentiti dalla legge. Dove, evidentemente, il riferimento è ai limiti di ammissibilità sanciti dal 266 o da altre disposizioni. Tra queste rientra il 103 comma 5, per quanto concerne il divieto di intercettazione circa le comunicazioni dei difensori e dei consulenti tecnici, o relative ai rapporti tra i medesimi e le persone da loro assistite. Fonte di un divieto di utilizzazione nel caso di inosservanza è anche il principio del 68 comma 3 Cost., a proposito della necessità di autorizzazione della Camera di appartenenza per poter sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni. In ipotesi del genere la legge 140/2003 stabilisce che la suddetta autorizzazione debba essere richiesta all’autorità che ha emesso il provvedimento da eseguire: cioè nel nostro caso al pm, come risulta dal 267 commi 1 e 3. Nel frattempo, l’esecuzione del suddetto provvedimento dovrà rimanere sospesa. 86 Sul piano dei contenuti il divieto di utilizzazione sancito dal 271 viene esteso anche a livello di testimonianza de auditu, fino a ricomprendervi tutte le intercettazioni riguardanti le comunicazioni delle persone indicate nel 200 comma 1, quando abbiano ad oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvo che tali persone abbiano deposto sugli stessi fatti, o li abbiano in altro modo divulgati (271 comma 2). Come risulta anche da questo inciso, la norma rappresenta una sorta di proiezione del diritto di astensione riconosciuto alle suddette persone in sede di testimonianza, ubbidendo all’esigenza di evitare il pericolo di aggiramenti per la corrispondente garanzia, ferma restando ovviamente la valutazione del giudice circa la effettiva riferibilità delle comunicazioni intercettate all’area dei segreti riconosciuti meritevoli di tutela. Quanto alla sorte delle registrazioni e verbali relativi alle intercettazioni riconosciute come inutilizzabili, il 271 comma 3 dispone che, in deroga al principio generale di conservazione enunciato nel 269, essi debbano venire distrutti per ordine del giudice in ogni stato e grado del processo, appena, cioè, ne sia stata dichiarata la non utilizzabilità, senza contestazione ad opera di alcuna parte, salvo che i medesimi costituiscano corpo del reato. Un problema particolare sorge a proposito dei verbali e delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni cui abbiano preso parte membri del Parlamento, le quali siano state regolarmente intercettate nel corso di procedimenti riguardanti terze persone o comunque non a seguito di operazioni compiute avendo intenzionalmente di mira il parlamentare (intercettazioni indirette, aventi natura casuale). Questo tema è stato disciplinato direttamente dalla legge 140/2003, che ha subordinato all’autorizzazione della Camera di appartenenza l’utilizzazione delle comunicazioni intercettate, come pure dei tabulati del traffico telefonico. Il giudice infatti, se le ritiene rilevanti, per poterle utilizzare dovrà subito chiedere l’autorizzazione alla Camera di appartenenza del parlamentare, trasmettendo anche ad essa copia integrale dei verbali e delle registrazioni. Altro tema peculiare è quello relativo alla figura del Presidente della Repubblica, la cui posizione non è assimilabile a quella del parlamentare, con conseguente inapplicabilità della legge 140/2003. Dal ruolo istituzionale ricoperto e dall’alto valore delle funzioni svolte, essenziali per l’equilibrio stesso dei poteri statali, si è ricavato un divieto assoluto di intercettazione delle conversazioni del Presidente della Repubblica, con conseguente obbligo di distruzione immediata di siffatte registrazioni, ancorché casualmente effettuate, secondo quanto previsto dal 271 comma 3, trattandosi di intercettazioni “eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge”. Segue: la riforma delle intercettazioni: La riforma trae origine dalla legge 103/2017. La relativa effettiva applicabilità viene spostata al 31 agosto 2020 dal decreto-legge 28/2020. Una delle principali novità riguarda i captatori informatici. Ora l’uso di essi risulta espressamente consentito, in base ai presupposti ordinari, nelle intercettazioni ambientali per le conversazioni tra presenti che si svolgono fuori dal domicilio. Sorge pero un problema, poiché si prevede che il trojan virus sia inculcato in un dispositivo portatile, che per sua natura può venire in qualsiasi momento a trovarsi in ambiente domiciliare, dove l’intercettazione tra presenti è possibile solo se vi si stia svolgendo l’attività criminosa. Sotto questo profilo il legislatore si è allineato al principio enunciato dalle sezioni unite della cassazione con riferimento ai delitti di criminalità organizzata, ma ne ha ristretto la portata ai delitti di cui al 51 commi 3-bis e 3-quater, per i quali dunque l’uso del trojan virus è sempre consentito senza limitazioni legate al luogo; sono inoltre stati inclusi i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con pena non inferiore a 5 87
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