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Riassunto Compendio di Procedura Penale CONSO-GREVI, Sintesi del corso di Diritto Processuale Penale

Edizione aggiornata 2020/2021, Vendo riassunto totalmente sostitutivo del compendio Conso-Grevi. Frutto di 3 mesi di duro lavoro passati su una scrivania a riassumere 30 pp. al giorno. Ho superato al 1o appello con voto 30 l'esame. Ho scelto di riassumere interamente il compendio poiché credo che sia un'offesa a noi studenti far studiare su un manuale con 55 righe scritte a caratteri minuscoli una materia già molto complessa. PARTE 2 SU 4 TROVATE LE ALTRE SU DOCSITY. Soddisfatti o rimborsati

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 27/05/2021

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Scarica Riassunto Compendio di Procedura Penale CONSO-GREVI e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! CAPITOLO 4: MISURE CAUTELARI Premessa. Il sistema delle misure cautelari: La disciplina delle misure restrittive per esigenze cautelari costituisce un vero e proprio sottosistema normativo cui il codice dedica l’intero libro IV, diviso in 2 titoli: uno riferito alle misure cautelari personali, l’altro alle misure cautelari reali. Non trova collocazione in questo libro la disciplina relativa all’arresto in flagranza e al fermo, ne quella relativa all’accompagnamento coattivo. Ciò significa che le medesime misure non potranno essere adottate allo scopo di ottenere dall’imputato quelle condotte collaborative (ad esempio di natura confessoria), il cui rifiuto rientra a pieno titolo nella sfera del diritto di difesa. Riserva di legge e riserva di giurisdizione in materia di misure cautelari personali: Nel capo I sono racchiuse le disposizioni cui il codice, sulla scorta del modello fornito dal 13 Cost., affida la funzione di pilastri fondamentali del sistema delle cautele incidenti sulla libertà personale dell’imputato, a cominciare dal principio di legalità sancito nel 272, con lo stabilire che le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo. Questo principio ha significato garantistico, sotto il profilo della tassatività, in quanto diretto a vincolare rigorosamente alla previsione legislativa (cioè ai soli casi e modi previsti dalla legge) l’esercizio della discrezionalità del giudice in materia di limitazioni alle libertà della persona. Al 272 fa subito riscontro il 279, che è norma generale attributiva della competenza funzionale, nella quale si riflette la garanzia della riserva di giurisdizione in ordine al medesimo settore. Sia sulla applicazione, sia sulla revoca, sia sulle vicende modificative delle misure cautelari personali la competenza a provvedere spetta sempre al giudice che procede, cioè al giudice competente all’esercizio della giurisdizione nelle diverse fasi del procedimento, ovviamente individuabile anche sulla base della disponibilità giuridica e materiale degli atti processuali. In tal modo viene riservata all’organo giurisdizionale la titolarità esclusiva dei poteri in materia di restrizioni della libertà personale, riconoscendo al pm unicamente il potere di disporre il fermo di indiziati (384). Quanto al concreto esercizio dei poteri attribuiti al giudice circa i provvedimenti de libertate, la norma del 279 va correlata al 291, dov’è prevista anche una disciplina per il caso del giudice incompetente, con riferimento alle disposizioni sancite in via generale nel 27. I presupposti del fumus commissi delicti e del periculum libertatis: Sono i presupposti delle misure cautelari. A proposito del primo profilo, il 273 individua quali condizioni generali di applicabilità delle misure in questione la sussistenza a carico del destinatario di gravi indizi di colpevolezza, con l’evidente proposito di accentuare la consistenza della piattaforma indiziaria indispensabile per l’adozione di qualunque misura cautelare personale. Il comma 2 del 273 impone alla competente autorità un sommario accertamento negativo circa la sussistenza di una delle cause di giustificazione o di non punibilità, ovvero di estinzione del reato o della pena, menzionate nella medesima disposizione. Venendo ai criteri di valutazione dei suddetti gravi indizi, va segnalato il comma 1-bis del 273, nel quale vengono richiamate alcune previsioni, in aggiunta al 203 (e correlativo 195 comma 7). Il richiamo si allarga anche al 192 commi 3 e 4, nonché al 271 comma 1, descrivendo cosi un ventaglio piuttosto ampio di disposizioni di cui il giudice dovrà necessariamente tener conto nel valutare il presupposto del fumus commissi delicti a fronte di una richiesta di misura cautelare. 1 All’interno di tale ventaglio, il richiamo al 271 mira a precisare come il regime di inutilizzabilità ivi sancito in tema di intercettazioni telefoniche debba ritenersi esteso in toto all’ambito di valutazione dei gravi indizi di colpevolezza ex 273; il richiamo al 192 commi 3 e 4 ha reso applicabili anche a questo settore le regole di valutazione probatoria la sancite. Ne deriva che ai fini della valutazione circa la sussistenza dei gravi indizi necessari per adozione di misura cautelare, il giudice potrà tener conto delle dichiarazioni provenienti da persone che siano imputate dello stesso reato, o in un procedimento connesso, o di un reato collegato ex 371 comma 2 lett. b, in quanto le dichiarazioni medesime risultino corredate da altri elementi probatori idonei a confermarne l’attendibilità. Mentre, dal mancato richiamo del comma 2 del 192, ne emerge che il medesimo giudice non dovrà ritenersi necessariamente vincolato dalla regola ivi prevista, per cui l’esistenza di un fatto non può essere desunta sulla base di indizi (qui da ritenersi come prova critica indiziaria) salvo che gli stessi risultino gravi, precisi e concordanti. Quanto al versante del periculum libertatis, il 274 si preoccupa di determinare le esigenze cautelari che sole, concorrendo con il presupposto rappresentato dai gravi indizi di colpevolezza, devono considerarsi di per se idonee a giustificare l’adozione delle misure cautelari personali. Viene sottolineato il fatto che si tratta di esigenze ciascuna autonomamente sufficiente a legittimare il ricorso allo strumento cautelare, cosi come viene stabilito che nessuna misura può venire disposta se non in base al concreto accertamento della sussistenza di una delle suddette esigenze. Ne risulta cosi confermato un duplice corollario. Da un lato, l’esclusione di qualsiasi automatismo nell’adozione delle misure in parola e quindi la conseguente esclusione della obbligatorietà delle stesse in base alla natura o alla gravità dell’imputazione cui si riferiscano i gravi indizi di colpevolezza. Dall’altro, il rifiuto di qualunque meccanismo imperniato sull’obbligo del giudice di giustificare, motivandone in positivo le ragioni, la mancata adozione della custodia cautelare con riferimento a determinate imputazioni (salvo quanto previsto dal 275 comma 3, sia pure con esclusivo riguardo agli indiziati di alcuni delitti particolarmente gravi); prevedendosi, anzi, uno specifico onere motivazionale in caso di adozione della misura carceraria circa l’inidoneità in concreto della detenzione domiciliare controllata (con braccialetto elettronico) a fronteggiare la situazione di ritenuto pericolo. Le diverse esigenze cautelari: Con riferimento alla sussistenza di specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini, queste vengono finalisticamente circoscritte in rapporto a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova, che l’odierno testo del 274 esige ad abundantiam fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio. Lo scopo è quello di consentire il ricorso alle misure cautelari per fronteggiare il pericolo di inquinamento delle prove cui si affianca quello di escludere qualsiasi possibilità di impiego delle misure in questione al fine di assicurare il compimento di atti determinati, per i quali non si possa prescindere dalla presenza dell’imputato. Circa l’ipotesi della fuga o del pericolo di fuga dell’imputato, che trova un limite alla sua rilevanza sul terreno cautelare nel collegamento alle sole imputazioni per le quali il giudice preveda che possa essere irrogata una pena superiore a 2 anni di reclusione, il legislatore è intervenuto sul testo normativo e ne ha delimitato l’ambito di operatività: in particolare ha precisato che il pericolo in questione deve essere non solo concreto, ma anche attuale, e ha specificato che le situazioni di 2 tale cioè da utilizzarsi soltanto quando in concreto le esigenze cautelari del singolo caso non possano venire soddisfatte da nessuna diversa, o meno vessatoria, forma di limitazione della libertà, anche risultante dall’applicazione congiunta di misure coercitive e interdittive. Possibilità, quest’ultima, oggi espressamente prevista in via generale a seguito della riforma del 2015, proprio per consentire una più agevole fruizione dell’alternativa al carcere (con combinazione dei vincoli derivanti dal cumulo di diverse misure personali di tipo non detentivo). Questa regola subisce tuttavia una cospicua eccezione nel comma 3 del 275, nel quale è stabilito che quando sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti ivi elencati (delitti di associazione sovversiva, terroristica o di tipo mafioso) la misura applicabile è sempre quella carceraria, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Insomma questo comporta in capo all’indiziato dei suddetti delitti una forte presunzione relativa del periculum libertatis, ed una vera e propria presunzione assoluta di adeguatezza della misura carceraria (comunque il giudice provvede solo dietro richiesta del pm, essendo tale richiesta comunque necessaria ai sensi del 291 comma 1). Ne deriva un vero e proprio onere (in capo al medesimo giudice) di motivazione negativa, circa la (non) sussistenza in concreto di esigenze cautelari, tutte le volte in cui ritenga di non dover disporre quest’ultima misura. Questa è una situazione che dal punto di vista del giudice dovrebbe rappresentare una sorta di scudo normativo di fronte a rischio di minacce e condizionamenti di cui lo stesso potrebbe venire sottoposto, soprattutto nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata. Anche se un meccanismo normativo del genere risulta davvero al limite della compatibilità con il disposto del 13 comma 2 Cost. Il giudice una volta accertata la gravità degli indizi relativamente ad uno dei suddetti delitti, o è in grado di escludere qualunque esigenza cautelare, oppure, anche in presenza di blandi elementi di periculum libertatis, deve disporre la custodia in carcere, senza poter optare per misura meno gravosa, nemmeno se ritenesse tale ultima misura (la meno gravosa) sufficiente a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Altre applicazioni del principio di adeguatezza: Sempre nella logica delle puntualizzazioni applicative del principio di adeguatezza, per quanto riguarda, in ispecie, l’impiego della custodia in carcere, una sorta di presunzione di non necessità della misura carceraria risulta sancita nel comma 4 del 275, con riferimento ad una gamma variegata di ipotesi, rispetto alle quali si delinea una previsione di divieto (non può essere disposta ne mantenuta la custodia cautelare in carcere) della suddetta misura. Cosi è stabilito quando siano imputati una donna incinta, o una madre di prole di età non superiore a 6 anni con la stessa convivente, ovvero un padre qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, od ancora una persona che abbia superato i 70 anni. Nei confronti dei suddetti imputati si prevede che deve di regola essere applicata una misura diversa dalla custodia in carcere, salva eccezione dell’eventualità che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Analogamente, qualora ricorrano i presupposti per la custodia in carcere ma non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, e si tratti di imputati tossicodipendenti o alcooldipendenti sottoposti a programma terapeutico, il d.p.r. 309/1990 stabilisce che nei confronti di tali imputati debba essere disposta la misura degli arresti domiciliari, allorché l’interruzione del programma in atto potrebbe pregiudicare il loro recupero (fermo restando obbligo del giudice di definire i controlli necessari a verificare la effettiva prosecuzione del suddetto programma da parte dell’imputato, nonché di fissare i giorni e gli orari nei quali quest’ultimo può assentarsi per l’attuazione del programma). 5 Un esplicito divieto di custodia cautelare è stabilito infine dal 275 comma 4-bis nei riguardi degli imputati che siano affetti da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria, ovvero da altra malattia particolarmente grave, a causa della quale le loro condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione, e siano comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione carceraria. Se però sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, dovrà farsi regolarmente luogo a custodia cautelare presso idonee strutture sanitarie penitenziarie, a meno che tale misura non risulti possibile senza pregiudizio per la salute dell’imputato o per quella degli altri detenuti. Ancora alla sfera del principio di adeguatezza, sia pure con riferimento all’ipotesi di condotte dell’imputato contrastanti con le prescrizioni inerenti alle singole misure cautelari, deve ricondursi la disposizione del 276 comma 1. Dove viene enunciato il principio per cui, nel caso di inosservanza delle suddette prescrizioni, il giudice può ordinare la sostituzione della misura già disposta, ovvero il suo cumulo con altra più grave: sempre, di regola, dietro richiesta del pm, secondo la disciplina del 291, e senza previo contraddittorio, come in ogni altra ipotesi di applicazione ex novo di una misura cautelare. Il codice attribuisce in sostanza al giudice un potere discrezionale che si configura quale una sorta di proiezione ulteriore del potere attribuito al medesimo giudice dal 275 in tema di scelta della misura da adottare. La misura verte sul se e su quale misura debba adottarsi in luogo o in aggiunta della misura originariamente applicata, e i criteri di valutazione oltre a quelli del 275 sono quelli imperniati sulla entità, sui motivi, e sulle circostanze della violazione. Resta inteso che non ogni trasgressione dell’imputato dovrà necessariamente dare luogo ad un nuovo provvedimento, ma solo quelle che per le loro caratteristiche oggettive e soggettive, siano tali da far ritenere non più sufficiente l’originaria misura a fronteggiare la mutata situazione cautelare. La salvaguardia dei diritti della persona sottoposta a misura cautelare: Tipica norma di garanzia per l’imputato è il 277 che detta una regola di fondo relativa ai rapporti tra la esecuzione di tali misure (misure cautelari) e la tutela dei diritti dell’imputato cui le medesime si riferiscono. Vi si stabilisce che le modalità esecutive devono salvaguardare i diritti della persona ad essa sottoposta, sia pure limitando poi la sfera della tutela ai diritti il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari. Tale previsione è concreta attuazione dell’articolo 1 comma 3 ord. penit. e deve raccordarsi con il 285 comma 2, stando al quale la persona sottoposta a custodia carceraria non può subire limitazione della libertà prima del trasferimento in istituto, se non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua traduzione. I criteri di determinazione della pena ai fini dell’applicazione delle misure: Ci riferiamo alle regole dettate dal 278 per la determinazione della pena agli effetti dell’applicazione delle misure cautelari personali. Si prescrive che deve aversi riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato, senza tener conto ne della continuazione, ne della recidiva, anche se si tratta di recidiva reiterata, a parere delle sezioni unite della Cassazione, ne, di regola, delle circostanze del reato. Misure coercitive e misure interdittive: Per entrambe le tipologie di misure risulta generalizzato, sotto il profilo delle condizioni di applicabilità, il limite oggettivo correlato alla gravità del reato (sul piano della previsione edittale), essendosi stabilito che le une e le altre possano applicarsi soltanto quando si procede per delitti per i 6 quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni (280 e 287). Questa regole non è senza eccezioni. In linea generale (oltre alle eccezioni previste per specifiche misure), per quanto riguarda le misure coercitive, è lo stesso comma 1 del 280 a fare anzitutto salvo quanto disposto dai commi 2 e 3 dello stesso articolo, dove la deroga si riferisce specificamente all’impiego della custodia cautelare in carcere. Essa infatti può essere applicata esclusivamente quando si proceda per delitti consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni (ovvero, si deve ritenere, la pena dell’ergastolo). Questo limite non opera nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare, sicché a carico di tali imputati la misura carceraria potrà essere applicata in forza del meccanismo sostitutivo previsto dal 276, anche con riferimento a delitti punibili con pena detentiva superiore nel massimo a 3 anni (sebbene inferiore a 5 anni), alla stregua della regola generale del 280. Una seconda eccezione è stabilita dal medesimo comma 1 del 280 facendo salvo quanto disposto dal 391. Il richiamo va riferito al comma 5 del 391 dove, nel disciplinare in via generale la conversione dell’arresto in flagranza o del fermo in una misura coercitiva a norma del 291, ivi compresa la custodia in carcere, si dispone espressamente che tale conversione possa avere luogo anche al di fuori dei limiti di pena previsti dal 274 e 280, quando l’arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati nel 381 comma 2 ovvero per uno dei delitti per i quali è consentito anche fuori dei casi di flagranza: dunque, anche con riferimento a determinati delitti punibili con la reclusione non inferiore nel massimo a 3 anni. Ciò significa che in ordine alle ipotesi delittuose del 381 comma 2, l’applicazione di una misura di coercizione personale potrà configurarsi soltanto a seguito di conversione dell’arresto in flagranza, mentre non potrà trovare base nel potere coercitivo originariamente spettante al giudice. Fin qui dunque la sfera di operatività della clausola di salvaguardia contenuta nel 280 con riferimento al disposto del 391 comma 5 parrebbe ineccepibile, e infatti tale era stata fino all’intervento del 1995 che nel comma 2 del 280 ha circoscritto l’applicabilità della custodia in carcere esclusivamente ai delitti punibili con la reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni (termine oggi ulteriormente alzato a 5 anni). Data la non corrispondente attuata modifica all’interno del 391 comma 5 e senza alcuna modifica circa la portata di tale deroga rispetto ai delitti di cui al 381, nelle ipotesi ivi previste, l’applicazione della custodia carceraria a seguito di convalida dell’arresto in flagranza continua ad essere consentita, anche al di fuori dei limiti di pena previsti dal 280, nonché dal 274, nei soli casi in cui l’arresto sia stato eseguito a norma del 381 comma 2, mentre risulta preclusa nei casi in cui l’arresto sia stato eseguito a norma del 381, ogniqualvolta si tratti di delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione in misura bensì superiore nel massimo a 3 anni, ma inferiore nel massimo a 5 anni. In questi ultimi casi infatti a causa della mancata predisposizione di una clausola derogatoria analoga a quella del 391 comma 5, non può non operare il limite di applicabilità sancito, per la custodia in carcere, dal comma 2 del 280. Sennonché tutto ciò è palesemente assurdo, poiché, per effetto di un simile difetto di coordinamento legislativo, esiste oggi nel sistema una fascia di situazioni rispetto alle quali, pur dopo la convalida dell’arresto in flagranza, non potrà essere applicata la misura custodiale nei confronti dell’arrestato, non ostante l’accertamento dei 7 La tipologia delle misure interdittive: Per quel che concerne le misure interdittive, esse pure, al pari delle misure coercitive, sistematicamente raccolte in un unico contesto, occorre subito osservare come, sul piano applicativo, il limite di sbarramento correlato ai procedimenti per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni, subisca svariate deroghe, in rapporto a quanto previsto da disposizioni particolari: vale a dire dalle singole disposizioni concernenti le diverse misure, relativamente a ciascuna delle quali sono infatti sancite specifiche ipotesi derogatorie all’osservanza di tale limite, con riferimento a determinate figure delittuose, cui le misure stesse sono state riconosciute collegate da una concreta funzionalità cautelare. Circa la tipologia di esse, vengono disciplinate la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale (288); la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, peraltro non applicabile agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare; il divieto temporaneo di contrattare con la p.a.; ed infine il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali, ovvero determinati uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese (290). Quanto ai criteri di scelta delle suddette misure, valgono ovviamente i principi di adeguatezza e di proporzionalità enunciati in via generale dal 275, con riferimento alle esigenze cautelari di cui al 274. Va poi ricordata l’ulteriore possibilità offerta al giudice di dare più specifica attuazione a tali principi, secondo la logica del sacrificio minimo, attraverso la applicazione soltanto parziale della misura prescelta. Quindi l’incidenza della misura può essere in concreto limitata solo a una parte della potestà, ovvero a un settore o a una parte della attività inerente all’ufficio o alla professione interdetti. Ai sensi del 293 comma 4 comunque ogni ordinanza che applichi una misura suddetta deve essere trasmessa in copia all’organo eventualmente competente a disporne l’interdizione in via ordinaria (in ottemperanza ad un opportuno collegamento tra autorità procedente e organi amministrativi). Profili formali dei provvedimenti cautelari e procedimento applicativo: La netta ripartizione dei ruoli tra pm come organo richiedente e giudice come organo decidente nel settore delle misure cautelari personali trova puntuale traduzione nel 291. Nel comma 1 viene ribadita la regola per cui la competenza a disporre tali misure appartiene al giudice, il quale nel momento applicativo provvede sempre su richiesta del pm (a parte nel caso del 275 comma 2-ter e nel caso di revoca o sostituzione di misure già applicate ex 299 comma 3). In particolare il pm dovrà fornire al giudice gli elementi su cui la richiesta si fonda, compresi i verbali delle operazioni compiute in relazione a intercettazioni, limitatamente come sappiamo alle conversazioni e comunicazioni rilevanti, e quando necessario la riproduzione dei soli brani essenziali dei colloqui captati. Il pm dovrà allegare anche tutti gli altri elementi a favore dell’imputato, nonché le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate. Ciò poiché il giudice non deve vedersi sottratto alcun elemento utile per formarsi un completo convincimento sul tema della richiesta presentata dal medesimo pubblico ministero. Nel comma 2 del 291 viene dettata specifica disciplina per le ipotesi in cui giudice destinatario della suddetta richiesta riconosca per qualsiasi causa la propria incompetenza. In questo caso ove il giudice accerti anche l’urgenza di provvedere sotto il profilo cautelare, egli stesso dovrà disporre la misura richiesta, con il medesimo provvedimento declinatorio di competenza, salva la caducazione 10 della misura cosi applicata qualora, entro 20 giorni dalla trasmissione degli atti al giudice competente, questi non la confermi con proprio autonomo provvedimento. La richiesta formulata dal pm, necessaria ad attivare l’esercizio del potere cautelare del giudice, non è tuttavia vincolante per quel che concerne la tipologia della misura oggetto della richiesta stessa: il giudice può disporre anche una misura cautelare meno grave di quella richiesta dall’organo dell’accusa; non, invece, una misura più grave, per la quale mancherebbe qualunque iniziativa del pm. Questo è un ulteriore sintomo del proposito legislativo di rafforzare la posizione del giudice, quale organo decisorio in materia de libertate, rispetto al pm. È stato previsto infine, ad opera del comma 2-bis del 291, che il pm in caso di necessità o urgenza possa chiedere al giudice, nell’interesse della persona offesa, l’applicazione di una delle misure patrimoniali provvisorie previste dal 282-bis comma 3. In tal modo risulta estesa ad ampio raggio l’applicabilità delle suddette misure in chiave accessoria rispetto ad ogni altra misura cautelare applicata in via principale, con l’intento di configurare uno strumento di tutela anticipata, a livello patrimoniale, per le vittime del reato. Essendo il provvedimento cautelare un tipico atto a sorpresa, il procedimento di adozione non prevede l’instaurazione del contraddittorio con l’imputato. Sulla richiesta del pm il giudice provvede inaudita altera parte. L’unica eccezione è rappresentata dalla sospensione dall’esercizio di un pubblico servizio o ufficio, per la quale il giudice deve procedere, prima di provvedere, all’interrogatorio dell’indagato di un delitto contro la p.a. Quanto agli aspetti formali del provvedimento del giudice (ordinanza), tra i requisiti elencati dal 292 va segnalato, accanto alla ipotesi di imputazione rappresentata dalla descrizione sommaria del fatto, con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate, soprattutto quello relativo alla sua motivazione, espresso con formula analitica e stringente, diretta a responsabilizzare al massimo il giudice nell’esposizione delle ragioni che lo abbiano indotto ad adottare la misura. Una esposizione che il legislatore ha voluto modellata in modo da ricoprire l’intera gamma dei presupposti stabiliti dal 273 e 274 per l’applicazione delle misure cautelari: sia sotto il profilo del fumus commissi delicti (indizi che giustificano in concreto la misura disposta), anche in rapporto al grado della sua consistenza (con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto altresì del tempo trascorso dalla commissione del reato); sia sotto il profilo del periculum libertatis (specifiche esigenze cautelari). Riguardo a questo ultimo profilo si prescrive altresì la predeterminazione della durata della misura (della sua data di scadenza…), quando la stessa sia stata disposta in vista dell’esigenza cautelare di cui al 274 lett. a cioè al fine di garantire l’acquisizione o la genuinità della prova. E la prescrizione è evidentemente funzionale alla specifica disciplina della estinzione delle misure disposte per esigenze probatorie e della loro eventuale rinnovazione ex 301 commi 1 e 2, oltreché al peculiare regime della durata della custodia cautelare disposta per le medesime esigenze, quale risulta dai nuovi commi 2-bis e 2-ter del 301. Il modello di motivazione previsto per le ordinanze relative alle misure cautelari non si esaurisce nei passaggi fin qui delineati, essendo stato oggetto di interventi volti a rafforzare l’obbligo del giudice (costituzionalmente imposto dal 13 comma 2 Cost.) di dar conto delle ragioni che legittimano il ricorso alla misura limitativa della libertà dell’imputato. A seguito della legge del 1995, nel comma 2 del 292 è stata inserita una nuova lettera c-bis in virtù della quale si prescrivono al giudice due ulteriori adempimenti: tali sono l’esposizione delle ragioni per le quali siano stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa; e, quando venga applicata la misura carceraria, 11 l’esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali si sia ritenuto che le esigenze cautelari del caso non possono essere soddisfatte con altre misure. In ogni caso è fuori discussione che nel rapportare le esigenze cautelari riscontrate in concreto alla specifica idoneità della misura applicata, il giudice debba sempre dar conto della osservanza dei criteri di scelta stabiliti dal 275, con particolare riguardo ai canoni della adeguatezza e della proporzionalità. Il giudice inoltre, nel motivare l’ordinanza, non può limitarsi all’esposizione degli elementi sopra indicati, ma deve anche esplicitare la propria autonoma valutazione degli stessi. Cioè con effettivo apprezzamento delle ragioni della cautela espresse dal pm in sede di richiesta: la motivazione deve dare conto del percorso argomentativo seguito “autonomamente” per giungere alla decisione x o y. Tutti i requisiti indicati nel 292 comma 2 sono stabiliti a pena di nullità e questa nullità, definita come rilevabile anche d’ufficio dal legislatore del 1995, in assenza di altra specifica disposizione deve ritenersi assoggettata alle regole generali di deducibilità e di sanatoria ex 181-183. È indubbio tuttavia che l’eventuale verificarsi di una sanatoria non potrebbe mai precludere il successivo funzionamento del meccanismo di revoca della misura applicata, ai sensi del 299, ogniqualvolta fosse accertata la mancanza (originaria o sopravvenuta) delle condizioni di applicabilità o delle esigenze cautelari prescritte a fondamento della misura stessa. Occorre aggiungere che quanto precede va necessariamente coordinato con la successiva disciplina del procedimento di riesame, più precisamente, con le previsioni del 309 comma 6 (che non prescrive la allegazione dei motivi a pena di inammissibilità della richiesta di riesame, consentendone altresì la enunciazione davanti allo stesso giudice del riesame), e, soprattutto, del 309 comma 9 (secondo cui il tribunale competente per il riesame può annullare il provvedimento impugnato anche sulla sola base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza, ed addirittura anche per motivi diversi da quelli enunciati). L’una e l’altra palesemente dirette, in coerenza con la configurazione del riesame come strumento di controllo a tutto campo dei provvedimenti de libertate, ad affrancare il tribunale da qualunque condizionamento nella declaratoria delle nullità delle ordinanze sottoposte a riesame (sempre che non si tratti di nullità sanabili dallo stesso tribunale, ad esempio attraverso un provvedimento di conferma dell’ordinanza impugnata, anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione della medesima). Gli adempimenti esecutivi e le garanzie difensive: Tra gli adempimenti diretti a dare esecuzione alle ordinanze recanti una misura cautelare (per le quali è prescritta la immediata trasmissione agli organi competenti ex 92 disp. att.) emergono dal 293 soprattutto quelli più strettamente funzionali a consentire l’esercizio della difesa, personale e tecnica. Prima di tutto il d.lgs. 101/2014 ha modificato il comma 1 del 293 inserendovi l’obbligo, per l’ufficiale o l’agente incaricato di eseguire l’ordinanza che ha disposto la custodia cautelare, di consegnare all’imputato copia del provvedimento e una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa, con cui lo informa dei suoi diritti difensivi e cioè: - Della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge - Del diritto di ottenere informazioni in merito all’accusa - Del diritto all’interprete e alla traduzione di atti fondamentali - Del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere - Del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento - Del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari - Del diritto di accedere all’assistenza medica di urgenza 12 per l’assoggettamento a custodia degli articoli 273, 274 e 275. Il senso della disposizione è quello di porre le premesse per una nuova valutazione dei presupposti, alla luce degli elementi che gli siano stati forniti dall’indiziato in sede di interrogatorio: a conferma dunque della natura eminentemente difensiva dell’atto, in quanto volto a consentire all’indiziato di fare presenti le circostanze adducibili a suo favore, cosi da obbligare il giudice ad un controllo successivo sulla tenuta delle valutazioni operate ex ante, a fronte degli argomenti emersi in quella sede. Si prevede esplicitamente l’eventualità che il giudice possa provvedere anche d’ufficio ex 299 comma 3 alla revoca o alla sostituzione della misura disposta. Tale interrogatorio è viziato da nullità allorquando non sia stato preceduto dal deposito nella cancelleria del giudice, a norma del 293 comma 3, dell’ordinanza cautelare e degli altri atti ivi indicati. Viene anche previsto il meccanismo di caducazione disciplinato nel 302, con lo stabilire che la custodia cautelare disposta fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento perde immediatamente efficacia ogniqualvolta il giudice non procede all’interrogatorio entro il termine previsto dal 294. La stessa fattispecie estintiva opera anche con riguardo alle altre misure coercitive o interdittive, cui si riferisce il 294 comma 1-bis, in rapporto al termine di 10 giorni ivi previsto. Lo stesso 302 poi precisa che una volta avvenuta la liberazione dell’indiziato, il medesimo potrà essere di nuovo sottoposto a custodia cautelare, su richiesta del pm, sempre che ne ricorrano i presupposti, soltanto dopo che sia stato interrogato in stato di libertà. Insomma la prevista caducazione della custodia cautelare per omesso interrogatorio è istituto funzionale a garantire all’indiziato il diritto ad essere interrogato da libero, ove non lo sia stato nel termine stabilito ex lege dall’inizio della custodia. Si prevede infatti che la custodia possa venire comunque ripristinata quando l’indiziato stesso, dopo essere stato posto in libertà, si sia sottratto all’interrogatorio senza addurre alcun giustificato motivo. Tornando al 294, secondo il comma 6 l’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare da parte del pm non può precedete l’interrogatorio del giudice. Sembra ciò potersi spiegare unicamente per un aprioristico atteggiamento legislativo di diffidenza verso l’attività inquirente dell’organo dell’accusa (dato che i due interrogatori hanno finalità diverse: quello del pm carattere investigativo, quello del giudice di garanzia, per cui non si spiegherebbe alla luce di ciò questa obbligatoria antecedenza del secondo sul primo). Poiché, d’altra parte, è innegabile che in determinate situazioni di urgenza investigativa il pm possa avere necessità di interrogare al più presto la persona in custodia (senza dover attendere i 5 giorni consentiti al giudice per espletamento del suo interrogatorio), il comma 1-ter del 294 stabilisce che, ove lo stesso pm ne faccia istanza nel presentare la richiesta di custodia cautelare ex 291, il giudice sia tenuto ad effettuare l’interrogatorio entro il termine di 48 ore dall’inizio della custodia. Il computo dei termini di durata delle misure: Sebbene funzionale ad una tipica causa di estinzione delle misure cautelari personali, la normativa concernente il computo di tali termini si colloca nel nuovo sistema, con il 297, tra le disposizioni dettate per la esecuzione delle varie misure. Sia perché vi risultano anzitutto fissate le regole sulla decorrenza degli effetti delle medesime, sia perché al suo interno trova posto altresì la disciplina dei casi di concorrenza tra diversi provvedimenti cautelari relativi allo stesso fatto, oltre che dei casi di cumulo tra provvedimenti definitivi e provvedimenti cautelari. 15 Dopo aver sancito principio generale secondo cui gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, dell’arresto o del fermo, mentre gli effetti delle altre misure, compresi gli arresti domiciliari, decorrono dal momento della notifica della relativa ordinanza, il 297 si preoccupa di disciplinare l’ipotesi della pluralità di provvedimenti applicativi della medesima misura a carico del medesimo imputato. Partendo dall’ipotesi tradizionale, quando cioè i suddetti provvedimenti riguardino lo stesso fatto, il comma 3 del 297 si da carico di precisare che i termini decorrono dal giorno in cui è stato eseguito o notificato il primo provvedimento, ma sono commisurati in rapporto all’imputazione più grave tra quelle contestate con le diverse ordinanze. Alla base di ciò vi è l’intento di contrastare una certa prassi giudiziaria (quella delle cosiddette contestazioni a catena), molto spesso adottata in chiave elusiva dell’ordinaria disciplina dei termini delle misure cautelari. È la prassi volta a dilazionare nel tempo l’adozione di misure di custodia cautelare riferite a distinti fatti criminosi tra loro connessi, attraverso un artificioso differimento a cascata in epoche successive dei relativi provvedimenti, cosi da far decorrere da momenti diversi i corrispondenti termini di durata. In particolare, anche quando tali fatti fossero già noti, e sulla base di elementi tali da giustificare l’adozione di provvedimenti cautelari contestuali fin dalla pronuncia della prima ordinanza. Prassi senz’altro da condannare, nei cui riguardi però la reazione legislativa è andata fuori misura, correlando l’operatività della regola di retrodatazione ex 297 comma 3 alla mera successione cronologica delle diverse ordinanza cautelari, nelle ipotesi ivi indicate, sulla base di una sorta di presunzione assoluta di colpevole inerzia o di artificioso ritardo del pm nel richiedere la pronuncia delle ordinanze successive alla prima. Però per questa via, essendo stata sottratta al pm qualunque possibilità di dimostrare la correttezza del proprio comportamento, ne emerge una disciplina assolutamente paradossale nel suo rigido automatismo, che finisce per imporre il medesimo regime di decorrenza simultanea dei termini di custodia relativi alle misure applicate con le distinte ordinanze scaglionate nel tempo anche con riferimento a situazioni tra loro assai differenziate. Cosi come la situazione in cui il pm abbia davvero ritardato la propria iniziativa (attraverso tardiva contestazione di un fatto già precedentemente noto) con quella diversa in cui non si registra alcun ritardo imputabile al pm (come nei casi ad esempio di obiettiva tardività); trattate allo stesso modo. Ove la pluralità di ordinanze emesse nei confronti dello stesso imputato riguardi fatti diversi, l’eventuale passaggio in giudicato della condanna per il fatto considerato nel primo provvedimento cautelare non fa venire meno l’operatività della regola di retrodatazione del termine iniziale della misura disposta con la successiva ordinanza cautelare, non potendo evidentemente il giudicato produrre l’effetto di azzerare il tempo della custodia già sofferta. Quanto all’ipotesi del cumulo tra un provvedimento cautelare ed un provvedimento di custodia per altro reato, ovvero di detenzione o di internamento a titolo definitivo, occorre fare riferimento al disposto dell’ultimo comma del medesimo 297. La regola è quella per cui gli effetti della misura cautelare decorrono dal giorno della notifica della relativa ordinanza, ove si tratti di misura compatibile con lo stato di detenzione o di internamento, mentre nel caso contrario decorrono dalla cessazione di tale stato; si stabilisce anche che agli effetti del computo dei termini massimi, la custodia cautelare si considera compatibile con lo stato di detenzione per esecuzione di pena o di internamento per misura di sicurezza. 16 Lo stesso deve ritenersi nell’ipotesi di cumulo tra una misura cautelare detentiva ed un provvedimento di custodia già in atto a carico della medesima persona per un diverso fatto di reato. Il 298 prevede poi che l’esecuzione di un ordine di carcerazione nei confronti di un imputato sottoposto ad una misura cautelare personale per un diverso reato determini la sospensione dell’esecuzione di quest’ultima, a meno che gli effetti di tale misura risultino compatibili con l’espiazione della pena. I provvedimenti di revoca e di sostituzione: Il 299 riunisce in un unico contesto normativo le diverse ipotesi di revoca e sostituzione delle misure riconducibili alla fenomenologia dei presupposti di fatto e di diritto delle stesse. Ciò segue una istanza di uniformità e semplificazione normativa, nonché la volontà di una organica costruzione sistematica delle vicende modificative ed estintive delle misure in questione. In questa cornice si inserisce la revoca come fattispecie estintiva delle misure cautelari personali, destinata ad operare tutte le volte in cui (a seguito di una valutazione sulla sussistenza ex ante, o sulla permanenza ex post) risultino carenti, per ciascuna di esse, le condizioni di applicabilità previste dal 273 o da altre specifiche disposizioni, ovvero le esigenze cautelari previste dal 274. Si tratta di una tipica applicazione delle stesse regole di discrezionalità vincolata cui deve attenersi il giudice nel momento applicativo delle suddette misure. Lo stesso vale quando si accerti che le esigenze cautelari si sono attenuate, al punto da far ritenere eccessivamente vessatoria la misura applicata, ovvero che la medesima non appare più proporzionata all’entità del fatto o della sanzione irrogabile. Il giudice allora dovrà sostituire la misura originaria con altra meno grave, o disporne la applicazione con modalità meno gravose, salvo il limite del comma 3 del 275. Quanto ai profili procedurali, si stabilisce che durante le indagini preliminari il giudice debba provvedere in ordine alla revoca ed alla sostituzione delle misure, di regola, soltanto dietro richiesta del pm o dell’imputato, ed entro 5 giorni dal deposito di tale richiesta. Tuttavia anche nel corso delle indagini preliminari si ammette che il giudice possa assumere ex officio l’iniziativa della revoca o della sostituzione delle misure suddette, quando risulti già investito del procedimento per l’esercizio di uno dei poteri appartenenti alla sua competenza funzionale (in particolare quando assuma l’interrogatorio dell’indiziato in stato di custodia cautelare ex 294, o quando sia richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari ex 406, o quando si proceda all’assunzione di un incidente probatorio ex 392 e seguenti). In ogni modo, prima di provvedere sulla revoca o sulla sostituzione il giudice deve sempre sentire il pm, il quale dovrà esprimere il proprio parere nei 2 giorni successivi, fatta salva la possibilità data al giudice di procedere alla decisione qualora entro tale termine il suddetto parere non sia stato espresso. Il giudice inoltre prima di provvedere può sempre procedere ad interrogatorio della persona sottoposta alla misura. E tale interrogatorio diventa doveroso per il giudice, ove l’imputato lo abbia richiesto, quando l’istanza di revoca o di sostituzione della misura sia basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati: dunque, non solo su elementi fino ad allora non acquisiti, ma anche su elementi già acquisiti, e tuttavia rimasti estranei a precedenti valutazioni del giudice. A parte il caso della trasgressione alle prescrizioni imposte (già disciplinato in via generale dal 276), per quanto riguarda invece l’ipotesi in cui si accerti che le esigenze cautelari si sono accresciute rispetto a quelle individuate alla base della misura applicata, è previsto che il giudice, su richiesta del pm, debba sempre, ricorrendone i presupposti, sostituire la misura originaria con altra 17 Ai sensi del comma 1 del 303, per quanto riguarda la fase preliminare, la custodia è destinata a perdere efficacia allorché, dall’inizio della sua esecuzione, e senza che sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o l’ordinanza di giudizio abbreviato ex 438, siano decorsi i seguenti termini: - 3 mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni - 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a 6 anni - 1 anno, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a 20 anni, oppure per uno dei delitti indicati nel 407 comma 2 lett. a. Per quanto riguarda la fase del giudizio di primo grado, la custodia è destinata a perdere efficacia allorché dal provvedimento che dispone il giudizio e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado, la sua durata abbia superato il termine di 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; ovvero il termine di 1 anno, quando si procede per un delitto per il quale risulta stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; od ancora il termine di 1 anno e 6 mesi quando si procede per un delitto per il quale risulta stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 20 anni. Qualora si proceda per uno dei delitti di cui al 407 comma 2 lett. a i termini appena menzionati sono aumentati fino a 6 mesi. Per quanto riguarda, infine, la fase del giudizio abbreviato, la custodia perde efficacia allorché dall’ordinanza con cui sia stato disposto tale giudizio (o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia stessa, come negli altri casi suddetti), e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna ai sensi del 442, la sua durata abbia superato il termine di 3 mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; ovvero il termine di 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale risulta stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; o il termine di 9 mesi, quando si procede per un delitto per il quale risulta stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 20 anni. Il criterio è diverso per le ulteriori fasi di giudizio, poiché si fa riferimento alla pena concretamente irrogata in sede di condanna. Cosi, per la fase del giudizio di secondo grado, la custodia cautelare perde efficacia se dalla pronuncia di sentenza di condanna in primo grado e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in appello, sia decorso termine di 9 mesi se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a 3 anni; termine di 1 anno se vi è stata condanna per massimo 10 anni; o termine di 1 anno e 6 mesi se vi è stata condanna alla pena dell’ergastolo o reclusione superiore a 10 anni. Stessa disciplina si applica nelle fasi di giudizio successive alla pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello, e finché la condanna non sia divenuta irrevocabile, salva però una importante precisazione, nella quale si riflette un palese affievolimento della presunzione costituzionale di non colpevolezza dell’imputato. Quando vi sia già stata condanna anche in primo grado (per lo stesso fatto storico), ovvero quando l’impugnazione sia stata proposta esclusivamente dal pm, si stabilisce che non debba più farsi riferimento ai termini intermedi di fase, ma che si applichi solo la disposizione del 303 comma 4, concernente i termini di durata complessiva della custodia cautelare. 20 Inoltre ai sensi del comma 2 del 303, dove si fa esplicito riferimento al caso di annullamento con rinvio da parte della cassazione, nell’eventualità di regresso del procedimento ad una diversa fase o di rinvio dinanzi ad un diverso giudice, a partire dalla data del correlativo provvedimento riprendono a decorrere ex novo i termini stabiliti con riguardo a ciascuno stato e grado del procedimento. Inoltre si prevede anche un termine massimo di durata complessiva della custodia, nel comma 4 del 303, individuato a tre diversi livelli, cosi definiti a seconda della gravità dell’imputazione, sulla base della seguente scansione: - 2 anni, quando si procede per delitto per il quale la legge stabilisce reclusione di massimo 6 anni - Al di fuori di questi casi, 4 anni, quando si procede per delitto per il quale legge stabilisce reclusione non superiore nel massimo a 20 anni - 6 anni, quando si procede per delitto per il quale legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a 20 anni ovvero l’ergastolo. Questi limiti risultano non suscettibili di superamento: ne per il meccanismo di proroga ex 305, ne per la previsione di neutralizzazione dei giorni di udienza, nonché di quelli utilizzati per la deliberazione della sentenza nella fase del giudizio, comma 4 del 297. Proroga e sospensione dei termini massimi di custodia: Nell’ambito delle deroghe all’ordinaria disciplina dei termini di durata massima della custodia cautelare il codice prevede gli istituti della sospensione e della proroga dei termini. Quanto alla proroga, il comma 2 del 305 ne circoscrive l’operatività alla sola fase delle indagini preliminari. Viene previsto che dietro richiesta del pm, i termini di custodia prossimi a scadere in tale fase possano venire possano venire prorogati soltanto in presenza di gravi esigenze cautelari, le quali, rapportate ad accertamenti particolarmente complessi, ovvero a nuove indagini disposte ai sensi del 415-bis comma 4, rendano indispensabile la prosecuzione della custodia. In questa seconda ipotesi la competenza a provvedere sulla richiesta è attribuita al giudice per le indagini preliminari. Il quale, dopo avere sentito il pm ed il difensore dell’indiziato nell’ambito di un contraddittorio semplificato ma effettivo ove ne ricorrano i presupposti potrà concedere una deroga, ed anche rinnovarla una sola volta, fino al limite rappresentato dalla metà dei termini massimi di custodia previsti per la fase delle indagini preliminari. Passando alla sospensione, il 304 la configura come fenomeno idoneo a determinare, in certi casi, anche il superamento dei termini fissati dal 303 comma 4 per la durata complessiva della custodia cautelare. Gli interrogativi maggiori concernono la definizione della fattispecie di sospensione dei termini di custodia previsti dal 303, che il 304, dopo aver stabilito la competenza del giudice a provvedere anche d’ufficio con ordinanza appellabile ex 310, ha individuato facendo riferimento ad una variegata serie di situazioni, tutte relative alla fase del giudizio. Con riguardo da un lato alle ipotesi di sospensione o di rinvio del dibattimento per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero dietro richiesta dei medesimi; dall’altro alle ipotesi di sospensione o rinvio del dibattimento a causa della mancata presentazione, dell’allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori, qualora ne rimangano privi di assistenza uno o più imputati. Deve aggiungersi l’ipotesi della sospensione durante la pendenza dei termini previsti dal 544 commi 2 e 3 per la redazione differita dei motivi della sentenza. In questo caso il termine riprende a decorrere dalla scadenza di quello fissato dalla legge o dal giudice per il deposito della sentenza, e non dalla data antecedente in cui la sentenza sia stata effettivamente depositata. I termini di custodia devono essere altresì sospesi quando le situazioni appena descritte si verifichino nell’ambito del 21 giudizio abbreviato, come risulta dalla lettera c-bis dello stesso 304. Da notare che l’operatività dell’istituto della sospensione è stata allargata dal 1995 anche alla fase della udienza preliminare: in questa fase sono sospesi i termini anche d’ufficio tutte le volte in cui la stessa udienza venga sospesa o rinviata per il verificarsi di uno dei casi indicati nel comma 1 lett. a e b del 304. Speciale figura di sospensione è stata infine prevista come conseguenza della sospensione del processo a seguito di richiesta di rimessione, nelle varie ipotesi disciplinate dal 47. Dopo aver elencato nel comma 1 del 304 le cause di sospensione dei termini di custodia collegate, durante la fase del dibattimento, a differimenti processuali non imposti da esigenze istruttorie, si è voluto dare concretezza alla direttiva della legge delega nella parte in cui configura l’eventualità di una sospensione anche in relazione allo svolgimento e alla complessità del dibattimento. Il comma successivo ha sancito che nelle ipotesi si particolare complessità dei dibattimenti o dei giudizi abbreviati relativi ai gravi delitti del 407 comma 2 lett. a, ivi compresi tutti quelli tipici della criminalità organizzata, il regime della sospensione ex 304 possa venire esteso anche ai periodi di tempo, cioè all’intero arco temporale, in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nella fase del giudizio. Quando sussistono i presupposti definiti dal comma 2 del 304, nel comma 3 si desume che la sospensione non potrà venire disposta dal giudice ex officio ma unicamente dietro richiesta del pm e sempre con ordinanza appellabile ex 310. Qualora manchi tale richiesta, si verificherà in ogni caso ex lege almeno l’effetto di congelamento del decorso dei termini di custodia, ex 297 comma 4. Il comma 6 del 304 individua il limite massimo di durata su due livelli distinti. Da un lato, avendo riguardo alla durata della custodia nelle diverse fasi del procedimento, si stabilisce che tale durata non possa in ogni caso superare il doppio dei termini intermedi di fase sanciti dal 303 commi 1, 2 e 3, senza comunque tener conto dell’ulteriore termine previsto dal 303 comma 1 lett.b n. 3-bis. Dall’altro invece, avendo riguardo alla durata complessiva della custodia, si stabilisce che tale durata non possa comunque superare i termini sanciti dal 303 comma 4 aumentati della metà, ovvero, quando in concreto risulti più favorevole, il tradizionale limite commisurato ai due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza. L’unica deroga alla disciplina dei termini fissata nel comma 6 suddetto, si ricava dal comma 7, dove è previsto che dei periodi di sospensione di cui al 304 comma 1 lett. b si tenga conto solo nel computo riguardante il limite relativo alla durata complessiva della custodia, e non anche in quello riguardante il limite relativo alle diverse fasi del procedimento, operandosi cosi rispetto a quest’ultimo computo, una sorta di neutralizzazione dei suddetti periodi. E poiché all’ipotesi di sospensione cui si riferisce questa ultima norma derogatoria, sono riconducibili tutte quelle provocate dal fenomeno della astensione collettiva dei difensori dalle udienze, si ritiene che attraverso questa disposizione il legislatore abbia voluto porre un freno al rischio di un uso pretestuoso dello strumento dello sciopero degli avvocato, ove fosse da taluno praticato al fine di propiziare la scarcerazione per decorrenza dei termini di fase degli imputati detenuti. I provvedimenti adottabili nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini: Il 307 detta un’autonoma disciplina circa i provvedimenti adottabili nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare, delineando una duplice prospettiva di interventi in chiave sostitutiva. Vi si stabilisce che a carico di tale imputato il giudice debba disporre le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposto, sempre che si accerti la permanenza delle esigenze che avevano giustificato la sua sottoposizione alla custodia stessa; più in 22 del fumus commissi delicti sia sotto quello del periculum libertatis, oltre che quelli diretti a contestare la sussistenza dei “gravi indizi di colpevolezza”. Con la richiesta l’imputato può anche chiedere di comparire personalmente e, ove abbia espresso questa intenzione, ha diritto di presenziare all’udienza. La caratteristica di rapidità coessenziale al procedimento di riesame emerge dal 309 commi 8 e 9, dove si prescrive che il tribunale emetta la sua decisione nel termine di 10 giorni dalla ricezione degli atti trasmessigli a norma del comma 5. Il procedimento di riesame dovrebbe di regola sempre concludersi, al più tardi, nell’arco di 15 giorni da quello in cui la richiesta sia pervenuta alla cancelleria del tribunale competente. Una deroga tuttavia è prevista per evitare eccessiva compressione dei tempi, nel nuovo comma 9-bis: su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro 2 giorni dalla notificazione dell’avviso, il tribunale differisce la data dell’udienza da un minimo di 5 ad un massimo di 10 giorni se vi siano giustificati motivi. Il tribunale provvederà in camera di consiglio, secondo il modello descritto nel 127, salva una necessaria abbreviazione (da 10 a 3 giorni prima della data di udienza) del termine stabilito per il corrispondente avviso al pm presso lo stesso tribunale, all’imputato e al difensore ai fini della loro comparizione. In ogni caso, in vista dell’esercizio del contraddittorio, il 309 comma 8 stabilisce che fino al giorno dell’udienza, gli atti trasmessi al tribunale ai sensi del precedente comma 5 debbano rimanere depositati in cancelleria, con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. In forza del richiamo al 127, i soggetti destinatari del predetto avviso hanno diritto di essere sentiti, se compaiono in udienza, di fronte al tribunale investito della richiesta di riesame. L’imputato che ne faccia richiesta deve essere sentito personalmente. L’esigenza del rispetto del termine di 10 giorni fissato per la decisione sulla richiesta di riesame è ulteriormente sottolineata dal 309 comma 10, sancendo che in caso di inosservanza la misura coercitiva disposta con l’ordinanza assoggettata a riesame deve ritenersi immediatamente caducata. Questa è una ulteriore fattispecie di estinzione automatica delle misure coercitive, da aggiungersi a quelle previste negli articoli 300-308. Ai fini della perdita di efficacia della misura si deve fare riferimento alla data di deliberazione del provvedimento da parte del tribunale del riesame, attestata dal deposito in cancelleria del dispositivo e della corrispondente documentazione, e non invece alla data del deposito dell’ordinanza correlativa, comprendente anche la motivazione, da eseguirsi a norma del 128. Per questo secondo adempimento è ora previsto un termine autonomo massimo di 30 giorni dalla decisione; nel caso in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa, il tribunale può disporre per il deposito un termine più lungo, comunque non eccedente il 45esimo giorno da quello della decisione. Si affianca anche l’ulteriore ipotesi sempre nel comma 10 che si concreta quando la trasmissione al tribunale da parte dell’autorità giudiziaria procedente, degli atti, non avviene nei termini prescritti dal precedente comma 5. Questo effetto caducatorio si realizza quando entro il suddetto termine tali atti non siano ancora pervenuti al medesimo tribunale. Quale che sia la causa della decadenza del titolo cautelare, il 309 comma 10 dispone che la misura caducata per il mancato tempestivo intervento del controllo non può essere rinnovata, a meno che sussistano eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate. 25 Per quanto concerne l’esercizio dei poteri decisori da parte del tribunale investito della richiesta di riesame, il comma 9 del 309 definisce la tipologia dei provvedimenti adottabili dal tribunale stesso (declaratoria di inammissibilità della richiesta; annullamento, riforma o conferma dell’ordinanza sottoposta a riesame, cui si dovrà aggiungere anche l’ipotesi della revoca), precisando altresì che la decisione potrà tener conto pure degli ulteriori elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza, senza tuttavia che il tribunale possa procedere ad una vera e propria attività istruttoria, incompatibile con le esigenze di speditezza del procedimento incidentale di controllo. Il tribunale ha anche potere di provvedere, anche nel merito, senza particolari vincoli di cognizione e decisione, riconoscendo con ciò alla richiesta di riesame la natura di un mezzo totalmente devolutivo. Ordinanza impugnata potrà venire annullata, ovvero riformata in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati nella richiesta, o successivamente ad essa. Oppure potrà venire confermata (non invece riformata in peius) anche sulla base di ragioni diverse da quelle indicate nella sua motivazione. Quanto in particolare al caso di annullamento dell’ordinanza per vizio della motivazione, in forza di un consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce il relativo potere solo nei casi limite della totale assenza del testo o della mera apparenza del discorso giustificativo, si è sempre escluso che il tribunale possa censurare il provvedimento impugnato quando questo sia corredato da una motivazione carente, illogica, lacunosa. Nel tentativo di rimediare alla evidente distorsione è intervenuto il legislatore con la legge 47/2015 che ha aggiunto al comma 9 del 309 la previsione finale secondo cui il tribunale annulla il provvedimento impugnato se manca la motivazione o non contiene l’autonoma valutazione, a norma del 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa. Anche se ciò infine riecheggia l’orientamento giurisprudenziale suddetto e quindi non risolve granché. Infine una sentenza costituzionale ha allargato notevolmente l’ambito dei poteri di cognizione del tribunale, in sede di riesame, per quanto riguarda il versante del fumus commissi delicti, riconoscendo al medesimo tribunale la possibilità di valutare la sussistenza (o meglio permanenza) dei gravi indizi di colpevolezza anche quando, a carico dell’imputato, sia già stato emesso il decreto che dispone il giudizio ex 429. Con riferimento dunque alla ipotesi in cui la relativa valutazione avrebbe dovuto ritenersi assorbita dal contenuto del suddetto decreto, con effetto preclusivo circa la cognizione da parte del tribunale di ogni questione attinente al tema degli indizi di colpevolezza. La disciplina dell’appello e del ricorso per cassazione in materia di misure cautelari personali: Appello è definito come mezzo di impugnazione utilizzabile contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali, ma fuori dei casi previsti dal 309 comma 1. La definizione è data dal 310, che ne delinea la fisionomia di strumento residuale rispetto all’ambito oggettivo e soggettivo tipico della richiesta di riesame. In sostanza i provvedimenti suscettibili di appello sono tutte le ordinanze in materia di misure cautelari personali diverse da quelle assoggettabili a riesame, mentre la titolarità del relativo potere viene riconosciuta all’imputato, al difensore ed al pm: riguardo al pm sarà l’unica possibilità di impugnazione nel merito, essendogli precluso lo strumento del riesame. Per i profili procedurali viene fatto rinvio alle corrispondenti disposizioni dettate in tema di riesame, salva restando la necessità della contestuale enunciazione dei motivi. Competenza al tribunale del capoluogo del distretto in cui risiede il giudice che ha emesso l’ordinanza appellata, che decide seguendo rito del 127 entro 20 giorni dalla ricezione della suddetta ordinanza e degli atti su cui la medesima si sia fondata. Ordinanza e atti devono essere trasmessi al tribunale entro il giorno successivo all’immediato avviso concernente la presentazione dell’appello, e devono restare depositati in cancelleria fino al giorno dell’udienza, con facoltà per difensore di esaminarli e 26 estrarne copia. Anche per il deposito in cancelleria dell’ordinanza di appello come per quella di riesame vi è termine di 30 giorni dalla data della decisione con possibilità di estenderlo fino a 45. Per il resto è implicito il rinvio alla disciplina generale dell’appello, a cominciare dalla regole dell’effetto limitatamente devolutivo. Il tribunale investito ai sensi del 310 vedrà circoscritta la sua cognizione esclusivamente ai punti dell’ordinanza appellata cui si riferiscano i motivi tempestivamente proposti. Quando poi il tribunale, accogliendo l’appello del pm, abbia disposto una misura cautelare a carico dell’imputato, il 310 comma 3 stabilisce che l’esecuzione di tale misura rimanga sospesa finché la medesima non sia diventata definitiva (in ossequio al principio del favor libertatis). Nel disciplinare contestualmente il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse dal tribunale a seguito di riesame ex 309 ovvero a seguito di appello ex 310, il 311 comma 1 riconosce la relativa titolarità all’imputato, al suo difensore ed al pm, stabilendo che il ricorso debba venire proposto entro 10 giorni dalla notificazione o dalla comunicazione dell’avviso di deposito del provvedimento. Il mezzo comunque non può essere proposto personalmente dall’imputato, ma deve essere sottoscritto a pena di inammissibilità da difensori iscritti nell’albo speciale della cassazione. Il comma 2 del 311 prevede la possibile proposizione di un ricorso omisso medio, la dove autorizza l’imputato ed il suo difensore a ricorrere in cassazione per violazione di legge direttamente contro le ordinanze applicative di una misura coercitiva, cioè prescindendo dalla previa richiesta di riesame. La proposizione del ricorso rende di per se inammissibile la richiesta di riesame, quantunque eventualmente già presentata. Si coglie favore del legislatore per il ricorso anziché la richiesta in chiave di economia processuale ma anche in chiave di funzione deterrente che una simile procedura per saltum eserciterà rispetto ad atteggiamenti troppo lassisti o disinvolti del giudice in sede di motivazione dei provvedimenti coercitivi. Si tratta di un ricorso con ritmi piuttosto serrati. Deve essere presentato presso la cancelleria del giudice a quo, poi trasmesso alla corte di cassazione da parte dell’autorità procedente, e la corte dovrà decidere entro 30 giorni dalla ricezione degli atti, osservando procedura del 127. I motivi devono essere enunciati contestualmente al ricorso, e il ricorrente ha la facoltà di enunciare nuovi motivi dinanzi alla cassazione, prima dell’inizio della discussione. Altrettante serrate sono le cadenze per il giudizio di rinvio, a seguito dell’annullamento, su ricorso dell’imputato, di una ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva ai sensi del 309 comma 9: il giudice decide entro 10 giorni dalla ricezione degli atti trasmessi dalla cassazione e l’ordinanza è depositata in cancelleria nei 30 giorni successivi. La disposizione è integrata dalla previsione della perdita di efficacia dell’ordinanza che ha disposto la misura. Analogamente al 309 comma 10 in caso di decadenza della misura per mancato rispetto delle cadenze procedimentali del riesame, anche per giudizio di rinvio è stabilito il divieto di rinnovazione della cautela, a meno che sussistano eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate. L’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza: Resa necessaria dalla presenza del 206 cp, la disciplina della applicazione provvisoria delle misure di sicurezza ha trovato collocazione nel libro dedicato alle misure cautelari in forza di una scelta sistematica di tipo analogico, essendo indubbio che tali misure hanno natura, presupposti e contenuti diversi rispetto alle misure cautelari personali intese in senso proprio. Quanto alle condizioni di applicabilità provvisoria delle misure in questione (individuate dal 206 cp nel ricovero 27 figura del sequestro conservativo, dall’altro l’inedita del sequestro preventivo, entrambe di regola affidate alla competenza del giudice di merito, dietro richiesta del pm o anche della parte civile nel primo caso (317 e 321), in omaggio a quella stessa logica della riserva di giurisdizione cui si ispira l’intero sistema delle misure cautelari personali. Circa il sequestro conservativo la sua funzione è quella di assicurare attraverso il vincolo posto sui beni mobili o immobili dell’imputato (si suppone quindi già esercitata l’azione penale), nonché sulle somme o cose a lui dovute, l’esecuzione della sentenza che potrebbe venire emessa, tutte le volte in cui vi sia fondata ragione di ritenere che manchino o di disperdano le relative garanzie. Sia sotto profilo della pena pecuniaria, delle spese processuali e delle altre somme dovute all’erario statale, nell’ipotesi di iniziativa del pm, sia sotto profilo dell’adempimento delle obbligazioni civili da reato, nell’ipotesi di iniziativa della parte civile, estensibile anche ai beni del responsabile civile. Accanto alla soppressione dell’istituto della ipoteca legale, da correlarsi all’allargamento dell’incidenza del sequestro conservativo anche sui beni immobili, tra le novità si segnalano una più organica disciplina dell’offerta di cauzione, in funzione alternativa ex ante o sostitutiva ex post, rispetto al provvedimento di sequestro, e, soprattutto, quella relativa alla prevista conversione del sequestro in pignoramento, quale conseguenza del giudicato di condanna (320). L’estinzione della misura cautelare patrimoniale ed il contestuale fenomeno della sua conversione in pignoramento non estinguono il carattere privilegiato dei crediti tutelati attraverso il sequestro, salva restando in ogni caso la priorità attribuita ai crediti della parte civile rispetto a quelli dello Stato. Passando alla figura del sequestro preventivo, esso si caratterizza per il suo spiccato finalismo cautelare per esigenze di prevenzione: sul presupposto che sia stata anzitutto accertata la sussistenza di elementi idonei a suffragare la configurabilità in concreto della fattispecie di reato ipotizzata (cosiddetto fumus delicti, in senso oggettivo), mentre non è richiesta la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di un soggetto indagato o imputato. Si stabilisce che anche prima dell’esercizio dell’azione penale, il giudice su richiesta del pm, debba disporre con decreto motivato il sequestro delle cose pertinenti al reato, tutte le volte in cui la libera disponibilità delle stesse possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato medesimo, ovvero agevolare la commissione di altri reati (321), osservandosi al riguardo la normativa di attuazione dettata per il sequestro probatorio (104 disp. att.) Al di fuori di questi presupposti il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca è di regola rimesso alla discrezionalità del giudice, mentre diventa obbligatorio nel corso dei procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a. Durante le indagini preliminari, quando per l’urgenza delle circostanze non risulti possibile attendere il provvedimento del giudice competente per la fase, il sequestro preventivo potrà essere disposto con proprio decreto dal pm, e addirittura potranno procedervi di loro iniziativa, prima dell’intervento di quest’ultimo, anche ufficiali di polizia giudiziaria, salva la necessaria trasmissione al medesimo pm del relativo verbale entro 48 ore. In ipotesi del genere si prevede che il sequestro perda efficacia qualora entro le successive 48 ore il pm non ne abbia richiesto al giudice la convalida e l’emissione del decreto di sua competenza, ovvero qualora il giudice non emetta il suddetto provvedimento di convalida entro 10 giorni dalla ricezione di tale richiesta (321). 30 È anche previsto che la misura venga revocata dal giudice, a richiesta del pm o dell’interessato, ovvero, nel corso delle indagini preliminari, dallo stesso pm, quando si accerti l’insussistenza, anche per fatti sopravvenuti, delle esigenze di prevenzione che l’avevano giustificata. Riguardo infine alla perdita di efficacia del sequestro preventivo conseguente alla pronuncia di determinate sentenze (323), vanno sottolineate due specifiche previsioni relative al fenomeno della conversione del medesimo in altre figure di sequestro. Ci si riferisce all’ipotesi di conversione del sequestro preventivo in sequestro probatorio, tutte le volte in cui il primo, avendo avuto per oggetto più esemplari identici della cosa sequestrata (sequestro di massa), abbia perso efficacia a seguito di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, peraltro impugnata dal pm: in situazioni del genere, ove la cosa presenti interesse sotto profilo probatorio, il giudice ordinerà il mantenimento del sequestro a tale scopo su un solo esemplare della stessa, disponendo restituzione degli altri. Dall’altro lato vi è l’ipotesi di conversione conseguente alla pronuncia di una sentenza di condanna, ovviamente quando non sia stata disposta la confisca delle cose sequestrate in via preventiva, nel qual caso dovranno rimanere fermi gli effetti del sequestro. Al di fuori di questa eventualità, sempre che non permanga l’esigenza cautelare ex 321, dovrà essere ordinata la restituzione di tali cose, ma il giudice potrà disporre la conversione del sequestro preventivo in sequestro conservativo, ove ne sussistano i presupposti e dietro richiesta del pm o della parte civile: sia nell’ipotesi di sentenza di condanna, sia nell’ipotesi di sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, in quanto soggette a impugnazione. Quanto al sistema dei rimedi avverso i provvedimenti di sequestro, esso fa perno anzitutto sullo strumento del riesame, tipica impugnazione nel merito, di fronte al tribunale in composizione collegiale sia contro l’ordinanza di sequestro conservativo (318) sia contro il decreto di sequestro preventivo (322), dopo che analoga previsione era già stata dettata con riferimento al decreto di sequestro per finalità probatorie (257 e 355 commi 3 e 4). E al riguardo si stabilisce con riferimento alle impugnazioni contro i provvedimenti de libertate che la richiesta di riesame non sospende l’esecuzione del provvedimento di sequestro. In tutti questi casi il procedimento di riesame è delineato dal 324 sulla falsariga di quello descritto nel 309 in materia di misure di coercizione personale, ivi compresi i meccanismi del contraddittorio richiamati attraverso il rinvio alle forme del 127, oltre che con l’espressa previsione del deposito degli atti nella cancelleria del tribunale in composizione collegiale competente su base provinciale. Si prevede infine che tutte le ordinanze emesse dal tribunale in sede di riesame intorno ai provvedimenti di sequestro siano suscettibili di ricorso per cassazione. Tuttavia si ammette esplicitamente che lo stesso ricorso possa venire altresì proposto direttamente contro i medesimi provvedimenti di sequestro, in quanto emessi dal giudice, con la conseguenza che in tal caso il ricorso rende inammissibile la richiesta di riesame (325 commi 1 e 2). Il procedimento è quello dettato dal 127. 31 Fuori dei casi di riesame del decreto di sequestro preventivo previsti dal 322, al pm, all’imputato e alle altre persone interessate alle cose sequestrate è comunque riconosciuto diritto di proporre appello al tribunale, in composizione collegiale, contro le altre ordinanze in materia di sequestro preventivo, nonché contro il decreto di revoca eventualmente emesso dal pm, mentre nulla del genere si dice per quanto riguarda i corrispondenti provvedimenti in materia di sequestro conservativo. Naturalmente anche contro le ordinanze emesse dal tribunale in sede di appello è ammesso ricorso per cassazione ai sensi del 325 comma 1. ——— 32 Una duplice dimensione connota il segreto investigativo: un profilo interno, operante nei confronti dei protagonisti della vicenda processuale, che preserva l’efficacia delle indagini. E una esigenza di segretezza esterna: si vuole impedire cioè che la conoscenza dell’attività investigativa si diffonda anche presso soggetti non direttamente coinvolti nel processo penale. Di questi stessi atti è infatti previsto un divieto di pubblicazione di carattere assoluto nel 114 comma 1. Il segreto riguarda in primo luogo gli atti di indagine compiuti dal pm e dalla pg: vi rientrano tutti gli atti investigativi posti in essere dai due soggetti espressamente considerati. Sotto il profilo oggettivo sono invece da considerarsi al di fuori della disciplina in esame tutte le attività cui non sia riconducibile una finalità di indagine. Cosi non rientra nel 329 la notizia di reato, che costituisce il mero presupposto per l’avvio della fase preliminare. Nella medesima ottica, sicuramente non partecipe della disciplina in esame è la informazione di garanzia ex 369, la quale, funzionale ad informare la persona sottoposta alle indagini di un atto di indagine cui il difensore ha diritto di assistere, non è essa stessa atto di indagine. Fuori dal segreto si collocano altresì la richiesta di misura cautelare proveniente dal pm e il conseguente provvedimento del giudice, non avendo tali atti natura di atti di indagine. Nondimeno rispetto a questi ultimi è possibile ipotizzare una responsabilità di natura penale, fondata sul 326 cp, nei confronti di chi ne divulgasse i contenuti prima della esecuzione o notificazione del provvedimento adottato dal giudice: d’altro canto con specifico riferimento all’ordinanza applicativa della misura cautelare personale, il 114 comma 2 prevede ora che essa sia sempre pubblicabile. Non c’è dubbio che il segreto sugli atti di indagine, nella sua dimensione interna, rischia di interporsi con ricadute negative sulle chances difensive: sicché la necessità di tutelare gli esiti dell’indagine deve cedere davanti all’esigenza di garantire il diritto di difesa di cui al 24 comma 2 Cost, che si concreta anzitutto nel diritto della persona sottoposta alle indagini ad essere informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico e di disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa (111 comma 3 Cost.), oltre che di poter interloquire in contraddittorio durante tutto il corso del procedimento (111 comma 2 Cost.). A tal proposito si prevede che il segreto possa permanere comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Una ampia discovery, che il 415-bis impone a beneficio dell’indagato, colma il deficit e consente alla difesa il contraddittorio sugli esiti investigativi; per le stesse ragioni il 409 comma 2 prevede il deposito degli atti quale preludio alla udienza camerale nella procedura partecipata di archiviazione. Il segreto cade poi, rispetto a singoli atti, ogni qualvolta l’indagato possa averne conoscenza: il che avviene o nei casi in cui l’atto si formi necessariamente in sua presenza in quanto egli vi compaia quale protagonista (nel caso di sommarie informazioni, interrogatorio, confronto, ispezione personale) ovvero perché l’atto rientri nel novero di quelli cui lo stesso indagato o il suo difensore possono assistere, con diritto o senza diritto di preavviso; in alcuni casi la conoscenza dell’atto da parte dell’indagato si realizza quando lo stesso sia utilizzato dal pm per ottenere un provvedimento dal giudice ovvero a seguito della procedura di deposito dell’atto di indagine specificamente disciplinata da singole disposizioni (268). Caduto il segreto interno, cade contestualmente il divieto assoluto di pubblicazione fissato dal 114, restando l’atto sottoposto ai più circoscritti divieti previsti nella stessa disposizione. 35 A seguito della modifica apportata al 329 comma 1 dal d.lgs. 216/2017 il segreto è stato esteso a ricomprendere altresì le richieste del pm di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste. L’interpolazione è connessa alla manovra legislativa volta a ridisegnare la disciplina delle intercettazioni, con obiettivo di sottoporre a rigida disciplina del segreto tutto il materiale connesso alle relative operazioni. Salve alcune ipotesi di deroga al segreto, correlate alla circolazione di copie e informazioni tra autorità giudiziarie ovvero tra autorità giudiziarie e amministrative, esigenze di efficienza delle indagini possono consentire al pm di derogare al regime di segretezza degli atti dettato nel 329 comma 1, con i provvedimenti di cui al comma 2 (desegretazione), e al comma 3 (segretazione) del 329. Nel caso di cui al comma 2, allorché sia necessario per la prosecuzione delle indagini, il pm può, in deroga al 114, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. Nel caso in esame, gli atti pubblicati sono depositati presso la segreteria del pm. Il comma 3 del 329 prevede una duplice ipotesi: sempre che sia necessario per prosecuzione delle indagini, il pm può prorogare, con decreto motivato, il segreto su singoli atti quando l’imputato lo consente o quando la conoscenza dell’atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone, ovvero, può disporre un divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni. I diritti della difesa e il ruolo delle parti private: L’esigenza di segretezza della fase delle indagini preliminari non si spinge, di regola, fino ad impedire all’imputato di avere notizia della pendenza di un procedimento nei suoi confronti. È sulla premessa della possibilità di conoscere l’ipotesi di reato provvisoriamente elevata a suo carico che bisogna registrare come la centralità del pm, quale organo dominus della fase preliminare, abbia subito un parziale disassamento a beneficio della posizione del principale interessato, essendo stata tardivamente colmata l’assenza di una apposita disciplina finalizzata a regolare i poteri di investigazione del difensore, in un’ottica di parità delle armi. A seguito della legge 397/2000 tra i protagonisti della fase delle indagini compaiono ora anche i difensori, i quali ai sensi del 327-bis possono svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, fin dal momento dell’incarico professionale. Un incarico che può essere conferito, in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione (327-bis). Inoltre il difensore può ricevere un apposito mandato che lo abiliti a svolgere indagini, con esclusione di quegli atti che richiedano l’autorizzazione o l’intervento dell’autorità giudiziaria, anche prima che si instauri un procedimento penale e per la mera eventualità che ciò avvenga. Il difensore può procedere alle investigazioni personalmente o conferire apposito incarico ad un sostituto, ad investigatori privati autorizzati ovvero, allorché siano necessarie specifiche competenze, a consulenti tecnici. Ai soggetti chiamati a collaborare con il difensore sono riconosciute le stesse garanzie di libertà accordate al difensore dal 103 commi 2 e 5. Gli investigatori privati devono essere muniti di una apposita autorizzazione del prefetto (222 disp. att.). Così alla indagine ufficiale si è giustapposta una indagine di carattere privato, una vera e propria attività di investigazione, speculare a quella compiuta dall’organo di accusa, nei limiti segnati dalla ineliminabile disparità tra parte pubblica e imputato nel processo penale, e nella fase di indagine. Da sottolineare come il pm conservi un onere di obiettività che non può gravare sul difensore: come sottolinea il 358, gli competono accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini. 36 Diritti di informazione e partecipazione in certa misura analoghi quelli riconosciuti alla persona sottoposta alle indagini sono previsti per la persona offesa, rispetto alla quale si registra una valorizzazione del suo ruolo, con intensificazione degli obblighi informativi connessi ad alcuni significativi momenti della fase preliminare. Non sono invece sulla scena delle indagini le parti eventuali, legittimate a costituirsi per l’udienza preliminare. D’altro canto come si vedrà un giudice presidia ogni snodo cruciale che si prospetti nel corso della fase investigativa, tutelando i diritti fondamentali della persona e la correttezza delle dinamiche del procedimento: il 328 prevede in tal senso che il giudice per le indagini preliminari provvede sulle richieste provenienti dal pm, dalle parti private e dalla persona offesa. Il ruolo del giudice per le indagini preliminari: La presenza di un giudice nell’ambito di una fase non giurisdizionale è necessaria dalla circostanza che gli atti di indagine sono suscettibili di incidere su diritti costituzionalmente tutelati. Le decisioni incidenti su detti diritti sono stati affidati ad un giudice monocratico, denominato “giudice per le indagini preliminari”, tratteggiandone i poteri con un preciso obiettivo: segnarne la netta diversità dal giudice istruttore, ibrido attore dell’ordinamento processuale previgente. Giudice “senza fascicolo”, egli interviene su richiesta del pm, delle parti private e della persona offesa dal reato ed esclusivamente nei casi previsti dalla legge. Rispecchiando la sua competenza ad acta, la disciplina dei suoi poteri non riceve una regolamentazione unitaria: le ipotesi di un suo intervento si ricavano dalla trama codicistica. Tra i suoi compiti principali vi sono in primo luogo poteri di controllo in ordine a decisioni incidenti sulle libertà fondamentali, sui diritti alla proprietà o alla disponibilità dei beni: può emettere provvedimenti di natura cautelare concernenti la libertà personale, o di natura reale, disporre accompagnamento coattivo o la convalida delle misure pre-cautelari adottate dal pm, autorizzare le intercettazioni, decidere sulla restituzione di cose sequestrate ecc. Su un differente versante, il giudice interviene allorché sia necessario tutelare diritti strettamente collegati alla dinamica processuale. Egli è chiamato: a compiere accertamenti sulla capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, autorizzare il difensore a conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da persona detenuta nel corso delle indagini difensive, autorizzare il difensore all’accesso ai luoghi privati o non aperti al pubblico. Inoltre allorché sia necessario anticipare l’acquisizione della prova, interviene per assicurarne la formazione in contraddittorio, con il potere di ammettere e dirigere l’incidente probatorio. Ulteriori ipotesi di intervento dell’organo giurisdizionale sono: i poteri di controllo in rapporto alla chiusura delle indagini e dell’udienza preliminare, sui tempi di svolgimento delle indagini, sui presupposti per il loro ulteriore sviluppo, nonché sulle determinazioni in materia del pm, essendogli (al giudice) demandata tanto la delibazione sulla scelta di non procedere quanto la verifica sull’esercizio dell’azione esercitata tramite richiesta di rinvio a giudizio. Infine il medesimo giudice diviene organo del giudizio, allorché le parti si orientino verso una procedura alternativa al dibattimento. Egli è chiamato dunque a definire il processo quando: il pm abbia richiesto il decreto penale di condanna (461); le parti si siano accordate per l’applicazione della pena su richiesta (444); imputato abbia avanzato richiesta di giudizio abbreviato; lo stesso imputato abbia richiesto la sospensione del procedimento con messa alla prova (464-bis). 37 Segue: denuncia dei pubblici ufficiali, denuncia dei privati, referto: Un vero e proprio obbligo di denuncia è posto dal codice in capo ai pubblici ufficiali e agli incaricati di un pubblico servizio che nell’esercizio o a causa delle loro funzioni hanno notizia di un reato perseguibile d’ufficio, i quali devono procedervi anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. L’apprensione dell’informazione deve. Avvenire nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio; diversamente dovrebbe trovare applicazione il 333, la dove si prevede la facoltà per ciascun soggetto privato di denunciare. La clausola di salvezza posta nel 331 comma 1 fa salvo il caso del 347, cioè la informativa della pg che per compito istituzionale, deve prendere notizia dei reati ed informare il pm con le cadenze e le modalità ivi stabilite. Tra i pubblici ufficiali sono compresi altresì i magistrati: ai sensi del 331 comma 4 se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pm. Anche il giudice penale può essere il soggetto tenuto alla informazione. La legge lo prevede espressamente in un caso: di fronte ad un testimone che si rifiuti di deporre, il giudice deve disporre l’immediata trasmissione degli atti al pm perché proceda a norma di legge; quando invece ravvisi gli estremi della falsa testimonianza, informa il pm con la decisione che definisce la fase processuale. Quanto alla forma, la denuncia deve essere redatta per iscritto, eventualmente con un unico atto proveniente e sottoscritto da più persone obbligate alla denuncia per il medesimo fatto. I contenuti sono previsti dal 332: esposizione. Degli elementi essenziali del fatto e giorno dell’acquisizione della notizia, nonché le fonti di prova già note. Contiene se possibile le generalità, il domicilio o quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. Quanto ai destinatari, può essere presentata o trasmessa senza ritardo, non solo al pm ma anche ad un ufficiale di pg, salvo che nell’ipotesi di cui al comma 4 del 331. Per quanto riguarda la denuncia da parte di privati, questa è facoltativa, salvi i casi espressamente previsti da legge nei quali la omissione è penalmente sanzionata: così nei casi di omessa denuncia di un delitto contro la personalità dello Stato per il quale legge stabilisce ergastolo; omessa denuncia di cose provenienti da delitto; omessa denuncia di furto o smarrimento di armi o di esplosivi; omessa denuncia di materie esplodenti; omessa denuncia in ordine a fatti o circostanze relative ad un sequestro di persona a scopo di estorsione, salva la non punibilità di chi ha posto in essere le relative condotte in favore di congiunti. La denuncia proveniente da un privato può essere presentata oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, al pm o a un ufficiale di pg, il quale ha obbligo di rilasciare una ricevuta. Il 333 comma 3 prevede che delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto disposto dal 240. La denuncia anonima non resta in ogni caso senza traccia: è iscritta in apposito registro cosiddetto modello 46. Non è escluso poi che pm e pg possano trarre spunto da essa per la loro attività. Il referto è la denuncia cui sono obbligati gli esercenti una professione sanitaria che abbiano prestato la propria opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio. Vi sono tenuti coloro che svolgono una professione sanitaria principale (medici, farmacisti, veterinari) o secondaria (infermieri, assistenti diplomati), non invece coloro che svolgono mestieri espressione della cosiddetta arte medica (ottici, odontotecnici). 40 In quanto pubblici ufficiali, i medici che svolgono la propria professione in strutture pubbliche non rientrano tra i soggetti obbligati al referto ma sono sottoposti alla disciplina dettata dal 331. Nella linea di comportamento imposta al professionista sanitario dal combinato disposto del 334 e 365 cp, l’obbligo di collaborazione nei confronti dello Stato da parte di chi svolge un servizio di pubblica necessità penalmente sanzionato prevale sul segreto professionale. L’obbligo del referto viene meno e cosi la sanzione penale allorché la notizia del reato sia suscettibile di esporre la persona assistita a conseguenze di carattere penalistico. Ciò per evitare che il soggetto bisognoso di cure sia messo nella scomoda alternativa tra il precludersi l’accesso all’assistenza sanitaria ovvero il sottoporsi alle cure con il rischio di essere incriminato. Il referto deve pervenire entro 48 ore o se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente, al pm o a qualsiasi ufficiale di pg del luogo in cui chi è obbligato a redigerlo ha prestato la propria opera o assistenza ovvero, in loro mancanza, all’ufficiale di pg più vicino (334 comma 1). La forma scritta è implicitamente richiesta cosi come è previsto un dettagliato contenuto, dovendosi inserire nel referto ogni elemento utile ad identificare e a rintracciare la persona alla quale è testa prestata assistenza, ogni circostanza in cui questa è stata prestata, nonché le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare. Da sottolineare che il difensore-investigatore opera nel processo penale per far valere interessi di parte, e quindi su egli non grava obbligo di denuncia relativamente ai reati dei quali abbia avuto notizia nel corso della sua attività investigativa. Non gli si possono addurre obblighi contrastanti con suo ruolo difensivo. Però, c’è un però, la giurisprudenza alla fine ha attribuito al difensore che svolge attività investigativa connotazioni di rilevanza pubblicistica: dovrebbe da ciò discendere l’estensione anche a questo soggetto della disciplina del 331. Gli ostacoli alla progressione: le condizioni di procedibilità: In ipotesi previste dalla legge, l’instaurazione del processo o il suo ulteriore incedere sono subordinati a determinati eventi riconducibili di regola a manifestazioni di volontà di un soggetto pubblico o privato o, più raramente, ad accadimenti oggettivi. Il 50, nel definire caratteri e titolarità dell’azione penale, circoscrive l’obbligo di agire posto in capo all’organo di accusa ai casi in cui non è necessaria la querela, la richiesta, la istanza o l’autorizzazione a procedere: correlativamente il legislatore disciplina le medesime situazioni nel titolo III del libro sulle indagini sotto la rubrica “condizioni di procedibilità”. L’elenco non è esaustivo. Le condizioni specificamente disciplinate sono: - Querela - Istanza - Richiesta - Autorizzazione a procedere. Accanto ad esse, dal comma 2 del 345 si desume la esistenza di condizioni diverse, ulteriori. Sono “innominate”, rintracciabili nella trama del codice di procedura penale, del codice penale e di altre fonti di diritto penale sostanziale o processuale. Oltre alla peculiare situazione di cui al d.lgs. 274/2000 di esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto, nel procedimento davanti al giudice di pace, sicuramente ascrivibile al novero delle condizioni di procedibilità di carattere atipico è il segreto di Stato: risulta esplicitamente stabilito dal 202 comma 3 che, qualora il segreto sia confermato e sempre che la 41 conoscenza di quanto coperto dal segreto appaia essenziale per la definizione del processo, il giudice dichiara non doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato. L’esistenza di un precedente giudicato costituisce al pari una ipotesi di improcedibilità apprezzabile come tale, anche sulla scorta di un testo normativo relativamente esplicito (649 comma 1). Secondo orientamento dottrinale avallato da cassazione tra le condizioni di procedibilità atipiche va altresì ricondotta la clausola di specialità nell’estradizione. Inoltre il comma 2 del 345 annovera ora tra le situazioni ivi considerate la pronuncia sull’incapacità irreversibile dell’imputato. Segue: il difetto di una condizione di procedibilità e la riproponibilità dell’azione penale: La mancanza di una condizione di procedibilità è suscettibile di produrre effetti sia sulla attività di indagine sia sul processo eventualmente avviato. Quanto alla fase preliminare, la mancanza della condizione avrà un effetto sostanzialmente paralizzante: il termine per le indagini comincerà a decorrere solo dal momento in cui l’ostacolo sarà rimosso e dal momento in cui, cioè, querela, richiesta e istanza pervengono al pm (405 comma 3). Prima di quel momento, eventuali attività di indagine potranno essere esperite solo nei limiti del 346, stando al quale, in mancanza di una condizione di procedibilità che può ancora sopravvenire, possono essere compiuti gli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova e, quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove previste dal 392. Quando è evidente che la condizione di procedibilità non potrà più sopravvenire, il difetto di procedibilità dovrà essere dichiarato con un provvedimento di archiviazione, secondo il 411 comma 1. Tuttavia, il giudice per le indagini preliminari, non potrà rilevare il difetto di procedibilità se non in rapporto ad un atto che non gli sarebbe consentito compiere in presenza della situazione di improcedibilità, non potendo comunque dichiararla se non a seguito di una richiesta di archiviazione avanzata dall’organo di accusa. Qualora poi il pm, erroneamente procedendo, esercitasse l’azione, l’assenza della condizione di procedibilità non impedirebbe la instaurazione del processo. Va considerato che l’azione promossa in difetto della prescritta condizione sarebbe destinata ad un esito abortivo: non appena realizzi la sussistenza dell’ostacolo alla prosecuzione il giudice non potendo accedere al merito dovrà pronunciarsi in ogni stato e grado del processo con una sentenza di non doversi procedere o di non luogo a procedere.. La sentenza di proscioglimento che abbia rilevato il difetto di una condizione di procedibilità sarà suscettibile di divenire irrevocabile, senza però che dalla stessa derivi l’effetto preclusivo del ne bis in idem (649). Ciò significa che se la condizione sopravvenga in un secondo momento o diventi superflua, l’azione penale può essere nuovamente esercitata nei confronti della medesima persona e per il medesimo fatto (345 comma 1). A maggior ragione nessun effetto preclusivo si determina nel caso in cui il difetto di una condizione di procedibilità sia stato dichiarato con provvedimento di archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere (345). E cosi impone anche il 345 comma 2, equiparando al riguardo le condizioni di procedibilità atipiche a quelle espressamente nominate nel comma 1. 42 conversazioni o di comunicazioni, mentre si può procedere ad interrogatorio solo ove l’interessato lo richieda. Tali limiti non operano se il soggetto sia stato colto in flagranza di uno dei reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Particolari autorizzazioni ad acta concorrono con la richiesta di autorizzazione a procedere per i membri della corte costituzionale e per i ministri. Quanto ai membri della corte, alla stessa corte deve essere rivolta oltre che la richiesta di autorizzazione a procedere anche una apposita richiesta se un suo giudice ordinario o aggregato deve essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura (delitti elencati nel 380 commi 1 e 2). Nei procedimenti per i reati di cui al 96 Cost., alla Camera di appartenenza o al Senato, se non siano parlamentari, va rivolta la richiesta di autorizzazione per sottoporre il presidente del Consiglio dei ministri o un ministro a misure limitative della libertà personale, a intercettazioni o sequestro o violazione di corrispondenza o perquisizioni personali o domiciliari, salvo che siano colti nell’atto di commettere uno dei delitti indicati nel 380 commi 1 e 2. Venuta meno la necessità di autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari, è prevista solo la necessità di autorizzazioni ad acta per il compimento di singoli atti che si riflettano su diritti fondamentali di un membro del parlamento. Al componente del parlamento italiano è equiparato il membro italiano del parlamento europeo. L’attività di indagine della polizia giudiziaria: l’obbligo di riferire la notizia di reato: Entrambi individuati come titolari del potere di prendere notizia dei reati anche di propria iniziativa, pm e pg non hanno, rispetto alla stessa notizia, una volta acquisita, i medesimi doveri e poteri. Il destinatario ultimo infatti è il solo magistrato, il quale, gravato dell’obbligo dell’azione penale, deve immediatamente attivarsi, procedendo alla iscrizione della notizia nell’apposito registro, in vista dei successivi adempimenti; sulla pg grava, invece, l’obbligo di informare il pm di ogni notizia che rechi il fumus di un illecito penale, previa una essenziale attività di accertamento. Oggi la pg (dotata di maggiore autonomia grazie alla legge 356/1992), deve riferire al pm “senza ritardo” (e non più entro 48 ore). L’informativa, da presentarsi in forma scritta, deve contenere gli elementi essenziali del fatto o gli altri elementi sino ad allora raccolti, con l’indicazione delle fonti di prova e delle attività compiute e con la relativa documentazione. Quando è possibile deve inoltre comunicare le info concernenti le generalità, domicilio ed ogni altra notizia utile alla identificazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze idonee alla ricostruzione del fatto (347 comma 2). Il pm è informato della notizia di reato dalla data di acquisizione di essa, dal momento che con la comunicazione deve essere altresì indicato giorno e ora in cui la notizia è stata acquisita: adempimento funzionale all’accertamento di una responsabilità disciplinare prospettabile ex 16 disp. att. Però la locuzione “senza ritardo” rischia di legittimare una zona temporale di indagine, suscettibile di essere anche piuttosto ampia, in cui la pg agisce senza controllo dell’autorità giudiziaria e senza alcun adempimento formale che segni l’inizio del procedimento: solo in capo al pm infatti grava l’obbligo di iscrizione della notizia di reati nell’apposito registro. 45 Rispetto al regime temporale dettato nel 347 comma 1 sono previste due deroghe, nei commi successivi dello stesso articolo, che definiscono con maggiore certezza i tempi dell’adempimento, assecondando l’esigenza di una immediata investitura del pm. In primo luogo, al comma 2-bis si stabilisce che la stessa comunicazione debba essere data entro 48 ore dal compimento di un atto per il quale sia prevista l’assistenza del difensore (cioè in cui il difensore ha diritto di assistere), salva diversa disposizione di legge: ratio è quella di garantire un controllo sollecito dell’autorità giudiziaria su atti suscettibili di incidere sui diritti della persona sottoposta a indagini. In secondo luogo stando al comma 3, allorché la notizia riguardi uno dei delitti di cui al 407 comma 2 lett. a nn. 1-6 e in ogni caso quando ricorrano ragioni di urgenza, la comunicazione deve essere data immediatamente, anche in forma orale, salva la trasmissione senza ritardo e in forma scritta della stessa, con la allegata documentazione. La stessa regola si applica per altri delitti quali ad esempio: violenza sessuale, atti sessuali con minorenni, corruzione di minorenne, atti persecutori, diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, lesione personale. Obiettivo di queste disposizioni è quella di garantire la tempestività dell’intervento e la priorità nell’instaurazione dei relativi procedimenti, al fine di consentire l’immediata adozione dei provvedimenti necessari alla tutela dell’offeso di quei reati incidenti sulla incolumità e sulla libertà personale individuale per i quali è più presente il rischio di reiterazione di atti di violenza. La disposizione però è priva di sanzione: sicché la necessità del rispetto della regola ivi prevista è corroborata dal solo 124 che impone di osservare le norme del codice pure quando la relativa inosservanza non importa nullità o altra sanzione. Una regola speciale armonizza, con l’obbligo del 347, gli adempimenti conseguenti ad una notizia di reato non perseguibile d’ufficio, quando ancora non sia sopravvenuta la condizione di procedibilità: la pg riferisce senza ritardo, o immediatamente anche in forma orale se sussistono ragioni di urgenza o si tratta di reati ex 407 comma 2 lett. a nn. 1-6, al pm l’attività di indagine prevista dal 346., trasmettendo altresì la relativa documentazione ove detto organo ne faccia richiesta. Segue: le attività investigative tipiche e atipiche: I compiti della pg e il suo rapporto con il pm sono esposti nel 55. Nel comma 1 si ripropone la tripartizione delle sue funzioni: - Deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati (attività di carattere informativo) - Ricercarne gli autori (attività di carattere investigativo) - Compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale (attività di assicurazione della prova). Si evincono da quel testo anche poteri che esulano dalla definizione tripartita: impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori (intervento in chiave preventiva); pg deve svolgere ogni indagine e attività disposta o delegata dall’autorità giudiziaria. Il comma 2 profila i suoi rapporti di dipendenza dal pm e l’obbligo di agire nell’ambito dell’attività da quello disposta o delegata. Il combinato disposto degli articoli 347 e 348 scandisce in tre tempi l’azione investigativa di polizia: investita del potere-dovere di prendere notizia dei reati di propria iniziativa (330), è libera di agire lungo le direttrici fissate dal 55 comma 1, finché non ne riferisca al pm nei tempi prescritti. Subito dopo, il 348 indica un duplice scenario che si sussegue in rapporto alla solerzia operativa del 46 titolare delle indagini. Adempiuto obbligo del 347, l’attività di indagine si sviluppa ancora con larghi margini di autonomia, fino al momento in cui il pm non eserciti le sue funzioni di direzione delle indagini. Il comma 1 del 348 ribadisce (dopo modifica del 2001) ora anche che, una volta comunicata la notizia al pm, la pg continua ad esercitare le funzioni riconosciutele dal 55. Il legislatore ne circoscrive l’operato a: deve raccogliere in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole, potendo procedere fra l’altro al fine indicato: alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi, alla ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti, al compimento degli atti indicati negli articoli seguenti. Dopo l’intervento del pm, la pg è investita di attività di indagine secondo tre differenti moduli operativi che sembrano enunciati per evidenziare un crescendo di discrezionalità esecutiva. Il 348 comma 3 ne profila anzitutto due: - La pg dovrà compiere gli atti ad essa specificamente delegati a norma del 370 rispetto ai quali la sua azione sarà largamente predeterminata dall’organo delegante: l’attività delegata suppone infatti che quest’ultimo abbia indicato l’atto che dovrà essere svolto in sua vece e che all’organo chiamato a realizzarlo spetti un mero obbligo di adempimento, con margini di discrezionalità ridotti all’esecuzione dell’atto. - La pg dovrà eseguire le direttive del pm (e in ciò avrà maggiore libertà): pur svolgendo una attività di indagine guidata dalle linee operative indicate dall’organo di accusa, la polizia potrà muoversi con più ampia autonomia nella scelta delle modalità e degli strumenti utilizzabili. Sempre nel comma 3 del 348 emerge il terzo modulo, la dove si lascia intendere come i margini di autonomia permangano, in certa misura, pur dopo che il pm abbia impartito le direttive di indagine: la pg infatti continua a svolgere di propria iniziativa tutte le altre attività di indagine per accertare i reati ovvero richieste da elementi successivamente emersi e assicura le nuove fonti di prova. Un unico limite grava su essa: deve informarne immediatamente il pm. Allorché proceda di propria iniziativa la pg gode di ampia discrezionalità anche quanto alla scelta degli strumenti, poiché deve avere elasticità in tal senso, per far fronte alle imprevedibili esigenze delle vicende investigative. Lo rivela il testo del comma 2 del 348. Una serie di atti di indagine sono disciplinati nel titolo IV del libro V agli articoli 349-357: identificazione della persona, raccoglimento informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, raccogliere info da persone informate sui fatti o imputati in procedimento connesso. Inoltre, in situazioni di marcata urgenza, la pg può procedere ad atti di indagine suscettibili di incidere sulla libertà e su altri diritti fondamentali della persona: perquisizioni, acquisizioni di plichi o di corrispondenza, accertamenti urgenti sui luoghi o sulle persone, sequestro del corpo del reato e delle cose a questo pertinenti: sono attività il cui svolgimento (di regola affidato al pm) è legittimato dal pericolo di dispersione della prova. Nell’ambito delle medesime funzioni la pg può svolgere anche operazioni non pre-determinabili con una tipizzazione normativa: infatti l’enunciazione (l’elenco) è esemplificativo. Sono atipiche, ad esempio, le operazioni di osservazione, controllo e pedinamento, svolte dalla pg anche tramite mezzi di rilevamento satellitare, nonché le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico. 47 investigativa pubblica e quella privata. Inoltre in attuazione di direttrice di matrice europea che tende alla tutela dei soggetti deboli, la pg quando deve assumere sommarie info da persone minori, si avvale dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile nominato dal pm. Anche quando deve assumerle da persone offese, anche maggiorenni, in condizioni di particolare vulnerabilità, ci sono garanzie analoghe. Per le assunzioni di info da imputati in procedimento connesso o imputati di un reato collegato a quello per cui si procede, viene riservato l’atto ai soli ufficiali, e prima di procedere all’audizione il soggetto debba venire avvertito di essere assistito da un difensore d’ufficio e della facoltà di nominarne uno di fiducia che ha diritto di assistere all’atto. Segue: perquisizioni, accertamenti urgenti, acquisizione di plichi: Oltre che in una serie di ipotesi previste in leggi speciali, gli ufficiali di pg possono procedere a perquisizione personale o locale, in casi particolarmente connotati sotto profilo della urgenza. In quanto atto suscettibile di incidere sulla libertà della persona sottoposta alle indagini, ed eventualmente sul domicilio, la disciplina è strutturata sui canoni di cui al 13 comma 3 Cost., per i quali l’intervento degli organi di pubblica sicurezza può essere legittimo solo in casi eccezionali di necessità e di urgenza e attraverso provvedimenti sottoposti a convalida dell’autorità giudiziaria, nelle rigide cadenze temporali costituzionalmente imposte. Il 352 ne disciplina presupposti e procedura: quanto ai primi vengono riproposte le situazioni legittimanti le perquisizioni disposte dal pm alla luce del 247 e seguenti. È possibile procedere a perquisizione personale quando vi sia fondato motivo di ritenere che sulla persona si trovino occultate cose o tracce pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse. È possibile procedere a perquisizione locale quando vi sia fondato motivo di ritenere che quelle cose o tracce si trovino in un determinato luogo o che ivi si trovi la persona sottoposta alle indagini o l’evaso. I connotati di necessità ed urgenza idonei a legittimare l’operato della pg trovano una duplice declinazione, nel comma 1 e 2 della disposizione in esame. Il 352 comma 1 prevede che gli ufficiali di pg possano procedere a perquisizione personale o locale nella flagranza del reato ovvero nel caso di evasione. Stando al comma 2 gli ufficiali potranno, del pari, compiere una perquisizione locale o personale allorché si debba procedere alla esecuzione di un’ordinanza che dispone la custodia cautelare o di un ordine che dispone la carcerazione nei confronti di persona imputata o condannata per uno dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza ai sensi del 380, ovvero al fermo di persona indiziata di delitto ex 384. In questi casi però si può procedere solo se sussistano particolari motivi di urgenza che non consentono la emissione di un tempestivo decreto di perquisizione. Ipotesi peculiare è la perquisizione di sistemi informatici o telematici ancorché protetti da misure di sicurezza, possibile nella flagranza del reato o nei casi di cui al 352 comma 2, ad opera degli ufficiali, quando vi sia fondato motivo di ritenere che in questi si trovino occultati dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato che possono essere cancellati o dispersi. Occorre assicurare la conservazione del materiale informatico e impedirne l’alterazione. Quanto al procedimento, eseguita la perquisizione, la pg dovrà trasmettere il verbale delle operazioni compiute senza ritardo e non oltre le 48 ore al pm il quale, ricorrendone i presupposti, dovrà convalidarle nelle successive 48 ore (352 comma 4). Alla pg compete altresì il potere di compiere rilievi e accertamenti su persone e luoghi. Ufficiali e agenti di polizia devono curare che 50 le tracce o le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell’intervento del pm: se vi è pericolo che tali cose, tracce e luoghi si alterino o disperdano, il compito di eseguire i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose è demandato ai soli ufficiali e sempre che il pm non possa intervenire tempestivamente o non abbia ancora assunto la direzione delle indagini. Similmente in caso di urgenza e necessità gli ufficiali di pg devono impiegare misure tecniche o impartire prescrizioni necessarie ad assicurare la conservazione del materiale informatico o telematico e ad impedirne l’alterazione e l’accesso, provvedendo all’immediata duplicazione su adeguati supporti mediante procedura che assicuri conformità della copia all’originale e la sua immodificabilità. Ai sensi del 354 comma 3 i soli ufficiali possono procedere ad accertamenti e rilievi sulla persona, diversi dalla ispezione personale. Si deve trattare comunque di modalità che si limitino ad osservare e cogliere i particolari immediatamente visibili, senza procedere ad operazioni anche minimamente incidenti sulla sfera personale di un soggetto. Tornando alla disciplina ordinaria, tutte le volte in cui nell’ambito della attività di indagine svolta, se ne presenti l’urgenza, la pg potrà procedere al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti ad esso (354). Si dovrà dare atto nel verbale del motivo del provvedimento e consegnarne copia alla persona alla quale le cose sono state sequestrate. Il verbale va trasmesso senza ritardo e comunque entro 48 ore al pm del luogo dove il sequestro è stato eseguito, il quale ricorrendone i presupposti convaliderà il sequestro entro le 48 ore successive con decreto motivato, ovvero disporrà la restituzione delle cose sequestrate (355 comma 2). Contro il decreto di convalida è possibile proporre entro 10 giorni dalla notifica o dalla diversa data cui l’interessato ha avuto conoscenza dell’avvenuto sequestro, richiesta di riesame, anche nel merito, a norma del 324; ma la relativa richiesta non sospende l’esecuzione del provvedimento. Infine, spetta alla pg il potere di acquisire plichi sigillati o altrimenti chiusi: in rispetto del 15 Cost., il materiale cosi acquisito dovrà essere trasmesso intatto al pm per l’eventuale sequestro. Il 353 disciplina due situazioni di urgenza in cui il pericolo di dispersione della prova legittima l’intervento immediato della polizia: stando al comma 2 se si ha fondato motivo di ritenere che i plichi contengano notizie utili alla ricerca e all’assicurazione di fonti di prova che potrebbero andare disperse a causa del ritardo, l’ufficiale di pg informa col mezzo più rapido il pm, il quale può autorizzarne l’apertura immediata e l’accertamento del contenuto. Difensore ha diritto di partecipare. Secondo il comma 3, se si tratta di lettere, pieghi, pacchi, telegrammi o altri oggetti di corrispondenza, per i quali è consentito il sequestro a norma del 254, gli ufficiali di pg in caso di urgenza ordinano a chi è preposto al servizio postale, telegrafico o telematico di sospendere l’inoltro. Se entro 48 ore dall’ordine della pg il pm non dispone il sequestro, gli oggetti di corrispondenza sono inoltrati. L’attività di indagine del pubblico ministero: atti diretti e atti delegati: La titolarità delle indagini trova esplicita affermazione nel 370 comma 1, la dove dispone che il pm debba compiere personalmente ogni attività di indagine. In vista del carico di lavoro, si prevede che egli possa avvalersi della pg per il compimento di attività di indagine e di atti specificamente delegati. La pg solo in quanto investita del correlativo potere di indagine dal pm potrà dunque procedere ad atti di regola riservati al pm, ivi compresi gli interrogatori cui partecipi la persona sottoposta alle indagini in stato di libertà, con l’assistenza necessaria del difensore. 51 Gli atti compiuti dalla pg su delega godono ad ogni effetto della medesima disciplina a cominciare dall’invio agli eventi diritto della informazione di garanzia; essi sono anche corredati dalle medesime garanzie difensive e documentati con le stesse forme previste per gli atti del pm. Cosi risulta dal comma 2 del 370. Oltre che di atti specificamente delegati, il pm può avvalersi della pg anche per il compimento di una più generica attività di indagine. In ogni caso non saranno delebili atti che la legge espressamente riserva al magistrato, ponendo implicitamente un divieto di delega: interrogatorio di persona in stato di privazione di libertà, più 103 commi 3 e 4 in tema di ispezioni, perquisizioni e sequestri presso gli studi del difensore. Quando si tratti di assumere singoli atti nella circoscrizione di altro tribunale il pm può scegliere di procedere personalmente ovvero può delegare il pm presso il tribunale territorialmente competente (370 comma 3). La delega è limitata a singoli atti individuati ma magistrato ha facoltà di procedere anche agli atti che a seguito dello svolgimento dei primi siano necessari, però per ragioni di urgenza o altri gravi motivi. Per i casi di tutela della vittima di reati commessi in ambito familiare o incidenti su libertà personale o morale dell’individuo, la pg deve procedere senza ritardo al compimento degli atti delegati dal pm: per esigenza di risposta tempestiva di fronte a reati rispetto ai quali la tutela dell’offeso ha caratteristiche di urgenza. Nei medesimi casi la pg pone senza ritardo a disposizione del pm la documentazione dell’attività nelle forme e con le modalità del 357. Segue: il coordinamento investigativo: Ferma restando la possibilità per pm di chiedere a autorità giudiziaria copie di atti e informazioni scritte sul loro contenuto, anche in deroga al segreto investigativo, il 371 prevede uno strumento di coordinamento riguardo ai rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero. Vi si stabilisce che uffici diversi dal pm che procedono a indagini collegate si coordinano tra loro per la speditezza, economia ed efficacia delle indagini medesime. Hanno obbligo di reciproca informazione e facoltà di cooperazione, potendo compiere specifici atti anche congiuntamente. Si vuole evitare che l’eccessiva parcellizzazione delle indagini possa privare gli organi investigativi di un orizzonte ad ampio spettro. L’istituto del collegamento è applicabile nei casi in cui le indagini siano collegate, e, ai sensi del 371 comma 2, ciò accade in un triplice novero di ipotesi: - Se i procedimenti sono connessi a norma del 12 - Se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità, se si tratta di reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza - Se la prova di più reati deriva, eventualmente solo in parte, dalla stessa fonte. Pur formulata in modo da lasciar intendere che gravi sui singoli magistrati un obbligo di collaborazione, la disciplina ha trovato scarsa applicazione. Di qui alcuni correttivi. Il d.lgs. 12/1991 ha introdotto l’istituto nel 118-bis disp. att. che attribuisce al procuratore generale, da solo o d’intesa con altri procuratori generali, il compito di promuovere il coordinamento delle indagini per i delitti di cui al 407 comma 2; un secondo intervento con la legge 8/1992 ha introdotto nel 372 il comma 1-bis che ha tonificato i poteri del procuratore generale, nel caso di mancato 52 L’attribuzione a quest’ultimo del potere di procedere all’operazione costituisce la premessa per l’attuazione di un più ampio e articolato sistema di tutela della persona. Resta salva la disposizione del 349 comma 2-bis in base alla quale la pg può procedere, previa autorizzazione del pm, all’identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini o di altri soggetti, tramite accertamenti che comportino prelievo capelli o saliva. A questa previsione speciale si aggiunge un regime forzoso d’urgenza, regolato dalla legge 41/2016 con introduzione nel 359-bis di un comma 3-bis, nell’ambito dei reati di cui all’omicidio stradale e alle lesioni personali stradali gravi o gravissime. Qualora conducente rifiuti di sottoporsi ad accertamenti dello stato di ebbrezza alcolica o alterazione connessa a uso sostanze stupefacenti, se vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare pregiudizio alle indagini, gli ufficiali di pg procedono all’accompagnamento del soggetto presso vicino presidio ospedaliero al fine di sottoporlo al necessario prelievo o accertamento. Prima di procedere gli ufficiali devono munirsi di un decreto di autorizzazione da parte del pm che, come gli ulteriori provvedimenti conseguenti, può nei casi di urgenza essere adottato anche oralmente e successivamente confermato per iscritto. Di tutto è data notizia tempestiva al difensore dell’interessato che ha facoltà di assistervi. Entro le 48 ore successive il pm richiede la convalida del decreto al giudice per le indagini preliminari che provvede al più presto ed entro le 48 ore successive, dandone immediato avviso al pm e al difensore. Salve le ipotesi eccezionali suddette, il prelievo deve essere disposto dal pm il quale, allorché ravvisi la necessità di compiere le operazioni di cui al 224-bis, deve farne richiesta al giudice che le autorizza con ordinanza. In sostanza: il giudice autorizza con ordinanza e il pm dispone con decreto contenente le relative indicazioni. In caso di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, il pm dispone lo svolgimento delle operazioni con decreto motivato che contiene gli elementi di cui al 224-bis e se del caso, provvede a disporre accompagnamento coattivo della persona che si rifiuti o non si presenti. Quando procede in via di urgenza entro le 48 ore successive il pm deve richiedere al giudice per le indagini preliminari (gip) la convalida del decreto e dell’eventuale provvedimento di accompagnamento coattivo (rispetto del 13 comma 3 Cost.); entro le 48 ore il pm deve richiedere la convalida; sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza ed entro le 48 ore successive. Attraverso un triplice rinvio al 224-bis l’accertamento del pm mutua in larga misura dall’analogo atto del giudice la regolamentazione relativa ai presupposti, all’oggetto, ai soggetti passivi e alle modalità esecutive. Tali accertamenti potranno essere disposti, quando non vi sia il consenso della persona interessata, nell’ambito dei reati ivi previsti (delitti non colposi, consumati o tentati, puniti con l’ergastolo o con la reclusione superiore nel massimo a 3 anni e delitti di cui al 589-bis e 590- bis cp), e solo in quanto assolutamente indispensabili per la prova dei fatti. Si rendono anche applicabili le disposizioni di garanzia che segnano, attraverso divieti, la tutela dei principali valori e connotano, in termini di proporzionalità, l’intervento investigativo: non possono in nessun caso essere disposte operazioni che contrastino con espressi divieti posti dalla legge o che mettano in pericolo vita, integrità fisica o salute della persona. Le operazioni peritali sono sempre eseguite nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto. A parità di risultato, sono scelte le tecniche meno invasive. Il tutto a pena di nullità delle operazioni e di non utilizzabilità delle informazioni cosi acquisite. 55 Una volta eseguito il prelievo rispettando le cautele e i divieti di cui al 224-bis commi 4 e 5, il procedimento di estrazione del profilo genetico è adempimento da svolgersi tramite un accertamento condotto dal pm ai sensi del 359. Il dato conoscitivo ottenuto deve essere comparato con altro profilo da compiersi, avvalendosi di elementi emersi nell’ambito del medesimo procedimento, ovvero ricorrendo alle risorse della banca dati nazionale del DNA. Compito della banca è di raccogliere i profili del DNA di persone che siano state sottoposte a misure pre-cautelari e cautelari ovvero dei detenuti a vario titolo. Segue: l’assunzione di informazioni e l’individuazione di persone e di cose: Il pm può raccogliere informazioni dalle persone in grado di riferire circostanze utili ai fini delle indagini con le forme previste dal 362. Per ottenere la presenza davanti a se della persona offesa e delle persone in grado di riferire su tali circostanze può emettere un decreto di citazione ai sensi del 377. Il 377 dispone stabilendo i contenuti del decreto: - Le generalità della persona - Giorno, ora e luogo della comparizione nonché l’autorità davanti alla quale la persona deve presentarsi - L’avvertimento che il pm potrà disporre a norma del 133 l’accompagnamento coattivo in caso di mancata comparizione senza che sia stato addotto legittimo impedimento. L’assunzione di tali informazioni è l’atto di indagine omologo alla testimonianza alla quale è stato progressivamente allineato a cominciare dall’applicabilità al dichiarante dell’obbligo di dire la verità. Le dichiarazioni saranno infatti utilizzabili oltre che ai fini del 326, per le decisioni incidentali endo-fasiche, nei riti speciali, e nel dibattimento per i soli usi consentiti che possono includere, in ipotesi eccezionali e costituzionalmente legittime, la piena utilizzabilità ai fini della decisione conclusiva dello stesso. Pressoché le discipline del 362 e del 351 sono sovrapponibili, frutto di modifiche volte ad introdurre le forme e le garanzie proprie della testimonianza, oltre che al recepimento di peculiari forme di tutela per i soggetti deboli. Ricordiamo che nei procedimenti per i delitti di cui al 351 comma 1-ter il pm quando deve assumere informazioni da persone minori, si avvale dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile. Cosi come le stesse garanzie anche quando pm procede nei confronti di persona offesa, anche maggiorenne, in condizioni di particolare vulnerabilità. Sono poi irrobustite le garanzie per tutti i soggetti: in ogni caso, assicura che la persona offesa particolarmente vulnerabile, in occasione della richiesta di sommarie informazioni, non abbia contatti con la persona indagata e non sia chiamata più volte a rendere sommarie informazioni, salva assoluta necessità per le indagini. Poi quando si procede per delitti di violenza sessuale, corruzione e atti sessuali di minorenne, maltrattamenti contro familiari, atti persecutori, lesione personale, il pm assume info dalla persona offesa entro il termine di 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato. Obiettivo di favorire intervento immediato a tutela della persona, già evidenziato in relazione a modifiche del 347. Dal ritardo, privo di sanzione, potrebbe però scaturire solo una eventuale responsabilità disciplinare dell’autorità procedente. L’assimilazione alla testimonianza dell’atto in oggetto compiuto dal pm si spinge anche sul versante delle conseguenze che raggiungono l’eventuale dichiarante renitente, reticente o mendace. Il soggetto che rilascia dichiarazioni false, ovvero tace in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti 56 su cui viene sentito, è punito ai sensi del 371-bis comma 1 cp. Vi si prevede immediata procedibilità in caso di rifiuto, mentre il procedimento per le false dichiarazioni resta sospeso fino a quando nel processo nel corso del quale sono state assunte le info sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero sia definito con archiviazione o sentenza di non luogo a procedere. Ai sensi del 363, il pm può interrogare le persone imputate in un procedimento connesso a norma del 12, nonché le persone imputate di un reato collegato a quello per cui si procede, nel caso previsto dal 371 comma 2 lett. b, nelle forme dettate dal 210 commi 2, 3, 4, e 6. Può essere disposto accompagnamento coattivo del dichiarante, ad esso deve essere garantita assistenza difensiva. Deve essere avvisato della facoltà di non rispondere alle domande, e destinatario dell’avviso di cui al 64 comma 3. Tra gli atti di natura dichiarativa rientra inoltre l’individuazione di persone o di cose disciplinato nel 361, secondo cui il pm procede alla individuazione di persone, di cose o di quanto altro può essere oggetto di percezione sensoriale, allorché sia necessario per la immediata prosecuzione delle indagini. Rispetto alla cognizione, l’individuazione è snella ed essenziale, funzionale alla sola prosecuzione delle indagini. Segue: l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini: Il pm può assumere il sapere della persona sottoposta alle indagini, attraverso l’interrogatorio, con le forme previste nel 64 e 65. L’interrogatorio esprime al contempo una esplicazione di autodifesa dell’imputato ed un atto investigativo con il quale l’organo che svolge le indagini può assumere informazioni da un soggetto, le cui parole possono rivestire ruolo significativo per la ricostruzione del quadro probatorio. Sennonché l’interrogatorio è rimesso alla scelta strategica del pm che può decidere se e quando compierlo. Grava infatti sul pm un obbligo di sentire il soggetto che ne faccia richiesta, solo in limine rispetto all’apertura del processo: a seguito dell’avviso di conclusione delle indagini ex 415-bis comma 3, se l’indagato chieda di essere sottoposto ad interrogatorio il pm deve procedervi. Prima di quel momento, il soggetto indagato può presentarsi in ogni tempo al pm per rilasciare dichiarazioni spontanee. Da sottolineare che ciò non pregiudica l’applicazione delle misure cautelari. Al pm di fronte alla richiesta si offrirà una alternativa: potrà limitarsi a raccogliere, se vuole, quanto l’indagato si dimostrerà interessato a comunicare, ovvero potrà contestare il fatto e convertire il colloquio in un atto equivalente per ogni effetto all’interrogatorio, che dovrà svolgersi con le forme degli articolo 64 e 65 e con le garanzie difensive del 364. Se pm decide di sentire di propria iniziativa l’indagato, dovrà inviargli un invito a presentarsi ex 375, eventualmente potendo disporne, su autorizzazione del giudice, l’accompagnamento coattivo ex 376. L’invito deve contenere: - Le generalità o le altre indicazioni personali per identificare l’indagato - Giorno, ora e luogo della presentazione nonché autorità davanti alla quale la persona deve presentarsi - Il tipo di atto per il quale l’invito è predisposto - Avvertimento che il pm potrà disporre a norma del 132 l’accompagnamento coattivo in caso di mancata presentazione senza che sia stato addotto legittimo impedimento. Quando la persona è chiamata a rendere l’interrogatorio, l’invito contiene altresì la sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute. L’invito può anche contenere, ai fini del 453, l’indicazione degli elementi e delle fonti di prova e l’avvertimento che potrà essere presentata richiesta di giudizio immediato. 57 ricondotte al concetto di flagranza cosiddetta impropria o quasi-flagranza. Sia nell’ipotesi di chi, subito dopo il reato è inseguito dalla pg, dalla persona offesa o da altre persone, sia in quella di chi è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima, il carattere di contestualità tra reato ed intervento dell’autorità che caratterizza la flagranza si attenua. Non occorre dilatare troppo le locuzioni usate. Immediatezza della constatazione del fatto di reato da parte di chi interviene e continuità dell’azione tra percezione ed intervento sono i canoni cui deve essere improntata ogni interpretazione in merito: è necessario che l’attività d’inseguimento venga posta in essere sulla base di una diretta ed autonoma percezione da parte del soggetto che procede e non solo in conseguenza di una denuncia fatta dalla persona offesa o da terzi presenti nel luogo del reato; occorre altresì che non vi sia soluzione di continuità nell’attività di inseguimento che si estende tra percezione del reato e arresto. Cosi come il requisito della sorpresa del reo con cose o tracce del reato richiede esistenza di una stretta contiguità fra la commissione del fatto e la successiva sorpresa del presunto autore di esso con le cose o le tracce del reato e dunque il susseguirsi, senza soluzione di continuità, della condotta del reo e dell’intervento degli operanti. Il nesso di contestualità subisce un ulteriore allentamento, fino a disperdersi, in alcune ipotesi previste da leggi speciali: secondo la legge 401/1989 in materia di contrasto ai fenomeni di violenza in occasione di manifestazioni sportive (flagranza differita) deve considerarsi comunque in stato di flagranza colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga senza equivoco il fatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le 48 ore dal fatto. In alcuni casi è previsto l’arresto anche fuori dai casi di flagranza: p.es. in caso di evasione; ulteriori ipotesi concernono persone sottoposte a misure di prevenzione personale che commettano determinati reati o contravvengono a obblighi inerenti alle misure e i cittadini stranieri o appartenenti a stati membri dell’unione europea che trasgrediscano all’ordine di espulsione o allontanamento pronunciato dal giudice. All’arresto in flagranza può procedersi solo ove il soggetto sia colto nella flagranza di un reato che rientri in uno degli ambiti dettati nel 380 (arresto obbligatorio) e nel 381 (arresto facoltativo). I casi di cui al primo sono definiti anzitutto con riferimento edittale: gli ufficiali e gli agenti di pg devono procedere all’arresto di chiunque sia colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni e nel massimo a 20 anni. Anche fuori dall’ambito del comma 1, ufficiali e agenti procedono obbligatoriamente all’arresto di chi sia colto nella flagranza di uno dei delitti non colposi, consumati o tentati, elencati nel comma 2 del 380. Viene poi assoggettato a tale disciplina anche il delitto di omicidio colposo stradale. Con la medesima tecnica normativa (cioè riferimento al duplice criterio quantitativo e qualitativo) sono definiti i casi di arresto facoltativo. Gli ufficiali e gli agenti di pg hanno la semplice facoltà di procedere all’arresto di chiunque sia colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a 3 anni, ovvero di un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni (381 comma 1). Il 381 comma 4-bis introduce una deroga che impedisce ricorso 60 all’arresto in casi che altrimenti potrebbero ricadere nella previsione del 381 comma 1. Si è visto come l’esigenza di evitare pressioni psicologiche sui dichiaranti davanti alla pg e al pm abbia indotto il legislatore ad estendere a questi ultimi l’analogo regime previsto dal 476 comma 2, che vieta l’arresto del testimone per reati concernenti il contenuto della deposizione: non è consentito l’arresto della persona richiesta di fornire informazioni dalla pg o dal pm per reati concernenti il contenuto delle informazioni o il rifiuto di fornirle. Fuori dai casi individuati con riferimento al limite edittale, ufficiali e agenti hanno facoltà di procedere all’arresto di chi sia colto in flagranza di uno dei delitti elencati nel comma 2 del 381. Impropriamente definito facoltativo, l’arresto di cui al 381 esprime in realtà un potere discrezionale della pg, che deve procedervi ogniqualvolta ritiene la misura giustificata dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto. Infine, se si tratta di delitto perseguibile a querela, l’arresto in flagranza può essere eseguito solo se la querela viene proposta. Tale può essere proposta anche con dichiarazione orale all’ufficiale o all’agente di pg presente nel luogo: e se l’avente diritto dichiara di rimettere la querela, l’arrestato è posto immediatamente in libertà (380 comma 3 e 381 comma 3). Segue: il fermo di indiziato di delitto: Un potere di restrizione della libertà personale è riservato al pm il quale può procedervi, anche fuori dei casi di flagranza, quando sussistono specifici elementi che, anche in relazione alla impossibilità di identificare l’indiziato, fanno ritenere fondato il pericolo di fuga di una persona che sia gravemente indiziata di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a 2 anni e superiore nel massimo a 6 anni ovvero di un delitto concernente le armi da guerra e gli esplosivi o di un delitto commesso per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico. (384) Titolare del potere di fermo è il solo pm che può disporlo, previo assenso scritto del procuratore della Repubblica, anche ove il soggetto si trovi in un luogo posto al di fuori della competenza territoriale del giudice presso il quale è incardinato. La pg può procedere al fermo di propria iniziativa solo prima che il pm abbia assunto la direzione delle indagini o nelle particolari situazioni di urgenza delineate dal 384: qualora sia successivamente individuato l’indiziato; quando sopravvengono specifici elementi, quali il possesso di documenti falsi, che rendano fondato il pericolo che l’indiziato sia per darsi alla fuga e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del pm. A tutti altri fini è invece predisposto il fermo di identificazione ex 349 comma 4, esercitabile oltre che nei confronti dell’indagato anche nei confronti di potenziali testimoni. Segue: l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare: Il 384-bis disciplina una misura preordinata ad anticipare la tutela cautelare rispetto ai reati commessi in ambito familiare, graduando l’afflittività dell’intervento pre-cautelare. Gli ufficiali e gli agenti di pg hanno facoltà di disporre l’allontanamento urgente dalla casa familiare della persona che sia colta in flagranza di uno dei delitti di cui al 282-bis comma 6, con divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa. 61 Per procedervi è necessaria la previa autorizzazione del pm. Presupposto è la sussistenza di fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate, ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa. Sono applicabili le disposizioni di cui al 385-391 e le regole di cui al 381 comma 3, cosi come obblighi informativi e garanzie. Infatti nel procedere all’allontanamento urgente, ufficiali e agenti di pg devono altresì provvedere senza ritardo agli obblighi di informazione imposti dalla legge. 39/2009: devono fornire alla persona offesa tutte le info relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio, e qualora la persona offesa ne faccia richiesta, devono provvedere a metterla direttamente in contatto con tali strutture assistenziali. Segue: il procedimento di convalida: Eseguito l’arresto o il fermo, gli agenti e gli ufficiali di pg sono tenuti ad operare contestualmente su un duplice fronte, dovendo assicurare immediate garanzie al soggetto privato della libertà e nel contempo compiere ogni atto doveroso per il passaggio di consegne al pm, al quale spetta rivolgere al giudice le richieste conseguenti all’esecuzione del provvedimento. Sotto il primo profilo grava sulla polizia una serie di obblighi informativi tra cui consegnare comunicazione scritta all’arrestato o al fermato in cui si avvisa della facoltà di nominare difensore di fiducia, del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere, del diritto di accedere agli atti su cui si fonda arresto o fermo, del diritto di comparire davanti al giudice per rendere l’interrogatorio. Ai sensi del 387 inoltre la pg, con il consenso dell’arrestato o del fermato, deve senza ritardo dare notizia ai familiari dell’avvenuto arresto o fermo. Oltre a ciò devono informare immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato o quello di ufficio designato dal pm a norma del 97. Sotto il secondo profilo suddetto, grava sugli agenti e ufficiali di pg dovere di darne immediata notizia al pm del luogo ove arresto o fermo è stato eseguito. Adempiuti tali obblighi, gli ufficiali e agenti devono mettere il soggetto a disposizione del pm al più presto e non oltre 24 ore dall’arresto o fermo. Lo fanno mediante conduzione nella casa circondariale o mandamentale del luogo dove l’arresto o il fermo è stato eseguito, salvo quanto previsto dal 558. Entro il medesimo termine deve essere trasmesso il relativo verbale, anche per via telematica, salvo che pm autorizzi una dilazione maggiore. Il verbale contiene l’eventuale nomina del difensore di fiducia, l’indicazione del giorno, ora e luogo in cui l’arresto o fermo è eseguito e l’enunciazione delle ragioni che lo hanno determinato nonché la menzione dell’avvenuta consegna della comunicazione scritta o dell’informazione orale fornita ai sensi del comma 1-bis del 386. Entrambi gli adempimenti sono previsti a pena di perdita di efficacia della misura (386 comma 7). Il pm entro 48 ore dall’arresto o fermo dovrà chiedere la convalida al gip competente in relazione al luogo dove l’arresto o il fermo è stato eseguito (390), sempre che non ritenga che il soggetto debba essere immediatamente scarcerato. La richiesta di convalida andrà comunque inoltrata invece nell’ipotesi di cui al 121 disp. att.: quando non intenda chiedere una misura cautelare personale, il pm deve disporre l’immediata liberazione dell’arrestato o del fermato ma, in questo caso, alla liberazione deve fare seguito l’udienza di convalida. Lo prevede espressamente il 121 comma 2 disp. att. precisando che il giudice, nel fissare l’udienza, deve darne avviso, senza ritardo, anche alla persona liberata. 62 Inoltre, ove la persona indagata non abbia assistito all’atto, una volta che questo sia compiuto, viene ad esaurirsi l’esigenza preclusiva connessa alla sorpresa, con la conseguenza che riemerge l’obbligo del pm del tempestivo inoltro dell’informazione predetta, anche al fine di assicurare all’interessato la pienezza delle facoltà difensive riconducibili al deposito degli atti previsto dal 366. La notizia delle indagini a suo carico può poi pervenire all’indagato nel corso di attività di indagine della pg che si svolgano in sua presenza (sommarie info; perquisizioni; accertamenti), ovvero in occasione di ulteriori atti che lo vedano come protagonista passivo: cosi quando egli sia destinatario di un provvedimento pre-cautelare o cautelare (293); o ancora quando si debba svolgere un incidente probatorio richiesto dal pm (393) o vi sia una richiesta di proroga dei termini di indagine (406). È possibile infine che la conoscenza derivi da una iniziativa del diretto interessato, che per attivarsi deve avere motivo di ritenere di essere sottoposto a procedimento presso un determinato ufficio giudiziario: il 335 comma 3 prevede che l’iscrizione della notizia di reato sono comunicate alla persona alla quale il reato è attribuito, alla persona offesa e ai difensori, ove ne facciano richiesta. Essa è esclusa quando si proceda per delitti di cui al 407 comma 2 lett. a. Anche l’accesso a tale canale può subire restrizioni temporanee: se sussistono specifiche esigenze, il pm nel decidere sulla richiesta può disporre con decreto motivato il segreto sulle iscrizioni per un periodo non superiore a 3 mesi e non rinnovabile. Passando alla persona offesa, ad essa spettano diritti informativi in parte analoghi a quelli previsti per l’indagato in funzione della sua partecipazione ad alcuni atti investigativi. Un nuovo comma 3- ter dispone ora che senza pregiudizio del segreto investigativo, decorsi 6 mesi dalla data di presentazione della denuncia, o querela, la persona offesa dal reato può chiedere di essere informata dall’autorità che ha in carico il procedimento circa lo stato del medesimo. È una facoltà preannunciata dall’avviso spettante alla persona offesa ex 90-bis comma 1 lett. b, adesso dovuto anche in relazione alla facoltà di ricevere comunicazione del procedimento e delle iscrizioni di cui al 335, commi 1, 2 e 3-ter. Il termine dilatorio di 6 mesi sembra quasi alludere ad una sorta di discovery preventiva rispetto agli scenari che potranno presentarsi alla chiusura della fase preliminare: in rapporto ai quali risalta l’interesse della persona offesa ad opporsi ad eventuale richiesta di archiviazione ovvero a prevenirla tramite la facoltà di presentare memorie. Il problema è che non è specificato quale sia il contenuto del dovere informativo del pm: non è chiaro cosa debba intendersi per “stato” del procedimento, anche se sembra possibile che comprenda ogni info sulle indagini e sulle determinazioni del pm. Inoltre non è previsto termine entro cui l’autorità debba offrire riscontro, ne un vero diritto ad ottenere risposta: d’altro canto come viene specificato resta salvo il segreto investigativo, sicché pm ha comunque ampio margine di discrezionalità per ignorare del tutto eventuali richieste. Segue: la nomina del difensore e il ruolo della difesa tecnica: Il diritto alla difesa tecnica è irrinunciabile: se imputato non ha nominato difensore di fiducia, gli sarà nominato un difensore d’ufficio. Una particolare informativa da inviarsi ai sensi del 369-bis, al compimento del primo atto a cui il difensore ha diritto di assistere e comunque prima dell’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi del combinato disposto del 375 comma 3 e 416 ovvero al più tardi contestualmente all’avviso della conclusione delle indagini preliminari ai sensi del 415-bis, lo avvertirà della nomina, fornendogli alcune ulteriori notizie su diritti e doveri che circondano il suo rapporto con il difensore. 65 La comunicazione sul diritto di difesa deve contenere: - L’informazione della obbligatorietà della difesa tecnica nel processo penale, con l’indicazione della facoltà e dei diritti attribuiti dalla legge alla persona sottoposta a indagini - Il nominativo del difensore d’ufficio e il suo indirizzo e recapito telefonico - L’indicazione della facoltà di nominare un difensore di fiducia con l’avvertimento che in mancanza l’indagato sarà assistito da quello d’ufficio - L’indicazione dell’obbligo di retribuire il difensore d’ufficio ove non sussistano le condizioni per accedere al beneficio di cui alla lettera e e l’avvertimento che in caso di insolvenza si procederà ad esecuzione forzata - L’informazione del diritto all’interprete ed alla traduzione di atti fondamentali - L’indicazione delle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La figura del difensore si collega al 111 comma 3 Cost, che parla del diritto dell’imputato di godere delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa e del suo diritto alla prova, quali imprescindibili esplicazioni del diritto di difesa già sancito nel 24 comma 2 Cost. Il ruolo del difensore trova sviluppo in due linee prospettiche. La prima lo colloca nell’orbita delle indagini compiute dalla pg e dal pm, egli vi si aggira quale comprimario della scena investigativa pubblica a tutela dei diritti fondamentali della persona e della genuinità degli esiti probatori, e ove la legge lo preveda assiste al compimento degli atti di iniziativa altrui, presentando al pm richieste, osservazioni e riserve delle quali è fatta menzione nel verbale (364 comma 7). Gli è vietato fare segni di approvazione o disapprovazione. Anche fuori dalle ipotesi in cui la legge tipizza il suo intervento, il difensore ha un generale potere di interlocuzione con l’organo di accusa, che ne fa però niente di più che un postulante: il 367 prevede che nel corso delle indagini i difensori hanno facoltà di presentare memorie e richieste scritte al pm; ma nessuna risposta sembra dovuta al difensore richiedente. La seconda lo vede compiere, a sua volta, autonomamente, una serie di atti investigativi per la ricerca di elementi utili per la difesa del proprio assistito, muovendosi specularmente all’organo di accusa e su un terreno apparentemente omogeneo. Quindi in un ruolo più attivo. Segue: l’assistenza del difensore agli atti di indagine del pubblico ministero e della polizia giudiziaria: Assistenza finalizzata a presidiare la correttezza dell’azione inquirente, viene stabilita la dove sia consentito prevedere il potenziale debordare degli effetti dell’atto dalla tipica limitazione endo- fasica, in correlazione cioè con la potenziale proiezione dibattimentale delle conseguenti acquisizioni. Nel contempo, si tiene conto della necessità di preservare l’efficacia dell’azione investigativa, rispetto a quei casi in cui l’invito rivolto al difensore potrebbe precludere o alterare gli esiti dell’accertamento. Ne deriva un triplice regime. In primo luogo il difensore ha diritto di essere preavvertito del compimento dell’atto allorché la pg proceda all’assunzione di sommarie info dalla persona nei cui confronti sono svolte le indagini, ex 350 commi 1-4: in questo caso le sommarie info sono assunte con la necessaria presenza del difensore, a pena di nullità assoluta ex 179 comma 1, ed egli ha obbligo di assistervi. Nell’ambito dell’attività condotta dal pm, il diritto all’avviso è riconosciuto al difensore nel caso di accertamenti tecnici urgenti, in relazione ai quali il difensore deve essere avvisato senza ritardo dell’ora e del luogo fissati per il conferimento dell’incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici (360). 66 Ai sensi del 364 inoltre allorché si debba procedere ad interrogatorio, ispezione, individuazione di persone o confronto al quale debba intervenire l’indagato, il difensore deve essere avvisato con le cadenze temporali ivi previste. Il difensore è dato avviso almeno 24 ore prima del compimento degli atti di cui al 364, nonché delle ispezioni a cui non deve partecipare l’indagato. Nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che ritardo possa pregiudicare la ricerca o l’assicurazione delle fonti di prova, il pm può procedere a interrogatorio, ispezione, individuazione di persone o a confronto anche prima del termine fissati, dandone avviso al difensore senza ritardo e comunque tempestivamente (comma 5). L’avviso può essere omesso quando il pm procede a ispezione se vi è fondato motivo di ritenere che le tracce o gli altri effetti materiali del reato possono essere alterati: pure in questo caso, resta salva la facoltà del difensore di intervenire all’atto. Quando procede nei modi previsti dal comma 5, il pm deve specificamente indicare a pena di nullità i motivi della deroga e le modalità dell’avviso. In secondo luogo, allorché si tratti di atti a sorpresa, la cui efficacia potrebbe essere posta a rischio ove se ne fornisse una preventiva conoscenza, è prevista la facoltà del difensore di assistere all’atto senza diritto di essere preavvisato. Siamo nell’ambito del 356 e 365, con riferimento agli atti della pg e agli atti del pm. Tra i primi vi rientrano le perquisizioni, gli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose o sulle persone e i sequestri, nonché la immediata apertura del plico. La pg deve avvertire l’indagato che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia. Quanto al pm, nel procedere a perquisizione o sequestro, egli deve chiedere all’indagato che sia presente se è assistito da difensore di fiducia, e qualora ne sia privo, designa un difensore di ufficio a norma del 97 comma 3 (articolo non richiamato invece nel caso della pg). Il difensore ha facoltà di assistere al compimento dell’atto, ferma la facoltà per l’indagato di farsi assistere da persona di sua fiducia. In entrambi i casi, ove il difensore decida di non intervenire, non si produrrà alcuna ripercussione sulla validità dell’atto, salvo che la sua partecipazione sia prevista come necessaria. In terzo luogo la legge non prevede alcun diritto di assistere all’assunzione di informazioni da persona a conoscenza di notizie utili e al relativo confronto tra di esse (362); all’interrogatorio di persona imputata in procedimento connesso (363): il contenuto di quegli atti non sono suscettibili di assumere valore probatorio in dibattimento, ma sappiamo comunque che essi possono finire per trapelarvi, realizzandosene le condizioni tramite gli istituti delle contestazioni e delle letture. E cosi può dirsi anche per le sommarie informazioni ai sensi del 351 comma 1-bis che la pg può assumere con la presenza del difensore del dichiarante, ma senza che l’indagato sia assistito. Si noti che salvi i casi in cui assistenza difensiva non risulta assicurare dalla legge, il regime fin qui delineato segna una gamma di garanzie di diversa intensità: diritto di assistere all’atto, diritto di assistere all’atto con preavviso, necessaria presenza del difensore. Nei primi due casi il difensore pur essendo titolare del diritto di partecipare al compimento dell’atto, potrà essere non presente, senza che ne derivino effetti patologici sull’attività compiuta, poiché la sua presenza non è prevista come condizione di validità dell’atto. 67 egli ne dia avviso almeno 24 ore prima al difensore di fiducia della persona, la cui presenza è necessaria (altrimenti si dispone la nomina di un difensore di ufficio ai sensi del 97). Intervento del giudice è necessario altresì quando debba essere sentita una persona detenuta, per procedervi occorrerà che il difensore ottenga autorizzazione. All’assunzione di info non possono assistere l’indagato, la persona offesa e le parti private, per evitare che il dichiarante possa subire indebite influenze. Inoltre ci sono garanzie omologhe a quelle dettate per l’attività della polizia o del pm: quando assume info da persone minori si avvale di esperto in psicologia o psichiatria; sulla falsariga del 63 il soggetto che rilasci dichiarazioni auto- indizianti viene interrotta l’assunzione di info e le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese; è precluso al difensore o a chi lo affianchi nelle indagini richiedere notizie sulle domande formulate e sulle risposte date alle persone già sentite dalla pg o dal pm. Al pm viene anche attribuito, se sussistono specifiche esigenze attinenti alle indagini, il potere, con decreto motivato, di vietare alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell’indagine di cui hanno conoscenza, avvisandole della responsabilità penale se rivelano notizie. Il divieto non può durare per più di 2 mesi. La persona informata sui fatti deve rispondere secondo verità, come davanti al pm e al giudice, pena la sua responsabilità ex 371-ter cp per le false dichiarazioni rilasciate al difensore. La parte può non rispondere o non rendere la dichiarazione al difensore. In questo caso la difesa può rivolgersi al pm affinché entro 7 giorni dalla richiesta disponga l’audizione del dichiarante renitente, sempre che non si tratti di persone sottoposte a indagini nello stesso o in altro procedimento nelle ipotesi di cui al 210. Però la richiesta di audizione tramuta l’iniziativa difensiva in un atto dell’organo inquirente: essa si svolgerà alla presenza del difensore cui pure è concesso di formulare le domande per primo con le forme del 362. Inoltre l’atto confluirà nel fascicolo del pm e cosi acquisito sarà suscettibile di essere utilizzato alla stregua degli atti di indagine: il difensore scegliendo questa via otterrà la dichiarazione ma perderà la discrezionalità di non ostendere l’atto che non sia favorevole alla propria strategia difensiva. In alternativa all’audizione del potenziale testimone prevista dal comma 10 del 391-bis, il difensore può chiedere che il soggetto venga sentito con incidente probatorio anche al di fuori delle ipotesi previste dal 392 comma 1. Posta in capo al difensore la titolarità del diritto di richiedere instaurazione dell’incidente probatorio, si lascia intendere che la richiesta possa essere avanzata non solo dal difensore dell’indagato ma anche da quello dell’offeso. Segue: la richiesta di documenti alla pubblica amministrazione e l’accesso ai luoghi: Le investigazioni difensive possono anche tendere ad acquisire elementi probatori di carattere reale. Il 391-quater attribuisce al difensore la possibilità di rivolgersi alla p.a. per prendere visione o acquisire copia, a sue spese, di documenti formati o detenuti stabilmente dall’amministrazione stessa. Il difensore risulta l’unico soggetto legittimato allo svolgimento di tale attività. Il soggetto destinatario dell’istanza difensiva è la p.a. e in particolare quella che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente. 70 Il difensore presenta tale richiesta per iscritto ai fini delle indagini difensive, ma non c’è specifico obbligo di esplicitazione delle finalità perseguite. È lecito ritenere che egli debba indicare le circostanze che rendono il documento rilevante ai fini delle investigazioni cosi che p.a. potrà controllare i requisiti legittimità della richiesta e la sussistenza delle esigenze di accertamento. La consegna non è un fatto dovuto; la p.a. può rifiutare l’accesso agli atti. Nel caso in cui p.a. rifiuti o in caso di mancata risposta entro 30 giorni, il comma 4 del 391-quater prevede l’applicabilità del 367 e 368. Il difensore ha la possibilità di rivolgersi al pm sollecitandolo mediante richiesta scritta, attraverso cui prospettare la necessità di un provvedimento finalizzato al raggiungimento dello scopo: chiedendo che egli si attivi per ottenere dalla p.a. la consegna dei documenti ovvero disponendo il sequestro dei documenti con decreto motivato. Se pm non intenda dar corso alla richiesta del difensore, trasmetterà la stessa al gip, il quale valuterà in assenza di contraddittorio. In base al 391-sexies e septies il difensore o sostituto possono anche effettuare un accesso ai luoghi, cosi da poter osservare direttamente l’ambiente in cui si sono svolti i fatti. Hanno la facoltà di accedere e prendere visione dello stato dei luoghi e delle cose, e procedere alla loro descrizione servendosi eventualmente di ogni mezzo tecnologico per eseguire rilievi tecnici, grafici, fotografici o audiovisivi. L’attività è di tipo meramente ricognitivo, di osservazione e raccolta di dati e non può causare modificazioni dello stato delle cose poiché non deve interferire con l’attività di ricerca svolta dagli organi dell’accusa. I soggetti legittimati all’accesso sono il difensore e i suoi ausiliari, ma anche l’imputato o l’indagato. Specifica disciplina per accesso ai luoghi privati o non aperti al pubblico e ai luoghi adibiti a privata abitazione. Per poter accedere i soggetti della difesa devono ottenere il consenso del soggetto che ha la disponibilità della cosa o del luogo. Ove consenso difetti, accesso deve essere autorizzato dal giudice su richiesta del difensore, con decreto motivato che ne indichi modalità. Ciò a tutela della inviolabilità del domicilio. La persona che ha la disponibilità del luogo deve essere avvisata circa la possibilità di farsi assistere da persona di fiducia. Per eseguire i rilievi si potrà accedere anche ai luoghi di abitazione e pertinenze, e in assenza di consenso, autorizzazione del giudice viene data se c’è necessità di accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. Il difensore o sostituto possono redigere il verbale nel quale sono riportati la data e il luogo dell’accesso, le proprie generalità e quelle delle persone intervenute, la descrizione dello stato del luogo e delle cose e l’indicazione degli eventuali rilievi eseguiti. Tale atto deve essere sottoscritto dall’autore e dalle persone intervenute. Redazione verbale è onere per usare i risultati dell’indagine. Segue: gli atti irripetibili: Il quadro tracciato sopra non è esaustivo. Quanto vi rimane sotteso, è esplicitato dal 391-decies, la dove, nel definire il valore probatorio di atti e accertamenti irripetibili, implicitamente si legittima il difensore all’esperimento degli stessi. In occasione dell’accesso ai luoghi il difensore può svolgere altresì rilievi irripetibili: sono atti ricognitivi che non comportano un’attività invasiva o valutazioni proprie degli accertamenti tecnici e che hanno ad oggetto cose o luoghi soggetti a modificazioni, i quali devono essere svolti tempestivamente al fine di evitare la dispersione degli elementi di prova. 71 La relativa documentazione è inserita nel fascicolo per il dibattimento. Il pm ha la possibilità di assistere al compimento di tali atti personalmente o per mezzo di una delega alla pg; in tal caso il verbale sarà inserito nel fascicolo del difensore e in quello del pm e confluirà, in seguito, nel fascicolo del dibattimento, seguendo lo stesso percorso del verbale degli accertamenti tecnici non ripetibili, di cui si dirà subito. Anche in occasione diversa dall’accesso ai luoghi il difensore può svolgere accertamenti tecnici ripetibili e non: il 327-bis comma 3 consente al difensore di avvalersi dell’aiuto di consulenti tecnici nel caso in cui sia necessario svolgere attività investigative che richiedano particolari conoscenze di tipo tecnico; mentre il 391-decies comma 3 si riferisce agli accertamenti tecnici irripetibili per disciplinarne procedura e valore probatorio sulla falsariga del corrispondente atto del pm. il difensore infatti se vuole svolgere accertamenti tecnici irripetibili deve darne avviso senza ritardo al pm per l’esercizio delle facoltà previste, in quanto compatibili, dal 360. Il pm diviene destinatario di garanzie analoghe a quelle attribuite al difensore, in caso di accertamenti tecnici irripetibili compiuti dalla parte pubblica. La disposizione sembra escludere che l’avviso sia dovuto alla persona offesa: cosi letta la disposizione potrebbe risultarne una violazione del contraddittorio. Ma il 15 delle regole di comportamento del penalista prevede che bisogna darne avviso a tutti coloro nei confronti dei quali l’atto può avere effetto e dei quali si abbia conoscenza. Chiaramente è regola di tipo deontologico, per cui eventuale omissione non ha sanzione. Segue: il valore probatorio degli atti compiuti dal difensore: Ruolo centrale ha il fascicolo del difensore, funzionale a raccogliere la documentazione degli atti compiuti quale preludio a successiva utilizzabilità del materiale che vi è conferito. Formato e conservato presso l’ufficio del gip, esso è di regola riservato: il pm non ha possibilità di prenderne visione in ogni momento delle indagini ma solo quando debba essere adottata una decisione su richiesta delle altre parti o con il loro intervento. Dopo chiusura indagini è inserito nel fascicolo del pm di cui al 433, dove giace senza perdere la sua autonomia, offrendo se del caso i propri contributi alla dialettica dibattimentale, nelle ipotesi e nelle forme consentite. Tendenzialmente omogenei gli usi probatori degli atti in essi contenuti, i fascicoli rispettivamente previsti nel 373 comma 5 e nel 391-octies comma 3 ben si differenziano quanto ai rispettivi criteri di formazione: nel primo sarà inserito ogni atto compiuto, nel secondo il difensore inserirà solo quanto vorrà. Quest’ultimo del tutto libero di decidere, se, come e in quale fase dell’arco procedimentale offrire i risultati investigativi alla conoscenza del giudice e della controparte, può celarli allorché siano inutili o controproducenti per la linea difensiva adottata. Ove voglia usarli avrà l’onere di presentarli al giudice o al pm con le forme previste dalla legge. Una volta introdotti nel procedimento, l’elemento conoscitivo entra a far parte del materiale cognitivo del procedimento penale. Il 391-octies comma 3 prevede che la documentazione dell’attività investigativa difensiva, presentata al giudice durante le indagini preliminari o durante l’udienza preliminare ai sensi dei commi precedenti, debba essere inserita nel fascicolo del difensore in originale, o in copia se il difensore ne richiede la restituzione. La discrezionalità di quest’ultimo nel produrre e selezionare il materiale da immettere nel procedimento ha un limite ben preciso: la sua libertà, risvolto del dovere di difendere il proprio assistito, non può spingerlo ad una infedele verbalizzazione, per tacere le circostanze a carico dell’imputato; ne, del pari, dopo aver verbalizzato integralmente, egli potrebbe 72 - A una perizia o a un esperimento giudiziale, se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile - A una ricognizione, quando particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare l’atto al dibattimento. Nonostante la non perfetta sovrapponibilità, dal punto di vista delle garanzie, tra la prova cosi acquisita e la prova dibattimentale, l’istituto si è prestato, per la sua estrema flessibilità, a rispondere a esigenze che prescindono dal pur poliedrico concetto di non rinviabilità della prova, con la conseguenza di un certo ampliamento del suo spettro operativo. Tra le ipotesi inedite non riconducibili alla stesura originaria, due sono riconducibili alla necessità dell’intervento del giudice per l’acquisizione di prove che richiedano l’esercizio di poteri coercitivi. La legge 85/2009, interpolando il 392 comma 2, ne ha esteso lo spettro operativo alla perizia che comporti l’esecuzione di accertamenti o prelievi su persona vivente previsti dal 224-bis. Inoltre può farsi ricorso all’incidente probatorio anche fuori dei casi di cui al 392, quando si tratti di supplire alla mancanza di poteri coercitivi del difensore nell’acquisire il sapere delle persone in grado di riferire elementi utili ai fini difensivi (391-bis comma 11). Nella parabola che ha condotto a proiettare l’incidente probatorio fuori dalla sua orbita di eccezionalità, la tutela del minore e del maggiorenne vulnerabile ha avuto un ruolo di primo piano. Una disciplina rende l’incidente probatorio la regola e la successiva audizione dibattimentale l’eccezione, nei casi previsti dal 392 comma 1-bis, concernenti la testimonianza dei minori e delle persone offese maggiorenni coinvolte in particolari reati ovvero in situazioni di particolare vulnerabilità. Vi si prevede che nei delitti di cui al 572, 600, 600-bis, 600-quater, il pm, eventualmente su richiesta della persona offesa, o l’indagato possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1. Di recente analoga tutela è stata accordata alla persona offesa che versi in condizione di particolare vulnerabilità, prescindendo dal reato per cui si procede. Il 392 comma 1-bis dispone infatti che in ogni caso quando la persona offesa versa in condizione di particolare vulnerabilità, il pm anche su richiesta della stessa, o la persona indagata possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della sua testimonianza. L’immediata acquisizione della prova offre al minore, testimone in procedimenti per reati per lo più a sfondo sessuale, ma anche alla persona offesa maggiorenne, nei casi già indicati, l’opportunità di deporre in un contesto protetto, sottraendoli alla pubblicità dibattimentale e consentendo loro di cominciare il processo di elaborazione e di rimozione dell’esperienza vissuta. Segue: il procedimento: Titolari del potere di chiedere l’incidente probatorio sono il pm e la persona indagata (393). Salvo che nel caso di cui al 391-bis comma 11, l’offeso non rientra tra i soggetti legittimati. Le compete in proposito un più ristretto potere di intervento: può fare richiesta al pm di promuoverne l’instaurazione con il diritto ad ottenere una risposta: non accogliendo, il pm pronuncia decreto motivato e lo fa notificare alla stessa. Nell’udienza preliminare, il potere di promuovere la procedura va riconosciuto all’imputato e alle parti già costituite. 75 Secondo il 393 la richiesta deve essere presentata entro i termini per la conclusione delle indagini preliminari e comunque in tempo sufficiente per l’assunzione della prova prima della scadenza dei medesimi termini, salva la possibilità di richiederne la proroga finalizzata all’esecuzione dell’incidente. Tuttavia il limite è solo apparente: a seguito di una declaratoria di illegittimità del 392 e 393, l’incidente probatorio può essere richiesto anche nell’udienza preliminare; in successive occasioni inoltre la corte costituzionale ha precisato che la richiesta può essere avanzata altresì nel tempo che intercorre tra le conclusione delle indagini e l’udienza, per lo meno ove vi sia un concreto ed effettivo pericolo di dispersione del materiale conoscitivo. Quanto ai contenuti, la richiesta deve indicare a pena di inammissibilità: - La prova da assumere, i fatti oggetto di essa e le ragioni della sua rilevanza per la decisione dibattimentale - Le persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova - Le circostanze che a norma del 392 rendono la prova non rinviabile al dibattimento, nonché, ove provenga dal pm, anche i difensori delle persone interessate a norma del comma 1 lett. b., la persona offesa e il suo difensore. Depositata la richiesta nella cancelleria del gip, il richiedente deve notificare a tutte le parti interessate la richiesta stessa. Tale notificazione è premessa per un contraddittorio, cartolare e a tempi ridottissimi, intorno alla ammissibilità della richiesta: dalla data della notifica decorre un termine di 2 giorni entro il quale il pm o la persona indagata possono presentare deduzioni sull’ammissibilità e sulla fondatezza della richiesta, depositare cose, produrre documenti nonché indicare altri fatti che debbano costituire oggetto della prova e altre persone interessate alla prova stessa. Venuto a conoscenza della richiesta presentata dalla persona sottoposta alle indagini, il pm può chiedere (entro 2 giorni dalla notificazione) al giudice il differimento dell’incidente probatorio, con le forme di cui al 397, quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagine preliminare. Il giudice provvede entro 2 giorni con ordinanza, può dichiarare inammissibile se mancano requisiti formali o rigettarla quando pregiudicherebbe l’assunzione della prova. In entrambe le ipotesi l’ordinanza è comunicata immediatamente al pm. Se accoglie, il giudice fissa l’udienza per l’incidente probatorio non oltre il limite strettamente necessario al compimento dell’atto o degli atti di indagine che hanno giustificato il differimento: l’ordinanza di accoglimento è subito comunicata al pm e notificata per estratto alle persone di cui al 393 comma 1 lett. b. Scaduto termine di cui al 396 per le deduzioni o quello successivo conseguente al differimento dell’incidente probatorio, il giudice decide sulla richiesta con ordinanza non impugnabile: si tratterà di un’ordinanza di inammissibilità, quando la richiesta non permette di capire quale sia la prova e la sua rilevanza, quali siano le ragioni di urgenza, quali le persone interessate, compresi i difensori; di rigetto, per mancanza delle condizioni di merito; di accoglimento negli altri casi. Il 398 comma 4 prevede che nella necessità di procedere a più incidenti probatori, essi debbano essere assegnati alla medesima udienza, sempre che non possa derivarne ritardo; il comma successivo prescrive invece che allorché ricorrano ragioni di urgenza tali da impedire lo svolgimento dell’incidente nella circoscrizione del giudice competente, questo possa delegare il gip del luogo in cui la prova deve essere assunta. 76 Con l’ordinanza che accoglie la richiesta il giudice stabilisce: - L’oggetto della prova nei limiti della richiesta e delle deduzioni - Le persone interessate all’assunzione della prova individuate sulla base della richiesta e delle deduzioni - La data dell’udienza (che non può essere disposta ad oltre 10 giorni dal provvedimento). Avvisate della data dell’udienza almeno 2 giorni prima, le parti sono avvertite della facoltà di prendere cognizione ed estrarre copia delle dichiarazioni già rese dalla persona da esaminare (398). Se si eccettua quest’ultima piuttosto smilza conoscenza dell’orizzonte probatorio, nessuna discovery prelude alla assunzione della prova, nei casi ordinari. Al contrario, nei procedimenti per i reati di cui al 392 comma 1-bis, all’obbligo del pm di depositare tutti gli atti di indagine fa riscontro il diritto della persona indagata e dei difensori delle parti di ottenere copia degli atti depositati. Quando invece si tratti di indagini che riguardano ipotesi di reato previste dal 572, 600, 600-bis il giudice, ove fra le persone interessate all’assunzione vi siano minorenni, con l’ordinanza di cui comma 2, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all’incidente probatorio, quando le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno. A tal fine l’udienza può svolgersi anche in un luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice di strutture specializzate di assistenza. Le peculiarità riguardano anche la documentazione: le dichiarazioni testimoniali devono essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Dell’interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. Il tutto viene esteso anche alla persona maggiorenne in condizioni di particolare vulnerabilità. L’udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pm e del difensore della persona indagata. In caso di mancata comparizione del difensore dell’indagato, il giudice designa difensore ai sensi del 97; la partecipazione del difensore dell’offeso è invece facoltativa. L’indagato e l’offeso hanno diritto di assistere all’incidente probatorio quando si deve esaminare un testimone o un’altra persona. Negli altri casi possono assistere previa autorizzazione del giudice. Instauratasi l’udienza non sono più ammesse questioni relative all’ammissibilità o alla fondatezza della richiesta (401); l’assunzione della prova deve avvenire nella medesima udienza o in una udienza che si svolga nel giorno successivo non festivo, salvo tempo maggiore richiesto. Le prove sono assunte con le forme stabilite per il dibattimento. Ove si tratti di prove dichiarative, il soggetto verrà escusso attraverso l’esame e il contro-esame; tuttavia il difensore dell’offeso può solo chiedere al giudice di rivolgere domande alle persone sottoposte ad esame. Dopo i verbali le cose e i documenti acquisiti sono trasmessi al pm e saranno inclusi nel suo fascicolo, in attesa di transitare in quello del dibattimento. I difensori hanno diritto di prenderne visione ed estrarne copia. Per regola espressa la prova assunta in incidente probatorio può essere utilizzata in dibattimento solo nei confronti degli imputati i cui difensori abbiano partecipato alla relativa assunzione (403): il giudice indica nell’ordinanza le persone interessate all’assunzione della prova, individuate sulla base della richiesta e delle deduzioni. È vietato estendere l’assunzione della prova a fatti riguardanti persone diverse da quelle i cui difensori partecipano all’incidente probatorio, ed in ogni caso verbalizzare dichiarazioni riguardanti tali soggetti. Ove se ne presenti la necessità è però possibile chiedere una estensione dell’incidente probatorio ex 402: se il pm o il difensore dell’indagato chiede che la prova si estenda, il giudice, se ne ricorrono i requisiti, dispone le necessarie notifiche a norma del 398 comma 3, rinviando l’udienza per il tempo strettamente necessario e comunque non oltre 3 giorni. 77 Segue: un nuovo ed autonomo termine “finale” per la chiusura della fase preliminare: Le conseguenze determinate dal mancato rispetto dei tempi di indagine concernono esclusivamente l’utilizzabilità degli atti; non coinvolgono invece la corretta instaurazione del processo. L’azione penale promossa al di fuori delle cadenze temporali è immune da vizi e ciò ha fatto si che nella prassi i relativi adempimenti finissero per non essere presidiati da alcun limite temporale, nonostante questo stesso limite fosse ben desumibile dal reticolo di disposizioni concernenti i termini per le indagini ed i conseguenti adempimenti dell’organo di accusa. All’esigenza di garantire il rispetto dei tempi previsti sono rivolte le modifiche operate dalla legge 103/2017. Non più agganciato all’iscrizione della notizia di reato e rapportato ai tempi di durata delle indagini, il limite definitivo della fase preliminare viene spinto oltre: il nuovo comma 3-bis del 407, prevede un duplice dies a quo, fissa un dies ad quem, contempla deroghe e allestisce una via di fuga, già prospettando per tabulas il possibile inadempimento. Il tutto è preceduto dalla locuzione “in ogni caso”: in ogni caso il pm è tenuto a esercitare l’azione penale o a richiedere l’archiviazione entro il termine di 3 mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui al 415-bis. Più precisamente, in ordine al dies a quo, il nuovo testo sembra dover essere cosi inteso: esso si colloca alla scadenza del termine delle indagini previsto dalla legge o prorogato dal giudice, ove non sia stato inviato alcun avviso di chiusura delle indagini, ovvero al momento in cui siano esauriti gli adempimenti conseguenti a quell’avviso. Bisogna osservare che quegli adempimenti sono segnati da una serie di termini ordinatori che risultano oggi irrigiditi con possibili effetti negativi sul diritto di difesa. La rigidità temporale è peraltro temperata attraverso una duplice deroga che concerne taluni procedimenti già considerati caratterizzati da complessità e per i quali il legislatore prevede tempi di indagine più ampi ai sensi del 407 comma 2. Nel caso di indagini particolarmente complesse ex 407 comma 2 lett. b, su richiesta del pm prima della scadenza, il procuratore generale presso la corte d’appello può prorogare con decreto motivato il termine per non più di 3 mesi dandone notizia al procuratore della Repubblica. In secondo luogo un termine più ampio è previsto nella consueta prospettiva del doppio binario: è lo stesso legislatore a presumere scenari di marcata complessità, fissando in 15 mesi il termine per l’esercizio dell’azione quando si tratti dei delitti di cui al comma 2 lett. a nn. 1, 3 e 4 dello stesso 407. È poi previsto in capo al pm che non riesca ad adempiere un obbligo informativo: ove non assuma le proprie determinazioni in ordine all’azione penale nel termine indicato, deve darne immediata comunicazione al procuratore generale presso la corte d’appello. È una comunicazione finalizzata a favorire l’esercizio dei poteri di vigilanza sull’obbligo di azione da parte del dirigente dell’ufficio requirente presso la corte d’appello. A quest’ultimo spetta l’avocazione delle indagini, con i poteri già anteriormente previsti ed ora formalmente rinnovati dal 412. Le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale e l’avviso di conclusione delle indagini preliminari: Il 405 torna a prospettare l’alternativa tra esercizio dell’azione penale e archiviazione, indicando nelle rispettive richieste i due complementari epiloghi delle indagini. Ciascuno di essi è doveroso al ricorrere dei relativi presupposti, ma è sull’azione in particolare che cade l’accento del precetto: il pm, quando non deve chiedere l’archiviazione, esercita l’azione penale. 80 L’obbligo sancito nel 112 Cost. non impone dunque sequenze automatiche tra notizia di reato ed esercizio dell’azione: questa deve essere promossa solo allorché l’ipotesi fluida che ha sospinto le indagini finisca per concretarsi in una tesi che appaia plausibile sostenere nel processo. Spetta al pm decidere se ricorrano i presupposto: la sua valutazione non è condotta sulla scorta di considerazioni di opportunità ma è una tipica espressione di discrezionalità tecnica. Al ricorrere delle condizioni indicate dalla legge, deve conseguire una scelta di carattere vincolato. Quando non sussistano quei presupposti che impongano di deflettere dall’azione, il pm dovrà procedere, formulando l’imputazione nei modi previsti dalla legge. Il 405 li enumera individuandoli con un richiamo agli atti introduttivi dei riti speciali e con la richiesta di rinvio a giudizio. Il catalogo è incompleto: più sintetico di quello contenuto nel 60, non contempla, accanto alla principale forma ordinaria di esercizio della azione, la citazione diretta a giudizio, disciplinata nel libro VIII, con riguardo al procedimento monocratico che si svolga senza udienza preliminare. Quanto alle modalità di avvio del processo nei riti alternativi, sono richiamate le disposizioni concernenti l’applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudizio direttissimo, il giudizio immediato, il decreto penale. Nel momento cruciale che impegna il pm a soppesare gli esiti investigativi si colloca un intervento della difesa suscettibile di influenzare in extremis le sue scelte al riguardo. Un ultimo incombente, collocato in chiusura delle indagini, impone al pm che già non si reputi tenuto a richiedere l’archiviazione di inviare l’avviso di conclusione delle indagini alla persona sottoposta alle indagini e al difensore nonché, quando si procede per i reati di cui al 572 e 612-bis cp, anche al difensore dell’offeso o ad esso. Si tratta di adempimento necessario alla luce del 111 commi 2 e 3 Cost., affinché l’indagato possa conoscere l’addebito a suo carico e contraddire i risultati dell’attività di indagine. Nondimeno esso si ritiene applicabile al solo caso di esercizio dell’azione tramite richiesta di rinvio a giudizio. Il pm dovrà inviarlo quando già abbia valutato che gli elementi raccolti lo indirizzino verso l’esercizio dell’azione penale; non è detto tuttavia che proprio l’interlocuzione della difesa non lo convinca a rivolgersi verso la opposta alternativa. Dal suo punto di vista il confronto con la difesa è l’occasione per un primo vaglio sulla tenuta della impostazione accusatoria. Dal punto di vista della difesa l’avviso concreta prima di tutto un diritto di informazione: sull’accusa e su una ampia gamma di chances difensive che le sono accordate. Il 415-bis costituisce nel contempo la fonte dei correlativi diritti e la premessa per l’esercizio degli stessi. Informata dell’accusa, potrà accedere all’intero materiale di indagine, beneficiando di una completa discovery degli atti: l’avviso contiene anche l’avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del pm e che l’indagato e il suo difensore hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia. L’avviso dovrà anche contenere l’avvertimento che l’indagato e il suo difensore hanno facoltà di esaminare per via telematica gli atti depositati relativi ad intercettazioni e ascoltare le registrazioni ovvero prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche e facoltà di estrarne copia. Il difensore può entro 20 giorni, depositare l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia. 81 Il medesimo avviso deve anche informare l’indagato delle facoltà difensive che ancora gli spettano: entro 20 giorni può presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore. I poteri della difesa si estendono ad imporre una attività di collaborazione all’organo di accusa: il destinatario delle indagini potrà presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio, non potendo vedersi opposto un diniego. Non solo. Al pm potrà essere richiesto il compimento di atti di indagine. Il 415-bis comma 4 prevede che quando, essendone richiesto, il pm dispone nuove indagini, queste debbano essere compiute entro 30 giorni dalla presentazione della richiesta, termine prorogabile dal giudice una sola volta e per non più di 60 giorni. Il pm non è obbligato ad eseguire le indagini richieste, diciamo che lo farà se la difesa gli avrà instillato nella mente un dubbio sulla correttezza della prospettazione accusatoria. Il pm poi sarà libero se vorrà di svolgere ulteriori attività di indagine oltre a quelle richiestegli dalla difesa, salva la non utilizzabilità degli atti compiuti dopo il termine di scadenza previsto dal 407 comma 3. Anche se in realtà pure i nuovi atti dovranno ritenersi utilizzabili ancorché sia decorso il termine di legge. Per lo meno gli eventuali atti indifferibili. L’archiviazione della notizia di reato: i presupposti: Il perimetro dell’obbligo di agire del pm è segnato dalla infondatezza della notizia di reato. Il 408 comma 1 stabilisce che il pm deve presentare richiesta di archiviazione al giudice se la notizia di reato è infondata. Va letta in chiave di specificazione del requisito della infondatezza della notizia di reato la regola posta nel 125 disp. att., stando alla quale il pm presenta al giudice la richiesta di archiviazione quando ritiene l’infondatezza della notizia di reato perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Ci vuole però molta cautela. La opzione tra azione e archiviazione, ed insieme il criterio che orienta chi vi è chiamato, continuano a porsi in osmosi con quello che accadrà nel seguito, ma l’orizzonte che si para oltre la chiusura delle indagini è molto cambiato. Si deve tener conto in primis del riformulato assetto del giudizio abbreviato: sarebbe poco accorta la scelta di un pm che continuasse a contare sulla possibilità di una corroborazione dibattimentale di elementi incerti, pur sapendo che una tempestiva richiesta dell’imputato di essere giudicato in udienza preliminare allo stato degli atti può congelare, al momento della chiusura delle indagini, il materiale cognitivo sul quale l’accertamento dovrà essere compiuto. D’altro canto, una imputazione sfornita di solido supporto probatorio sarebbe destinata a non passare il vaglio dell’udienza preliminare, da condursi attraverso un filtro a maglie più strette: se il pm agisse anche sulla scorta di elementi insufficienti o contraddittori, il suo atto propulsivo potrebbe non passare indenne il vaglio del giudice dell’udienza preliminare. Definita la nozione di infondatezza, come superfluità dell’accertamento processuale, a ben vedere, ad essa possono essere ricondotte anche le ulteriori fattispecie di archiviazione che il legislatore considera nel 411: mancanza di una condizione di procedibilità, estinzione del reato, fatto non previsto dalla legge come reato. 82 Nell’avviso è specificato che nel termine di 20 giorni la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini. Per i delitti commessi con violenza alla persona l’avviso è in ogni caso notificato a cura del pm all’offeso ed il termine è di 30 giorni. Reso edotto degli atti, con l’opposizione l’offeso dovrà esibire argomenti idonei a giustificare l’incontro camerale: nell’atto di opposizione dovranno essere indicati l’oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova, a pena di inammissibilità. Si vuole evitare inutile dispendio di attività processuale. Da sottolineare che il diritto all’opposizione si fonda esclusivamente sulla indicazione da parte dell’offeso di lacune investigative. È necessario a tal proposito che emergano elementi di prova concreti e specifici. In difetto di tali requisiti il giudice potrà archiviare de plano; ma ove la richiesta appaia formalmente ammissibile, egli dovrà convocare l’udienza prevista dal 409 comma 2, introducendo la variante partecipata del procedimento di archiviazione. Se ciò avverrà, il seguito sarà quello ordinario: il giudice dovrà provvedere infatti a norma del 409, ma il contraddittorio avrà una minore estensione dal punto di vista soggettivo. Il 410 comma 3 prevede infatti che in caso di più persone offese, l’avviso per l’udienza è notificato al solo opponente. Nel privilegiare speditezza, il legislatore ha ritenuto di presumere dalla mancata opposizione dell’avente diritto il suo disinteresse alla procedura in questione, escludendolo dal diritto a partecipare all’udienza. Nel caso di inammissibilità dell’opposizione, invece, l’offeso avrà diritto quanto meno a che il giudice gli dia conto delle ragioni per le quali alle doglianze dell’offeso non sia stato dato seguito, dedicandovi adeguata motivazione nel decreto di archiviazione. Segue: il procedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto: Ulteriore modulo procedurale è quello introdotto dal d.lgs. 28/2015 nel 411 comma 1-bis, in relazione alla nuova ipotesi di archiviazione per particolare tenuità del fatto. Sappiamo che la nuova archiviazione è prevista nel 411 comma 1 dove vi è il rinvio alle disposizioni degli articoli 408, 409, 410 e 410-bis: per cui sono applicabili anche a questa le regole ordinarie. Però a ben vedere il rinvio va letto come se quelle disposizioni si applicassero “in quanto compatibili”, dovendo essere coordinate con la disciplina appositamente introdotta in un nuovo comma 1-bis del 411, ove si trovano stabilite regole speciali. Vi si compendiano il diritto all’avviso ed il conseguente diritto di opposizione della persona sottoposta alle indagini e della persona offesa; una sintetica disciplina del contraddittorio camerale; i vari epiloghi: un decreto quale sblocco di un iter mancante di contraddittorio; la restituzione degli atti al pm tutte le volte in cui non si possa pronunciare un provvedimento di archiviazione. In quella prescrizione introdotta ad hoc dunque si rinviene uno schema di riferimento dettagliato da coordinarsi, per quanto non previsto, al rito ordinario, esplicitamente richiamato nel comma 1 del medesimo articolo. Il nuovo comma 1-bis prevede che la procedura si svolga in una apposita udienza camerale, solo ove vi sia in tal senso una richiesta degli interessati. Rispetto al regime ordinario sono rafforzati i poteri di intervento dell’offeso e dell’indagato: ove la richiesta di archiviazione sia avanzata per particolare tenuità del fatto, all’offeso è dovuto l’avviso (indipendentemente da previa richiesta di essere informato) quale garanzia prodromica al diritto di opposizione da esercitarsi, presa visione degli atti, entro 10 giorni tramite atto in cui devono essere indicate, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta. 85 Il 411 comma 1-bis concede le medesime prerogative all’indagato, cui viene conferito un inedito potere di opposizione in ragione delle conseguenze che la decisione potrebbe spingere nei suoi confronti: fondata su un accertamento di colpevolezza e suscettibile di essere iscritta nel casellario giudiziario, essa potrebbe costituire una premessa per escludere nuovi giudizi di tenuità del fatto in successivi provvedimenti penali. Di qui l’interesse ad ottenere una archiviazione con una formula più favorevole. L’iter decisorio prevede: - Un vaglio di ammissibilità del giudice sulle eventuali opposizioni, limitato a verificare che siano esposte le ragioni del dissenso, senza apprezzamento sostanziale delle stesse - Un contraddittorio camerale conseguente ad un atto di opposizione ammissibile, in alternativa ad una procedura de plano, ove le opposizioni siano inammissibili o non siano state presentate - Due epiloghi alternativi: una decisione di archiviazione assunta con ordinanza o con decreto a seconda che si sia svolta o no l’udienza camerale; ovvero la restituzione degli atti al pm allorché il giudice ritenga di non accogliere la richiesta di archiviazione. Il giudice non convinto dei presupposti per l’archiviazione, nel restituire gli atti al pm può indicargli ulteriori indagini fissando un termine; oppure può disporre con ordinanza che il pm entro 10 giorni formuli l’imputazione. Infine occorre dire che il giudice richiesto di archiviare per particolare tenuità del fatto potrà disporre l’archiviazione per altre ragioni, ma non il contrario: poiché dovrebbe garantire le prerogative riconosciute ai soggetti della disciplina peculiare della particolare tenuità del fatto. Segue: l’impugnazione del provvedimento di archiviazione: Il legislatore ha abrogato il comma 6 del 409, e introdotto un nuovo 410-bis, in tal modo riformando il regime dell’impugnabilità del provvedimento di archiviazione. L’ordinanza di archiviazione è nulla solo nei casi di cui al 127 comma 5. Per il decreto è stata dettata una disciplina più dettagliata e inedita. Il nuovo testo del 410-bis fissa per tabulas i casi di nullità del decreto di archiviazione, stabilendo che il vizio ricorra quando questo sia emesso senza che l’offeso sia stato posto in condizione di presentare opposizione alla archiviazione o perché non avvertita della richiesta avanzata dal pm o perché il giudice si sia pronunciato nelle more del termine a lei concesso per la presentazione dell’atto di opposizione di cui ai commi 3 e 3-bis del 408: la stessa tutela viene estesa anche all’ipotesi in cui estendo stata presentata opposizione, il giudice omette di pronunciarsi sulla sua ammissibilità o dichiara l’opposizione inammissibile, salvi i casi di inosservanza del 410 comma 1. La novità più rilevante è per il tipo di rimedio e per l’organo chiamato a decidere sui casi di nullità del decreto e dell’ordinanza. Si attribuisce la competenza ad esaminare i reclami verso il provvedimento di archiviazione al tribunale in composizione monocratica. L’organo monocratico adito dall’interessato entro 15 giorni dalla conoscenza del provvedimento, decide con ordinanza non impugnabile, a seguito di un procedimento meramente cartolare: il procedimento si svolge senza intervento delle parti interessate, ma ne deve essere dato avviso almeno 10 giorni prima dell’udienza fissata per la decisione alle parti medesime, che possono presentare memorie non oltre il quinto giorno precedente l’udienza. 86 Il comma 4 del 410-bis contempla le alternative decisorie: il giudice se il reclamo è fondato, annulla il provvedimento e ordina la restituzione degli atti al giudice che lo ha emesso: a quest’ultimo spetterà rimediare al difetto di contraddittorio, ove vizio concernesse la convocazione dell’udienza, ovvero rinviare gli atti al pm per quanto di sua competenza. Fuori dai casi di fondatezza il giudice può dichiarare la inammissibilità del reclamo; ovvero il rigetto dello stesso con la conferma del provvedimento. In entrambi i casi la parte privata che lo ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento e nel primo caso anche al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende. Segue: i poteri di controllo del giudice per le indagini preliminari sull’obbligo di agire: Richiesto dell’archiviazione il giudice deve esplicare il suo compito di tutore del principio di obbligatorietà dell’azione: la sua verifica deve articolarsi sulla possibile sottovalutazione degli elementi e sulla insufficienza eventuale delle indagini. Egli potrà dissentire ed è dotato di poteri coattivi, speculari alle mancanze dell’organo di accusa che egli è tenuto a rilevare: può imporre al pm di approfondire le investigazioni; e può ordinargli di formulare l’imputazione, per concorrere poi ad aprire la fase strettamente processuale. Il giudice può indicare nuove indagini, la necessità delle quali può essere rilevata sulla scorta del fascicolo che il pm deve trasmettergli, dei risultati del contraddittorio camerale, ovvero dell’eventuale atto di opposizione della persona offesa dal reato. In ogni caso il potere sollecitatorio si incardina nell’udienza camerale di cui al comma 2 del 409: il giudice in questa sede se reputa che quadro investigativo necessiti di approfondimento, indica al pm le ulteriori indagini, fissando un termine indispensabile per lo svolgimento delle stesse. Riguardo al contenuto dell’ordine del giudice esso può modularsi diversamente, chiedendo specifici atti, indicando l’oggetto di prova e la direzione, oppure fornire più dettagliate indicazioni con atti appunto determinati. Ovviamente non può coartare il pm sulle modalità di svolgimento delle investigazioni. L’ordinanza del giudice definisce il procedimento di archiviazione e il pm viene ricollocato nella vecchia alternativa: uno sviluppo fisiologico delle dinamiche tra controllore e controllato implicherebbe che, svolte le nuove indagini, il pm torni ad assumere le proprie determinazioni. Se nessun ulteriore elemento sembra aver mutato il quadro egli reitererà la richiesta di archiviazione: e il giudice avrà il potere-dovere di esercitare ex novo i poteri di cui al 409. Se supplemento investigativo ha fornito elementi di novità, pm potrà essersi convinto a esercitare l’azione penale. Ma ci sono anche scenari patologici: il pm potrà non adempiere le indicazioni e tornare ad assumere le determinazioni che gli sono imposte. Ovviamente non può insistere senza avere preventivamente investigato ascoltando il giudice, però se chiederà ancora l’archiviazione, l’unico rimedio atto a risolvere l’impasse è l’avocazione. Al procuratore generale è conferita facoltà di avocazione. A tal fine egli deve sempre essere informato di ogni procedura camerale. Il suo intervento tuttavia è solo eventuale e non destinato a larga applicazione a causa delle scarse risorse operative degli uffici di procura generale. Se pm ignorando le sollecitazioni del giudice optasse per l’esercizio dell’azione penale nessuna particolare sanzione potrebbe rimediare perché la procedura di archiviazione non ha la funzione di occuparsi dell’azione avventata ma di scongiurare l’inazione. Spetterà allora al gup filtrare le domande per non dar corso al giudizio allorché ne difettino le premesse. 87 Un giudice opera un controllo sul corretto esercizio dell’azione penale, filtrando le imputazioni non sostenute da un impianto accusatorio sufficientemente robusto per giustificare il dibattimento. La decisione che ne scaturisce suppone un confronto orale tra le parti, preceduto da una discovery degli atti: l’imputato può resistere e contrastare la richiesta del pm, proseguendo davanti al giudice l’interlocuzione dialogica innestata dal 415-bis e già inscenata prima dell’esordio processuale. Esercitando i poteri difensivi riconosciutigli in extremis nella fase preliminare, la persona indagata avrebbe potuto prevenire l’azione, convincendo l’organo di accusa a non agire; ormai trasformata in imputato, potrà articolare le proprie argomentazioni difensive davanti ad un giudice, chiamato a dirimere l’alternativa tra l’instaurazione del dibattimento e il non luogo a procedere. Il contraddittorio tra le parti e la valutazione del giudice si sviluppano intorno agli esiti delle indagini, ormai svelate, ma i termini del dibattito non sono definitivamente fissati al momento della richiesta introduttiva. Il rapporto che si instaura nell’udienza preliminare tra giudice e parti configura, in realtà, un work in progress. Alla luce del principio di continuità delle indagini, pm e difensori potranno proseguire le investigazioni, anche oltre il momento introduttivo dell’udienza e, nelle ipotesi consentite, chiedere di assumere prove con le forme dell’incidente probatorio. Inoltre il giudice potrà addirittura imporre al pm di tornare ad indagare e, in ultima analisi, potrà inscenare anche d’ufficio un interludio per la ricerca di elementi cognitivi che siano idonei a convincerlo della inutilità del dibattimento. Da notare che l’epilogo della udienza preliminare ha assunto sempre più una pregnanza di un giudizio di merito. Il rischio è che cosi l’imputazione abbia già le sembianze di una condanna. Segue: la richiesta di rinvio a giudizio e gli atti introduttivi: La richiesta di rinvio a giudizio deve essere depositata dal pm nella cancelleria del giudice. Il termine per l’adempimento è quello del 405 comma 2 letto in love del 407 comma 3-bis. Resta fermo che di fronte al mancato rispetto del termine ivi previsto, le conseguenze di carattere processuale saranno irrilevanti: il principio di obbligatorietà dell’azione penale impone infatti che un’iniziativa volta ad instaurare il processo, benché tardiva, non possa dirsi invalida. I requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio sono fissati dal 417, stando al quale deve contenere: - Le generalità dell’imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità dell’offeso dal reato qualora ne sia possibile l’identificazione - L’enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge - L’indicazione delle fonti di prova acquisite - La domanda al giudice di emissione del decreto che dispone il giudizio - La data e la sottoscrizione La definizione dell’accusa è fondamentale perché a quella si correla ogni successiva risposta in chiave difensiva. Essa deve essere enunciata in forma chiara e precisa: la sua vaghezza genera una nullità a regime intermedio per violazione delle disposizioni sull’intervento dell’imputato (178), constatata la quale, dovrebbe esservi immediata regressione del processo alla fase precedente. La giurisprudenza è meno rigorosa: si impone al giudice di sollecitare il pm a precisarla e solo se il pm rimanga inerte, il giudice potrà adottare un provvedimento restitutorio che determini la regressione del processo, sulla falsariga di quanto previsto nel dibattimento dal 521 comma 2, onde consentire il 90 nuovo esercizio dell’azione penale. In vista del successivo contraddittorio il pm deve mettere a disposizione delle parti il corpo del reato e le cose pertinenti ad esso e trasmettere il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al gip (416 comma 2). La richiesta del pm innesca la sequenza giurisdizionale. Tempi brevissimi cadenzano la fissazione dell’udienza (anche se ordinatori): entro 5 giorni dal deposito della richiesta, il giudice stabilisce con decreto il giorno, l’ora e il luogo dell’udienza in camera di consiglio, dovendo tener conto che tra la data di deposito della richiesta e la data dell’udienza non può intercorrere un termine superiore a 30 giorni. Una fitta disciplina regola il dovere del giudice di dar notizia alle parti e ai difensori dell’udienza. Oneri informativi dettagliati sono previsti dal comma 1 e 4 del 419: all’imputato e alla persona offesa deve essere notificato l’avviso del giorno, ora e luogo dell’udienza, con la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pm. Il solo imputato è avvertito del suo diritto a partecipare al processo e delle conseguenze della sua mancata partecipazione. Gli avvisi sono notificati e comunicati almeno 10 giorni prima della data dell’udienza. Entro lo stesso termine è notificata la citazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Le disposizioni del comma 1 e 4 sono a pena di nullità. Omessa o erronea citazione dell’imputato comporta una nullità generale a regime assoluto, riconducibile al 179 comma 1, poiché l’adempimento in discorso ha natura sostanziale di citazione. Nello stesso termine previsto dal comma 4 del 419, l’avviso è altresì comunicato al pm e notificato al difensore dell’imputato, con alcuni contenuti aggiuntivi: a quest’ultimo è diretto l’avvertimento della facoltà di prendere visione degli atti e delle cose trasmessi a norma del 416 comma 2 e di presentare memorie e produrre documenti. Ad entrambi è risolto l’invito a trasmettere la documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio: ma l’invito è atto doveroso per il solo pm; i difensori hanno un mero onere di depositare la documentazione degli atti investigativi in funzione del loro interesse all’utilizzo di quegli stessi atti. I contenuti dell’avviso dovuto al difensore dell’imputato tendono a favorire la conoscenza degli atti, depositati dal pm ai sensi del 416 comma 2. La portata di tale disposizione sembra ridimensionata: l’adempimento di cui al 415-bis anticipa la discovery ad un momento anteriore, costituendo necessario preludio della presentazione della richiesta di rinvio a giudizio: quest’ultima infatti è nulla se non è preceduta dall’avviso previsto dal 415-bis, nonché dall’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi del 375, comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini abbia chiesto di essere sottoposta ad interrogatorio entro il termine di cui al 415-bis comma 3. Tuttavia l’ostensione degli atti imposta al pm dal 416 comma 2 è più ampia perché comprende le indagini eventualmente espletate ai sensi del 415-bis, e può comunque giovare a quanti non fossero stati tra i destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini: a tal fine il 131 disp. att. dispone che durante il termine per comparire e fino alla conclusione dell’udienza preliminare, le parti, l’offeso e i difensori hanno facoltà di prendere visione, nel luogo dove si trovano, degli atti e delle cose indicati nel 419 commi 2 e 3 e di estrarne copia. Per contro, l’invito a depositare la ulteriore attività di indagine (cosiddette indagini suppletive) compiuta a seguito della richiesta di rinvio a giudizio, prelude a futuri ampliamenti della discovery: sarà sulla scorta di questi e di altri possibili approfondimenti della piattaforma costituita dal fascicolo delle indagini e dall’ulteriore materiale depositato ai sensi del 419 comma 2, che le parti e il giudice perverranno nell’udienza alle rispettive determinazioni. 91 L’imputato potrà scegliere se accedere ad un rito premiale che si svolga nell’udienza preliminare: egli può avere interesse a richiedere il giudizio abbreviato, in vista della significativa riduzione della pena che esso comporta, allorché il materiale di accusa sia a tal punto inequivocabile da poter essere difficilmente contrastato in dibattimento o, in prospettiva del tutto opposta, quando l’imputato accusatorio sia cosi labile da sconsigliare qualsiasi seguito che possa irrobustirne le premesse. Ragioni di uguale tenore potranno orientarlo verso l’applicazione della pena, ovvero la sospensione del procedimento con messa alla prova; inoltre la mancanza di pubblicità di questi ultimi riti è altra caratteristica suscettibile di indirizzare l’imputato verso percorsi alternativi al dibattimento. Nel momento nevralgico che precede l’udienza all’imputato si apre una ulteriore via, pure deviante rispetto all’iter ordinario, che si scandisce nelle tre fasi indagini, udienza preliminare, dibattimento: può rinunciare all’udienza preliminare e richiedere il giudizio immediato, rispettando alcune formalità. La dichiarazione di rinuncia deve essere presentata in cancelleria, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, almeno 3 giorni prima della data dell’udienza e notificata al pm e all’offeso dal reato a cura dell’imputato. Preso atto della rinuncia il giudice emette decreto di giudizio immediato (419 comma 6). Segue: gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti: L’udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pm e del difensore dell’imputato (420). La procedura camerale subisce adattamenti rispetto all’archetipo dettato nel 127: essa è caratterizzata da tempi ad hoc e da un contraddittorio rafforzato. Autonome disposizioni regolano altresì le forme di redazione del verbale, redatto di regola in forma riassuntiva a norma del 140 comma 2, salvo che il giudice su richiesta di parte non ne disponga la riproduzione fonografica o audiovisiva ovvero la redazione del verbale con la stenotipia. Chiusa la discussione il giudice potrà pervenire alternativamente a due differenti epiloghi: se il processo non dovrà essere instaurato il giudice dovrà emettere una sentenza di non luogo a procedere, suscettibile di acquisire una stabilità non definitiva; se il giudice riterrà sussistenti gli elementi per il dibattimento dovrà pronunciare un decreto non motivato con il quale dispone il giudizio. Trovano applicazione nella fase introduttiva dell’udienza preliminare le regole tipiche della fase dibattimentale concernenti il controllo sulla regolarità della costituzione delle parti. Il 420 comma 2 prevede che il giudice debba procedere a verificare la regolare costituzione delle parti, ma l’intera materia è stata traslocata nell’ambito della udienza preliminare e la nuova procedura di accertamento della costituzione delle parti è applicabile, in quanto compatibile, al dibattimento, in forza dell’espresso richiamo contenuto nel 484 comma 2-bis. Con riguardo alle parti private diverse dall’imputato la verifica concerne la parte civile, che può costituirsi per l’udienza preliminare; il responsabile civile, intervenuto volontariamente o citato a comparire su richiesta della parte civile, e il civilmente obbligato: a tutti costoro cosi come alla parte pubblica e all’imputato si riferisce il 420 comma 2 la dove dispone che il giudice dovrà ordinare la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e delle notificazioni quando ne abbia dichiarato la nullità. 92 La presenza del difensore dell’imputato è prevista come necessaria, ed ogni violazione della detta garanzia è dunque sanzionata a pena di nullità assoluta ai sensi del 179 comma 1. Il 420 comma 3 prevede che, se il difensore dell’imputato non è presente, il giudice debba provvedere a norma del 97 comma 4. Il giudice deve tuttavia rinviare l’udienza nel caso di assenza del difensore, quando un legittimo impedimento impedisca la sua partecipazione. Tale impedimento, oltre che prontamente comunicato, per essere legittimo deve derivare da una impossibilità di comparire assoluta. L’imputato può sempre consentire che si proceda in assenza del difensore impedito. Non una assoluta impossibilità ma una libera scelta, riconducibile alla libertà di associazione tutelata dal 18 Cost., è quella che determina l’astensione dall’udienza del difensore che intenda aderire ad una manifestazione di protesta indetta dagli organismi forensi. L’adesione del difensore all’astensione proclamata dagli organismi rappresentativi della categoria costituisce espressione di un diritto di libertà, il cui corretto esercizio, attuato in ottemperanza a tutte le prescrizioni formali e sostanziali indicate dalle pluralità delle fonti regolatrici, impone il rinvio anche delle udienze camerali. Al giudice spetta il compito di accertare se l’adesione sia avvenuta nel rispetto delle regole. Segue: lo svolgimento dell’udienza e le integrazioni probatorie: Conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, il giudice dichiara aperta la discussione (421). La discussione si concreta in un sintetico confronto tra il pm e i difensori delle parti private: dopo il primo, nell’ordine, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell’imputato intervengono e poi replicano per una sola volta. L’imputato può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere sottoposto all’interrogatorio, per il quale si applicano le disposizioni del 64 e 65. Su richiesta di parte, il giudice dispone che l’interrogatorio sia reso nelle forme di cui al 498 e 499: la richiesta è da mettersi in correlazione con il disposto del 514, che vieta di dare lettura dei verbali compiuti nella fase preliminare a meno che nell’udienza preliminare le dichiarazioni siano state rese nelle forme previste dal 498 e 499, alla presenza dell’imputato e del suo difensore. Al termine degli interventi il pm e i difensori illustrano le rispettive conclusioni, utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo trasmesso a norma del 416 comma 2 nonché gli atti e i documenti ammessi dal giudice prima dell’inizio della discussione: si tratta dei documenti depositati ai sensi del 419 comma 2; di eventuali atti di investigazione difensiva; delle indagini suppletive. Se il giudice ritiene di poter decidere allo stato degli atti, dichiara chiusa la discussione. È possibile tuttavia che l’udienza preliminare divenga la scena per ulteriori momenti acquisitivi, sollecitati dalle parti (che possono richiedere l’incidente probatorio) o dal giudice. Quest’ultimo potrà emettere una ordinanza con la quale se le indagini preliminari sono incomplete, indica le ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare. Si tratta di un ingombrante potere di impulso investigativo. Se non ritenga di investire il pm del compito di nuove indagini, il giudice potrà far luogo ad una attività istruttoria da lui stesso condotta. L’esercizio del potere di integrazione probatoria di carattere ufficioso è regolato da un criterio marcatamente restrittivo: il giudice potrà disporre, anche d’ufficio, l’assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere (422). Se non sia possibile procedervi nella medesima udienza, il giudice dovrà fissare la data della nuova udienza e disporre la citazione dei testimoni, periti, consulenti tecnici e delle persone di cui al 210 di cui siano 95 stati ammessi l’audizione o l’interrogatorio. L’audizione e l’interrogatorio sono condotti dal giudice. Il pm e i difensori possono porre domande, a mezzo del giudice, nell’ordine previsto dal 421 comma 2; al termine, il pm e i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni. Anche nell’ambito della istruzione officiosa, l’imputato può chiedere di essere sottoposto all’interrogatorio, che si svolgerà con le stesse modalità appena viste: si applicano di regola le disposizioni del 64 e 65, ma su richiesta di parte il giudice dispone che l’interrogatorio sia reso nelle forme previste dal 498 e 499. Segue: la modifica dell’imputazione: La richiesta di rinvio a giudizio formalizza l’accusa fissando il thema probandum sul quale il pm richiede che il giudice si pronunci. E tuttavia appare probabile che nel corso dell’udienza risultino mutati i contorni dell’addebito. In tal caso l’imputazione deve essere nuovamente calibrata alla luce delle nove emergenze. Il 423 prevede quattro ipotesi di mutamento. Le prime tre sono disciplinate dal 423 comma 1 e ricevono uguale trattamento: se il fatto risulta diverso da come è descritto nell’imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma del 12 comma 1 lett. b o una circostanza aggravante, il pm modifica l’imputazione e la contesta all’imputato presente o, se questi è assente, la comunica al suo difensore. Comma 2 del 423: se risulti un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il pm ne fa richiesta e vi è il consenso dell’imputato. Viene riconosciuto al giudice il potere di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione. Applicabile anche il principio di cui al 521 comma 2: se accerta che il fatto è diverso da quello enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, il giudice deve disporre la trasmissione degli atti all’organo dell’accusa perché eserciti ex novo l’azione penale: tuttavia tanto può fare solo dopo una prima sollecitazione a riformulare l’imputazione che non sia stata raccolta dall’organo di accusa. Segue: la sentenza di non luogo a procedere e la sua revoca: Il giudice procede alla deliberazione subito dopo che è stata chiusa la discussione (424) e da immediata lettura del provvedimento. La lettura equivale a notificazione per le parti presenti. Il provvedimento, di regola, è immediatamente depositato in cancelleria e le parti hanno diritto di ottenerne copia. Una deroga per la sentenza di non luogo a procedere: il giudice potrebbe non essere in grado di fornire una motivazione immediata, quindi provvederà non oltre il 30esimo giorno da quella pronuncia. Il 424 comma 1 dispone con riguardo agli epiloghi ordinari dell’udienza preliminare: sentenza di non luogo a procedere e decreto che dispone il giudizio. È ipotizzabile anche un diverso finale: ritenendo la propria incompetenza, il giudice dovrebbe dichiararla con sentenza, trasmettendo gli atti al pm ai sensi del 22 comma 3. Egli in generale dovrà sciogliere l’alternativa posta attraverso la richiesta di rinvio a giudizio, adottando l’uno o l’altro provvedimento tra i due espressamente considerati. Il perimetro in cui la decisione può spaziare è segnato dal 425: il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere se sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, se il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero quando risulta che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non punibile per qualsiasi causa, indicandone la causa nel dispositivo. (Compreso il caso di non punibilità per particolare tenuità del fatto). 96 Secondo il 425 comma 4 il giudice non può pronunciare sentenza di non luogo a procedere se ritiene che dal proscioglimento dovrebbe conseguire l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca. Come dire che fuori dall’ipotesi interdetta, nei confronti del soggetto incapace di intendere e di volere potrebbe essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere, in quanto persona non punibile a condizione che., ritenuto non socialmente pericoloso, non debba essergli applicata una misura di sicurezza personale. Stabilisce il 425 comma 2 che ai fini della pronuncia della sentenza di cui al comma 1 il giudice tiene conto delle circostanze attenuanti, potendo effettuare il bilanciamento delle circostanze di cui al 69 cp. Sostituito l’intero 425 ad opera della legge 479/1999, il giudice pronuncia ora sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Il criterio sembra restringere il varco attraverso il quale le imputazioni transitano al dibattimento, imponendo la pronuncia del decreto che dispone il giudizio solo in presenza di un quadro nitido della colpevolezza. Ma nonostante la specificazione apportata nel 1999, la disposizione resta ancora ambigua, poiché essa accosta ad una valutazione di insufficienza e contraddittorietà degli elementi, una prognosi sulla loro idoneità ad essere corroborati dalla dialettica dibattimentale. Comunque si ritiene che la regola di giudizio per la sentenza di non luogo a procedere resta qualificata da una delibazione di tipo prognostico di sostenibilità dell’accusa in giudizio, sicché il giudice dovrebbe prosciogliere l’imputato non in qualunque situazione di incertezza, ma solo nell’ipotesi in cui il dubbio non appaia superabile neppure a seguito del passaggio al giudizio, secondo la valutazione di utilità del dibattimento già elaborata dalla corte costituzionale con riferimento al 125 disp. att. Il 426 comma 1 prevede i contenuti necessari della sentenza: - L’intestazione “in nome del popolo italiano” e l’indicazione dell’autorità che l’ha pronunciata - Le generalità dell’imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private - L’imputazione - L’esposizione sommaria dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata - Il dispositivo, con l’indicazione degli articoli di legge applicati - La data e la sottoscrizione del giudice; in caso di impedimento del giudice, la sentenza è sottoscritta dal presidente del tribunale previa menzione della causa della sostituzione. Tra questi requisiti, solo alcuni sono presidiati da nullità: oltre che nel caso di mancanza della motivazione, previsto dal 125 comma 3, la sentenza è nulla se manca o è incompleto nei suoi elementi essenziali il dispositivo ovvero se manca la sottoscrizione del giudice. La sentenza può anche contenere la dichiarazione di falsità di un atto o di un documento tutte le volte in cui venga accertata nel corso del processo. Quando si tratti di reato per il quale si procede a querela della persona offesa, con la sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato (427), salvo che non emerga l’assenza di colpa a questi ascrivibile nell’esercizio del diritto di querela. Il giudice provvede inoltre, negli stessi casi, a richiesta di parte: quando ne è fatta domanda, il giudice condanna il querelante alla rifusione delle spese sostenute dall’imputato e, se il querelante si è costituito parte civile, anche di quelle sostenute dal responsabile civile citato o intervenuto. 97
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