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Riassunto Compendio di Procedura Penale CONSO-GREVI, Sintesi del corso di Diritto Processuale Penale

Edizione aggiornata 2020/2021, Vendo riassunto totalmente sostitutivo del compendio Conso-Grevi. Frutto di 3 mesi di duro lavoro passati su una scrivania a riassumere 30 pp. al giorno. Ho superato al 1o appello con voto 30 l'esame. Ho scelto di riassumere interamente il compendio poiché credo che sia un'offesa a noi studenti far studiare su un manuale con 55 righe scritte a caratteri minuscoli una materia già molto complessa. PARTE 4 SU 4 TROVATE LE ALTRE SU DOCSITY. Soddisfatti o rimborsati

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 27/05/2021

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Scarica Riassunto Compendio di Procedura Penale CONSO-GREVI e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! CAPITOLO 9: IMPUGNAZIONI Rilievi introduttivi: Le impugnazioni penali sono rimedi giuridici a disposizione delle parti volti a rimuovere gli svantaggi derivanti da una decisione del giudice penale, sul presupposto della sua erroneità. Si dicono ordinarie o straordinarie, a seconda che siano esperibili contro decisioni non ancora o già divenute irrevocabili. In senso stretto sono impugnazioni ordinarie l’appello e il ricorso per cassazione, mentre sono straordinarie la revisione, il ricorso straordinario per errore di fatto e la rescissione del giudicato: a questi mezzi è dedicato il libro IX, ove sono inoltre dettate, nel titolo I, le disposizioni generali in materia. L’appello e il ricorso vanno proposti entro determinati termini, il cui inutile decorrere comporta l’irrevocabilità della sentenza pronunciata in giudizio e la sua esecutività (648 comma 2 e 650 comma 1). La revisione delle sentenze di condanna, delle sentenze emesse ai sensi del 444 comma 2 e dei decreti penali di condanna, divenuti irrevocabili, è invece ammessa in ogni tempo (nei casi tassativi elencati dalla legge), anche se la pena è già stata eseguita o è estinta (629). Natura ibrida rivestono il ricorso straordinario per errore di fatto (625-bis), che ha per oggetto provvedimenti della corte di cassazione ormai irrevocabili, ma è sottoposto a un termine perentorio per la sua proposizione, e la rescissione del giudicato (629-bis), che concerne una sentenza di condanna (o applicativa di una misura di sicurezza) passata in giudicato, ma va richiesta anch’essa in un termine perentorio. Una particolare disciplina è infine prevista per le sentenze di non luogo a procedere, pronunciate in esito all’udienza preliminare, le quali acquistano forza esecutiva una volta che non siano più soggette a impugnazione (650 comma 2), pur essendo suscettibili, in presenza di specifici presupposti, di revoca (434 e seguenti). In senso più lato possono considerarsi impugnazioni ordinarie l’opposizione al decreto penale di condanna (461); l’opposizione al decreto del pm che dispone la restituzione delle cose sequestrate o respinge la relativa richiesta (263 comma 5); il ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte di appello in materia di estradizione ovvero in materia di riconoscimento di una sentenza penale straniera o in materia di esecuzione all’estero di una sentenza penale italiana; ed impugnazione straordinaria la richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere non più soggetta a impugnazione. Di recente ha fatto ingresso nel codice di rito penale un mezzo di doglianza inedito: si tratta del reclamo proponibile davanti al tribunale in composizione monocratica, ai sensi del 410-bis comma 3, nei casi di nullità del provvedimento di archiviazione previsti dai commi precedenti del medesimo disposto. Per quanto concerne i mezzi di impugnazione ordinari in senso stretto, è prevista la possibilità di proporre immediatamente ricorso per cassazione avverso una sentenza di primo grado appellabile. Le impugnazioni nei confronti delle sentenze pronunciate dal giudice di pace sono disciplinate dal d.lgs. 274 del 2000 osservandosi, per tutto ciò che non è previsto in tale decreto, le norme del codice, in quanto applicabili. Alcune disposizioni specifiche sono poi dettate dal d.lgs. 231 del 2001 con riguardo alle impugnazioni delle sentenze relative alla responsabilità amministrativa dell’ente. Aspetti particolari presenta la tipologia delle impugnazioni delle ordinanze relative alle misure cautelari personali e dei provvedimenti relativi al sequestro a fini cautelari o probatori: infatti, accanto all’appello e al ricorso per cassazione, va menzionato anche la richiesta di riesame, che ha come alternativa il ricorso immediato per cassazione. 1 Qualche parola va spesa circa l’inquadramento dogmatico delle impugnazioni rispetto ai modelli tipici dell’azione di annullamento (finalizzata alla rescissione totale o parziale della sentenza impugnata, con vincolo del giudice rispetto ai motivi dedotti), e del gravame (finalizzato a devolvere al giudice ad quem l’intera causa, affinché giudichi ex novo con la medesima ampiezza di poteri che caratterizzava il giudice a quo). All’archetipo dell’azione di annullamento è riconducibile la revisione, posto che l’accoglimento della relativa richiesta comporta la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna, già divenuti irrevocabili, e la pronuncia di una sentenza di proscioglimento, a sua volta ricorribile per cassazione (640); mentre all’archetipo del gravame è rapportabile l’opposizione a decreto penale con cui il condannato chiede il giudizio immediato o non formula richiesta alcuna (461). Da questo angolo di visuale sono definibili come ibridi sia l’appello sia il ricorso per cassazione: il primo si riconnette al modello del gravame, ma si caratterizza come parzialmente devolutivo, attribuendo alla cognizione del giudice di secondo grado solo i punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti; il secondo si riconnette al modello dell’azione di annullamento, con riguardo ai vitia in procedendo o in iudicando emergenti dal 606, ma in alcune eventualità continua a essere praticato, al di la dei motivi, un giudizio di merito (620 lett. a e l). Preme ancora segnalare come uno dei profili più problematici della disciplina delle impugnazioni sia sempre stato costituito dal loro impiego pretestuoso, finalizzato soltanto a conseguire l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, o comunque a differire l’esecuzione della pena. A questo fenomeno ha posto parziale rimedio la cassazione che è giunta a ricollegare alle cause di inammissibilità delle impugnazioni un effetto preclusivo della declaratoria di estinzione del reato. Da citare la legge 3 del 2019 (lezze spazza-corrotti), che ha sospeso il corso della prescrizione dalla pronuncia della sentenza di primo grado fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio. Principio di tassatività delle impugnazioni: La legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere impugnati: è il principio di tassatività enunciato dal 568 comma 1 e mitigato, tuttavia, nel comma successivo, dove, in conformità con il 111 comma 7 Cost, si prevede che sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze, salvo quelle sulla competenza che possono dar luogo a un conflitto di giurisdizione o di competenza, risolto in modo definitivo e inoppugnabile dalla stessa corte di cassazione. Dal 568 emerge quindi che le sentenze (tranne quelle sulla competenza rapportabili al regime specifico dei conflitti) sono sempre ricorribili per cassazione, mentre sono appellabili solo se la legge riconosca in via espressa che avverso di esse è proponibile appello. In sostanza, le sentenze sono tutte impugnabili (a meno che si tratti di sentenze emesse dalla cassazione: deroga- ricorso straordinario per errore di fatto), ma il mezzo di impugnazione dipende da vari elementi: se si tratta di sentenza di primo grado appellabile, il mezzo è l’appello o, ricorrendone i presupposto, il ricorso immediato per cassazione, omisso medio; se si tratta di sentenza di primo grado inappellabile o di sentenza emessa dal giudice di appello, il mezzo è il ricorso per cassazione. 2 Il 571 comma 4, in applicazione del principio enunciato dal 99 comma 2, stabilisce che l’imputato, nei modi previsti per la rinuncia, può togliere effetto all’impugnazione proposta dal suo difensore; trattandosi di imputato soggetto a tutela o di imputato incapace di intendere o di volere, che non abbia tutore, è necessario il consenso del tutore o del curatore speciale. Viceversa, il difensore, di fiducia o di ufficio, dell’imputato, non munito di procura speciale, non può effettuare una valida rinuncia, totale o parziale, all’impugnazione, anche se da lui proposta, a meno che l’imputato sia presente alla dichiarazione di rinuncia fatta in udienza e non vi si opponga. L’impugnazione dell’imputato non concerne solo i capi penali della sentenza, ma anche gli interessi civili. Infatti l’imputato può impugnare i capi della sentenza che riguardano la sua condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno e quelli relativi alla rifusione delle spese processuali. L’imputato può altresì proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza di assoluzione relative alle domande da lui proposte per il risarcimento del danno e la rifusione delle spese. L’impugnazione per gli interessi civili è proposta con il mezzo previsto per le disposizioni penali della sentenza (574 comma 3). Comunque, l’impugnazione dell’imputato contro la pronuncia di condanna penale o di assoluzione estende i suoi effetti alla pronuncia di condanna alle restituzioni, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese, se questa pronuncia dipende dal capo o dal punto impugnato. Il richiamo all’impugnazione della sentenza di assoluzione è limitato al caso in cui l’imputato fosse stato assolto per difetto di imputabilità, formula che non gli consente di richiedere la condanna della parte civile alla rifusione delle spese. Va sottolineato che quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili (578) (ciò comporta una decisione vera e propria). La decisione sull’azione civile a norma del 578 avviene altresì quando nel giudizio d’impugnazione è pronunciata sentenza di applicazione della pena, avendo il giudice ritenuto ingiustificato il dissenso del pm o il rigetto della richiesta: in tal caso, il presupposto è la pronuncia di una sentenza di merito del giudice di primo (o di secondo grado) che abbia riconosciuto la responsabilità dell’imputato, condannandolo, anche in via generica, alle restituzioni o al risarcimento del danno. Poi quando è stata ordinata confisca in casi particolari previsti dal 240-bis comma 1 cp, il giudice d’appello o la cassazione, nel dichiarare reato estinto per prescrizione o amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato. Inoltre la legge 3 del 2019 ha sospeso il corso della prescrizione dalla pronuncia della sentenza di primo grado fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio, con il risultato che per i reati commessi dopo il 1 gennaio 2020, nei gradi d’impugnazione l’estinzione del reato per prescrizione non è più dichiarative: per tali reati l’ambito applicativo del 578 e 578-bis rimane circoscritto alla declaratoria di estinzione del reato per amnistia. L’interesse a impugnare: Il soggetto legittimato a impugnare deve avervi interesse (568 comma 4): l’impugnazione deve cioè essere volta a eliminare un provvedimento pregiudizievole e a sostituirlo con un altro da cui consegue un risultato vantaggioso. L’interesse va configurato come concreto. 5 Per cui non come interesse meramente astratto alla sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole: viene dunque negato l’interesse a impugnare per la sola parte motiva della sentenza, senza alcuna ricaduta sul dispositivo. Oltre che concreto, l’interesse deve essere attuale: deve persistere fino al momento della decisione, verificandosi in caso contrario una carenza d’interesse sopraggiunta (ricollegabile alla mutata situazione di fatto o di diritto intervenuta medio tempore). Considerazioni diverse a seconda del soggetto impugnante: cominciando dal pm, dovendo vegliare egli all’osservanza delle leggi, si è sempre ritenuto che l’interesse di tale organo potesse in alcuni casi coincidere con quello dell’imputato, nonostante la struttura del processo di parti, p.es. come interesse quando impugnazione miri a non far ricadere sull’imputato effetti dannosi ascrivibili a errori del giudice. Tuttavia, ai sensi del comma 4-bis del 568, il pm propone impugnazione diretta a conseguire effetti favorevoli all’imputato solo con ricorso per cassazione. Pure per l’imputato l’interesse a impugnare è disancorato dal concetto di soccombenza, purché, secondo il principio generale, l’impugnazione stessa tenda a una decisione in concreto più vantaggiosa rispetto a quella impugnata. Attualmente, rimangono inappellabili per l’imputato le sentenze di proscioglimento pronunciate in sede di giudizio abbreviato, salvo che si tratti di assoluzione per difetto di imputabilità, derivante da vizio totale di mente, mentre le sentenze di proscioglimento emesse nel dibattimento di primo grado sono appellabili, salvo che si tratti di sentenze di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso. Ferma restando la mancanza di interesse, sul piano penale, a impugnare sentenze di proscioglimento pronunciate con formula ampiamente liberatoria, sul piano extra-penale l’imputato ha interesse a ricorrere per cassazione avverso le sentenze di proscioglimento emesse in sede di giudizio abbreviato e a impugnare le sentenze dibattimentali di proscioglimento quando è stato assolto con una formula proscioglitiva che non ha efficacia extra-penale (ad esempio perché il fatto non costituisce reato, per ragioni diverse da adempimento di dovere o esercizio di una facoltà legittima), in modo da ottenere una formula di proscioglimento che, ai sensi del 652, rivesta tale efficacia. Inoltre si ritiene che l’accertamento menzionato nel 652 debba risultare in termini assertivi dalla motivazione: la formula utilizzata dal giudice penale cioè non è decisiva e il giudice civile deve tenere conto della motivazione della sentenza per individuare la effettiva ragione dell’assoluzione dell’imputato. Quindi si configura l’interesse dell’imputato a impugnare la sentenza assolutoria fondata sulla regola di giudizio stabilita dal 530 comma 2 al fine di ottenere una decisione che, contenendo il suddetto accertamento, produca effetti preclusivi sul piano extra-penale. Anche l’imputato prosciolto in dibattimento per particolare tenuità del fatto ha interesse a impugnare al fine di ottenere una formula più favorevole che non produca gli effetti negativi sul piano extra- penale previsti dal 651-bis. Se l’imputato è stato condannato, ha interesse a impugnare quando dall’accoglimento dell’impugnazione può derivare, ad esempio, l’esclusione o l’attenuazione della sua responsabilità, una diminuzione di pena o la concessione di qualche beneficio, come la sospensione condizionale della pena o la non menzione della condanna nel casellario giudiziale. 6 Sussiste interesse dell’imputato a ricorrere per cassazione nell’ipotesi in cui il giudice di appello abbia omesso di pronunciarsi sulla richiesta di applicazione della disciplina della continuazione formulata con apposito motivo: in tale eventualità il giudice dell’impugnazione ha obbligo di pronunciarsi sul tema di indagine devolutogli e non può esimersi da tale compito. Applicando il criterio della concretezza dell’interesse al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria, rispetto al primo, quanto ai temi penali, non sussiste interesse a impugnare con riferimento al titolo del reato o ammontare della pena, mentre sussiste per negare la responsabilità dell’imputato. Rispetto al secondo, appare evidente che sussiste interesse impugnare per ottenere una riduzione della pena pecuniaria inflitta all'imputato, destinata a ripercuotersi sulla somma pari alla pena pecuniaria che egli deve pagare in caso di insolvibilità del condannato. Per quanto concerne infine la parte civile, l'interesse a impugnare va commisurato al concetto di soccombenza, nel senso che la parte civile ha interesse a impugnare i capi della sentenza di condanna che le neghino il risarcimento richiesto o glielo accordino in misura inferiore, ma non può impugnare, se la richiesta è stata completamente accolta, per ottenere un risarcimento maggiore. Nell'ipotesi in cui, non avendo impugnato il pm, il proscioglimento dell’imputato è ormai irrevocabile, la parte civile, ai soli effetti della responsabilità civile, ha interesse a impugnare la sentenza di assoluzione che abbia effetti preclusivi in sede extra-penale ai sensi del 652. In proposito le sezioni unite hanno chiarito che la parte civile non hai interesse a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento per improcedibilità dell'azione penale dovuta a difetto di querela: si tratta infatti di una pronuncia penale meramente processuale che non comporta effetto preclusivo in sede civile e non arreca alcun pregiudizio. Forma e modalità di presentazione dell’impugnazione: L’impugnazione si propone con atto scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo, il giudice che lo ha emesso, con l’enunciazione specifica, a pena di inammissibilità: - Dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione. I capi della sentenza costituiscono altrettante decisioni autonome, mentre i punti sono inerenti alla singola decisione (cioè al singolo capo) e costituiscono altrettanti temi affrontati nel suo ambito (fatto, titolo del reato, elemento psicologico, circostanze). - Delle prove delle quali si deduce l’inesistenza, l’omessa assunzione o l’omessa o erronea valutazione. - Delle richieste, anche istruttorie. - Dei motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. La inammissibilità non è solo dichiarata per mancanza di motivi, ma anche per carenza di specificità degli stessi. Il problema consiste nello stabilire il significato del termine specificità, e secondo le sezioni unite della cassazione l'appello è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata: si tratta della specificità estrinseca, che si differenzia da quella intrinseca, la cui mancanza è senz'altro causa di inammissibilità dell’appello (ad esempio fondato su considerazioni generiche o astratte). 7 - Dal giorno in cui è stata eseguita la comunicazione dell’avviso di deposito con l’estratto del provvedimento per il procuratore generale presso la corte di appello rispetto ai provvedimenti emessi in udienza da qualsiasi giudice della sua circoscrizione diverso dalla corte di appello. L’imputato condannato con decreto penale, che non ha avuto tempestivamente effettiva conoscenza del provvedimento, è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre opposizione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato (175 comma 2). Può accadere che la decorrenza del termine per impugnare sia diversa per l’imputato e per il suo difensore: in tal caso opera per entrambi il termine che scade per ultimo. Si pensi all’ipotesi di notificazione dell’avviso di deposito della sentenza, effettuata in giorni diversi all’imputato e a chi risulta difensore dell’imputato medesimo al momento del deposito della sentenza. Anche se l’atto di impugnazione enuncia sempre i motivi, fino a 15 giorni prima dell’udienza possono essere presentati nella cancelleria del giudice dell’impugnazione motivi nuovi nel numero di copie necessario per tutte le parti. In tale ipotesi devono essere specificati i capi e i punti enunciati a norma del 581 comma 1 lett. a, ai quali i motivi si riferiscono (167 disp. att.). Si ritiene che i motivi nuovi devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata enunciati nell’originario atto d’impugnazione ai sensi del 581 comma 1 lett. a: suffragherebbe una tale conclusione la lettera del 167 disp. att., che pare riferirsi, appunto, ai capi e punti ab origine investiti dall’impugnazione. Il termine per presentare i motivi nuovi è stabilito a pena di decadenza. Se l’atto d’impugnazione è inammissibile, tale inammissibilità si estende ai motivi nuovi, i quali dunque non rimediano ai vizi originari, neppure se concernenti proprio i motivi. Pluralità di mezzi d’impugnazione contro la medesima sentenza e conversione del ricorso in appello: Il 580 disciplina l’ipotesi del concorso di mezzi d’impugnazione ordinari avverso la medesima sentenza, fissando la regola della conversione del ricorso in appello. L’operatività della regola è limitata al caso in cui sussista la connessione ai sensi del 12, ma è una limitazione poco comprensibile. Certamente infatti la regola, diretta a soddisfare esigenze di economia processuale e di correttezza del giudizio, fa fronte alla situazione di un processo cumulativo, concernente più imputati o più imputazioni contestate a un unico imputato: in tale eventualità la sentenza è idealmente scindibile in vari capi, ciascuno impugnabile con il mezzo consentito dalla legge, potendo quindi un capo essere appellabile è un altro capo solo ricorribile. Così ad esempio nel caso in cui un imputato appelli avverso il capo della sentenza dibattimentale che lo condanna per un delitto e ricorra contro il capo che lo condanna per una contravvenzione in ordine alla quale è stata applicata la sola pena dell'ammenda, il suo ricorso si convertirà in appello; la medesima sorte toccherà al ricorso proposto dal coimputato di reato connesso contro il capo della sentenza che lo condanna per analoga contravvenzione. La regola di conversione appena descritta non vale più nelle situazioni di processo cumulativo per reati collegati ai sensi del 371 comma 2 lett. b. Inoltre stando alla lettera della legge, appare escluso dalla sfera d'azione del nuovo 580 il caso in cui un unico imputato è stato giudicato per un'unica imputazione e avverso la sentenza soltanto una parte può appellare, mentre l'altra può solo ricorrere per cassazione. 10 Un caso di questo tipo si verifica nel giudizio abbreviato quando la sentenza di condanna è appellabile dall'imputato ma non dal pm. Eventualità simile si realizza qualora il giudice, dopo la chiusura del dibattimento di primo grado, ritenendo ingiustificato il dissenso del pm, applichi la pena richiesta dall'imputato: tale sentenza è appellabile unicamente dal pm, mentre l'imputato può ricorrere per cassazione. Nei suddetti casi, prima della modifica del 580 si riteneva che, qualora una parte avesse appellato e l'altra proposto ricorso, il ricorso si convertisse in appello, a nulla rilevando, per l'operatività del 580, che la sentenza fosse oggettivamente inappellabile per la parte che aveva proposto ricorso per cassazione. In seguito all modifica del 580, che aggancia la regola della conversione alla sussistenza della connessione ex 12, le evenienze ora descritte condurrebbero a una diseconomica proliferazione di procedimenti impugnativi. Una conclusione del genere appare difficilmente condivisibile e perciò la giurisprudenza tende a forzare la lettera della legge, estendendo la sfera applicativa del 580 sulla base dell'argomento a fortiori. La regola enunciata nel 580 vale pure, in linea di principio, nell’eventualità di concorso fra appello e ricorso per saltum. Il 569 comma 1 prevede che la parte legittimata ad appellare la sentenza di primo grado può proporre direttamente ricorso per cassazione: qualora una parte proponga ricorso immediato e un’altra proponga appello, si applica il 580. L’appena ricordata modifica, limitativa dell’operatività del 580, condurrebbe a concludere che la conversione del ricorso per saltum in appello sia ancorata alla sussistenza della connessione ai sensi del 12, a meno di considerare il rinvio, operato dal 569 al 580, come riferito all’istituto della conversione in se, e non ai presupposto indicati nella seconda disposizione, oppure di impiegare l’argomento a fortiori quando i diversi mezzi d’impugnazione abbiano ad oggetto un unico capo e non capi concernenti reati connessi. Poiché il ricorso immediato fornisce uno strumento per accelerare l’iter del processo, e pervenire alla decisione definitiva in iure, tale ricorso non è proponibile nei casi previsti dal 606 comma 1 lett. d e lett. e. Pertanto, nell’eventualità che un ricorso per saltum sia proposto per uno di questi motivi, viene convertito in appello (569 comma 3). Trattandosi di concorso fra appello e ricorso per saltum si può tuttavia anche pervenire a una conclusione opposta rispetto a quello emergente dalla regola dettata nel 580 e richiamata dal 569 comma 2. Infatti, avendo alcune parti appellato e altre ricorso, entro 15 giorni dalla notificazione del ricorso le parti che hanno proposto appello possono dichiarare tutte di rinunciarvi per proporre ricorso per cassazione in via diretta: è allora l'appello a convertirsi ricorso e, se i motivi non sono conformi al modello stabilito dal 606 (eccettuati quelli previsti dalle lett. d ed e), le parti devono presentare nuovi motivi entro 15 giorni dalla dichiarazione suddetta. Inammissibilità dell’impugnazione. Impugnazioni e riforma della prescrizione del reato: Competente a controllare l’ammissibilità dell’impugnazione è il giudice ad quem, cioè il giudice cui sono trasmessi senza ritardo il provvedimento impugnato, l’atto d’impugnazione e gli atti del procedimento (590). 11 Tali atti devono contenere, in distinti allegati formati subito dopo la presentazione dell’atto di impugnazione, a cura del giudice o del presidente del collegio che ha emesso il provvedimento impugnato, i dati seguenti: - I nominativi dei difensori, con indicazione della data di nomina. - Le dichiarazioni o elezioni o determinazioni di domicilio, con indicazione delle relative date. - I termini di prescrizione riferiti a ciascun reato, con indicazione degli atti interruttivi e delle specifiche cause di sospensione del relativo corso, ovvero eventuali dichiarazioni di rinuncia alla prescrizione. - I termini di scadenza delle misure cautelari in atto, con indicazione della data di inizio e di eventuali periodi di sospensione o proroga. Nel caso di ricorso per cassazione, a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, è inserita in separato fascicolo allegato al ricorso, qualora non già contenuta negli atti trasmessi, copia degli atti specificamente indicati da chi ha proposto l'impugnazione ai sensi del 606 comma uno lett. e; se tali atti mancano, ne è fatta attestazione. Ciò allo scopo di assicurare una migliore sinergia tra gli uffici giudicanti. Ai sensi del 591 l'impugnazione è inammissibile quando è proposta da soggetto non legittimato o che non vi ha interesse, quando il provvedimento non è impugnabile, quando non sono state osservate le disposizioni relative alla forma, alla presentazione, alla spedizione e ai termini e quando vi è rinuncia all’impugnazione. Il giudice dell'impugnazione anche d'ufficio dichiara con ordinanza l'inammissibilità dell'impugnazione e dispone l'esecuzione del provvedimento impugnato. L'ordinanza che dichiara l'inammissibilità è però ricorribile per cassazione, venendo a tale scopo notificata all'impugnante e, qualora l'impugnazione sia stata proposta personalmente dall'imputato, pure al suo difensore. Se l'inammissibilità non viene dichiarata preliminarmente, può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento, essendo insanabile e rilevabile anche d'ufficio fino all'annullamento con rinvio ad opera della corte di cassazione: infatti nel giudizio di rinvio non possono rilevarsi inammissibilità verificatesi nel corso dei precedenti giudizi o nelle indagini preliminari. Quindi, l'inammissibilità dell'appello non dichiarata dal giudice di secondo grado, che ha erroneamente deciso, può essere dichiarata dalla corte di cassazione anche d’ufficio. A tal proposito va ricordato il 621, secondo cui la corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata che ha deciso in secondo grado su materia ove non è ammesso l'appello, e ritiene il giudizio qualificando l'impugnazione come ricorso. Si intende che i motivi di quell'appello devono poter valere, ai sensi del 606, come motivi di ricorso, pervenendosi in caso contrario a una declaratoria di inammissibilità. Particolare rilievo riveste la problematica riguardante le ipotesi in cui, accanto alla causa di inammissibilità dell'impugnazione, sussiste una causa di non punibilità ex 129: poiché pure per quest'ultima causa è prevista la declaratoria anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, il giudice dell'impugnazione deve decidere a quale declaratoria dare la prevalenza. La cassazione ha progressivamente ridotto l’operatività delle cause di estinzione del reato in presenza di un ricorso inammissibile. 12 La rinuncia presuppone che l’impugnazione sia stata proposta e sia ammissibile: quindi, se la rinuncia concerne un’impugnazione inammissibile per una delle cause indicate dal 591 comma 1 lett. a, b, c, il giudice deve dichiarare l’inammissibilità per una di tali cause e non per la rinuncia. La rinuncia ricopre poi uno specifico ruolo nel caso di appello incidentale, perché quest’ultimo perde efficacia in caso di rinuncia a quello principale. Il codice non prevede la possibilità di revocare la rinuncia all’impugnazione: tuttavia qualora la rinuncia intervenga quando non è ancora scaduto il termine per impugnare, se ne ammette la revoca perché, fino alla scadenza del termine suddetto, si può esercitare il diritto d’impugnazione, concernendo la rinuncia un atto di esercizio di tale diritto e non l’esercizio in sé del diritto medesimo. Con riguardo al pm, il 589 stabilisce che il pm presso il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato può rinunciare all’impugnazione da lui proposta fino all’apertura del dibattimento, mentre successivamente la dichiarazione di rinuncia può essere effettuata prima dell’inizio della discussione dal pm presso il giudice dell’impugnazione, anche se a proporla sia stato un altro pm. Si ha in sostanza una sorta di suddivisione di competenze fra pm che ha proposto l’impugnazione e, successivamente, dal pm presso il giudice dell’impugnazione, anche se a proporla sia stato un altro pm. In ordine all’appello, ai sensi del 593-bis comma 2 non si verifica più il fenomeno delle impugnazioni concorrenti, visto che il procuratore generale può appellare, oltre che nei casi di avocazione, solo qualora il procuratore della repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento: pare tuttavia rimasta intatta la sua possibilità di rinunciare all’appello proposto dal pm presso il giudice di primo grado. Le parti private possono rinunciare all’impugnazione personalmente o per mezzo di un procuratore speciale. La cassazione ha previsto poi che il difensore dell’imputato, non munito di procura speciale, non può effettuare una valida rinuncia, totale o parziale, all’impugnazione, anche se da lui proposta, a meno che l’imputato sia presente alla dichiarazione di rinuncia fatta in udienza e non vi si opponga. La stessa espressione usata “parti private” dal 589 non ricomprende il difensore. Quanto infine alla modalità di presentazione, la dichiarazione di rinuncia è presentata a uno degli organi competenti a ricevere l’impugnazione, nelle forme e nei modi di cui al 581, 582 e 583, oppure in dibattimento, prima dell’inizio della discussione, nel qual caso viene effettuata oralmente con dichiarazione verbalizzata. Il termine finale è l’inizio della discussione, non stabilito però a pena di nullità. Estensione dell’impugnazione: Il 587 disciplina i casi in cui l’impugnazione proposta da una parte privata giova anche ad un’altra parte. L’estensione non costituisce un effetto immancabile dell’impugnazione ma riguarda solo processi plurisoggettivi: o nel senso che vi sono più imputato, o nel senso che accanto all’imputato sono presenti il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, la cui responsabilità è collegata in modo inscindibile a quella dell’imputato. L’estensione comporta il diritto del non impugnante di partecipare al relativo giudizio. Indipendentemente dalla partecipazione, il non impugnante si giova della decisione favorevole: si parla in tal caso di estensione della sentenza. Controversa è invece la possibilità per il non impugnante di presentare motivi nuovi propri: si parla a questo proposito di estensione della dichiarazione. 15 Ai sensi del 587 nel caso di concorso di più persone in uno stesso reato l'impugnazione proposta da uno degli imputati, purché non fondata su motivi esclusivamente personali, giova anche agli altri. Motivi personali sono ad esempio quelli basati sulla mancanza di dolo o di colpa, sulla mancanza di imputabilità, sulla sussistenza della circostanza attenuante della minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato ex 114 cp; mentre non è quello con cui l'impugnante afferma che il fatto non sussiste. Se i motivi addotti dall'impugnante non sono esclusivamente personali, il non impugnante può partecipare al giudizio di impugnazione e si giova della decisione favorevole. Parte della dottrina ritiene che il non impugnante possa anche presentare motivi nuovi propri fino a 15 giorni prima dell'udienza ai sensi del 585 comma 4, e impugnare la decisione finale, mentre la giurisprudenza nega tale possibilità ma ammette comunque che l'imputato non appellante possa ricorrere contro la sentenza di secondo grado se con quest'ultima vengono accolti i motivi del coimputato che siano a lui estensibili senza che sia stata pronunciata l’estensione della sentenza nei suoi confronti. Se invece i motivi addotti dall'impugnante sono esclusivamente personali il non impugnante non partecipa al giudizio di impugnazione. Ma parte della dottrina ritiene che il non impugnante possa giovarsi di un eventuale proscioglimento ex 129 su presupposti comuni (estinzione del reato) o di un’eventuale declaratoria di nullità assoluta che investa in toto la decisione (irregolare costituzione del collegio giudicante). Entro questi limiti, cioè nel caso in cui il giudice dell'impugnazione abbia omesso di rilevare la causa di non punibilità o di nullità assoluta di cui avrebbe potuto giovarsi altresì il non impugnante, quest'ultimo godrebbe di un autonomo diritto di impugnazione. Il 587 comma 2 contempla l'ipotesi in cui vi sia una riunione di procedimenti per reati diversi: in tale eventualità, l'impugnazione proposta dall'imputato giova a tutti gli altri imputati solo se i motivi concernono violazioni della legge processuale e non sono esclusivamente personali. Come per esempio l’irregolare costituzione del collegio giudicante oppure lo svolgersi del dibattimento a porte chiuse al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge. Il comma 3 prevede invece che l’impugnazione proposta dall’imputato giovi anche al responsabile civile e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Il comma 4 regola infine l’ipotesi in cui impugnino il responsabile civile o il civilmente obbligato per la pena pecuniaria: tale impugnazione giova all’imputato anche agli effetti penali, purché non sia fondata su motivi esclusivamente personali. Non sono esclusivamente personali tutti i motivi che coinvolgono temi penali, come quelli concernenti la responsabilità dell’imputato o l’ammontare della pena pecuniaria inflitta a quest’ultimo. Con riguardo alle impugnazioni delle sentenze relative alla responsabilità amministrativa dell’ente, si stabilisce che le impugnazioni proposte dall’imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo e dall’ente giovano, rispettivamente, all’ente e all’imputato, purché non fondate su motivi esclusivamente personali. Sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato: In forza del 588 l’esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa, dal momento della pronuncia, durante i termini per impugnare e fino all’esito del giudizio d’impugnazione. La regola si collega al concetto di irrevocabilità e di esecutività delle decisioni quale emerge dal 648 comma 2 e 650: poiché, in linea di principio, solo le sentenze, i decreti penali irrevocabili e le sentenze di non luogo a procedere non più soggette a impugnazione hanno forza esecutiva (650), durante i termini per impugnare e finché il giudizio d’impugnazione non pervenga alla pronuncia definitiva il provvedimento impugnato è ineseguibile. 16 Alla regola fanno eccezione numerose ipotesi nelle quali i provvedimenti sono immediatamente esecutivi. Cosi, ad esempio, il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con cui il giudice provvede nel procedimento in camera di consiglio non ne sospende l’esecuzione, a meno che il giudice che l’ha emessa disponga diversamente con decreto motivato; l’appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pm non sospende l'esecuzione del provvedimento; il ricorso per cassazione contro l'ordinanza che ha deciso in sede d'appello a norma del 322-bis o sulla richiesta di riesame del provvedimento di sequestro ai sensi del 324 non sospende l'esecuzione dell’ordinanza. Il 588 comma 2 enuncia esplicitamente che le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale non hanno in alcun caso effetto sospensivo: così ad esempio l'impugnazione del pm contro la sentenza di proscioglimento di condanna a pena condizionalmente sospesa (provvedimenti che comportano l’immediata scarcerazione dell’imputato detenuto), non ne sospende l’esecuzione. Va però ricordato che l'esecuzione della decisione con la quale il tribunale della libertà, accogliendo l'appello del pm, dispone una misura cautelare, è sospesa fino a che la decisione non sia divenuta definitiva: la previsione evita che in caso di accoglimento dell'appello del pm avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di una misura coercitiva, venga eseguita la pronuncia del giudice di appello anche in pendenza di ricorso per cassazione proposto dall'imputato ex 311. Profili di particolare complessità nascono dall'intersecarsi della sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato e dei casi di estensione dell'impugnazione, trattandosi di stabilire se la possibile estensione possa fungere o no da condizione che sospende l'irrevocabilità della sentenza nei confronti dell'imputato non impugnante. La cassazione ha detto che nell'ipotesi di valida impugnazione di un coimputato in un processo plurisoggettivo il fenomeno processuale dell'estensione dell'impugnazione in favore dell'imputato non impugnante e determinato dal riconoscimento della fondatezza del motivo non esclusivamente personale dell'imputato diligente, il cui verificarsi opera di diritto come rimedio straordinario capace di revocare il giudicato in favore del non impugnante, rendendo quest'ultimo partecipe del beneficio conseguito dal coimputato. Due i corollari che discendono da questa premessa. Da un lato, fino all'operatività del suddetto rimedio straordinario, essendo la sentenza diventata irrevocabile con riguardo al rapporto processuale concernente l'imputato non impugnante, rimane ferma la sua esecutorietà, che non può essere sospesa al di fuori dei casi eccezionali previsti dalla legge. Dall'altro, una volta accertata la natura esclusivamente personale del motivo addotto dall'imputato impugnante, la causa estintiva eventualmente intervenuta nelle more del giudizio di impugnazione non potrà operare nei confronti dell'imputato non impugnante. L'impostazione giurisprudenziale viene criticata richiamando il 648, che ricollega l’irrevocabilità alla sentenza nel suo complesso e non ai singoli capi di essa, osservando che il codice di rito definisce in più occasioni il non impugnante come imputato, e dunque come soggetto non destinatario di una decisione irrevocabile. Peraltro, le sezioni unite hanno da poco riconfermato il loro assunto, applicandolo alla tematica dell’effetto estensivo della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione: tale effetto non opera in favore del coimputato concorrente nello stesso reato e non impugnante se la predetta causa estintiva è maturata dopo la irrevocabilità della sentenza emessa nei suoi confronti. L'irrevocabilità sancisce infatti per il coimputato non impugnante la fine del tempo del processo e priva di qualsiasi giustificazione logica ogni ulteriore computo nei suoi riguardi del termine di prescrizione del reato. 17 Dall’altro, non rinveniva una specifica “contropartita” in particolari modalità di svolgimento del processo, essendo prevista per il giudizio ordinario, caratterizzato dall’accertamento compiuto nel contraddittorio fra le parti. Infine, per effetto del suo carattere settoriale, la riforma determinava una incoerenza del sistema, dato che il pm totalmente soccombente in primo grado rimaneva privo del potere di appello, conservandolo invece nel caso di soccombenza soltanto parziale, sotto il profilo qualitativo (sentenza di condanna che ha mutato il titolo del reato o ha escluso circostanze aggravanti) o meramente quantitativo (sentenza di condanna a pena ritenuta non congrua). Con la seconda pronuncia, la sentenza 320, la corte ha eliminato, per il pm, l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento pronunciate in sede di giudizio abbreviato, sempre per contrasto con il principio di parità delle parti: pure la riformulazione del 443 comma 1 implicava una forte incoerenza perché, mentre l’imputato poteva appellare le sentenze che dichiarino la sua responsabilità, il pm veniva totalmente privato del simmetrico potere di proporre doglianze di merito vs la pronuncia che disattende in modo integrale la pretesa punitiva; la modifica della disposizione inoltre determinava una incoerenza della disciplina delle impugnazioni, in quanto il pm, deprivato del potere di appellare le sentenze di proscioglimento, manteneva il potere di appellare le sentenze di condanna che modifichino il titolo del reato, cioè sentenze che hanno recepito, sebbene in modo parziale, le richieste dell’accusa, avendo comunque riconosciuto la responsabilità dell’imputato. Ripristinato l’appello del pm nei riguardi delle sentenze dibattimentali di proscioglimento (con la conseguente possibilità che l’imputato venisse condannato per la prima volta in appello) il testo del 593 comma 2, come sostituito nel 2006, rimaneva in vigore per l’imputato: ne conseguivano ulteriori asimmetrie, poiché l’imputato non poteva proporre appello, se non nell’ipotesi marginale ivi prevista, nei riguardi di sentenze di proscioglimento che presuppongono un accertamento di responsabilità (si pensi alle sentenze dibattimentali che prosciolgono per difetto di imputabilità) o che sono state pronunciate con formula assolutoria non preclusiva dell’azione in sede civile ex 652. Con la sentenza 85 del 2008, la corte ha restituito all’imputato il potere di appellare le sentenze dibattimentali di proscioglimento, osservando che tale categoria di sentenze non costituisce un genus unitario ma comprende ipotesi eterogenee, quanto all’attitudine lesiva degli interessi morali e giuridici del prosciolto. Accanto a decisioni ampiamente liberatorie, pronunciate con le formule il fatto non sussiste e l’imputato non l’ha commesso, la suddetta categoria abbraccia sentenze che, pur non applicando una pena, comportano un sostanziale riconoscimento della responsabilità dell’imputato o comunque l’attribuzione del fatto all’imputato medesimo: dunque, la limitazione dei poteri di appello dell’imputato, accomunando situazioni assai diverse, veniva a negare un secondo grado di giurisdizione di merito anche in ipotesi, come quelle suddette, che rendono configurabile un interesse del prosciolto all’impugnazione, mentre al pm veniva riconosciuta la facoltà di appellare la sentenza di condanna che abbia accolto solo in parte le sue richieste. L’assetto asimmetrico si era poi acuito dopo la sentenza 26 del 2007, per effetto della quale il pm poteva appellare incondizionatamente la sentenza di primo grado, diversamente dall’imputato, in rapporto ad entrambi gli esiti (proscioglimento e condanna); inoltre, una volta riconosciuto dalla cassazione il persistere del potere di appello della parte civile, si riscontrava un’analoga sperequazione, potendo la parte civile appellare tanto la pronuncia assolutoria quanto, avendone interesse, quella di condanna. 20 Un tale assetto è stato pertanto ritenuto lesivo del principio di parità delle parti, perché non sorretto, circa i rapporti tra imputato e parte pubblica, da alcuna razionale giustificazione, correlata al ruolo istituzionale del pm o ad esigenze di corretta e funzionale esplicazione della giustizia; dei principi di eguaglianza e ragionevolezza (3 Cost.), a causa dell’equiparazione nel regime dell’inappellabilità di esiti decisori ampiamente diversificati compresi nella categoria delle sentenze di proscioglimento; e infine del diritto di difesa (24 cost), al quale la facoltà di appello dell’imputato risulta collegata come strumento di esercizio. Dalla declaratoria di illegittimità costituzionale ora illustrata la corte ha tuttavia escluso le sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa: ammettere l'imputato ad appellare simili sentenze sarebbe stato palesemente irrazionale, visto che il 593 comma 3 gli precludeva l'appello contro la sentenza di condanna che avesse irrogato la sola pena dell’ammenda. In questo modo però la corte costituzionale aveva creato a sua volta una incoerenza, perché dopo la sentenza 26 del 2007, il pm, a differenza dell'imputato, poteva appellare ogni sentenza di proscioglimento e dunque pure quelle riguardanti contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa: consapevole dell'accaduto, la stessa corte aveva segnalato al legislatore nella pronuncia 85 del 2008, l’opportunità di eliminare l’incongruenza, escludendo l’appellabilità di questa categoria di sentenze pure per il pm. Sempre sul versante del potere di appello dell'imputato, la corte, rimuovendo il limite altrimenti derivante dal 443, ha riconosciuto a quest'ultimo la possibilità di appellare le sentenze di assoluzione per difetto di imputabilità, derivante da vizio totale di mente, emesse in esito al giudizio abbreviato. Proprio i vari responsi costituzionali e le aporie sistematiche che ne derivavano avrebbero reso necessaria una urgente riscrittura legislativa del 593, che è finalmente giunta a 10 anni di distanza, con il decreto legislativo 11 del 2018. Ai sensi del comma 1 del 593, salvo quanto previsto dal 443 comma 3, 448 comma 2, 579 e 680, l'imputato può appellare contro le sentenze di condanna mentre il pm può appellare solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza gravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato. La clausola iniziale richiama il 443 comma 3 che stabilisce limiti all'appello del pm contro le sentenze di condanna emesse nel giudizio abbreviato, appellabili solo se modificano il titolo del reato, e il 448 comma 2 che prevede come regola l’inappellabilità delle sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti, facendo salvo l'appello del pm in caso di dissenso. Il 579 e 680 concernono invece l’impugnazione non solo contro le sentenze di condanna ma anche contro le sentenze di proscioglimento per quanto concerne le misure di sicurezza: in ordine a tali sentenze, il 579 richiede il contestuale appello di un capo penale; altrimenti il richiamo va riferito al combinato disposto del 579 680 commi 2, che per l'impugnazione contro le sole disposizioni della sentenza, anche di proscioglimento, riguardanti le misure di sicurezza stabiliscono l'appello al tribunale di sorveglianza. Quanto ai limiti introdotti all'appello del pm contro le sentenze di condanna, l'idea di fondo è che la pubblica accusa non possa appellare tout court le sentenze di condanna perché esse riconoscono, al di là della pena irrogata, la fondatezza dell'azione penale: può invece appellarle nei casi indicati, dato che il giudice ha inciso sulla ipotesi assolutoria, con concrete ricadute sulla quantificazione della pena. Per l’imputato, viceversa, non è fissato alcun limite, essendo la sentenza di condanna in re ipsa a lui sfavorevole. 21 A norma del comma 2 del 593, il pm può appellare contro le sentenze di proscioglimento, mentre l'imputato può appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse al termine del dibattimento, salvo che si tratti di sentenze di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso: qui lo stesso legislatore ha chiarito che la riformulazione del testo, in ossequio alla legge delega, tiene conto delle pronunce costituzionali 26 del 2007 e 85 del 2008. In particolare, il pm non incontra limiti ad appellare perché le sentenze di proscioglimento sconfessano l'ipotesi accusatoria da lui prospettata con l'esercizio dell'azione penale: in proposito va tenuto presente che la legge 103 del 2017, per far fronte alla eventualità di condanna dell'imputato per la prima volta in appello, ha inserito nel 603 il nuovo comma 3-bis, ove si prevede che nel caso di appello del pm contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Infine, nel comma 3 del 593, alla previsione dell'inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda si è aggiunta quella dell’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa: il carattere generale della disposizione ha rimediato la incoerenza creata, come si è visto prima, dalla sentenza costituzionale 85 del 2008, ponendo l'imputato in posizione di perfetta simmetria rispetto al pm. Va infine osservato che nella versione dovuta al d.lgs. 11 del 2018 è stata inserita, nell'esordio del comma 3, la locuzione “in ogni caso”, per fugare ogni dubbio sulla portata applicativa della disposizione, riferita a tutte le sentenze, comprese dunque quelle emesse nel giudizio abbreviato. Appellabilità soggettiva e giudice di appello: Il 593 commi 1 e 2 individua quali soggetti legittimati ad appellare, in ipotesi di oggettiva appellabilità, il pm e l’imputato. Peraltro si è visto che il 575 riconosce al responsabile civile e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria il diritto di proporre impugnazione, nei casi consentiti, con il mezzo che la legge attribuisce all’imputato, mentre il 576 riconosce alla parte civile e al querelante condannato alle spese e ai danni ex 542 il diritto di proporre impugnazione svincolandoli dal mezzo previsto per il pm. Il d.lgs. 11 del 2018 ha inserito il nuovo 593-bis: ai sensi del comma 1, nei casi consentiti, contro le sentenze del gip, della corte d’assise e del tribunale può appellare il procuratore della repubblica presso il tribunale, mentre a norma del comma 2 il procuratore generale presso la corte di appello può appellare soltanto nei casi di avocazione o qualora il procuratore della repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento. Le limitazioni introdotte al potere di appello del procuratore generale seguono la constatazione che, di regola, egli non risulta coinvolto nella fase delle indagini e nel dibattimento di primo grado: da questo punto di vista la legittimazione ad appellare gli andrebbe riconosciuta nei soli casi di avocazione: ma, per fronteggiare rischi di negligenza o di “insabbiamento”, è opportuno che il procuratore generale sia legittimato ad appellare altresì nell’ipotesi di globale acquiescenza degli uffici della procura della repubblica presso il giudice di primo grado. 22 Discorso analogo valeva nel patteggiamento, perché l'imputato, non legittimato ad appellare la relativa sentenza, non poteva proporre appello incidentale nell'ipotesi in cui la decisione fosse stata appellata dal pm ai sensi del 448; e nel caso di sentenza di proscioglimento emessa nel giudizio abbreviato, appellabile dal pm ma non dall'imputato, il quale poteva dunque solo ricorrere per cassazione. Peraltro, la modifica del 580, che ora aggancia la conversione del ricorso per cassazione in appello alla sussistenza della connessione ai sensi del 12, poteva produrre una proliferazione di procedimenti impugnativi che gli interpreti e la giurisprudenza miravano a scongiurare ricorrendo all'argomento a fortiori. Si tratta adesso di verificare se la riscrittura del 595 abbia inciso sul profilo appena considerato, e qui emergono aspetti problematici. Nel comma 1 è riprodotta, riferita al solo imputato, la stessa locuzione utilizzata nel testo preveggente, cioè “che non ha proposto impugnazione”: si potrebbe allora concludere che tale locuzione richiami solo i casi in cui l'imputato, sebbene legittimato ad appellare o a ricorrere per saltum, non abbia esercitato il suo diritto in via principale, con la conseguente operatività dell'insegnamento delle sezioni unite poco sopra illustrato. Alla luce di quanto disposto nel comma 3, che coprirebbe, nelle intenzioni del legislatore, anche le situazioni nelle quali l'imputato non è legittimato ad appellare, si potrebbe però ritenere che la locuzione in discorso rivesta un significato più ampio, conglobando altresì casi nei quali l'imputato non ha appellato in via principale appunto perché privo di legittimazione: accettando una simile interpretazione estensiva, diventerebbe inattuale il ricordato insegnamento delle sezioni unite e nelle situazioni delineate l'imputato potrebbe proporre appello incidentale. Ma quest'ultima interpretazione appare difficilmente praticabile, perché, se l'imputato non legittimato a proporre l'appello principale potesse proporre quello incidentale, non ci sarebbe stato bisogno di dettare il comma 3, che pare quindi costituire, al di là della scarsa valenza pedagogica, una mera codificazione della prassi esistente, lasciando perciò inalterati i presupposti dell'appello incidentale dell'imputato, sia pure in contrasto con gli scopi sottesi alla delega. L'altra problematica concerne l'oggetto dell'appello incidentale: in proposito si erano formati tre indirizzi giurisprudenziali, dando luogo a un contrasto poi risolto dalle sezioni unite della cassazione: esse hanno affermato che oggetto dell'appello incidentale sono i punti della decisione investiti dall'appello principale nonché i punti ad essi legati da connessione essenziale (in rapporto al principio del tantum devolutum quantum appellatum), sottolineando che il 624 comma 1, dove compare quest’ultimo concetto, pur essendo dettato con riguardo al ricorso per cassazione, esprime un principio generale del diritto delle impugnazioni, in quanto designa il valore giuridico delle interferenze tra le varie prescrizioni della decisione investite del gravame, scomponibili ma talora legate da un rapporto di interdipendenza. La cognizione del giudice di appello: a) il principio del tantum devolutum quantum appellatum e le sue eccezioni: Si è già accennato che la natura ibrida dell’appello consiste nel suo riconnettersi al modello del gravame, caratterizzandosi tuttavia come parzialmente devolutivo: ai sensi del 597 comma 1 infatti l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti. Per meglio intendere la portata di questo effetto, è necessario rammentare il concetto di punti della decisione: secondo la dottrina i punti sono inerenti alla singola decisione (cioè al singolo capo della sentenza) e costituiscono altrettanti temi da essa enucleabili. 25 Con il concetto di punto non va confuso il concetto di questione, potendo ogni punto ricomprendere in sé molteplici questioni: il giudice di appello decide su tutte le questioni astrattamente ipotizzabili in ordine al punto impugnato, proprio perché oggetto del giudizio di appello non sono i motivi (come avviene nel giudizio di cassazione), ma i punti della decisione cui i motivi si riferiscono. Qui l’appello mostra di riconnettersi al modello del gravame: cosi ad esempio se l'appello concerne il punto relativo alla qualificazione giuridica del fatto, il giudice non deve limitarsi a verificare se il fatto corrisponda all'alternativa decisoria prospettata dalla parte, cioè alla qualificazione giuridica da questa ipotizzata, oppure a quella affermata in sentenza, ma deve accertare a quale figura giuridica, fra le varie astrattamente ipotizzabili, corrisponda il fatto. La giurisprudenza definisce punto della decisione ogni statuizione della sentenza che può essere considerata in modo autonomo e non le argomentazioni esposte in motivazione, perché queste riguardano il momento logico e non quello decisionale del procedimento: ne consegue ad esempio che non è violato il principio del tantum quando il giudice di appello, pur modificando un particolare di fatto ritenuto dal primo giudice e non contestato dall'impugnante, non ecceda, nel decidere, dai confini dei punti della decisione gravata e devoluta al suo esame con i motivi di appello. Si può comunque considerare applicabile il criterio della connessione essenziale, enunciato dal 624 per il giudizio di cassazione, ma riferibile pure all'appello come espressione di un principio generale: in base a questo criterio, il giudice di appello ha il potere dovere di decidere altresì in ordine a punti della sentenza che, pur non impugnati, siano legati a quelli impugnati da un rapporto di pregiudizialità, di interdipendenza o comunque di connessione essenziale. Va tuttavia posto in luce che questo criterio attiene al solo potere di decisione del giudice, nel senso che opera soltanto allorché la riforma del punto impugnato si riverbera su punti non investiti dai motivi: ad esempio, se il giudice di appello, investito dal punto relativo alla qualificazione giuridica del fatto, attribuisce a quest'ultimo, accogliendo la richiesta della parte, una qualificazione meno grave, dovrà, per connessione essenziale, ridurre corrispondentemente la pena, sebbene l'appellante non abbia devoluto il punto concernente la misura della pena stessa. Il principio del tantum è peraltro soggetto a varie eccezioni. Innanzitutto, alcune questioni sono devolute al giudice di appello, indipendentemente dei punti impugnati, perché rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo: la dichiarazione del difetto di giurisdizione; la dichiarazione di incompetenza per materia; la declaratoria immediata delle cause di non punibilità; la declaratoria delle nullità assolute a norma del 179; la declaratoria dell'inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge; la sentenza di proscioglimento in caso di preclusione correlata al ne bis in idem; la questione di legittimità costituzionale della norma da applicare, che può essere sollevata d'ufficio dell'autorità giurisdizionale davanti alla quale verte il giudizio. Con particolare riguardo al 129, le sezioni unite della cassazione sono state chiamate a decidere se possa essere dichiarata la prescrizione del reato quando i motivi di appello di ricorso non investano la statuizione relativa all'accertamento della responsabilità dell'imputato, riguardando solo la pena. Nel risolvere in senso positivo la questione, le sezioni hanno affermato che, sulla base del distinguo fra capi e punti della sentenza, la cosa giudicata si forma sul capo, nel senso che la decisione diventa irrevocabile soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell'imputato rispetto ad uno dei reati attribuitigli; i punti della decisione invece possono essere unicamente oggetto della preclusione correlata all'effetto devolutivo delle impugnazioni e al principio della disponibilità del processo in tale fase. 26 Pertanto, in caso di condanna, la mancata impugnazione della ritenuta colpevolezza dell'imputato fa sorgere una preclusione sul punto, ma non fa acquistare alla relativa statuizione l'autorità di cosa giudicata quando, per quello stesso capo, l'imputato abbia devoluto l'indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena: di conseguenza, l'eventuale causa di estinzione del reato deve essere rilevata fino al momento in cui diventi completa la pronuncia relativa al capo. Un ulteriore deroga all'effetto parzialmente devolutivo è stata introdotta dal 597 comma 5, in base al quale con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti; può altresì essere effettuato, quando occorre, il giudizio di comparizione a norma del 69 cp. Secondo le sezioni unite della cassazione, con il riferimento al giudizio di comparizione il 597 non attribuisce al giudice di appello un ulteriore potere di ufficio, ma solo il compito, consequenziale all'applicazione di nuove attenuanti, di effettuare, nuovamente o per la prima volta (se in precedenza erano state applicate solo aggravanti), tale giudizio. In base all'assunto che il 597, per il suo carattere derogatorio, è norma di stretta interpretazione, le sezioni hanno affermato che non può includersi nella sua sfera operativa l'applicazione di ufficio delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, potendo il giudice di secondo grado provvedervi solo se nell'atto di appello sia stata formulata specifica richiesta sul punto, che va distinto da quello relativo al trattamento sanzionatorio, data la natura di pena autonoma delle sanzioni sostitutive. Il mancato esercizio da parte del giudice di appello del potere dovere delineato nel 597 non comporta l'obbligo di motivare sul punto e non è censurabile in sede di legittimità, in assenza di una richiesta con i motivi di appello o nel corso del giudizio di secondo grado. Una pronuncia del 2018 delle sezioni ha ritenuto che il mancato esercizio del potere dovere del giudice di appello di applicare di ufficio il beneficio della sospensione condizionale della pena, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso per cassazione da parte dell'imputato che non abbia chiesto tale beneficio nel giudizio di appello. Segue: b) rapporti fra cognizione del giudice di appello e contenuto della decisione; il divieto della reformatio in peius: Mentre il comma 1 del 597 determina l'ambito del potere di cognizione del giudice di appello, cioè l'oggetto della relativa decisione, i commi 2, 3 e 4 dello stesso articolo si occupano dei poteri di decisione del giudice, delineando in altri termini il contenuto della sentenza di conferma o di riforma. La distinzione basilare è fra le ipotesi in cui appellante sia (anche) il pm e le ipotesi in cui appellante sia il solo imputato. Nelle ipotesi in cui sia il pm ad appellare, il contenuto della pronuncia del giudice di secondo grado non incontra limiti di sorta. Il 597 comma 2 distingue a seconda che il giudice, su appello del pm, riformi o confermi la decisione di primo grado: in caso di riforma, se l'appello riguarda una sentenza di condanna il giudice di appello può, entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare quando occorre misure di sicurezza e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge; se l'appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice di appello può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti appena indicati ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata. 27 In terzo luogo, mentre di regola, ai sensi del 127 comma 3, pm e difensori sono sentiti solo se compaiono, in caso di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale il giudice assume le prove in camera di consiglio, a norma del 603, con la necessaria partecipazione di tali soggetti: se essi non sono presenti quando è disposta la rinnovazione, il giudice fissa una nuova udienza, facendo comunicare al pm e notificare ai difensori copia del provvedimento (599 comma 3). Al di là di questa specifica situazione, per lungo tempo il legittimo impedimento del difensore a comparire non ha costituito motivo di rinvio dell'udienza camerale. Lo scenario si è evoluto in seguito ad alcune pronunce di singole sezioni, secondo cui la regola stabilita dal 420-ter comma 5 trova applicazione anche con riguardo al procedimento camerale di appello disciplinato dal 599, a seguito di appello contro sentenza pronunciata nel giudizio abbreviato: sarebbe infatti illogico, in ossequio al principio del giusto processo, ritenere che solo nel giudizio abbreviato di primo grado e non in quello di secondo grado, il legittimo impedimento del difensore determini il rinvio dell’udienza. Anche l'articolo 6 della Cedu e del resto impone di garantire il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, e specialmente nella fase del giudizio dove si decide sulla fondatezza dell'imputazione: il giudizio abbreviato attribuisce al giudice sia in prima sia in seconde cure, la piena cognizione del merito. Aderendo a tale indirizzo le sezioni unite della cassazione hanno mutato il proprio orientamento, reputando rilevante nel giudizio camerale di appello, conseguente al processo di primo grado celebrato con rito abbreviato, il legittimo impedimento del difensore determinato da non prevedibili ragioni di salute. Infine, il provvedimento conclusivo del giudizio di appello in camera di consiglio non è un'ordinanza ma una sentenza, perché, secondo la giurisprudenza, il richiamo al 127 si riferisce solo alle formalità del procedimento ma non alla natura e alla forma del provvedimento che, in mancanza di deroga espressa o desumibile dal sistema, sono stabilite dal 605. Le sezioni unite della cassazione hanno ritenuto che anche nel giudizio abbreviato di appello, come in quello di primo grado, il dispositivo deve essere letto in udienza dopo la deliberazione della sentenza e che la mancata lettura impedisce il decorso dei termini per l’impugnazione (545). Particolarmente travagliate si presentano le vicissitudini normative che hanno interessato il cosiddetto concordato sui motivi di appello. I commi 4 e 5 del 599, che lo prevedevano, erano stati ripristinati nel 1999, dopo che la corte costituzionale li aveva dichiarati parzialmente illegittimi, e in seguito abrogati nel 2008. Ora, la legge 103 del 2017 ha reintrodotto l’istituto, disciplinando nel nuovo 599-bis il “concordato anche con rinuncia ai motivi di appello”. Il legislatore del 2017 ha rivisitato sotto due profili l’istituto, entrambi connessi alle ragioni che a suo tempo ne avevano fondato l’abrogazione. In primo luogo (599-bis comma 2) sono esclusi dall’applicazione del concordato i procedimenti per alcuni gravi delitti, espressamente elencati, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Tali esclusioni oggettive e soggettive coincidono con quelle previste per il cosiddetto patteggiamento allargato dal 444 comma 1-bis: ma cosi si apparentano i due istituti e si perpetua la sovrapposizione che aveva condotto ad abrogare il concordato, cui si imputava di depotenziare il patteggiamento in primo grado. Con il risultato di contraddire l’intento degli stessi riformatori, cioè quello di far rivivere il concordato per recuperare la sua efficacia deflativa, sottolineandone la reale portata di concordato sui motivi più che di applicazione concordata della pena. 30 In secondo luogo, per parare la critica in base alla quale l’istituto consentiva una forte diminuzione della pena irrogata nel grado precedente, a causa di prassi lassiste seguite su base territoriale, il 599- bis prevede al comma 4 che, ferma restando la piena autonomia del pm in udienza ex 53 comma 1, il procuratore generale presso la corte di appello, sentiti i magistrati dell’ufficio e i procuratori della repubblica del distretto, indica i criteri idonei a orientare la valutazione dei magistrati del pm nell’udienza, tenuto conto della tipologia dei reati e della complessità dei procedimenti: in sostanza, a livello distrettuale andrebbero stabilite delle linee-guida chiare e condivise. La previsione ha tuttavia un sapore compromissorio: infatti, se il pm in udienza non seguisse i criteri, non essendo prevista alcuna responsabilità disciplinare, le prassi lassiste potrebbero riproporsi. Forse la soluzione migliore unificante a livello nazionale, consisterebbe nel definire legislativamente i limiti massimi della riduzione di pena praticabile grazie al concordato sui motivi. Di scarsa efficacia appare la previsione della legge 103 del 2017, secondo la quale i presidenti delle corti d’appello, con la relazione sull’amministrazione della giustizia, riferiscono, tra l’altro, dati e notizie sull’andamento dei giudizi di appello definiti ai sensi del 599-bis. Qualche parola infine va spesa sugli elementi di cui il procuratore generale deve tener conto nell’elaborare le linee-guida. Per quanto attiene alla tipologia dei reati, visto che il legislatore ha già dettato le esclusioni oggettive nel comma 2 del 599-bis, non è consentito espungere tout court altri reati dall'area del concordato: si tratterebbe piuttosto di fissare, in rapporto a talune fattispecie, criteri orientativi particolari, tesi soprattutto evitare una eccessiva riduzione della pena. In ordine alla “complessità dei procedimenti”, ci troviamo dinanzi ad una nozione ampia, suscettibile di applicazioni modulate nel caso concreto, e che rende difficoltoso dettare specifici criteri, consegnando dunque un'ampia discrezionalità al procuratore generale. Nel caso di ricorso per cassazione contro la sentenza pronunciata a norma del 599-bis, per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso si adotta la disciplina semplificata “senza formalità di procedura” prevista dal 610 comma 5-bis aggiunto dalla legge del 2017. Atti preliminari al giudizio di appello: Se non si versa in ipotesi di inammissibilità dell'appello, con il conseguente operare del 591, il presidente ordina senza ritardo la citazione dell'imputato appellante, nonché quella dell'imputato non appellante se vi è appello del pm oppure se ricorrono le condizioni per il verificarsi dell'estensione dell'impugnazione ai sensi del 587, oppure se l'appello è proposto per i soli interessi civili. È ordinata in ogni caso la citazione delle parti eventuali; la parte civile è citata anche quando ha appellato il solo imputato contro una sentenza di proscioglimento. In quest’ultima ipotesi la parte civile ha comunque interesse a una formula di proscioglimento non preclusiva dell’azione in sede civile; ma si possono verificare evenienze nelle quali la citazione “in ogni caso” di una parte eventuale appare inutile: cosi ad esempio, allorché appelli il solo prosciolto al fine di ottenere una formula più favorevole, è infruttuosa la presenza della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Quando si procede in camera di consiglio ex 599, ne è fatta menzione nel decreto di citazione, che contiene i requisiti prescritti dal 429 comma 1 lett. a, f, g, oltre all’indicazione del giudice competente. Il decreto di citazione va notificato almeno 20 giorni prima della data fissata per il giudizio di appello, termine che vale altresì per la notificazione dell’avviso ai difensori, ed è nullo nei casi indicati dal 601 comma 6. 31 In appello non è consentito pronunciare sentenza predibattimentale di proscioglimenti ai sensi del 469, perché il combinato disposto del 598, 599 e 601 non effettua alcun rinvio, esplicito o implicito, a tale disposizione, da ritenersi dettata specificamente per il giudizio di primo grado. Dibattimento di appello: a) linee generali: Nel dibattimento di appello, al di la delle espresse previsioni del 601-605, si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni relative al giudizio di primo grado (598) e le collegate disposizioni di attuazione (168 disp. att.). Il dibattimento inizia con la relazione della causa effettuata dal presidente o da un consigliere da lui delegato. Il comma 1-bis del 602 consente alle parti di richiedere concordemente l’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello ai sensi del 599- bis: il giudice provvede immediatamente, se ritiene di dovere accogliere la richiesta; in caso contrario dispone che il dibattimento prosegua; la richiesta e la rinuncia ai motivi non hanno effetto se il giudice decide in modo difforme dall’accordo. Nel dibattimento può essere data lettura, anche di ufficio, di atti del giudizio di primo grado, nonché, entro i limiti previsti dagli articoli 511 e seguenti, di atti compiuti nelle fasi antecedenti (602 comma 3): nella prima categoria vanno ricompresi gli atti compiuti direttamente nel dibattimento di primo grado; nella seconda categoria vanno ricompresi quelli compiuti nelle fasi precedenti e letti ai sensi del 511 e del 513, cioè atti già inseriti nel fascicolo per il dibattimento e poi acquisiti mediante lettura ai sensi del 511 oppure atti inseriti nel fascicolo del pm che, una volta letti ai sensi del 512, 512-bis e 513, confluiscono nel fascicolo per il dibattimento del giudizio di primo grado: l’acquisizione di prove non utilizzate in primo grado può avvenire, ricorrendo determinati presupposti, solo attraverso la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Segue: b) la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale: Il 603 è la norma cardine per la disciplina della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, meccanismo attivabile a richiesta di parte o di ufficio. Nel primo caso, quando una parte, nell'atto di appello o nei motivi nuovi presentati ai sensi del 585 comma 4, ha chiesto la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o l'assunzione di nuove prove, il giudice, se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione. Con la richiesta di riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado, la parte mira a evidenziare in sede di appello, la portata di un certo contributo probatorio: ad esempio, può essere chiesta la ri-escussione di un testimone, le cui dichiarazioni fossero in qualche modo infirmate da altri elementi; con la richiesta di assunzione di nuove prove, la parte tende a immettere nel dibattimento di appello materiale probatorio nuovo: ad esempio può essere chiesta l'escussione di un nuovo testimone oppure l'escussione di un testimone, già sentito in primo grado, con riguardo a nuovi fatti o a nuove circostanze. Va però precisato che la categoria delle nuove prove di cui al 603 viene riferita dalla giurisprudenza alle prove preesistenti ma non acquisite nel dibattimento di primo grado, e dunque non utilizzate per la decisione, fra cui rientrano pure gli atti, contenuti nel fascicolo per il dibattimento o nel fascicolo del pm, non acquisiti tramite le prescritte letture nel dibattimento di primo grado e quindi non valutati. Sempre ai sensi del 603, il giudice, di fronte alla richiesta di parte, dispone la rinnovazione se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti. 32 Le sezioni unite hanno ritenuto che nella nozione di prova dichiarativa rientrano anche le dichiarazioni rese oralmente dal perito e dal consulente tecnico nel dibattimento di primo grado, con la conseguenza che se tali dichiarazioni risultano decisive, il giudice di appello ha l’obbligo di procedere alla rinnovazione, nell'ipotesi di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un loro diverso apprezzamento. Inoltre hanno affermato che se il giudice di seconde cure non rispetta l'obbligo di rinnovare l'istruttoria dibattimentale, si determina una violazione sostanziale del diritto al contraddittorio e quindi del diritto di difesa, e la sentenza è ricorribile ai sensi del 606 comma 1 lett. c per inosservanza di una norma stabilita a pena di nullità. Nell'ipotesi speculare di condanna in prime cure e di proscioglimento in appello, la cassazione ha affermato che il giudice di appello non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna in primo grado: tuttavia tale giudice è tenuto a offrire una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria, dando una giustificazione razionale della difforme conclusione adottata. Nell’evenienza di totale reformatio in meius non viene in gioco il canone “al di là di ogni ragionevole dubbio”, riferito esclusivamente alla sentenza di condanna (533), mentre dal 530, che disciplina l’epilogo assolutorio, si enuclea un canone opposto, in quanto il comma 2 di quest’ultima disposizione prevede che il giudice debba assolvere quando un dubbio sussiste e non può essere superato. In conclusione, presunzione di innocenza e ragionevole dubbio impongono soglie probatorie asimmetriche, in rapporto alla tipologia della decisione di appello, cioè la certezza della colpevolezza per condannare, il dubbio processualmente plausibile per assolvere. All'assenza di un obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa va peraltro affiancata l'esigenza che la motivazione della sentenza assolutoria in appello sia particolarmente rigorosa, fornendo puntualmente le ragioni del capovolgimento. Quanto alla rinnovazione nei procedimenti camerali quando si tratta di giudizio abbreviato di secondo grado (che si svolge appunto con le forme del 599), la giurisprudenza si era espressa a sezioni unite nel senso di riconoscere un potere di rinnovazione ex officio del giudice, da esercitare quindi solo nei casi di assoluta necessità (603 comma 3), ed escludendo l’esistenza di un diritto alla prova che potesse essere fatto valere dalle parti medesime. La sussistenza di un tale potere appare ancor più sostenibile oggi se si considera che già nel giudizio abbreviato di primo grado il giudice, quando ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, assume anche d'ufficio gli elementi necessari ai fini della decisione. Quanto all'imputato si deve distinguere a seconda che la sua richiesta di giudizio abbreviato sia stata semplice o complessa: nel primo caso egli ha rinunciato al diritto alla prova in primo grado e la sua scelta si prolunga nel giudizio di appello; nel secondo caso invece, avendo subordinato alla richiesta una integrazione probatoria, conserva, entro tali limiti, il diritto alla riassunzione anche in secondo grado. Alla luce della pronuncia delle sezioni unite che ha adottato un'interpretazione convenzionalmente conforme del 603 con riguardo al giudizio abbreviato di appello, senza distinzioni fondate sulla richiesta iniziale dell'imputato, dovrebbe adesso applicarsi il comma 3-bis di tale disposizione. 35 Il legislatore avrebbe a tal proposito operato un ragionevole bilanciamento tra le esigenze connesse al potere dispositivo delle parti in materia probatoria, con la conseguente rinuncia al contraddittorio nella formazione della prova, e quelle correlate al rischio di una condanna ingiusta nel giudizio di appello sotto il profilo della violazione dei canoni di accertamento della verità dopo una sentenza di proscioglimento in prime cure, che ha stabilizzato la presunzione di innocenza dell’imputato. La decisione sulla rinnovazione è assunta dal giudice, nel contraddittorio delle parti, con ordinanza: di regola si procede immediatamente alla rinnovazione; in caso di impossibilità il dibattimento è sospeso per un periodo non superiore a 10 giorni (603 comma 6). Quando la rinnovazione avviene in camera di consiglio, pare prevalere la disciplina dettata dal 599 comma 3. A parere della dottrina, il provvedimenti che dispone la rinnovazione è revocabile, operando pure in tale evenienza gli articoli 190 comma 3 e 495 comma 4. Sentenze conclusive del giudizio di appello: Il giudizio di appello può concludersi con sentenza di inammissibilità, di conferma, di riforma, di annullamento con trasmissione degli atti al giudice di primo grado o con informativa al pm o con rinvio degli atti al giudice che procedeva al momento del verificarsi di determinate nullità. Una specifica disciplina è poi riservata ai provvedimenti del giudice di appello sulla giurisdizione e sulla competenza e sull’inosservanza delle disposizioni relative all’attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale in composizione collegiale o monocratica (33-octies). Il giudice di appello dichiara inammissibile l'appello con sentenza quando accerta una causa di inammissibilità non rilevata prima del dibattimento oppure insorta dopo la sua apertura. Pronuncia sentenza di conferma quando, ritenendo non fondati i motivi di appello, lo rigetta e mantiene ferma la decisione di primo grado. Pronuncia sentenza di riforma quando, accogliendo tutti o alcuni dei motivi proposti, modifica in tutto o in parte la decisione di primo grado, salvo il divieto della reformatio in peius in caso di appello del solo imputato. Nell'ipotesi di riforma, per sopravvenuta amnistia o prescrizione, di una sentenza di condanna, il giudice di appello nel dichiarare estinto il reato decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, qualora sussistano i presupposti indicati dal 578; oppure ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato, ai sensi del 578-bis. Il 604 sotto la rubrica “questioni di nullità”, configura molteplici situazioni, tutte ispirate dall’intento di coniugare il principio di conservazione degli atti e il principio di economia processuale: infatti, per un verso, la nullità che colpisce una parte della sentenza non travolge le altre parti che non dipendono da essa e, per altro verso, il giudice di appello si sostituisce a quello di primo grado, correggendone e integrandone la decisione. I primi tre commi del 604 sono dedicati alle ipotesi di nullità della sentenza per difetto di contestazione (522). Nel comma 1 è disciplinata la nullità della sentenza che abbia condannato per un fatto diverso da quello contestato. In questo caso, il giudice di appello dichiara la nullità in toto della sentenza appellata e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado individuato dal 604 comma 8. Lo sbocco è analogo qualora la sentenza di primo grado abbia applicato, senza che vi sia stata contestazione, una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o una circostanza aggravante a effetto speciale: anche in tal caso infatti il giudice di appello dichiara la nullità della sentenza nella parte relativa alla circostanza aggravante non contestata e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti. 36 In quest'ultima eventualità o quando sono state applicate, senza preventiva contestazione, circostanze aggravanti diverse da quelle previste dal 604, il giudice di appello esclude le circostanze aggravanti non contestate, effettua, se occorre, un nuovo giudizio di comparazione e ridetermina la pena. Quando invece il difetto di contestazione concerne un reato concorrente o un fatto nuovo, il giudice di appello dichiara nullo il relativo capo della sentenza ed elimina la pena corrispondente, disponendo che del provvedimento sia data notizia al pm per le sue determinazioni. La locuzione “reato concorrente” va riferita all’ipotesi, considerata nel 517, di reato connesso a norma del 12 comma 1 lett. b, proprio per distinguere il reato concorrente in senso proprio dal fatto nuovo, che integra anch’esso, in senso lato, un reato concorrente. I commi 4 e 5 del 604 concernono le ipotesi in cui il giudice di appello rilevi una nullità. Se accerta una nullità assoluta (179), o una nullità di tipo intermedio (180) non sanata, dalle quali sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado, il giudice di appello dichiara con sentenza la nullità e rinvia gli atti al giudice che procedeva quando si è verificata. Si produce cioè una regressione del processo, resa inevitabile dalla nullità che colpisce in via derivata il provvedimento conclusivo di una determinata fase e che, in via originaria, afferisce a un atto cosiddetto propulsivo, cioè un atto che si colloca in una sequela necessitata di atti, nella quale ognuno condiziona la validità dell'atto seguente fino a inquinare il provvedimento conclusivo. In caso di annullamento ai sensi del 604 comma 4, pur se determinato da appello del solo imputato, la cassazione ha stabilito che nel giudizio di rinvio dinanzi al giudice di primo grado non trova applicazione il divieto di reformatio in peius, poiché tale divieto implica necessariamente un termine di paragone rappresentato da una precedente sentenza, mentre un simile presupposto manca quando questa sia stata cancellata in quanto atto finale di un giudizio nullo, e perciò privo di effetti. Trattandosi invece di altre nullità che non sono state sanate, il giudice di appello può ordinare la rinnovazione degli atti nulli, oppure, una volta dichiarata la nullità, decidere nel merito, qualora riconosca che l'atto non fornisce elementi necessari per il giudizio: si ricade dunque nella categoria delle sentenze di conferma o di riforma. La disciplina emergente dal 604 comma 5 dovrebbe operare con riguardo alle nullità che afferiscono agli atti probatori, in armonia a quanto stabilito dal 185 commi 2 e 4 dove si prevede, da un lato, la rinnovazione dell'atto nullo qualora sia necessario e possibile e, dall'altro, che la regressione del procedimento non si applica alle nullità concernenti le prove. Però secondo la dottrina dovrebbe riguardare pure la nullità di atti privi di valore probatorio ma non rientranti nella categoria degli atti propulsivi: il 604 concreterebbe proprio per tali atti la clausola di salvezza prevista dal 185 comma 3 che consente di derogare al principio di regressione conseguente alla dichiarazione di nullità. Ulteriore aspetto problematico concerne il significato della locuzione “altre nullità che non sono state sanate”: sebbene in riferimento alla possibilità di sanatoria porti a escludere le nullità assolute concernenti atti non propulsivi, la dottrina accede alla soluzione opposta, improntata all'economia processuale, anche in base al raffronto con il comma 4 che prescrive la regressione del procedimento solo per le nullità assolute che abbiano contaminato il provvedimento conclusivo della fase. 37 sono stati espressamente stabiliti i motivi di ricorso per cassazione contro la sentenza di patteggiamento, tenuto conto che i ricorsi di questo tipo rappresentano una percentuale non trascurabile e vengono per lo più dichiarati inammissibili; è stata prevista una modalità semplificata per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso in determinate ipotesi; è stato introdotto un possibile aumento della somma da pagare a favore della cassa delle ammende, se il ricorso è dichiarato inammissibile o rigettato; è stata sottratta alla corte di cassazione la competenza funzionale in tema di rescissione del giudicato. Su un secondo versante, a fini acceleratori, si è allargato l’ambito dell’annullamento senza rinvio, con ovvie ricadute sul numero dei giudizi di rinvio; e, per scongiurare il ricorso straordinario per errore di fatto, si è riconosciuto alla corte di cassazione il potere di rilevare tale errore, di ufficio, entro 90 dalla deliberazione (625-bis comma 3). Infine, con lo scopo di rafforzare l’uniformità e la stabilità nomofilattica dei principi di diritto enunciati dalla Sezioni unite della Corte di cassazione, è stato interpolato il 618. Dal canto suo, il d. lgs. 11 del 2018, inserendo il nuovo comma 2-bis nel 606, ha limitato alla sola violazione di legge i motivi di ricorso per cassazione contro le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace. Ricorribilità oggettiva e soggetti legittimati: Il 606 comma 2 stabilisce, quanto alla ricorribilità oggettiva, che il ricorso per cassazione, oltre che nei casi e con gli effetti determinati da particolari disposizioni, può essere proposto contro le sentenze pronunciate in grado di appello o inappellabili. Va, innanzitutto, ricordato che, ai sensi del 569 comma 1, la parte legittimata ad appellare la sentenza di primo grado può proporre direttamente ricorso per cassazione (c.d. ricorso immediato per cassazione o ricorso per saltum): perciò, mentre le sentenze inappellabili sono unicamente ricorribili per cassazione, nei confronti delle sentenze appellabili può essere esperito il solo ricorso per saltum, nei modi e con i limiti, circa i motivi, risultanti dal 569 comma 3 oppure possono essere esperiti i due mezzi ordinari d’impugnazione, cioè, nell’ordine, dapprima l’appello e successivamente il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dal giudice di appello. Particolari meccanismi, già illustrati, regolano l’ipotesi in cui concorrano, nei riguardi di una stessa sentenza, appello e ricorso per saltum. Quanto al ricorso per cassazione avverso le sentenze pronunciate dal giudice di pace, vanno considerati gli artt. 36 comma 2, 37 comma 2, 38 comma 1 e 39-bis d. lgs. 274 del 2000. La legge 103 del 2017 aveva delegato il Governo a “prevedere la ricorribilità per cassazione soltanto per violazione di legge delle sentenze emesse in grado di appello nei procedimenti per i reati di competenza del giudice di pace”: il legislatore delegato da un canto ha inserito nel d. lgs. 274 del 2000 il nuovo 39-bis, dall’altro ha immesso nel 606 il comma 2-bis, ove si stabilisce che contro le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per i motivi contemplati dal comma 1 lett. a, b e c. In questo modo si è fatto fronte all’evenienza in cui i reati, pur rientrando nella competenza del giudice di pace, siano attribuiti, per ragioni di connessione, alla competenza del tribunale: infatti, il criterio direttivo della delega non si riferiva alle sentenze emesse dal giudice di pace, bensì a quelle emesse nei procedimenti per i reati di competenza di quest’ultimo. 40 Va osservato che la versione iniziale del decreto legislativo aveva inserito nel comma 2-bis anche le sentenze inappellabili, peraltro non menzionate nel suddetto criterio direttivo: di qui, un eccesso di delega, in esito al quale solamente nel giudizio ordinario le sentenze inappellabili in questione avrebbero incontrano limiti al ricorso, proponibile invece per tutti i motivi contemplati dal 606 comma 1 se le medesime sentenze fossero emesse nel giudizio davanti al giudice di pace, posto che il 39-bis d. lgs. 274 del 2000 prevede la limitazione al ricorso solo per le sentenze pronunciate in grado di appello. Accogliendo l’osservazione espressa nel parere della Commissione giustizia del Senato, il testo definitivo del decreto si è attenuto al criterio di delega. Passando alla ricorribilità soggettiva, gli artt. 607 e 608 si riferiscono, rispettivamente, al ricorso dell’imputato e del pubblico ministero: tuttavia, come emerge dalle disposizioni generali, responsabile civile e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria impugnano con il mezzo che la legge attribuisce all’imputato (575), mentre parte civile e querelante condannato alle spese e ai danni impugnano senza essere vincolati al mezzo attribuito al pubblico ministero (576). Ai sensi del 607 comma 1, l’imputato può ricorrere per cassazione avverso la sentenza di condanna o di proscioglimento ovvero contro la sentenza inappellabile di non luogo a procedere. La generica dizione riferita alle sentenze di condanna o di proscioglimento consente di ricomprendervi sia le sentenze appellabili (593 commi 1 e 2) sia quelle inappellabili. Quanto alle sentenze inappellabili di non luogo a procedere, si tratta di quelle con cui è stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l’imputato non l’ha commesso (428 comma 1 lett. b); peraltro, l’imputato può ricorrere per cassazione anche contro la sentenza di non luogo a procedere pronunciata in grado di appello (c.d. doppia conforme di non luogo a procedere), ma solo per i motivi di cui al 606 comma 1 lett. a, b e c, cioè per violazione di legge. Infine, ai sensi del 607 comma 2, l’imputato può ricorrere contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le spese processuali: non si comprende, al proposito, perché non venga menzionato il ricorso relativo ai soli interessi civili (574). Per quanto attiene al pm, il procuratore generale presso la corte di appello può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza di condanna o di proscioglimento pronunciata in grado di appello o inappellabile (608 comma 1). Tuttavia, se il giudice di appello pronuncia sentenza di conferma di quella di proscioglimento (c.d. doppia conforme di proscioglimento), il ricorso può essere proposto solo per i motivi elencati nel 606 comma 1 lett. a, b e c, cioè per violazione di legge: l’innovazione si basa sul rilievo che quando il giudice di appello, valutata la ricostruzione probatoria del fatto, approda al medesimo esito proscioglitivo raggiunto in prime cure, appare adeguato delimitare il perimetro del ricorso per cassazione alla sola violazione di legge. A differenza di quanto previsto per la c.d. doppia conforme di non luogo a procedere, il limite si riferisce al solo ricorso del pm e non a quello dell’imputato, che trova disciplina, come si è appena visto, nel 607. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale può ricorrere contro ogni sentenza inappellabile, di condanna o di proscioglimento, pronunciata dalla corte di assise, dal tribunale, ovvero dal gip (608 comma 2); inoltre, sia il procuratore della Repubblica sia il procuratore generale possono anche ricorrere direttamente per cassazione ex 569, nei confronti, quindi, di sentenze di primo grado appellabili (608 comma 4), ma per il procuratore generale varranno, in ordine al ricorso per saltum, le stesse limitazioni previste relativamente all’appello dal 593-bis comma 2. 41 Emerge, infine, dalle disposizioni generali in materia d’impugnazioni (570 comma 2) che può proporre ricorso per cassazione anche il rappresentante del pm che ha presentato le conclusioni in secondo grado o, trattandosi di sentenza inappellabile o di ricorso per saltum avverso una sentenza appellabile, in primo grado. Va poi sottolineato che sebbene gli artt. 607 e 608 facciano riferimento, come oggetto del ricorso, alle sole sentenze di condanna e di proscioglimento, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione anche avverso la sentenza con la quale il giudice di appello abbia dichiarato la nullità di quella di primo grado ex 604 comma 4, sempre che la parte proponente abbia un interesse concreto e attuale. A parere delle Sezioni unite, il generale principio del ricorso per cassazione contro le sentenze espresso nel 568 comma 2, in ossequio al 111 comma 7 Cost., assorbe “le singole disposizioni che fanno riferimento alle sentenze che ordinariamente definiscono il merito della regiudicanda”, impedendo a tali disposizioni di fungere da norme limitative del suddetto principio; sul versante costituzionale, del resto, il ricorso per cassazione è previsto per assicurare la realizzazione del “giusto processo”, e dunque sarebbe arbitrario distinguere, ai fini della ricorribilità delle sentenze, tra violazioni della legge sostanziale e violazioni della legge processuale. Motivi di ricorso e cognizione della corte di cassazione: Il ricorso per cassazione può essere proposto per i seguenti motivi, tassativamente indicati nel 606 comma 1: - Esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri. Tradizionalmente ricondotta all’eccesso o allo straripamento di potere, la situazione ipotizzata si verifica quando il giudice, ad esempio, crea per analogia una norma penale incriminatrice, condannando per un fatto non previsto dalla legge come reato, oppure revoca una licenza comunale o annulla un provvedimento del prefetto; nonché quando condanna un soggetto immune o emette un provvedimento di competenza di un giudice straniero. - Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale. Le situazioni ipotizzate di errores in iudicando si verificano nei casi di mancata o di inesatta applicazione della legge penale sostanziale o di altre norme giuridiche extrapenali cui fa riferimento la norma penale medesima e che, quindi, valgono a integrarne il precetto: così, ad esempio, è esperibile il ricorso per cassazione avverso una sentenza di condanna per falso in atto pubblico o per falso in testamento al fine di denunciare l’erronea applicazione delle norme civili che definiscono l’atto pubblico o il testamento. - Inosservanza delle norme processuali penali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza. Ne consegue che non si può ricorrere per cassazione deducendo l’inosservanza di norme processuali penali che diano luogo a una semplice irregolarità. La sussistenza dell’error in procedendo, consistente nell’inosservanza del divieto probatorio, configura il presupposto per l’impugnazione, senza che sia necessario verificare se abbia dato luogo a un error in iudicando, cioè a un difetto di motivazione. La motivazione è, peraltro, strumento per constatare la violazione, in quanto la decisione impugnata deve essersi avvalsa della prova inutilizzabile. La giurisprudenza non si accontenta della semplice influenza della prova inutilizzabile sulla decisione, ma richiede, per l’annullamento, che la prova illegittima abbia rivestito un’efficacia dimostrativa determinante nel ragionamento del giudice. 42 Circa la seconda categoria, viene in rilievo la deduzione per la prima volta, come motivo di ricorso, della continuazione rispetto a un fatto già oggetto di giudicato, quando tale giudicato si sia formato dopo la decisione di secondo grado. Al di la di tale questione, vanno considerati i vizi verificatisi nel giudizio di appello nonché le situazioni nuove (mutamenti legislativi) intervenute dopo la conclusione del giudizio di appello. Va infine rammentato che il ricorso è inammissibile (606 comma 3) se è proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge o manifestamente infondati ovvero per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello, fuori dei casi di ricorso per saltum (569) e dei casi previsti dal 609 comma 2. Problematiche relative all’art. 606 comma 1 lett. e: Come abbiamo visto la disciplina dei vizi di motivazione risultante dalla versione originaria del 606 aveva dato criticità, nei riguardi della scelta di subordinare il sindacato sulla motivazione alla regola che il vizio risultasse dal testo del provvedimento impugnato. Si era infatti osservato che il punto nodale consiste nello stabilire se la critica del provvedimento vada condotta isolandolo dalla vicenda processuale di cui ha costituito la conclusione oppure ricollegandolo ad essa, sia pure nell'ambito dei vizi lamentati dal ricorrente. Muovendo dalla considerazione che la parte motiva della sentenza riveste la funzione di giustificare il dispositivo, cronologicamente anteriore rispetto ad essa, risultandone perciò condizionata, si conveniva che il sindacato teso a controllarne la completezza e la logicità, per essere effettivo, implicava un possibile accostarsi agli atti del processo. Poiché viceversa la cassazione non poteva operare un raffronto con gli atti processuali, dovendo il vizio di motivazione risultare dal testo del provvedimento impugnato, si era posto in luce che sarebbero rimaste prive di rimedio alcune situazioni: - La situazione in cui il giudice nella sentenza di condanna tenga conto di una prova che non risulta dagli atti del processo (travisamento degli atti per invenzione). - La situazione in cui il giudice nella sentenza di condanna abbia travisato una prova, sostenendo ad esempio che vada intesa in un senso, mentre dagli atti risulta che va intesa in senso opposto (travisamento delle risultanze probatorie) - La situazione in cui il giudice nella sentenza di condanna ignori una prova orientata in senso decisivo a favore della difesa (travisamento degli atti per omissione). Insomma, chi fosse stato condannato ingiustamente a causa dell’omessa valutazione di una prova decisiva a suo favore, avrebbe potuto al più avvalersi delle chances offerte dalla revisione, sulla base di un’interpretazione estensiva, avallata dalla cassazione, del concetto di nuova prova, scoperta o sopravvenuta dopo la condanna, emergente dal 630 lett. c. Le conseguenze apparivano di particolare gravità nelle ipotesi di sentenza inappellabile o di sentenza di condanna emessa per la prima volta in appello su impugnazione del pm contro la sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado nonché quando la prova non valutata fosse stata assunta nel giudizio di appello in sede di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale: nelle predette ipotesi non si sarebbe avuto un riesame nel merito e i limiti al sindacato della cassazione posti dal 606 comma 1 lett. e avrebbero fatto sorgere problemi di legittimità costituzionale sotto il profilo del 24 e del 111 Cost, in relazione al 14 Patto int. diritti civili e politici, secondo cui ogni individuo condannato per un reato ha diritto a che l'accertamento della sua colpevolezza e la condanna siano riesaminati da un tribunale di seconda istanza in conformità della legge. 45 In questo complesso quadro è venuta ad innestarsi la riforma del 2006, che da un lato riduceva drasticamente l'ambito di appellabilità delle sentenze di proscioglimento, e dall'altro rivisitava il 606 comma 1 lett. e. Ma l'opzione legislativa presentava profili di illogicità e rischiava di produrre pesanti ricadute sull'organizzazione della corte, potendosi prevedere un aumento esponenziale dei ricorsi per vizi di motivazione. Dopo le sentenze costituzionali 26 e 320 del 2007, che avevano ripristinato l’appello del pm avverso le sentenze di proscioglimento pronunciate sede dibattimentale o nel giudizio abbreviato, il ribaltamento in secondo grado della pronuncia proscioglitiva emessa in primo grado poteva di nuovo verificarsi: da quest’angolo di visuale, peraltro, l’imputato si trovava in una posizione più tutelata di quella anteriore alla riforma del 2006, potendo usufruire dell’allargamento dell’ambito operativo del 606 comma 1 lett. e. È opportuno comunque sottolineare come, al fine di non pregiudicare l’organizzazione del carico di lavoro della cassazione, l’orientamento prevalente abbia in un primo momento delineato talune condizioni relative agli “altri atti del processo”. Innanzitutto, come onere ulteriore rispetto a quello previsto dal 581 lett. d il ricorrente deve individuare in modo specifico e non equivoco gli atti stessi, in maniera da non costringere la corte a una lettura totale: si è inoltre chiarito che questo onere è soddisfatto mediante l'indicazione specifica degli atti insieme agli elementi utili alla loro reperibilità nel fascicolo, in modo da renderli più facilmente consultabili, evitando la completa trascrizione del ricorso stesso e contenendone così le dimensioni. Oggi va poi considerato il nuovo 165-bis disp. att., che al comma 2, nel prevedere gli adempimento della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato in caso di ricorso per cassazione, contempla un eventuale separato fascicolo, allegato al ricorso, ove è inserita copia degli atti specificamente indicati dal ricorrente ex 606 comma 1 lett. e. In secondo luogo, il ricorrente deve indicare specificamente il dato di fatto che emerge dal relativo atto e che appare incompatibile con la ricostruzione effettuata dalla sentenza; in terzo luogo è tenuto a chiarire le ragioni per cui l'atto compromette l'intero ragionamento svolto dal giudice, introducendo al suo interno profili di radicale incompatibilità, tali da vanificare o rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. Va infine notato che in base all'attuale testo del 606 la giurisprudenza ritiene censurabile mediante ricorso per cassazione il travisamento degli atti per invenzione o per omissione, mentre continua a negare che ci si possa dolere del travisamento delle risultanze probatorie, essendo precluso alla cassazione di sovrapporre la propria valutazione di dette risultanze a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. Sentenze conclusive del giudizio di cassazione: a) deliberazione e tipologia: Nel caso in cui il giudizio di cassazione si sia svolto in dibattimento, la sentenza è deliberata in camera di consiglio, per esigenze di maggior funzionalità, subito dopo il termine della pubblica udienza, salvo che, per la molteplicità o per l’importanza delle questioni da decidere, il presidente ritenga indispensabile differire la deliberazione ad altra udienza prossima (615). Per la deliberazione della sentenza si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dettate dal 527 per la deliberazione della sentenza di primo grado. Subito dopo la deliberazione, la sentenza viene pubblicata mediante lettura del dispositivo fatta dal presidente o da un consigliere da lui delegato, previa sottoscrizione dello stesso dispositivo da parte del presidente. 46 La motivazione della sentenza viene redatta dal presidente o da un consigliere da lui designato, osservando, in quanto applicabili, le disposizioni concernenti la redazione della sentenza di primo grado. Il legislatore ha tuttavia dettato alcune regole specifiche: oltre ai casi di enunciazione espressa del principio di diritto, va notato che nella sentenza i motivi del ricorso sono enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Qualora il presidente lo disponga, la corte di riunisce in camera di consiglio per la lettura e l’approvazione del testo della motivazione. Sulle proposte di rettifica, integrazione o cancellazione la corte delibera senza formalità: alla redazione del testo rettificato o integrato provvede la corte stessa in camera di consiglio o, quando ciò non è possibile, un consigliere, anche diverso da quello in precedenza designato per la redazione della motivazione (174 disp. att.). La sentenza sottoscritta dal presidente e dall’estensore è depositata in cancelleria non oltre il 30esimo giorno dalla deliberazione. Per la possibilità di rilevare di ufficio l’errore di fatto, entro 90 giorni dalla deliberazione. Quanto alla tipologia delle sentenze, il giudizio di cassazione si può concludere con sentenza di inammissibilità, di rigetto, di rettificazione o di annullamento: - La corte dichiara inammissibile il ricorso quando la causa d’inammissibilità non è stata preliminarmente dichiarata con ordinanza in camera di consiglio o senza formalità di procedura ex 610 comma 5-bis. Con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che l’ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento e inoltre al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma fino a 2065 euro come deterrente a ricorsi meramente dilatori. Ma questo pagamento non si verifica qualora la questione con il ricorso dedotta sia oggetto di contrasto al momento della sua proposizione, esulando ogni profilo di colpa in capo al ricorrente. - La corte pronuncia sentenza di rigetto quando il ricorso è infondato, non essendo stato accolto alcuno dei motivi proposti (615 comma 2): anche in questo caso la parte privata che ha proposto il ricorso è condannata al pagamento delle spese del procedimento, mentre solo eventualmente può essere condannata pure al pagamento della somma sopra indicata a favore della cassa delle ammende. Tanto in caso di rigetto quando di dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la cancelleria della corte trasmette gli atti e la copia del solo dispositivo al giudice che ha emesso la decisione impugnata. - La corte pronuncia sentenza di rettificazione nelle ipotesi contemplate dal 619. La prima ipotesi concerne gli errori di diritto nella motivazione e le erronee indicazioni di testi di legge: se tali errori non hanno avuto influenza sul dispositivo, la corte non annulla la sentenza, ma specifica le censure e le rettificazioni occorrenti (comma 1). La seconda ipotesi concerne gli errori nella denominazione o nel computo della pena: qui la corte non annulla la sentenza, ma si limita a rettificare la specie o la quantità della pena (comma 2). Con particolare riferimento al giudizio abbreviato, dove il giudice di merito è tenuto inderogabilmente a ridurre la pena determinata in concreto nella misura fissa di un terzo, la giurisprudenza ha deciso che, qualora la pena sia stata ridotta in misura inferiore, si verifica un errore di computo che la cassazione può rettificare senza dover pronunciare annullamento. Nel caso di errore invece nell’applicazione della pena su richiesta delle parti, bisogna limitarsi ad annullare la sentenza. Oggi il comma 1-bis del 130 inserito dalla legge 103 del 2017 consente al giudice che ha pronunciato la sentenza di patteggiamento di disporre anche d’ufficio la correzione quando si devono rettificare solo la specie o la quantità della pena per errore di denominazione o di computo. Se il provvedimento è impugnato, provvede la cassazione. La terza ipotesi di rettificazione è prevista nei casi di legge più favorevole all’imputato, anche se sopravvenuta dopo la proposizione del ricorso, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto (comma 3). L’individuazione della legge più favorevole non va operata in astratto, cioè con esclusivo raffronto tra la formulazione delle 47 Con riguardo al testo attuale della lett. l le sezioni unite sono state investite della questione se il presupposto per la rideterminazione della pena sia la mera possibilità di correggere la decisione, senza sostituire giudizi di merito, ovvero se, nell'ambito di parametri valutativi comunque accertati nella sentenza impugnata, la cassazione possa esercitare un potere discrezionale di rideterminazione del trattamento sanzionatorio: si è proceduto a una interpretazione ampia affermando che la corte pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all'esito di valutazioni discrezionali, può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando perciò necessari ulteriori accertamenti di fatto. Con riguardo alle statuizioni del giudice di merito quale parametro per le valutazioni della cassazione, le sezioni unite hanno ritenuto che tale parametro non vada riferito alla sola ipotesi di rideterminazione della pena, ma alla fattispecie della decisione senza rinvio nel suo complesso, affidando perciò al giudice di legittimità una deliberazione che costituisce il risultato di una valutazione discrezionale. Si tratta di una discrezionalità vincolata alle predette statuizioni, il cui significato va esteso fino a comprendere i passaggi argomentativi che sostengono le decisioni dei giudici di merito e gli accertamenti in fatto che li giustificano. In tutti i casi di annullamento senza rinvio, la cancelleria della cassazione trasmette gli atti e la copia della sentenza al giudice che ha emesso la decisione impugnata. Se, in seguito alla pronuncia, deve cessare una misura cautelare ovvero una pena accessoria o una misura di sicurezza, la cancelleria comunica immediatamente il dispositivo, per l’adozione dei necessari provvedimenti, al procuratore generale presso la corte stessa (626). Segue: c) annullamento con rinvio: Quando la cassazione non può concludere l’esame del ricorso con il solo giudizio rescindente, perché si rende necessario un giudizio di merito, deve annullare con rinvio, appunto, a un giudice di merito, che si occuperà della fase cosiddetta rescissoria, a conclusione della quale verrà emessa una nuova pronuncia, destinata a sostituire quella annullata dalla corte. Il 623 detta le regole per l’individuazione del giudice di rinvio, predeterminando, in attuazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, i criteri per la scelta del giudice stesso. Si distinguono le seguenti ipotesi di annullamento con rinvio: - Se è annullata un’ordinanza, la corte dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l’ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento. Si ritiene che il giudice di rinvio possa essere la stessa persona fisica che ha pronunciato l’ordinanza annullata dalla cassazione. Quanto all’obbligo in capo al giudice di rinvio di provvedere uniformandosi alla sentenza di annullamento, la ragione va rinvenuta nel fatto che il 627 comma 3 è collocato in un contesto nel quale oggetto dell’annullamento è una sentenza e non un’ordinanza, come nel 623 lett. a. - Se è annullata una sentenza di condanna nei casi previsti dal 604 commi 1, 4 e 5-bis, la corte dispone che gli atti siano trasmessi al giudice di primo grado. Se la nullità della sentenza di condanna di primo grado prevista dal 604 comma 1 non sia stata rilevata dal giudice di appello, la corte provvede all’annullamento, trasmettendo gli atti al giudice di primo grado, come sarebbe dovuto avvenire in grado di appello. Nell’ipotesi di cui al 604 comma 2, la corte provvede invece all’annullamento senza rinvio a norma del 620 lett. l, che le riconosce il potere di rideterminare la pena. La regola della trasmissione degli atti al giudice di primo grado vale ora anche nel caso previsto dal 604 comma 4 (sentenza di condanna nulla, in via derivata, per il verificarsi di una nullità assoluta o di una nullità a regime intermedio non sanata) e in quello contemplato dal 50 successivo comma 5-bis, in tema di procedimento in assenza dell’imputato. Il richiamo al 604 commi 4 e 5-bis, limitato all’annullamento di una sentenza di condanna, evidenzia una discrasia: infatti i suddetti commi del 604 si riferiscono genericamente alla sentenza, locuzione comprensiva anche delle sentenze di proscioglimento, categoria eterogenea rispetto alla quale può sussistere l’interesse dell’imputato alla trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Con specifico riguardo al 604 comma 4, inoltre, il richiamo alla sola sentenza di condanna esclude dalla previsione le ipotesi di nullità in via derivata del provvedimento che dispone il giudizio, nelle quali dovrebbe valere la regola generale del rinvio degli atti al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità. - Se è annullata la sentenza di una corte di assise di appello o di una corte di appello ovvero di una corte di assise o di un tribunale in composizione collegiale, il giudizio è rinviato rispettivamente a un’altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini: la vicinanza è determinata tenendo conto della distanza chilometrica ferroviaria. - Se è annullata la sentenza pronunciata da un tribunale monocratico, ovvero da un giudice per le indagini preliminari, la cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale, ma il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata. Con le lettere c ed e (le ultime due), il legislatore ha inteso uniformarsi all’incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento, stabilita dal 34 comma 1, e pertanto la violazione della regola non comporta nullità ma può essere fatta valere come motivo di ricusazione del giudice incompatibile. L’incompatibilità non sarebbe, però, ravvisabile qualora il giudizio di rinvio fosse espletato dalla medesima sezione (invece che da una diversa) composta da magistrati tutti diversi da quelli che avevano concorso a pronunciare la sentenza annullata. I casi elencati nel 623 non comprendono tutte le ipotesi di annullamento con rinvio. In tema di ricorso immediato per cassazione, il 569 comma 4, in deroga alla regola generale secondo cui giudice di rinvio è un giudice di grado pari a quello che ha emesso la sentenza annullata, stabilisce che, fuori dei casi in cui nel giudizio di appello si sarebbe dovuta annullare la sentenza di primo grado, la cassazione, quando pronuncia l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata per saltum, dispone che gli atti siano trasmessi al giudice competente per l’appello. In tutti i casi di annullamento con rinvio, la cancelleria della corte trasmette senza ritardo gli atti del processo con la copia della sentenza al giudice che deve procedere al nuovo giudizio (625). Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto: La corte costituzionale ha affermato che il principio della irrevocabilità ed incensurabilità delle decisioni della corte di cassazione, oltre a rispondere al fine di evitare la perpetuazione dei giudizi e di conseguire un accertamento definitivo, è pienamente conforme alla funzione di giudice ultimo della legittimità affidata alla corte medesima. Il suddetto principio appare ora derogato dal 625-bis, il cui comma 1 stabilisce che è ammessa, a favore del condannato, la richiesta per la correzione dell’errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla cassazione. 51 Tale richiesta è proposta dal procuratore generale o dal condannato con ricorso presentato alla cassazione entro 180 giorni dal deposito del provvedimento, e non ne sospende gli effetti; tuttavia, nei casi di eccezionale gravità, la corte provvede con ordinanza alla sospensione. Peraltro, l’errore materiale può essere rilevato dalla corte, di ufficio, in ogni momento: questa l’originaria formulazione del comma 3, modificato nel 2017 mediante l’aggiunta che tale rilevazione avviene senza formalità e che l’errore di fatto può essere rilevato dalla corte, di ufficio, entro 90 giorni dalla deliberazione. La semplificazione relativa all'errore materiale viene giustificata con il rilievo che la correzione si risolve comunque a favore del condannato; quanto all'errore di fatto, il potere di rilevazione ufficiosa potenza gli strumenti emendativi, sempre nell'ottica favorevole al ricorrente. Il termine alla corte è pari al triplo di quello previsto per il deposito della sentenza dal 617 comma 2 e decorre dalla deliberazione in quanto, proprio grazie alla consultazione degli atti per redigere la motivazione, la corte può accorgersi dell’errore di fatto in cui è incorsa: com’è evidente, la rilevazione dell’errore di fatto attribuita alla corte produce un effetto deflativo sulla presentazione del ricorso straordinario, nell’intento di ridurre l’impiego pretestuoso di un mezzo che si caratterizza invece come valvola di chiusura del sistema. Va comunque posto in risalto che il termine di 30 giorni dalla deliberazione stabilito per il deposito in cancelleria della sentenza ha natura ordinatoria: dunque, ora che la corte ha a disposizione 90 giorni dalla medesima deliberazione per rilevare il proprio eventuale errore percettivo, diverrà fisiologico che il termine di 30 giorni venga sistematicamente superato. Quando la richiesta è proposta fuori dell'ipotesi prevista dal comma 1 o, riguardando la correzione di un errore di fatto, fuori dal termine di 180 giorni, ovvero risulti manifestamente infondata, la corte anche d'ufficio ne dichiara con ordinanza l'inammissibilità; altrimenti procede in camera di consiglio a norma del 127 e se accoglie la richiesta adotta i provvedimenti necessari per correggere l’errore. Per quanto riguarda la legittimazione del condannato, secondo la cassazione può proporre ricorso straordinario anche chi, condannato al solo risarcimento dei danni in favore della parte civile, prospetti un errore di fatto nella decisione della cassazione relativa al capo concernente le statuizione civili: infatti, l'imputato in un processo dove è stata altresì esercitata l'azione civile deve beneficiare di una ontologica identità di diritti processuali sul piano penale e su quello civile, a meno che la legge distingua espressamente i due profili. Va considerato inoltre che se il danneggiato esercita l'azione in sede propria, l'errore di fatto è emendabile dal convenuto attraverso i rimedi previsti dal codice di rito civile: dunque, se si escludesse l'applicabilità del 625-bis all'imputato prosciolto per il capo penale, ma condannato per quello civile, si finirebbe per far dipendere l'emendabilità dell'errore di fatto occorso nel giudizio di cassazione dalla scelta del danneggiato di esercitare l’azione di danno in sede penale, con conseguenze irragionevoli sul piano del principio di uguaglianza. Si ritiene che la legittimazione spetta pure alla persona condannata nei confronti della quale sia stata pronunciata sentenza di annullamento con rinvio limitatamente ai profili attinenti alla determinazione del trattamento sanzionatorio. In base al concetto di formazione progressiva del giudicato, si considera passato in giudicato il punto relativo all'affermazione di responsabilità in ordine a una specifica ipotesi di reato, conseguendone che la posizione di imputato si trasforma in quella di condannato, anche se a pena ancora da determinare in via definitiva. 52 Un ulteriore limite ai poteri del giudice di rinvio può derivare dall’operatività del divieto di reformatio in peius: due le situazioni verificabili. La prima concerne l’ipotesi in cui la sentenza annullata fosse una sentenza emessa in grado di appello da un giudice vincolato dal divieto di reformatio in peius (avendo appellato il solo imputato): in tal caso, il giudice di appello di rinvio è certamente vincolato dal medesimo divieto, avendo gli stessi poteri del giudice che ha emanato la sentenza annullata, indipendentemente dal fatto che il ricorso sia stato proposto dal solo imputato o (anche) dal pm. La seconda situazione concerne l’ipotesi in cui la sentenza annullata fosse una sentenza emessa in grado di appello da un giudice non vincolato dal divieto in questione, avendo appellato pure il pm, e ricorrente fosse, invece, il solo imputato: anche a queste situazioni andrebbe applicato il divieto di reformatio in peius, considerato come un principio di portata generale operante pure nel giudizio di rinvio. Peraltro il suddetto divieto non opera nel giudizio di rinvio (di primo o di secondo grado) a seguito di annullamento pronunciato per nullità dell’atto introduttivo o per altra nullità assoluta o di carattere intermedio non sanata, che si sia propagata all’atto conclusivo del giudizio. Inoltre si stabilisce che non viola il divieto di reformatio in peius il giudice di rinvio che, individuata la sanzione più grave ai sensi del 81 comma 2 cp, in conformità a quanto stabilito nella sentenza della cassazione su ricorso del solo imputato, apporti per uno dei reati in continuazione un aumento maggiore rispetto a quello applicato dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore. Esistono infine dei limiti ai poteri del giudice di rinvio che provengono dalla pronuncia di annullamento. Il primo limite deriva dalla risoluzione delle questioni di diritto da parte della cassazione, il secondo limite è collegato all’eventualità di un annullamento parziale. Il 627 comma 3 stabilisce che il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa, e il 173 comma 2 disp. att. prescrive che nel caso di annullamento con rinvio, la sentenza della cassazione enuncia specificamente il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi. Per questione di diritto deve intendersi il principio interpretativo di diritto sostanziale o processuale fissato dalla cassazione, sulla cui base è stata annullata con rinvio la decisione oggetto del ricorso. Con riguardo agli effetti del dictum della corte, in caso di annullamento totale è utile distinguere le eventualità nelle quali la sentenza sia stata annullata per vizio di motivazione o per errores in procedendo da quelle in cui sia stata annullata per errores in iudicando. Quando la sentenza è stata totalmente annullata per vizio di motivazione, il giudice di rinvio può procedere a un completo riesame del materiale probatorio ma non può ripetere i vizi di motivazione adottando lo schema strutturale della motivazione annullata. Nell’ipotesi di annullamento per errores in procedendo, il giudice di rinvio ha ugualmente il potere di riesaminare il materiale probatorio ma non può ribadire l'errore che ha condotto all'annullamento: così ad esempio se la sentenza è stata annullata perché aveva tenuto conto di una prova inutilizzabile, il giudice di rinvio la dovrà ignorare, fermi restando i suoi poteri di rivalutazione dei fatti. Tuttavia, se per risolvere la questione di diritto la cassazione ha preliminarmente verificato la questione di fatto, ritenendola esattamente risolta, il giudice di rinvio è tenuto a uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza della corte anche con riguardo alla questione di fatto che ne costituisce il presupposto. 55 Nell’ipotesi di annullamento per errores in iudicando, di regola il giudice di rinvio è vincolato dalla valutazione dei fatti accertati nella sentenza annullata, ma conserva il potere di risolvere in modo diverso la questione di diritto, allorché muta l'accertamento del fatto che la cassazione ha considerato in via di ipotesi come premessa per risolvere la questione di diritto medesima. Un ulteriore aspetto da evidenziare sempre con riguardo all'annullamento totale, concerne l'operatività nel giudizio di rinvio del 129, che impone la declaratoria ex officio di determinate cause di non punibilità. Il 129 sarebbe applicabile nel giudizio di rinvio sia quando la declaratoria di non punibilità è subordinata alla risoluzione di una questione di fatto, sia quando la risoluzione di una questione di diritto rilevante ai fini del 129, implica indagini non esperibili dalla corte, mentre non sarebbe applicabile quando la corte di cassazione, pur in grado di risolvere la questione di diritto presupposto della declaratoria di non punibilità, non abbia operato tale declaratoria. Entro i limiti ora illustrati il giudice di rinvio è vincolato al dictum della corte di cassazione da cui non si può discostare neppure se, successivamente alla sentenza di annullamento, la giurisprudenza di legittimità anche a sezioni unite abbia modificato l'interpretazione delle norme che devono essere applicate. Si ritiene però che tale vincolo possa venire meno nel caso in cui dopo l'emanazione della decisione di annullamento, sopravvenga un provvedimento legislativo che dia alla legge una interpretazione autentica diversa rispetto a quella accolta dalla cassazione oppure qualora intervenga un'abrogazione legislativa o una declaratoria di illegittimità costituzionale. In questa ultima ipotesi lo stesso giudice di rinvio può sollevare la questione di legittimità costituzionale sul punto di diritto deciso dalla cassazione, perché il difetto di dubbio della corte stessa circa la legittimità costituzionale della norma non avrebbe un'efficacia positiva sull'accertamento di tale legittimità e quindi non vincolerebbe implicitamente il giudice di rinvio. Il secondo limite che può scaturire dalla sentenza di annullamento si verifica nell'ipotesi di annullamento parziale: il 624 stabilisce infatti che se l'annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata. Riguardo al significato da attribuire all'espressione “parti della sentenza” (si riferisce solo ai capi o anche ai punti?) le sezioni unite della cassazione si sono espresse più volte sul tema della cosiddetta formazione progressiva del giudicato, sempre in adesione alla tesi secondo cui il giudicato si forma anche sui punti della decisione. Il legislatore con l'espressione parti della sentenza ha inteso fare riferimento a qualsiasi statuizione avente autonomia giuridico-concettuale, e quindi non solo alle decisioni che concludono il giudizio in relazione a un determinato capo di imputazione, ma anche a quelle che, nell'ambito di una stessa contestazione, individuano aspetti non più suscettibili di riesame. Come si è detto in precedenza, il giudice di rinvio può conoscere anche le parti che hanno connessione essenziale con le parti annullate: una situazione di questo tipo si prospetta quando la parte annullata costituisca una premessa indispensabile rispetto a un'altra parte o statuizione, cosicché la parte non annullata si pone in tale concatenazione logica rispetto a quella annullata da esserne necessariamente dipendente per rapporto di causalità. È opportuna la previsione del 624 comma 2 secondo cui la corte di cassazione, quando occorre, dichiara nel dispositivo quali parti della sentenza diventano irrevocabili. 56 Segue: b) svolgimento del giudizio di rinvio e impugnazione della decisione conclusiva: A seguito dell’annullamento con rinvio, il processo riprende dal grado e dalla fase in cui versava prima che intervenisse il vizio che ha dato origine all’annullamento e dunque, il giudizio di rinvio si svolge, di regola, secondo le norme tipiche di tale grado e fase. Una volta ricevuti gli atti del processo con la copia della sentenza, il giudice di rinvio deve procedere alle attività di sua competenza: si ritiene che sia ammissibile la riunione dei giudici ex 17. Quanto alle citazioni, si stabilisce che l’annullamento pronunciato rispetto al ricorrente giova anche al non ricorrente, condannato con la sentenza annullata, salvo che il motivo dell'annullamento sia esclusivamente personale: per concretizzare tale effetto estensivo il giudice di rinvio deve citare l'imputato non ricorrente che può beneficiarne, cui viene riconosciuta la facoltà di intervenire nel giudizio. Si reputa che spetti alla cassazione, accogliendo il ricorso, dichiarare l'estensione dell'annullamento agli imputati non ricorrenti, ma, in caso di omessa declaratoria, può provvedere il giudice di rinvio, attivando se del caso, la procedura di cui al 624 comma 2; quanto agli obblighi del giudice di rinvio l'omessa citazione dell'imputato non ricorrente è nullità assoluta ex 179, salva la sanatoria di cui al 184. Dal punto di vista probatorio, è innovativa la disciplina del 627 comma 2 sulla cui base, se è annullata una sentenza di appello e le parti ne fanno richiesta, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per l'assunzione di prove rilevanti per la decisione. In tal modo mentre nel giudizio di appello di secondo grado il diritto alla prova è limitato, dato che, salvo si tratti di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice procede alla rinnovazione solo se non ritiene di poter decidere allo stato degli atti (attualmente, però, la rinnovazione è doverosa nell’ipotesi descritta dal 603 comma 3-bis), nel giudizio di appello di rinvio il giudice non può negare la rinnovazione adducendo appunto di essere in grado di decidere allo stato degli atti. In altri termini si è voluto evitare che il giudizio di rinvio si risolvesse, come accadeva in precedenza, in un giudizio esclusivamente cartolare. Il diritto delle parti alla rinnovazione stabilito dal 627 comma 2 funge da riequilibrio alla scelta limitativa operata dal legislatore con riguardo alla possibilità per la cassazione di applicare disposizioni più favorevoli, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto. Inoltre, dopo l’introduzione del comma 3-bis nel 603, emergono profili problematici nel raccordo tra quest’ultima disposizione e il 627 comma 2: infatti, una volta annullata con rinvio la sentenza di condanna emessa per la prima volta in appello, perché non è stata riassunta la prova dichiarativa diversamente valutata, appare ultroneo consentire senz’altro nel giudizio di appello di rinvio, a richiesta di parte, l’assunzione di altre prove ritenute rilevanti per la decisione. In ordine all’impugnazione della sentenza emessa dal giudice di rinvio, il 628 stabilisce che essa può essere impugnata con ricorso per cassazione, se pronunciata in grado di appello, e con il mezzo previsto dalla legge se pronunciata in primo grado. In sostanza, il legislatore ha scelto come criterio per determinare il regime d’impugnazione il grado in cui la sentenza medesima è stata emanata. Ai sensi del 628 comma 2, la sentenza del giudice di rinvio può essere impugnata soltanto per motivi non riguardanti i punti già decisi dalla cassazione ovvero per inosservanza della disposizione del 627 comma 3, che stabilisce il dovere per il giudice di rinvio di uniformarsi alla sentenza della cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa. 57 Quanto alle prove preesistenti si afferma che possono sostenere la richiesta di revisione quando non sono state acquisite al processo per le ragioni più svariate: o, appunto, perché sconosciute alla parte o perché conosciute ma non dedotte, magari per dolo o colpa grave, o perché conoscibili, ma non conosciute per negligenza. Da sottolineare che ciò che sarebbe inammissibile è la esclusiva diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio, ma non la rivalutazione insieme a quelle nuove di cui alla lettera c. Più delicati quesiti suscita il ricomprendere nel concetto di nuove prove le prove acquisite al processo ma non valutate dal giudice: al di la delle favorevoli opinioni dottrinali, anche la giurisprudenza inizialmente era giunta ad affermare che devono considerarsi nuovi quegli elementi di prova che, quand’anche già risultanti dagli atti, non furono conosciuto e valutati dal giudice per omessa deduzione delle parti ovvero per mancato uso dei poteri d’ufficio. Le sezioni unite dopo qualche incertezza sono pervenute ad affermare che possono assumere rilievo nel giudizio di revisione quelle prove, acquisite o non acquisite, le quali, non essendo state valutate, entrano a comporre il novum: infatti proprio dal 630 lett. c emerge il rapporto di complementarietà tra la prova nuova e la prova non valutata, nel senso che la mancata valutazione della prova costituisce il limite invalicabile alla ammissibilità del giudizio di revisione. In sostanza il concetto di prova nuova va ricostruito sotto il duplice profilo strutturale e teleologico: da un lato, il richiamo alla valutazione della prova instaura un raccordo con il procedimento gnoseologico esternato nella motivazione della sentenza di cui si chiede la revisione, cosicché se la prova non è stata valutata dal giudice deve qualificarsi senz’altro come nuova; dall’altro l’attuale ampliamento degli epiloghi della revisione implica l’utilizzo di tutti gli strumenti volti a infrangere la capacità di resistenza del giudicato; non rileva infine che la mancata valutazione della prova sia ricollegabile al comportamento della parte, poiché quest’ultimo produce conseguenze solo sul piano del diritto alla riparazione. Si è poi affermato che in caso di richiesta basata sulla sopravvenienza o scoperta di nuove prove, l’inammissibilità di alcune di esse per l’assenza del requisito della novità non compromette necessariamente il giudizio di ammissibilità della revisione, a meno che la prova non contrassegnata dal requisito della novità condizioni, per la sua valenza esponenziale o per la interdipendenza rispetto agli altri elementi di prova caratterizzati dalla novità, l’intera domanda di revisione. d) Se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto preveduto dalla legge come reato. Le ipotesi di falsità in atti o in giudizio possono essere costituite dalla falsità di documenti, dalla calunnia, dalla falsa testimonianza, dalla falsa perizia o interpretazione, dalla frode processuale, dal patrocinio infedele, mentre l’altro fatto preveduto dalla legge come reato dovrà essere costituito da un fatto al quale possa essere rapportata la pronuncia della sentenza di condanna, come ad esempio la subornazione di testimoni, la corruzione del giudice, l’abuso di ufficio. 60 Venendo ai limiti della revisione, gli elementi in base ai quali viene richiesta devono in ogni caso, a pena d’inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531 (631), che, rispettivamente, concernono le sentenze di non doversi procedere per mancanza di una condizione di procedibilità, le sentenze di assoluzione e le sentenze di non doversi procedere per estinzione del reato, pronunciate in esito alla fase dibattimentale. Poiché il 529 e 530 impongono al giudice di pronunciare sentenza di proscioglimento anche quando sia insufficiente o contraddittoria la prova rispettivamente richiesta ai relativi fini e il 530 comma 3 e 531 comma 2 anche quando la prova sia dubbia, deve ritenersi che altresì con riguardo alla richiesta di revisione gli elementi a sostegno possano essere tali da rendere insufficiente, contraddittoria o dubbia la piattaforma probatoria. Ne deriva insomma che la valutazione di ammissibilità della richiesta di revisione spazia in un ambito esteso, grazie alle regole di giudizio esplicitate nel 529, 530 e 531. Tuttavia con riguardo alla sentenza di patteggiamento, gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono dimostrare che il soggetto cui è stata applicata la pena concordata deve essere prosciolto per la presenza di una delle cause elencate nel 129. (Ciò afferma la giurisprudenza), ma la dottrina dice che nel caso di prove sopravvenute o scoperte successivamente alla pronuncia della sentenza patteggiata, la richiesta di revisione concreta una revoca del precedente accordo fra le parti, rendendo pertanto applicabili le ordinarie regole di giudizio stabilite per la fase dibattimentale. “Revisione europea” e regole peculiari: Come detto, una pronuncia della corte costituzionale ha introdotto nel 630 un ulteriore e diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi del 46 Cedu, per conformarsi ad una sentenza definitiva della corte europea dei diritti dell’uomo. La problematica si ricollega all’assenza di una disciplina interna volta ad attuare il 46 Cedu, che impegna gli stati contraenti a conformarsi alle sentenze definitive della corte europea per le controversie di cui sono parte. Dato che solo l’avvenuto esaurimento dei rimedi interni legittima il ricorso alla corte di Strasburgo, quest’ultima si pronuncia su vicende ormai definite sul piano nazionale con decisione irrevocabile: ne consegue che conformarsi alle sue sentenze definitive implica rimettere in discussione il giudicato interno già formatosi. Va inoltre considerato che quando al corte europea constata una violazione, lo stato convenuto ha non solo l’obbligo giuridico di versare all’interessato le somme attribuite a titolo di equa soddisfazione, ma anche quello di adottare le misure generali e/o individuali necessarie: la finalità delle misure individuali è ravvisata dalla corte nella restitutio in integrum a favore dell’interessato. Con specifico riguardo alle violazioni relative allo svolgimento del processo penale, il meccanismo più idoneo a realizzare tale restituzione è costituito da un nuovo processo o dalla riapertura del procedimento su domanda dell’interessato. 61 La giurisprudenza della corte costituzionale a partire dalle sentenze 348 e 349 del 2007, ritiene che le norme Cedu, nel significato loro attribuito dalla corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare a esse interpretazione e applicazione, integrino, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dal 117 comma 1 Cost., nella parte in cui impone che la legislazione interna si conformi agli obblighi internazionali. Da questa angolatura, qualora il giudice comune ravvisi un contrasto fra una norma interna e la Cedu deve innanzitutto verificare se sia adottabile una interpretazione della prima in senso conforme alla seconda: la sentenza costituzionale 49 del 2015 ha peraltro precisato che il giudice è tenuto a uniformarsi alla giurisprudenza europea solo se espressione di un diritto consolidato. Se il contrasto non è superabile attraverso l’impiego degli strumenti ermeneutici, il giudice non può disapplicare la norma interna me deve sollevare questione di legittimità costituzionale, spettando ai giudici delle leggi controllare se la norma convenzionale, nell’interpretazione consolidata della corte di Strasburgo, si ponga eccezionalmente in conflitto con altre norme della costituzione e non sia dunque idonea a integrare il ricordato parametro. Pervenuta, a livello dispositivo, a una sentenza additiva di principio, la corte costituzionale, avendo ben chiara la disomogeneità fra i casi classici di revisione (che lo raffigurano come strumento volto a comporre il dissidio tra la verità processuale consacrata dal giudicato e la verità storica risultante da elementi fattuali esterni al giudicato stesso) a quello introdotto dalla propria pronuncia, si è impegnata, nella motivazione, a indicare alcune regole applicabili al caso di nuovo conio, tanto da far parlare in dottrina di una sentenza “additiva di istituto”. La corte ha precisato che la riapertura del processo andrà valutata, oltre che in riferimento alla natura oggettiva della violazione accertata, tenendo conto delle indicazioni contenute nella sentenza della corte europea, nonché nella sentenza interpretativa eventualmente chiesta a quest’ultima dal comitato dei ministri, a norma del 46 comma 3 Cedu. Ha poi prefigurato il dovere per il giudice di procedere a un vaglio di compatibilità delle singole disposizioni relative al giudizio di revisione. Saranno dunque inapplicabili le disposizioni che appaiano inconciliabili, sul piano logico-giuridico, con l’obiettivo perseguito, cioè la restitutio in integrum dell’interessato: in primo luogo rimarrà inoperante la condizione di ammissibilità, basata sulla prognosi assolutoria, indicata nel 631, posto che rimediare all’iniquità di un processo non implica necessariamente un esito assolutorio. Inoltre, saranno da ritenere inapplicabili, nei congrui casi, le previsioni del 637 commi 2 e 3, in base alle quali l’accoglimento della richiesta di revisione comporta senz’altro il proscioglimento dell’interessato, che il giudice non può pronunciare esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio. La corte ha osservato anche che la nuova ipotesi di revisione, comportando una deroga al principio secondo cui i vizi processuali restano coperti dal giudicato, impone al giudice di valutare come le cause della non equità del processo rilevante dalla corte europea si debbano tradurre, appunto, in vizi degli atti processuali alla stregua del diritto interno, adottando nel nuovo giudizio tutti i conseguenti provvedimenti per eliminarli. 62 La corte di appello può disporre in qualunque momento la sospensione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, applicando, se del caso, una delle misure coercitive previste dal 281, 282, 283 e 284, con ordinanza passibile di revoca per inosservanza della misura adottata: nel qual caso riprende l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza sospesa. Le ordinanze in materia sono ricorribili per cassazione dal pm e dal condannato (imputato). Il 636 comma 2 stabilisce poi che si osservano le disposizioni relative agli atti preliminari al giudizio e al dibattimento di primo grado, in quanto applicabili e nei limiti delle ragioni indicate nella richiesta di revisione. Una particolarità procedimentale concerne infine la nomina, da parte del presidente della corte di appello, di un curatore chiamato a esercitare i diritto che sarebbero spettati al condannato, qualora questi sia deceduto dopo la presentazione della richiesta di revisione. La sentenza di rigetto o di accoglimento: La disciplina relativa al giudizio di primo grado si applica altresì per la deliberazione della sentenza, valendo gli articoli 525-528. L’epilogo può essere di rigetto o di accoglimento della richiesta di revisione, salva l’ipotesi di sentenza dichiarativa dell’inammissibilità. In caso di rigetto della richiesta il giudice condanna la parte privata che l’ha proposta al pagamento delle spese processuali e se era stata disposta la sospensione della pena o della misura di sicurezza, dispone che tale esecuzione venga ripresa. In caso di accoglimento della richiesta il giudice revoca la sentenza di condanna e pronuncia proscioglimento, indicandone la causa nel dispositivo. Da osservare che nel caso di cui alla lettera a (conflitto teorico di giudicati) l’incompatibilità storica delle decisioni comporta un nuovo giudizio, con possibili pronunce assolutorie fondate sullo stesso materiale; nel caso di cui al 630 lettera b (revoca della decisione civile pregiudiziale), caduta la pregiudiziale sfavorevole, il proscioglimento si fonda sul materiale pregresso; nel caso di cui alla lettera d (condanna penalmente inquinata), la soluzione proscioglitiva può essere fondata sul materiale antecedente. Per l’inapplicabilità del 637 commi 2 e 3 al caso di revisione europea. L’accoglimento della richiesta di revisione comporta, anche nel caso in cui il condannato sia morto dopo la presentazione della richiesta, la restituzione delle somme pagate in esecuzione della condanna per le pene pecuniarie, per le misure di sicurezza patrimoniali, per le spese processuali e di mantenimento in carcere e per il risarcimento dei danni a favore della parte civile, a condizione che questa sia stata citata per il giudizio di revisione, nonché la restituzione delle cose confiscate, eccettuate quelle previste dal 240 comma 2 n 2 cp. (639). A tutela del proprio onore il prosciolto può chiedere che la sentenza sia affissa per estratto nel comune in cui era stata pronunciata la sentenza di condanna e che l’estratto della sentenza sia pubblicato su un giornale indicato nella richiesta. Infine all’accoglimento della richiesta di revisione vanno ricollegate le disposizioni che disciplinano la riparazione dell’errore giudiziario. Le sentenze conclusive del giudizio di revisione sono impugnabili mediante ricorso per cassazione (640): legittimati al ricorso sono gli stessi soggetti legittimati alla richiesta, che abbiano in concreto proposto la richiesta medesima, e ai sensi del 568 comma 3 le parti presenti nel giudizio di revisione. La corte di cassazione giudica e in caso di accoglimento del ricorso, il giudizio è rinviato a un’altra sezione della corte di appello o alla corte di appello più vicina. 65 In sede di ricorso avverso una sentenza pronunciata all’esito del giudizio di revisione, la cassazione può accedere agli atti processuali al fine di operare una verifica dei presupposti di ammissibilità del giudizio di revisione, senza che un tale accesso comporti tuttavia una verifica ab intrinseco, restando il controllo di legittimità sempre e comunque circoscritto negli ambiti indicati dal 606 comma 1 lett. e. Il documento su cui il controllo viene a incentrarsi è la sentenza pronunciata nel giudizio di revisione, in modo da verificare se siano state osservate le regole procedimentali che disciplinano la motivazione in fatto. Dopo la riformulazione del 606 comma 1 lett. e, peraltro, il ricorso per cassazione avverso le sentenze conclusive del giudizio di revisione potrà essere proposto anche quando il vizio di motivazione risulti da “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi” di ricorso. L’ordinanza che dichiara inammissibile la richiesta di revisione o la sentenza che la rigetta non pregiudicano il diritto di presentare una nuova richiesta fondata su elementi diversi (641). Qualora poi la prima richiesta di revisione sia stata dichiarata inammissibile per vizi di forma, si considera ammissibile una nuova richiesta fondata sugli stessi elementi ma non più viziata sul lato formale. La rescissione del giudicato: Il comma 1 del 629-bis prevede che il condannato o il sottoposto a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato (nell’ipotesi di misura di sicurezza può trattarsi altresì di un giudicato di proscioglimento), nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo, possa ottenere la rescissione del giudicato, qualora provi che l’assenza è stata dovuta a una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo. Qui non viene richiamata, a differenza di quanto previsto dal 420-bis comma 4, la situazione nella quale il condannato dimostri che versava nell’assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento e che la prova di tale impedimento è pervenuta con ritardo senza sua colpa. Ai sensi del comma 2 del 629-bis la richiesta è presentata alla corte di appello nel cui distretto ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento, a pena d’inammissibilità, personalmente dall’interessato o da un difensore munito di procura speciale, autenticata nelle forme previste dal 583 comma 3, entro 30 giorni dal momento dell’avvenuta conoscenza del procedimento. La corte di appello provvede ai sensi del 127, cioè in udienza camerale cosiddetta partecipata. La previsione è apprezzabile perché tutela il contraddittorio e nel contempo persegue esigenze di efficienza. Se accoglie la richiesta la corte revoca la sentenza e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado: in questo ultimo giudizio si applica il 489 comma 2 e quindi l’imputato è rimesso nel termine per formulare la richiesta di giudizio abbreviato o di patteggiamento. Anche in tale eventualità il condannato o il sottoposto a misura di sicurezza, che riassumerà la qualità di imputato, si vede riconosciuto il diritto alla nuova celebrazione del giudizio di primo grado, a patto che riesca a provare il carattere incolpevole della sua assenza per tutta la durata del processo. Infine a norma del 629-bis comma 4, al procedimento per la rescissione del giudicato si applicano il 635 e 640, dettati per la revisione: da una parte quindi la corte di appello può in qualunque momento disporre con ordinanza la sospensione della pena o della misura di sicurezza, stabilendo se del caso una delle misure coercitive previste dal 281, 282, 283 e 284; dall’altra la sentenza è ricorribile per cassazione. 66 Non è stata considerata l’evenienza in cui la corte di appello pronunci ordinanza d’inammissibilità della richiesta di rescissione, mentre, nella corrispondente ipotesi di revisione provvede il 634 comma 2, stabilendo la possibilità di ricorso. La lacuna potrebbe venire colmata reputando applicabile il 127 commi 7 e 9 (a norma dei quali la suddetta ordinanza, adottata anche senza formalità di procedura, è ricorribile) oppure la disposizione generale contenuta nel 591 comma 3 (secondo cui l’ordinanza d’inammissibilità è soggetta a ricorso per cassazione). ——— 67 Quando non sono previsti mezzi di impugnazione (diversi dalla revisione), o sono spirati i termini per attivare i reclami ammessi (compresa l’opposizione al decreto penale), ovvero ancora non è impugnata l’ordinanza che dichiara inammissibile il reclamo proposto (o, per il ricorso per cassazione, è pronunciata l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso), la sentenza emessa in giudizio (come il decreto penale di condanna) diviene irrevocabile (648), e dunque eseguibile (650 comma 1); allo stesso modo, le sentenze di non luogo a procedere hanno forza esecutiva quando non sono più soggette a impugnazione (650 comma 2). Effetto preclusivo del giudicato: il divieto di un secondo giudizio: L’effetto tipico della res iudicata è quello di precludere la possibilità che nei confronti del soggetto giudicato possa nuovamente instaurarsi un procedimento penale per lo stesso fatto: ne bis in idem. Il 649 comma 1 dispone in tal senso che l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dal 69 comma 2 e dal 345. La regola opera sul piano processuale e ha una portata diversa rispetto a quella del 15 cp, per cui nessuno può essere punito più volte per uno stesso fatto regolato da più norme penali; precisazione che evidentemente non verrebbe da sola ad impedire il moltiplicarsi dei giudizi in eadem re a carico dell’assolto, ma neppure, a ben vedere, la reiterazione delle condanne, purché la pena inflitta con la prima decisione venisse scomputava da quella irrogata successivamente. Va inoltre osservato che il 649, nel vietare la ripetizione del giudizio, non prescrive al giudice di uniformarsi all’accertamento contenuto nella decisione irrevocabile; la norma non configura il giudicato penale in termini analoghi a quelli stabiliti per il giudicato civile dal 2909 cc (“l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto fra le parti, i loro eredi o aventi causa”), ma si limita a precludere una nuova persecuzione penale della stessa persona per lo stesso fatto. Si tratta insomma di una garanzia ad personam, che assicura la certezza del diritto in senso meramente soggettivo: nulla vieta infatti al giudice penale di riconsiderare l’idem factum, ad esempio, ai fini della prova di un diverso reato, od in relazione alla posizione di altri imputati. È la decisione divenuta irrevocabile (sentenza di proscioglimento o di condanna o decreto penale di condanna) a determinare il divieto di un secondo giudizio. Appartengono senz’altro a questo ambito la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, quella pronunciata in esito al giudizio abbreviato e quella pre-dibattimentale di proscioglimento ex 469. È viceversa con tutta evidenza estraneo all’ambito di applicazione del 649 il provvedimento di archiviazione, la cui adozione non costituisce affatto una decisione sull’azione penale, e non impedisce che nei confronti della stessa persona possano in seguito essere svolte per lo stesso fatto nuove indagini e venga formulata l’imputazione. Diversa considerazione meriterebbe invece la pronuncia di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex 411: in questi casi infatti la declaratoria di non punibilità ha carattere definitivo e preclude una nuova iniziativa del pubblico ministero per il medesimo fatto, dovendosi ritenere perfezionata la scelta punitiva dello Stato. 70 Meno immediata è la risposta a proposito della sentenza di non luogo a procedere: se è vero che si tratta di una decisione priva della caratteristica della irrevocabilità, è altrettanto innegabile che la sentenza di proscioglimento emessa nell'udienza preliminare risulta idonea a dispiegare un'efficacia preclusiva, quantomeno, allo stato degli atti, vale a dire sino a che non ne sia disposta la revoca; l’eventuale nuovo procedimento iniziato in mancanza dell’ordinanza ex 436, dovrebbe dunque chiudersi a norma del 649 comma 2, ossia con sentenza dichiarativa dell’improcedibilità dell’azione. Non mancano, del resto, situazioni in cui la sentenza di non luogo a procedere ha carattere definitivo: si pensi al riconoscimento dell’intervenuta estinzione del reato, di fronte al quale spesso non risulta neppure ipotizzabile la sopravvenienza dei presupposti per la revoca. Resta comunque il fatto che di fronte al contrasto tra una sentenza di non luogo a procedere ed una (anche successiva) sentenza di condanna, pronunciata in giudizio sullo stesso fatto e nei confronti della stessa persona, il codice prescrive la revoca della prima, dando prova di ritenerla una decisione congenitamente debole. L’effetto preclusivo a favore del prosciolto o condannato opera con riferimento al medesimo fatto. Per espressa previsione del 649 comma 1 il divieto non può essere aggirato attribuendo al fatto una diversa qualificazione giuridica o configurandolo diversamente quanto all’elemento soggettivo: il mutamento del titolo infatti non fa venire meno lo sbarramento ad un secondo giudizio. E si procederebbe per il medesimo fatto, ricadente sotto diversi titoli, se si imputasse in tempi successivi alla stessa persona un reato in concorso formale eterogeneo (stessa azione che configura plurime violazioni della legge penale), rispetto ad altro già giudicato. Allo stesso modo, il ne bis in idem non cade con il variare del grado (ad esempio ipotizzando consumato il reato già giudicato come reato tentato, od imputando il reato di lesioni personali a chi abbia subito, per lo stesso episodio, un processo per percosse) o la considerazione di circostanze, aggravanti od attenuanti, prima non ritenute ricorrenti. Ciò che rileva, in definitiva, è il nucleo storico del fatto, ossia l’identità tra le fattispecie prese in considerazione nei diversi giudizi dal punto di vista della condotta, e, nel caso dei reati cosiddetti materiali, dell’oggetto fisico su cui la condotta è caduta; non occorre cioè la corrispondenza di tutti gli elementi costitutivi del reato per poter considerare un fatto, dal punto di vista che qui rileva, “medesimo” rispetto ad un altro già oggetto di giudizio. Nessuna preclusione invece ad un nuovo giudizio per lo stesso fatto nei confronti della medesima persona nei due casi espressamente indicati nell'ultima parte del 649, rispettivamente previsti dal 69 comma 2 e dal 345. La prima disposizione richiamata disciplina l'ipotesi della sentenza ex 129 adottata sul presupposto della morte dell'imputato: sentenza che non impedisce l'esercizio dell'azione penale per il medesimo fatto e contro la medesima persona, qualora successivamente si accerti che la morte dell'imputato è stata erroneamente dichiarata. La seconda norma dispone analogamente a proposito della sopravvenienza di una condizione di procedibilità la cui mancanza aveva in precedenza giustificato il proscioglimento. Segue: i rimedi alla violazione del divieto di un secondo giudizio: Quid iuris se, nonostante il divieto di bis in idem, venisse di nuovo iniziato un procedimento penale nei confronti del soggetto già giudicato? Il 649 comma 2 provvede per questa eventualità, statuendo che, al riscontro del precedente giudicato, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo. 71 La sussistenza della situazione impeditiva andrà naturalmente accertata e valutata secondo i consueti canoni di giudizio valevoli nel processo penale (anche solo il dubbio plausibile giustificherà dunque il proscioglimento). Quanto al tipo di provvedimento adottabile, sembra rilevare il momento in cui si dichiara l’esistenza del fattore preclusivo: non luogo a procedere nell’udienza preliminare, proscioglimento con la formula del non doversi procedere in dibattimento. In ogni caso infatti si tratterà di una dichiarazione di improcedibilità della nuova azione intrapresa in violazione del divieto. La regola appena vista subisce un’eccezione nel giudizio in cassazione: il 621, con riferimento alla situazione descritta dal 620 comma 1 lett. h (se vi è contraddizione tra la sentenza o l’ordinanza impugnata e un’altra anteriore concernente la stessa persona e il medesimo oggetto, pronunciata dallo stesso o da un altro giudice penale), stabilisce infatti che la corte ordina l’esecuzione della prima sentenza o ordinanza, ma, se si tratta di una sentenza di condanna, ordina l’esecuzione della sentenza che ha inflitto la condanna meno grave determinata a norma del 669, annullando quindi senza rinvio il provvedimento più sfavorevole e lasciando in vita l’altro, fosse anche quello adottato in violazione del divieto di bis in idem. Analogo rimedio improntato al favor rei è previsto in fase esecutiva per risolvere il conflitto pratico di giudicati: l'inosservanza della prescrizione di cui al 649 che non trovi tempestiva risoluzione nella dichiarazione di improcedibilità del secondo giudizio, porta infatti alla coesistenza di una pluralità di decisioni definitive pronunciate sul medesimo fatto nei confronti della stessa persona. Di fronte a questa evenienza patologica, la rigorosa applicazione del ne bis in idem imporrebbe di dare esecuzione al primo provvedimento divenuto irrevocabile, e di revocare tutti quelli adottati successivamente in violazione del divieto. La scelta delle legislatore è stata invece diversa: il 669 prevede che il giudice disponga la revoca della res iudicata meno favorevole. Tra più sentenze di condanna divenute irrevocabili, viene dunque ordinata l'esecuzione di quella che ha irrogato la pena meno grave, seguendo i criteri dettati nei commi 3 e 4 per l’individuazione della sentenza più favorevole; solo a parità di trattamento sanzionatorio viene eseguita la sentenza di condanna divenuta irrevocabile per prima. Analogamente per il caso di concorrenza tra più sentenze di non luogo a procedere o di proscioglimento: il giudice ordina l’esecuzione di quella più favorevole, ovvero anche qui, di quella eventualmente indicata dall’interessato (669 comma 7). Ove il conflitto si ponga tra provvedimenti disomogenei, vale ancora il medesimo principio di favore, quando si tratti di decisioni irrevocabili: tra proscioglimento e condanna, prevale il primo (salvo il caso in cui il proscioglimento è stato pronunciato per estinzione del reato verificatasi successivamente alla data in cui è divenuta irrevocabile la decisione di condanna). La sentenza di non luogo a procedere invece, ancorché divenuta definitiva per prima, viene revocata di fronte alla sentenza di condanna pronunciata in giudizio (compresa quella ex 444) ed al decreto penale (669 comma 9). La decisione che risolve il conflitto è emessa dal giudice al termine del procedimento incidentale ex 666. Effetti extra-penali del giudicato: Nel vigore dell’abrogato codice dominava l'idea che il giudizio penale dovesse produrre risultati valevoli in qualsiasi altra sede, nella convinzione dell’indiscutibilità della verità ricostruita nel processo ed in ossequio al principio dell'unità della funzione giurisdizionale e del primato di quella penale, esercitata nell’interessa della collettività, oltre che del singolo leso dal reato. 72
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