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Riassunto "Compendio di procedura penale", CONSO-GREVI, Sintesi del corso di Diritto Processuale Penale

Riassunto dettagliato, paragrafo per paragrafo. Capitoli I-VII.

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

In vendita dal 29/02/2016

giulia199233
giulia199233 🇮🇹

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Scarica Riassunto "Compendio di procedura penale", CONSO-GREVI e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! COMPENDIO DI PROCEDURA PENALE Conso, Grevi e Bargis CAPITOLO I: I SOGGETTI 1. Premessa La distanza del c.p.p del 1988, ispirato al modello accusatorio, dal codice previgente, ancorato ad un processo avente come baricentro la fase dell'istruzione, si misura sul piano sistematico. Una conferma di ció si può trarre dal libro iniziale del codice (il primo della parte statica, libri I-IV, che si contrappone alla parte dinamica, libri V-XI), che si occupa del progressivo sviluppo della vicenda processuale a partire dall'acquisizione della notizia di reato. Mentre nel codice abrogato, il libro I, disciplinava le anzitutto le azioni, dando precedenza all'azione penale, il libro I del codice vigente, relativo ai soggetti, si apre con il titolo dedicato al giudice -> scelta che mette in risalto la centralità della giurisdizione in un processo concepito come sistema di garanzie. Il libro I comprende 6 libri: 1. Pubblico ministero; 2. Polizia giudiziaria; 3. Imputato; 4. Parte civile con il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria; 5. Persona offesa dal reato; 6. Difensore. Restano esclusi alcuni soggetti che compaiono sulla scena processuale: sia i c.d ausiliari del giudice e il pubblico ministero e sia altre figure (es* perito, testimone) che forniscono apporti importanti per la decisione conclusiva del processo. E' opportuno, infine, distinguere, anche in considerazione della differente ampiezza dei poteri che in molti casi si ricollega a questa distinzione, tra «soggetto» e «parte». "Parte" è chi vanta il diritto ad una decisione giurisdizionale in rapporto ad una pretesa fatta valere nel processo; quindi ne consegue che la qualifica di parte non spetta a tutti i soggetti elencati nel libro I del codice. Dev'essere escluso il giudice, visto che il suo ruolo istituzionale esige, come requisito, quello dell'imparzialità. Neppure la polizia giudiziaria, la persona offesa e il difensore assumono la qualifica di parte, che, invece, compete ai rimanenti soggetti elencati nel libro I. 2. La giurisdizione penale. In sintonia con il disposto dell'art. 102 comma 1° Cost., che attribuisce la funzione giurisdizionale a «magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario», l'art. 1 riserva l'esercizio della giurisdizione penale ai «giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario». -> quindi solo il giudice, e non qualsiasi magistrato (quindi, non il pubblico ministero), può essere titolare di funzioni giurisdizionali penali. La qualità di giudice deriva da un atto di investitura di potere regolato dalla legge, e precisamente (art. 1) dalle leggi di ordinamento giudiziario. Non può sfuggire lo stretto raccordo intercorrente tra la normativa ordinamentale e quella codicistica, se è vero che il valido esercizio della funzione giurisdizionale risulta fortemente condizionato dalla ritualità dell'investitura -> art. 178: «è sempre prescritta a pena di nullità [assoluta] l'osservanza delle disposizioni concernenti: a) le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario». A tal riguardo, l’art. 33, prevedere che le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi giudicanti sono stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario. Tuttavia la portata di questo enunciato normativo viene ad essere circoscritta dai due commi successivi, che individuano una serie di ipotesi esorbitanti dal raggio d'azione ex art. 178 co. 1 lett.a. Art. 33 co. 2 -> "Non vengono considerate attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla «destinazione agli uffici», sulla «formazione dei collegi» e «sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici». I motivi di opportunità all'origine di tale disposizione sono: *difficoltà di costruire una disciplina di individuazione del giudice del processo tanto rigorosa da eliminare qualsiasi discrezionalità in capo ad organi amministrativi-giudiziari; *complicazioni che graverebbero sul processo se si prevedesse la sanzione di nullità assoluta anche per questioni (es* promozioni dei magistrati) sottoponibili al sindacato degli organi amministrativi. Per quanto riguarda l'ultima categoria menzionata dall'art. 33 co. 2, si tratta di questione non tanto inerente la capacità del giudice, quanto alla distribuzione delle cause tra giudici legittimati all'esercizio della funzione giurisdizionale -> art. 7 ter ord.giud.: garantisce risultati di trasparenza in tale settore -> "l'assegnazione degli affari è operata dal dirigente dell'ufficio alle singole sezioni e dal presidente della sezione ai singoli collegi o giudici sulla base di criteri obiettivi e predeterminati, indicati dal Csm. In caso di revoca di un'assegnazione, copia del relativo provvedimento motivato deve essere comunicata al presidente della sezione o al magistrato interessato". Anche per quanto concerne le disposizioni relative alla formazione dei collegi viene ribadita una non puntuale pertinenza rispetto al requisito della capacità del giudice. In tale categoria non rientrano le disposizioni inerenti al numero dei giudici necessari per costituire il collegio, la cui violazione è sanzionata con una nullità assoluta (art. 179 comma 1°); la locuzione in esame sembra riguardare: a) le disposizioni che regolano la composizione dell'organo giudicante nel caso di assegnazione di un numero di giudici superiore rispetto a quello necessario per costituire l'ufficio; b) le disposizioni relative alle «supplenze» e alle «applicazioni». Per quanto attiene infine alle disposizioni sulla destinazione del giudice all'ufficio (es* trasferimento o assegnazione di nuove funzioni giudicanti) esse sono riconducibili al concetto di capacità; quindi, l'aver sancito l'irrilevanza della loro violazione fa sorgere l'interrogativo circa la consistenza di ciò che residua. Quindi, l'unico attributo rilevante ai fini di un'eventuale incapacità del giudice sembra essere quello della qualifica richiesta per l'esercizio delle funzioni giudiziarie che è chiamato a svolgere: il vizio consistente in un difetto di qualifica da origine, quindi, ad una nullità assoluta. Nel caso in cui un soggetto non è investito del potere giurisdizionale, ad es* nel mancato conferimento delle funzioni giudiziarie, è prevista l'inesistenza degli atti posti in essere da colui che è un non-iudex. Art. 33 co. 3 -> è una disposizione collegata alla riforma relativa all'istituzione del giudice unico di primo grado; tale riforma trae le sue origini dalla l. 254/97, che ha delato il governo ad emanare una normativa idonea a realizzare una razionale distribuzione delle competenze degli uffici giudiziari. Innanzitutto è stato soppresso l'ufficio del pretore ed al contempo attribuita al tribunale la competenza di giudicare in due diverse composizioni: *composizione collegiale (3 componenti); *composizione monocratica. È stato inoltre stabilito che l'attribuzione degli affari al giudice in composizione monocratica o collegiale non si considera attinente alla capacità del giudice nè al numero dei giudici. L'art. 33 co. 3, introdotto dal D.Lgs. 51/98, è una traduzione della direttiva impartita dalla legge delega. 3. Profili ordinamentali. I precetti costituzionali dedicati alla magistratura nel suo complesso sono (artt. 104, 105, 106 comma 1°, 107, 108 e 109 Cost.), mentre quelli dedicati alla figura del giudice sono (artt. 25 co.1, 101 co.2, 102, 103 co. 3, e 111 co. 2). Rispetto alla figura del giudice sono enucleabili talune sottocategorie. Importante la distinzione tra giudici straordinari (istituiti successivamente al fatto da giudicare), giudici speciali (figure estranee alla legge di ordinamento giudiziario) e giudici ordinari, contrapponibili ai giudici speciali in quanto sono legittimati dall'ordinamento giudiziario. La Costituzione vieta di istituire giudici straordinari o speciali, mentre ammette l'istituzione di giudici specializzati (Es* il tribunale per i minorenni, in ragione dello specifico oggetto della loro giurisdizione, art. 102 co. 2 Cost.). Restano esclusi dal divieto (artt. 103 comma 3° e 134 Cost.) solo due giudici speciali: 1. i tribunali militari (e gli altri organi giudicanti della giustizia militare) in relazione ai reati militari commessi da appartenenti alle forze armate; 1. la Corte costituzionale, nella particolare composizione risultante dall'art. 135 co. 7 Cost., con riferimento alle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. La categoria dei giudici ordinari, ricomprende i seguenti organi giudicanti: a) giudice di pace: giudice onorario e monocratico, che si contrappone, sia al giudice professionale che al giudice collegiale, il quale risulta composto da una pluralità di magistrati. b) giudice per le indagini preliminari: monocratico. c) giudice dell'udienza preliminare: monocratico. L’art. 6 d. lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, ha modificato l'art. 7 ter ord.giud., il quale stabilisce che il giudice dell'udienza preliminare debba essere diverso da quello che, nel medesimo procedimento, ha svolto le funzioni di giudice per le indagini preliminari; ciò per evitare condizionamenti dalle attività compiute nel corso delle indagini preliminari. I commi 2-bis e 2-ter dell'art. 7-bis ord. giud.-> la loro introduzione, risalente all'art. 57 comma 1°1. 479/1999, va ricollegata, da un lato, all'esigenza di assicurare un'elevata qualificazione professionale dei giudici de quibus (il comma 2-bis, integrato dall'art. 24 1. 63/2001, esige che essi abbiano precedentemente svolto per almeno due anni la funzione di giudice del dibattimento o quella di giudice dell'udienza preliminare) e dall'altro, all'intento di creare le migliori premesse per la terzietà di questi giudici. A tal fine è stata fissata la regola della temporaneità delle funzioni -> il comma 2-ter esclude che le medesime possano essere esercitate «per più di dieci anni consecutivi»; prevede inoltre che, qualora alla scadenza del termine sia in corso il compimento di un atto, l'esercizio delle funzioni venga prorogato, limitatamente a quel singolo procedimento, fino al compimento di quell'attività. Al di fuori di questa ipotesi, l'art. 7 bis co. 2 bis e 2 ter ord.giud., può essere derogato solo per imprescindibili e prevalenti esigenze di servizio. d) Tribunale ordinario: a seconda della gravità del reato o delle caratteristiche dello stesso, tale organo giudica in composizione monocratica oppure in composizione collegiale, decidendo, in quest'ultimo caso, «con il numero invariabile di tre componenti» (art. 48 co. 3 ord.giud.) L'art. 7-bis comma 2 quarter. ord. giud. stabilisce che il tribunale in composizione monocratica sia costituito da un magistrato che abbia esercitato la funzione giurisdizionale per non meno di tre anni. Vi è possibilità di una deroga «per imprescindibili e prevalenti esigenze di servizio» (art. 7-bis comma 2-quinquies ord. giud.). e) corte d'assise: giudice collegiale composto da otto magistrati, di cui due togati (magistrati professionali, stabilmente appartenenti all'ordine giudiziario come magistrati di carriera) e sei laici (magistrati onorari, c.d "giudici popolari" che solo temporaneamente fanno parte dell'ordine giudiziario e sono scelti fra i cittadini in possesso di determinati requisiti -> art. 106 comma 2° Cost. f) corte d'appello: giudice collegiale composto da tre magistrati. g) corte d'assise d'appello: giudice collegiale, la cui composizione mista (ai due magistrati togati si vanno ad aggiungere sei giudici onorari o «popolari») ricalca quella della corte d'assise. h) magistrato di sorveglianza: monocratico. i) il tribunale di sorveglianza: giudice collegiale composto da quattro magistrati, di cui due togati e due laici. Al vertice di questo organigramma si colloca la corte di cassazione, c.d giudice di legittimità (in contrapposizione ai giudici di merito, i quali, nei gradi inferiori del processo, accertano sia questioni di fatto che di diritto); è divisa in sette sezioni, ciascuna delle quali giudica con cinque componenti, che diventano nove quando tale organo è chiamato a pronunciarsi nella composizione a sezioni unite. Art. 106 co. 3 Cost: vedi articolo**. configurazione della fattispecie delittuosa → le ipotesi che giustificano una deviazione dalla regola base sono quelle del fatto che abbia cagionato la morte di una o più persone, del reato permanente e del delitto tentato (art. 8 co. 2, 3 e 4); nella prima ipotesi è preferibile radicare la competenza nel luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione (qui si è creato l'allarme sociale ed è più agevole ricercare le prove). Nelle altre due ipotesi si è optato, rispettivamente,per il criterio del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone, e per il criterio del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto diretto a commettere il delitto. b) talune regole «suppletive», che consentono l'individuazione del giudice territorialmente competente quando non è possibile applicare le regole generali; → gerarchia interna ex art. 9:è prioritario il criterio del luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione; seguono il criterio della residenza, della dimora, del domicilio dell'imputato; ed, infine, quello «del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'art.. 335». La normativa esaminata si applica anche quando il reato è stato commesso in parte all'estero (art. 10 co. 3), mentre in caso di reato commesso interamente all'estero risultano indispensabili taluni adeguamenti. La competenza è determinata dal luogo della residenza, della dimora, del domicilio, dell'arresto o della consegna dell'imputato, con prevalenza - se più sono gli imputati - del giudice competente per il maggior numero di essi (art. 10 co. 1). Vale anche qui, come ultima regola, quella che privilegia il giudice del luogo in cui è avvenuta la prima iscrizione nel registro contemplato dall'art. 335. -Numerose deroghe alla regola del locus commissi delicti traggono la loro legittimazione dall'art. 210 disp. att.: continuano ad osservarsi le disposizioni di leggi o decreti disciplinanti la competenza per territorio sulla base di criteri non coincidenti con quello fissato dall'art. 8 co. 1 (es* reati commessi a bordo di navi ed aeromobili non militari ex art. 1240 cod.nav.) -Altre deroghe sono riconducibili a leggi successive alla pubblicazione del codice: es* i reati commessi dal presidente del Consiglio dei ministri o dai ministri nell'esercizio delle loro funzioni, rispetto ai quali è competente il tribunale ubicato nel capoluogo del distretto di corte d'appello; es* la diffamazione commessa attraverso trasmissioni radiofoniche o televisive, che implica la competenza del giudice del luogo in cui ha la residenza la persona offesa. - In due situazioni, è lo stesso codice che crea regole ad hoc: DEROGHE: 1. Art. 328 co. 1-bis e 1-quater: riguardano, rispettivamente, i procedimenti relativi ai delitti elencati nell'art. 51 co. 3-bis, quarter e quinquies → le funzioni di giudice per le indagini preliminari nonché quelle di giudice dell'udienza preliminare – (l'individuazione del giudice competente per la fase dibattimentale avviene in base a criteri ordinari, DEROGA PARZIALE) - sono esercitate da un magistrato appartenente al tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. 2. Duplice presupposto (art. 11): a) l'esistenza di un procedimento penale in cui un magistrato (giudice o pubblico ministero, anche se, si tratti di magistrati onorari il cui incarico sia caratterizzato dalla stabilità) assuma la qualità di imputato ovvero quella di persona offesa o danneggiata dal reato; b) la competenza, in relazione al fatto per il quale si procede, di un ufficio giudiziario ricompreso nel distretto di corte di appello in cui lo stesso magistrato esercita le proprie funzioni, ovvero le esercitava al momento del fatto. Mentre in passato in questi casi si produceva l'investitura del giudice ubicato nel capoluogo del distretto di corte d'appello più vicino, oggi la competenza per i procedimenti ex art. 11 spetta al giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede «nel capoluogo del distretto di corte di appello determinato dalla legge», sulla scorta di una tabella incentrata sul criterio della circolarità; in tal modo si è evitato l'inconveniente delle competenze incrociate. * Un autonomo criterio di attribuzione di competenza è quello della connessione: comporta l'automatico confluire davanti ad un unico giudice di procedimenti, riservati in base alle regole sulla competenza per materia e per territorio, a giudici diversi. L'art. 12 dispone che si ha connessione di procedimenti: a) se il reato è stato commesso da più persone in concorso o - trattandosi di reato colposo in cooperazione tra loro - ovvero se più persone, con condotte indipendenti, hanno determinato l'evento; b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale) ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso (reato continuato); c) se dei reati per cui si procede taluni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri. Anche i criteri dettati per la determinazione del giudice competente nel caso di procedimenti connessi riflettono l'esigenza di non concedere spazio a scelte discrezionali; è prioritario il criterio del giudice superiore (i procedimenti di competenza del tribunale risultano automaticamente attribuiti alla corte d'assise, art. 15); quando invece ci si muove esclusivamente sul versante della competenza territoriale - coinvolgendo i procedimenti connessi più giudici ugualmente competenti per materia - prevale il giudice competente per il reato più grave (art. 16 co. 3) o, in caso di pari gravità, quello competente per il primo reato. Nel caso di concorso di persone o di condotte indipendenti, le azioni o le omissioni sono state commesse in luoghi diversi e dal fatto è derivata la morte di una persona: in deroga al criterio generale ex art. 8 co. 2, si attribuisce la competenza al giudice del luogo in cui si è verificato l'evento (art. 16 co. 2). Criteri particolari sono dettati per la connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali; nell'ipotesi di competenza concorrente tra Corte costituzionale e giudice ordinario, prevale la prima (art. 13 co. 1), mentre nel rapporto tra giudice militare e giudice ordinario vale la regola opposta, fermo restando che la connessione opera solo quando il reato comune è più grave di quello militare. Per i procedimenti relativi ad imputati che, al momento del fatto, erano minorenni, e procedimenti relativi ad imputati maggiorenni, la connessione non opera. 6. Segue: la c.d. competenza funzionale. La competenza funzionale ha a riguardo varie figure di giudici che si differenziano non in base a coordinate esterne (es*tipo di reato), ma in ragione della funzione che gli stessi svolgono nell'ambito di un medesimo procedimento. Anche se priva di riscontri sul piano normativo, è una categoria consolidata, utilizzata dalla dottrina e giuri, che tende ad equipararla, quanto a disciplina, alla competenza per materia. -Partendo dalla suddivisione per gradi, è possibile distinguere tra: * Giudici di primo grado: giudice di pace, tribunale ordinario e corte d'assise; * Giudici di secondo grado: tribunale in composizione monocratica, corte d'appello e corte d'assise d'appello (con riferimento, rispettivamente, alle decisioni del giudice di pace, del tribunale e della corte d'assise); * Corte di Cassazione: è demandato il controllo di legittimità sulledecisioni assunte nei gradi precedenti. -Progredendo nella suddivisione, viene in rilievo l'articolazione in fasi: * Fase anteriore al giudizio: si collocano l'attività del giudice per le indagini preliminari e, successivamente, quella del giudice dell'udienza preliminare; * Fase del giudizio: sono funzionalmente competenti il tribunale, la corte d'assise, la corte d'appello, la corte d'assise d'appello, la corte di cassazione; * Fase dell'esecuzione: vanno distinte le funzioni del giudice di esecuzione da quelle della magistratura di sorveglianza, al cui interno emerge l'ulteriore ripartizione tra le funzioni del magistrato di sorveglianza (giudice di primo grado) e quelle del tribunale di sorveglianza (giudice sia di primo che di secondo grado). -Per quanto concerne la competenza funzionale che si incentra sulla specifiche attribuzioni di un determinato giudice, non si può andare al di là di un'esemplificazione; ci si limita a ricordare le funzioni espressamente riservate al presidente del collegio giudicante (artt. 465, 467 e 468), quelle espletate dal tribunale - in composizione collegiale (artt. 309 comma 7° e 310 comma 2°) - quale giudice del riesame o dell'appello relativamente a provvedimenti restrittivi della libertà personale. 7. Le «attribuzioni» del tribunale. Appurato che per un certo reato deve giudicare il tribunale, bisogna stabilire se è richiesta la composizione monocratica o collegiale; in questo caso il criterio di ripartizione non è più basato sul concetto di competenza, ma su una sua sottocategoria, cioè l'«attribuzione». Si tratta di una sottocategoria coniata dal d.lgs. 51/98 (attuativo della delega 254/97), il quale ha previsto l'istituzione del giudice unico di primo grado. Alla soppressione dell'ufficio del pretore (e alla conseguente possibilità per il tribunale di funzionale sia nella sua tradizionale composizione, e sia nell'inedita composizione monocratica) ha fatto sguito una valorizzazione della composizione monocratica, eletta a regola. Tale orientamento emerge con chiarezza se si riflette sulla diversa ampiezza dell'assegnazione incentrata sul criterio quantitativo: mentre con riferimento al pretore si poneva il limite della pena detentiva non superiore a 4 anni, dalla legge delega in materia di giudice unico è scaturita la direttiva implicante l'attribuzione al tribunale monocratico I delitti puniti con pena uguale od inferiore a 20 anni. È stata inoltre inadeguata la scelta della legge delega di far adottare al tribunale in composizione monocratica il rito pretorio, il quale implicava minori garanzie per l'imputato rispetto a quelle operanti nel rito davanti al tribunale. Opportuna è stata quindi la correzione attuata con la l. 479/99, la quale ha dettato la nuova regolamentazione del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica; all'art. 10, inoltre, ha introdotto un nuovo riparto delle attribuzioni riservate alle due composizioni del tribunale → riformulazione art. 33 bis e 33 ter (ridimensionamento delle competenze originariamente previste per il giudice monocratico): correggendo il criterio quantitativo, attualmente consente di devolvere al tribunale collegiale I delitti puniti con la reclusione superiore nel massimo a 10 anni, anche nelle ipotesi di tentativo (art. 33 bis co. 2); il limite di 10 anni va calcolato applicando le regole dell'art. 4 (art. 33 bis co. 2). Il criterio quantitativo va tuttavia coordinato con quello qualitativo, che implica alcune deroghe: *risultano sottratti al tribunale "collegiale" alcuni delitti puniti con la reclusione superiore a dieci anni → vengono in rilievo i delitti previsti dall'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 in materia di sostanze stupefacenti, fermo restando che su di essi giudica comunque il tribunale in composizione collegiale quando siano contestate le aggravanti di cui all'art. 80 del medesimo testo unico (art. 33-ter comma 1°); *vengono attribuiti al tribunale collegiale alcuni reati che, in base al criterio quantitativo, dovrebbero essere giudicati dal tribunale monocratico → elenco ex dall'art. 33 bis co. 1, il quale attribuisce al tribunale collegiale I seguenti delitti, consumati o tentati: a) delitti ex art. 407 co. 2 lett. A n. 3 (delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste ex art. 416 bis cp, ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni di cui allo stesso articolo), n. 4 (delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, puniti con la reclusione min 5 e max 10 anni, e I delitti ex art. 270 co. 2 e 306 co. 2 cp), n. 5 (delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto il luogo pubblico di armi da guerra o esplosivi), fatta eccezione per quelli di competenza della Corte d'assise; b) delitti dei pubblici ufficiali contro la pa, esclusi quelli ex art. 329 cp (rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o agente della forza pubblica), 331 co. 1 cp (interruzione di un servizio pubblico o di pubblica utilità, tranne che l'addebito sia riferito b) dopo la chiusura delle indagini preliminari e in sede di dibattimento di primo grado, il giudice dichiara con sentenza la propria incompetenza e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente; c) in grado di appello, se il giudice rileva che su un reato di competenza della corte d'assise ha giudicato il tribunale, pronuncia la sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice di primo grado (art. 24 comma 1°); nell'ipotesi inversa il giudice d'appello, salvo che si tratti di decisione inappellabile, pronuncia nel merito, anche quando l'eccezione di incompetenza, sia stata riproposta con di appello. Con riferimento all'incompetenza per territorio o per connessione, è prevista la pronuncia di una sentenza di annullamento davanti al giudice di appello e la trasmissione degli atti rispettivamente, al pubblico ministero presso il giudice di primo grado e direttamente a quest'ultimo; a tal fine è necessario che l'incompetenza, dopo essere stata eccepita in primo grado, sia stata denunciata con I motivi di appello, altrimenti il giudice di appello deve pronunciarsi nel merito; d) nel giudizio davanti alla corte di cassazione, quest'ultima è tenuta a dichiarare, anche d'ufficio, l'incompetenza per materia derivante dall'avere il tribunale giudicato un reato di competenza della corte d'assise; può essere eventualmente dichiarata anche l'incompetenza per territorio o per connessione, purché la relativa eccezione, tempestivamente proposta in primo grado e riproposta nei motivi di appello, sia stata ulteriormente riproposta nei motivi del ricorso per cassazione; la decisione della cassazione sulla giurisdizione o competenza è vincolante nel corso del processo: può essere superata nella sola ipotesi in cui risultino nuovi fatti che implicano la modificazione della giurisdizione o la competenza del giudice superiore. *Art. 26 e 27: sono riconducibili al principio di conservazione degli atti assunti dal giudice incompetente.  Art. 26: il mancato rispetto delle norme sulla competenza non determina l'inefficacia delle prove acquisite, con la sola parziale eccezione delle dichiarazioni rese al giudice incompetente per materia che, se ripetibili, possono essere utilizzate soltanto in sede di udienza preliminare e per le contestazioni regolate dagli artt. 500 e 503.  Art. 27: le misure cautelari (personali e reali), disposte da un giudice dichiaratosi incompetente contestualmente o successivamente alla loro pronuncia, cessano di avere efficacia qualora entro venti giorni dall'ordinanza di trasmissione degli atti al giudice competente non siano confermate da quest'ultimo ai sensi degli artt. 292, 317 e 321. Gli artt. 28-32, che si occupano dei conflitti tra giudici. * Art. 28- 32: conflitti tra giudici → è una situazione che si determina quando, in qualsiasi stato e grado del processo, due o più giudici contemporaneamente prendono (conflitto positivo) o rifiutano di prendere (conflitto negativo) cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona. *Conflitto di giurisdizione: quando il contrasto intercore tra giudici ordinari e speciali; *conflitto di competenza: quando il conflitto riguarda giudici ordinari. È escluso il conflitto tra giudice dell'udienza preliminare e del dibattimento, in quanto prevale sempre la decisione di quest'ultimo. Per l'impossibilità di stabilire un elenco esaustivo delle ipotesi di conflitto, il legislatore ha fatto ricorso ai c.d “conflitti analoghi” (art. 28 co. 2), I quali sono sottoposti alla medesima regolamentazione del co. 1 (es* conflitto tra due tribunali di sorveglianza in tema di competenza territoriale, dove il contrasto non ha per oggetto il fatto su cui verte l'imputazione; es* conflitto che si determina, in ordine al medesimo fatto attribuito alla stessa persona, fra il tribunale in composizione monocratica e collegiale. Non rientra invece nella categoria dei conflitti analoghi il contrasto tra giudice e pubblico ministero). Anche se di regola il conflitto può nascere in ogni stadio e grado del processo, si è eslcuso che nel corso delle indagini preliminari possa essere proposto conflitto positivo per ragione di competenza territoriale determinata dalla connessione (art. 28 co. 3). Ad originare il procedimento di conflitto è una «denuncia» di parte, privata o pubblica, o una «rilevazione» d'ufficio del giudice; l'elevazione del conflitto non ha effetti sospensivi sul processo in corso. Lo sviluppo del procedimento incidentale è scandito dagli artt. 30, 31 e 32, i quali, oltre ad indicare l'organo cui spettala risoluzione del conflitto ( Cassazione) delineano un meccanismo di comunicazione, notificazione e trasmissione di copie di atti tale da garantire la partecipazione al procedimento di tutti i soggetti interessati ai processi coinvolti nel conflitto. La Cassazione decide con sentenza in camera di consiglio, secondo la procedura stabilita dall'art. 127 (art. 32 comma 1°). *Art. 29: cessazione del conflitto → cessa anzitutto per l'iniziativa di uno dei giudici che dichiara, anche di ufficio, la propria competenza (conflitto negativo), o la propria incompetenza (conflitto positivo). Se ciò non si verifica, bisogna attendere la sentenza della cassazione: art. 25 → tale sentenza è vincolante, tranne che nell'ipotesi delle modificazioni ivi contemplate, derivanti da fatti nuovi. Quanto agli atti compiuti dal giudice incompetente, bisogna rifarsi al disposto degli artt. 26 e 27, con un unico adeguamento: relativamente ai provvedimenti cautelari, il termine di venti giorni ex art. 27 decorre, in questo caso, dalla comunicazione della sentenza della corte al giudice che ha disposto la misura cautelare. 10. Il controllo sul corretto riparto di «attribuzioni» fra tribunale "monocratico" e tribunale "collegiale". L'inosservanza delle disposizioni relative al riparto di attribuzioni fra le due composizioni del tribunale non determina un problema di competenza, e quindi è stata creata una normativa collocata nel capo VI bis (introdotto dal d.lgs. 51/98). L'inosservanza delle disposizioni concernenti l'attribuzione di un reato ad una determinata composizione del tribunale e delle disposizioni processuali collegate a tale attribuzione, deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare ovvero, se questa manca, entro il termine previsto per la trattazione delle questioni preliminari dall'art. 491 comma 1°; entro quest'ultimo termine deve essere riproposta l'eccezione, respinta nell'udienza preliminare, con cui si denuncia l'attribuzione ritenuta erronea. La regolamentazione ricalca quella inerente l'incompetenza per territorio e connessione; la diversificazione emerge dagli articoli successivi. *Art. 33 sexies: in sede di udienza preliminare, quando il giudice ritiene che il reato rientra tra quelli rispetto ai quali, ex art. 550, è prevista la citazione diretta a giudizio da parte del pm, dispone con ordinanza che gli atti vengano trasmessi al pubblico ministero, affinché il medesimo provveda ad emettere il decreto di citazione a giudizio ex art. 552 (art. 33-sexies co. 1). La lettura dell'ordinanza equivale a notificazione per le parti presenti (art. 33 sexiex co. 2, richiamo art. 553 e 554). * Art. 33 septies: inosservanza rilevata nel corso del dibattimento di primo grado → il giudice procede diversamente a seconda che il dibattimento sia stato instaurato in seguito ad udienza preliminare oppure a decreto di citazione diretta a giudizio; nel primo caso, tanto se emerge che il reato rientra fra le attribuzioni del giudice collegiale, anziché fra quelle del giudice monocratico, quanto nell'ipotesi opposta, è sufficiente trasmettere gli atti, con ordinanza, al giudice competente a decidere sul reato contestato; nel secondo, essendo stato l'imputato indebitamente privato dell'udienza preliminare, l'error in procedendo può essere invece corretto solo mediante una regressione del processo (viene disposta con ordinanza la trasmissione degli atti al p.m. * Art. 33 octies → a) giudice di appello: - quando ritenga che dovesse giudicare il tribunale collegiale, pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al p.m presso il giudice di primo grado, purchè l'erronea attribuzione sia stata tempestivamente eccepita (art. 33 quinquies) e denunciata nei motivi di appello; - pronuncia invece nel merito, quando ritiene che il reato apparteneva alla cognizione del tribunale monocratico (sepre che si tratti di sentenza appellabile). b) corte di cassazione: - nel caso di attribuzione viziata per difetto, la corte procede come il giudice di appello (sentenza di annullamento e trasmissione atti), purchè il vizio sia stato tempestivamente eccepito in primo grado e la relativa eccezione riproposta nel motivi di ricorso per cassazione; - nel caso di attribuzione viziata per eccesso, vale la stessa regola, purchè il ricorso riguarda una sentenza inappellabile o si tratta di un ricorso per saltum (art. 569 co. 1); al di fuori di queste ipotesi, l'errore di attribuzione è irrilevante. * Art 33 nonies (in conformità all'art. 26): nel caso di prove acquisite dal giudice che abbia proceduto in seguito ad erronea applicazione delle disposizioni sulla composizione, sono pienamente utilizzabili le prove acquisite; diversament dall'art. 26, precisa altresì che non è neppure inficiata la validità degli atti compiuti. Oltre a quanto appena detto, possono essere violati I criteri di ripartizione territoriale tra sede principale e sezioni distaccate del tribunale o tra diverse sezioni distaccate (es*sezioni distaccate insulari). Della violazione di criteri di ripartizione tra sede principale e distaccate o tra diverse sezioni distaccate, dei procedimenti nei quali il tribunale giudica il composizione monocratica si occupa l'art. 163 bis dip.att. → tale violazione può essere rilevata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Il giudice che la ritiene sussistente, o che ritiene non manifestamente infondata la relativa questione, rimette gli atti al presidente del tribunale, affinché quest'ultimo si pronunci in proposito con un decreto non motivato e non soggetto ad impugnazione (art. 163-bis comma 2° disp. att.). 11. Le cause personali di estromissione del giudice: incompatibilità, astensione e ricusazione. Capo VII del libro I: ipotesi in cui il giudice ha l'obbligo di non esercitare la sua funzione giurisdizionale (astensione) e le parti hanno diritto di chiederne l'estromissione (ricusazione). In merito alle cause d'incompatibilità sono previste autonomamente negli artt. 34 e 35, nonché artt. 18 e 19 ord.giud., ma, nonostante la configurazione autonoma, risultano ricomprese nella stessa disciplina delle ipotesi di astensione e di ricusazione (richiamo nell'art. 36 co. 1 lett. g). Per la costante giurisprudenza l'esistenza di una situazione di incompatibilità costituisce esclusivamente un motivo di ricusazione, che la parte interessata deve far valere tempestivamente (art. 38) qualora il giudice sospetto non abbia ottemperato all'obbligo di astenersi. Le cause d'incompatibilità sono stabilite, in parte, dalle leggi di ordinamento giudiziario (artt. 18 e 19 ord.giud.) e, in parte, dal codice di rito (artt. 34 e 35): le prime attengono esclusivamente alla costituzione dell'organo giudicante e prefigurano condizioni dirette ad assicurare che la persona che esercita la funzione giurisdizionale non solo sia, ma anche appaia imparziale. Bisogna distinguere tra l'incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugio, ex dall'art. 35 («nello stesso procedimento non possono esercitare funzioni, anche separate o diverse, giudici che sono tra loro coniugi, parenti o affini fino al secondo grado») e l'incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento, ex art. 34, il quale, contempla quattro diversi gruppi di situazioni: a) il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, né partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento da parte della cassazione o al giudizio per revisione; b) art. 34 co. 2: non può partecipare al giudizio (termine che si riferisce sia al giudizio abbreviato che all'udienza preliminare), nè il giudice che ha pronunciato il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna, né quello che ha deciso sull'impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedure pronunciata dal giudice dell'udienza preliminare. La portata di questa previsione normativa risulta ampliata in seguito ad alcune sentenze additive della Corte costituzionale, la quale ha censurato l'art. 34 co. 2, ritenendo ingiustificatamente escluse situazioni che devono ritenersi idonee a compromettere l'imparzialità del giudice. Sempre secondo la Corte, per scongiurare un'irragionevole frammetanzione del procedimento, si deve escludere una menomazione dell'imparzialità del giudice che adotta, nell'ambito di una medesima fase procedurale, decisioni preordinate al proprio giudizio o incidentali rispetto ad esso (es* sentenza emessa al termine del giudizio direttissimo dal giudice che si sia preliminarmente pronunciato sulla richiesta cautelare formulata dal pm). c) il giudice che in un procedimento ha esercitato le funzioni di giudice per le indagini preliminari non può in quello stesso procedimento emettere il decreto penale di condanna, né partecipare al giudizio; inoltre, è incompatibile alla funzione di giudice dell'udienza preliminare (art. 34comma 2-bis); questa disposizione, introdotta dall'art. 171 d. lgs. 51/98, è stata successivamente precisata dal comma 2-ter (aggiunto dall'art. 11 1. 479/99), il quale esclude la ricorrenza di una situazione di incompatibilità allorché il giudice per le indagini preliminari si sia limitato ad adottare, nell'ambito del medesimo procedimento, taluno dei seguenti provvedimenti, ritenuti inidonei a determinare una situazione di pregiudizio: a) il provvedimento con cui si autorizza il trasferimento in un luogo esterno di cura dell'indagato sottoposto a custodia cautelare in carcere e quello con cui si autorizza il medesimo ad essere visitato da un sanitario di fiducia (art. 11 commi 2° e 11° ord. Penit., c.d “autorizzazioni sanitarie); b) i provvedimenti relativi ai permessi di colloquio, alla corrispondenza telefonica e al visto di controllo sulla corrispondenza, concernenti l'indagato sottoposto a custodia cautelare in carcere (art. 18 co. 8° ord. penit.); c) il provvedimento con cui si accoglie o si rigetta la richiesta di un permesso di uscita dal carcere in presenza dell'imminente pericolo di vita di un familiare o del convivente della persona sottoposta ad indagini, ovvero in presenza di altri eventi di particolare gravità inerenti alla sua famiglia (art. 30 co.1 e 2 ord. penit.); d) il provvedimento con cui una parte o un difensore vengono restituiti in un termine stabilito a pena di decadenza (art. 175); e) il provvedimento con cui viene dichiarata la latitanza dell'indagato (art. 296). Percompletare l'elenco, bisogna aggiungere che l'art. 2-quater d.l. 82/2000 ha inserito nell'articolo il comma 2- quater, il quale prende in considerazione l'ipotesi in cui il giudice «abbia provveduto all'assunzione dell'incidente probatorio o comunque adottato uno dei provvedimenti previsti dal titolo VII del libro quinto» , titolo dedicato, per l'appunto, all'incidente probatorio. L'art 34 comma 2-bis è innovativo sotto due diversi profili: *sancendo un'incondizionata incompatibilità al giudizio, assorbe (e supera) sia quella parte dell'art. 34 comma 2° in cui si fa riferimento al giudice che «ha disposto il giudizio immediato o ha emesso il decreto penale di condanna», sia quell'ampio ventaglio delle succitate sentenze della Corte costituzionale che hanno ricollegato l'incompatibilità algiudizio del giudice per le indagini preliminari a specifiche situazioni "pregiudicanti"; *escludendo che il giudice per le indagini preliminari possa «tenere l'udienza preliminare», capovolge, come emerge dalla riformulazione del secondo periodo dell'art. 7-ter comma 1° ord. giud. (art. 6 lett. a d. lgs. 51/98), l'originaria impostazione. d) non può esercitare l'ufficio di giudice in un determinato procedimento chi, in quello stesso procedimento, ha esercitato funzioni di p.m o ha svolto atti di polizia giudiziaria ovvero un altro ruolo (difensore o procuratore speciale di una parte, testimone, perito, consulente tecnico) idoneo a comprometterne l'imparzialità; nemmeno chi ha proposto denuncia, querela o istanza (notizia di reato) o ha deliberato l'autorizzazione a procedere. Cause di astensione e di ricusazione: sono disciplinate unitariamente nella disposizione relativa all'astensione (art. 36); non c'è però una totale coincidenza → non costituisce motivo di ricusazione l'ipotesi in cui sussistono gravi ragioni di convenienza e, viceversa, non costituisce motivo di astensione (a meno di non far ricorso alla generica previsione ex art. 36 lett. h) la manifestazione indebita da parte del giudice, nell'esercizio delle sue funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, del proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione. Per il resto tutti i motivi sono comuni; per ragioni di opportunità, concorrendo la dichiarazione di astensione con quella di ricusazione, quest'ultima si considera come non proposta, ove l'astensione venga accolta (art. 39). Il catalogo risultante dagli artt 36 e 37 è tassativo, ed i casi considerati riguardano in linea generale i rapporti delgiudice con le parti ovvero con la situazione dedotta in giudizio. -Altri casi di astensione (e ricusazione) ex art. 36: a – b – c – d ) il giudice che ha interesse nel procedimento; che è tutore, curatore, procuratore o datore di una delle parti private ovvero che sia prossimo congiunto del difensore, procuratore o curatore di una delle parti; che abbia dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori condannare l'imputato - così deve essere inteso l'inesatto riferimento alle “ parti private” ex art. 48 co. 6 - al pagamento di una somma (da 1000 a 5000 euro) a favore della cassa delle ammende. Art. 48 co. 5: conservazione degli atti del processo oggetto di rimessione → ferma restando l'utilizzabilità degli atti validamente compiuti dinanzi al giudice a quo, in quanto inseriti nel fascicolo dibattimentale, vale ora la regola, secondo cui il giudice designato procede alla rinnovazione degli atti quando una (qualsiasi) delle parti ne faccia richiesta; con due sole eccezioni: 1. se si tratta di atti «di cui è divenuta impossibile la ripetizione»; 2. se si versa in una delle due situazioni ex co. 1 e co. 1-bis art. 190-bis. Inoltre, l'art. 48 co. 5, stabilisce che nel processo davanti al giudice designato dalla Cassazione, le parti esercitano gli stessi diritti e facoltà ad esse riservati davanti al primo giudice. Art. 49: nuova richiesta di rimessione → consente l'iterazione sia nel caso in cui la richiesta sia diretta ad ottenere un ulteriore spostamento del processo, sia nel caso in cui essa miri ottenere per la prima volta il relativo provvedimento, già negato da un'ordinanza di rigetto o d'inammissibilità. L'ulteriore spostamento del processo può essere richiesto quando nella sede designata si ripresenta una situazione riconducibile al disposto dell'art.45 ovvero quando, essendo venute meno nella sede originaria le ragioni che avevano indotto a sollecitare l'intervento della corte di cassazione, si creano le premesse per una revoca del provvedimento di rimessione. Nel caso in cui, invece, sia intervenuto un provvedimento negativo della cassazione, bisogna distinguere: in presenza di un'ordinanza che abbia rigettato la precedente richiesta o abbia dichiarato l'inammissibilità della stessa per manifesta infondatezza, l'ulteriore richiesta, per non essere dichiarata inammissibile, deve essere fondata su «elementi nuovi» (art. 49 co. 2). Art. 49 co. 3: è inammissibile la richiesta per manifesta infondatezza anche se la stessa, priva di elementi di novità, provenga da un altro imputato del medesimo processo o di un processo ad esso separato. Art. 49 co. 4: la richiesta dichiarata inammissibile per motivi diversi dalla manifesta infondatezza (art. 46 co. 4) può essere sempre riproposta. 13. La posizione di parte del pubblico ministero e la sua funzione tipica. (Il p.m è un funzionario pubblico la cui funzione principale è l'esercizio dell'azione penale. Con l'esercizio dell'azione penale il p.m avvia il processo penale, di cui diviene una delle parti; l'altra è l'imputato o accusato; a differenza delle parti private, il p.m agisce nell'interesse pubblico). Il pubblico ministero, pur rivestendo la qualità di parte nel processo, costituisce, al tempo stesso, un organo dell'apparato statale incaricato di vegliare «all'osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia», nonché di iniziare ed esercitare l'azione penale (artt. 73 e 74 ord. giud.). È venuta meno l'antica impostazione napoleonica che faceva del p.m un rappresentante del potere esecutivo presso gli organi giurisdizionali → art. 69 ord.giud.: il p.m esercita sotto la vigilanza (e non più sotto la direzione) del Ministro della giustizia, le funzione che la legge gliattribuisce. Il p.m non è solo affrancato dal potere esecutivo, ma gode di una posizione di indipendenza (c.d. esterna) rispetto a tutti gli altri poteri costituzionali → *art. 101 co. 2: non considera il magistrato del pubblico ministero; *art. 107 co. 4: “il p.m gode delle garanzi stabilite nei suoi riguardi dalle norme di ord.giud..:non significa che debba introdursi una netta separazione rispetto alle garanzie dei giudici. Decisiva appare invece una lettura sistematica della Costituzione → art. 104 co. 1, concependo la magistratura come ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere, si riferisce anche alla magistratura requirente che gode, del resto, dell'elettorato attivo e passivo rispetto all'organo di autogoverno (CSM); ancora, l'art. 108 co. 2 Cost., laddove demanda alla legge il compito di assicurare l'indipendenza del p.m presso le giurisdizioni speciali, non può che valere, per il p.m istituito presso gli organi di giurisdizione ordinaria. Inoltre, l'art 109 Cost. statuendo che l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria, indica un obiettivo il cui raggiungimento sarebbe compromesso se il potere esecutivo potesse interferire, grazie alla sopraordinazione goduta sugli apparati di polizia, nell'attività investigativa del p.m; art. 112: obbligatorietà dell'azione penale (l'esercizio dell'azione penale da parte del p.m è obbligatorio, nel senso che di fronte ad ogni notizia di reato il p.m è tenuto a procedere, richiedendo al giudice di pronunciarsi → ne viene garantita sia l'indipendenza, che la parità di trattamento di fronte alla legge penale; l'esigenza di rendere effettivo il principio di uguaglianza in rapporto all'esercizio dell'azione penale ha indotto il legislatore a prevedere, fra I compiti del procuratore della repubblica, quello di assicurare il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell'azione penale, art. 1 d.lgs. 106/2006, nonchè un potere di controllo in capo al procuratore generale presso la Corte d'appello. Inoltre, la Corte ha riaffermato (sent. 420/95) che l'indipendenza non tollera interferenze esterne non solo nel momento in cui il pubblico ministero decide in ordine all'esercizio dell'azione penale, ma pure nel corso dell'intera fase anteriore delle indagini preliminari). Allo stato, il p.m risponde del suo operato solo di fronte alla legge, godendo delle stesse garanzie attribuite al giudice circa il reclulamento, l'inamovibilità dalla sede e la soggezione al potere di controllo del CSM. Il d.lgs. 160/2006, dopo aver ribadito che il conferiment delle funzioni giudicati e requirenti avviene all'esito di un concorso unitario, contempla diverse misure per rafforzare la distinzione tra le due funzioni: es* il passaggio dalle funzioni giudicanti a requirenti, e viceversa, è disposto a seguito di un concorso, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale e subordinatamente ad un giudizio di idoneità espresso dal CSM; tale passaggio non è consentito all'interno dello stesso distretto o altro distretto della stessa regione. L'aspirazione in senso accusatorio del sistema e la parità tra accusa e difesa trovano un primo sviluppo nel titolo II del libro I dedicato al p.m. → (artt. 50-54-quater). Art. 50 co. 1: conferisce al p.m la titolarità dell'azione penale (il legislatore ha voluto segnalare subito al funzione tipica del p.m, che non può essere affidata al giudice senza intaccare il ruolo di organo passivo reclamato dal principio di imparzialità). Art. 231 disp.att.: sancisce il monopolio dell'azione penale in capo al p.m; pertanto, nel sistema codicistico, non trova spazio né l'azione penale privata (conferita alla persona offesa dal reato), né l'azione penale popolare (attribuita al quisque de populo). Si tenga presente, però, che l'art. 21 d. lgs. 274/2000, prevede che per «i reati procedibili a querela è ammessa la citazione a giudizio dinanzi al giudice di pace della persona alla quale il reato è attribuito su ricorso della persona offesa» . Art. 50 co. 1: obbligatorietà dell'azione penale (aderenza all'art. 112 Cost): unico limite del doveroso esercizio dell'azione è la richiesta di archiviazione. Si noti, tuttavia, come le sole attività riportabli all'inizio dell'azione penale, e non già al suo proseguimento, siano presidiate dalla previsione di una nullità assoluta (art. 179 co.1). La lettura coordinata con l'art. 405 (che elenca gli atti tipici di esercizio dell'azione penale, contenenti tutti la formulazione dell'imputazione) permette di individuare il momento di inizio del processo penale in senso proprio, riservando la fase delle indagini preliminari al mero procedimento. Al contempo, la lettura coordinata con l'art. 60 (assunzione della qualità di imputato), chiarisce come quest'ultima discenda unicamente da un atto - la formulazione dell'imputazione - che segna l'avvenuto esercizio dell'azione penale. Art. 50 co. 2: officialità dell'azione penale → “quando non è necessaria la querela, la richiesta, l'istanza o l'autorizzazione a procedere, l'azione penale è esercitata d'ufficio” → elenco non esaustivo, suona più adeguata la formula aperta ex art. 345 co. 2: sono ad es* condizioni di procedibilità, la presenza del reo nel territorio dello Stato per I delitti comuni del cittadino e dello straniero commessi all'estero (art. 10 cp). Trattandosi di fatti in mancanza dei quali il p.m non può agire validamente, le condizioni di procedibilità sono suscettibili di collidere con principio dell'obbligatorietà dell'azione penale; per questo, la dottrina più avveduta, sottolinea l'esigenza che tali condizioni siano poste a tutela di interessi costituzionalmente tutelati, così da prevalere, in sede di bilanciamento, con il principio ex art. 112. Non trova posto nel codice un altro principio, cioè quello della pubblicità dell'azione penale, perché la sua enunciazione è parsa superflua: i poteri attribuiti alla persona offesa, specie là dove consentono di opporsi alla richiesta di archiviazione (art. 410), non sono assimilabili all'esercizio di un'azione penale privata. Art. 50 co. 3: irretrattabilità dell'azione penale → una volta esercitata l'azione penale, esce dalla sdfera del suo autore e comporta un dovere decisorio in capo al giudice (= l'oggetto del processo penale è indisponibile). Naturale, a tal punto, sottoporre le cause di sospensione o di interruzione dell'azione penale al principio di tassatività, ed è vietata ogni integrazione analogica. Sono previste inoltre cause di sospensione del procedimento, inteso come fase delle indagini preliminari → es* sospensione facoltativa a seguito della dichiarazione di ricusazione del giudice; es* sospensione obbligatoria per l'incapacità della persona sottoposta alle indagini di partecipare coscientemente al procedimento; es* sospensione obbligatoria conseguente all'insorgere di indizi del reato di false informazioni rese al p.m o di false dichiarazioni al difensore. 14. L'organizzazione e la distribuzione del lavoro tra gli uffici: loro rapporti. (**Procura della repubblica: uffici del p.m presso il tribunale ordinario, per I minorenni e tribunale militare) I criteri per la distribuzione del lavoro tra gli uffici del p.m (c.d. Criterio funzionale) sono improntati al disegno di evitare sfere di concorrenza. *Art. 51 co. 1 lett. A: le funzioni di p.m nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono esercitate dai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale. In virtù dell'art. 71 ord. giud., alle procure della Repubblica presso i tribunali ordinari possono essere addetti magistrati onorari in qualità di vice procuratori «per l'espletamento delle funzioni indicate dall'art. 72». Il procuratore della Repubblica può poi stabilire che I vice procuratori addetti al suo ufficio, esercitino le funzioni di p.m solo presso la sede del tribunale o presso una o più sezioni distaccate, ovvero presso la sede principale e una o più sezioni distaccate. Art. 72 ord.giud.: prevede una deroga all'art. 51 co. 1 lett. a, con il consentire al procuratore della Repubblica presso il tribunale di delegare nominativamente determinate funzioni ad uditori giudiziari (magistrati ordinari in tirocinio), a viceprocuratori onorari addetti all'ufficio, a «personale in quiescenza da non più di due anni che nei cinque anni precedenti abbia svolto le funzioni di polizia giudiziaria», ovvero a laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno della scuola biennale di specializzazione per le professioni legali. *Art. 51 co. 1 lett. B: I magistrati della procura generaledella Repubblica presso la corte d'appello esercitano le funzioni di p.m nei soli giudizi di impugnazione, così come accade sempre per i magistrati della procura generale presso la corte di cassazione relativamente a tale giudizio. La partecipazione al giudizio d'appello del rappresentante dell'ufficio presso il giudice di primo grado non si configura alla stregua di una deroga in senso proprio; in tal caso la sostituzione è disposta sulla base di una valutazione di mera opportunità dal procuratore generale presso la corte d'appello, al quale continuano a spettare i relativi avvisi (art. 570 comma 3°). Al procuratore generale non sono neppure forniti mezzi per controllare la mancata attivazione dei procuratori della Repubblica del suo distretto nei riguardi di informazioni che non assurgano al ramo di notizia di reato: esse, infatti, non impongono di richiedere il decreto di archiviazione, allorché non siano state neppure iscritte, per la loro indeterminatezza, nell'apposito registro ex art. 335 (art. 109 disp. Att.); nei confronti di tali informazioni, tuttavia, il procuratore generale, in quanto organo del p.m., può svolgere indagini di natura amministrativa volte ad apprendere la notizia di reato. Durante la fase delle indagini preliminari si apre una serie di canali informativi tra procure della Repubblica e relative procure generali presso la corte d'appello → es* notizie e segnalazioni ex art. 118-bis disp.att., che preludono, quando il coordinamento investigativo non sia stato promosso o non risulti effettivo, al potere del procuratore generale presso la corte d'appello di riunire i procuratori della Repubblica che procedono ad indagini collegate. Del resto, il procuratore generale presso la corte d'appello, continua ad esercitare la sorveglianza su tutti gli uffici requirenti appartenenti al proprio distretto. L'unico strumento mediante il quale il procuratore generale presso la corte d'appello subentra, nella titolarità delle indagini preliminari, al procuratore della Repubblica del proprio distretto è l'avocazione; il relativo potere non è generalizzato, ma sempre subordinato a tassative previsioni legislative (→ istituto di natura eccezionale). L'avocazione scatta in maniera automatica quando: 1. nel caso di impossibilità di provvedere, nell'ambito dell'ufficio della procura della Repubblica, alla tempestiva sostituzione del magistrato designato a seguito di astensione o di incompatibilità; 2. nel caso di omessa tempestiva sostituzione del magistrato da parte del capo dell'ufficio, ricorrendo alcune tra le fattispecie che avrebbero imposto al giudice di astenersi e consentito alle parti di ricusarlo; 3. nel caso di omessa presentazione, nei termini prefissati, della richiesta di archiviazione ovvero di omesso esercizio, sempre nei medesimi termini, dell'azione penale. Meno solido è il collegamento con il presupposto dell'inerzia rispetto al caso di avocazione (facoltativa) che si configura, nel procedimento per reati di competenza del tribunale o della corte d'assise, quando il giudice per le indagini preliminari fissa l'udienza in camera di consiglio, non avendo accolto in prima battuta la richiesta di archiviazione, oppure quando ritiene ammissibile l'opposizione all'archiviazione proposta dalla persona offesa (art. 410 comma 3°). Nella medesima prospettiva si colloca l'avocazione consentita al procuratore generale nell'ipotesi in cui il giudice dell'udienza preliminare abbia indicato al pubblico ministero le ulteriori indagini da svolgersi ad integrazione di quelle già svolte, ma ritenute «incomplete» (art. 421-bis comma 2°). Ipotesi obbligatoria delineata dall'art. 372 co. 1- bis: il procuratore generale, assunte le necessarie informazioni, dispone con decreto motivato, l'avocazione delle indagini preliminari per una serie di delitti di criminalità organizzata, allorquando, trattandosi di indagni collegate, non risulti effettivo il coordinamento prescritto ex art. 371 co. 1 e non abbiano dato esito le riunioni disposte o promosse dal procuratore generale,. In aggiunta al vincolo del decreto motivato, si prevede, che copia del provvedimento con cui il procuratore generale presso la corte appello dispone l'avocazione delle indagini preliminari è sempre trasmessa al CSM ed ai procuratori della Repubblica interessati; ciò consente a questi ultimi di proporre reclamo al procuratore generale presso la corte di cassazione. Gli effetti dell'avocazione disposta nel corso delle indagini preliminari perdurano al di là di tale fase, durante l'intero processo di primo grado. Anche per gli altri criteri di distribuzione del lavoro tra I diversi uffici del p.m, il codice evita l'impiego del termine competenza, riservandolo all'attività giurisdizionale; tuttavia, il parametro adottato è il medesimo, posto che il p.m trae la propria titolarità alle funzioni (c.d. legittimazione) in modo riflesso dalla competenza del giudice del dibattimento presso il quale è istituito. La legittimazione spetta al procuratore della Repubblica territorialmente «competente» secondo i criteri stabiliti dagli agli art. 8, 9, 10 e 16, ancorché nel relativo circondario non abbia sede la corte d'assise. Se il giudice per le indagini preliminari rifiuta di emettere un provvedimento adducendo di essere incompetente, e restituisce gli atti allo stesso ufficio del p.m., la relativa ordinanza produce effetti limitatamente al provvedimento richiesto. Art. 54 e 54 bis: contrasti negativi e positivi tra diversi uffici del p.m. → sebbene formulate con riguardo alla fase delle indagini preliminari, entrambe le norme trvano applicazione nei confronti di ogni contrasto tra uffici del p.m. Art. 54: Se il p.m ritiene che la competenza a conoscere il reato spetti ad un giudice diverso da quello presso cui esercita le sue funzioni, trasmette tempestivamente gli atti all'ufficio del p.m presso il giudice competente. L'ufficio che ha ricevuto gli atti, ove dissenta - non potendo ritrasmetterli al mittente, perché ne deriverebbe una stasi non superabile - demanda la risoluzione di tale contrasto negativo al procuratore generale presso la corte d'appello o a quello presso la corte di cassazione, qualora appartenga ad un diverso distretto. Il procuratore della Repubblica dissenziente trasmette all'organo risolutore del contrasto tutti gli atti del procedimento in originale o in copia. Non è interdetto al procuratore generale di designare un ufficio diverso da quelli tra loro in contrasto. La risoluzione del contrasto non è parificabile agli effetti che scaturiscono dal provvedimento con cui la cassazione risolve un conflitto di competenza; la statuizione del procuratore generale estrinseca la sua portata solo all'interno della fase delle indagini preliminari ed unicamente nei confronti degli appartenenti all'ufficio del pubblico ministero. Il proposito di accrescere l'efficienza degli apparati giudiziari nei confronti di reati di criminalità organizzata di stampo mafioso, aveva suggerito di introdurre deroghe in merito alla divisione del lavoro e rapporto tra uffici del p.m., così da creare una sorta di procedimento speciale per tali reati (c.d. doppio binario). La disciplina speciale concernente il p.m opera nei procedimenti di cui all'art. 51 co. 3-bis, cioè quelli relativi ai delitti, consumati o tentati, di associazione per delinquere aggravata (art. 416 co. 6 e 7) o di associazione a delinquere realizzata allo scopo di commettere I delitti di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli o disegni, di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 cp), dei delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, di tratta di persone, di acquisto o alienazione di schiavi, di associazione di tipo mafioso anche straniere (art. 416- bis c.p.) e di sequestro di persona a scopo estorsivo (art. 630 c.p.), ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. (c.d. reati «fine» rispetto al delitto di associazione di stampo mafioso) ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (c.d. reati «mezzo»), al delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 D.P.R. 309/90), al delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43), nonchè al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. Al fine di irrobustire gli strumenti di repressione dei delitti considerati, il legislatore ha incrementato le fattispecie per le quali è prevista la legittimazione dell'ufficio del p.m resso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. Dapprima la manovra ha investito I delitti con finalità di terrorismo (art. 51 co. 3 quarter); successivamente la legittimazione della procura della Repubblica distrettuale è stata estesa ad una serie di reati: (art. 51 co. 3 quinquies) → delitti, tentati o consumati, di istigazione a pratiche di pedofilia e pedopornografia, di prostituzione minorile, di pornografia minorile, di detenzione di materiale pornografico, di iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, di adescamento di minorenni, di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici, di diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico, di installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche, di falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche, di intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche, di installazione di apparecchiature atte ad intercettare , impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche, di falsificazione, alterazione o soppressione del contenutoi comunicazioni informatiche o telematiche, di danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici, di danneggiamento di sistemi informatici o telematici e di frode informatica. Per tutti I reati ex art. 51 co. 3-bis, 3-quater e 3-quinquies, le funzioni di p.m nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono attribuite all'ufficio che ha sede presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte di appello. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto costituisce, sempre nell'ambito del suo ufficio, una direzione distrettuale antimafia (Dda), per la trattazione di soli procedimenti relativi ai reati ex ar.t. 51 co. 3 bis. Inoltre, negli uffici delle procure distrettuali può essere istituito un procuratore aggiunto, per specifiche ragioni riguardanti lo svolgimento dei compiti della direzione distrettuale. Lo stesso procuratore distrettuale deve accertarsi che I magistrati addetti ottemperino all'obbligo di assicurare la completezza e tempestività della reciproca informazione sulle indagini. Salvi casi eccezionali, il procuratore distrettuale designa per l'esercizio delle funzioni di p.m nei procedimenti in discorso i magistrati addetti alla direzione (art. 70-bis ord.giud.); su richiesta del procuratore distrettuale, il procuratore generale presso la corte d'appello, per giustificati motivi, può disporre che le funzioni di p.m per il dibattimento siano esercitate da un magistrato designato dal procuratore della Repubblica presso il giudice competente (art. 51 co. 3-ter): l'eccezione alla deroga ripristina, così, la regola. Nessuna norma vieta poi ai magistrati addetti alla direzione distrettuale di essere designati a svolgere indagini anche per altri reati. La concentrazione dell'attività investigativa presso le direzioni distrettuali accresce il grado di efficienza sia per la specializzazione dei magistrati addetti e sia per la conduzione, ob origine unitaria, all'interno dello stesso distretto, delle indagini preliminari. Ciò non scongiura l'eventualità che sorgano contrasti, positivi o negativi, tra i diversi uffici del p.m. sulla legittimazione a procedere. Art. 54 ter: se il contrasto si verifica tra diverse direzioni distrettuali, la risoluzione è affidata al procuratore generale presso la corte di cassazione, ma al procuratore nazionale antimafia è demandata una funzione consultiva; se, invece, il contrasto insorge all'interno del medesimo distretto, il compito tocca al procuratore generale presso la corte d'appello. La procura (rectius, direzione) nazionale antimafia è invece istituita nell'ambito della procura generale presso la corte di cassazione; ad essa è preposto un magistrato di cassazione (c.d procuratore nazionale antimafia,), di spiccate attitudini organizzative e professionali, il quale viene nominato con delibera del CSM di concerto con il Ministro della giustizia; tale incarico ha la durata di quattro anni e può essere rinnovato una sola volta. Alla direzione sono addetti, quali sostituti, venti magistrati con funzioni di magistrati di corte d'appello, essi pure nominati dal CSM, sentito il procuratore nazionale antimafia. Dato che al procuratore nazionale sono attribuite unicamente le funzioni ex art. 371- bis e dato che esse investono i soli procedimenti per i reati ex rt. 51 co. 3- bis, si può cogliere nella direzione nazionale antimafia la fisionomia di un ufficio del p.m specializzato. Il procuratore nazionale antimafia può avvalersi della direzione investigativa antimafia e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia, impartendo loro direttive. Il procuratore nazionale antimafia appare investito di due nuclei di funzioni: *impulso al coordinamento; *impulso alle investigazioni → la linea distintiva tra tali funzioni si coglie nell'art. 371 bis co. 3: *al primo nucleo è ascrivibile il compito di assicurare, d'intesa con i procuratori distrettuali interessati, il collegamento investigativo anche tramite i magistrati della direzione nazionale antimafia (lett. a). Il procuratore nazionale antimafia (pna) può inoltre impartire ai procuratori distrettuali specifiche direttive, alle quali essi debbono attenersi al fine di prevenire e risolvere contrasti sulle modalità relative al coordinamento delle attività di indagine (lett. f); può inoltre indire riunioni tra I procuratori distrettuali al fine di risolvere I contrasti che hanno impedito il coordinamento (lett. g); come estremo rimedio al mancato coordinamento il procuratore nazionale antimafia può ricorrere all'avocazione (lett. h). *Secondo nucleo: comprende l'acquisizione ed elaborazione di notizie, informazioni e dati attinenti alla criminalità organizzata, ai fini non solo del coordinamento investigativo, ma pure della repressione dei reati (lett. c); il pna è quindi abilitato non solo a ricevere, ma pure a ricercare informazioni; gode di libero accesso ai registri delle notizie di reato ed alle banche dati istituite presso le direzioni distrettuali antimafia (art. 117 co. 2 bis); ha inoltre la facoltà di procedere a colloqui personali con detenuti ed internati, a cui viene attribuita, senza necessità di autorizzazione. Altra funzione del pna è quella di curare, mediante applicazioni temporanee dei magistrati della direzione nazionale e delle direzioni distrettuali antimafia, la flessibilità e mobilità degli apparati del p.m, così da soddisfare specifiche e contingenti esigenze investigative e processuali (art. 371-bis co. 3 lett. b). I presupposti dell'applicazione sono l'esistenza di procedimenti di particolare complessità o che richiedono specifiche esperienze e competenze professionali, nonchè ad esigenze investigative o professionali; l'applicazione è disposta con decreto motivato del pna, sentiti i procuratori generali e i procuratori della Repubblica interessati; non può superare la durata di un anno, ma in caso di necessità può essere rinnovata per un periodo non superiore ad un anno. Il decreto di applicazione è trasmesso senza ritardo al CSM per l'approvazione, nonché al Ministro della giustizia. Poiché il titolare dell'ufficio al quale il magistrato viene applicato non può designare il medesimo per la trattazione di affari diversi da quelli indicati nel decreto di applicazione, si desume che anche nel corso delle indagini preliminari non siano consentite sostituzioni, se non quelle scaturenti dall'art. 36 lett. a, b, d ed e. 18. Le funzioni ed i soggetti di polizia giudiziaria. Polizia giudiziaria: titolo III libro I sui soggetti. Carattere sostanzialmente unitario dell'attività investigativa, distribuita tra p.m e polizia giudiziaria (quest'ultima protagonista nel momento di inizio delle indagini preliminari). L'intervento successivo alla commissione del reato è ciò che caratterizza la funzione della polizia giudiziaria rispetto a quella della polizia amministrativa (comprensiva anche della polizia di sicurezza); quest'ultima svolge il compito di impedire la commissione di illeciti penali o amministrativi. Le funzioni di polizia giudiziaria «sono svolte alle dipendenze e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria» (art. 56). L'elevazione al rango di soggetto del procedimento non altera, pertanto, la tradizionale collocazione della polizia giudiziaria tra gli organi ausiliari dell'autorità giudiziaria. (art. 326: vedi articolo) Art. 55 co. 1:si occupa delle attività che la polizia giudiziaria svolge anche di propria iniziativa, cioè senza un previo impulso dell'autorità giudiziaria → tripartizione: 5) attività informativa: acquisire la notizia di reato, secondo le forme dell'apprensione diretta o della ricezione (art. 330) e nel riferirla, con ritmi accelerati al p.m (art. 347); 6) attività investigativa: ricercare l'autore del reato mediante il compimento di atti atipici e tipici (art. 348 co.2); 7) attività assicurativa: è riferita alle fonti di prova, in conformità al canone secondo cui la prova si forma tendenzialmente in sede dibattimentale. Art. 55 co. 1: obbligo di raccogliere quanto possa servire per l'applicazione della legge penale (es* attività volte a determinare la pericolosità del soggetto) e obbligo di impedire che i reati siano portati a conseguenze ulteriori. Art. 55 co. 2: la polizia giudiziaria svolge ogni indagine e attività disposta (ordine) o delegata (delega) dall'autorità giudiziaria. Per quanto riguarda il p.m sono da ricordare, accanto al genenerale potere coercitivo, le direttive ai sensi dell'art. 348 co. 3 (c.d attività guidata) e gli atti delegabili ex art. 370; né vanno dimenticate le funzioni esecutive come ad es* l'eseguire le notificazioni richieste dal p.m con riferimento ai soli atti di indagine o ai provvedimenti «che la stessa polizia giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire» (art. 151 co. 1), ovvero nel documentare, mediante verbale o annotazioni, gli atti del titolare delle indagini (art. 373 co. 6). Per quanto riguarda il giudice, oltre al potere coercitivo (art. 131), l'intervento della polizia giudiziaria può essere chiesto per eseguire provvedimenti ordinatori quali l'accompagnamento coattivo dell'imputato (art. 132) o di altre persone (art. 133), misure cautelari personali o reali, provvedimenti che dispongono mezzi di ricerca della prova come le ispezioni (art. 244), le perquisizioni (art. 247), i sequestri (art. 253); nei procedimenti con detenuti e nei procedimenti davanti al tribunale del riesame il giudice può disporre, in caso di urgenza, che le notificazioni siano eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti. Art. 57 → elenco di chi riveste la qualifica di ufficiale o di agente di polizia giudiziaria, distinti in quanto solo il primo può compiere tutta una serie di atti (es* ricezione di denuncia e querela, remissione della querela, perquisizione di propria iniziativa o su delega). 3. Ufficiali che svolgono funzioni di polizia giudiziaria in via generale (cioè per tutti I reati): a) dirigenti, commissari, ispettori, sovraintendenti e altri appartenenti alla polizia di Stato ai quali si riconosce la qualità di ufficiali di polizia giudiziaria; b) ufficiali, superiori ed inferiori, il personale dei ruoli ispettori e sovrintendenti dell'Arma dei carabinieri, della guardia di finanza, del corpo di polizia penitenziaria e del corpo forestale dello stato, nonchè gli altri appartenenti a tali forze a cui l'ordinamento riconosce tale qualità; c) il sindaco dei comuni ove non abbia sede un ufficio della polizia di Stato, nè un comando dell'arma carabinieri o della guardia di finanza. 4. Agenti che svolgono funzioni di polizia giudiziaria in via generale: a) personale della polizia di Stato al quale l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità; b) carabinieri, guardie di finanza, agenti del corpo di polizia penitenziaria, guardie forestali. In merito alle guardie delle province e comuni (art. 57 co. 2 lett.b) rivestono tale qualifica solo nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e solo nel tempo in cui sono in servizio; quest'ultimi si trovano in una posizione intermedia rispetto agli ufficiali ed agenti ex art. 57 co. 3, ai quali vengono attribuiti compiti di polizia giudiziaria rispetto all'accertamento di determinate fattispecie di reato ovvero a determinati settori, nei limiti delle rispettive attribuzioni (Es* ispettori del lavoro, dirigenti degli uffici di cancelleria, personale direttivo, ufficiali e sottoufficiali del Corpo dei vigili del fuoco, autorità consolari, ispettori dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente). In una posizione particolare si situano coloro che fanno parte della Direzione investigativa antimafia (Dia), istituita, nell'ambito del dipartimento della pubblica sicurezza, con d.l. 345/91, convertito con modificazioni dalla 1. 410/91. Il relativo personale, attinto da quello dei ruoli della polizia di Stato, dell'arma dei carabinieri e della guardia di finanza, è investito, oltre che delle funzioni di investigazione preventiva attinente alla criminalità organizzata, anche del compito di «effettuare indagini di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione di tipo mafioso o comunque ricollegabili all'associazione medesima». essere ancora acquisite, l'ordinanza di riapertura delle indagini non produce il medesimo effetto (il prosciolto riassumerà la qualità di imputato solo allorquando, a seguito delle indagini espletate, il p.m formula l'imputazione, ed esercita così una seconda volta l'azione penale). L'art. 60 co. 3 va integrato con la rescissione del giudicato ex art. 625 ter → se è stata emessa sentenza passata in giudicato (pronunciata all'esito di un processo celebrato in assenza dell'imputato), qualora il soggetto dimostra che l'assenza è stata causata da un'incolpevole mancata conoscenza del processo, la cassazione dispone la revoca della sentenza e la trsmissione degli atti al giudice di primo grado: il condannato o il prosciolto, riassume la qualità di imputato. Art. 61: estensione alla persona sottoposta alle indagini preliminari (indagato) delle garanzie e dei diritti attribuiti all'imputato; a tal fine, è sufficiente la semplice sottoposizione della persona alle indagini preliminari (l'estensione quindi opera anche in rapporto ad atti non documentabili, quali le notizie o indicazioni assunte dagli ufficiali di polizia sul luogo o nell'immediatezza del fatto e anche indipendentemente dall'iscrizione nel registro delle notizie di reato). Taluno diviene persona sottoposta alle indagini a seguito del ricevimento da parte della polizia giudiziaria o del p.m di una notizia qualificata di reato (denuncia, referto, querela, istanza, richiesta) contenente un'incolpazione nei confronti di un soggetto; nel caso di notizie inqualificate, la persona è sottoposta alle indagini solo a seguito di una valutazione di attendibilità delle stesse, espressa dall'ufficiale o agente di polizia o dal p.m. Inoltre, viene in gioco la valutazione di dati emergenti dalle indagini ed idonei a fornire un principio di conoscenza circa l'attribuibilità a taluno di un fatto → nozione di indizio (diversa dalla nozione di prova indiziaria exart. 192) → *indizio: risultato conoscitivo indispensabile per adottare alcune misure nelle indagini preliminari; *prova indiziaria: si allude alle c.d prove critiche, assoggettate ad un'apposita regola di giudizio al momento della valutazione probatoria Nella prospettiva in discorso, conta, infine, l'arresto in flagranza, mentre non rileva nè il fermo e nè la richiesta di una misura cautelare personale (la quale deve essere preceduta dall'iscrizione della persona nel registro delle notizie di reato). Tutela assicurata alla persona sottoposta alle indagini preliminari: si estende tanto per i diritti dell'imputato quanto per le garanzie a lui riconosciute. Art. 61 co. 2: alla persona sottoposta alle indagini si estende ogni altra disposizione relativa all'imputato, salvo esplicite statuizioni in diverso senso. 22. Le dichiarazioni rese dall'imputato. Artt. 62-65: hanno un oggetto comune (dichiaraszioni rese dall'imputato, dalla persona sottoposta alle indagini o da soggetti che possono assumere le predette qualità) ed uno scopo comune (assicurare nei rapporti con I'autorità procedente un livello di lealtà e di civiltà). Art. 62 co. 1:le dichiarazioni rese nel corso del procedimento dall'imputato e dalla persona sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di testimonianza; tale norma investe sia le dichiarazioni sollecitate e sia quelle che il soggetto rilascia di propria iniziativa. Art. 63 co. 1 e 2: l'art. 62 vale nei confronti di coloro a carico dei quali, per effetto di dichiarazioni rese, emergano indizi di reità e di coloro che, fin dall'inizio, dovevano essere sentiti in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini. Infine, sono coperte dall'art. 62, le dichiarazioni rese nel procedimento, all'autorità giudiziaria, polizia giudiziaria, nonchè ad altre persone abilitate a riceverle. Il divieto ex art. 62 vale anche nei confronti di ogni altra persona che abbia inteso le dichiarazioni che siano rese dall'imputato in occasione del compimento di ogni atto collocato nel processo. Sono escluse, quindi, le dichiarazioni rilasciate prima dell'avvio del procedimento o al di fuori di esso (c.d. res gestae): es*quanto narrato ad un ufficiale di polizia giudiziaria in un bar. Data la natura oggettiva del divieto, è inibito pure l'ingresso alla testimonianza di chi riferisca, anche avendolo appreso da altri, il contenuto delle dichiarazioni dell'imputato (→ quindi l'art. 62 ha un regime più restrittivo dell'art. 195 in tema di testimonianza indiretta). L'inosservanza del divieto ex art. 62 non è priva di sanzioni processuali → acquisita illegittimamente, la testimonianza risulta compresa nella sfera dell'inutilizzabilità ex art. 191 co. 1. Il legislatore ha poi espressamente statuito che le dichiarazioni rese dalle perti, nel corso dell'attività di conciliazione in sede di procedimento davanti al giudice di pace, non possono essere utilizzate ai fini della deliberazione. In attuazione della direttiva europea 2011/93/UE, l'art. 62 co. 2, ha esteso il divieto del co. 1 anche alle dichiarazioni rese nel corso dei programmi terapeutici di prevenzione della recidiva per reati in materia sessuale a dano di minori, in quanto l'imputato può sottoporsi a tali programmi prima che sopravvenga la sentenza irrevocabile. Art. 63 (principio nemo tenetur se detegere) → la disciplina delle dichiarazioni indizianti costituisce sia un'anticipazione del diritto al silenzio operante in sede di interrogatorio (art. 64 co. 3), e sia, nei confronti di chi è chiamato a deporre dinnanzi al giudice, come completamento della regola per cui nessuno può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere la propria responsabilità penale (art. 198 co. 2). La medesima disciplina viene estesa alle sommarie informazioni che la polizia giudiziaria è abilitata ad assumere ex art. 351; l'art. 63 viene in gioco nei confronti di chi abbia già commesso il reato - sebbene, al momento, ciò fosse ignorato dall'autorità procedente - e non già di chi ponga in essere il reato mediante le dichiarazioni che sta rendendo: es* falsa testimonianza o calunnia. Profilatisi gli indizi, l'autorità procedente ha tre obblighi:  obbligo di interrompere l'esame e l'eventuale assunzione d'informazioni;  deve avvertire la persona che potranno essere svolte indagini nei suoi confronti per effetto della mutata veste processuale (→ mera eventualità di future indagini: le dichiarazioni indizianti sono magari rese non davanti al p.m. - titolare delle indagini - ma davanti alla polizia giudiziaria il quale deve trasmettere la notizia di reato al suo destinatario ultimo). Poichè l'art. 63 co. 1° non contempla l'obbligo di avvertire l'indiziato che le sue dichiarazioni potrannonsempre essere utilizzate nei suoi confronti così come prevede, invece, l'art. 64 co. 3 lett. A , il soggetto non è messo sull'avviso circa gli effetti sfavorevoli che potrebbero scaturire da ulteriori dichiarazioni rese prima dell'inizio dell'interrogatorio o delle sommarie informazioni ex art. 350;  invito alla persona che ha rilasciato le dichiarazioni indizianti a nominare un difensore (ciò accentua il divario rispetto a coloro ai quali il fatto è attribuito da una comune notizia di reato, in quanto ad essi l'invito è formulato nell'informazione di garanzia, da inviarsi solo a partire dal primo atto cui il difensore ha diritto di assistere). La disciplina dell'art. 63 si perfeziona con il divieto di  Art. 63: divieto di utilizzare, contro la persona autoindiziatasi, le dichiarazinoi rese pria dell'avvertimento (c.d inutilizzabilità soggettivamente relativa) → tutela la libertà di autodeterminazione di chi, se fosse stato consapevole del proprio status, avrebbe esercitare il diritto al silenzio e non rilasciare dichiarazioni a sé pregiudizievoli. Art. 63 co. 2: se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate → si presuppone qui che l'applicazione delle regole dell'interrogatoria sia stata illegittimamente disattesa dall'organo che procede. La prevista inutilizzabilità anche nei confronti di coloro che dalle dichiarazioni indizianti sono comunque coinvolti (c.d. inutilizzabilità assoluta) si spiega col proposito di disincentivare l'adozione di comportamenti contra legem intesi ad acquisire le dichiarazioni accusatorie a carico di terzi → secondo le Sezioni Unite della cassazione, la norma vuole proteggere il terzo cui siano riferite le dichiarazioni accusatorie. Muovendo dalla ratio dell'art. 63 co. 2, la giuri ha circoscritto il divieto d'uso delle dichiarazioni alle persone imputate in procedimenti connessi o collegati; nelle restanti ipoesi, il dichiarante deve essere sentito come persona informata sui fatti per cui si indaga, ovvero di testimone: quindi non opera l'art. 63 co. 2. 23. L'interrogatorio. Distinzione tra l'esame dell'imputato e l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini e dell'imputato stesso; il primo è collocato tra i mezzi di prova (artt. 208- 210), il secondo è disciplinato dagli artt. 64 e 65. Nella fase delle indagini preliminari, il p.m procede all'interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale (art. 294), dell'arrestato o del fermato (art. 388) e di chi si trova a piede libero mediante invito a presentarsi (art. 375) ma se la persona non vi ottempera, l'accompagnamento coattivo è disponibile solo a seguito di autorizzazione del giudice (art. 376). Il titolare delle indagini è libero di scegliere il momento in cui assumere l'atto, salvo che si tratti di persona sottoposta a custodia cautelare: in tal caso l'interrogatorio del giudice deve precedere quello del p.m (art. 294 co. 6). Il titolare dell'accusa è libero di non procedervi nel corso delle indagini preliminari; tuttavia, ex art. 415 bis, il p.m, ove non intenda formulare richiesta di archiviazione, deve notificare, prima della scadenza del termine di durata delle indagini preliminari, un avviso di conclusione indirizzandolo alla persona sottoposta alle indagini ed al difensore; tale avviso contiene anche l'avvertimento che l'indagato ha facoltà, entro 20 giorni, di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Il p.m deve procedere all'interrogatorio, se il soggetto lo richiede; all'inosservanza di tale prescrizione, nonchè di quella in ordine all'invio dell'avviso di conclusione, è ricollegata una nullità della richiesta di rinvio a giudizio (art. 416 co. 1) o del decreto di citazione a giudizio del pubblico ministero (art. 552 co. 2). Essendo il giudice per le indagini preliminari privo di poteri ufficiosi, il relativo interrogatorio si atteggia come attività sempre doverosa; ciò vale, in sede di convalida, per quello dell'arrestato o del fermato, salvo che questi non abbia potuto o si sia rifiutato di comparire (art. 391 co. 3) e per quello di chi sia sottoposto ad una misura cautelare personale, entro termini scadenzati: immediatamente e, comunque, non oltre cinque giorni dall'esecuzione se si tratta di custodia cautelare in carcere (a meno che all'atto in discorso si fosse proceduo nell'udienza di convalida), non oltre 10 gg dall'esecuzione o notificazione del provvedimento che dispone le altre misure cautelari, coercitive o interdittive; vi è un correttivo: se il p.m ne fa istanza nella richiesta di custodia cautelare, l'interrogatorio deve avvenire entro quarantotto ore (art. 294 co. 1, 1-bis, 1-ter). Il giudice procede, inoltre, ad interrogatorio in rapporto a talune vicende delle misure cautelare personali: quando il p.m, nel corso delle indagini preliminari, gli ha richiesto di sospendere la persona sottoposta alle indagini dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289 co. 2); quando gli è richiesto di revocare o sostituire la misura applicata: qui 1'atto è facoltativo, ma diviene obbligatorio se l'istanza medesima «è basata su elementi nuovi rispetto a quelli già valutati» (art. 299 co. 3-ter); obbligatorio è l'interrogatorio quando il giudice proroga la custodia cautelare in carcere disposta per esigenze probatorie (art. 301 co. 2-ter). Esercitata l'azione penale, l'imputato è libero di sottoporsi ad interrogatorio in sede di udienza preliminare e nel giudizio abbreviato. All'interrogatorio condotto dal p.m si attribuisce un carattere investigativo, mentre a quello condotto dal giudice si ricollega un prevalente significato di controllo e di garanzia. Dal punto di vista delle modalità di svolgimento, l'interrogatorio è disciplinato in modo da assicurare la natura di strumento di difesa. Quanto all'assistenza tecnica, il difensore ha diritto di essere avvisato del compimento dell'atto così da potervi sempre assistere (in alcun casi è condizione di validità perchè la legge gli impone di intervenie nell'interrogatorio, art. 294 co. 4). Quanto alla difesa personale l'interrogatorio deve garantire una partecipazione libera e cosciente del soggetto. Quanto al luogo dell'interrogatorio, non solo l'arrestato o il fermato, ma anche l'imputato in stato di detenzione per qualsiasi titolo, devono essere interrogati presso l'istituto penitenziario in cui si trovano; il giudice (non il p.m) può disporre, per motivi di necessità ed urgenza, che tali soggetti siano trasferiti davanti a sè. Tramite rinvii agli art. 64 e 65, il sistema ha come obiettivo quello di equiparare le modalità di svolgimento di altre figure a quelle dell'interrogatorio dell'imputato (es* per le sommarie informazioni ex art. 350 co. 1; es* per le dichiarazioni degli imputati in un procedimento connesso, ovvero di un reato collegato, ex art. 371 co. 2 lett. b). Sono assimilate all'interrogatorio le dichiarazioni rilasciate dalla persona sottoposta alle indagini a seguito della presentazione spontanea al p.m ex art. 374. Art. 64 co. 1: la persona sottoposta alle indagini, anche se in custodia cautelare o detenuta per altra causa, interviene libera nell'interrogatorio, salve le cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o violenze → regole di protezione della personalità, collegata anche ad un'esigenza di economia, allorchè una persona in stato di arresto o detenzione domiciliar debba comparire davanti all'autorità giudiziaria. Art. 64 co. 2: nel corso dell'interrogatorio non possono essere impiegati, neppure con il consenso della persona interrogata, metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare le capacita di ricordare e valutare I fatti (→ divieto indisponibile). [*tecniche: preclude il ricorso a strumenti come ad es* l'ipnosi. *metodi: tale riferimento si pone in un rapporto imprescindibile con la concezione dell'interrogatorio come sede di dichiarazioni liberamente prestate in assenza di ogni condizionamento psicologico, più che come strumento di difesa.] Art. 64 co. 3: nucleo essenziale della disciplina del diritto al silenzio della persona sottoposta ad interrogatorio; prima che inizi l'interrogatorio, l'organo procedente ha l'obbligo di rivolgere alla persona interrogata un triplice avvertimento: *lett. A: il soggetto deve essere edotto che le dichiarazioni che renderà potranno essere utilizzate nei suoi confronti; * lett. B: deve essere avvertito che, fermo restando quanto previsto dall'art. 66 co. 1 (obbligo di fornire le proprie generalità), gli compete la facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ed in ogni caso, il procedimento proseguirà il suo corso; (Art. 64 co. 3 bis: all'omissione delle suddette prescrizioni, è ricollegata l'inutilizzabilità delle dichiarazioni eventualmente rese). *lett. C:la persona interrogata deve essere avvertita che «se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone (anche se quest'ultimo non è sottoposto ad una disciplina dell'esame del tutto analoga a quella del testimone non indagato); la norma infatti fa salve le incompatibilità a testimoniare ex art. 197 e le garanzie ex art. 197 bis (tutele introdotte per bilanciare il diritto di difesa dell'indagato con il diritto della persona da lui accusata di poter procedere, in dibattimento, al controesame del dichiarante, ex art. 111 co. 4 Cost.). Al mancato avvertimento ex art. 64 co. 3 lett. C, l'art. 64 co. 3- bis ricollega una duplice «sanzione»: *la persona interrogata non potrà assumere, in ordine ai fatti concernenti la responsabilità di altri, l'ufficio di testimone; *le dichiarazioni eventualmente rese contra alios non saranno utilizzabili nei confronti dei terzi coinvolti, ferma restando la loro utilizzabilità, nei confronti del dichiarante (c.d. inutilizzabilità relativa). Il d.lgs. 101/2014, impone di somministrare l'avviso della facoltà di non rispondere subito dopo l'esecuzione delle più severe restrizioni della libertà personale; tale decreto ha mofidicato l'art. 293 co. 1 (**vedi articolo), l'art. 294 co. 1 bis (**vedi articolo), l'art. 386 co. 1 (**vedi articolo), art. 391 co. 2 (**vedi articolo) → l'avviso in discorso mostra di tener conto della condizione di stress in cui versa il soggtto al momento dell'arresto o del fermo tale da spingerlo a rendere dichiarazioni avventate, ma che potrebbero essere usate contro di lui nel prosieguo del processo. Dall'esercizio del diritto a non rispondere l'organo procedente non può ricavare conseguenza alcuna in quanto insindacabile espressione del diritto di difesa personale. Una volta che il soggetto abbia dichiarato di voler rispondere, entrano in gioco le prescrizioni ex art. 65 (interrogatorio nel merito), le quali operano esclusivamente per l'atto assunto dall'autorità giudiziaria → (obbligo di contestare in forma chiara e precisa alla persona sottoposta alle indagini il fatto attribuitole, di renderle noti gli elementi di prova esistenti a suo caricoe, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, di comunicargliene le linea con il suo ruolo istituzionale all'interno del processo penale, cioè non quello di accusatore privato, ma quello di soggetto proteso verso le sue pretese di carattere civilistico. Legitimatio ad causam, art. 74: l'azione civile ex art. 185 c.p. può essere esercitata dal soggetto (quindi anche un ente collettivo, sprovvisto di personalità giuridica) che mira alle restituzioni o al risarcimento del danno (patrimoniale e non) cagionato dal reato, o dai suoi successori universali. Il danneggiato (che non sempre coincide con l'offeso, cioè il titolare del bene giuridico protetto dalla norma penale) può costituirsi parte civile anche per mezzo di un procuratore speciale (art. 122 co. 1: “se la procura è rilasciata per scrittura privata al difensore, la sottoscrizione può essere anche autenticata dal difensore medesimo”) Una volta costituitosi, per il principio di immanenza della costituzione di parte civile, il danneggiato partecipa al processo in tutti i suoi gradi (art. 76 co. 2). Art 77 co. 1: Qualora sia carente la capacità processuale del danneggiato, costui dev'essere rappresentato (*es. minore non emancipato), assistito (es* minore emancipato e inabilitato), o autorizzato (es* interdetto) nelle forme prescritte per l'esercizio delle azioni civili. Art. 77: prevede due diversi correttivi qualora risulta impedito l'inserimento dell'azione civile nel processo penale. *Art. 77 co. 2 e 3: si considera l'eventualità della nomina di un curatore speciale, necessaria quando manca la persona a cui spetterebbe la rappresentanza o l'assistenza e ricorrano ragioni di urgenza, oppure nel caso di conflitto di interessi tra l'incapace e il suo legale rappresentante. *Art. 77 co. 4: solo nel caso di una assoluta urgenza, il p.m può esercitare l'azione civile nell'interesse del minore o dell'infermo di mente, finché non subentra il legale rappresentante o il curatore speciale. La parte civile, così come il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, possono stare in giudizio solo con il ministero di un difensore, munito di procura speciale. Art. 78: formalità della costituzione di parte civile → oltre alla procura, di cui si è appena detto, deve essere depositata presso la cancelleria del giudice procedente, o sia presentata in udienza, una dichiarazione contentente, a pena di inammissibilità, gli elementi ex art. 78 co. 1 lett. A-E (es* sottoscrizione del difensore; es* esposizione delle ragioni che giustificano la domanda). Art. 78 co. 2: se la dichiarazione è presentata fuori udienza, occorre che la stessa sia notificata, a cura della parte civile, alle altre parti (p.m e imputato), rispetto alle quali avrà efetto dal giorno della notificazione. Art. 79: stabilisce un termine iniziale e uno finale, tra i quali deve di regola collocarsi la costituzione di parte civile: *termine iniziale: la costituzione di parte civile deve avvenire per l'udienza preliminare (non solo nell'ambito di tale udienza, ma anche precedentemente, purchè sia già stata esercitata dal p.m l'azione penale; quindi a partire dal deposito della richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416); *termine finale: è previsto a pena di decadenza e coincide con l'effettuazione, da parte del giudice dibattimentale di primo grado, degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti ex art. 484 (risulta preclusa la costituzione della parte civile una volta iniziata la trattazione delle questioni preliminari ex art. 491). Art. 79 co. 3: se la costituzione di parte civile avviene dopo il termine perentorio ex art. 468 co. 1, la parte civile non può avvalersi della facoltà di presentare liste di testimoni, periti o consulenti tecnici. Esclusione e spontaneo recesso della parte civile → 1. Esclusione: può, anzitutto, essere la conseguenza di una richiesta motivata, proveniente dal p.m, dall'imputato e dal responsabile civile (art. 80 co. 1); relativamente a tale richiesta, il giudice procedente deve pronunciarsi senza ritardo con un'ordinanza (inoppugnabile). L'eventuale esclusione della parte civile nell'udienza preliminare non può essere ostacolo ad una sua successiva costituzione, entro il termine ex art. 79 co. 1 (art. 80 co. 5). Art. 80 co. 2 e 3:per la richeista di esclusione occorre rispettare termini perentori → *co. 2: se la costituzione di parte civile è avvenuta per l'udienza preliminare, la richiesta di esclusione va effettuata prima che siano terminati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti; *co. 3: se la parte civile si è costituita nella fase degli atti preliminari al dibattimento o degli atti introduttivi del medesimo, la richiesta di esclusione deve essere avanzata in sede di trattazione delle questioni preliminari (art. 491 co. 1: la proposizione è preclusa se la questione non viene proposta subito dopo che è compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti). Art. 81: una seconda ipotesi di esclusione della parte civile è quella disposta - sempre con ordinanza inoppugnabile - ex officio dal giudice,il quale, quando accerta 'inesistenza dei requisiti stabiliti per la costituzione di parte civile, può provvedere in conformità fino a che non sia stato aperto il dibattimento di primo grado. Art. 81 co. 2: il giudice provvede all'esclusione anche quando la richiesta è stata rigettata nell'udienza preliminare. Le ordinanze con cui si ammette o esclude la parte civile, hanno carattere meramente processuale → art. 88 co. 1 e 2 (*vedi articolo). 2. Spontaneo recesso del danneggiato, che, espressamente o tacitamente, revoca la costituzione di parte civile (es*perché ha concluso con l'imputato una transazione sul danno) → *revoca espressa: può aver luogo in ogni stato e grado del procedimento e riguardare solo taluno degli imputati; pccorre un'apposita dichiarazione, resa personalmente (a differenzadi quanto è richiesto per l'atto di costituzione) o per mezzo di un procuratore speciale (vedi art. 82 co. 1); *revoca tacita (presunta): le ipotesi sono invece tassativamente previste dall'art. 82 co. 2 → - mancata presentazione in sede di discussione dibattimentale, delle conclusioni riservate dall'art. 523 co. 1 al difensore della parte civile; - promozione dell'azione di danno davanti al giudice civile. Art. 82 co. 4: la revoca della costituzione di parte civile non preclude il successivo esercizio dell'azione aquiliana nella sede propria (ma il giudizio civile resta sospeso finchè, in sede penale, non vengà pronunciata la sentenza non può soggetta ad impugnazione). 27. Segue: i rapporti tra azione civile da reato e azione penale. Diversamente rispetto all'impostazione originaria del codice del 1930 (orientato a favorire la trattazione congiunta delle due regiudicande da parte del giudice penale), dall'art. 75 si deduce una scelta a favore dell'autonomia dei rispettivi giudizi (processo penale e azione di danno davanti al giudice civile). Art. 75 co. 1: il trasferimento nel processo penale, dell'azione che il danneggiato da reato ha promosso davanti al giudice civile, è subordinato a due condizioni: 1. l'azione civile può essere trasferita fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito, anche se non passata in giudicato; 2. non è più consentito l'inserimento dell'azione civile nel processo penale una volta spirato il termine ex art. 79 co. 1. Art. 75 co. 2: “l'azione civile prosegue in sede civile se non è stata trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile” → se si prescinde dall'ipotesi di una volontà del danneggiato di trasferire la tua pretesa risarcitoria nell'ambito del processo penale, niente impedisce che l'azione di danno, esercitata nella sede naturale, proceda in assoluta autonomia rispetto al parallelo processo penale. L'art. 75 co. 2 va coordinato con gli art. 651 e 652 → *se processo penale si conclude con una sentenza irrevocabile di condanna, il danneggiato può sfruttare nel giudizio civile l'efficacia di giudicato ad essa riconosciutadall'art. 651 co. 1, mentre non può accadere il contrario, poiché, grazie alla clausola disalvezza nella parte finale dell'art. 652 co. 1, è esclusa l'efficacia di giudicato della sentenza assolutoria. Solo in via di eccezione alla regola, l'art. 75 co. 3 dispone che il processo civile rimane sospeso in attesa del giudicato penale - destinato, in questo caso, ad esercitare la sua efficacia anche ai sensi dell'art. 652 co. 1 - qualora l'azione sia stata proposta in sede civile dopo la sentenza penale di primo grado o dopo la precedente costituzione di parte civile nel processo penale. L'art. 75 co. 3 fa però salve «le eccezioni previste dalla legge» → il giudizio civile prosegue senza interruzioni il suo corso quando:a) il processo penale è stato sospeso per incapacità dell'imputato (art. 71 co. 6); b)vi è stata esclusione, ai sensi degli artt. 80 e 81, della parte civile (art. 88 co. 3); c) la parte civile ha abbandonato il processo penale in seguito alla sua mancata accettazione del rito abbreviato (art. 441 co. 4); d) l'esodo della parte civile consegue alla pronuncia di una sentenza che applica la pena su richiesta delle parti (art. 444 co. 2); e) il danneggiato, già costituitosi parte civile, esercita l'azione civile in sede propria, dopo che il giudice penale ha dichiarato estinto il reato per intervenuta oblazione (art. 141 comma 4° disp. att.). 28. Il responsabile civile. Oltre che nei confronti dell'imputato, il soggetto danneggiato dal reato può agire per le restituzioni e il risarcimento del danno nei confronti della persona fisica o dell'ente plurisoggettivo (anche non personificato), che ex art. 185 co. 2 c.p., è tenuto, a norma delle leggi civili, a rispondere per il fatto dell'imputato. A questo soggetto, obbligato in solido con il protagonista del processo penale, il codice di rito riserva il nome di «responsabile civile». Ipotesi di responsabilità per fatto altrui: *art. 1784 cc (responsabilità dell'albergatore per le cose cosegnateli dai clienti), *art. 2047 cc (responsabilità della persona tenuta alla sorveglianza per il danno cagionato dall'incapace), *art. 2048 cc (responsabilità dei genitori e tutori per I danni cagionati dal fatto illegito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette a tutela), *art. 2053 (responsabilità del proprietario di un edificio per I danni provocati dalla sua rovina). Con riferimento ai profili processuali, la presenza del responsabile civile è strettamente collegata all'inserimento e al mantenimento, da parte del danneggiato, della pretesa restitutoria o risarcitoria all'interno del processo penale → non è possibile un intervento del responsabile civile antecedentemente alla costituzione di parte civile (art. 83 co. 6) e al recesso o all'esclusione di quest'ultima consegue l'estromissione del responsabile civile (art. 85 co. 4). Il responsabile civile viene citato su richiesta di parte e può intervenire altresì volontariamente nel processo penale. Art. 83 co. 1: legittimati a richiedere la citazione sono esclusivamente la parte civile, che ha interesse a fare intervenire il coobbligato solidale, e il p.m, limitatamente all'ipotesi in cui, sul presupposto di una assoluta urgenza, abbia esercitato l'azione civile a favore dell'infermo di mente o del minore (art. 77 co. 4). Ferma restando l'incompatibilità tra il ruolo di imputato e di responsabile civile (in quanto l'imputato, se condannato, è comunque civilmente responsabile in solido anche per il fatto dei coimputati), è tuttavia consentito chiedere la citazione di un imputato come responsabile civile per il fatto dei coimputati. Art. 83 co. 2: tempi della richiesta → stabilisce solo il termine finale, cioè che venga «proposta al più tardi per il dibattimento». Verificato il fumus boni iuris della richiesta, il giudice ordina la citazione con un decreto, il cui contenuto è specificato dall'art. 83 co. 3 (vedi art** → tale disposizione tralascia un elemento essenziale di qualunque vocatio in iudicium, cioè l'indacazione della data e del luogo dell'udienza). Copia del decreto è notificata a cura della parte civile alle parti che potrebbero avere interesse all'estromissione del responsabile civile (imputato e p.m). La citazione è nulla - nullità intermedia - qualora, per omissione o per erronea indicazione di qualche elemento essenziale, il responsabile civile non sia stato in grado di esercitare i suoi di-ritti nell'udienza preliminare o nel giudizio, ovvero qualora risulti nulla la relativa notificazione. Art. 84 co. 1: il responsabile civile, regolarmente citato, non è per ciò solo tenuto ad intervenire nel processo. Può optare per una scelta rinunciataria, che però non neutralizza il potere del giudice di addebitargli la responsabilità per il fatto dell'imputato; può viceversa decidere di costituirsi, e solo in questa seconda ipotesi assume la qualità di parte e si può avvalere delle relative facoltà. Al pari della parte civile, il responsabile civile sta in giudizio col ministero di un difensore (art. 100 co. 1) e può costituirsi in ogni stato e grado del processo, anche per mezzo di un procuratore speciale, depositando nella cancelleria del giudice procedente o presentando in udienza una dichiarazione che deve contenere, a pena di inammissibilità, gli elementi ex art. 84 co. 2. Anche se non è stato citato, il responsabile civile può intervenire volontariamente nel processo penale - per contribuire, ad es*, alla dimostrazione di non colpevolezza dell'imputato - sempre che vi sia stata costituzione di parte civile o il p.m abbia agito come supplente ex art. 77 co. 4. Se decidesse di non intervenire - non essendo stato citato - non può essere pronunciata condanna nei suoi confronti e, per la stessa ragione, non subisce l'efficacia extrapenale di un giudicato di condanna (art. 651 co. 1). Relativamente alla forma vale, per l'intervento volontario del responsabile civile, quanto disposto dall'art. 84 co. 1 e 2 e dall'art. 85 co. 3. Esiste un termine finale, stabilito a pena di decadenza, che coincide con l'effettuazione, nel dibattimento di primo grado, degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti (art. 484). L'art. 85 co. 2 eslude tuttavia la facoltà di presentare la lista dei testimoni, periti e consulenti tecnici qualora l'intervento volontario sia avvenuto al di là del limite fissati ex art. 468 co. 1. Sia la citazione (art. 83 co. 6) che l'intervento (art. 85 co. 4) del responsabile civile perdono efficacia in caso di revoca della costituzione di parte civile o di esclusione di quest'ultima (ex artt. 80 e 81). Oltre a queste ipotesi di estromissione del responsabile civile, è possibile la sua esclusione su richiesta di parte o di ufficio → le parti legittimate a proporre l'esclusione sono l'imputato, la parte civile e il p.m, a condizione che non ne abbiano chiesto la citazione (art. 86 co. 1). Ad esse si aggiunge il responsabile civile, il quale può chiedere la propria esclusione, oltre che per ragioni attinenti alla legittimazione, anche se gli elementi di prova raccolti prima della citazione possano recare pregiudizio alla sua difesa, in relazione a quanto previsto dagli art. 651 e 654 (art. 86 co. 2) → accolta la richiesta di esclusione, viene meno infatti, il presupposto risultante dagli art. 651 co. 1 e 654, per il riconoscimento dell'efficacia extrapenale del giudicato penale, sancita da tali disposizioni nei confronti del responsabile civile. Art. 86 co. 3: La richiesta (motivata) di esclusione, sulla quale il giudice decide, con ordinanza, senza ritardo, deve essere proposta, a pena di decadenza, «non oltre il momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nella udienza preliminare o nel dibattimento». Art. 87: esclusione d'ufficio del responsabile civile → l'esclusione sarà disposta, con ordinanza inoppugnabile, sia qualora venga accertata la mancanza dei requisiti per la citazione o per l'intervento del responsabile civile (indipendentemente dall'eventuale rigetto, in sede di udienza preliminare, della richiesta di esclusione), sia qualora venga accolta dal giudice la richiesta di giudizio abbreviato. Vale per il responsabile civile quanto disposto dall'art. 88 co. 1 e 2, ma, se l'esclusione del responsabile civile è stata deliberata in seguito a richiesta della parte civile, viene meno, per il soggetto danneggiato dal reato, la possibilità di esercitare l'azione riparaloria ex delicto in sede propria. 29. Il civilmente obbligato per la pena pecuniaria e l'ente responsabile per l'illecito amministrativo dipendente da reato. Se si rientra nelle ipotesi ex art. 196 e 197 c.p o da talune leggi speciali (es* art. 329 e 330 d.P.R. 43/73 in materia di contrabbando), una persona (fisica o giuridica) può essere assoggettata, in via sussidiaria ed eventuale, ad una obbligazione civile pecuniaria pari all'importo della multa o dell'ammenda inflitta al condannato → la responsabilità della persona civilmente obbligata si concretizza nel momento in cui il condannato risulta insolvibile (art. 534). Non è prevista la possibilità di un intervento volontario. Può essere, invece citata, «per l'udienza preliminare o per il giudizio», su richiesta del p.m o dell'imputato (art. 89 co. l). Per quanto concerne la citazione, la costituzione e l'esclusione della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, l'art. 89 co. 2 rinvia alla normativa dettata per il responsabile civile, ma escludendo l'applicabilità dell'art. 87 co. 3: non viene, pertanto, disposta la sua esclusione da parte del giudice che accoglie la richiesta di giudizio abbreviato. Per completare l'elenco delle parti eventuali, bisonga fare un cenno al D.Lgs. 231/2001 → tale normativa prevede l'irrogazione di sanzioni amministrative (sanzione pecuniaria, sanzioni interdittive, confisca e pubblicazione della sentenza), a carico degli enti forniti di personalità giuridica, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, qualora vengano accertati reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio da parte di persone che rivestano funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente nonché di persone che Art. 95 co. 4: estromissione che il giudice dispone ex officio quando accerta, in ogni stato e grado del processo, la mancanza dei requisiti richiesti dalla legge per l'intervento dell'ente collettivo. Con riferimento al dies a quo, è necessario attendere l'inizio del processo; nel corso delle indagini preliminari, l'estromissione dell'ente collettivo deve essere necessariamente collegata ad un'opposizione di parte. 33. Il querelante. In relazione ad una serie di reati indicati dal legislatore, è previsto che l'esercizio dell'azione penale da parte del p.m sia subordinato ad un'esplicita voluntas persecutionis, che la persona offesa o, in sua vece, gli altri soggetti menzionati dagli artt. 120 e 121 c.p. sono tenuti ad esprimere nella forma della «querela» (art. 50 co. 2). La querela appartiene alla categoria delle notizie di reato, e, più specificamente, alla sottocategoria delle condizioni di procedibilità. La peculiare posizione che il querelante assume nel processo penale, è una posizione di maggior rilievo rispetto a quella in cui si collocano gli autori di altri tipi di notitiae criminis → ciò risulta dall'art. 178 co. 1 lett. c, che sanziona con una nullità (intermedia) l'omessa citazione in giudizio del querelante, nonché dagli artt. 427 co. 4 e 576 co. 2, dai quali deriva la legittimazione del medesimo ad impugnare il capo della sentenza che, in presenza di determinati presupposti, lo condanna alla rifusione delle spese. *Limiti temporali entro cui deve essere presentata la querela: di regola entro tre mesi (per un raddoppio del termine si veda, ad es*, l'art. 609 septies co. 2 c.p., relativo ai delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenne) dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato (art.124 co. 1 c.p.); tuttavia, nell'ipotesi in cui si debba procedere alla nomina di un curatore speciale tenuto a valutare l'opportunità di presentare querela, il termine decorre dal giorno in cui gli è notificato il decreto di nomina (art. 338 co. l). Occorre che da parte del soggetto legittimato a sporgere querela non vi sia stata rinuncia, la quale opera automaticamente nei confronti di tutti gli autori del reato, e che può essere espressa (art. 339 co. 2) o tacita, desumibile, cioè, da fatti incompatibili con la volontà di una posteriore iniziativa persecutoria (art. 124 co. 3 e 4 c.p.). *Regola della c.d. indivisibilità della querela: il reato commesso in danno di più soggetti è perseguibile anche quando la querela sia presentata da una sola delle persone offese (art. 122 c.p.) e, reciprocament, che, nel caso di concorso di persone nel reato, la querela contro una di esse si estende agli altri concorrenti (art. 123 c.p). *Il diritto di querela si estingue in seguito alla morte della persona offesa che non lo abbia ancora esercitato (a parte limitate eccezioni, es*art. 597 co. 3), mentre in caso contrario, la morte è irrilevante ai fini dell'estinzione del reato. *L'estinzione del reato consegue alla remissione della querela (art. 152 co.1 c.p.), sempre che il querelato non l'abbia espressamente o tacitamente ricusata (art 155 co. 1 c.p.); si tratta, in sostanza di una revoca da effettuare, salvo che la stessa non sia espressamente esclusa dalla legge (art. 609-septies co. 3 c.p.), in ambito processuale o extra processuale prima che sia divenuta irrevocabile la sentenza di condanna (art. 152 co. 3 c.p.). Come la rinuncia (da cui si differenzia in quanto presuppone la presentazione della querela), la remissione può avvenire in forma espressa o tacita; non può essere sottoposta a condizioni o termini, ma è consentito al remittente la contestuale rinuncia al suo diritto alle restitutizioni o risarcimento del danno; nel caso di concorso di persone nel reato, si estende a tutti I concorrenti, fatta eccezione per chi l'abbia ricusata. In tema di remissione tacita, le Sezioni unite della Cassazione hanno stabilito che la mancata comparizione del querelante nel processo, non configura una remissione della querelante. In merito ai profili formali della remissione bisogna far capo all'art. 340 (il cui co. 4 pone le spese a carico del querelato, salvo che sia diversamente convenuto). 34. Il difensore di fiducia dell'imputato. L'art. 24 co. 2 Cost. (“diritto di difesa”), garantisce un'adeguata copertura nei confronti non solo della difesa tecnica, ma anche dell'autodifesa, cioè di quel complesso di attività che l'imputato esplica personalmente (es*art. 65) per dimostrare l'inconsistenza dell'accusa a suo carico. Il difensore dell'imputato (al quale l'art. 99 co. 1 attribuisce le facoltà ed i diritti che la legge riconosce all'imputato stesso) svolge un ruolo più importante e più impegnativo, essendo tenuto non solo a dimostrare la scarsa significatività degli elementi di prova a valenza accusatoria, ma anche ad individuare elementi probatori che scagionino l'imputato o alleggeriscano la sua posizione. L'essenzialità del difensore è da rapportare non solo agli interessi dell'assistito, ma anche all'esigenza di un adeguato funzionamento del meccanismo processuale → nel nostro ordinamento si è negato spazio all'ipotesi di un'esclusiva autodifesa dell'imputato. Titolo VII – DIFENSORE La disposizione di apertura del titolo VII (art. 96) è dedicata al difensore di fiducia (stante il carattere sussidiario della difesa d'ufficio). Art. 96 co. 1: l'imputato ha diritto di nominare non più di due difensori di fiducia. Art. 96 co. 2: ci sono tre possibili modalità di nomina consistenti, rispettivamente, nella dichiarazione orale resa dall'interessato all'autorità procedente, in quella scritta consegnata alla medesima dal difensore e nel documento di nomina trasmessole con raccomandata (art. 96 comma 2°): senza che sia necessaria l'autentificazione o la certificazione da parte del difensore dell'autografia delta sottoscrizione. Non si tratta peraltro di ipotesi tassative → atto a forma libera. Art. 391-nonies: la nomina del difensore può essere fatta in via preventiva, cioè «per l'eventualità che si instauri un procedimento penale»: in tal caso, il mandato difensivo, da rilasciare con sottoscrizione autenticata, deve contenere, oltre all'indicazione del difensore, quella «dei fatti ai quali si riferisce». Il difensore dev'essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge professionale per assistere e rappresentare l'imputato; tre sono le differenti figure che possono assumere la qualità di difensore: *praticante avvocato: coi limiti stabiliti dall'art. 8 co. 2 r.d.l. 1578/33, può patrocinare davanti al giudice di pace e al tribunale in composizione monocratica, nei (soli) processi aventi ad oggetto i reati previsti dall'art. 550, per i quali si procede con citazione diretta a giudizio; *avvocato: può svolgere il ruolo di difensore nei processi davanti ad ogni giudice penale, fatta eccezione per la cassazione; *avvocato iscritto nello speciale albo di cui all'art. 33 del r.d.l.1578/33, il quale può difendere anche davanti alla suddetta corte. La prestazione del difensore di fiducia costituisce l'oggetto di un contratto per la cui conclusione è indispensabile l'accettazione sia pure implicita del nominato; l'imputato può orientare liberamente la propria scelta, senza alcuni limite di appartenenza linguistica o etnica del difensore. Inoltre, diversamente dall'art 100 co. 3 in relazione alle parti private diverse dall'imputato, la nomina produce di regola i suoi effetti, salvo che intervengano cause risolutive del rapporto contrattuale, per tutto l'arco del processo di cognizione. Non solo: ai fini dell'iniziativa ex art. 656 co. 6, dell'istanza, cioè, finalizzata alla concessione di una misura extracarceraria al proprio assistito (ormai condannato con sentenza irrevocabile), è prevista una proroga automatica in executivis dell'investitura effettuata dall'imputato per il processo di cognizione (art. 656 co. 5). Nel caso l'imputato sia sottoposto a misure restrittive, opera la regola che legittima i prossimi congiunti della persona arrestata, fermata o sottoposta a custodia cautelare in carcere ad attivarsi in sua vece; a costoro è consentito infatti, nominare un difensore di fiducia che cessa di operare non appena l'interessato manifesti una diversa volontà (art. 96 co. 3). L'art. 25 disp.att. vieta agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria, nonché a tutti i dipendenti del- l'amministrazione penitenziaria di dare consigli sulla scelta del difensore di fiducia. 35. Il difensore d'ufficio. Qualora l'imputato non abbia nominato un difensore di fiducia o ne sia rimasto privo deve essere assistito da un difensore d'ufficio (art. 97 co. 1) → a) la sua presenza è da correlare all'imputato, anche se il carattere esclusivo di tale abbinamento è ora attenuato dall'art. 197 bis co. 3 e dall'art. 40 d.lgs. 231/2001, I quali prevedono la designazione di un difensore d'ufficio al testimone c.d assistito e all'ente responsabile per l'illecito amministrativo; b) il suo ruolo è sussidiario rispetto a quello del difensore di fiducia (art. 97 co.6); c) mentre il difensore di fiducia è libero di non accettare la nomina, quello d'ufficio ha l'obbligo di prestare il patrocinio salvo che in presenza di un giustificato motivo (art. 97 co. 5). L'esigenza di adeguare la difesa d'ufficio a criteri che ne garantissero l'effettività, è parsa ancora più necessitata dopo l'entrata in vigore da un lato, del nuovo art. 111 Cost (“il contraddittorio tra le parti deve svolgersi in condizioni di parità e la persona accusata deve disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa) e dall'altro, della l. 397/2000 con cui è stata disciplinata la materia delle indagini difensive. In sintonia con queste istanze, si collocano due provvedimenti legislativi: l. 60/2001 (intervenuta sulla disposizioni del codice di rito relative alla difesa d'ufficio) e la l. 134/2001 (che ha modificato la l. 217/90, istitutiva del patricinio a spese dello Stato per I non abbienti). *Art. 29 co. 1 bis disp.att.: stabilisce i requisiti necessari per poter essere iscritti nell'elenco alfabetico dei difensori d'ufficio, predisposto da ciascun consiglio dell'ordine forense, il quale deve aggiornarlo almeno ogni tre mesi → due possibili itinerari: l'aver conseguito un'attestazione di idoneità, rilasciata dall'ordine forense di appartenenza (in seguito alla frequenza di appositi corsi di aggiornamento professionale), o, in alternativa, l'essere in grado di dimostrare, mediante documentazione, di aver esercitato la professione nel settore penale per almeno due anni, che, nonostante la legge non lo specifichi, sembrerebbero dover essere consecutivi. Deve essere istituito un apposito ufficio, con recapito centralizzato, presso l'ordine forense del capoluogo di ogni corte d'appello: tale ufficio fornisce, sulla base di una selezione automatica, il nominativo del difensore d'ufficio, ogniqualvolta gli pervenga la richiesta dall'autorità o polizia giudiziaria. Tale ufficio funge, preliminarmente, da collettore. I vari consigli dell'ordine forense costituiti all'interno del distretto devono predisporre l'elenco dei difensori d'ufficio e stabilire i criteri per la nomina sulla base delle competenze specifiche, della prossimità alla sede del procedimento e della reperibilità (art. 97 co. 2). L'attuale normativa risulta quindi caratterizzata da un più alto tasso di automatismo, al fine di ridurre la discrezionalità in capo agli organi procedenti; in determinate circostanze l'automatismo della nomina si potrebbe ritorcere contro il soggetto a favore del quale è stato progettato; è stata introdotta quindi la previsione che consente di non far ricorso alla procedura informatizzata nell'ipotesi in cui la materia oggetto della notizia criminis riguardi competenze specifiche (art. 29 co. 2 disp. att.). Art. 97 co. 4: se il difensore (sia di fiducia che d'ufficio) già ritualmente nominato, non è stato reperito, non è comparso o ha abbandonato la difesa, al giudice (organo super partes rispetto a p.m e polizia giudiziaria) è consentito designare come sostituto - e, quindi, senza che il difensore originario venga soppiantato - un altro difensore immediatamente reperibile. Il p.m o la polizia giudiziaria, nelle medesime circostanze, richiedono un altro nominativo all'ufficio ex art. 97 co. 2 (procedura informatizzata), salva, nei casi d'urgenza, la designazione di un altro difensore (discrezionalmente individuato dall'organo procedente) immediatamente reperibile, preventivamente adottando un provvedimento motivato che indica le ragoni d'urgenza. Se la necessità di nominare un sostituto si appalesa nel corso del giudizio, il criterio dell'immediata reperibilità passa in secondo piano: può essere nominato sostituto solo un difensore iscritto nell'elenco del consiglio dell'ordine. Il contenuto degli art. 32 e 32 bis disp.att., abrogati dall'art. 299 del t.u delle disposizioni in materia di spese di giustizia (d.P.R.. 115/2002), è stato recuperato dagli art. 116 e 117 del medesimo t.u., che si occupano della retribuzione del difensore d'ufficio → *art. 116: a) il difensore d'ufficio si deve far carico della procedura esecutiva per il recupero del credito professionale nei confronti dell'assistito inadempiente, e in questa ìniziativa giudiziaria usufruisce dell'esenzione da bolli, imposte e spese; b) se dimostra che la procedura di cui sopra è risultata infruttuosa, il difensore viene retribuito dallo Stato nella misura e secondo le modalità ex art. 82 d.P.R. cit., relativo alla retribuzione del difensore patrocinante a spese dello Stato; c) a meno che l'assistito non chieda ed ottenga l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, quest'ultimo surroga il difensore nel suo credito verso il soggetto assistito; *art. 117: se l'assistenza viene prestata a favore di un soggetto irreperibile, il difensore viene retribuito senza che sia necessaria una sua preventiva attivazione per il recupero del credito professionale. *Art. 369-bis: la persona sottoposta alle indagini viene tempestivamente informata del fatto che non le è consentito fare a meno del difensore, nonchè del suo obbligo di retribuire il difensore di ufficio ove non sussistano le condizioni per essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato. 36. Patrocinio dei non abbienti e poteri del difensore. Art. 24 co. 3 Cost: impegno dello Stato ad “assicurare ai non abbienti I mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”. Art. 98: da un lato, ha rinviato ad un'emananda legge sul patrocinio dei non abbienti, e dall'altro ha menzionato I destinatari (imputato, persona offesa dal reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile). La l.217/90 fu modificata dalla l. 134/2001, con cui si è dettata una disciplina generale del patrocinio dei non abbienti davanti ad ogni giurisdizione. Attualmente, la materia è disciplinata nel t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari sulle spese di giustizia (d.P.R. 115/2002). Il soggetto ammesso al patrocinio sceglie quale difensore un libero professionista, il cui compenso viene poi liquidato dall'autorità giudiziaria ed è a carico dello Stato; questa non è l'unica soluzione, come si ricava, dall'art. 24 co. 3 Cost. (il diritto di difesa dei non abbienti dev'essere assicurato tramite «appositi istituti»): per ipotesi, quindi, anche mediante l'istituzione di «pubblici uffici di assistenza legale», istituto rimasto del tutto incompiuto. Art. 81 t.u: viene istituito presso ogni consiglio dell'ordine un elenco di avvocati idonei ad essere nominati difensori da colui che è ammesso al patrocinio. Circa l'inserimento, su richiesta dell'interessato, in tale elenco -da rinnovare entro il 31.01 di ogni anno - delibera il consiglio dell'ordine, che valuta dei requisiti (modificati dall'art. 2 l. 25/2005) → per l'iscrizione necessaria un'esperienza professionale specifica (distinguendo tra processi civili, penali, amministrativi..); ed è sufficiente l'iscrizione all'albo degli avvocati da almeno due anni. Attualmente è possibile anche nominare un difensore extra districtum (non necessariamente iscritto negli elenchi istituiti presso uno dei consigli dell'ordine del distretto di corte d'appello in cui aveva sede il giudice procedente), ma in tal caso non sono dovute le spese per di trasferta. A differenza dell'art. 82 d.P.R che si riferisce a tutte le ipotesi di patrocinio, gli art. 90-118 disciplinano l'istituto nell'ambito del processo penale → queste ultime realizzano un ampliamento della normativa originaria → il primo dato da evidenziare è l'innalzamento alla soglia di euro 11.369,24 del reddito annuale, che consente di usufruire del patrocinio a spese dello Stato. Se l'interessato convive con il coniuge o familiari, viene innalzato di 1.032,91 per ogni convivente il limite -11.369,24 – che non bisogna superare per essere ammessi (art. 76 d.P.R.). Art. 74 co. 4 ter d.P.R.: la persona offesa dei reati ex art. 572, 583bis, 609bis, 609quater c.p., nonchè qualora siano stati commessi in danno di minori, dai reati ex art. 600, 600bis, 600ter [..] può usufruire del patrocinio statale anche se il suo reddito è superiore alla soglia fissata dal legislatore. Art. 96 co. 2 e 3 d.P.R: ci si è preoccupati del rischio che vengano ammessi al patrocinio soggetti che, contrariamente alle loro attestazioni, non versano nella situazione di "non abbienza" → l'istanza di ammissione va respinta quando il tenore di vita, le condizioni personali e familiari del richiedente nonché le attività economiche da altra forma di controllo, sempre che la corrispondenza sia riconoscibile grazie ad indicazioni da apporre sulla busta e che l'autorità giudiziaria non abbia fondato motivo di ritenere che si trati di corpo del reato. *È vietata l'intercettazione delle conversazioni (dialoghi) e delle comunicazioni (esternazioni unilaterali) che difensori, investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, consulenti tecnici e loro ausiliari effettuino tra di loro, al pari di quelle tra i medesimi e i loro assistiti (art. 103 co. 5); NON è preclusa la captazione delle conversazioni integranti un reato (es*delitto di favoreggiamento). * Profilo sanzionatorio: fatti salvi i divieti di utilizzazione ex art. 271 e la nullità (ex art. 103 co. 3), si è stabilito che in caso di inosservanza delle rimanenti disposizioni del medesimo articolo i risultati delle operazioni compiute non possano essere utilizzati. Le garanzie ex art. 103 si estendono agli assistenti sociali iscritti all'albo e ai dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze. 40. Il colloquio del difensore con l'imputato privato della libertà personale. Attualmente l'imputato ha diritto di avere il primo colloquio con il difensore immediatamente o comunque non oltre 7 gg dal provvedimento limitativo della libertà personale (in passato il primo colloquio era ammesso solo dopo la conclusione degli interrogatori). Art. 104 co. 1 e 2: il soggetto sottoposto a custodia cautelare, al pari della persona in stato di fermo o di arresto, ha diritto di conferire con il difensore subito dopo che è stato privato della libertà personale. Quindi il difensore, di fiducia o di ufficio, deve essere immediatamente avvisato dell'avvenuta esecuzione della misura restrittiva (artt. 293 co. 1 e 386 co. 2), e ha diritto di accedere ai luoghi in cui la persona fermata, arrestata o sottoposta a custodia cautelare si trova detenuta (art. 36 disp.att.). In ossequio alla direttiva 2010/64/UE, il D.Lgs. 32/2014 ha introdotto il co. 4 bis all'art. 104 → qualora non conoscano la lingua italiana, gli indagati in vinculis, hanno diritto all'assistenza gratuita di un interprete per conferire proficuamente con il difensore. Art. 104 co. 3: in presenza di eccezionali ragioni di cautela è consentito dilazionare il colloquio per un termine non superiore a cinque giorni; tale eccezione opera solo nella fase delle indagini preliminari. 5. Se la privazione della libertà è l'effetto di un'ordinanza cautelare, la decisione circa l'eventuale differimento del colloquio spetta al giudice per le indagini preliminari che deve provvedere con decreto motivato - inoppugnabile - su richiesta del p.m. (art. 104 co. 3); 6. Se la privazione della libertà consegue ad una misura pre-cautelare (arresto in flagranza o fermo), la decisione circa il differimento compete al p.m che può dilazionare il colloquio fino al momento in cui l'arrestato o il fermato è posto a disposizione del giudice; dopo tale periodo (art. 390 co. 1: max quarantotto ore)non ci sono più ostacoli per il colloquio, salvo eventuali proroghe da parte del giudice per le indagini preliminari (art. 104 co. 4). Il provvedimento dilatorio deve indicare la motivazione delle specifiche ed eccezionali ragioni di cautela → anche se il provvedimento è da ritenere inoppugnabile alla luce del principio di tassatività delle impugnazioni, al difetto di motivazione è ricollegabile una nullità (intermedia) suscettibile di estendersi agli atti successivi (art. 185 co. 1). 41. L'abbandono della difesa e il rifiuto della difesa d'ufficio. Il procedimento disciplinare, nel caso di violazione di regole deontologiche, nei confronti dei difensori si svolge in assoluta autonomia; esso è devoluto alla competenza esclusiva del consiglio dell'ordine forense. *Art. 105 co. 1: con riferimento all'abbandono della difesa e al rifiuto dell'incarico difensivo da parte del difensore d'ufficio (compreso il difensore sostituto), il procedimento disc jlinare è di competenza esclusiva del consiglio dell'ordine forense. *Art. 105 co. 2: il procedimento penale nel cui contesto è avvenuto l'abbandono o rifiuto non è pregiudiziale (è quindi autonomo) rispetto al procedimento disciplinare. *Art. 105 co. 3: nei casi di rifiuto o abbandono motivati da violazione dei diritti della difesa, quando il consiglio dell'ordine ritiene giustificato il comportamento del difensore, la sanzione disciplinare non è applicata, neppure in presenza di una sentenza irrevocabile che esclude la violazione *Art. 105 co. 4: l'autorità giudiziaria si limita a svolgere compiti di informativa → l'autorità giudiziaria è tenuta infatti a comunicare al consiglio professionale sia i casi di abbandono e rifiuto della difesa d'ufficio, sia i comportamenti integranti violazione dei doveri di lealtà e di proibità, sia la violazione dell'art. 106 co. 4bis (divieto, per uno stesso difensore, di assumere la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di altro imputato). Nel caso di abbandono della difesa da parte del difensore di fiducia dell'imputato si determina una stasi processuale, finché non si proceda alla nomina di un nuovo difensore di fiducia ovvero, in mancanza, alla nomina di un difensore d'ufficio; nel caso invece di abbandono della difesa delle altre parti private, della persona offesa e degli enti o associazioni ex art. 91, ciò non impedisce l'immediata continuazione del procedimento e non interrompe l'udienza; a seguito all'abbandono del difensore tali soggetti, ad eccezione della persona offesa, ove non provvedono alla nuova nomina, perdono la possibilità di essere attivi in sede processuale, e possono stare in giudizio solo con il ministero di un difensore. 42. Incompatibilità, non accettazione, rinuncia e revoca del difensore. *Incompatibilità. Art. 106 co. 1 → ad di fuori dell'ipotesi ex art. 106 co. 4 bis, la difesa di più imputati può essere assunta da un difensore comune, a condizion che le posizioni degli assistiti non siano tra loro incompatibili. Mancando una definizione legislativa dell'incompatibilità, ci si può rifare all'elaborazione giurisprudenzaiale → è condizione indispensabile l'inconciliabilità - e non la semplice diversità - delle posizioni degli imputati (= l'uno deve avere interesse a sostenere tesi pregiudizievoli all'altro). Può aversi una spontanea rimozione dell'incompatibilità qualora l'imputato interessati revoca la nomina del difensore oppure quest'ultimo rinuncia alla difesa. Se ciò non avviene, è previsto un intervento del giudice – o, nel corso delle indagini preliminari, del p.m. - in base al quale viene fissato un termine per la rimozione dell'incompatibilità da parte degli interessati (art. 106 co. 2 e 4). Nel caso di mancata attivazione degli interessati, l'extrema ratio è costituita da un'ordinanza del giudice con la quale viene dichiarata l'incompatibilità e, sentite le parti interessate, si procede alle designazioni dei difensori d'ufficio (art. 106 co. 3). *Art. 106 co. 4 bis: seppur equiparata dal punto di vista del trattamento processuale all'incompatibilità, è eterogenea la situazione ex art. 106 co. 4 bis (comma aggiunto dalla l. 45/2001) → “non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato (dichiarazioni accusatorie) nello stesso procedimento o in procedimento connesso o collegato” → non riguarda quindi gli imputati che si trovano in una situazione di conflitto di interessi. Il divieto si riferisce alla sola ipotesi in cui gli imputati si avvalgono del difensore comune nell'ambito dello stesso processo; tale divieto viene in gioco non per non pregiudicare il diritto di difesa di imputati in conflitto di interessi, bensì per non sacrificare il diritto di difesa del soggetto accusato. Il meccanismo ex art. 106 presuppone l'esistenza di un difensore di fiducia; lo stesso per le ipotesi di non accettazione, rinuncia e revoca del difensore (art. 107), che non sono configurabili con riferimento al difensore d'ufficio → denominatore comune di questi atti è il fatto che ostacolano l'instaurazione o prosecuzione del rapporto fiduciario. Mentre nel caso di revoca il soggetto agente è l'assistito, la non accettazione e rinuncia (→ atti alternativi, in quando la rinuncia è ipotizzabile solo se c'è stata in precedenza l'accettazione della nomina) sono iniziative del difensore. *Momento in cui si incomianciano a produrre i relativi effetti → mentre la non accettazione ha effetto dal momento in cui perviene la relativa comunicazione all'autorità procedente (art. 107 co. 2), la revoca e la rinuncia sono prive di effetto fino a che la parte non risulti assistita da un nuovo difensore (art. 107 co. 4) e se ai fini di una difesa informata il nuovo difensore si avvale ex art. 108 del diritto di ottenere un termine a difesa, la rinuncia e la revoca diventano efficaci solo a partire dalla sua scadenza. *Termine a difesa: nel caso di rinuncia, revoca, incompatibilità, abbandono, il nuovo difensore dell'imputato ha diritto ad un termine congruo che, di regola, non può essere inferiore a sette giorni, per prendere cognizione degli atti e per informarsi sui fatti oggetto del procedimento (art. 108 co. 1). Si può scendere al di sotto di tale termine (MA limite minimo invalicabile di ventiquattro ore) solo se ricorre una situazione ex art. 108 co. 2:  se vi è il consenso dell'imputato o del suo difensore;  se vi sono specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione dell'imputato  se ricorrono specifiche esigenze processuali che possono determinare la prescrizione del reato. 43. Gli ausiliari del giudice e del pubblico ministero. Ausiliari: affiancano il giudice o il p.m. svolgendo compiti di vario genere, accomunabili dal loro carattere strumentale rispetto alla funzione della figura cui ineriscono. Pur potendosi attribuire la qualifica di ausiliare in senso lato a chi collabora, anche in via precaria, con taluno dei soggetti processuali (art. 259) - per ausiliare in senso stretto si intende il coadiutore istituzionale, quello, cioè, la cui presenza è contrassegnata dai connotati di continuità e ordinarietà. Se si accoglie questa seconda definizione, si riserva la qualifica di ausiliario solo al cancelliere, al segretario, all'ufficiale giudiziario al direttore degli istituti penitenziari. *Cancelliere: il codice utilizza il termine cancelliere solo nell'art. 124, ricorrendo normalmente a formulazioni più generiche; in merito alle funzioni del canceliere, l'art. 126 prescrive la sua assistenza a tutti gli atti posti in essere dal giudice, salvo che la legge dispone diversamente (art. 125 co. 4, quando il giudice delibera in camera di consiglio); altre funzioni: attività di documentazione, autenticazione di atti e dei provvedimenti emessi dal giudice, custodia delle cose sequestrate, rilascio di copie, notificazione dell'atto di impugnazione. *Anche presso l'ufficio del p.m., e, più precisamente, nell'ambito della sua segreteria, opera un ausiliario che svolge funzioni analoghe a quelle del cancelliere. *Ufficiale giudiziario: premesso che la sua principale funzione è quella di curare l'esecuzione delle notificazioni, ne consegue che svolge un'attività ausiliaria nei confronti sia del giudice, sia del pubblico ministero; corollario di tale funzione è la relazione di notificazione (art. 168), che documenta l'attività svolta in riferimento all'atto da notificare. Al medesimo sono attribuiti compiti funzionali al corretto svolgimento dell'udienza (es*impedire che I testimoni da esaminare comunicano con quelli già esaminati) * Direttore dell'istituto penitenziario: opera come ausiliario sia del giudice che del p.m. essendo tenuto a ricevere e ad inoltrare immediatamente, dopo aver proceduto alla loro iscrizione in apposito registro, l'atto di impugnazione e gli altri atti contenenti dichiarazioni e richieste destinate all'autorità giudiziaria, che gli vengano presentati dal soggetto detenuto o internato. Cap. II - ATTI 1. Premessa. Libro II: ATTI → tali regole valgono per l'intero procedimento, anche se la creazione di una normativa a carattere generale non impedisce che, in rapporto alla progressione del rito si pongano regole speciali (es* documentazione degli atti). La disciplina del libro II si riferisce ad atti che si formano nel contesto del medesimo procedimento (con l'eccezione di copie, estratti, certificati o info di atti esterni al procedimento, art. 116-118); quindi, la normativa sui documenti intesi come il prodotto di un'attività svolta al di fuori del procedimento, è collocata nel libro III (prove). Ai fini di un corretto inquadramento della materia del libro II, bisogna partire dalla nozione di fatto giuridico (fornito dell'attitudine di produrre effetti giuridici) quale accadimento consistente sia in un fenomeno naturale che in un comportamento umano (che può essere sia positivo che negativo) Secondo la dottrina prevalente, l'atto giuridico si distingue dal fatto giuridico (del quale è una species) a causa di una componente minima psichica: la volontarietà; quindi, I fatti giuridici comprendono sia I fenomeni naturali che I comportamenti umani non volontari. In merito ai comportamenti omissivi, la presenza di istituti come la restituzione nel termine (art. 175), dimostra come il legislatore esiga talora un'indagine sull'effettiva volontarietà dell'omissione. Dal punto di vista della condotta, I comportamenti umani si risolvono in dichiarazioni oppure in operazioni (es*ispezioni). Se il nucleo naturalistico dell'atto è la condotta, si dovrebbe parlare di atto solo in riferimento all'attività; tuttavia il legislator impiega il termine atto per designare il risultato dell'attività, cioè quel che resta documentato. Ciò premesso, in assenza di una definizione legislativa, si tratta di definire l'atto processuale penale → *sul piano soggettivo, sono tali quelli posti in essere dai soggetti del procedimento (quindi anche I soggetti privati realizzano atti processuali, es* proposizione di impugnazione dell'imputato, art. 571); *sul piano oggettivo, secondo l'opinione in passato prevalente, due sono le caratteristiche essenziali dell'atto processuale penale: 1. la sua attitudine a produrre effetti giuridici dotati di rilevanza processuale penale ed il suo realizzarsi nel contesto del processo penale (cioè in una fattispece a formazione progressiva). Tale impostazione non è più oggi accoglibile data la scelta del codice di definire due distinte sequenze denominate procedimento e processo (la prima più ampia e comprensiva della seconda). Lo spartiacque tra i due concetti si trova nel compimento, da parte del p.m, di un atto di esercizio dell'azione penale (art. 405); ciò che precede l'esercizio dell'azione penale – cioè la fase delle indagini preliminari - compone la sequenza degli atti del procedimento, mentre ciò che segue fa parte anche del processo (ivi compresa quindi la fase dell'udienza preliminare fino alla sentenza definitiva). Nella fase delle indagini preliminari difetta un giudice investito del procedimento in senso proprio (intervento del giudice solo eventuale); solo nel processo opera un giudice investito della pienezza delle funzioni giurisdizionali ed abilitato a pronunciare sentenze. La nozione di processo (posto in un rapporto di specie a genere rispetto al procedimento) si caratterizza per una nota ulteriore: la giurisdizionalità piena degli atti relativi, che impone la completa attuazione del contraddittorio. Ciò spiega perchè il legislatore in molte disposizioni ha utilizzato la formula atti del procdimento per indicare sia gli atti anteriori che posteriori all'esercizio dell'azione penale; desta sospetto l'utilizzo del termine procedimento quando si sarebbe dovuto usare il termine processo (es* intitolazione libro VI, in cui si sarebbe dovuto parlare di processi speciali, non procedimenti speciali). Siccome il libro II si intitola “atti” e non “atti processuali”, ciò segnala l'operatività di tali disposizioni anche in relazione agli atti del procedimento. Restano da individuare l'atto iniziale e finale del procedimento, ai fini dell'applicabilità delle norme ex artt. 109 ss → *momento iniziale:gli atti posti in essere prima che la notizia di reato sia venuta ad esistenza non costituiscono atti del procedimento; il primo atto del procedimento coincide con quello immediatamente successivo alla ricezione della notizia di reato da parte della polizia giudiziaria o del p.m. istituito presso il tribunale; quindi gli atti nei quali la notizia si sostanzia (es* denuncia, querela) si collocano al di fuori del procedimento penale (a proposito della querela, la mancata sottoscrizione, da parte del dichiarante, del verbale di rinuncia alla presentazione della querela stessa, non genera una nullità ma un'improduttività di effetti). Per le notizie apprese di propria iniziativa dalla polizia giudiziaria o dal p.m., bisogna introdurre una distinzione (in quanto in simili casi la notizia di reato non trova consacrazione originaria in un atto tipico) → se la notizia è stata acquisita dal p.m., poiché scatta l'immediato obbligo di iscriverla nell'apposito registro, è da tale iscrizione che ha inizio il procedimento; se la notizia di reato viene formata dalla polizia giudiziaria, in mancanza di un atto tipico, il primo atto del procedimento è quello cronologicamente anteriore tra quelli compiuti dopo l'acquisizione della notizia di reato. *Atto finale: se le indagini preliminari sfociano in un provvedimento di archiviazione, questo è l'ultimo atto del procedimento; se l'azione penale è stata esercitata, l'art. 650 co. 2 individua nell'esecutività il momento finale del collocati nel fascicolo del p.m., sono pubblicabili solo dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado (grado di appello); 3. sono immediatamente pubblicabili gli atti già posti in quest'ultimo fascicolo, in quanto siano stati utilizzati per le contestazioni (è sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni). La diversa estensione e la tipologia dei divieti ex art. 114 co. 2 e 3 svelano gli interessi per tale via tutelati. -Nella prima (diversa estensione) si coglie l'intento di preservare la neutralità psicologica del giudice che sarà investito del procedimento (→ lo stesso obbiettivo è perseguito dalla creazione del doppio fascicolo, nel caso si proceda a dibattimento). Per gli atti delle indagini preliminari contenuti nel fascicolo del p.m., la loro mancata acquisizione in sede di giudizio d'appello funge da presupposto per la caduta del divieto, perchè si vuole consentire un contollo dell'opinione pubblica sul'operato dell'organo dell'accusa. -Al secondo riguardo (tipologia di divieti), I divieti si riferiscono alla sola riproduzione pubblica dell'atto ( → escluso che il pregiudizio possa derivare dalla pubblicazione di meri riassunti o informazioni). Per gli atti compiuti in sede di udienza dibattimentale la regola è la libera pubblicazione: eccezioni sono introdotte solo per il dibattimento tenuto a porte chiuse nei casi ex art. 472 co. 1 e 2 > art. 114 co. 4. *Art. 114 co. 4 e 5 → introducono due divieti di pubblicazione di un atto o una sua parte, che si caratterizzano per essere disposti dal giudice sentite le parti → 1. atti già utilizzati per le contestazioni, allorché sia scattato il divieto di pubblicazione degli atti del dibattimento, essendosi quest'ultimo svolto a porte chiuse; 2. riproduzione pubblica degli atti non segreti dei procedimenti speciali privi della fase dibattimentale, che sarebbero risultati di per sé pubblicabili con la chiusura delle indagini preliminari o al termine dell'udienza preliminare; in questo caso la preoccupazione è di evitare offese al buon costume, la diffusione di notizie che devono rimanere segrete nell'interesse dello Stato e la tutela della privacy di testimoni e parti private (“causare pregiudizio alla loro riservatezza”). *Art. 114 co.6-bis → tutela della dignità della persona → il divieto di pubblicazione investe l'immagine di chi si trova sottoposto a restrizione della libertà personale, purchè sia ripresa mentre si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica; tale divieto viene meno se è la persona a prestare il consenso alla ripresa *Art. 114 co. 6: esigenza di impedire la pubblicazione di dati che potrebbero cagionare pregiudizio alla personalità del minore, perché ne consentirebbero l'identificazione → il divieto si riferisce alla sola pubblicazione delle generalità o dell'immagine del minore che assume la qualità di testimone, persona offesa o danneggiato. Art. 115 → violazione del divieto di pubblicazione → “salve le sanzioni previste dalla legge penale (art. 684 c.p. → vedi art), la violazione del divieto di pubblicazione ex art. 114 e 329 co. 3 lett. b) costituisce illecito disciplinare quando il fatto è commesso da impiegati dello Stato o di altri enti pubblici ovvero da persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato” → titolo di responsabilità disciplinare a carico di una vastità di soggetti (include sia I giornalisti professionisti e pubblicisti che I c.d operatori della giustizia). Di regola, la sanzione disciplinare concorre con quella penale; vi sono, tuttavia, ipotesi in cui la prima assume carattere esclusivo, data l'irrilevanza penale dei divieti di pubblicazione conseguenti ad un ordine di segretazione impartito dal p.m o dal giudice. La norma sanzionatoria (art. 684 c.p.) pone, infatti, una riserva assoluta di legge, risolvendosi tali divieti in un limite al diritto di libertà di manifestazione del pensiero sotto forma di cronaca giudiziaria. Art. 115 co. 2: “di ogni violazione del divieto di pubblicazione commessa dalle persone dal co. 1, il p.m informa l'organo titolare del potere disciplinare” → il procedimento disciplinare può avviarsi indipendentemente da tale informativa. 5. La circolazione di copie e di informazioni. Art. 116, 117 e 118 → circolazione di atti e di informazioni sul procedimento. *Art 116: “copie, estratti e certificati” → co. 1: chiunque vi abbia interesse può ottenere, a proprie spese, il rilascio di copie, estratti o certificati di singoli atti, ivi compresi quelli incorporati su supporti non cartacei. Nonostante la norma non chiarisce le condizioni al cui rispetto è subordinato il rilascio, il raffronto con gli art. 117 e 118 rende palese che tale rilascio non può essere ottenuto allorché si tratti di atti ancora coperti dal segreto sulle indagini o divenuti oggetto di un decreto di segretazione (art. 329); nessuno ostacolo discende dall'esistenza di un mero divieto di pubblicazione sganciato da un sottostante segreto. Tuttavia il diniego dell'autorizzazione non è impugnabile, neppure tramite ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., poiché si tratta non di un provvedimento giurisdizionale, ma di un atto amministrativo discrezionale. Art. 43 disp.att.: nessuna autorizzazione è dovuta quando è riconosciuto espressamente al richiedente il diritto al rilascio di copie, estratti o certificati di atti → ciò vale, nei confronti della generalità delle sentenze in quanto emanate in nome del popolo (art. 101 co. 1 Cost.), di persone o uffici coinvolti nel procedimento, delle parti private o dei loro difensori, per una serie di ipotesi come ad es* quelle in cui il dirito al rilascio di copie segue al deposito dell'atto nella segreteria del p.m o nella cancelleria del giudice (es* art. 309 co. 8). A seguito della sentenza costituzionale 192/97- dichiarando illegittimo l'art. 293 co. 3 nella parte in cui non prevede la facoltà del difensore di estrarre copia della richiesta del p.m e degli atti presentati con la stessa – la Corte ha avallato l'orientamento secondo cui il deposito dell'atto, affinchè il difensore potesse prenderne visione, non implica l'automatico rilascio della relativa copia, ma le argomentazioni messa in campo assumono una portata generale. Art. 116 comma 3°-bis: introdotto dall'art. 2 co. l l.397/2000 → “il difensore (o un suo sostituto) che presenta all'autorità giudiziaria atti o documenti ha diritto al rilascio di attestazione dell'avvenuto deposito”. Stando ai primi interpreti la norma si porrebbe in stretto rapporto con la formazione del fascicolo difensivo e, in particolare con l'esigenza di individuare con certezza la data del deposito allorquando il giudice non abbia tenuto conto del contenuto del fascicolo difensivo; indipendentemente dalla voluntas legis, la norma ha una portata più ampia perchè non riguarda solo la presentazione di elementi di prova da acquisire al procedimento, ma anche, ad es*, atti di impulso processuale. Rispetto all'art. 116, gli art. 117 e 118 assumono natura speciale, dato il potere di penetrare nel segreto investigativo al fine di agevolare, rispettivamente, l'attività di investigazione e l'attività di prevenzione di reati. Benché la stessa autorità giudiziaria procedente possa disporre, di propria iniziativa, la trasmissione, ex art. 117, organo legittimato a presentare la richiesta è unicamente il p.m che procede; nessun potere di iniziativa spetta ai difensori delle parti, che possono giovarsi solo dell'art. 116. *Art. 118: il Ministro dell'Interno → “il p.m., direttamente o a mezzo di un ufficiale di polizia giudiziairia o del personale della DIA appositamente delegato, può ottenere dall'autorità giudiziaria competente, copie di atti di procedimenti penali e di info scritte sul loro contenuto”. *Art. 118 bis: potere di accesso spettante al Consiglio dei Ministri, che si può anche avvalere del direttore generale del Dipartimnto delle info per la sicurezza. L'oggetto e lo scopo della richiesta (o della trasmissione d'ufficio) sono legislativamente predeterminati → in merito *all'oggetto, a differenza dell'art. 116, vengono in gioco sia le copie degli atti di un procedimento che le info scritte sul loro contenuto; quanto allo *scopo bisogna distinguere tra l'art. 117 e 118: -Art. 117: la richiesta del p.m deve essere finalizzata al compimento delle proprie indagini; l'espressa clausola di salvezza dell'art. 371 (“fermo quanto disposto dall'art. 371”) delimita la portata dell'art. 117 che svolge una funzione residuale (preferenza accordata all'art. 371 in quanto da vita ad un rapporto più incisivo tra I diversi uffici del p.m.). La circolazione di copie e di info troverà, pertanto, spazio quando mancano i presupposti del coordinamento informativo ed investigativo, ovvero vi sia dissenso tra gli uffici del p.m sulla gestione delle indagini, a meno che si tratti di procedimenti per reati di criminalità organizzata - il che preclude un coordinamento che l'art. 371 vuole spontaneo - o quando le indagini non risultino collegate o, ancora, quando l'altro procedimento non si trovi più nella fase delle indagini preliminari; -Art. 118: la richiesta del Ministro dell'Interno è indirizzata alla prevenzione dei reati, con riferimento ai soli delitti che impongono l'adozione dell'arresto obbligatorio in flagranza (art. 380). Art. 118 co. 1 bis: l'autorità giudiziaria (tale espressione qui coincide con il p.m.) può autorizzare il Ministro dell'interno ad accedere direttamente al registo delle notizie di reato, anche se tenuto in forma automatizzata. Art. 118 bis co. 1: la richiesta di atti ed info da parte del presidente del Consiglio dei Ministri è tesa a ricevere notizie indispensabili per lo svolgimento delle attività connesse alle esigenze del “Sistema di infomazione per la sicurezza della Repubblica”. Verificate «senza ritardo» la propria competenza e quella dell'organo da cui proviene la motivata richiesta, l'autorità giudiziaria può: rigettarla od accoglierla. La prima soluzione sarà adottata, oltre che per ragioni di ordine rituale, per l'esigenza di preservare il segreto ex art. 329. L'obbligo di motivare il rigetto non è comunque sanzionato dalla legge processuale. Naturalmente, resta la strada di rinnovare la richiesta. Anche in merito all'utilizzabilità delle copie di atti o delle info trasmesse, l'attenzione si focalizza nell'art. 117; qui il legislatore ha specificato che la trasmissione vale solo «per il compimento delle indagini» da parte del p.m. Ulteriore penetrazione nella sfera del segreto investigativo proviene dal potere attribuito al procuratore nazionale antimafia (art. 117 co. 2 bis) e ai funzionari delegati del direttore generale del Dipartimento delle info per la sicurezza (art. 118 bis co. 3) → tali soggetti possono accedere al registro delle notizie di reato tenuto presso ogni procura della Repubblica nonchè, in merito al procuratore antimafia, pure ai registri delle misure di prevenzione ed alle banche dati istituite presso le direzioni distrettuali antimafia Un'ulteriore penetrazione nella sfera del segreto investigativo proviene poi dal potere conferito dall'art. 117 comma 2-bis al procuratore nazionale antimafia. 6. Memorie, richieste e dichiarazioni delle parti. Artt. 121, 122 e 123: poteri accordati alle parti e modalità di esercizio di altri poteri non necessariamente propri delle parti. Art. 121: “Memorie e richieste delle parti” → c.d ius postulandi delle parti: “le parti ed I loro difensori [compresi I consulenti tecnici] possono presentare memorie o richieste scritte al giudice in ogni stato e grado del procedimento [quindi anche al giudice delle indagini preliminari durante la relativa fase] tramite deposito nella relativa cancelleria”. Da tale disposizione restano esclusi la persona sottoposta all indagini e la persona offesa, ma la lacuna è colmata dalle formule estensive ex art. 61 co. 1 e 90 co. 1 (quest'ultimo riguarda solo le memorie). In ogni caso, l'art. 367 contempla le memorie e le richieste che I difensori possono presentare al p.m durante le indagini preliminari. In mancanza di specificazioni legislative, si ritiene che non sussiste un obbligo generale di comunicare le richieste e le memorie alle altre parti. Art. 121 co. 2: avuto riguardo alle sole richieste, impone al giudice di provvedere entro il termine massimo di quindici giorni; disposizioni speciali stabiliscono poi termini più brevi (es*artt. 299 co. 3, 398 co. 1). Tale obbligo scatta solo in dipendenza di una richiesta «ritualmente formulata». Art. 122: Procura speciale per determinati atti → normativa dettata per il rilascio della procura speciale per il compimento di determinati atti → la collocazione in questa sede (e non nel libro VI sui difensori), evidenzia la diversità di ruoli affidati al procuratore speciale rispetto al difensore, cui pure spettano poteri di rappresentanza (art. 99). La procura deve essere rilasciata con atto pubblico o scrittura privata autenticata [elenco ampio di soggetti abilitati all'autentica della sottoscrizione, come ad es* il difensore, al quale, ex art. 122, è espressamente esteso il potere di autentica in ordine alla sottoscrizione della procura speciale]. La procura deve essere specifica e non generica. Art. 123: Dichiarazioni e richieste di persone detenute o internate → *co. 1: “l'imputato detenuto o internato in un istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza ha facoltà di presentare impugnazioni, dichiarazioni (ivi compresa la nomina del difensore di fiducia) o richieste con atto ricevuto dal direttore dell'istituto. Esse, dopo l'iscrizione nell'apposito registro, sono comunicate all'autorità competente immediatamente, ed hanno efficacia come se fossero ricevute direttamente dall'autorità giudiziaria. *co. 2: l'imputato custodito fuori dall'istituto (“se l'imputato in stato di arresto o di detenzione domiciliare ovvero custodito in luogo di cura”) usufruisce delle medesime facoltà di cui al co. 1, ma l'atto in tal caso è ricevuto da un ufficiale di polizia giudiziaria Le impugnazioni, le richieste e le altre dichiarazioni sono comunicate nel giorno stesso o al più tardi in quello successivo all'autorità giudiziaria competente mediante estratto, copia autentica o raccomandata, ma, nei casi di speciale urgenza, è dato avvalersi di strumenti più celeri, come il telegramma confermato da lettera raccomandata o di «altri mezzi tecnici idonei» (es* comunicazione telefonica). *co. 3: le disposizioni di cui al co. 1, si applicano alle denunce, impugnazioni, dichiarazioni e richieste presentate dalle altre parti private o dalla persona offesa. 7. La garanzia della legalità. Art. 120 e 124: tali norme sono accostabili per la comune garanzia di legalità che mirano a realizzare tramite strumenti diversi. Art. 120: testimoni ad atti del procedimento. L'intervento del testimone ad atti del procedimento (c.d. testimonianza impropria, oppure ad acta) si giustifica sia per assicurare la regolare effettuazione dell'atto che precostituire una fonte di prova personale distinta ed aggiuntiva rispetto al relativo verbale. Sono oggetto di prova pure i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali (art. 187 co. 2) e il testimone ad atti del procedimento è collocato tra coloro che sottoscrivono il verbale (art. 137 co. 1). L'art. 120 enuncia tassativamente le cause di incapacità, distinguendole tra naturali e giuridiche (c.d morali) → “non possono intervenire nel procdimeto come testimoni: - I minori degli anni 14, le persone affette da infermità di mente o in stato di manifesta ubriachezza o instossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope; - ler persone sottoposte a misure di sicurezza detentive o a misure di prevenzione”. La collocazione dell'art. 120 nella disciplina generale sugli atti, si intende come riconoscimento delle ulteriori funzioni svolte dai testimoni strumentali, qualificabili in termini di assistenza o di rappresentanza a favore di soggetti implicati nel procedimento → l'art. 120 infatti richiama, in merito all'assistenza, l'art. 245 co. 1 e 249 co. 1, e in merito alla rappresentanza, l'art. 250 co. 1. Se l'imputato o le altre parti private non sono state avvisate della facoltà loro accordata o ne è stato loro precluso l'esercizio, si verifica una nullità a regime intermedio (art. 180); se, invece, le stesse ipotesi si concretano nei riguardi un altro soggetto, si resta nell'ambito della mera irregolarità. Art. 124: obbligo di osservanza delle norme processuali → “I magistrati, I cancellieri, e gli ausiliari del giudice, gli ufficiali giudiziari, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, sono tenuti ad osservare le norme di questo codice anche quando l'inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale”. 8. Le forme dei provvedimenti. assicurato ad un livello inferiore al modello ex art. 127, assumendo una forma meramente cartolare (modello «debole») → [procedimento con cui il giudice autorizza la proroga del termine delle indagini preliminari (art. 406 co. 4) o il procedimento mediante il quale la cassazione decide i ricorsi quando sussistano i presupposti indicati dall'art. 611]. Il procedimento ex art. 127 non deve essere sempre adottato allorché il giudice assume una deliberazione in camera di consiglio → l'art. 127 mette in risalto l'esistenza di due categorie, quando contrappone, alle forme da seguire allorché si deve procedere in camera di consiglio, l'adozione di un provvedimento anche senza formalità procedura (categoria di provvedimenti assunti de plano), come viene esplicitato nel 9° comma in ordine all'inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento. Art. 127 co. 1 → l'attuazione del contraddittorio è scandita dall'obbligo, a pena di nullità, di dare avviso alle parti private (nonché al p.m.), alle altre persone interessate ed ai difensori - avviso da notificarsi (o da comunicarsi al p.m) almeno dieci giorni prima della data fissata per l'udienza - e di provvedere a nominare un difensore d'ufficio all'imputato che ne sia privo. L'espressa comminatoria di nullità per la mancata notificazione (art. 127 co. 1 e 5) opera a favore della persona offesa dal reato (nullità relativa) in tutti I procedimenti dove non vale la previsione ex art. 178 lett. C, in quanto circoscrittta all'inosservanza delle sole disposizioni concernenti la citazione a giudizio della persona offesa. Art. 127 co. 2 → fino a cinque giorni prima dell'udienza possono presentarsi memorie in cancelleria. Il procedimento si svolge nel contesto dell'udienza (tale espressione non è più riservata solo alla fase dibattimentale, anche se, a differenza del dibattimento, non è ammessa in aula la presenza del pubblico → art. 127 co. 6). Art. 134 co. 2: il verbale può essere ora redatto tanto in forma integrale quanto in forma riassuntiva. Art. 45 disp.att.: appena compiuti gli atti introduttivi, e, quindi, accertata la regolare costituzione delle parti, nei procedimenti davanti ad organi collegiali la relazione orale è svolta da uno dei componenti il collegio, previa designazione del presidente. Art. 127 co. 3: il p.m., gli altri destinatari dell'avviso ed i difensori sono sentiti, a pena di nullità, se compaiono (→ non è prescritta la partecipazione necessaria di tali soggetti). Art. 127 co. 3: l'interessato detenuto o internato in luogo situato fuori della circoscrizione del giudice procedente, se ne fa richiesta, deve, a pena di nullità, essere sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo in cui è ristretto. *Art. 127 co. 4: l'udienza è rinviata (a pena di nullità) se sussiste un legittimo impedimento dell'imputato o del condannato che ha chiesto di esssere sentito personalmente e che non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice La giurisprudenza ha precisato che anche nei procedimenti in camera di consiglio la violazione del principio di immutabilità del giudice nel corso della trattazione o nella deliberazione è causa di nullità assoluta, perchè investe la capacità del giudice. *Art. 127 co. 7: il giudice decide con ordinanza (-> forma del provvedimento finale), comunicata senza ritardo al p.m..e notificata alle parti private, alle persone interessate ed ai difensori, che possono ricorrere per cassazione. *Art. 127 co. 8: il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'ha emessa disponga diversamente con decreto motivato (→ regola opposta a quella dettata dall'art. 588, in sede di disposizioni generali). *Art. 127 co. 9: in ordine ai provvedimenti deliberati in camera di consiglio tale articolo prende in considerazione solo quelli conseguenti all'inammissibilità dell'atto introduttivo, le cui cause sono individuate dall'art. 591. *Art. 128: deposito dei provvedimenti del giudice → tramite il deposito, i provvedimenti emessi a seguito di procedimento in camera di consiglio o de plano entrano a far parte dell'ordinamento. La disciplina stabilita dall'art. 128 eccettua sia i provvedimenti emessi nell'udienza preliminare (per i quali vale l'art. 424) e sia quelli emessi nel dibattimento (per I quali vale l'art. 544). Se il provvedimento è suscettibile di impugnazione, l'avviso di deposito - nel quale è contenuto il solo dispositivo - deve essere comunicato al p.m. e a tutti i titolari del diritto di impugnazione. 10. L'immediata declaratoria di cause di non punibilità (art. 129) e la correzione degli errori materiali (art. 130). Entrambe sono manifestazioni di un potere di iniziativa ufficiosa conferito al giudice. *Art. 129: obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità → co. 1:” in ogni stato e grado del processo, il giudice, se riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o manca una condizione di procedibilità (inteso in senso estensivo, cioè comprende anche la mancanza di una causa di proseguibilità), lo dichiara d'ufficio con sentenza” → tale fattispecie soddisfa esigenze di economia processuale e di attuazione del principio del favor rei, che impongono di arrestare il processo appena matura la possibilità di pronunciare sentenza di proscioglimento. Poiché nella fase delle indagini preliminari non esiste un giudice che procede, la immediata declaratoria opera solo nel contesto del processo e non anche nel momento anteriore; nella fase delle indagini preliminari un compito equivalente è svolto dall'archiviazione (nei confronti delle formule in facto soccorre l'art. 408 -archiviazione della notizia infondata -, mentre nei confronti delle formule in iure opera l'art. 411, dove sono contemplate la mancanza di una condizione di procedibilità, l'estinzione del reato o l'essere il fatto non previsto dalla legge come reato. L'art. 129 non opera nemmeno nel corso di procedimenti incidentali. *Art. 129 co. 1 → limiti applicativi → - in merito alle sentenze di non luogo a procedere emesse all'esito dell'udienza preliminare, le relative formule non coincidono con quelle qui in discorso; residuano infatti, nel'art. 425, le sentenze che dichiarano trattarsi di persona non punibile per qualsiasi causa; l'art.425 co.3 abilita ora il giudice ad emettere sentenza di non luogo a procedere "anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o non idonei a sostenere l'accusa in giudizio". -Nei confronti dei procedimenti speciali, l'art. 444 co. 2 e l'art. 459 co. 3 e l'art. 464 quarter co. 1, esplicitano l'incidenza dell'art 129, la cui concreta applicabilità impedisce l'accoglimento della richiesta, rispettivamente, di applicazione della pena o di emissione del decreto penale e di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. Nel caso di giudizio immediato, invece, l'art. 455 sembra escludere l'operatività dell'art. 129. -Negli atti preliminari al dibattimento il proscioglimento anticipato è oggetto di apposita regolamentazione → art. 469: è ammessa la declaratoria con le sole formule relative all'improcedibilità dell'azione ed all'estinzione del reato, sempre che per accertarne l'esistenza non sia necessario procedere a dibattimento: diversamente, il giudizio prosegue. Nei gradi di impugnazione, l'applicabilità ex officio dell'art. 129 co. 1 configura una deroga all'effetto parzialmente devolutivo dell'appello (art. 597).- ed al carattere del giudizio di cassazione quale controllo di legittimità vincolato ai motivi (art. 606). In quest'ultima sede la declaratoria che il fatto non e previsto dalla legge come reato, che il reato è estinto o che, l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita si risolve in un annullamento senza rinvio (art. 620 co.1 lett. a). Pure le formule per cui il fatto non sussiste e l'imputato non lo ha commesso sono adottabili dalla corte di cassazione. *Art. 129 co. 2: “quando ricorre una causa di estinzione del reato, ma dagli atti è evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non l'ha commesso o che il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta” → dispone il proscioglimento nel merito, anche in presenza di una causa estintiva del reato, con sclusivo riferimento alle sentenze di asoluzione e non luogo a procedere. Tale norma contiene una regola di giudizio (→ prevalenza della formula di merito su quella estintiva) ed una regola istruttoria ( → tale prevalenza deve risultare evidente dagli atti). Per le sentenze di assoluzione, la prevalenza del merito vale anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussista o che l'imputato l'abbia commesso, che il fatto costituisca reato o che il reato sia stato commesso da persona non imputabile (art. 530 co. 2). Per le sentenze di non luogo a procedere, vale la stessa conclusione, alla luce del nuovo testo dell'art. 425. L'applicabilità dell'art.129 co. 2 (come il co. 1) si atteggia diversamente in relazione alla struttura del rito: -la morte dell'imputato (rinvio dell'art. 69 all'art. 129) non impedisce l'emissione di una sentenza di assoluzione o non luogo a procedere nel merito. -Nella fase degli atti preliminari al dibattimento il proscioglimentoanticipato nel merito non vi trova spazio, non potendosi in tale sede pronunciare sentenze di assoluzione: la clausola di salvezza contenta nell'art. 469 impone, in tal caso, il passaggo al giudizio, anche se dagli atti già risulta evidente la prova dell'innocenza dell'imputato. -Nel dibattimento, si delinea un contrasto tra la regola di giudizio improntata al riconoscimento dell'innocenza dell'imputato e la regola istruttoria in tema di evidenza ex actis tutte le volte in cui l'imputato voglia esercitare il suo diritto alla prova. Poiché il giudice, di fronte alla causa estintiva, deve dichiararla, l'imputato si vedrebbe sottratta la possibilità di ottenere, tramite l'acquisizione probatoria dibattimentale, la pronuncia di una formula assolutoria; per chi ritenga l'art. 129 co. 2 applicabile in tale sede, residua, tuttavia, la considerazione che l'imputato ha diritto a rinunciare all'amnistia sopravvenuta, nonché alla prescrizione nel frattempo maturate, rendendo così inoperante l'obbligo dell'immediata declataroria. -Per quanto concerne il giudizio di cassazione, si può pronunciare la formula di merito quando il giudice di primo o di secondo grado ha applicato una causa estintiva. Richiami all'art. 129 dalla l. 67/2014: -Art. 420 quarter co. 2 → se la notifica persona all'imputato, assente dall'udienza preliminare o da quella dibattimentale sia impossibile, il giudice, prima di emettere l'ordinanza di sospensione del processo, deve valutare se non deve essere pronunciata sentenza ai sensi dell'art. 129. -Art. 420 quinquies co. 2 lett. D: colloca tra le cause di revoca dell'ordinanza di sospensione del processo per la riscontrata non reperibilità dell'imputato, l'ipotesi in cui debba essere pronunciata sentenza ex art. 129. Revocata l'ordinanza sospensiva del processo ex art. 420 quinquies, l'operatività dell'art. 129 è destinata a sfociare, nella maggior parte dei casi, nella declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione, magari molto tempo dopo il momento in cui l'udienza preliminare o dibattimentale erano state rinviate, a seguito della non reperibilità dell'imputato, di volta in volta annualmente acclarata con nuove ricerche. Per I reati imprescrittibili e quelli per I quali la sospensione della prescrizione non registra, l'apposizione di termini massimi di durata si configura, invece, una situazione assimilabie a quella tipica degli eterni giudicabili (cioè di imputati che sono in permanenza non in grado di partecipare coscientemente al processo. *Art. 130: Correzione degli errori materiali → “la correzione delle sentenze e delle ordinanze e dei decreti inficiati da errori od omissioni che non determinano nullità, e la cui eliminazione non comporta una modifica essenziale dell'atto, è disposta, anche d'ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento. Se questo è impugnato e l'impugnazione non è inammissibile, la correzione è disposta dal giudice competente a conoscere l'impugnazione” → tale procedura opera in presenza di tre presupposti: 1. ne sono oggetto solo gli atti del giudice riportabili alle sentenze, ordinanze e decreti; 2. deve trattarsi di errori od omissioni che non determinano nullità (art. 117 ss) [secondo un opinione corrente, l'errore si deve sostanziare in una difformità tra il pensiero del giudice e la sua formulazione, mentre l'omissione deve riguardare un comando che discenda dalla legge; tuttavia vi sono casi, come l'omessa declaratoria sulla falsità di un documento accertata con sentenza di codanna, non riparabili ex art. 130: il rimedio consiste nell'impugnazione del relativo capo]; 3. l'eliminazione dell'errore o dell'omissione non deve comportare una modificazione essenziale dell'atto. Competente a procedere - anche d'ufficio - alla correzione è il giudice autore dell'atto, ma, quando viene proposta impugnazione, tocca al giudice ad quem, salvo che dichiari inammissibile l'impugnazione stessa. *Art. 130 co. 2: il procedimento si svolge in camera di consiglio ex art. 127; l'ordinanza che dispone la correzione è annotata poi sull'originale dell'atto. Numerose sono le ipotesi alle quali è resa esplicitamente applicabile la procedura in discorso; ne segue che, per il principio di specialità, le severe condizioni poste dall'art. 130 possono essere travalicate (es* in caso di erronea attribuzione delle generalità all'imputato (art. 66 co. 3), di omessa condanna alle spese, di correzione della sentenza se occorre completare la motivazione ovvero se mancano o sono incompleti altri requisiti previsti dall'art. 546, escluse la mancanza di motivazione, la mancanza o l'incompletezza del dispositivo, la mancata sottoscrizione del giudice, trattandosi di cause di nullità (art. 547); di condanna di una persona in luogo di un'altra per errore di nome). La procedura de qua non è applicabile se la corte di cassazione ha omesso di dichiarare nel dispositivo di annullamento parziale quale parti della sentenza diventano irrevocabili (art. 624 co. 3); in tal caso, all'omissione pone rimedio una procedura de plano, tramite ordinanza ex officio, ovvero a seguito di domanda del giudice competente per il rinvio, del p.m o della parte privata interessata. Le Sezioni Unite della Corte suprema hanno ritenuto che il procedimento di correzione degli errori materiali operi pure nel giudizio di cassazione. Rispetto alla correzione ex art. 130, assume una più spiccata autonomia la retificazione della sentenza impugnata, a cui provvede la corte di cassazione in forza dell'art 619. 11. I poteri coercitivi. *Art. 131: poteri coercitivi del giudice → tali poteri assumono natura tipicamente amministrativa (c.d. polizia processuale); il giudice deve avvalersi della polizia giudiziaria e, solo se quest'ultima non sia in grado di provvedere, ricorrere alla forza pubblica. All'interno degli atti che sono manifestazione del potere coercitivo, si colloca l'accompagnamento coattivo → restrizione della libertà personale resa necessaria dall'indispensabile acquisizione di un contributo probatorio; quindi, la relativa disciplina non trova posto tra le misure coercitive personali perché esse sono oggetto di una rigida predeterminazione finalistica; quindi l'accompagnamento coattivo è stato collocato, da un lato, tra I provvedimenti del giudice e dall'altro, tra le attività del p.m. L'accompagnamento coattivo, indipendentemente da chi sia il destinatario, può essere adottato anche per I reati di minima entità, per i quali non è consentita l'emissione di una misura coercitiva personale (art. 280). *Art. 132: accompagnamento coattivo dell'imputato → tale norma detta, in modo sommario, il procedimento, e rinvia per il resto ai “casi previsti dalla legge” (es* art. 376: l'accompagnamento è disposto dal p.m, a seguito di un'autorizzazione del giudice, per procedere ad atti di interrogatorio o confronto). In generale, l'accompagnamento coattivo dovrebbe essere preceduto, a seconda dei casi, da un avviso notificato o da un decreto di citazione rimasti senza effetto; può essere disposto in sede di incidente probatorio o nel dibattimento, con esclusione, pertanto, dell'udienza preliminare (dove, per regola solo derogata dall'art. 422, non si assumono prove); destinatari sono la persona sottoposta alle indagini, l'imputato (tanto assente quanto contumace) e gli imputati in unprocedimento connesso; scopo è l'assunzione di prove diverse dall'esame, eccezion fatta per l'esame di persona imputata in un procedimento connesso. Il decreto motivato di accompagnamento è atto dall'efficacia temporale predeterminata; non è consentito protrarre la messa a disposizione davanti al giudice ltre il compimento dell'atto previsto e consequenziali e la durata massima è pari a ventiquattro ore. *Art. 133 → accompagmento coattivo di altre persone (testimoni, periti, persone sottoposte all'esame del perito diverse dall'imputato, consulenti tecnici, interpreti e dei custodi di cose sequestrate) → tali soggetti sono passibili sono agli arresti domiciliari) o stia espiando una pena detentiva per un altro reato (coloro che si trovano ristretti in espiazione della pena). 3.la norma non vale per gli interrogatori assunti nel contesto spaziale e temporale dell'udienza: esclusi, quindi, quelli svolti in sede di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo o nell'udienza preliminare; la ratio di tale norma si comprende dalla circostanza che la presenza del difensore è indefettibile nell'udienza. L'art. 141 bis è da intendere come una previsione volta a rafforzare la determinazione della persona sottoposta ad interrogatorio ad avvalersi della facoltà di non rispondere, in situazioni in cui il suo esercizio, potrebbe essere esposto a sollecitazioni se il difensore non è presente. *Art. 398 co. 5 bis: le testimonianze assunte tramite incidente probatorio nei procedimenti per reati di cui agli artt. 572, 600, 600 bis, 600-bis, 601, 602, 609 terz, 609-quater e 609 octies c.p., quando tra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minori di anni sedici, devono essere sempre documentate con modalità analoghe a quelle imposte dall'art. 141-bis. *Art. 16 quarter co. 3 l. 82/91: il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione deve ssere redatto con le modalità dell'art. 141 bis. Sussistendo questi tre presupposti, nasce il vincolo a disporre la riproduzione fonografica o audiovisiva integrale (→ per intero e senza interruzioni); la scelta tra le due tecniche è rimessa all'organo procedente e quindi viene superato il canone (ex art. 134 co. 4) circa la mera funzione aggiuntiva della riproduzione audiovisiva. Art. 141 bis, secondo periodo: quando si verifica un'indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia ovvero della consulenza tecnica. Art. 141, ultimo periodo: la trascrizione non è obbligatoria, ma avviene solo su richiesta delle parti. L'attività diretta a documentare l'atto funge qui da condizione di validità del relativo contenuto. L'inutilizzabilità prevista dall'art. 141-bis (“a pena di inutilizzabilità” → vedi art.) copre ogni impiego dell'interrogatorio: non solo in sede dibattimentale, ma anche nei riti alternativi al processo ordinario, ovvero ai fini dell'adozione di una misura cautelare, sia nei confronti della persona che rende dichiarazioni, sia nei confronti di terzi. In caso di violazione del divieto, la sanzione colegata scatta quanto in motivazione si fa impiego probatorio dell'atto viziato e non, invece, quando il medesimo funge da mero antecedente storico di un altro atto del procedimento. Il meccanismo di cui al combinato disposto degli artt. 294 e 302, non impedisce all'interrogatorio documentato in difformità dall'art. 141-bis di valere alla stregua di fatto giuridicamente rilevante, talché non si determina l'effetto estintivo della custodia cautelare. 16. La partecipazione a distanza. Le innovazioni tecnologiche hanno dilatato I confini dell'udienza mercè un collegament a distanza realizzato tramite una connessione video con una postazione remota (→ l. 279/2002). La partecipazione a distanza vuole realizzare un'economia processuale riducendo le traduzioni dei detenuti ed i tempi del dibattimento, nonché fornire effettività al regime ex all'art. 41-bis ord.penit.; l'esame a distanza, invece, vuole garantire la sicurezza personale del dichiarante. Correntemente si parla di videoconferenza, a proposito del primo, e di telesame, a proposito del secondo, ma tali espressioni sono estranee al linguaggio legislativo. All'inizio ci si è avvalsi di un collegamento via rete telefonica Isdn, ma attualmente si utilizzano reti IP per la realizzazione della multiconferenzaa e del collegamento fonico riservato. Si esclude però che la videoconferenza o il telesame siano la stessa cosa dell'assistenza personale o dichiarazione tipiche della pubblica udienza e quindi, tali istituti, danno vita a realtà fenomeniche diverse da quelle prese in considerazione dal codice → impossibilità di ridurre a zero la differenza tra il processo virtuale ed il processo attuale. Problema: la partecipazione o l'esame a distanza sono giuridicamente riconoscibili nei corrispondenti istituti del c.p.p e quindi, possono ritenersi ad esso equivalenti? *Art. 146 bis co. 1 disp.att.: la partecipazione a distanza è attivabile in presenza di due presupposti: 1.deve trattarsi di un dibattimento relativo ad uno dei reati indicati dall'art. 51 co. 3-bis o dell'art. 407 co. 2 lett. a n. 4; 2. l'imputato deve trovarsi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere. A tal punto, nasce l'obbligo per il giudice di valutare se sia integrata una delle due ipotesi ex art. 146-bis co. l° disp.att: 1. rimanda a parametri aperti, cioè le gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico (le ragioni di sicurezza non devono essere necessariamnte pubbliche ma possono riferirsi ad un soggetto del dibattimento); 2. fa leva su un parametro di natura oggettiva: qualora il dibattimento sia di particolare complessità e la partecipazione a distanza risulti necessaria ad evitare ritardi nel suo svolgimento (→ la partecipazione a distanza non è attivabile in caso di semplici difficoltà organizzative, ma valgono fattori quali il numero degli imputati o delle imputazioni, il numero e la natura delle prove da assumere; tra I parametri, la norma esplicita il fatto che nei confronti dello stesso imputato siano contemporaneamente in corso distinti processi presso diverse sedi giudiziarie). *Art. 146 bis co. 1 bis disp.att: una terza ipotesi di partecipazione a distanza si delinea con riferimento alla sottoposizione alle misure ex art. 41-bis co. 2 ord.penit → qui il turismo giudiziario è impedito per evitare che sia sfruttato dall'imputato per mantenere contatti con le organizzazioni criminali. Pertanto, la partecipazione a distanza scatta nei dibattimenti nei confronti di detenuti sottoposti al regime in discorso pur senza che essi siano imputati, in quel processo, di una delle fattispecie ex art. 51 co. 3 bis o 407 co 2 lett. A n. 4 → si dovrà quindi far ricorso alla partecipazione a distanza anche nei dibattimenti per reati di lieve entità. *Art. 146 bis co. 1 bis disp.att.: introduce un ulteriore ipotesi di telesame → “la partecipazione al dibattimento avviene a distanza..ove possibile, quando si deve udire, in qualità di testi, persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istgituto penitenziario, salvo diversa motivata disposizione del giudice”. *Art. 146 bis co. 7 disp.att.: la videoconferenza può interrompersi, con il ripristino della partecipazione fisica dell'imputato, se occorre procedere a confronto o ricognizione dell'imputato od altro atto che implichi l'osservazione della sua persona, sempre che il giudice, sentite le parti, ritenga indispensabile la presenza dell'imputato (solo per il tempo di compimento dell'atto). *Art. 146 bis co. 2 disp.att.: la partecipazione a distanza va disposta anteriormente all'inizio della prima udienza dibattimentale per evitare che essa si tenga con l'imputato presente e, al contempo, per rendere più agevole l'opera della difesa chiamata ad affrontare i profili organizzativi scaturenti dall'attivazione del collegamento a distanza; preso in assenza del contraddittorio, il provvedimento assume forma di decreto motivato che deve essere comunicato al p.m. e notificato alle parti almeno dieci giorni liberi prima dell'udienza. La partecipazione a distanza può anche essere disposta nel dibattimento dal giudice (con ordinanza) → [è esclusa l'impugnabilità del decreto mentre l'ordinanza può essere appellata congiuntamente con la sentenza]. *Art. 146 bis co. 3 disp.att.: il collegamento deve essere contestuale, effettivo e reciproco. *Art. 146 bis co. 5: il luogo dove l'imputato si collega in audiovisione (postazione remota) è equiparato all'aula dell'udienza → fictio iuris che estende le regole dettate per il contesto dell'udienza dibattimentale (al presidente del collegio resta affidato il potere di direzione del dibattimento). Art. 146 bis co. 6: in ordine alla qualifica della persona incaricata di stare nella postazione remota, si deve trattare di un ausiliario abilitato ad assistere il giudice in udienza e designato dal giudice stesso, o, in caso di urgenza, dal presidente; solo nel tempo in cui non si procede all'esame dell'imputato può essere designato un ufficiale di polizia giudiziaria, scelto tra coloro che non svolgono attività di investigazione o di protezione con riferimento all'imputato. Funzioni dell'ausiliario: deve attestare l'identità dell'imputato, dare atto dell'osservanza delle norme sul collegamento a distanza e della riservatezza delle consultazioni tra imputato e difensori; inoltre, se ha luogo l'esame, deve dare atto delle cautele adottate per assicurarne la regolarità con riferimento al luogo ove si trova, interpellando l'imputato e il suo difensore. Documentazione plurima: accanto al verbale del dibattimento redatto dall'ausiliario del giudice che siede nell'aula di udienza, si avranno tanti verbali quante sono le postazioni remote; quest'ultimi investono solo le attività svolte dall'ausiliario del giudice nella postazione remota, mentre la documentazione delle dichiarazioni, richieste ed eccezioni provenienti dalle persone in postazione remota, confluisce nel verbale tenuto dall'ausiliario del giudice che siede nell'aula dell'udienza. Il significato della ficto iuris si coglie sul versante delle garanzie difensive → la ficto iuris trova la sua ragion d'essere nell'escludere la che l'imputato debba essere assistito da due difensori, uno nell'aula di udienza l'altro nella postazione remota; nonostante non si sia voluto spingere a tanto, il legisaltore ha considerato opportuno che vicino all'imputato sieda un difensore, dando per scontato che un solo difensore non assicura sufficienti livelli di garanzia; da qui la creazione di una figura anomala di sostituto (art. 102). Nel caso in discorso, la partecipazione a distanza non integra una situazione di legittimo impedimento, dato che il sostituto inteviene sia che il titolare si trova in aula di udienza, sia che sieda nella postazione remota. *Art. 146 bis co. 1 disp.att.: “il difensore, o il suo sostituto presenti nell'aula di udienza e l'imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei” → libertà del flusso di info tra assistito e difensore → si allude all'installazione di apposite linee telefoniche che non saranno intercettabili. *Art. 45 bis disp.att.: il legislatore ha esteso anche ai procedimenti che si svolgono in camera di consiglio la disciplina della partecipazione a distanza dell'imputato al dibattimento → sul piano soggettivo questa forma di partecipazione a distanza è stata allineata, nei suoi presupposti, a quelli della partecipazione a distanza nel dibattimento; è quindi sufficiente la sottoposizione al regime ex art. 41-bis ord.pen. affinché operi la partecipazione a distanza. In ordine allo sviluppo procedimentale, il riferimento all'imputato (vedi articolo) appare insufficiente a restringere l'ambito dell'istituto ai procedimenti in camera di consiglio instaurati dopo l'esercizio dell'azione penale; vale qui l'estensione della partecipazione a distanza anche nei procedimenti che si svolgono durante la fase delle indagini preliminari; il riferimento al condannato vale poi per il procedimento di esecuzione e per quello di sorveglianza, non, invece, in sede di prevenzione, dove il soggetto che partecipa all'udienza assume la qualifica di interessato. Quesito: per quali udienze in camera di consiglio vale l'istituto ex art. 45 bis? Questo problema sorge a causa del tenore dell'art. 45-bis co. 2 (“il provvedimento che dispone il collegamento a distanza è comunicato o notificato unitamente all'avviso di cui all'art. 127 co. 1 c.p.p”) → si ritiene che il richiamo all'art. 127 co. 1 assume un significato generico alla stregua di un mero sinonimo di avviso della data di fissazione dell'udienza camerale; quindi, la partecipazione a distanza è disponibile pure nei procedimenti che si tengono in udienza camerale per i quali sia stabilito un termine di comparizione inferiore a dieci giorni. L'istituto in esame vale anche nel caso in cui il rito speciale si svolge in pubblica udienza ex art. 441 co. 3. L'istituto si atteggia diversamente a seconda che la presenza dell'imputato all'udienza sia prescritta come indefettibile (1) o facoltativa (2) → (1) l'attivazione della partecipazione a distanza non crea difficoltà: nei procedimenti in camera di consiglio che seguono il modello ex art. 127 co. 3, se l'imputato risulta detenuto in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice e ne fa richiesta, deve essere sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo; (2) nei procedimenti a partecipazione eventuale per i reati ex art. 51 co. 3-bis non è pensabile che il legislatore abbia voluto introdurre una sorta di partecipazione necessaria, ma neppure è sostenibile che il legislatore abbia voluto rendere disponibile la partecipazione a distanza solo nei casi in cui il soggetto sia detenuto nella stessa circoscrizione del giudice investito del procedimento → si inteso estendere l'istituto a procedimenti come il riesame delle misure coercitive, l'appello delle misure cautelare. Per il resto non si colgono scostamenti dalla partecipazione a distanza alle udienze dibattimentali (rinvio all'art. 146 bis co. 3, 4 6). *art. 147 ter: ricognizione in dibattimento delle persone che collaborano con la giustizia → ripristina le forme del contraddittorio tradizionale, laddove provvede ad una riscrittura dell'art. 6 co. 9 d.lgs. 119/93, relativo alla ricognizione di persone nei cui confronti sia stato emesso il decreto di cambiamento delle generalità, cioè la misura estrema di protezione → l'adozione del meccanismo è rimassa ad una valutazione del giudice in termini di indispensabilità, tutte le volte in cui si tratta di procedere a ricognizione o altro atto che comporta l'osservazione del corpo della persona (es*ispezione personale); la durata dell'accompagnamento coattivo è limitata al tempo necessario al compimento dell'atto (→ vedi art. 473 co. 2). L'intera normativa era destinata a venire meno il 31.12.2002, ma la l. 279/2002 l'ha resa stabile; al di la della stabilizzazione della normativa in discorso, il legislatore è intervenuto negli ultimi anni sia ampliando le ipotesi di adozione del mezzo telematico e sia nella direzione di un più consapevole impiego (perchè maggiormente garantito) degli istituti della teleconferenza e telesame → art. 205 ter disp.att. (introdotto dalla l. 367/2001 → vedi art.): la partecipazione all'udienza dell'imputato detenuto all'estero, si realizza tramite collegamento audiovisivo, in quanto previsto da accordi internazionali; la partecipazione all'udienza di un testimone o perito, che si trova all'estero, può avvenire a distanza, secondo le modalità stabilite in fonti internazionali. 18. La traduzione degli atti → cap. IV libro II. La scelta di inserire la traduzione nel libro sugli atti del procedimento, si giustifica in quanto la traduzione non integra un mezzo di prova, ma una semplice mediazione linguistica tra i soggetti del procedimento; inoltre, il suo impiego non si esaurisce nell'ambito probatorio. Terminologia adottata: l'espressione interprete, salvo che nell'art. 143, è usata per designare sia la persona che riproduce in lingua italiana o diversa dichiarazioni orali, sia la persona che svolge il medesimo compito nei confronti di atti o documenti scritti. La disciplina ha subito una radicale riforma, sia per l'accresciuto numero di cittadini stranieri e sia per I vincoli scaturenti da diverse fonti normative; anzitutto l'art. 111 co. 3 Cost (la persona accusata di un reato dve essere assistita da un interprete, se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo); inoltre, l'art. 6 co. 3 lett. A e D cedu, pone una serie di regole; la spinta decisiva è scaturita dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Ue (art. 47 e 48 co. 2) e dalla direttiva 2010/64/UE, la quale ha dettato criteri analitici per l'interpretazione e la traduzione nei procedimenti penali, sicchè al legislatore italiano è rimasto poco spazio discrezionale. La direttiva suddetta è stata recepita con il d.lgs .32/2014. *Art. 1 d.lgs. 101/14 → emanato in attuazione alla direttiva 2012/13/UE, relativa all'info nei procedimenti penali → si è previsto che in una serie di contesti qualificati (es*l'arresto o il fermo di indiziato di delitto), la persona sottoposta alle indagini venga informata del diritto all'interprete ed alla traduzione di atti fondamentali. *Art 143: diritto all'interprete e alla traduzione di atti fondamentali → (disposizione quasi integralmente riscritta dal d.lgs. 32/2014) → l'imputato (e la persona sottoposta alle indagini, ex equiparazione art. 61) il quale non conosca, perché non parla o non comprende, la lingua italiana, ha diritto di avvalersi dell'interprete e del traduttore per gli atti fondamentali. Tale disposizione distingue l'attività dell'interpretariato da quella della traduzione (ciò non trova ricontro nel resto delle disposizioni del titolo IV, rimaste immutate) → *co. 1: “l'imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto a farsi assitere gratuitamente, indipendentemente dall'esito del procedimento, da un interprete al fine di poter comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa. Ha inoltre diritto all'assistenza gratuita per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento” → l'imputato ha diritto a farsi assistere gratuitamente dall'interprete e l'esito del procedimento non assume significato al riguardo (tra le spese non ripetibili in caso di condanna stanno quelle relative agli interpreti e traduttori ex art. 143). Il diritto all'assistenza linguistica investe, oltre alla conoscenza del tema del processo (e prima, delle indagini preliminari), sia il compimento di atti procedimentali o processuali, nonchè lo svolgimento delle udienze alle quali sia partecipe; inoltre tale diritto è esteso ai colloqui con il difensore. *Art. 143 co. 2: si occupa della traduzione → negli stessi casi, l'autorità procedente (espressione generica che ricomprende anche gli appartenenti alla polizia giudiziaria) dispone la traduzione scritta entro un termine congruo (→ sollecita iniziativa dell'autorità procedente) tale da consentire l'esercizio dei diritti e delle facoltà difensive”; l'elenco degli atti è poi assai esteso: - informazione di garanzia; - informazione sul diritto di difesa; - provvedimenti che dispongono misure cautelari personali; - avviso di conslusione delle indagini; - decreti che dispongono l'udienza preliminare; - citazione a giudizio; - sentenza e decreti penali di condanna (la sentenza non deve essere obbligatoriamente tradotta quando manca l'interesse ad impugnarla; quindi l'obbligo di traduzione non sussiste per la sentenza che assolve l'imputato con formule pienamente liberatorie. La formula legislativa in questione non ammette nè traduzioni orali e nè quelle, pur scritte, ma rese in forma riassuntiva. *Art. 143 co. 3: la traduzione gratuita di altri atti o parti di essi, ritenuti essenziali per consentire all'imputato di conoscere le accuse a suo carico, può essere disposta dal giudice, anche su richiesta di parte, con atto motivato (la motivazione è imposta anche in caso di diniego, trattandosi di provvedimento impugnabile), impugnabile unitamente alla sentenze → prevede la traduzione di atti che siano essenziali per conoscere le accuse a carico dell'imputato. *Art. 143 co. 4: l'accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è compiuto dall'autorità giudiziaria (esclusa quindi la polizia giudiziaria ch dovrà rivolgersi al p.m investito delle indagini); la conoscenza della lingua italiana è presunta, fino a prova contraria, per il cittadino italiano.Conta qui non la comprensione del significato tecnico degli atti processuali, ma la padronanza della lingua, talché una conoscenza «media» esclude la necessità dell'interprete. Al cittadino italiano che non parla o non comprenda la lingua italiana, è assicurata una posizione di parità con l'imputato straniero, anche se l'art. 143 co. 4 pone a suo carico una presunzione di conoscenza della lingua italiana. *Art. 169 co. 3: la tutela dell'imputato straniero che si trova all'estero si completa con l'obbligo di redigere nella lingua dello Stato dove è nato l'invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato. * Art. 143 co. 5: l'interprete e il traduttore sono nominati anche quando il giudice, il p.m o l'ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare I traduttori e gli interpreti sono collocati nell'elenco dei periti, istituito presso ogni Tribunale, di cui all'art. 67 co. 2 disp.att.; non è però stato esteso all'interprete la regola dettata per il perito dall'art. 221, circa la nomina preferenziale di chi sia iscritto negli appositi albi. *Art. 144: incapacità e incompatibilità dell'interprete → non può prestare ufficio di interprete, a pena di nullità: (*il regime dell'invalidità dipende dal soggetto a favore del quale l'interprete opera: se interviene per l'imputato si configura una nullità di ordine generale a regime intermedio, art. 178 lett. c): a) il minorenne, l'interdetto, l'inabilitato, l'affetto da infermità mentale; b) l'interdetto da uffici pubblici, l'interdetto o sospeso da una professione o un arte; c) il sottoposto a misure di sicurezza personali o di prevenzione. d) chi non può essere assunto come testimone (art. 197) o ha la facoltà di astenersi dal testimoniare, o chi è chiamato a prestare ufficio di testimone o perito, ovvero sia stato nominato consulente tecnico nello stesso procedimento o in un procedimento connesso; l'art. 119 prevede che la qualità di inteprete può essere assunta da un prossimo congiunto della persona sorda, muta o sordomuta. *Art. 145 → ricusazione è astensione dell'interprete → l'interprete incapace o incompatibile è ricusabile dalle parti private e, per i soli atti compiuti o disposti (le prove) dal giudice, è ricusabile anche dal p.m. La dichiarazione di ricusazione o di astensione è decisa con ordinanza da ritenersi inoppugnabile. *Art. 52 disp.att.: con il provvedimento di nomina, l'interprete o il traduttore è citato a comparire tramite notificazione e, in situazioni di urgenza, anche oralmente per mezzo dell'ufficiale giudiziario o della polizia giudiziaria. *Art. 146: conferimento dell'incarico → il conferimento dell'incarico avviene con forme che non contemplano la prestazione del giuramento, ma che mantengono l'obbligo di serbare il segreto, benché esso cada con la chiusura delle indagini preliminari. *Art. 147: termine per le traduzioni scritte. Sostituzione dell'interprete → se l'incarico concerne traduzioni scritte che richiedono un lavoro di lunga durata, l'autorità procedente è abilitata a prorogare, per giusta causa, il termine fissato per una sola volta; l'interprete che non abbia presentato la traduzione nel termine può essere sostituito; in quest'ultimo caso, dopo essere stato citato a comparire per discolparsi, è passibile, al pari del perito (art. 231), di condanna al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende. Nel corso delle indagini preliminari, è il p.m che chiede al giudice di applicare la sanzione (art. 53 disp. att.). 19. Le linee di fondo del regime delle NOTIFICAZIONI (Titolo V). Nel processo penale gli atti contano in quanto, con l'osservanza di determinate forme, siano portati a conoscenza dei soggetti diversi dal loro autore: allo scopo è predisposto l'istituto delle notificazioni. Tale disciplina è improntata ad esigenze di celerità, garanzia e parità di posizioni tra I soggetti processuali (conseguenti all'adozione del modello accusatorio). L'obiettivo è quello di una conoscenza effettiva, più che di una conoscenza legale (conseguente al rispetto delle forme stabilite dall'ordinamento e, come tale, produttiva di una presunzione conoscitiva dell'atto da parte del destinatario). L'obiettivo della tutela effettiva è imposto dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo che hanno censurato il nostro ordinamento in ordine al regime della contumacia → ciò ha comportato dapprima, con la l. 479/99, aggiustamenti nel senso di una conoscenza effettiva in ordine alla rinnovazione dell'avvisio dell'udienza preliminare, quando fosse provato che l'imputato non avesse avuto effettiva conoscenza dell'atto (art. 420 bis) e della citazione a dibattimento (art. 484 co. 2 bis); poi, con il d.l. 17/2005 si è aggiunta una nuova ipotesi alla restituzione nel termine avente ad oggetto la sentenza contumaciale (art. 175 co. 2); infine si è pervenuti a sopprimere la figura del processo in contumacia. Nel disegno di conoscenza effettiva si collocano tanto la consegna dell'atto da parte della cancelleria ex art. 148 co. 4, quanto la rinnovazione della notificazione ex art. 157 co. 5 e le notificazioni in via telematica. Dal punto di vista strutturale, il procedimento di notificazione è distinto in tre fasi: 1. impulso (ordine o richiesta di eseguire la notificazione e consegna materiale dell'atto all'organo esecutivo); 2. esecuzione (predisposizione dell'atto da notificare + attività di ricerca del destinatario + consegna dell'atto alla persona abilitata a riceverlo); 3. documentazione dell'attivtà svolta dall'organo esecutivo. 20. Gli organi e le forme delle notificazioni disposte dal giudice o richieste dalle parti. Distinzione tra notificazioni disposte dal giudice e notificazioni richieste dalle parti (ivi compreso il p.m.) *Art. 148: organi e forme delle notificazioni (disposte dal giudice) → “le notificazioni deglia atti, salvo che la legge disponga diversamente, sono eseguite dall'ufficiale giudiziario o da chi ne esercita le funzioni” → l'ufficiale giudiziario (ausiliario del giudice) è investito in via primaria dell'attività di notifica, anche se accanto continua ad essergli collocato chi ne esercita le funzioni. Tra gli organi che esercitano funzioni notificative vanno anche annoverati i messi di conciliazione e la polizia penitenziaria (art. 148 co. 2). *Art. 148 co. 2: “nei procedimenti con detenuti e in quelli davanti al tribunale del riesame, il giudice può disporre che, in caso di urgenza, le notificazioni siano eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui I destinatari sono detenuti” → gli agenti di polizia penitenziaria, a seguito del provvedimento del giudice, diventano organi delle notificazioni a pieno titolo (gli viene estesa, quindi, la disciplina degli artt. 148-171). 21. Le notificazioni all'imputato. La disciplina delle notificazioni all'imputato è costruita sulla base del relativo status personale. -Imputato detenuto in Italia (art. 156) → co. 1:“le notificazioni all'imputato detenuto sono eseguite nel luogo di detenzione, mediante consegna di copia alla persona (consegna a mani proprie nel luogo di detenzione)”. Co. 2: in caso di rifiuto della ricezione se ne fa menzione nela relazione di notificazione e la copia rifiutata è consegnata al direttore dell'istituto o a chi ne fa le veci”. -Imputato legittimamente assente perché usufruisce del regime di semilibertà, semidettenzione, autorizzazione al lavoro esterno e imputato detenuto in luogo diverso dall'istituto penitenziario → art. 156 co. 5: esclude che la notificazione all'imputato detenuto od internato possa effettuarsi con il rito degli irreperibili. *Art. 157: prima notificazione ad imputato non detenuto (libero) → Co. 1:”se non è possibile la consegna di copia dell'atto a mani proprie, la notificazione viene eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui il soggetto esercita abitualmente l'attività lavorativa, consegnando la copia ad un convivente (diverso da coabitazione), anche temporaneo, o, in mancanza, al portiere o chi ne fa le veci.” Co. 2: “Qualora tali luoghi non siano conosciuti, la notificazione è eseguita nel luogo dove l'imputato ha temporanea dimora o recapito mediante consegna ad una delle predette persone”; co. 3: “il portiere (o chi ne fa le veci), provvede a sottoscrivere l'originale dell'atto notificato mentre l'ufficiale giudiziario deve dare notizia al destinatario, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, dell'avvenuta notifica (i cui effetti decorrono, però, dal ricevimento della raccomandata)”. co. 4: “è’fatto divieto di consegnare la copia ad un minore degli anni quattordici o a chi versi in stato di manifesta incapacità di intendere o di volere”. Co. 5: “l'autorità giudiziaria deve disporre che si rinnovi la notificazione quando la copia è stata consgnata a persona offesa dal reato e risulta o sia probabile che l'imputato non abbia avuto effettiva conoscenza dell'atto notificato”. Co. 6: “se la consegna è fatta nelle mani di persona diversa dal destinatario, il plico deve consegnarsi chiuso, mentre la relazione della notifica deve essere effettuata secondo le forme ex art. 148 co. 3”. -Imputato militare in servizio attivo. Art. 158: prima notificazione all'imputato in servizio militare → tale disciplina è stata circoscritta alla prima notificazione → la prima notificazione avviene nel luogo in cui egli risiede per ragioni di servizio mediante consegna alla persona. Se la consegna non è possibile, l'atto è notificato presso l'ufficio del comandante il quale informa immediatamente l'interessato dell'avvenuta notificazione con il mezzo più celere”. *Art. 159: notificazioni all'imputato in caso di irreperibilità → se la prima notificazione non è andata a buon fine (perchè i soggetti dell'art. 157 co. 1 mancano o non sono idonei o si rifiutano di ricevere consegna) corre l'obbligo di un secondo accesso per cercare l'imputato presso la casa d'abitazione, ovvero presso la sede del lavoro abituale, o presso i luoghi di dimora o di recapito. *Art. 157 co. 8: se neppure in tal modo è possibile eseguire la notificazione, l'atto è depositato nella casa comunale dove l'imputato ha l'abitazione o, in subordine, dove esercita abitualmente la sua attività lavorativa; nel contempo, un avviso di deposito è affisso sulla porta della casa d'abitazione o sul luogo di esercizio della predetta attività. Dell'avvenuto deposito l'ufficiale giudiziario dà comunicazione all'imputato mediante, lettera raccomandata con avviso di ricevimento, talchè solo dalla ricezione della medesima decorrono gli effetti della notificazione. *Art. 157 co. 8 bis: notificazioni all'imputato libero successive alla prima → se l'imputato ha provveduto a nominare un difensore di fiducia, le notificazioni sono effettuate mediante consegna al suddetto difensore, sempre che l'imputato non abbia provveduto a dichiarare o ad eleggere domicilio ex art. 161; il difensore di fiducia ha il potere di dichiarare immediatamente all'autorità che procede di non accettare la notificazione. Tale rifiuto del difensore, indispensabile per i casi in cui il rapporto fiduciario con l'assistito si sia incrinato, deve essere immediato, per evitare mosse dilatorie. Il co. 8 bis continua dicendo che per le modalità della notificazione al difensore, si applicano anche le disposizioni dell'art. 148 co. 2 bis (mezzi tecnici idonei). *Art. 165: notificazioni all'imputato latitante od evaso → equiparazione di trattamento con l'irreperibile. *Art. 166: notificazioni all'imputato interdetto o infermo di mente → l'atto viene notificato sia al soggetto e sia, rispettivamente, presso il tutore o il curatore. *Art. 169: notificazioni all'imputato residente o dimorante all'estero → “se risulta dagli atti notizia precisa del luogo di residenza o di dimora all'estero (e l'imputato non abbia dichiarato o eletto domicilio in Italia), sorge l'obbligo di inviare raccomandata con avviso di ricevimento, contenente una sorta di informazione di garanzia, nonché l'invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato (co. 3: l'invito è redatto nella lingua dell'imputato straniero quando dagli atti non risulta che egli conosca la lingua italiana). Se entro trenta giorni il soggetto non risponde in modo congruo all'invito, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore. Tale forma di notificazione non si accompagna all'emissione del decreto di irreperibilità, mancando il presupposto essenziale dell'irreperibilità (+ co. 2); se, invece, il giudice o il p.m. non abbiano notizie del luogo di residenza all'estero, essi non possono emettere ex abrupto il decreto di irreperibilità, ma devono prima disporre ricerche sia nel territorio dello Stato sia all'estero. 22. L'irreperibilità ed i suoi effetti. *Art. 159, notificazioni all'imputato in caso di irreperibilità → condizione essenziale per far luogo alla dichiarazione di irreperibilità è l'impossibilità di eseguire la notificazione secondo le forme dettate per la prima notifica all'imputato non detenuto (art. 157). Se tale notificazione non ha effetto, sorge, in capo al giudice o al p.m, l'obbligo di disporre nuove ricerche a cui provvede la polizia giudiziaria (art. 61 disp.att.): esse investono particolarmente il luogo di nascita, l'ultima residenza anagrafica, l'ultima dimora, il luogo dove il soggetto esercita abitualmente la sua attività lavorativa e l'amministrazione carceraria centrale (elenco non tassativo). Se le ricerche non danno esito positivo, il giudice o il p.m. emettono decreto di irreperibilità con il quale, dopo aver designato un difensore all'imputato che ne sia privo, ordina che la notificazione va eseguita mediante consegna di copia dell'atto al difensore. Co. 2: le notificazioni in tal modo eseguite sono valide ad ogni effetto. Siccome il rito degli irreperibili sacrifica quasi del tutto la conoscenza effettiva a favore di quella legale, proseguendo il processo senza che l'imputatto troppo spesso ne abbia notizia, il legislatore ha avvertito l'esigenza di modellare in senso restrittivo i presupposti dell'irreperibilità e di circoscrivere l'efficacia temporale del relativo decreto. *Art. 160: efficacia del decreto di irreperibilità → prevede dei limiti temporali → co. 1: “il decreto di irreperibilità emesso durante le indagini preliminari, cessa di avere efficacia con la pronuncia del provvedimento che definisce l'udienza preliminare ovvero, quando questo manchi, con la chiusura delle indagini preliminari”. Secondo la Cassazione, il decreto di irreperibilità emesso dal p.m per la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, conserva efficacia ai fini della notifica del decreto di citazione a giudizio emesso dallo stesso p.m nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica (art. 550); tale conclusione non vale però se il p.m svolge ulteriori indagini dopo la notifica dell'avviso in discorso. Co. 2: “il decreto emesso dal giudice per la notificazione degli atti introduttivi dell'udienza preliminare nonché il decreto di irreperibilità emesso dal giudice o dal p.m per la notificazione del provvedimento che dispone il giudizio, cessano di avere efficacia con la pronuncia della sentenza di primo grado”. Co. 3: “il decreto di irreperibilità emesso dal giudice di secondo grado e da quello di rinvio cessa di avere efficacia con la pronuncia della sentenza”. A prima vista pare che la questione non si ponga nel giudizio di cassazione perché le parti vi sono rappresentate ex lege dai difensori (art. 613 co. 2°); tuttavia, l'art. 613 co. 4 prevede che pure a lui siano notificati gli avvisi che debbono essere dati al difensore d'ufficio. Il decreto di irreperibilità è un atto sottoposto alla clausola rebus sic stantibus in quanto meramente dichiarativo di uno stato preesistente. Art. 160 co. 4: in tutti i casi, ogni decreto di irreperibilità deve essere preceduto da nuove ricerche nei luoghi indicati dall'art. 159. L. 67/2014: ha soppresso il processo in contumacia ed ha introdotto uno specifico strumento di controllo sull'assenza dell'imputato dall'udienza preliminare o dal dibattimento → tale legge non menziona l'irreperibilità e non apporta alcuna modifica agli art. 159 e 160, pur determinandone una compressione operativa; in passato, se la notificazione avveniva con il rito degli irreperibili, si verificava il presupposto perchè il giudice dichiarasse la contumacia dell'imputato e il processo proseguisse validamente; ora non è più possibile, in quanto il processo potrà proseguire solo ove sussistono fatti che dimostrano la consapevolezza dell'esistenza del procedimento da parte del soggetto sottoposto. In caso contrario, il giudice dovrà ordinare che, tramite la polizia giudiziaria, l'avviso di udienza o la citazione a giudizio siano notificati personalmente all'imputato e, in caso di insuccesso, disporre la sospensione del processo (→ favor alla notifica personale). 23. L'elezione di domicilio. In una prospettiva di collaborazione leale, l’imputato ha l'onere di determinare il luogo dove dovranno essergli notificati gli atti, mediante un'apposita dichiarazione o elezione di domicilio. *Art. 161, domicilio dichiarato, eletto o determinato per le notificazoni. -Dichiarazione di domicilio: manifestazione di scienza intesa ad indicare un luogo che può essere solo la propria casa di abitazione o la sede del proprio lavoro; -Elezione di domicilio: manifestazione di volontà che comporta la designazione di un luogo e di un destinatario (c.d domiciliatario), es* lo studio del proprio difensore. La Cassazione ha affermato che a dichiarazione di domicilio prevale sulla precedente elezione, ancorchè non espressamente revocata (e ciò perchè con la dichiarazione il destinatario ha dimostrato di vore ricever gli atti in luogo diverso dal domicilio eletto). *Art. 161 co. 1: nel primo atto compiuto con l'intervento della persona sopposta alle indagini o l'imputato, non detenuto né internati, il giudice, il p.m o gli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria li invitano a dichiarare o a eleggere domicilio per le notificazioni; tali soggetti hanno l'obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e, in mancanza di tale comunicazione, oppure in caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore (c.d. domicilio «legale»). Nel verbale dovrà poi farsi menzione della scelta, positiva o negativa, effettuata dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini. *Art. 161 co. 2: fuori dal caso previsto dal co. 1, cioè del contatto diretto (ambito residuale), si colloca l'invito a dichiarare o a eleggere domicilio formulato con l'informazione di garanzia o con il primo atto notificato per disposizione dell'autorità giudiziaria; l'imputato deve comunicare ogni mutamento e, in caso di mancanza, insufficienza o inidoneità della dichiarazione o elezione, le successive notificazioni saranno eseguite nel luogo in cui il primo atto è stato notificato (domicilio «determinato»). *Art. 161 co. 3: modalità analoghe sono dettate per l'imputato scarcerato per causa diversa dal proscioglimento definitivo o dimesso da un istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza. *Art. 161 co. 4: se la notificazione nel domicilio determinato ex art. 161 co. 2 diviene impossibile, si provvede mediante consegna al difensore (semplice consegnatario); tuttavia quando risulta che per caso fortuito o forza maggiore, l'imputato non sia stato in grado di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, si applicano le disposizioni ex art. 157 e 159. *Art. 162 → elenca le forme con cui è comunicato il domicilio dichiarato o eletto, nonché ogni sua variazione (elenco tassativo) → comunicazione all'autorità che procede, con dichiarazione raccolta a verbale, ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata muniti di sottoscrizione autenticata da un notaio o da persona autorizzata o dal difensore. *Art. 162 co. 4: l'elezione e la dichiarazione espicano i loro effetti dal momento che giungono a conoscenza coscientemente al processo. Portata generale assume poi la sospensione dei termini processuali in materia penale nel periodo feriale, ossia dal 1° agosto al 15 settembre di ogni anno (art. 240 bis disp.att., sostituito dall'art. 2 l. 742/69); preordinato al fine di consentire alla classe forense di godere delle ferie estive, l'istituto si estende anche al procedimento di esecuzione ed a quello di sorveglianza, mentre non tocca l'attività del giudice. La sospensione dei termini procedurali non opera nei procedimenti relativi ad imputati in stato di custodia cautelare, qualora essi o i loro difensori rinuncino espressamente ad avvalersene. In ogni caso, però, la sospensione dei termini di durata delle indagini preliminari non scatta nei procedimenti per reati di criminalità organizzata, investendo, pure i termini concernenti le impugnazioni in materia di misure cautelari personali nonché quelli inerenti alle procedure incidentali in materia di misure cautelari reali. Se si tratta di procedimenti per reati la cui prescrizione matura durante la sospensione feriale o nei successivi quarantacinque giorni, ovvero se durante il medesimo periodo scadono o sono prossimi a scadere i termini della custodia cautelare, il giudice che procede, anche d'ufficio, pronuncia ordinanza inoppugnabile, ma revocabile, con cui è motivata e dichiarata l'urgenza del processo. In tali casi, i termini decorrono, anche nel periodo feriale, dalla data di notificazione dell'ordinanza. Egualmente la sospensione dei termini non opera nei confronti delle ipotesi previste dall'art. 467, ossia di atti non rinviabili al dibattimento. 27. La restituzione nel termine e la soprressione del processo in contumacia. La restituzione nel termine è un rimedio eccezionale qualora un impedimento abbia determinato l'estinzione di un potere, essendo decorso il termine perentorio. Il legislatore ha distribuito la relativa disciplia nell'art. 175 e nell'art. 670 co. 3 (in quest'ultima sede, tramite l'instaurazione di un incidente di esecuzione, il condannato può operare una contestazione del giudicato, aprendo la strada delle impugnazioni). Art. 175. Soggetti titolari del diritto ad ottenere la restituzione nel termine: p.m., parti private e i difensori. La giurisprudenza esclude che l'istituto possa essere invocato ai fini della presentazione della querela (l'aspirante querelante non è parte ed inoltre, la querela, non si situa tra gli atti del procedimento essendo anteriore al suo inizio). La restituzione nel termine si articola in due ipotesi → 1. Art. 175 co. 1: presuppone la prova assoluta che non si è potuto osservare un termine decadenziale per caso fortuito o forza maggiore; il termine per proporre la richiesta di restituzione nel termine è di dieci giorni, che decorrono, da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore. 2. Art. 175 co. 2: “l'imputato condannato con decreto penale, che non ha avuto tempestivamente effettiva conoscenza del provvedimento, è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre opposizione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato” → nella versione originaria di questa norma, la restituzione nel termine per proporre impugnazione od opposizione scattava quando veniva pronunciata sentenza contumaciale ovvero decreto penale di condanna e l'imputato provava di non aver avuto effettiva conoscenza del procedimento; la restituzione non operava quando l'impugnazione era già stata proposta dal difensore, quando la mancata conoscenza del provvedimento fosse dipensa da colpa dell'imputato → critiche alla vecchia disciplina: il rimedio a favore dell'imputato contumace era inadeguato in quanto negava la restituzione se la mancata conoscenza del provvedimento era riconducibile anche alla mera assenza di diligenza, e non solo alla scelta di non partecipare al provvedimento. Quindi la riforma del procedimento in contumacia è divenuta improcrastinabile dopo la pronuncia della Corte europea dei diritto dell'uomo del 2004, con la quale il nostro paese è stato condannato a causa della scarsa efficacia della disciplina della restituzione per l'imputato raggiunto da una sentenza contumaciale. Di recente, la l. 67/2014 ha sostiuito il co. 2 dell'art. 175 con quello attualmente in vigore. Art. 625 ter: rescissione del giudicato → nel caso in cui viene emanata una sentenza, di condanna o applicativa di una misura di sicurezza, passata in giudicato e pronunciata all'esito di un processo celebrato in assenza dell'imputato, se il soggetto dimostra che l'assenza è stata causata da un'incolpevole conoscenza del processo, la cassazione dispone la revoca della sentenza e la trasmissioe degli atti al giudice di primo grado. Art. 175 co. 2 bis: termine per proporre la richiesta di restituzione indicata al co. 2 → tale richiesta deve essere presentata, a pena di decadenza, entro il più lungo termine di trenta giorni dal momento in cui l'imputato ha acquisito effettiva conoscenza del provvedimento. Se l'imputato deve essere estradato dall'estero , il termine per la presentazione della richiesta decorre dal giorno in cui l'imputato condannato e stato consegnato all'autorità giudiziaria italiana. Art. 175 co. 3: la restituzione nel termine non può essere concessa più di una volta per ciascna parte in ciascun grado del procedimento. Art. 175 co. 4: prima dell'esercizio dell'azione penale, decide il giudice per le indagini preliminari; esercitata l'azione penale decide il giudice procedente ovvero, se è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice che sarebbe competente sull'impugnazione a decreto penale. Art. 175 co. 5: l'ordinanza che concede la restituzione nel termine è inoppugnabile, salvo quella per proporre impugnazione o opposizione; se la richiesta è respinta, è proponibile ricorso per cassazione (co. 6). Accolta la richiesta, il termine ricomincia a decorrere. Co. 8: Se la restituzione del termine è concessa a norma de co.2, non si tiene conto, ai fini della prescrizione del reato, del tempo intercorso tra la notificazione del decreto di condanna e la notificazione alla parte dell'avviso di deposito dell'ordinanza che concede la restituzione. Art. 176, effetti della restituzione del termine → gli atti, su richiesta di parte, sono rinnovati (semprechè si tratta di atti ai quali la parte avessi diritto ad assistere) → vedi articolo. 28. L'invalidità degli atti. A differenza del processo civile dove vige il principio della libertà delle forme, nel processo penale gli atti sono, in stragrande maggioranza, a forma vincolata. Impostata così la questione, perfezione dell'atto (conformità allo schema tipico) e sua efficacia (attitudine a produrre effetti giuridici) si implicano reciprocamente. In linea di principio, la mancanza di un solo elemento della fattispecie non dovrebbe consentire la produzione degli effetti. Tuttavia, l'ordinamento non decreta l'invalidità e, quindi, l'inefficacia di ogni difformità (alcune di esse sono infatti irrilevanti e quindi non si delinea un'invalidità ma una mera irregolarità. Ma l'atto, anche quando le difformità sono rilevanti (quindi lo stesso è invalido), quasi mai può dirsi del tutto inefficace → principio di conservazione degli atti imperfetti. L'atto divieno così idoneo a produrre effetti precari, in attesa della sanatoria del vizio ( → se si verifica una causa di sanatoria, vengono consolidati ex tunc gli effetti dell'atto) o della declaratoria di invalidità dell'atto (→ vengono eliminati ex tunc gli effetti dell'atto). L'adozione del modello accusatorio, comporta la creazione di adeguati meccanismi sanzionatori aventi una funzione di supporto rispetto all'osservanza dell forme. Premesso che sono ritenute specie di invalidità l'inesistenza, la nullità, l'inammissibilità e l'inutilizzabilità, ma non la decadenza, il titolo VII (artt. 177-186) disciplina solo la nullità (salvo un unico riferimento all'inammissibilità, art. 186). -La disciplina dell'inammissibilità (la quale non viene disciplinata dal titolo VII in quanto riguarda gli atti di parte o di chi si fa parte) non vede enunciato nei suoi confronti il principio di tassatività, anche se si ritiene che tale principio sia estesibile all'inammissibilità; la natura dei requisiti la cui assenza produce l'inammissibilità è disparata → oltre ai casi in cui questa specie di invalidità discende dal compimento dell'atto nonostante la scadenza del termine, spesso il vizio riguarda la titolarità o la forma della domanda (artt. 46 co. 4) o l'omissione di taluni contenuti della stessa (art. 38 co. 4) ovvero la sussistenza di un certo rapporto con un altro atto (art. 586 co. l); l'inammissibilità, oggetto di autonomo motivo di ricorso per cassazione, è dichiarabile d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento (art. 591 co. 4), senza altra causa di sanatoria se non quella del giudicato, a meno che non siano previsti limiti temporali alla sua rilevazione - Nemmeno l'inutilizzabilità è inclusa nella disciplina del libro II, nonostante si tratti di una sanzione processuale fornita di una sua puntuale autonomia, sia pure nel quadro definito dall'art. 191, come dimostra la sua elevazione a motivo di ricorso per cassazione, a fianco della nullità, dell'inammissibilità e della decadenza; si tratta di sanzione che concerne non tutti gli atti del procedimento, ma unicamente quelli probatori (non solo le prove in senso proprio ma pure gli atti delle indagini preliminari, es* art. 350 co. 6). Ciò che rende ardua la costruzione di una disciplina unitaria dell'inutilizzabilità è la varietà delle ipotesi ad essa riconducibili: talora viene richiamata con riferimento alla sanzione che consegue all'impiego dibattimentale di un atto delle indagini preliminari in chiave probatoria, talvolta con riferimento ai casi di difformità rispetto ai criteri di ammissione o di assunzione della prova; ciò spiega perchè non è stato enunciato nei suoi confronti il principio di tassatività. Circa il modo di operare sul piano soggettivo, l'inutilizzabilità è, per lo più, di natura assoluta (artt. 63 co. 2 e 188), perchè proveniente da un divieto di ammissione o acquisizione valido nei confronti di chiunque, mentre solo talora assume natura relativa, in quanto riferita a determinate categorie di soggetti. Art. 191 co. 2: sancisce la rilevabilità in ogni stato e grado del procedimento, anche d'ufficio, della inutilizzabilità. 29. Il principio di tassatività delle nullità e la tecnica di previsione. Le disposizioni in tema di nullità sono dominate dal principio di tassatività → art. 177: riferisce il principio di nullità all'inosservanza non già delle forme prescritte per gli atti processuali (art. 156 cpc), bensì a quella delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento. Per il principio di tassatività, all'interprete non è consentito ricorrere all'integrazione analogica (creando ipotesi di nullità) e nemmeno, una volta accertata la causa di nullità, valutare l'esistenza di un pregiudizio effettivo (non si affida alla discrezionalità del giudice la valutazione dell'invalidità dell'atto). Dato che le nullità formano un sistema chiuso, al di fuori delle ipotesi così esplicitamente definite o implicitamente definibili non vi sono spazi residui per questa specie di invalidità. I vizi della volontà considerati dal codice civile non sono riferibili agli atti processuali penali (un atto, anche se inficiato da violenza, è processualmente valido). Diverso è il caso in cui viene in gioco non un vizio della volontà, ma il suo assoluto difetto, quale conseguenza di una coazione fisica: essendo la volontarietà il coefficiente psichico miniom di ogni atto processuale, una dichiarazione coatta non può essere qualificata come atto processuale → ipotesi di inesistenza giuridica. Tra le nullità non sono inquadrabili gli errores in iudicando (= vizi sostanziali dei provvedimenti del giudice); secondo l'opinione più accreditata, anche gli errores in iudicando entrano a far parte della teoria dell'invalidità. Le restanti difformità dallo schema tipico, escluse le specifiche ipotesi di inammissibilità e di inutilizzabilità, sono riportate alla tipologia della mera irregolarità, produttiva di conseguenze di natura disciplinare ex art. 124 o ricavabili da altri rami dell'ordinamento, come quello penale, civile o tributario (salvo che si cada nell'errore materiale cui pone rimedio, se si tratta di sentenze, ordinanze o decreti del giudice, la procedura ex art. 130). A meno che non debbano ricondursi in via interpretativa alla specie più grave d'invalidità ravvisabile nell'inesistenza giuridica → l'inesistenza genera un vizio rilevabile non sono in ogni stato e grado del procedimento, ma anche oltre, mediante una sentenza di accertamento, in quando la gravità del vizio è tale da impedire la formazione del giudicato (Differente terminologia del linguaggio civilistico e processualpenalistico → nel primo nulli sono gli atti inidonei a produrre effetti ed annullabili quelli che producono effetti suscettibili di cadere; il secondo li chiama, rispettivamente, inesistenti e nulli). Diversa dall'inesistenza è l'abnormità dei provvedimenti del giudice → l'atto è idoneo ad integrare lo schema normativo minimo, benchè si caratterizza per il suo contenuto del tutto estemporaneo (es* trasmissione degli atti al p.m motivata dall'esigenza di rinnovare il decreto di citazione a giudizio, il che spetta, invece, allo stesso giudice del tribunale in composizione monocratica). L'inesistenza pone rimedio alla tassatività delle cause di nullità, mentre l'abnormità alla tassatività oggettiva delle impugnazioni, rendendo ammissibile un autonomo ricorso per cassazione o la rilevazione ufficiosa da parte del giudice dell'impugnazione ritualmente investito. *Art. 178: nullità di ordine generale (nullità non di volta in volta stabilita, ma ricavabile da una disposizione generale che rinvia ad altre fattispecie) → l'inosservanza di disposizioni che concernono il giudice, il p.m, l'imputato (comprensiva della persona sottoposta alle indagini) le altre parti private, i loro difensori e rappresentanti, nonché la citazione a giudizio della persona offesa dal reato e del querelante. Alle nullità di ordine generale si contrappongono quelle speciali, perché stabilite da un’apposita previsione legislativa, anche se non sempre la previsione in termini specifici comporta, di per sé, il regime consueto delle nullità speciali (art. 179 co. 2). . 30. Le nullità assolute. Art. 179, nullità assolute. Ciò che distingue le nullità assolute da tutte le altre è il regime di insanabilità fino all'irrevocabilità del giudicato. Il secondo attributo ex art. 179 co. 1 consiste nella rilevabilita ex officio da parte del giudice in ogni stato e grado del procedimento (nota non caratterizzante, in quanto non esclusiva delle nullità assolute). Nullità assolute: 1.nullità previstes dall'art. 178 co. 1 lett. A per la figura del giudice (inosservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice ed il numero di giudici necessari a costituire i collegi giudicanti, ma non i vizi convernenti la nomina del giudice ove non rientranti nell'ambito della capacità); 2. nullità concernenti l'iniziativa del p.m nell'esercizio dell'azione penale: *violazione delle disposizioni concernenti l'atto di promuovimento dell'azione penale (ipotesi ex art. 405 co. 1 + imputazione coatta + contestazione in udienza del reato connesso o del fatto nuovo + citazione diretta a giudizio ne procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica); *violazione delle disposizioni sulla capacità e sulla legittimazione del rappresentante del p.m, purché si riflettano sulla sua iniziativa nell'esercizio dell'azione penale (→ - in merito alla capacità, si richiamano le norme sulla delega nominativa a svolgere le funzioni di p.m nell'udienza dibattimentale davanti al tribunale in composizione monocratica (art. 559 co. 1 in relazione all'art. 517 co. 1; -in merito alla legittimazione, ci si riferisce al promuovimento dell'azione davanti ad un giudice diverso da quello presso cui l'ufficio del p.m è istituito. 3.nullità derivanti dall'omessa citazione dell'imputato → l'intervento dell'imputato è garantito nei confronti delle nullità che derivano dall'omessa (o invalida) citazione al dibattimento di primo grado, ancorché tenuto a seguito di giudizio direttissimo instaurato nei confronti di imputato libero o di giudizio immediato , e al dibattimento di secondo grado; naturalmente la protezione della vocatio in iudicium investe tutti gli atti che compongono tale fattispecie, ivi compresa la notificazione. 4.nullità derivanti dall'assenza del difensore dell'imputato nei casi in cui è obbligatoria la presenza → è presidiata da nullità assoluta non solo l'assenza dal dibattimento di primo e di secondo grado, ma pure ogni altra ipotesi rispetto alla quale ne sia dichiarata obbligatoria la presenza (assenza del difensore dall'interrogatorio di persona sottoposta a misura cautelare personale; dalle sommarie informazioni che la polizia giudiziaria assume dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini; dall'interrogatorio e dal confronto, delegati dal p.m alla polizia giudiziaria, cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trava in stato di libertà; dall'udienza di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo di indiziati..). *Art. 179 co. 2: sono altresì insanabili e rilevate d'ufficio le nullità definite assolute da specifiche disposizioni di legge → es* art. 525 co.2: alla deliberazione della sentenza debbono concorrere gli stessi giudici che hanno partecipato aldibattimento. 31. Le nullità intermedie. *Art. 180, regime delle altre nullità di ordine generale → l'espressione nullità intermedie appare la più opportuna per raggruppare empiricamente le nullità generali, perché il relativo trattamento si situa in posizione mediana tra quello delle nullità assolute e relative: al pari delle prime sono rilevabili anche ex officio, mentre, al pari delle seconde, sono sanabili in un momento anteriore all'irrevocabilità della sentenza. Art. 180: “ le nullità a regime intermedio (art. 178) non possono essere né rilevate (dal giudice ), né dedotte (dalle parti) se verificatesi prima del giudizio, dopo la deliberazione della sentenza di primo grado, o, se verificatesi nel giudizio, dopo la verifica nei confronti di atti ab origine non reiterabili). *co. 3 e 4 → se la nullità è dichiarata in uno stato o grado diverso da quello in cui la stessa si è verificata, il codice opera una distinzione. Co. 3: “la dichiarazione di nullità (indipendentemente dalla tipologia di nullità) comporta la regressione del procedimento allo stato o grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito” → affinchè ciò avvenga, deve trattarsi di un atto di natura non probatoria; un esempio della clausola di salvezza posta nel co. 3, sono le ipotesi derogatorie delineate dall'art. 604 in rapporto ai poteri del giudice di appello. Co. 4: se si tratta di nullità concernenti le prove, il giudice non può avvalersi della regressione (inapplicabilità co. 3), ma deve provvedere alla rinnovazione (co. 2), sempreché ciò sia necessario ai fini della decisione e la prova sia ripetibile. Naturalmente, il disegno di realizzare una consistente economia processuale, non può mai operare nel giudizio di cassazione: i limiti istituzionali propri del giudizio di legittimità impongono di far luogo all'annullamento con rinvio (ari. 623). Cap. III – LE PROVE 1. Premessa. Le scelte sistematiche nella disciplina delle prove. Libro III: PROVE → *titolo I: disposizioni generali, titolo II: mezzi di prova, titolo III: mezzi di ricerca della prova. L'ideqa di racchiundere in un unico contesto normativo, all'interno del codice, la disciplina delle prove corrisponde ad una duplice esigenza: 1. sottolineare la centralità del tema nell'ambito di un procsso di stampo accusatorio; 2. ripudiare l'impostazione frammentaria cui erano ispirati i codici previgenti, che attraveso tale impostazione, ravvisavano nella fase delle indagini, anziché quella dibattimentale, il vero baricentro del processo. Nella conseguità unitarietà di collocazione formale del regime delle prove si riverbera anche il proposito di una sostanziale unitarietà di fondo delle previsioni dettate, in vista della costruzione di un sottosistema normativo dedicato alle prove penali → aspirazione legislativa verso il recupero di un maggior rigore sul piano della legalità della prova: ripristinare il primato del principio di legalità sulla disciplina della prova, riaffermando la necessità di ricondurre, entro previsioni precise di legge, i capisaldi dell'attività del giudice consistente nel “conoscere attraverso le prove”. Titolo I: catalogo dei principi guida da osservarsi in materia probatoria. 2. Segue: il problema della sfera di incidenza della normativa contenuta nel libro sulle prove. Il libro III non è l'unico luogo del codice dove ci sono norme sulla prova (vedi es* libro V e VII). Le norme del libro sulle prove si applicano anche al di la delle aree destinate alla formazione della prova: in particolare, nella fase del dibattimento e di svolgimento dell'incidente probatorio; in merito all'incidente probatorio, si impongono però alcuni accorgimenti interpretivi (es* per quanto riguarda l'individuazione dell'oggetto della prova, non si può fare riferimento, come stabilisce l'art. 187, all'imputazione, che nel momento dell'incidente non può ancora essere stata formulata, ma si dovrà ripiegare sull'ipotesi di imputazione risultante da altri adempimenti del p.m). Il quesito circa la sfera di incidenza della normativa sulle prove anche nelle fasi preliminari è problematico, data l'assenza di indicazioni legislative; non si vede come potrebbe sostenersi che le norme del libro sulle prove non debbano applicarsi nelle fasi anteriori al dibattimento, con riferimento ai diversi momenti in cui - nell'arco di tali fasi - è previsto l'intervento del giudice, ora in funzione di organo di garanzia, ora in funzione di organo di decisione, anche nel merito → - cominciando da questa seconda ipotesi, e quindi facendo riferimento, in particolare, all'attività del giudice in sede di udienza preliminare, è fuori discussione che il medesimo giudice debba attenersi alle norme sancite nel libro III, fermi restando i limiti risultanti da previsioni derogatorie (es* dovranno osservarsi le disposizioni generali in tema di ammissione delle prove, ma tenendo presente che il criterio ex art. 422 co. 1 rovescia quello ex art. 190 co. 1); ai fini della selezione e della valutazione del materiale probatorio su cui fondare la propria decisione, il medesimo giudice non può discostarsi dalle norme che presiedono ex artt. 191 e 192 alla formazione del convincimento giudiziale. - la conclusione non può essere diversa, salvi i necessari adattamenti, anche riguardo alle ipotesi in cui il giudice è chiamato ad intervenire, nel corso delle indagini preliminari, nell'adempimento del suo tipico compito di garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali: ad es* essendogli richiesta l'adozione di un provvedimento in tema di coercizione personale, il giudice per le indagini preliminari, di fronte agli elementi probatori fornitigli a supporto della correlativa richiesta, può utilizzare alla base del proprio provvedimento soltanto quelli il cui impiego non sia incoerente con la corrispondente disciplina stabilita in materia di prove. Più delicato è il discorso in merito all'operatività delle disposizioni del libro III rispetto alle indagini preliminari svolte dal p.m., a causa della loro inidoneità a conseguire risultati utilizzabili come prova in sede dibattimentale; nonostante ciò, il p.m ha comunque un obbligo di osservanza almeno dei principi di fondo dettati sul terreno probatorio; e ciò, non solo perchè vi sono atti del p.m.(e della polizia giudiziaria) per loro natura destinati ad essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento, e quindi ad essere acquisiti con valore di prova in tale sede, ed altri atti che il medesimo valore possono assumere per effetto del verificarsi di determinate circostanze, o in conseguenza del loro impiego per le contestazioni dibattimentali, ovvero a seguito di lettura dei relativi verbali, in presenza di particolari situazioni, od ancora in forza di accordo intervenuto tra le parti. Ma anche perché, dipende dal consenso delle parti che tutti gli atti di indagine preliminare compiuti dal p.m (e dalla polizia giudiziaria) possano venire utilizzali come prove alla base di una sentenza di merito idonea a definire il procedimento prima del passaggio al dibattimento; in altri termini, se è vero che le indagini preliminari del p.m sono suscettibili di assurgere al livello di prova, contribuendo così in positivo alla formazione del convincimento del giudice, non è pensabile che le medesime possano svolgersi al di fuori di ogni riferimento alla disciplina dettata nel libro III. Se ne desume, anzitutto, che le disposizioni generali (titolo I) debbano senz'altro applicarsi anche nel corso delle indagini preliminari del p.m., ovviamente entro i limiti consentiti dalla natura e dalla finalità delle stesse. Per quel che concerne la disciplina dei mezzi di ricerca delle prove precostituite, non sembra dubbio che essa debba venire osservata dal p.m e, per quanto di sua competenza, dalla polizia giudiziaria; tali norme individuano per lo più, come proprio destinatario, l'autorità giudiziaria, anziché il giudice (come invece le norme sui mezzi di prova). Lo stesso non può dirsi, invece, in ordine alla disciplina dei mezzi di prova, che risulta dettata facendo di regola riferimento al giudice, trattandosi di atti affidati alla sua gestione, in quanto destinati a sfociare in prove formate nel processo, e come tali idonee a concorrere direttamente alla formazione del eonvincimento giudiziale; nel codice la regolamentazione delle omologhe attività da parte del p.m, all'interno delle indagini preliminari, presenta una sua autonomia, tale da far pensare che il legislatore abbia inteso tenerla distinta da quella dei mezzi di prova in senso proprio. Depone a favore di questa interpretazione la circostanza che gli atti del p.m corrispondenti a tali mezzi di prova sono stati definiti con una differenza nomenclatura (es* si usa operazioni ed accertamenti tecnici anziché perizie). Si conclude quindi che le norme relative ai diversi mezzi di prova (libro III), non si applicano nel corso delle indagini preliminari del p.m; quando il legislatore ha inteso sancirne l'operatività , lo ha fatto manifestando espressis verbis tale proposito. Ciò non significa che, al di fuori degli espliciti rinvii, non si possa pervenire in sede interpretativa a ritenere applicabili le norme dettate per i mezzi di prova anche con riferimento a particolari attività riconducibili all'ambito delle indagini preliminari del p.m. (es* agli atti di confronto ex artt. 364 co. 1° e 376 si può applicare la disciplina ex artt. 211 e 212). Siccome nel codice è presente un'autonoma disciplina per gli attidi indagine del p.m omologhi ai tipici mezzi d prova, le norme previste per questi ultimi dal libro III solo in via residuale devono trovare applicazione riguardo ai primi, per gli aspetti che non risultano coperti dalla loro disciplina → in quanto si tratta di norme dettate non in funzione dell'attitudine di tali mezzi a formare la prova, bensì esclusivamente allo scopo di stabilire le idonee garanzie «minime» per il relativo procedimento di acquisizione probatoria, garanzie, cioè, in assenza delle quali il medesimo procedimento potrebbe risultare deficitario rispetto ai princìpi fondamentali del sistema. 3. L’oggetto della prova. *Art. 187, oggetto della prova → si definisce l'oggetto della prova facendo riferimento al tema della decisione (omessa ogni enfatica allusione ad un irrangiungibile accertamento della verità, secondo una logica inquisitoria); attraverso tale riferimento, si è fissato il requisito della pertinenza come criterio-guida per lo sviluppo dell'attività probatoria e per la definizione dei suoi confini. L'art. 187 co. 1 elenca i fatti suscettibile di diventare oggetto dell'accertamento probatorio: “sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità dell'imputato e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza”. -Co. 3: “quando vi è costituzione di parte civile, il tema probatorio (thema probandum) include anche le questioni derivanti dall'esercizio dell'azione civile in sede penale” → sono oggetto di prova quindi, anche i fatti inerenti alla responsabilità civil da reato e quelli relaivi ai danni prodotti da reato, già compresi nella sfera di accertamento attinenti all'imputazione. -Co. 2: “sono oggetto di prova i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali”. Il criterio di pertinenza che vi è enunciato rappresenta il parametro di fondo per la verifica circa la rilevanza della prova in vista della sua ammissione (art. 190 co. 1) oltreché per la soluzione di problemi che possono porsi in sede di assunzione di determinate prove (es* esercizio dei poteri del presidente volti ad assicurare la pertinenza delle domande, art. 499 co. 6 ed a decidere sulle correlative opposizioni (art. 504), in sede di esame diretto e di controesame). Distinzione tra prove dirette e prove indirette, a seconda che le stesse si riferiscano, o non si riferiscano, immediatamente al thema probandum principale, quale risulta dall'art. 187 (prove dirette: quelle aventi per oggetto il fatto da provare; prove indirette: quelle che non hanno direttamente ad oggetto il fatto da provare, ma un altro fatto, dal quale il giudice potrà risalire al primo solo attraverso una operazione mentale di tipo induttivo). Le prove indirette si definiscono anche prove indiziarie, e tali sono gli indizi, cui si riferisce la regola di valutazione ex art. 192 co. 2, da non confondersi con gli indizi richiesti quale presupposto, ad es., per I'adozione di una misura cautelare ex artt. 273 co. 1 ovvero per l'autorizzazione ad una intercettazione telefonica ex art. 267 co. 1;. in queste ultime ipotesi, infatti, il legislatore parla di «indizi» con riguardo ad elementi conoscitivi di varia natura, di per sé idonei a concretare soltanto una situazione di fumus commissi delicti (elemnti legittimamente acquisiti ma non necessariamente dotati di efficacia probatoria piena, ma potenzialmente suscettibili di svilupparsi in vere prove). Alla distinzione tra prove dirette ed indirett,e si fa talora corrispondere la distinzione tra prove storiche (rappresentative) e prove critiche (logiche o non rappresentative) → a seconda che il fatto da provare venga riprodotto immediatamente davanti al giudice ovvero che si renda necessario l'intervento del giudice, sulla base di un itinerario logico-critico. Tuttavia le suddette classificazioni non sono coincidenti data l'eterogeneità dei criteri che le ispirano: la prima fa leva sull'eventualità che la circostanza oggetto della prova si riferisca direttamente o no al tema da provare mentre la seconda pone l'accento sul processo logico seguito dal giudice per ritenere raggiunto il risultato probatorio su quel tema. 4. Prove atipiche e garanzie per la libertà morale della persona. In merito alle prove atipiche, il codice ha operato una scelta intermedia: non è stata dettata alcuna aprioristica preclusione nei confronti delle prove non disciplinate dalla legge, ma si trasferisce in capo al giudice, caso per caso, il compito di un vaglio preliminare circa l'ammissibilità di tali prove. Tale verifica è subordinata a due distinte valutazioni (art. 189, prove non disciplinate dalla legge): 1. che la prova risulta idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti; 2. che la prova non pregiudica la libertà morale della persona. Il giudice, quindi, provvede all'ammissione, definendo le modalità concrete di assunzione, dopo aver sentito le parti. Il punto 2 è un applicazione del principio ex art. 188: “non possono essere usati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi idonei ad influire bis, con l'escludere che tale prova possa essere ottenuta sulla base di «dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore» (→ una trasposizione nel tessuto codicistico della regola enunciata nella seconda parte dell'art. 111 co. 4 Cost.). 8. La testimonianza. Libro III → *Titolo II: singoli mezzi di prova; *Titolo III: mezzi di ricerca della prova → mentre i mezzi di prova (testimonianze, esami delle parti, confronti, ricognizioni, esperimenti giudiziali, perizie documenti) si caratterizzano per la loro attitudine ad offrire al giudice dei risultati direttamente utilizzabili ai fini della decisione, lo stesso non può dirsi invece per i mezzi di ricerca della prova (ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni telefoniche), che non integrano di per sé una fonte del convincimento giudiziale, ma risultano funzionalmente diretti a permettere l'acquisizione di cose, tracce, notizie o dichiarazioni idonee ad assumere rilevanza probatoria. I mezzi di ricerca della prova si caratterizzano in quanto diretti a propiziare l'acquisizione al processo (per lo più attraverso atti fondati sulla sorpresa) di elementi probatori in vario modo precostituiti, mentre i mezzi di prova si qualificano per la loro funzionalità ad assicurare la formazione della prova in sede processuale. I mezzi di prova destinati ad assumere un risultato primario in sede dibattimentale, sono l'esame testimoniale e l'esame delle parti. *Testimonianza (art. 194-207): → Art. 194: delinea l'oggetto ed i limiti della testimonianza. Art. 195, testimonianza indiretta → *Co. 7: “è inutilizzabile la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame” → Da qui deriva il corollario rappresentato dal divieto di acquisizione e impiego di notizie provenienti dagli informatori confidenziali, dei quali gli organi di polizia e dei servizi di sicurezza non abbiano rivelato i nomi, essendo facoltizzati a tacerli anche di fronte al giudice (art. 203); sono vietate le testimonianze di provenienza anonima. Co. 1-3: “quando il testimone riferisce fatti e circostanze, la cui conoscenza dichiara di aver appreso da persone diverse, quest'ultime possono sia essere chiamate a deporre d'ufficio dal giudice (co. 2), ma devono comunque esserlo su richiesta di parte, a pena di inutilizzabilità delle dichiarazioni de relato, laddove tale richiesta venga disattesa (salvo che l'esame del testimone direttamente a conoscenza dei fatti risulti impossibile a causa di morte, di infermità o di irreperibilità, nel qual caso l'utilizzo delle medesime dichiarazioni è sempre consentito). *Art. 195 co. 4: “gli ufficiali e dgli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli art. 351 e 357 co. 2 lett. A e B. Questo divieto non opera negli altri casi (rispetto a quelli specificatamente indicati nell'art. 195 co. 4) nei quali tornano ad applicarsi le disposizioni dettate nei primi 3 commi dell'art. 195”. Quindi, l'ordinaria disciplina della testimonianza indiretta si applica anche nei confronti di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria non solo con riferimento ad ogni dichiarazione proveniente da soggetti terzi ed appresa da tali organi al di fuori di qualunque rapporto dialettico formale interno al procedimento, bensì anche con riferimento alle dichiarazioni rese da tali soggetti e correttamente acquisite e documentate secondo modalità diverse da quelle ex art. 195 co. 4. Sempre all'esigenza di assicurare l'operatività di un controllo sulla fonte delle deposizioni indirette, è prevista la regola di esclusione della testimonianza dei soggetti che facciano rilevimento a fatti conosciuti da persone titolari di un segreto prolessionale (art. 200), ovvero di un segreto d'ufficio (art. 201), senza dubbio comprensivo anche del segreto di Stato, sempreché le medesime persone non abbiano deposto sugli stessi fatti, o non li abbiano altrimenti divulgate, manifestando una scelta incompatibile con il mantenimento del vincolo di segretezza. *Art. 196, capacità di testimoniare. *Art. 197, incompatibilità con l'ufficio di testimone → “non possono essere assunti come testimoni: a) i coimputati del medesimo reato o per persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 co. 1 lett. a), salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 (ipotesi di incompatibilità assoluta); b) salvo quanto previsto dall'art. 64 co. 3 lett.c), le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 co. 1 lett.c), o di un reato collegato a norma dell'art. 371 co. 2 lett.b), prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444”. Quest'ultima causa di incompatibilità (c) non opera allorché si realizzano le circostanze ex art. 64 co. 3 lett. c), dopo che all'imputato dichiarante sia stato dato il relativo avvertimento; in eventualità del genere, infatti, gli imputati ex art. 197 lett.b) assumono il tuolo di testimone in ordine ai fatti concernenti le responsabilità di altri che siano stati oggetto delle proprie precedenti dichiarazioni. Non così, invece, gli imputati ex art. 197 lett.a) ai quali è riservata la disciplina dell'art. 210. Art 197 bis, persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l'ufficio di testimone → Co. 1: “l'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 o di un reato collegato a norma dell'art. 371 co. 2 lett.b), può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ex art. 444” → nel comma 1, quindi, si fa riferimento a tutti gli imputati che si sono trovati nell situazioni ex art. 197 lett.a) e b). Co. 2: “l'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 co. 1 lett.c) o di un reato collegato a norma dell'art. 371 co. 2 lett.b), può essere sentito come testimone, inoltre, nel caso previsto dall'art. 64 co. 3 lett.c)” → questo comma Quindi, l'art. 197 bis co. 1 e 2 definisce l'ambito soggettivo degli imputati destinatari della disciplina ivi delineata, con riferimento alle ipotesi in cui gli stessi (al di fuori dei casi di incompatibilità ex art. 197) assumano l'ufficio di testimone; un testimone che è tale a tutti gli effetti, e rispetto al quale dovranno osservarsi i comuni adempimenti relativi all'introduzione della prova testimoniale, ma anche un testimone che gode di un regime particolare dal punto di vista delle garanzie (in ragione del rischio che all'adempimento del dovere dideporre possa derivargli qualche pregiudizio sul terreno dell'accertamento delle proprie eventuali responsabilità). Art. 197 bis co. 3: nelle ipotesi di cui al co. 1 e 3, il testimone viene assistito da un difensore (testimone assistito), e nel caso di mancanza del difensore di fiducia, viene nominato un difensore d'ufficio; sebbene a questo difensore non venga attribuito un diritto di partecipare all'esame come quello spettante, invece, al difensore dei soggetti (imputati in un procedimento connesso che «non possono assumere l'ufficio di testimone») ai quali si riferisce l'art. 210 co. 4, non sembra tuttavia dubbio che al medesimo difensore debba riconoscersi sia il diritto di presenziare all'esame dei testimoni di cui tratta l'art. 197-bis, sia, in quella sede, il diritto di formulare richieste, osservazioni e riserve, ovviamente a tutela della posizione del testimone assistito e delle corrispondenti prerogative sul versante dei limiti al dovere testimoniale. Art. 197 bis co. 4: “nel caso previsto dal co. 1, il testimone non può essere obbligato (e quindi può legittimamente rifiutarsi di rispondere) a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se ne procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Inoltre, nel caso previsto dal co. 2, il testimone non è può essere obbligato a deporre su fatti concernenti la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti”. Le garanzie del co. 4 operano ex ante, cioè come altrettanti limiti rispetto all'ordinaria estensione dei doveri testimoniali. Art. 197 co. 5: predispone anche un diverso tipo di garanzia, destinata ad operare ex post → “in ogni caso, le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo non possono essere utilizzate contro la persona da cui provengono, non solo nel procedimento a suo carico, ove ancora in corso, ma nemmeno nell'eventuale procedimento di revisione della sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti, ne in qualsiasi altro giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto di tali procedimenti o di tale sentenza” → è una previsione di chiusura (in ogni caso..), con la quale si assicura all'imputato dichiarante sul fatto altrui una garanzia ombrello, idonea a funzionare a largo raggio rispetto a tutte le dichiarazioni da lui rese in qualità di testimone ex art. 197 bis, nel senso di escludere ogni tipo di utilizzabilità processuale di tali dichiarazioni a danno del suo autore, essenso state rilasciate dallo stesso dell'adempimento dell'ufficio testimoniale. Art. 197 bis co. 6: “alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l'ufficio di testimone ai sensi del presente articolo, si applica la disposizione di cui all'art 192 co. 3” → le suddette dichiarazioni, per assumere valore probatorio devono essere corroborate da altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità. *Art. 198, obblighi del testimone → Co. 1:“il testimone ha l'obbligo di presentarsi al giudice e di attenersi alle prescrizioni date dal medesimo per le esigenze processuali e di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte” → obblighi propri dell'ufficio testimoniale. Co. 2: “il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale “ → garanzia contro il rischio di self- incrimination. Questa garanzia di cui al co. 2, non costituisce l'unica eccezione all'obbligo del testimone di rispondere secondo verità; a parte la disciplina della testimonianza dei prossimi congiunti dell'imputato, imperniata sul riconoscimento della facoltà di astensione e sul diritto al relativo avviso, a pena di nullità (art. 199) – salvo che abbiano presentato denuncia, querela o istanza, ovvero essi, od un loro prossimo congiunto, siano offesi dal reato – le deroghe all'obbligo della deposizione sono dunque riconducibili alla sfera dei segreti → *Segreto professionale, art. 200: “non possono essere obbligati a deporre su quando hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria: a) i ministri di confessione religiosa, i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano; b) gli avvocati, investigatori privati autorizzati, consulenti tecnici e notai; c) i medici e chirurghi, farmacisti, ostetriche e ogni altro esercente professione sanitaria; d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la egge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale”. Art. 200 co. 2: “il giudice ha il potere di ordinare che il testimone deponga, tutte le volte in cui sia convinto, dopo i necessari accertamenti, dell'infondatezza della dichiarazione di segretezza opposta dal medesimo per esimersi dal deporre”. Il co. 3 prevede un regime particolare per i giornalisti professionisti (esclusi i pubblicisti) relativamente ai nomi delle persone che abbiano loro fornito notizie in via fiduciaria: ad essi vengono estesi i co. 1 e 2 ma il giudice ha il potere di obblgarli a rivelare l'identità di tali persone, quando le relative notizie sono indispensabili per la prova del reato. *Segreto di ufficio, art. 201 → disciplina analoga a quella dettata per la facoltà d'astensione dei titolari di un segreto professionale risulta estesa anche ai pubblici ufficiali, ai pubblici impiegati ed agli incaricali di un pubblico servizio in rapporto alla tematica del segreto d'ufficio, sia pure con la variante che ad essi compete non tanto la facoltà, quanto «l'obbligo di astenersi dal deporre» sui fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio «che devono rimanere segreti»; sono fatti salvi i casi in cui tali soggetti hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria; un aspetto peculiare della disciplina del segreto d'ufficio è rappresentato dalla prerogativa riconosciuta agli ufficiali, agli agenti di polizia giudiziaria, agli appartenenti ai servizi di sicurezza, di non rivelare i nomi dei propri informatori confidenziali, senza alcuna possibilità per il giudice di obbligarli a lornire le relative indicazioni, fermo in tal caso il divieto di acquisizione e di utilizzo processuale delle informazioni provenienti dai medesimi (art. 203 co. 1); tale inutilizzabilità opera anche nelle fasi diverse dal dibattimento, tutte le volte in cui gli informatori di polizia non sono stati interrogati né assunti a sommarie informazioni (art. 203 co. 1 bis). *Segreto di Stato, art. 202 → Co. 1: “i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato”; Co. 2: “se il testimone oppone un segreto di Stato, l'autorità giudiziaria deve rivolgersi al president del Consiglio dei ministri, al fine di chiedere conferma della sussistenza di quel segreto, sospendendo nel frattempo ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto”; Co. 5: “se entro 30 gg la relativa conferma viene fornita con atto motivato dal presidente del Consiglio dei ministri, ciò inibisce all'autorità giudiziaria l'acquisizione e l'utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto. Di conseguenza, se il giudice reputa essenziale, ai fini della definizione del processo, la conoscenza delle notizie così inibite alla sua sfera cognitiva, potrà solo dichiarare con sentenza non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato (co. 3) ; al di fuori di tale eventualità, il processo potrà proseguire, non essendo precluso all'autorità giudiziaria di procedere in base ad elementi autonomi ed indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto (art. 202 co. 6); il processo inoltre può proseguire se il presidente del Consiglio dei ministri nega la sussistenza del segreto o non ne da conferma entro 30 gg dalla notificazione delal relativa richiesta. Art. 202 co. 7: descrive le alternative nell'ipotesi in cui, a seguito della conferma della sussistenza del segreto Stato da parte del presidente del Consiglio, viene sollevato ad opera dell'autorità giudiziaria conflitto di attribuzione di fronte alla corte costituzionale (“alla quale in nessun caso il segreto di stato è opponibile”, co. 8) → *se il conflitto viene risolto nel senso dell'insussistenza del segreto il presidente del Consiglio non può più opporlo con riferimento al medesimo oggetto; *se il conflitto viene risolto nel senso della sussistenza del segreto, l'autorità giudiziaria non può acquisire, né utilizzare gli atti o i documenti rispetto ai quali il medesimo segreto è stato opposto. *Art. 204, esclusioni del segreto: vieta che possano venire opposti il segreto d'ufficio e di Stato su fatti notizie e documenti concernenti reati diretti all'eversione dell'ordinamento costituzionale, nonché i delitti previsti dagli art. 285, 416 bis e ter e 422 cp (salvo per quanto riguarda i nomi degli informatori come risulta dall'art. 66 co. 1 disp. att.), riservando, in caso di opposizione, al giudice il compito di definire la natura del reato: ciò che rappresenta il presupposto per l'eventuale pronuncia contraria all'eccezione di segretezza. Co. 2: del provvedimento che rigetta l'eccezione di segretezza è data comunicazione al presidente del Consiglio, allo scopo di consentirgli le opportune iniziative nel caso di contrasto con le valutazioni operate dal giudice. Questo articolo deve essere coordinato con l'at. 66 co. 2 disp.att., che, rovesciando in parte il criterio ex art. 204, in tali ipotesi attribuisce al presidente del Consiglio l potere di confermare il segreto con atto motivato quando ritiene che il fatto, notizia o documento coperto dal segreto di Stato non concerne il reato per cui si procede; in mancanza di una tale conferma, nei 30 gg successivi alla prevista comunicazione, il giudice può procedere a sequestro del documento o all'esame del soggetto. *Art. 207, testimoni sospetti di falsità o reticenza. Testimoni renitenti → distingue tra il profilo della iniziativa penale contro il testimone per il delitto di «falsa testimonianza» ex art. 372 c.p. ed il profilo della valutazione della testimonianza da parte del giudice del processo; a quest'ultimo è imposto di informare il p.m, trasmettendogli gli atti, ove ne ricorrano gli estremi, solo con la decisione conclusiva della fase processuale in cui il testimone ha deposto (la informativa della notitia criminis sarà immediata, invece, nel caso di rifiuto della testimonianza), salva ovviamente l'autonomia del p.m stesso di promuovere l'azione penale in qualsiasi momento, anche prima dei suddetti adempimenti. Analoga disciplina è stata dettata nell'art. 371 bis co. 2 cp., a proposito del delitto di «false informazioni al p.m, precisandosi che il relativo procedimento debba rimanere sospeso finché il procedimento principale, nel corso del quale le informazioni siano state assunte, si sia concluso con sentenza di primo grado, ovvero sia stato anteriormente definito. E quest'ultima previsione è stata ribadita anche nell'art. 371-ter co. 2 c.p., a proposito del delitto di «false dichiarazioni al difensore», nelle ipotesi previste dal-l'art. 391-bis co. 1 e 2. 9. L'esame delle parti, capo II (art. 208-210) Circa il nuovo istituto dell'esame delle parti private (artt. 208-210), si tratta, diversamente dall'interrogatorio, di un vero e proprio mezzo di prova, sia pure di natura eventuale, essendo la sua esperibilità subordinata alla volontà delle parti stesse. *Art. 208: richiesta dell'esame → “nel dibattimento, l'imputato, la parte civile che non deve essere esaminato come testimone, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, sono esaminati se ne fanno richiesta o consentono alla richiesta formulata da altra parte” → manifestata la propria volontà favorevole all'esame, la parte perde la possibilità di esercitare senza pregiudizio la strategia del silenzio, anche se, per quanto concerne l'imputato, la scelta del rifiuto all'esame non è libera (nel caso dell'esame sul fatto proprio), ma deve inquadrarsi nella particolare prospettiva dell'onere, come risulta dalle conseguenze per lui svantaggiose che ne fa discendere l'art. 513 co. 1. Sebbene non si parli, al contrario di quel che accade per il testimone (art. 198 co. 1), di un obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte, non è prevista alcuna formale *Art. 226, conferimento dell'incarico → il giudice conferisce l'incarico, con la formulazione dei relativi quesiti. *Art. 228, attività del perito → il perito procede alle operazioni necessari per rispondere ai quesiti; a tal fine, può essere autorizzato dal giudice ad assistere all'esame delle parti ed all'assunzione di altre prove, mentre potrà prendere visione degli atti e delle cose prodotti dalle parti soltanto nei limiti in cui i medesimi siano acquisibili al fascicolo dibattimentale. Co. 3: è consentito che ai fini dello svolgimento dell'incarico il perito raccolga notizie dall'imputato, dall'offeso od anche da «altre persone», ma gli elementi così acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini del l'accertamento peritale. *Art. 227, relazione peritale → il perito procede immediatamente ai necessari accertamenti e risponde ai quesiti propostigli, e comunque in forma orale, mediante parere raccolto nel verbale, salvo peraltro al giudice il potere di autorizzare anche la presentazione di una relazione scritta, ove la stessa risulti indispensabile ad illustrare il suddetto parere. Se il perito non è in grado di fornire una risposta immediata, si prevede la concessione di un termine non superiore a novanta giorni - ma prorogabile fino ad un max di sei mesi, nel caso di accertamento di particolare complessità. Per esigenze di tutela dei diritti delle parti rispetto alle perizie, si dispone che i consulenti tecnici possono essere nominati, in numero non superiore a quello dei periti, sia dal p.m (art. 73 disp.att.), sia dalle parti private, lungo l'intero arco di svolgimento della perizia, fin dal momento della formulazione dei quesiti (art. 226 co. 2); sempre nella stessa ottica, è la possibilità di sottoposizione ad esame, in sede dibattimentale, tanto dei periti, quanto dei consulenti tecnici, secondo le disposizioni dettate per l'esame dei testimoni (art. 501). *Art. 230, attività dei consulenti tecnici → possono assistere al conferimento dell'incarico al perito e partecipare a tutte le operazioni peritali, sia formulando osservazioni e riserve, ma anche proponendo al perito lo svolgimento di specifiche indagini, delle quali deve darsi atto nella relazione; i consulenti tecnici possono sempre prendere visione delle relazioni, ed essere autorizzati dal giudice ad esaminare le persone, le cose o i luoghi oggetto della perizia, purché non ne derivi ritardo all'esecuzione della perizia od al compimento di altre attività processuali. *Art. 233, consulenza tecnica fuori dei casi di perizia → possibilità di nomina dei consulenti tecnici delle parti anche nelle ipotesi in cui non è stata disposta perizia, i quali possono esporre al giudice il proprio parere su singole questioni, eventualmente attraverso la presentazione di memorie ex art. 121; se successivamente alla nomina del consulente tecnico il giudice dispone perizia, al medesimo consulente sono riconosciuti i diritti e le facoltà ordinariamente previsti ex artt. 226 co. 2 e 230; se invece, la perizia non viene disposta, il consulente tecnico può di sua iniziativa svolgere le indagini e gli accertamenti consentitigli dalla oggettiva disponibilità delle persone, delle cose o dei luoghi assunti come oggetto della consulenza. Il consulente tecnico nominato ex art. 233 può essere sottoposto ad esame, nel corso del dibattimento, ai sensi dell'art. 501, proprio allo scopo di consentire l'acquisizione probatoria degli esiti delle sue indagini e delle sue valutazioni. 12. La prova documentale. Documenti (Capo VII, art. 234-243). Art. 234 co. 1: “è consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia o qualsiasi altro mezzo” → distingue l'area dei documenti in senso stretto (formati fuori dall'ambito processuale, nel quale devono essere introdotti affinché possano acquistare rilevanza probatoria) da quella degli atti (formati all'interno del procedimento, e rappresentativi di quanto vi sia accaduto, es* verbali), e soltanto ai primi si è riferita la disciplina del capo VII Art. 234 co. 3: è esclusa la possibilità di acquisire documenti concernenti le voci correnti nel pubblico intorno ai fatti ovvero la moralità in generale delle parti e testimoni. Art. 236 co. 1: è ammessa l'acquisizione dei documenti necessari al giudizio sulla personalità dell'imputato e, se del caso, della persona offesa dal reato, ricomprendo anche quelli esistenti presso gli uffici pubblici di servizio sociale e presso gli uffici di sorveglianza. Art. 236 co. 2: i certificati del casellario giudiziale, le sentenze irrevocabili di giudici italiani e le sentenze straniere riconosciute, possono essere acquisiti al fine di valutare la credibilità dei testimoni. Art. 235: “i documenti costituenti corpo del reato devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga, anche d'ufficio” → distingue tra documenti come ordinario mezzo di prova e documenti costituenti corpo del reato, in quanto a quest'ultimi non si applica la comune disciplina relativa ai primi. Art. 237, acquisizione di documenti provenienti dall'imputato: “è consentita l'acquisizione, anche d'ufficio, di qualsiasi documento proveniente dall'imputato, anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto”. Riguardo alla verifica della provenienza, è previsto che il documento venga sottoposto per il riconoscimento alle parti private ed ai testimoni (art. 239), mentre relativamente ai documenti anonimi (contenenti dichiarazioni anonime) viene confermata la regola di esclusione (essi non possono essere acquisiti, né in alcun modo utilizzati, a meno che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall'imputato, art. 240 co. 1). Art. 240 co. 2: in merito ai “documenti, supporti e atti concernenti dati e contenuti di comunicazioni e conversazioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti”, nonché ai documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni”, il p.m ne dispone l'immediata secretazione e la custodia in luogo protetto; è inoltre vietato effettuarne copia e il loro contenuto non può essere utilizzato, salva restando la sua utilizzabilità come notizia di reato; Co. 3: il p.m., acquisiti i documenti di cui al co. 2, entro 48 ore, chiede al giudice per le indagini preliminari di disporne la distruzione; quest'ultimo deve, allo scopo, fissare un'apposita udienza camerale in contraddittorio con le parti interessate, al termine della quale, se si accertano i presupposti, deve essere pronunciato provvedimento di distruzione (co. 4 e 5). Co. 6: delle operazioni di distruzione è redatto apposito verbale (vedi articolo). Art. 241, documenti falsi: “fuori dai casi previsti dall'art. 537 (la falsità viene accertata e dichiarata con la sentenza di condanna o proscioglimento), il giudice, se ritiene la falsità di un documento acquisito al procedimento, dopo la definizione di questo, ne informa il p.m trasmettendogli copia del provvedimento, in vista degli adempimenti di sua competenza” (→ viene così riconosciuto al giudice penale il potere di accertare incidenter tantum l'eventuale falsità dei documenti, rinunciandosi a riproporre nel nuovo codice, lo schema dell'impugnazione e del conseguente incidente di falso). Art. 238, verbali di prove di altri procedimenti → tali verbali sono considerati alla stregua di documenti in ragione della loro provenienza ab externo rispetto al processo nel quale dovrebbero venire acquisiti → l'acquisizione dei verbali di prove di altri procedimenti penali è ammessa senza ulteriori condizioni, secondo i normali criteri di legge (così come l'acquisizione dei verbali di prove assunte in un processo civile definito con sentenza passata in giudicato) solo quando si tratti di prove assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento (art. 238 co. 1 e 2), mentre la stessa regola non vale per i verbali di cui sia stata data lettura in sede dibattimentale. Art. 238 co. 2 bis: nel caso di acquisizione dei verbali di prove previste dal co. 1 e 2, ove si tratti di verbali recanti dichiarazioni, essi sono utilizzabili contro l'imputati solo se il suo difensore ha partecipato all'assunzione della prova o se nei suoi confronti fa stato la sentenza civile. Art. 238 co. 3: è sempre ammessa l'acquisizione della documentazione di atti compiuti nel corso di altri procedimenti penali, ivi comprese le fasi preliminari, i quali anche per cause sopravvenute «non sono ripetibili»; nell'ipotesi di impossibilità di ripetizione dovuta a fatti o circostanze sopravvenuti, l'acquisizione della relativa documentazione deve ritenersi consentita solo quando questi ultimi fatti o circostanze risultano imprevedibili. Art. 238 co. 4: al di fuori dei casi previsti dai co. 1, 2, 2 bis e 3, i verbali di dichiarazioni possono essere utilizzati nel dibattimento solo nei confronti dell'imputato che vi consenta; in mancanza di consenso, detti verbali possono essere utilizzati solo per le contestazioni in sede di esame dibattimentale, nei limiti e per gli effetti ex art. 500 e 503. Art. 238 co. 5: quando a norma dei commi precedenti sono stati acquisiti verbali di dichiarazioni provenienti da altri procedimenti, rimane fermo il diritto delle parti di ottenere, ai sensi dell'art. 190, l'esame delle persone che hanno reso tali dichiarazioni, salva la previsione dell'art. 190 bis. Art. 238 bis, sentenze irrevocabili → fermo quanto previsto dall'art. 236, è sempre consentita l'acquisizione delle sentenze divenute irrevocabili, ai fini della prova dei fatti in esse accertati; ovviamente nei limiti dei criteri di pertinenza ex art. 187 ed inoltre, esse potranno valere come prova dei fatti accertati, ex art. 192 co. 3, solo se confortate da altri elementi probatori di riscontro. Modalità di introduzione nel processo delle prove documentali → combinato disposto art. 495 e 515 → dopo che sono stati ammessi su richiesta di parte (art. 495), i documenti vengono inseriti nel fascicolo per il dibattimento, e perciò, potranno considerarsi legittimamente acquisiti, salva la possibilità di lettura ai sensi dell'art. 511 (quest'ultimo adempimento non si configura come presupposto necessario per la loro acquisizione al processo). Quanto alle fasi anteriori al dibattimento, assume rilievo la disciplina riferita all'avviso di conclusione delle indagini preliminari (art. 415-bis co. 3), nonché, specialmente, all'udienza preliminare, in vista della quale si stabilisce che – una volta avvenuto il deposito in cancelleria del fascicolo del p.m, contenente tutte le risultanze delle indagini preliminari (art. 416 co. 2) – anche il difensore dell'imputato può produrre documenti (art. 419 co. 2) i quali doranno essere ammessi dal giudice prima dell'inizio della discussione (art. 421 co. 3). Allo stesso modo dovranno essere ammessi i nuovi documenti prodotti a seguito delle «ulteriori indagini» ex art. 421 bis co. l, come pure quelli acquisiti dal giudice in virtù dei poteri di integrazione probatoria ex art. 422. Conclusasi l'udienza preliminare con il rinvio a giudizio, tra i documenti acquisiti in precedenza sono destinati a confluire nel fascicolo per il dibattimento ex art. 431 solo i certificati del casellario giudiziale ed i restanti atti indicati nell'art. 236 (nonché i documenti costituenti corpo del reato o, comunque, cose pertinenti al reato), mentre tutti gli altri documenti già raccolti dal p.m nel corso delle indagini, o successivamente prodotti ed ammessi ai fini dell'udienza stessa, entreranno a far parte del fascicolo del p.m. formato ai sensi dell'art. 433 (e, quindi, potranno essere impiegati, se del caso, solo per le contestazioni ex artt. 500 e 503, ove non vengano ritualmente ammessi come prova in dibattimento). TITOLO III: Mezzi di ricerca della prova 13. Ispezioni e perquisizioni Capo I: ISPEZIONI (art. 244-246) e capo II: PERQUISIZIONI (art. 247-252) → due tipici atti a sorpresa, disciplinati attraverso l'attribuzione dei relativi poteri alla autorità giudiziaria (si tratta quindi di atti appartenenti alla sfera di competenza non solo del giudice, ma altresì del p.m.). Le ispezioni sono dirette ad accertare sulle persone, nei luoghi o nelle cose, le tracce e gli altri effetti materiali del reato (art. 244) mentre le perquisizioni sono dirette a ricercare il corpo del reato o cose pertinenti al reato sulle persone o in luoghi determinati, ovvero ad eseguire in quest'ultimi l'arresto dell'imputato o dell'eveso (art. 247). Per entrambi gli istituti viene in rilievo la sensibilità legislativa per il profilo della loro incidenza sui diritti di libertà (art. 13 e 14 Cost.) → rafforzamento della dimensione garantistica delle previsioni ad essi collegate (es* necessità del decreto motivato dall'autorità giudiziaria uale presupposto per l'esercizio dei corrispondenti poteri). Art. 245, ispezione personale → prima di procedervi, l'interessato è avvertito della facoltà che gli è riconosciuta di farsi assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile ed idonea secondo i canoni ex art. 120 per i testimoni ad atti del procedimento; l'ispezione deve inoltre compiersi personalmente ad opera dell'autorità procedente, ovvero anche per mezzo di un medico, e deve essere eseguita nel rispetto della dignità, e nei limiti del possibile possibile, del pudore della persona sottoposta. Art. 246, ispezione di luoghi o cose → garanzia rappresentata dalla consegna del decreto di ispezione, prima dell'inizio delle operazioni, all'imputato ed alla persona titolare della disponibilità dei luoghi, sempreché siano presenti; co. 2: l'autorità giudiziaria può impedire l'allontanamento di una o più persone dai luoghi dell'ispezione, prima della loro conclusione, e può farvele ricondurre coattivamente. Art. 244 co. 2: l'autorità giudiziaria ha il potere di disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici, insieme ad ogni altra necessaria operazione tecnica, adottando misure tecniche diretta ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione. In materia di perquisizioni (atti cui l'autorità giudiziaria procede personalmente, salva la possibilità di delegarvi un ufficiale di polizia giudiziaria) il legislatore introduce una disciplina che, sia rispetto alle perquisizioni personali (art. 249), sia rispetto alle perquisizioni locali (art. 250), ricalca la disciplina sulle ispezioni. A parte gli ordinari limiti temporali delle perquisizioni nel domicilio (art. 251: dalle ore 7 alle ore 20, salva espressa deroga), rispetto alle perquisizioni locali viene ribadita una particolare cura per gli adempimenti di consegna del decreto e dell'avviso della facoltà di assistenza, mentre i poteri dell'autorità giudiziaria procedente risultano estesi all'eventuale perquisizione delle persone sopraggiunte. Inoltre, sia per le perquisizioni personali che locali, viene enunciato in termini generali il principio della «richiesta di consegna» come attività prodromica rispetto alla perquisizione, allorquando si ricerchi una cosa determinata (art. 248: “A seguito dell'invito dell'autorità giudiziaria a consegnare una cosa determinta, se la cosa è presentata non si procede a perquisizione, salvo che si ritenga utile procedervi per la completezza delle indagini; l'autorità giudiziaria, o per delega gli ufficiali di polizia giudiziaria, possono esaminare atti, documenti e corrispondenza presso banche, allorchè si tratta di rintracciare cose da sottoporre a sequestro o di accertare altre circostanze utili per le indagini; se i responsabili degli istituti bancari rifiutano il loro consenso, l'autorità giudiziaria dovrà procedere a perquisizione). Per quanto concerne le garanzie in tema di assistenza del difensore agli atti di ispezione e di perquisizione (atti tipicamente «non ripetibili» ex art. 431 lett. b e c) si rinvia alla disciplina per le indagini preliminari della polizia giudiziaria (artt. 352, 354 e 356) e del p.m. (artt. 364 e 365). Art. 103, garanzie di libertà del difensore → definiti i presupposti in presenza dei quali si può far luogo a ispezioni e perquisizioni negli uffici dei difensori (da parte del giudice, ovvero, nel corso delle indagini preliminari, da parte del p.m., sulla scorta di un motivato decreto autorizzativo del giudice), la relativa procedura si caratterizza per la necessità che ne venga avvisato il locale consiglio dell'ordine forense, affinché il presidente od un consigliere suo delegato possa assistere alle operazioni; l'art. 103 prevede identiche modalità procedurali anche per il sequestro, con la precisazione che presso i difensori ed i consulenti tecnici non si può procedere a sequestro di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato; sono vietati, inoltre, il sequestro ed ogni altra forma di controllo della corrispondenza tra l'imputato ed il proprio difensore, salvo che l'autorità giudiziaria non abbia fondato motivo di rienere che si tratti di corpo del reato; sono vietate le intercettazioni di conversazioni e di comunicazioni dei difensori, dei consulenti tecnici e dei loro ausiliari, nonché quelle tra i medesimi ed i loro assistiti. Art. 103 ult.co.: i risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri e intercettazioni eseguiti in violazione delle disposizioni dell'art. 103 (salvo che per l'avviso al consiglio dell'ordine forense, previsto a pena di nullità) non possono venire utilizzati, ad eccezione in cui essi costituiscono corpo del reato. - Ci sono infine particolari figure di perquisizione consentite agli organi di polizia giudiziaria da leggi speciali quando, nel corso di operazioni dirette alla prevenzione di determinati delitti, si verificano situazioni di necessità ed urgenza tali da non permettere un tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria → es*quando tali operazioni riguardano il traffico illecito di stupefacenti, gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria possono procedere a perquisizioni, se hanno fondato motivo di ritenere che possano essere rinvenute sostanze stupefacenti. Resta fermo, inoltre, il potere degli organi di polizia, in situazioni di necessità ed urgenza, di procedere ad immediata perquisizione sul posto di persone e mezzi di trasporto al solo fine di accertare l'eventuale possesso di armi, strumenti di effrazione ed esplosivi, mentre i soli ufficiali di polizia giudiziaria hanno il potere di procedere a perquisizioni locali anche di interi edifici o blocchi di edifici; tali perquisizioni possno venire disposte quando vi sia fondato motivo di ritenere che in tali edifici si trovano armi, munizioni ed esplosivi, ovvero che vi si sia rifugiato un latitante od un evaso in relazione a taluno dei delitti di criminalità organizzata indicati nell'art. 51 co. 3- bis, ovvero ai delitti aventi finalità di terrorismo. l'art. 132 d.lgs. 196/2006 stabilisce che, i dati del traffico telefonico devono essere conservati dal fornitore per 24 mesi dalla data della comunicazione per finalità di accertamento e repressione di reati, mentre i dati del traffico telematico sono conservati per 12 mesi e i dati delle chiamate senza risposta per 30 giorni; entro tali termini di conservazione, i dati in questione possono essere acquisiti dal p.m con decreto motivato; resta fermo il potere del difensore dell'imputato di richiedere direttamente al fornitore i dati relativi al proprio assistito (con le modalità ex art. 391 quater). *Art. 267 co. 3: il decreto del p.m stabilisce le modalità e la durata delle operazioni di intercettazione; tale durata non può superare i quindici giorni (prorogabili dal giudice, con decreto motivato, ed in permanenza dei presupposti richiesti ab origine, per periodi successivi di quindici giorni), e devono venire eseguite dal p.m personalmente, o tramite un ufficiale di polizia (art. 267 co. 4). Una disciplina derogatoria rispetto all'art. 267, è dettata dall'art. 13 d.l. 152/1991, con riferimento alle indagini relative a delitti di «criminalità organizzata», ovvero al delitto di «minaccia col mezzo del telefono», nonché ai delitti previsti dagli artt. 270-ter, 280-bis, 600-604 c.p. e dall'art. 3 1. 75/58, ed ancora ai delitti indicati nell'art. 407 co. 2 lett. a n. 4 → quando l'intercettazione è necessaria per lo svolgimento di tali indagini, essa può essere autorizzata dal giudice anche solo in presenza di sufficienti indizi di reato, nella valutazione dei quali dovrà applicarsi l'art. 203; la durata delle operazioni così autorizzate non può superare i quaranta giorni, ma la stessa può venire prorogata, con decreto motivato, dal giudice (ovvero, nei casi di urgenza, direttamente dal p.m), previa verifica della permanenza dei presupposti richiesti dalla legge, per periodi successivi di venti giorni. Il suddetto art. 13 prevede che, nel caso di intercettazione di conversazioni tra persone presenti (c.d. intercettazione ambientale), sempre nell'ambito di procedimenti per delitti di criminalità organizzata, nonché per gli altri gravi delitti sopra richiamati, si è precisato, in deroga al limite ex art. 266 co. 2, che la relativa operazione possa venire autorizzata e disposta, anche nei luoghi di domicilio, pur quando «non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l'attività criminosa. Art. 267 co. 5: il pm. deve annotare in un apposito registro riservato, secondo il loro ordine cronologico, tutti i decreti che abbiano disposto, autorizzato, convalidato ovvero prorogato le intercettazioni, nonché, in rapporto a ciascuna di esse, i tempi di inizio e di conclusione delle operazioni. Art. 268 co. 3: le operazioni di intercettazione possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica (art. 90 disp. att.), salvo consentire subito dopo che, nel caso di insufficienza o inidoneità dei medesimi, lo stesso p.m possa autorizzare con decreto motivato l'uso degli impianti di pubblico servizio, ovvero di quelli in dotazione alla polizia giudiziaria. Co. 3 bis: nel caso di intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, il p.m può autorizzare anche l'impiego di impianti appartenenti a privati. Art. 268, esecuzione delle operazioni → co. 1 e 2: “le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale; nel verbale è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate”. Co. 4: i verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al p.m., ed entro 5 gg dalla conclusione delle operazioni sono depositati in segreteria (salva la possibilità di un ritardo, autorizzato dal giudice, non oltre la chiusura delle indagini preliminari, quando può derivare un grave pregiudizio per le indagini stesse); dopo tale deposito, i difensori delle parti vengono avvisati della facoltà di esaminare gli atti e prendere conoscenza delle registrazioni depositate, entro il termine fissato dal p.m. Il procedimento incidentale diretto alla cernita ed alla selezione del materiale risultante dall'intercettazione deve essere svolto entro la chiusura delle indagini preliminari, in un'apposita udienza camerale, per ragioni di garanzia della privacy delle persone le cui conversazioni o comunicazioni siano state intercettate. Art. 268 co. 6: scaduto il termine riservato ai difensori per poter prendere conoscenza degli atti e delle registrazioni depositati, il giudice per le indagini preliminari disporrà, dietro richiesta delle parti, l'acquisizione delle conversazioni e comunicazioni indicate dalle parti stesse, che non appaiano manifestamente irrilevanti (viene escluso quindi tutto il materiale intercettato di cui le parti non abbiano chiesto l'acquisizione o di cui risulti la manifesta irrilevanza); il giudice procederà quindi, anche d'ufficio, ma con la possibilità di partecipazione del p.m e dei difensori, allo stralcio delle registrazioni e verbali relativi alle intercettazioni di cui sia vietata l'utilizzazione. Art. 268 co. 7: il giudice provvede per la trascrizione integrale delle registrazioni destinate ad essere acquisite, nel rispetto delle forme e delle garanzie previste per le perizie, salva in ogni caso ai difensori la facoltà di estrarre copia delle trascrizioni e di trasporre le registrazioni medesime su nastro; dopo di che, le trascrizioni così ottenute, vengono inserite nel fascicolo per il dibattimento formato ai sensi dell'art. 431. I verbali e le registrazioni delle intercettazioni non acquisiti devono essere conservati integralmente presso il p.m che le ha disposte, fino al passaggio in giudicato della sentenza; si ammette, tuttavia, che quando la relativa documentazione non è necessaria per il procedimento, gli interessati, possono chiederne la distruzione al giudice, il quale provvederà in camera di consiglio e, qualora la distruzione venga disposta, curerà che sia eseguita sotto il proprio controllo (art. 269). Art. 270, utilizzazione in altri procedimenti → i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza; ai fini dell'utilizzazione di tali intercettazioni, i verbali e le registrazioni sono depositati presso l'autorità competente per il diverso procedimento; si applicano le disposizioni dell'art. 268 co. 6, 7 e 8. In ogni caso, il p.m e i difensori delle parti, hanno la facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in precedneza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono autorizzate (→ per evitare rischi connessi ad una trasmissione solo parziale). Art. 270 bis, comunicazioni di servizio di appartenenti al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza e ai servizi di informazione per la sicurezza → qualora l'autorità giudiziaria, tramite intercettazione, acquisisce comunicazioni di servizio di appartenenti al sistema dei servizi di sicurezza, la relativa documentazione deve essere secretata e custodita in luogo protetto; l'autorità giudiziaria deve quindi trasmettere al presidente del Consiglio dei Ministri copia di tale documentazione contenente le info di cui intende avvalersi nel processo, per accertare se alcuna di esse sia coperta da segreto di Stato; se entro 60 gg il presidente non oppone tale segreto, l'autorità giudiziaria può acquisire la documentazione trasmessa, mentre nel caso di opposizione del segreto di Stato, le sarà inibita l'utilizzazione delle notizie coperte da segreto; prima che sopraggiunga la risposta del Presidente, le info possono essere utilizzate, ma solo limitatamente ad una prospettiva cautelare (vedi art. 270 bis co. 3). Art. 271, divieti di utilizzazione → Co. 1: “i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati sul piano probatorio (non anche, quindi, quale fonte di una notizia di reato) se le stesse sono state eseguite fuori dai casi consentiti dalla legge o qualora non siano stati rispettati gli art. 267 e 268 co. 1 e 3” → Per “fuori dai casi consentiti dalla legge” si fa riferimento a: *limiti di ammissibilità ex art. 266 o da altre disposizioni (es* art. 103 co. 5, in merito al divieto di intercettazione circa la comunicazioni dei difensori e dei consulenti tecnici, o relative ai rapporti tra i medesimi e i loro assistiti); *principio ex art. 68 co. 3 Cost.: necessità di autorizzazione della Camera di appartenenza per poter sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni di conversazioni o comunicazioni → l'art. 4 l. 140/2003 prevede che tale autorizzazione deve essere richiesta dall'autorità che ha emesso il provvedimento da eseguire, con il corollario per cui, nel frattempo, l'esecuzione del suddetto provvedimento dovrà rimanere sospesa e ove le intercettazioni venissero nondimeno eseguite, lo sarebbero fuori dei casi consentiti dalla legge. Art. 271 co. 2: non possono essere utilizzate le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni delle persone indicate dall'art. 200 co. 1, se hanno ad oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvo che tali persone abbiano deposto sugli stessi fatti, o li abbiano in altro modo divulgati. Come risulta anche da questo inciso la norma rappresenta una sorta di proiezione del diritto di astensione riconosciuto alle suddette persone in sede di testimonianza. Art. 271 co. 3: in ogni stato e grado del procedimento, il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni previste dai co. 1 e 2, sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato. Un problema particolare, è quello che sorge a proposito dei verbali e delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni, cui abbiano preso parte dei membri del Parlamento, le quali siano state regolarmente intercettate nel corso di procedimenti riguardanti terze persone, o, comunque, non a seguito di operazioni disposte nei confronti del parlamentare (intercettazioni indirette, aventi natura casuale). Fermo restando che nel caso di intercettazioni preordinate a carico di un parlamentare opera l'art. 68 co. 3 Cost., il problema di cui sopra (intercettazioni fortuite, cioè occasionali) è stato disciplinato dall'art. 6 l. 140/2003 → tale articolo distingue a seconda che il giudice per le indagini preliminari ritiene irrilevanti, ai fini del procedimento, i documenti delle conversazioni o comunicazioni intercettate in procedimenti riguardanti terzi, ovvero che li ritiene rilevanti: nella prima ipotesi, le medesime risultanze devono essere integralmente distrutte (art. 269 co. 2 e 3) mentre nella seconda ipotesi il giudice, per poter utilizzare le intercettazioni così eseguite, deve tempestivamente richiedere l'autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare. Nel caso in cui l'autorizzazione viene negata, il l'art. 6 co. 5 prescrive che la documentazione delle intercettazioni deve essere distrutta immediatamente, e comunque non oltre dieci giorni dalla comunicazione del diniego; l'art. 6 co. 6 prevede che i verbali e le registrazioni acquisiti in violazione del disposto del suddetto art. 6 devono essere dichiarati inutilizzabili (inutilizzabilità sul piano probatorio) ad opera del giudice. Tale disciplina drastica può comprendersi solo se riferita al caso delle intercettazioni indirette casuali, i cui contenuti risultino obiettivamente incidenti sulla posizione di un membro del Parlamento; la medesima disciplina sarebbe, invece, difficilmente giustificabile in termini di ragionevolezza qualora la si volesse riferire anche al caso delle intercettazioni indirette, i cui contenuti risultassero rilevanti esclusivamente sulla posizione di terze persone delle quali un membro del Parlamento sia stato interlocutore occasionale; con la conseguenza che, nel caso di diniego dell'autorizzazione, dovrebbero essere distrutte o dichiarate inutilizzabili le intercettazioni recanti elementi probatori a carico o a favore di soggetti non aventi la qualifica di parlamentare. Tale disciplina appariva incostituzionale in quanto equiparava irragionevolmente alla posizione dei parlamentari quella di soggetti terzi; per questo motivo, la Corte Costituzionale è intervenuta attraverso una declaratoria di illegittimità dell'art. 6 l. 140/2003, nelle parti relative alla sua applicabilità anche nei confronti di soggetti non parlamentari. Per quanto riguarda il Presidente della Repubblica, la sua posizione non è assimilabile a quella del parlamentare, con conseguente inapplicabilità della l. 140/2003; è previsto un divieto assoluto di intercettazioni delle conversazioni del Presidente della Repubblica, con obbligo di distruzione immediata delle stesse, trattandosi di intercettazioni avvenute fuori dai casi previsti dalla legge (art. 271 co. 3). Art. 226 disp.att.: disciplina le intercettazioni preventive di comunicazioni o conversazioni, le quali sono consentite, su iniziativa del Ministro dell'interno o di un'autorità da lui delegata – ed a seguito di autorizzazione del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del «distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a controllo ovvero, nel caso in cui non sia determinabile, del distretto in cui sono emerse le esigenze di prevenzione» – quando le medesime risultino «necessarie per l'acquisizione di notizie concernenti la prevenzione» dei delitti indicati dall'art. 407 co. 2 lett. a n. 4 e dall'art. 51 co. 3-bis. Siccome tali intercettazioni sono estranee all'ambito del processo penale, gli elementi eventualmente acquisiti attraverso tali intercettazioni non possono essere utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi; le risultanze «non possono essere menzionate in atti di indagine, né costituire oggetto di deposizione, ne essere altrimenti divulgate». disposti per mancanza di un luogo idoneo all'esecuzione (art. 284 co. 1); ancora, il divieto non opera quando si procede per dei delitti indicati dall'art. 275 co. 3 (es* incendio boschivo, stalking), nonché dall'ar. 275 co. 2 (art. 423 bis, 572, 612 bis e 624 bis cp e di quelli indicati nell'art. 4 bis ord.penit.). Co.1-bis e co. 2-ter dell'art. 275: si occupano dei criteri relativi alla scelta delle misure cautelari da disporre contestualmente ad una sentenza di condanna. *Co. 1 bis: detta un crtierio di carattere generale → “contestualmente ad una sentenza di condanna, l'esame delle esigenze cautelare deve essere condotto tenendo conto anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell'art. 274, co. 1, lett. b e c” → vincola il giudice a tener conto anche dei risultati del relativo accertamento quali fattori rilevanti per la valutazione delle esigenze cautelari. *Co. 2 ter: detta un criterio specifico per la condanna di appello → “nei casi di condanna idi appello, le misure cautelari personali sono sempre disposte, contestualmente alla sentenza, quando all'esito dell'esame condotto a norma del co. 1-bis, risultano sussistere esigenze cautelari previste dall'art. 274 e la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall'art. 380 co. 1, e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole” → in deroga alla regola generale per cui il giudice procedente applica le misure cautelari su richiesta del p.m., nel caso di sentenza di condanna pronunciata in secondo grado, contestualmente alla sentenza, il giudice dovrà obbligatoriamente, anche in assenza di quest'ultima richiesta, valutare la sussistenza delle esigenze cautelari e degli altri presupposti, ed applicare sempre la misura cautelare personale più adeguata, ogni qualvolta tale valutazione abbia dato esito positivo. Art. 275 co. 3: “la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulta inadeguata” → la custodia carceraria è la più gravosa tra tutte le misure cautelari e il ricorso alla carcerazione dell'imputato viene considerao un'extrema ratio; questa regola subisce un'eccezione:quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti ex art. 51 co. 3 bis e 3 quater, 575, 600 bis co. 1, 600 ter escl.co.4, 600 quinquies cp, nonché i delitti previsti dagli articoli 609 bis, quater e octies cp (salvo che ricorrano le circostanze attenuanti degli stessi articoli) è applicata la custodia carceraria, a meno che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari → configura in capo all'indiziato dei suddetti delitti una forte presunzione relativa di periculum libertatis ed una presunzione assoluta di adeguatezza della misura carceraria; il giudice ha un vero e proprio onere di motivazione negativa, circa la (non) sussistenza in concreto di esigenze cautelari → una volta accertata la gravità degli indizi relativamente ad uno dei suddetti delitti, o il giudice è in grado di escludere qualunque esigenza cautelare, oppure è tenuto a disporre la custodia in carcere, senza poter optare per una misura meno gravosa. 6. Altre applicazioni del principio di adeguatezza. Art. 275 co. 4: stabilisce una presunzione di «non necessità» della misura carceraria, con riferimento ad una vasta gamma di ipotesi, rispetto alle quali si delinea una previsione di divieto della suddetta misura → così è stabilito quando siano imputati una donna incinta, o una madre di prole di età non superiore a 6 anni con la stessa convivente, ovvero un padre qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, od ancora una persona che abbia superato i settanta anni → in tali ipotesi deve essere applicata una misura diversa dalla custodia in carcere, salva l'eventualità che sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Analogamente, se ricorrono i presupposti per la custodia in carcere, ma non sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, e si tratta di imputati tossicodipendenti o alcooldipendenti sottoposti a programma terapeutico di recupero, l'art. 89 d.P.R. 309/90, n. 309 stabilisce che nei confronti di tali imputati deve essere disposta la misura degli arresti domiciliari, allorché l'interruzione del programma in atto potrebbe pregiudicare il loro recupero; la stessa disciplina si applica nei confronti dell'imputato tossicodipendente o alcooldipendente, già assoggettato a custodia cautelare, il quale intende sottoporsi ad un programma di recupero. Nelle situazioni descritte, tuttavia, quando si procede per rapina aggravata o estorsione aggravata, o comunque quando sussistono particolari esigenze cautelari, il provvedimento che applica gli arresti domiciliari è subordinato all'individuazione di una struttura residenziale per lo svolgimento del programma di recupero. In ogni caso, l'applicabilità del suddetto art. 89, è esclusa con riferimento agli imputati per delitti di cui all'art. 4 bis ord.penit., ad eccezione di quelli ex art. 628 co. 3 e 629 co. 2, semprechè non siano ravvisabili elementi di collegamento con la criminalità organizzata od eversiva. Art. 275 co. 4 bis: divieto di custodia cautelare nei confronti di imputati affetti da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria (accertate ex art. 286-bis co. 2), o da altra malattia particolarmente grave, a causa della quale le loro condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione e siano comunque tali da non consentire adeguete cure in caso di detenzione carcerarie; attenuazioni in chiave derogatoria: *art. 275 co. 4 ter: se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, deve farsi luogo a custodia cautelare presso idonee strutture sanitarie penitenziarie, a meno che l'adozione di tale misura non risulti possibile senza pregiudizio per la salute dell'imputato o per quella degli altri detenuti (in queste ultime eventualità, il giudice, dovrà disporre la misura degli arresti domiciliari presso un luogo di cura o assistenza). Art. 275 co. 4 quater: pur ricorrendo le situazioni sopra descritte, se il soggetto risulta imputato, o è stato sottoposto ad altra misura cautelare, per uno dei delitti ex art. 380 (in quanto commessi dopo l'applicazione delle misure previste dal co. 4-ter), il giudice può disporre comunque la custodia cautelare in carcere (per evitare ad es* il pericolo di reiterazione di reati); in tal caso il giudice dispone che l'imputato venga condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per le cure necessarie. Art. 275 co. 4 quinquies: la custodia carcerarie è in ogni caso esclusa (quindi, se già disposta, viene revocata) se la malattia dell'imputato è in una fase così avanzata da non rispondere pià ai trattamenti e alle terapie. Art. 276, provvedimenti in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte → co. 1: nel caso di inosservanza delle prescrizioni, il giudice può ordinare la sostituzione della misura già disposta, ovvero il suo cumulo con altra più grave, sempre, di regola, dietro richiesta del p.m. (art. 291 co. 1) e senza previo contraddittorio, come nell'applicazione x nove di una misura cautelare; il codice attribuisce quindi al giudice un potere discrezionale. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno precisato che l'applicazione cumulativa di misure cautelari personali, può essere disposta solo nei casi ammessi dalla legge (art. 276 co. 1 e art. 307 co. 1 bis): al di fuori di queste previsioni, non è consentita l'applicazione congiunta di due distinte misure. I criteri di valutazione ex art. 276 co. 1, oltre a quelli ex art. 275, sono quelli dell' entità, dei motivi e delle circostanze della violazione: quindi non ogni trasgressione dell'imputato alle prescrizioni dovrà necessariamente dare luogo ad un nuovo provvedimento in chiave sostitutiva, ma solo le trasgressioni che sono tali da non far ritenere più sufficiente l'originaria misura. L'art. 276 precisa che se la trasgressione riguarda una misura interdittiva, il giudice può disporne la sostituzione o il cumulo anche con misura coercitiva. L'art. 276 co. 1 ter, derogando al co. 1, stabilisce che in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, il giudice dispone la revoca della misura e la sua sostituzione con la custodia cautelare in carcere. Art. 276 co. 1 bis: se l'imputato che si trova nelle condizioni ex art. 275 co. 4 bis, trasgredisce le prescrizioni inerenti alla misura applicatagli, può essere sottoposto a custodia cautelare in carcere e in tal caso il giudice dispone che venga condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie. 7. La salvaguardia dei diritti della persona sottoposta a misura cautelare. Art. 277: norma di garanzia per la posizione soggettiva dell'imputato → “le modalità esecutive delle misure cautelari devono salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposta, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto.” → norma diretta a garantire la personalità dell'indiziato dal punto di vista dell'esercizio dei diritti che gli competono come persona. Tale disposizione (riferibile anche ai detenuti) è un'applicazione del principio ex art. 1 co. 3 ord.penit e deve raccordarsi con l'art. 285 co. 2. 8. I criteri di determinazione della pena ai fini dell'applicazione delle misure. Art. 278, determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure → agli effetti dell'applicazione delle misure, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato, senza tener conto né della continuazione, né della recidiva, né di regola, delle circostanze del reato, fatta eccezione della circostanza aggravante ex art. 61 n. 5 c.p, circostanza attenuante ex art. 62 n. 4 c.p e circostanze ad effetto speciale, cioè quelle per le quali sia stabilita una pena di specie diversa (nonostante tra queste eccezioni non si fa cenno alla minore età dell'imputato, l'omissione si spiega in quanto la sua disciplina si trova nell'apposita sede della legislazione processuale penale minorile). I criteri dell'art. 278 sono richiamati dall'art. 379 in merito alla determinazione della pena ai fini dell'arresto in flagranza e del fermo (l'attuale art. 380 co. 2 lett. h), prevede l'esclusione dell'arresto obbligatorio per il caso dei delitti concernenti sostanze stupefacenti di cui al co. 5 dell'art. 73 d.P.R. 309/90, il quale configura un'autonoma fattispecie di reato per i casi di lieve entità. 9. Misure coercitive (capo II) e misure interdittive (capo III). Le misure coercitive ed interdittive possono applicarsi solto quando si procede per i delitti per i quali la legge stabilise la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni (artt. 280 e 287). La suddetta regola subisce alcune eccezioni → *eccezione 1, art. 280 co. 1: fa salvo quanto disposto dai co. 2 e 3 dello stesso articolo (co.2: “la custodia cautelare in carcere, può essere applicata solo per delitti consumati o tentati, per i quali sia prevista, la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e per il delitto di finanziamento illecito ai partiti ex art. 7 l. 195/74”); questo limite, tuttavia, ai sensi dell'art. 280 co. 3, non opera nei confronti di chi ha trasgredito le prescrizioni inerenti ad una misura cautelare (a carico di tali imputati può essere disposta la misura carceraria, in forza del meccanismo sostitutivo ex art. 276, anche con riferimento a delitti punibili con pena detentiva superiore nel massimo a 3 anni, sebbene inferiore a 5, alla stregua della regola ex art. 280 co. 1). *eccezione 2, fa salvo quanto disposto dall'art. 391: si riferisce al co. 5 dell'art. 391 che, nel disciplinare in via generale la conversione dell'arresto in flagranza o del fermo in una misura coercitiva ex art. 291, ivi compresa la custodia in carcere, si dispone che tale conversione — in presenza dei presupposti ex artt. 273 e 274 — può avere luogo anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli artt. 274 co. 1 lett. c e 280, quando l'arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'art. 381 co. 2, ovvero per uno dei delitti per i quali è consentito anche fuori dei casi di flagranza: dunque, anche con riferimento a delitti punibili con la reclusione non inferiore nel massimo a tre anni. Questo, d'altra parte, è il limite di sbarramento previsto dalla legge delega con riguardo a particolari ipotesi di arresto facoltativo in flagranza, rispetto alle quali la legge delega indica come normale la conversione dell'arresto in una delle misure di coercizione → in ordine alle ipotesi delittuose ex art. 381 co. 2, l'applicazione di una misura di coercizione personale può configurarsi solo a seguito di conversione dell'arresto in flagranza, mentre non potrà trovare base nel potere coercitivo originariamente spettante al giudice. Nel 1995, il legisaltore ha modificato il l'art. 280 co. 2, circoscrivendo l'applicabilità della custodia in carcere esclusivamente ai delitti punibili con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni; a questa innovazione non ha fato riscontro una corrispondente modifica nell'art. 391 co. 5, senza alcuna modifica circa la portata di tale deroga rispetto ai delitti ex art. 381; quindi, nelle ipotesi ivi previste, l'applicazione della custodia carceraria a seguito di convalida dell'arresto in flagranza continua ad essere consentita — anche al di fuori dei limiti di pena ex art. 280 e art. 274 co. 1 lett. c — nei soli casi in cui l'arresto sia stato eseguito a norma dell'art. 381 co. 2, mentre risulta preclusa nei casi in cui l'arresto sia stato eseguito a norma dell'art. 381 co. 1, ogniqualvolta si tratti di delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione in misura bensì superiore nel massimo a tre anni, ma inferiore nel massimo a cinque anni. In questi ultimi casi, infatti, a causa della mancata predisposizione di una clausola derogatoria analoga a quella dll'art. 391 co. 5, non può non operare il limite di applicabilità sancito, per la custodia in carcere, dall'art 280 co. 2, e richiamato dall'art. 274 co. 1 lett c → per effetto per effetto di un simile difetto di coordinamento legislativo, esistono oggi nel sistema delle situazioni rispetto alle quali (sebbene riferite a delitti più gravi di quelli cui allude l'art. 381 co. 2), pur dopo la convalida dell'arresto in flagranza, non potrà essere applicata la misura custodiale nei confronti dell'arrestato, nonostante l'accertamento dei presupposti cautelari ex art. 391 co. 5 → disparità di disciplina irragionevole. Quanto al resto, non risultando ammessa nessuna ulteriore deroga, il limite stabilito dall'art. 280 deve ritenersi operante per tutte le altre misure coercitive. 10. La tipologia delle misure coercitive ed il principio di gradualità. Le misure coercitive sono ordinate in termini di progressiva afflittività; all'interno di questa gerarchia, si collocano le misure del divieto di espatrio (art. 281), dell'obbligo di presentazione periodica agli uffici di polizia giudiziaria (art. 282), dell'allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis), del divieto di avvicinamento a determinati luoghi frequentati dalla persona offesa, ovvero da suoi congiunti o conviventi (art. 282 ter), del divieto e dell'obbligo di dimore (art. 283). A proposito dell'obbligo di dimora, il giudice può imporre all'imputato (art. 283 co. 4) di non allontanarsi dall'abitazione in alcune ore del giorno senza pregiudizio per le normali esigenze di lavoro → prescrizione analoga a quella degli arresti domiciliari, art. 284, riguardo alla quale l'obbligo dell'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione, o dagli altri luoghi consentiti, può risultare attenuato solo dall'autorizzazione del giudice ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto, per il tempo strettamente necessario a provvedere ad indispensabili esigenze di vita, ovvero per esercitare una attività lavorativa, nel caso di assoluta indigenza → duplice possibilità in capo al giudice di graduare diversamente la sottoposizione dell'imputato all'obbligo di non allontanamento dalla propria abitazione, ora facendo ricorso all'obbligo di dimora, ora disponendo gli arresti domiciliari → conseguenze per l'imputato: l'imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare (art. 284 co. 5), solo in quest'ultimo caso, e non anche nel caso di obbligo di dimora l'imputato costretto a rimanere nella propria abitazione potrà usufruire dei vantatti derivanti dalla suddetta equiparazione. Nell'attuale codice, gli arresti domiciliari sono considerati come autonoma misura di coercizione domiciliare alternativa alla custodia, anziché quale modalità esecutiva extracarceraria della custodia cautelare. Art. 284 co. 5 bis: limite soggettivo alla concedibilità degli arresti domicialiri → divieto nei confronti degli imputati già condannati (dunque, con sentenza irrevocabile) per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per cui si procede. Art. 275 bis, particolari modalità di controllo → possibilità di subordinare la misura degli arresti domiciliari all'assoggettamento dell'imputato a particolari procedure di controllo, mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (es* braccialetto elettronico); il co. 1 procede stabilendo che andrà disposta la misura carceraria, se l'imputato nega il proprio consenso a sottoporsi ai suddetti mezzi o strumenti (il consenso dell'imputato, in tali ipotesi, è condizione imprescindibile per fruire degli arresti domiciliari in luogo della custodia in carcere). 11. Le forme della custodia cautelare. Art. 285, custodia cautelare in carcere → co. 1:“con il provvedimento che dispone la custodia cautelare, il giudice ordina che l'imputato sia catturato ed immediatamente condotto in un istituto di custodia per rimanervi a disposizione dell'autorita giudiziaria” (→ è l'istituto che l'art. 13 co. 5 Cost., richiama come carcerazione preventiva). La misura carceraria è l'ultima risorsa a disposizione del giudice. Art. 285 co. 2: “prima del trasferimento nell'istituto, la persona sottoposta a custodia cautelare non può subire limitazione di libertà, se non per il tepo e con le modalità necessarie alla sua traduzione” → norma di garanzia dettata per ridurre al minimo il sacrificio di libertà dell'imputato in custodia prima del trasferimento in carcere. Art. 286, custodia cautelare in luogo di cura → quando si tratta di un imputato in stato di infermità di mente tale da incidere gravemente sulla sua capacità di intendere e di volere, il giudice può disporne, in luogo della custodia carceraria, la custodia cautelare non carceraria mediante ricovero provvisorio in una idonea struttura; il raggio di operatività di tale istituto, art. 206 c.p., copre un'area di ipotesi assai più ampia di quella riferibile al solo imputato infermo di mente → quindi il codice ha mantenuto un'autonoma disciplina per l'applicazione provvisoria delle
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