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riassunto del libro "Diritto dell'unione europea" di Luigi Daniele (ultima edizione), Sintesi del corso di Diritto dell'Unione Europea

Riassunto completo e del tutto sostitutivo dell'ultima edizione del libro "diritto dell'unione europea" di Luigi Daniele per la preparazione dell'esame di diritto dell'unione europea. Ho fatto questo riassunto dopo aver letto il libro così da poter studiare solamente su queste pagine in modo più conciso, chiaro e schematico. E' questa la ragione del prezzo: riassunto completissimo che ha richiesto molte settimane per prepararlo.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 30/11/2019

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Scarica riassunto del libro "Diritto dell'unione europea" di Luigi Daniele (ultima edizione) e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! LUIGI DANIELE DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA (sesta edizione) INTRODUZIONE LE ORIGINI E LO SVILUPPO DEL PROCESSO D’INTEGRAZIONE EUROPEA RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 1 1. I metodi di integrazione: cooperazione intergovernativa e metodo comunitario L’ideale di un continente europeo non più diviso in Stati in lotta tra loro si afferma sin dal XX secolo e si realizza concretamente solo alla fine della Seconda Guerra mondiale. Mentre l’Europa orientale dà vita a forme di aggregazione militare (Patto di Varsavia) ed economica (Comecon) L’integrazione dell’Europa occidentale segue due metodi: Cooperazione intergovernativa, metodo tradizionale: Gli Stati cooperano tra loro come soggetti sovrani, creando apposite strutture a tal fine. Le caratteristiche: 1. Prevalenza di organi di Stati: negli organi principali dell’organizzazione siedono persone che rappresentano lo Stato di appartenenza e seguono le direttive loro impartite; 2. Prevalenza del principio di unanimità: in tal modo ciascuno Stato ha potere di opporsi alle deliberazioni (diritto di veto); 3. Assenza o Rarità di decisioni vincolanti: le deliberazioni dell’organizzazione hanno di regola natura di raccomandazioni. Gli Stati europei seguono il metodo della cooperazioni in alcuni importanti settori: • nella cooperazioni militare due organizzazioni militari • UEO – unione dell’Europa occidentale - • NATO – organizzazione del trattato del nord atlantico – • Trattato di Washington, 1949. Aderiscono anche stati extraeuropei, USA e Canada. • nel settore dell’integrazione economica • l’occasione data dall’esigenza di gestire il Piano Marshall: piano di aiuti finanziari accordati dall’USA all’Europa, volto a favorire la ricostruzione economica degli Stati Europei usciti deboli dalla WW2. L’erogazione di tali aiuti è subordinata alla condizione che la loro gestione avvenga in maniera coordinata fra tutti gli stati beneficiari si dà vita all’OECE – organizzazione europea per la Cooperazione Economica (istituita con il Trattato di Parigi del 48) • nel settore della cooperazione politica, culturale e sociale • Consiglio d’Europa, con poteri assai ampi e con organo principale il Comitato dei ministri. Il suo principale strumento di azione è predisporre e favorire la conclusione di convenzioni internazionali tra Stati. La convenzione più rilevante conclusa nell’ambito del Consiglio d’Europa è la CEDU –convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali 2. l’integrazione secondo il metodo comunitario: le origini Metodo comunitario, è l’altro metodo, è più innovativo dimensione sovranazionale: nasce dalla necessità di superare il principio dell’unanimità e di attribuire alle organizzazioni maggiore autonomia. “Metodo comunitario” dalla denominazione delle tre Comunità europee nelle quali trova applicazione per la prima volta. Le caratteristiche: 1. Prevalenza di organi di individui: le persone che siedono nelle organizzazioni principali rappresentano se stesse, non lo Stato di appartenenza, e portano avanti quindi proprie opinioni e scelte, che compiono in maniera indipendente (indipendenza sancita nei Trattati, con clausole, vietando agli Stati M. di impartire loro direttive, e la decadenza di chi viene meno all’obbligo di indipendenza); Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 2 • Quindi, vi erano adesso tre comunità europee: la CECA, la CEE e la CEEA. La struttura di CEE e CEEA rispecchia quella della CECA Vi sono quattro istituzioni: • Commissione (corrisponde all’Alta Autorità della CECA), • Consiglio • Assemblea parlamentare • Corte di Giustizia L’equilibrio istituzionale è però molto diverso: trattandosi di un’integrazione che abbraccia tutti i settori dell’economia – e non uno limitato come quello siderurgico-, gli Stati non accettano di delegare il potere di gestire il mercato comune generale ad un’autorità indipendente. Inoltre, è da considerare la diversa natura dei Trattati istitutivi: • Il Trattato CECA è un c.d. trattato legge, perché stabilisce nel dettaglio la disciplina del mercato carbo-siderurgico il potere dell’A.A. è sostanzialmente amministrativo, applica strumenti e regole già definiti nel Trattato. L’organo centrale è l’A.A. (equivalente alla Commissione). • Il TCE è un c.d. trattato quadro, la disciplina in esso contenuto è molto meno definita, enuncia obiettivi e principi che devono essere attuati attraverso l’emanazione di atti normativi, con vero potere legislativo quindi l’organo centrale è il Consiglio. 3. Lo sviluppo dell’integrazione comunitaria: i tentativi di unificare le tre comunità. Quindi dopo la firma dei Trattati di Roma si hanno 3 comunità distinte: CECA, CE e CEEA Ciascuna dotata di proprie istituzioni e di proprie regole di funzionamento È una struttura molto complessa infatti iniziano subito tentativi per semplificare la struttura • L’obiettivo è quello di pervenire alla fusione delle tre Comunità. 1. La prima tappa • Contemporaneamente alla firma dei trattati di Roma viene firmata la Convenzione su alcune istituzioni comuni delle Comunità europee • Per effetto di questa, le 3 Comunità hanno in comune due istituzioni L’Assemblea parlamentare e la Corte di Giustizia, esercitando, però, i poteri previsti da ciascun trattato istitutivo nelle forme e nei modi diversamente definiti 2. La seconda tappa • Costituita dal Trattato di Bruxelles, 8 aprile 1965, che istituisce un Consiglio e una Commissione unici delle Comunità europee 3. La terza tappa • Si è realizzata con la scadenza del Trattato CECA, il 23 luglio 2002 gli Stati membri non lo rinnovano quindi il settore carbo-siderurgico ormai rientra nel campo di applicazione del mercato comune generale del TCE (quindi nella CEE, ormai diventata CE dal ‘92). 4. La quarta tappa • Infine con il Trattato di Lisbona si conclude l’esperienza comunitaria: la Comunità Europea-CE cessa di esistere come ente autonomo e viene incorporata nell’Unione Europea RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 5 • art. 1 TUE “l’Unione sostituisce e succede alla Comunità europea” • Perciò, il TCE cambia titolo e diviene il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). La CEEA-EURATOM sopravvive come ente autonomo 2.4. Uno sviluppo importante riguarda anche le modifiche della membership sono consistite nell’adesione di nuovi stati membri da un lato e dall’altro nell’uscita di uno di loro. • Le comunità hanno mosso i primi passi con 6 stati ( Piccola Europa) • Poi nel tempo, il successo di CECA poi di CE e UE, hanno spinto numerosi altri stati europei a presentare domanda di adesione • Ora ci sono 28 stati sono in corso negoziati con altri • Il processo di allargamento rende l’Unione un’entità totalmente differente da quella di partenza • Giugno 2016 Brexit: per la prima volta è stato esercitato il diritto di recesso da parte di uno Stato membro. Questo ha molti riflessi • Da un punto di vista istituzionale comporta degli aggiustamenti nella composizione del Parlamento europeo e nel calcolo dei quorum per le maggioranza in Consiglio e Consiglio europeo • Dall’altra parte, l’esercizio del recesso rappresenta un evento che può influire sul modo di concepire la natura dell’Unione 4. segue: la riduzione del deficit democratico Uno dei problemi che la struttura istituzionale presenta ancora oggi è il c.d. deficit democratico. Il principio democratico fa parte dei valori su cui è fondata l’Unione. • Il problema del deficit democratico: • In origine, la struttura istituzionale pensata non sembrava rispettare il principio della democrazia parlamentare o rappresentativa Perché l’istituzione dotata di maggiori poteri (soprattutto di emanare atti normativi) era il Consiglio, composto dai rappresentanti dei Governi degli Stati membri • Quindi nel Consiglio viene rappresentato il potere esecutivo di ciascuno Stato membro e non quello legislativo • Per effetto di questo, i rappresentanti degli esecutivi degli Stati disponevano collegialmente, a livello comunitario, di poteri che, se esercitati a livello nazionale, sarebbero stati prerogativa di un organo parlamentare. • In questo consisteva il problema del deficit democratico Il deficit non veniva compensato dall’Assemblea parlamentare (“Parlamento europeo” dal 1986), che nasceva con funzioni meramente consultive. • Ma la soluzione fu semplice e naturale: sarebbe bastato ampliare i poteri del Parlamento europeo per controbilanciare quelli del Consiglio il sistema si sarebbe avvicinato ad una configurazione Bicamerale (Consiglio, rappresentanti degli stati + Parlamento, rappresentanti eletti dal popolo). Il carattere bicamerale è necessario per tenere conto della duplice fonte di legittimazione su cui si fonda l’Europa: • la volontà dei cittadini espressa con l’elezione a suffragio universale diretto dei membri del Parlamento europeo • la volontà degli Stati membri si esprime attraverso i rappresentanti dei rispettivi governi nel Consiglio Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 6 4.2. L’ampliamento dei poteri del Parlamento È avvenuto per tappe. 1. Inizi anni ’70 vengono firmati i c.d. “Trattati di bilancio”, a Lussemburgo e a Bruxelles: attribuiscono al Parlamento europeo ampi poteri in merito all’approvazione del bilancio unificato delle tre Comunità infatti il bilancio viene adottato congiuntamente da Consiglio e Parlamento. 2. 1976 si dà attuazione ad una norma del TCE: da elezione indiretta si passa a suffragio universale diretto per l’elezione dei membri del Parlamento europeo grande prestigio, legittimazione democratica elevatissima. In origine i membri erano designati da ciascun Parlamento nazionale tra i propri componenti. • Il parlamento diventa così l’unica istituzione che possa vantare una legittimazione democratica derivante dal voto popolare 3. 1986 Si giunge alla firma dell’Atto Unico Europeo (AUE)*,: aumentano i poteri del Parlamento due novità: • procedura di parere conforme impedisce al Consiglio di approvare determinati atti senza l’approvazione parlamentare; • procedura di cooperazione offre al Parlamento europeo maggiori opportunità per influire sulle deliberazioni del Consiglio, essendo questo costretto in alcuni casi a ricorrere all’unanimità per superare opposizione parlamentare. 4. 1992 firmato a Maastricht il TUE, aggiunge una procedura decisionale la procedura di codecisione: si realizza sostanzialmente un sistema bicamerale: nessuna delle due istituzioni può imporre all’altra la propria volontà. 5. 1997 firma del Trattato di Amsterdam estende il campo d’applicazione della procedura di codecisione ad altri settori e la rende più rapida ed efficace. 6. Trattato di Lisbona ulteriori rafforzamenti dei poteri del Parlamento e del carattere democratico dell’Ue. Estende anche il campo di applicazione della procedura di codecisione viene rinominata “procedura legislativa ordinaria”. Inoltre, i parlamenti nazionali sono chiamati a svolgere un ruolo di controllo e di opposizione per l’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità. • Il deficit democratico è un problema non ancora risolto: per alcune materie, anche dopo il T. di Lisbona, il Parlamento Eu mantiene funzioni solo consultive, ancora di più nel settore PESC. *Atto Unico Europeo, febbraio 1986: è il primo atto comunitario dal quale emerge espressamente un’integrazione politica (prima era solo implicita) che si affianca all’integrazione economica. Fu elaborato per andare incontro a due necessità improrogabili: completare la costruzione del mercato interno, ormai al palo dopo le crisi economiche degli anni Settanta, e avviare un primo embrione di Unione politica. Sul piano economico: comincia a farsi strada l’idea di un “mercato interno”, più che un mercato comune: il mercato “interno” ha proprio politiche comuni che garantiscono al meglio la realizzazione della libera circolazione di servizi, persone, merci, capitali,… Sul piano delle competenze materiali: ampliamento delle competenze della comunità europea (ambiente, ricerca scientifica, ambiente di lavoro, …) Sul piano politico istituzionale: aumento dei poteri del Parlamento Eu (procedura di cooperazione & parere conforme); si afferma il principio della maggioranza qualificata all’interno del Consiglio, invece dell’unanimità; per la prima volta viene formalizzato il Consiglio europeo, formato da Capi di Stato o di Governo (il consiglio eu si riuniva già dal 1974); riconoscimento di una cooperazione sul piano della politica estera –CPE, cooperazione politica estera-: è il primo nucleo di ciò che sarà la PESC del Trattato di Maastricht, ossia il 2° pilastro dell’Unione europea. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 7 obbligatorietà degli atti che il Consiglio può adottare, e, per quanto riguarda il III pilastro, c’è la tendenza ad assimilare gli atti adottabili in quel contesto a quelli tipici comunitari. Con il T. di Lisbona e la riforma dei trattati da questo prevista sarebbe dovuta venire meno la struttura a pilastri. In realtà venne meno solo la distinzione tra I e III pilastro, essendo ricondotto quest’ultimo al Titolo V della Parte III del TFUE dedicato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Questo porta con sé delle novità sul piano istituzionale: eliminazione di ogni distinzione tra i tipi di atti che le istituzioni possono adottare, applicazione generalizzata della procedura legislativa ordinaria, estensione alle materie già di III pilastro della ordinaria competenza della Corte di Giustizia. Permangono notevoli differenze invece per l’ex II pilastro –PESC-, la cui disciplina è interamente riservata al TUE, salvo poche eccezioni: la PESC rimane soggetta ad un regime speciale per le procedure decisionali, gli atti da adottare e la quasi totale assenza di competenza della Corte di giustizia. 7. Segue: L’Europa a più velocità La progressiva riconduzione al metodo comunitario delle forme di cooperazione di carattere intergovernativo ha contaminato lo stesso metodo comunitario. Nello stesso TCE si infiltrano soluzioni chiaramente intergovernative, mal conciliate con le originarie caratteristiche. L’espressione più importante di tale tendenza è il frequente ricorso a forme di cooperazione differenziata c.d. perché applicabile ad un numero ristretto di Stati: il fenomeno è detto “Europa a più velocità” (o Europa a geometria variabile, o Europa à la carte), e nasce come soluzione di ripiego quando l’estensione della competenza comunitaria ad un nuovo settore o la previsione di poteri d’azione comunitari più efficienti (soluzioni che richiedono revisione dei Trattati => l’accordo di tutti gli Stati ex art 48 TUE) rischiano di essere bloccate per l’opposizione di un numero limitato di Stati => si preferisce rinunciare ad una integrazione uguale per tutti. Un primo esempio del fenomeno è in ambito non comunitario: si tratta dell’Accordo di Schengen 14 giugno 1985 – firmato da Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi-, • finalizzato a ridurre i controlli fisici per coordinare la politica di immigrazione da paesi terzi e la polizia degli stranieri. • La disciplina dell’Accordo e degli atti in esso rientranti –c.d. Acquis di Schengen- è stata integrata nel sistema UE col Trattato di Amsterdam, ma sottoforma di cooperazione rafforzata: rimangono estranei UK e Irlanda. La Danimarca, invece, partecipa all’acquis, ma non è vincolata da misure che sviluppano l’acquis, slavo che notifichi l’intenzione di accettarle. Un secondo esempio di integrazione differenziata riguarda l’Unione Economica e Monetaria (UEM): alla terza fase dell’UEM, che comporta l’adozione dell’euro, non tutti gli Stati membri partecipano per motivi diversi. Altri esempi simili si moltiplicano col Trattato di Amsterdam attraverso appositi protocolli allegati al TUE vengono previste a favore del UK, dell’Irlanda e della Danimarca clausole che consentono loro di non essere vincolati dalle misure adottate in base al nuovo Titolo IV del TCE nei settori di visto, asilo, immigrazione e circolazione dei cittadini di paesi terzi (prima materie del GAI). La posizione dei tre Stati membri è confermata dal T. di Lisbona, rispetto al titolo IV del TFUE dedicato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. I Protocolli citati consentono tuttavia a UK e Irlanda di notificare l’intenzione di partecipare a specifici atti (clausola opting-in). La Danimarca invece può decidere di rinunciare all’intero Protocollo o scegliere di sottoporsi al regime di opting-in caso per caso come UK e Irlanda). Il Trattato di Amsterdam, addirittura, crea un apposito istituto di applicazione generale che permette l’adozione di iniziative di integrazione limitate ad alcuni Stati membri: la COOPERAZIONE RAFFORZATA (art 20 TUE): ammessa dapprima solo nel I e III pilastro, la coop. rafforzata viene estesa dal T. di Nizza anche alla PESC. Il T. di Lisbona moltiplica gli esempi di cooperazioni differenziate: gravissimo appare per il Protocollo 30 sull’applicazione della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea alla Polonia e al UK [Parte III riassunti]. 8. Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa Negli ultimi decenni le riforme ai trattati sono molteplici. Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 10 La genesi dell’ultimo trattato, quello di Lisbona, è complessa e va descritta. La genesi dell’ultimo Trattato di riforma (2007), il T. di Lisbona, è complessa: si ricollega al Trattato di Nizza al quale è allegata una Dichiarazione relativa al futuro dell’Europa • In essa si delinea un percorso per avviare “un dibattito più approfondito e più ampio sul futuro dell’UE”, stabilendo che un’ulteriore CIG di revisione sarebbe stata convocata nel 2004 e che il dibattito sarebbe stato già avviato nel 2001. Il dibattito deve affrontare questioni che la dichiarazione stessa specifica e che sono state effettivamente oggetto delle modifiche previste dal T. di Lisbona: a. Una più precisa delimitazione delle competenze tra UE e Stati membri, che rispecchi il principio di sussidiarietà; b. lo status della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, proclamata a Nizza; c. la semplificazione dei trattati al fine di renderli più chiari; il ruolo dei parlamenti nazionali nell’ambito dell’UE. Il Consiglio europeo di Laeken, tra il 14 e il 15 dicembre 2001 approva un’ulteriore dichiarazione: la Dichiarazione di Laeken • definisce con più precisione le questioni da risolvere • cosa più importante decide di convocare una Convenzione composta dai principali partecipanti al dibattito sul futuro dell’UE e con il compito di esaminare le questioni essenziali che il futuro dell’UE comporta e di ricercare le diverse soluzioni possibili. • Oltre al Presidente ed al Vicepresidente, la Convenzione è formata da 15 rappresentanti dei Capi di Stato e di Governo degli Stati membri, 30 membri dei Parlamenti nazionali, 16 membri del Parlamento eu e due rappresentanti della Commissione. • La Dichiarazione prevede che, alla fine dei lavori, la Convenzione redigerà un documento finale che “costituirà il punto di partenza della Conferenza intergovernativa che prenderà le decisioni finali”. • La Convenzione esegue il mandato il 18 luglio del 2003, trasmettendo al Presidente del Consiglio eu un progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa. Ad ottobre 2003 si aprono i lavori della nuova CIG, che si trascinano fino al 2004: il Consiglio eu tenutosi a Bruxelles tra il 17 ed il 18 giugno 2004 approva il testo del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004. Nonostante il termine “Costituzione”, il testo è un nuovo Trattato. È diviso in 4 parti: - nella prima parte si trovano le norme generali sulle competenze, le istituzioni, gli atti; - la seconda parte riproduce la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione eu; - la terza parte è un collage delle disposizioni del TCE e del TUE che non hanno trovato collocazione nella prima parte; - la quarta parte contiene norme generali e finali (sulla revisione ordinaria e l’entrata in vigore). A norma dell’art 447 –ora art 54 TUE- “il presente Trattato è ratificato dalle Alte Parti Contraenti conformemente alle rispettive norme costituzionali” ma solo 18 Stati lo ratificano. • In Francia e nei Paesi Bassi si creò una situazione di stallo a casa dell’esito negativo dei referendum popolari indetti. • Anche altri Stati membri scelgono allora di sospendere la procedura di ratifica. • Lo stesso consiglio eu, nel 2005, si prende una pausa di riflessione. 9. Il Trattato di riforma di Lisbona. Gli Stati membri riaprono le trattative per predisporre un nuovo testo di trattato che sia in grado di ottenere l’approvazione dei governi, dei parlamenti e degli elettori degli Stati membri. Tale scelta traspare dalla Dichiarazione che i Capi di Stato e di Governo degli Stati membri rendono nel 2007 a Berlino: proclamano infatti di essere “uniti nell’obiettivo di dare all’UE entro le elezioni del Parlamento eu del 2009 una base comune rinnovata”. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 11 In seguito il Consiglio europeo di Bruxelles decide di convocare un nuova CIG per definire il testo della riforma e, contrariamente alla prassi, alla CIG viene assegnato un mandato preciso e dettagliato: si tratta solo di incorporare nel testo degli attuali TUE e TCE le innovazioni contenute nel Trattato costituzionale, con le modifiche specificatamente indicata nel mandato. Si è giunti così rapidamente all’approvazione del nuovo Trattato che modifica il Trattato sull’unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 ossia Trattato di Lisbona. 9.2. Rispetto al Trattato costituzionale, il T. di Lisbona presenta: A. Elementi di continuità: • Perché la maggior parte delle innovazioni del Trattato costituzionale sono state mantenute con modifiche marginali nel T. di Lisbona. • Ciò vale per le principali riforme istituzionali: • trasformazione del Consiglio europeo in un’istituzione vera e propria, • creazione di un Presidente stabile di quest’ultimo, • nuova carica di Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, • rafforzamento del ruolo del Presidente della Commissione, generalizzazione della procedura legislativa ordinaria (vecchia procedura di codecisione). • Anche la struttura a pilastri dell’Unione rimane semplificata, se non abolita. B. Elementi di discontinuità: • partiamo dalla scelta di de-costituzionalizzare la riforma e di privarla dell’originalità ed eccezionalità che doveva avere il T. costituzionale Ciò si manifesta in tre modi: 1. La PRIMA MANIFESTAZIONE ha carattere formale: • il Consiglio eu, nell’incipit del mandato per la CIG, dichiara che “il progetto costituzionale, che consisteva nell’abrogazione di tutti i trattati esistenti e nella loro sostituzione con un unico testo denominato “Costituzione”, è abbandonato” NON si procede più all’abrogazione del TUE e del TCE, ma si emendano. • Quindi, il TUE è completamente riscritto Il TCE cambia addirittura nome e natura: la soppressione della Comunità europea come entità distinta non giustifica più un trattato a se stante diviene ora TFUE, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea: è il contenitore delle disposizioni meno importanti rispetto a quelle del TUE; 2. La SECONDA MANIFESTAZIONE ha carattere terminologico: • non più usati termini che alludevano ad una natura super statuale dell’UE [“costituzione” e “costituzionale” vengono banditi]; 3. La TERZA MANIFESTAZIONE è di contenuto: Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 12 La natura non statuale dell’Unione è legata ad alcune sue caratteristiche: ‐ La mancanza del potere di definire autonomamente le proprie competenze: è legata al principio di attribuzione-> a differenza di uno Stato, l’UE “agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dai trattati e per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti” art 5 TUE. L’Unione non gode pertanto della c.d. competenza della competenza – Kompetenz-, dipendendo l’estensione dei suoi poteri e obiettivi da quanto hanno deciso gli Stati membri nei trattati; ‐ La necessità del consenso unanime degli Stati membri per modificare i trattati: attiene alla natura dei Trattati. Se l’Unione fosse uno Stato federale, i trattati ne rappresenterebbero la Costituzione, pertanto sarebbero modificabili con maggioranze particolarmente elevate, ma non sarebbe necessaria l’unanimità. Invece, le procedure di revisione dei trattati, sebbene in forme diverse, necessitano del consenso unanime di tutti gli Stati membri: ciò dimostra come i trattati abbiano ancora natura di trattati internazionali conclusi da Stati sovrani, i quali rimangono i padroni dei trattati e ne decidono il destino, fino al punto di riservarsi il diritto di recesso unilaterale (art 50 TUE). Abbiamo escluso che l’Unione sia uno Stato. L’Unione costituisce nient’altro che un forma di organizzazione internazionale, sebbene molto avanzata? O si tratta di una figura intermedia che, pur non essendo uno Stato, non è nemmeno una semplice organizzazione internazionale? Dobbiamo propendere verso questa seconda ipotesi, per cui l’UE sarebbe una realtà del tutto originale e dinamica, in continua evoluzione e rafforzamento. Il quid pluris che sembra distinguere l’Unione è il fatto che, in suo favore, gli Stati membri avrebbero trasferito “settori” o “porzioni” della propria sovranità: l’Unione sarebbe quindi un ente titolare di una sua sovranità, seppur parziale, perché limitata alle materie previste dai trattati, e derivata, perché frutto del conferimento degli Stati. L’idea che già la CE fosse titolare di poteri sovrani traspare per la prima volta nella sentenza del 5 febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend & Loos: un giudice olandese desidera sapere se un articolo del TCE (vecchio art 12, che vietava agli Stati membri di aumentare i dazi doganali esistenti al momento dell’entrata in vigore del Trattato) può essere invocato da un’impresa import-export, che lamenta l’applicazione nei suoi confronti di un dazio maggiorato. Smentendo la tesi del Governo olandese, secondo cui l’articolo 12 è norma che disciplina i rapporti tra Stati membri e non può essere invocata da un soggetto privato come Van Gend & Loos, la Corte di giustizia risponde affermativamente, sancendo per la prima volta l’efficacia diretta di una norma del TCE. Secondo la Corte “la comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti, non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini”. Nella visione della Corte, gli Stati membri, istituendo la Comunità, non si sarebbero limitati ad assumere reciprocamente degli impegni internazionali, ma avrebbero anche attribuito al nuovo ente alcuni poteri sovrani. La sovranità deriva dal fatto che l’ordinamento del nuovo ente tocca direttamente anche i cittadini. La visione della Corte viene ribadita nella sentenza del 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa c. ENEL: • il giudice conciliatore di Milano interroga la Corte sulla compatibilità tra la legge di nazionalizzazione dell’energia elettrica e alcuni articoli del TCE. • Il Governo italiano manifesta dei dubbi sull’utilità della questione, partendo dall’assunto che il giudice nazionale è comunque tenuto ad applicare la propria legge, anche se in contrasto col trattato. • La Corte respinge l’argomento, enunciando per la prima volta il principio del primato delle norme del TCE rispetto alle norme nazionali. La Corte infatti afferma che “a differenza dei comuni trattati internazionali, il Trattato CEE ha istituito un proprio ordinamento giuridico, integrato nell’ordinamento giuridico degli Stati membri all’atto dell’entrata in vigore del Trattato e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare.” Secondo la Corte, “istituendo una Comunità senza limiti di durata, dotata di propri organi, di personalità, di capacità giuridica, di capacità di rappresentanza sul piano internazionale, ed in ispecie di poteri effettivi provenienti da una limitazione di competenza o da un trasferimento di RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 15 attribuzioni degli Stati alla Comunità, questi hanno limitato, sia pur in campi circoscritti, i loro poteri sovrani e creato quindi un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e per loro stessi”. È di certo possibile dubitare della fondatezza delle conclusioni e della pertinenza dei motivi addotti dalla Corte di giustizia Tuttavia, si deve ammettere che l’idea di una “specialità” dell’Unione e della sua differenza strutturale rispetto ad altri fenomeno di cooperazione organizzata è ormai stata accettata. Le stesse Costituzioni degli Stati membri sono dotate di apposite “clausole europee” per consentire la partecipazione al processo di integrazione e il trasferimento di competenze statali all’UE se la sottoscrizione dei trattati UE rappresentasse semplice accettazione di vincoli internazionali, non si spiegherebbe la necessità di clausole del genere. Nello stesso senso depone, inoltre, la giurisprudenza delle Corti costituzionali nazionali: invocando le menzionate clausole europee, le Corti hanno riconosciuto l’efficacia diretta e il primato del diritto comunitario rispetto a quello nazionale. Tale accettazione ha richiesto tempo e non è priva di riserve o limitazioni: implica che le Corti costituzionali riconoscano che il potere di governo, sul piano della potestà normativa e nei settori di competenza europea, non appartiene più agli Stati membri. Perciò, è ovvio rispondere che L’UNIONE NON È UNA SEMPLICE ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE, MA È DOTATA, NEI SETTORI A LEI ATTRIBUITI, DI POTERI ASSIMILABILI A QUELLI DI UN VERO E PROPRIO STATO: È MEGLIO DEFINIRLA COME UNA TEORIA SUI GENERIS. PARTE I IL QUADRO ISTITUZIONALE 1. Considerazioni generali Le istituzioni dell’UE sono: • Il Parlamento europeo, • il Consiglio europeo, • il Consiglio, • la Commissione europea, Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 16 • la Corte di Giustizia, • la Banca centrale europea, • la Corte dei Conti. L’elenco è contenuto all’art 13 del TUE le novità rispetto al passato: inserimento del Consiglio europeo e della BCE. All’interno di alcune di queste istituzioni operano alcune figure che, per la loro relativa autonomia, possono essere qualificati come organi monocratici: Il Presidente del Consiglio europeo, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, il Presidente della Commissione. Queste cariche esistevano già in passato. Il T. di Lisbona ne ha modificato le procedure di designazione, le funzioni e i poteri, dotandole di una notevole autonomia. Le istituzioni sono le stesse per l’intera Unione e per la CEEA => vi è un quadro istituzionale unico, che non varia a seconda dei settori di attività –compresa la PESC, soggetta però a norme e procedure specifiche-. Tuttavia, il ruolo e i poteri delle istituzioni mutano notevolmente da azione ad azione e da politica a politica, anche in funzione delle diverse procedure decisionali applicabili. Es: nella PESC il Consiglio eu è l’istituzione di maggior peso, mentre la Corte di Giustizia dispone di competenza limitata ad un singola ipotesi [art 275 TFUE] e la BCE non è coinvolta. N.B.: Dopo il T. di Lisbona le disposizioni relative alla composizione, al funzionamento ed ai poteri delle istituzioni sono distribuite tra TFUE e TUE, in particolare nel Titolo III TUE, mentre le disposizioni di dettaglio nella IV Parte del TFUE (prima si trovavano tutte per lo più nel TCE). 1.2. Le istituzioni politiche dell’Unione sono il Parlamento eu, il Consiglio eu, il Consiglio e la Commissione. Essi svolgono funzioni di politica attiva, partecipando all’adozione degli atti, legislativi o amministrativi, che modificano o integrano l’ordinamento dell’UE. Le istituzioni di controllo sono invece la Corte di Giustizia (controllo giurisdizionale sull’attività delle istituzioni politiche e –meno- degli Stati membri ) e la Corte dei Conti (controllo contabile su entrate e spese delle istituzioni politiche) La BCE è un caso a sé, una c.d. istituzione specializzata, perché agisce solo nell’ambito dell’Unione economica monetaria (UEM) e ha competenza esclusiva in materia monetaria per gli Stati che hanno adottato l’euro. 1.3. I principi dell’art 13 TUE Coerenza, equilibrio istituzionale, leale collaborazione Il principio di coerenza: Secondo l’art 13, par.1, del TUE: “L'Unione dispone di un quadro istituzionale che mira a promuoverne i valori, perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri, garantire la coerenza, l'efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni”. Si evince che le azioni svolte nei diversi settori dalle istituzioni devono essere tra loro coordinate secondo il c.d. principio di coerenza. Il principio ha particolare importanza per l’azione esterna dell’Unione, che si compone da un lato dalla PESC e, dall’altro, da altre azioni e politiche aventi rilievo esterno (politica commerciale comune, cooperazione con i paesi terzi, l’aiuto comunitario): nonostante la diversità di procedure a modalità di queste componenti, è necessario che tutte contribuiscano al raggiungimento degli obiettivi dell’azione esterna dell’UE stabiliti nell’art 21 TUE, secondo il quale, al paragrafo 3.2° comma, la responsabilità di assicurare il rispetto del principio di coerenza nell’ambito dell’azione esterna e tra questa e le politiche interne dell’UE è ripartita tra Consiglio e Commissione, con l’assistenza dell’Alto rappresentante. 1.4. Il principio dell’equilibrio istituzionale: L’art 13, al par. 2, afferma che “Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste.”. Il principio riguarda i rapporti tra le istituzioni e impone a ciascuna di rispettare le competenze attribuite dai trattati alle altre istituzioni. La violazione del principio rappresenta un vizio di incompetenza ex art 263 TUE e comporta illegittimità dell’atto. La garanzia del principio trova è assicurata dalla rigorosa osservanza delle procedure decisionali per le singole materie. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 17 Commissione può assistere a tutte le sedute ed essere ascoltata a sua richiesta./La Commissione risponde oralmente o per iscritto alle interrogazioni che le sono presentate dal Parlamento europeo o dai membri di questo./Il Consiglio europeo e il Consiglio sono ascoltati dal Parlamento europeo, secondo le modalità previste dal regolamento interno del Consiglio europeo e da quello del Consiglio”. Oltre questi canali “istituzionali” di informazione, il Parlamento può trarre informazioni dall’iniziativa degli individui: segnaliamo 3 strumenti di comunicazione Parlamento-elettori petizioni, denunce, Mediatore. • Diritto di presentare petizioni ex art 227 TFUE al Parlamento: “su una materia che rientra nel campo di attività dell’UE” spetta a qualsiasi cittadino dell’UE e a qualsiasi persona fisica o giuridica risieda o abbia sede sociale in uno Stato membro. Occorre dimostrare che la materia oggetto della petizione concerne direttamente l’autore; • Presentare la Parlamento denunce “di infrazione o di cattiva amministrazione nell’applicazione del diritto dell’UE”, per le quali il P.e. può istituire una Commissione temporanea d’inchiesta ex art. 226 TFUE, eccetto “quando i fatti siano pendenti dinanzi ad una giurisdizione e fino all’espletamento della procedura giudiziale”. • Ricorso al Mediatore europeo qualsiasi cittadino dell’UE o di qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro può rivolgersi al Mediatore per lamentare “casi di cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni, degli organi o degli organismi dell'Unione, salvo la Corte di giustizia dell'Unione europea nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali”. Ispirato allo scandinavo ombudsman, il Mediatore è eletto dal P.e. ed è carica indipendente e autorevole. Ricevuto un ricorso, il Mediatore effettua le indagini e, se ritiene sussistere cattiva amministrazione, si rivolge all’istituzione interessata, che entro 3 mesi comunica il proprio parere. Sulla base delle risposte fornite, il Mediatore elabora una relazione –di cui viene informata il soggetto ricorrente- trasmessa sia al Parlamento che all’istituzione interessata => è privo di potere coercitivo autonomo, ma conta sul suo prestigio morale per ottenere un intervento dal Parlamento o dall’istituzione interessata. 2.5. A fronte di questi strumenti di informazione, il Parlamento europeo dispone di poteri sanzionatori soltanto nei confronti della Commissione: si esprimono nell’atto incisivo della mozione di censura ex art 234 TFUE • È sostanzialmente un provvedimento con il quale il Parlamento esprime il proprio parere negativo sull’operato della Commissione. • Può essere proposto da 1/10 dei membri del Parlamento al Presidente del Parlamento, • se nei 2 mesi precedenti è stata già adottata una mozione, sono necessari più membri del Parlamento, cioè 1/5. Art 234: “Il Parlamento europeo, cui sia presentata una mozione di censura sull'operato della Commissione, non può pronunciarsi su tale mozione prima che siano trascorsi almeno tre giorni dal suo deposito e con scrutinio pubblico. Se la mozione di censura è approvata a maggioranza di 2/3 dei voti espressi e a maggioranza dei membri che compongono il Parlamento eu, i membri della Commissione si dimettono collettivamente dalle loro funzioni e l'Alto rappresentante si dimette dalle funzioni che esercita in seno alla Commissione. Essi rimangono in carica e continuano a curare gli affari di ordinaria amministrazione fino alla loro sostituzione conformemente all'articolo 17 del trattato sull'Unione europea. In questo caso, il mandato dei membri della Commissione nominati per sostituirli scade alla data in cui sarebbe scaduto il mandato dei membri della Commissione costretti a dimettersi collettivamente dalle loro funzioni”. Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 20 F 0 F 0 Presentata la mozione di censura, questa può essere discussa solo dopo 3 giorni dal suo deposito e deve essere votata con scrutinio pubblico e con appello nominale, approvata da 2/3 dei voti espressi e a maggioranza dei membri del Parlamento. In caso di approvazione della mozione i membri della Commissione si dimettono collettivamente, precisando che le dimissioni dell’Alto rappresentante riguardano solo le sue funzioni in seno alla Commissione. In conseguenza dell’adozione del provvedimento, i membri della Commissione saranno tenuti a dimettersi. È da notare che i membri della Commissione nominati per sostituire quelli “sfiduciati” durano in carica non cinque anni (termine normale), ma fino alla data in cui sarebbe scaduto il mandato dei Commissari dimissionari. Tale previsione ha lo scopo di non sfalsare la durata in carica della Commissione e del Parlamento, che con il Trattato di Maastricht sono state volutamente equiparate. 2.6. Il controllo del Parlamento sull’operato del Consiglio. Dato che non si traduce in poteri sanzionatori, ma ha invece carattere soltanto morale, Sembra paradossale in una prospettiva di democrazia parlamentare, ma un meccanismo di controllo Parlamento-organo che adotta decisioni più importanti non è nemmeno concepito nell’UE: il Consiglio non trae la propria investitura da un voto parlamentare, e Parlamento e Consiglio sono organi pari ordinati, destinati a condividere poteri, piuttosto che dipendere l’una dall’altra Il Parlamento, per tutelare le proprie prerogative ed impedire che vengano impunemente violate, ha dovuto usare il sistema di controllo giurisdizionale previsto dai trattati, presentando ricorso alla Corte di Giustizia contro atti o comportamenti del Consiglio compiuti senza rispettare i propri poteri. Il quadro di riferimento normativo del Parlamento europeo è rappresentato da art 14 TUE + artt. 223 a 234 TFUE + Regolamento interno del Parlamento europeo. 3. IL CONSIGLIO È l’organo con fondamentali poteri decisionali sul piano esecutivo e legislativo, ma più per le decisioni legislative: è l’organo che stabilisce l’indirizzo politico. Il suo quadro normativo: art 16 TUE + art 238 a 243 TFUE. Il Consiglio è un organo di Stati, perché composto da soggetti che rappresentano direttamente i singoli Stati di appartenenza. Ai sensi dell’art 16 TUE, la COMPOSIZIONE: “Il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, abilitato a impegnare il governo dello Stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto”. Ha quindi natura collegiale, con più componenti che esprimono un’unica volontà (diversamente da un organo “collettivo”). Le FUNZIONI: Inoltre, ex art 16, il Consiglio esercita, congiuntamente al Parlamento europeo • la funzione legislativa (opera come una “Camera Alta”) • la funzione di bilancio. Inoltre, esercita funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei trattati. L’attuale versione non esclude la possibilità che uno Stato membro si faccia rappresentare da membri di un Governo regionale, sempre che abbiano “livello ministeriale”. Quanto all’Italia va ricordata la legge La Loggia del 2003, che prevede nelle materie spettanti alla competenza regionale, il Capo delegazione –chi guida la delegazione di rappresentanti in Consiglio- può essere anche un Presidente di Giunta regionale o di Provincia autonoma. In questo contesto va menzionato l’Eurogruppo: • il Protocollo 14 sull’Eurogruppo prevede che i ministri degli Stati membri la cui moneta è l’euro, si riuniscono a titolo informale, con la partecipazione di Commissione e BCE, per discutere sulle responsabilità specifiche in materia di moneta unica. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 21 • È prevista la nomina di un presidente con deliberazione a maggioranza degli Stati interessati: si tratta di una sorta di Consiglio a formazione ridotta, dotato di presidenza stabile ma non chiamato ad adottare veri atti giuridici. Il FUNZIONAMENTO: il Consiglio, diversamente dal Parlamento o dalla Commissione, non è un organo permanente e si riunisce in formazioni tipizzate dalla prassi, secondo calendari differenziati e nelle quali partecipano i ministri di volta in volta competenti per la materia dell’ordine del giorno. L’art 16 TUE, par. 6, rimanda al 236 TFUE per la differenziazione delle varianti del Consiglio, e prevede direttamente solo il Consiglio Affari generali e il Consiglio Affari esteri • art 16 “Il Consiglio si riunisce in varie formazioni, il cui elenco è adottato conformemente all'articolo 236 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Il Consiglio «Affari generali» assicura la coerenza dei lavori delle varie formazioni del Consiglio. Esso prepara le riunioni del Consiglio europeo e ne assicura il seguito in collegamento con il presidente del Consiglio europeo e la Commissione. Il Consiglio «Affari esteri» elabora l'azione esterna dell'Unione secondo le linee strategiche definite dal Consiglio europeo e assicura la coerenza dell'azione dell'Unione. È presieduto dall’Alto rappresentante”. Ora, l’elenco è in un allegato del regolamento interno del Consiglio e prevede 10 tipi di formazione. Dopo il T. di Lisbona, la Presidenza del Consiglio è diversa a seconda che si tratti: • Del Consiglio Affari esteri: la Presidenza è attribuita in modo permanente all’Alto rappresentante; • Per le altre formazioni è mantenuto il vecchio sistema: la Presidenza passa da uno Stato membro all’altro, secondo un sistema di rotazione paritaria, alle condizioni stabilite dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata [Presidenza esercitata da gruppi predeterminati di 3 Stati membri per 18 mesi]. La Presidenza ha il compito di convocare le riunioni del Consiglio, stabilire l’ordine del giorno e firma gli atti del Consiglio + tiene i rapporti con le altre istituzioni. 3.3. I MODI DI DELIBERAZIONE: il Consiglio può deliberare a: • maggioranza semplice (o assoluta), • maggioranza qualificata • unanimità. Il modo normale di deliberazione è la maggioranza qualificata art 16 par 3 TUE: “Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente”, la maggioranza semplice e l’unanimità si applicano solo se lo prescrive la norma dei trattati su cui il Consiglio si basa per agire. La disciplina della maggioranza qualificata risultante dal T. di Lisbona è il frutto di aspre discussioni e di compromessi, ed è articolata in due fasi: • Prima del 1° novembre 2014: si applicava la disciplina definita col T. di Nizza. Nel sistema del trattato di Nizza la formazione della maggioranza qualificata richiede tre condizioni: a. Il raggiungimento di una soglia minima di voti ponderati pari 260; b. Il voto favorevole di almeno la maggioranza dei membri qualora le deliberazioni debbano essere prese su proposta della Commissione, negli altri casi occorre il voto favorevole di almeno 2/3 dei membri; c. Gli Stati membri che compongono la maggioranza qualificata devono rappresentare almeno il 62% della popolazione totale dell’UE –c.d. quorum demografico-. Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 22 La nomina affidata al Consiglio eu con deliberazione a maggioranza qualificata. La durata del mandato è di 2 anni e mezzo, rinnovabile una sola volta (per un tot. di 5 anni, come la legislatura del Parlamento e il mandato della Commissione. Al par.6 art 15 sono definite le funzioni del Presidente: “a) Presiede e anima i lavori del Consiglio europeo; b)Assicura la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo, in cooperazione con il presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio «Affari generali»; c) si adopera per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo; d) presenta al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna delle riunioni del Consiglio europeo.”, inoltre, ha funzione di “rappresentanza esterna dell'Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, fatte salve le attribuzioni dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza”. 4.4. modo di deliberazione tipico è il consenso il consenso si forma, senza bisogno di votare, quando nessuno dei membri si oppone al testo presentato dal Presidente Il trattato di Lisbona prevede casi in cui il consiglio può deliberare a maggioranza qualificata Presidente del consiglio europeo e presidente della Commissione non partecipano al voto 4.5. Art 15 TUE: “Il Consiglio europeo dà all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali. Non esercita funzioni legislative” il C.e. è il supremo organo di indirizzo dell’intera Unione e, dopo il T. di Lisbona, è ancora di più-> i trattati gli assegnano compiti decisionali veri che incidono direttamente sulla vita dell’UE – sebbene privi di natura legislativa-: i suoi atti producono effetti giuridici. In alcune ipotesi, il Consiglio eu si delinea sempre più come una presidenza collegiale dell’Unione, interprete dell’interesse generale. In altre, il C.e. si atteggia come organo dotato di poteri di tipo costituzionale, chiamato ad assumere decisioni che integrano o sostituiscono alcune disposizioni dei trattati. Il T. di Lisbona infine moltiplica le ipotesi in cui il Consiglio eu opera come una sorta di istanza d’appello rispetto al Consiglio: in taluni settori (es. PESC), può essere adito da uno Stato membro per bloccare o rinviare la decisione appellata. 5. LA COMMISSIONE La Commissione è un organo di individui: composta da persone non legate da un vincolo di rappresentanza ad uno Stato membro, hanno autonoma facoltà di giudizio. La sua COMPOSIZIONE ha subito molti cambiamenti ed è ancora oggi discussa. • Il regime definitivo applicabile dal 2014, prevede all’art 17, par. 5 TUE che “A decorrere dal 1° novembre 2014, la Commissione è composta da un numero di membri, compreso il presidente e l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, corrispondente ai 2/3 del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità, non decida di modificare tale numero” il C.eu all’unanimità può stabilire il sistema di rotazione, che deve essere paritaria, e conforme ai criteri ex art 244 TFUE Il Consiglio eu ha poi adottato nel 2013 la decisione, all’unanimità e ai sensi dell’art 17, con cui ha stabilito che la Commissione è composta da un numero di membri, compreso il presidente e l’Alto rappresentante, pari al numero degli Stati membri attualmente è così formata la Commissione. I membri della Commissione devono soddisfare requisiti relativi alla loro indipendenza e professionalità • par. 3 art 17, infatti, “I membri della Commissione sono scelti in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza. La Commissione esercita le sue responsabilità in piena indipendenza” RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 25 Il MANDATO dei membri della Commissione dura 5 anni è armonizzata con la durata dei membri del Parlamento eu, in modo che un nuovo Parlamento possa partecipare alla nomina della nuova Commissione. Il mandato può terminare anticipatamente in caso di dimissioni individuali o collettive o dimissioni pronunciate ex officio dalla Corte di Giustizia (per violazione obblighi di indipendenza) o per approvazione della mozione di censura. 5.2. La procedura di nomina ex art 17 par. 7 TUE è stata modificata nel tempo, e ad oggi ha le caratteristiche: a. È ora una procedura istituzionalizzata, o comunitarizzata: in passato era dominata dagli Stati membri, ora coinvolge pressoché tutte le istituzioni. Si ravvisa soprattutto un ruolo determinante del Parlamento eu; b. Il Presidente della Commissione è il membro più importante, un c.d. “primus inter pares”, e la procedura distingue la sua posizione rispetto a quella degli altri membri. Vediamo le fasi della procedura: • Prima fase: • ha solo ad oggetto l’individuazione del candidato alla carica di Presidente individuazione effettuata dal Consiglio eu che decide a maggioranza qualificata, tenuto conto delle elezioni del Parlamento eu e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate; • Seconda fase: • elezione del candidato Presidente da parte del Parlamento eu • voto segreto e a maggioranza assoluta • Terza fase: • partecipa anche il Presidente eletto. • Vi è deliberazione del Consiglio, di comune accordo col Presidente eletto, con la quale adotta l’elenco delle personalità selezionate in base alle proposte presentate dagli Stati membri, che propone di nominare membri della Commissione. • La decisione del Consiglio è adottata a maggioranza qualificata. • Quarta fase: • il Presidente, l’Alto rappresentante e gli altri membri della Commissione sono soggetti collettivamente ad un voto di approvazione del Parlamento eu [procede ad audizioni separate per ciascuna persona, non l’insieme della nuova Commissione]; • Quinta fase: • il Consiglio eu nomina la Commissione a maggioranza qualificata. 5.3. Il Presidente della Commissione ha un ruolo centrale. Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 26 • La sua posizione di supremazia è specificata all’art 17, par.6, che gli attribuisce il compito di definire, oltre agli orientamenti politici della Commissione, anche la sua organizzazione interna, per assicurare coerenza, efficacia e collegialità della sua azione. • nomina i Vicepresidenti, salvo l’Alto rappresentante, e ripartisce le competenze tra i membri della Commissione, salvo l’Alto rappresentante [art 248 TFUE]. • Inoltre, il Presidente ha il potere di obbligare un membro a rassegnare le dimissioni. Per l’Alto rappresentante, il Presidente può solo chiederne le dimissioni, ma la decisione spetta al Consiglio non è chiaro se sia obbligato ad eseguire la richiesta del Presidente. Il Presidente è anche membro del Consiglio eu. 5.4. Le DELIBERAZIONI della Commissione: decide su proposta di 1 o più membri e adotta le decisioni a maggioranza dei componenti. È un organo collegiale al suo interno c’è un’ampia delega di funzioni ai singoli membri l’attività è divisa in varie direzioni generali: ciascun membro ha la responsabilità di una o più direzioni generali. 5.5. I COMPITI della Commissione: Art 17 par. 1 TUE: “La Commissione promuove l'interesse generale dell'Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine. Vigila sull'applicazione dei trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù dei trattati. Vigila sull'applicazione del diritto dell'Unione sotto il controllo della Corte di giustizia dell'Unione europea. Dà esecuzione al bilancio e gestisce i programmi. Esercita funzioni di coordinamento, di esecuzione e di gestione, alle condizioni stabilite dai trattati. Assicura la rappresentanza esterna dell'Unione, fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza comune e per gli altri casi previsti dai trattati. Avvia il processo di programmazione annuale e pluriennale dell'Unione per giungere ad accordi interistituzionali.” L’elencazione si apre riferendosi alla Commissione come motore ed interprete dell’interesse generale dell’UE, ed il par.2 ribadisce che il potere esclusivo di proposta nel procedimento legislativo spetta alla Commissione. Tra gli altri, vi è il compito di vigilare sull’applicazione dei trattati e delle misure adottate dalle istituzioni, nonché, in generale, del diritto dell’UE, del diritto dell’UE, sotto il controllo della Corte di giustizia: la Commissione è infatti reputata custode della legalità dell’UE, compito esercitato nei confronti degli Stati membri e –con il ricorso per infrazione-, nei confronti delle altre istituzioni –ricorso di annullamento o in carenza- e nei confronti di persone fisiche o giuridiche. 6. LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UE La Corte di Giustizia, in realtà, non è un’unica istituzione: si articola al suo interno di più rami, con autonomia funzionale piena e amministrativa parziale. Infatti, per l’art 19 TUE, par.1, essa comprende: 1. la Corte di Giustizia, 2. il Tribunale, 3. i tribunali specializzati (ora non ci sono più). Quindi distinguiamo tra • Corte-giurisdizione (la Corte di giustizia) • Corte-istituzione: le componenti di questa sono tutte organi di individui, i cui membri, se pur nominati dagli Stati e quindi con nomina di natura politica, svolgono le funzioni in “piena imparzialità e secondo coscienza”. Se vengono meno a questi obblighi, sono rimossi dalle funzioni con decisione unanime della stessa Corte di Giustizia. Qua esaminiamo solo la Corte di Giustizia. 6.2. Fonti normative che disciplinano l’attività della Corte: • TFUE (artt. da 251 a 281) • Protocollo 3 sullo Statuto della Corte di Giustizia richiamato dall’art 281 RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 27 esaurisce dinanzi al Tribunale ed è oggetto di un unico grado. È simile al ricorso per cassazione; • È invece giudice di secondo grado rispetto alle cause assegnate alla competenza dei tribunali specializzati, in quanto conosce delle impugnazioni proposte contro le sentenze di primo grado di questi tribunali. Ciascun tribunale specializzato potrebbe limitare l’impugnazione ai soli motivi di diritto o di estenderla anche ai motivi di fatto: il Tribunale sarebbe giudice d’appello solo nel secondo caso, mentre nel primo caso sarebbe simile ad un ricorso per cassazione. In ogni caso, come giudice di secondo grado, emette decisioni definitive per le parti (le sue sentenze sono oggetto di riesame da parte della Corte di G solo in casi eccezionali). 7.5. È complessa la definizione della competenza del Tribunale. La sua competenza incontra due limiti: 1. da un lato, vi sono azioni riservate alla competenza esclusiva della Corte di G, 2. dall’altro lato è ormai in funzione il primo dei tribunali specializzati istituiti ex art. 257 TFUE: il tribunale della funzione pubblica, al quale spetta la competenza di primo grado sul contenzioso con il personale delle istituzioni europee. In merito alla ripartizione di competenza tra Tribunale e Corte di Giustizia, va ribadito che la competenza del Tribunale non copre tutte le azioni sottoposte al giudizio della Corte: non c’è completa coincidenza tra la competenza ratione materiae e ratione personarum della Corte e quella del Tribunale alcune cause restano soggette al giudizio di unico grado della prima. Attualmente, il Tribunale è competente in primo grado: a. Per i ricorsi proposti da persone fisiche o giuridiche contro le istituzioni ed altri organi b. Per i ricorsi d’annullamento e in carenza proposti da uno Stato membro contro la Commissione; c. Per i ricorsi d’annullamento proposti da uno Stato membro contro il Consiglio aventi ad oggetto: 1. Decisioni adottate in merito ad aiuti di Stato alle imprese, 2. Atti adottati in forza di un regolamento relativo a misure di difesa commerciale, 3. Atti di esercizio da parte del Consiglio di competenze d’esecuzione ex art 291, par.2 TFUE. Come si vede, la competenza del Tribunale è definita in base a criteri personali (persone fisiche o giuridiche e ricorsi degli Stati membri, mai delle istituzioni), ma anche in base a criteri materiali e, in parte, legati al tipo di ricorso. 7.6. A partire dal Trattato di Nizza è stata prevista la creazione di un’altra articolazione giurisdizionale: si possono istituire tribunali specializzati affiancati al Tribunale e incaricati di “conoscere in primo grado di talune categorie di ricorsi proposti in materie specifiche” (art 257 TFUE). • L’istituzione avviene attraverso un regolamento, che stabilisce composizione e portata delle competenze. • La nomina dei membri è affidata al Consiglio, che delibera all’unanimità. • Le sentenze dei tribunali speciali sono impugnabili davanti al Tribunale per soli motivi di diritto, o, se previsto dal regolamento, anche per motivi di fatto. Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 30 • Il “riesame” della decisione del Tribunale davanti alla Corte di G è prevista solo eccezionalmente e alle condizioni e limiti previsti dallo Statuto. Per queste ipotesi eccezionali, dunque, vi saranno 3 livelli di giudizio (trib spec, Tribunale, Corte di G). Il primo tribunale specializzato esiste già: nel 2004, una decisione del Consiglio ha istituito il Tribunale della funzione pubblica dell’UE (TFP) • è competente in primo grado a pronunciarsi in merito alle controversie tra le Comunità e i loro agenti . • Il TFP è composto di soli 7 giudici –aumentabile-, ed i giudici devono offrire le garanzie di indipendenza e possedere la capacità per l’esercizio di funzioni giurisdizionali. • La nomina: è affidata al Consiglio, che decide all’unanimità, previa consultazione di un comitato composto da 7 personalità scelte tra ex giudici della Corte di G e del Tribunale e tra giuristi di notoria competenza. 7. La Corte dei Conti, la BCE e altri organi 8.1. La CORTE DEI CONTI: • è un organo di individui (non rappresenta istanze governative = non vincolati da mandato). • COMPOSIZIONE comprende un cittadino di ciascuno Stato membro • I membri sono nominati dal Consiglio a maggioranza qualificata, previa consultazione del Parlamento eu conformemente alle proposte presentate da ciascuno Stato membro • mandato di 6 anni. • I requisiti di indipendenza e di professionalità dei membri sono analoghi a quelli per i giudici della Corte di Giustizia. • FUNZIONI: • ha il compito di assicurare il controllo dei conti dell’UE, in particolare essa esamina i conti di tutte le entrate e le spese dell’UE, nonché quelli di ogni organo creato dall’UE, nella misura in cui l’atto costitutivo non escluda tale esame. • Inoltre, controlla la legittimità e la regolarità delle entrate e delle spese ed accerta la sana gestione finanziaria. • L’atto più rilevante della Corte dei Conti è la relazione annuale redatta a fine di ogni esercizio. La Corte non ha nessun potere di annullare atti irregolari o idi impedirne l’esecuzione: interviene a posteriori, ma non ha nemmeno autonomo potere sanzionatorio. Vi sono altri organi nel quadro istituzionale dell’Unione, che svolgono funzioni consultive o preparatorie. In particolare, vi sono due organi di individui (art 13, par.2, TUE): ▲ Il COMITATO ECONOMICO E SOCIALE: • composto da rappresentanze delle organizzazioni dei datori di lavoro, di lavoratori dipendenti e di altri attori rappresentativi della società civile. • Il numero dei membri – non superiore a 350-, è stabilito dal Consiglio con delibera all’unanimità su proposta della Commissione. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 31 • I membri sono nominati dal Consiglio a maggioranza qualificata “conformemente alle proposte presentate da ciascuno Stato membro”, previa consultazione della Commissione. ▲ Il COMITATO DELLE REGIONI: • composto da rappresentanti delle collettività regionali e locali, che siano titolari di un mandato elettorale nell’ambito di una collettività regionale o locale o politicamente responsabili dinanzi ad un’assemblea eletta, per il numero di membri e la nomina valgono le regole del Comitato economico e sociale. Entrambi i Comitati devono essere consultati da Parlamento eu, Consiglio e Commissione ■ quando è previsto dai trattati (parere obbligatorio ma non vincolante) ■ quando è opportuno (parere facoltativo). 8.3. Gli organi creati nell’ambito dell’UEM La BANCA CENTRALE EUROPEA (BCE) e il Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) –art 282 TFUE-. La BCE • ha personalità giuridica, ed ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione dell’euro • è indipendente nell’esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze. • Si articola in: • Comitato esecutivo: organo di individui, composto da un Presidente, un vicepresidente e 4 membri. Scelti in funzione delle loro competenze monetarie e in carica per 8 anni-, nominati dal Consiglio europeo con maggioranza qualificata, su raccomandazione del Consiglio, previa consultazione del Parlamento eu e del Consiglio direttivo. • Consiglio direttivo: composto da membri del Comitato esecutivo e dai Governanti delle Banche centrali nazionali degli Stati membri con moneta euro. L’art 130 TUE impone alla BCE e alle Banche centrali nazionali di garantire l’indipendenza della loro azione rispetto agli Stati membri e alle altre istituzioni dell’UE. Il funzionamento e l’organizzazione della BCE e del SEBC sono oggetto: ■ del Protocollo n.4 sullo Statuto del Sistema Europeo delle Banche Centrali e della Banca Centrale Europea, ■ del TFUE • questi attribuiscono alla BCE il potere nelle materie di sua competenza di stabilire regolamenti e di prendere decisioni con atti identici a quelli dell’art 288 TFUE. Le funzioni della BCE e del SEBC sono disciplinate dagli art 127 e 128 TFUE: • l’obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi ed esso agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 32 ■ Le proc. leg. spec. hanno in comune solo la partecipazione di Parlamento e Governo insieme, ma lo svolgimento di ciascuna di queste è definito di volta in volta dai trattati che la prevedono. Si possono però individuare due modelli prevalenti: • Procedura di consultazione • Procedura di approvazione Accanto alle procedure legislative, i trattati prevedono anche procedure non legislative, per l’adozione di atti di natura diversa, non legislativa appunto Vedremo tutto più avanti. 2. La definizione della corretta base giuridica. 2.1. Per stabilire quale procedura seguire ogni volta occorre definire la base giuridica dell’atto che si intende adottare: si deve individuare la disposizione dei trattati che attribuisce alle istituzioni il potere di adottare un determinato atto sono le disposizioni individuate ad indicare la procedura decisionale da seguire. Al riguardo, essendo questa una operazione delicata, sono sorti numerosi conflitti tra le istituzioni e gli Stati membri, conflitti che hanno portato il Parlamento o la Commissione a contestare la base giuridica scelta dal Consiglio, attraverso un ricorso di annullamento proposto alla Corte di giustizia. In alcuni casi l’istituzione ricorrente è interessata a far valere una diversa procedura decisionale rispetto a quella seguita- con la quale avrebbe un ruolo più importante [è stato così nel caso Chernobyl-> il Parlamento contestava al Consiglio di aver scelto una procedura che richiedeva la sola consultazione del Parlamento, affermando la necessità di usare una procedura di cooperazione). Altre volte, la contestazione della base giuridica individuata è legata alla volontà di ricondurre l’atto impugnato in un settore di competenza maggiormente caratterizzato da elementi del metodo comunitario (è stato così nel caso Erasmus-> la Commissione contesta la scelta del Consiglio di fondare l’adozione dell’atto su una procedura che richiede la delibera all’unanimità del consiglio: per la Commissione si doveva seguire la procedura di cooperazione). 2.2. La corretta individuazione della base giuridica dipende dall’analisi di alcuni elementi oggettivamente rilevabili: scopo e contenuto dell’atto. Secondo la Corte “la scelta del fondamento giuridico di un atto non può dipendere solo dal convincimento di un’istituzione circa lo scopo perseguito, ma deve basarsi su elementi oggettivi suscettibili di sindacato costituzionale”. Se accanto ad una base giuridica di carattere generale è utilizzabile una base giuridica più specifica, occorre sempre privilegiare quest’ultima. Può tuttavia accadere che uno stesso atto persegua una pluralità di scopi o abbia contenuti differenziati: in questi casi, la base giuridica va dedotta dal c.d. centro di gravità dell’atto, e non dovrà tenersi conto di scopi o componenti secondari o accessori. 2.3. Se non è possibile determinare il centro di gravità dell’atto, perché gli scopi ed i contenuti hanno uguale importanza, l’atto avrà eccezionalmente una base giuridica plurima, consistente in tutte le disposizioni dei trattati corrispondenti ai suoi vari scopi e contenuti. Il principio è stato affermato dalla Corte di Giustizia nel caso del Biossido di titanio. La Corte giudica che una direttiva in materia di rifiuti dell’industria del biossido di titanio persegue inscindibilmente tanto la tutela dell’ambiente quanto l’eliminazione delle disparità nelle condizioni di concorrenza-> la base giuridica è tanto nell’art 192 TFUE quanto nell’art 114 TFUE. Questa soluzione eccezionale non è sempre ammissibile: non vale in particolare se le disposizioni prevedono procedure decisionali incompatibili . Confermato dalla Corte, in merito alla sopracitata sentenza: non è possibile adottare entrambe le norme indicate perché l’art 192 prevede che l’atto venisse adottato dal Consiglio su mera consultazione del Parlamento, l’art 114 prevede la procedura di cooperazione. In casi del genere la base giuridica può essere una sola e si dovrà preferire quella che non pregiudica i poteri di partecipazione del Parlamento alla procedura decisionale. Nella sentenza di prima, la Corte conclude infatti che si dovrà seguire la procedure di cui all’art 114. Fino all’entrata in vigore del T. di Lisbona, la soluzione della base giuridica plurima veniva esclusa anche in caso di atti a cavallo tra pilastri diversi. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 35 La Corte aveva risolto casi del genere invocando il vecchio art. 47 TUE e assegnando una funzione meramente residuale alle basi giuridiche tratte dal II o dal III pilastro: queste non potevano essere usate tutte le volte che era disponibile una base giuridica contenuta nel TCE (I pilastro). Secondo la giurisprudenza la scelta della corretta base giuridica degli atti adottati riveste un’importanza di natura costituzionale , in quanto preserva le prerogative delle istituzioni nella varie procedure decisionali. Di conseguenza, la base giuridica deve essere sempre indicata e rientra nell’obbligo di motivazione (art 296, 2° comma TFUE). 3. La procedura legislativa ordinaria. Secondo l’art 289 TFUE: “La procedura legislativa ordinaria consiste nell’adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Palamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione”. In passato era nota come procedura di codecisione –art 251 TCE-: • con questa le due istituzioni gestiscono insieme il potere decisionale, agendo il Parlamento ed il Consiglio in questa sede come co-legislatori. • La procedura di co-decisione fu introdotta dal TUE, che ne prevedeva pochi casi di applicazione. Si affianca inizialmente con la procedura di cooperazione introdotta dall’AUE. Successivamente, il T. di Amsterdam ne estende la portata e la sostituisce alla procedura di cooperazione. • La differenza tra le due procedure consiste nel fatto che nella p. di cooperazione il Consiglio può approvare all’unanimità un atto che sia stato respinto dal Parlamento, nella p. di codecisione in questo caso l’atto si considera definitivamente non adottato. La DISCIPLINA della procedura è all’art. 294 TFUE, e si fonda su un sistema di ripetute letture della proposta dell’atto da parte delle due istituzioni se ne prevedono 3 massime, ma la procedura può interrompersi prima se sopraggiunge accordo tra le due istituzioni-. 3.2. In generale, la procedura si apre con la proposta della Commissione. Si riteneva, infatti, che questa fosse la portatrice dell’interesse generale della Comunità, e faceva così contrappeso alla deliberazione del Consiglio, che esprimeva interessi particolari degli Stati membri. Il potere di iniziativa della Commissione non è però assoluto: in casi specifici previsti dai trattati, la proposta degli atti legislativi può essere affidata ad un gruppo di Stati membri o al Parlamento europeo, su raccomandazione della BCE o su richiesta della Corte di giustizia Ad ogni modo, il Parlamento europeo ed il Consiglio (ed il Consiglio europeo) possono sollecitare la Commissione a presentare una proposta • Non è prevista alcuna sanzione nel caso in cui la Commissione non si attivi. Sono parte integrante delle proposte della Commissione le valutazioni di impatto sono studi diretti a verificare il possibile impatto economico, ambientale o sociale di un determinato atto legislativo, nel caso in cui questo venisse adottato. • Quando la proposta è preceduta da una valutazione di impatto, questa viene sottoposta al parere del comitato per il Controllo Normativo Il T. di Lisbona introduce inoltre un istituto di democrazia partecipativa l’iniziativa dei cittadini • consistente nel diritto dei cittadini dell’Unione –almeno 1 mln, appartenenti ad un numero significativo di stati membri- di invitare la Commissione a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto dell’unione, ai fini dell’attuazione dei trattati. • È da ritenersi che la Commissione non sia obbligata ad agire. 3.3. Emendazione della proposta: Visto che la Commissione è portatrice dell’interesse generale dell’Unione, mentre il Consiglio rappresenta gli interessi individuali di ciascuno Stato membro. • TFUE limita il potere del Consiglio di modifica della proposta della Commissione: “il Consiglio può emendare la proposta solo deliberando Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 36 all’unanimità” ciò perché il consenso unanime dei rappresentanti degli Stati membri garantisce che l’atto adottato risponda comunque all’interesse generale della Comunità • Il Consiglio non può stravolgere la proposta della Commissione, e se ciò avvenisse sarebbe una violazione di forme sostanziali atto annullabile con ricorso alla Corte L’unanimità del Consiglio non è richiesta tuttavia durante la fase del comitato di conciliazione e la terza lettura. • Di contro, vale nella prima e seconda lettura quindi in queste due fasi il Consiglio può votare a maggioranza qualificata solo se si attiene alla proposta della Commissione. L’unanimità • garantisce sì che gli atti del Consiglio perseguano l’interesse generale dell’Unione, • però potrebbe causare una situazione di stallo (es. il Consiglio non vuole approvare la proposta della Commissione così com’è, ma non raggiunge l’unanimità). • Per evitare ciò il TFUE prevede che “finché il Consiglio non ha deliberato, la Commissione può modificare la propria proposta in ogni fase delle procedure che portano all’adozione di un atto dell’Unione europea”, e ciò per favorirne l’approvazione da parte del Consiglio a maggioranza qualificata. Tra i poteri della Commissione ex art. 293 TFUE rientra anche il potere di ritirare la proposta • La commissione può esercitare tale potere quando un emendamento prospettato dal Parlamento o dal Consiglio snatura la proposta di atto legislativo in modo da ostacolare la realizzazione degli obiettivi da essa perseguiti 3.4. La PROCEDURA: La proposta della Commissione viene indirizzata contestualmente al Consiglio ed al Parlamento. • Già in questa fase il Parlamento può avviare negoziati interistituzionali con Consiglio e Commissione secondo lo schema del c.d. trilogo per facilitare il raggiungimento di un accordo sull’atto. La prima lettura consiste nell’adozione di una “posizione” da parte del Parlamento, poi trasmessa al Consiglio. Il Consiglio può : • Approvare la posizione del Parlamento in questo caso l’atto è approvato. • Se il Parlamento si è conformato alla proposta della Commissione, il Consiglio approva a maggioranza qualificata. • Se il Parlamento ha invece emendato la proposta della Commissione, per approvarla il Consiglio delibera all’unanimità; • Non approvarla in questo caso il Consiglio adotta a maggioranza qualificata una “posizione in prima lettura”. Si continua in seconda lettura. La seconda lettura: il Parlamento ha 3 mesi per decidere se: • Approvare la posizione in prima lettura del Consiglio o omettere di deliberare entro il termine RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 37 123 Va segnalato comunque che, qualunque sia la procedura applicabile, nel settore della Cooperazione giudiziaria in materia penale, in quello della Cooperazione di polizia e in quello della Cooperazione amministrativa, il potere di proposta non spetta solo alla Commissione, ma anche all’iniziativa di ¼ degli Stati membri. 5.2. Inoltre, in molti casi, sono previsti strumenti procedurali che consentono agli Stati membri contrari a determinati atti di impedirne o ritardarne l’adozione. • In due casi questi strumenti sono associati alla procedura legislativa ordinaria e si presentano quindi come varianti di questa, volte a ridurne le caratteristiche di sovra-nazionalità • In questi casi lo Stato membro contrario interviene perché ritiene che il progetto di atto “incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale” [emergency brake]. L’intervento avviene prima della deliberazione dell’atto da parte del Consiglio e comporta la sospensione della procedura ordinaria. Il Consiglio europeo quindi esaminerà entro 4 mesi l’atto, e in questo lasso di tempo deve approvare l’atto o no. 2.1. Se lo approva, l’atto è rinviato al Consiglio e la procedura ordinaria riprende. 2.2. Se NON lo approva, se almeno 9 Stati desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di atto, essi ne informano il Parlamento, il Consiglio e la Commissione, e l’autorizzazione a procedere con cooperazione rafforzata si considera concessa. • In altre ipotesi lo strumento procedurale è associato a procedure legislative speciali, • Richiedono una delibera unanime da parte del Consiglio. • Lo strumento si presenta qui come una variante che consente di superare – anche se parzialmente – la mancanza di unanimità (sono le ipotesi di istituzione di una Procura europea, cooperazione operativa tra l’autorità di polizia). • In queste ipotesi, in mancanza di unanimità, un gruppo di almeno 9 Stati può chiedere che il progetto di atto passi in esame al Consiglio europeo il quale, entro 4 mesi, può approvare o non l’atto. • Se lo approva, il progetto è rinviato al Consiglio perché lo adotti. • Se non lo approva, almeno 9 Stati possono richiedere la cooperazione rafforzata – uguale a sopra-. 6. Le procedure NON legislative (in particolare nel settore dell’UEM) 6.1. In molti casi i trattati prevedono l’adozione da parte delle istituzioni dell’Unione di atti non legislativi e stabiliscono di volta in volta la procedura decisionali applicabile, categoria molto eterogenea. In particolare, subito adesso esamineremo: Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 40 a. alcuni esempi di procedure decisionali seguite dal Consiglio europeo e procedure utilizzate dal Consiglio per adozione di atti non legislativi nei settori di ambito del TFUE. b. - le procedure applicabili nel settore PESC, - la procedura per la conclusione degli accordi internazionali, - le procedure per gli atti d’attuazione o di esecuzione della Commissione - la procedura per istituire una cooperazione rafforzata. 6.2. a) Procedure decisionali per atti non legislativi del Consiglio europeo e del Consiglio: Il Consiglio europeo • I suoi atti non hanno mai natura legislativa delibera seguendo procedure diverse da caso a caso A. Procedure diverse da quelle del Consiglio. • Sono di questo tipo le procedure in cui il Consiglio europeo (C.E.) decide in piena autonomia, senza necessità di proposta e senza consultazione o approvazione di altre istituzioni [es: per l’elezione del Presidente del C. E.]. • In questo gruppo sono anche classificate alcune procedure in cui la deliberazione del C.E. è subordinata all’approvazione di altra istituzione o organo B. Procedure simili a quelle del Consiglio. • Categoria costituita da procedure che si ispirano ai modelli della procedura di consultazione o di approvazione il Consiglio non agisce di propria iniziativa, ma ha bisogno di una proposta ed in genere è poi tenuto a consultare altre istituzioni o deve ottenerne l’approvazione. Il Consiglio • Quando adotta atti non legislativi nel campo di applicazione del TFUE, il Consiglio segue in generale procedure modellate sulla p. di consultazione e su quella di approvazione. 6.4. Β) προχεδυρε περ αλτρι σεττορι ▲ Νελ σεττορε δελλα πολιτιχα εχονοµιχα ε µονεταρια σονο σπεσσο πρεϖιστε δαι τραττατι προχεδυρε συι γενερισ χηε πρεσεντανο σολο αλχυνε αναλογιε χον προχεδυρε γενεραλµεντε υτιλιζζατε ▲ Λ’αρτ. 121 ΤΦΥΕ ρεγολα ιλ χοορδιναµεντο δελλε πολιτιχηε εχονοµιχηε αϖϖιενε αττραϖερσο λο στρυµεντο δεγλι ινδιριζζι δι µασσιµα περ λε πολιτιχηε εχονοµιχηε δεγλι στατι µεµβρι ε δελλ’Υνιονε. Συλλα βασε δι θυεστι ινδιριζζι ϖιενε σεγυιτα υνα προχεδυρα δι σορϖεγλιανζα µυλτιλατεραλε ϖιενε χοντρολλατα λα χονσεγυενζα δελλε πολιτιχηε εχονοµιχηε δι χιασχυνο στατο χον γλι ινδιριζζι – ιν ταλε προχεδυρα ιλ Χονσιγλιο αδοττα ραχχοµανδαζιονι συλλα βασε δι υνα ραχχοµανδαζιονε δελλα Χοµµισσιονε. ▲ Προχεδυρα περ ι δισαϖανζι πυββλιχι εχχεσσιϖι α παγ. 136 (µολτο λυνγα) 7. Le procedure nel settore della PESC RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 41 Nonostante le modifiche del T. di Lisbona il settore della PESC resta separato rispetto a tutti gli altri di competenza dell’Unione, anche per quanto riguarda le procedure decisionali applicabili il TUE dice che la PESC è soggetta a “procedure specifiche”. • Differenze principali rispetto le procedure applicate ai settori che rientrano nel TFUE: A. Il ruolo del Consiglio europeo esercita un vero potere decisionale con procedura ad hoc; B. Le procedure decisionali sono per lo più deliberazioni del Consiglio all’unanimità, su iniziativa degli Stati membri o dell’Alto Rappresentante (non della Commissione); C. Il ruolo del Parlamento è molto ridotto, di mera consultazione. D. Nessuna di queste procedure è di tipo legislativo Quindi: • Procedure decisionali seguite dal Consiglio europeo. • Nel TUE scarna disciplina gli attribuisce potere decisionali veri e propri: art 26 “Il Consiglio europeo individua gli interessi strategici dell'Unione, fissa gli obiettivi e definisce gli orientamenti generali della politica estera e di sicurezza comune, ivi comprese le questioni che hanno implicazioni in materia di difesa. Adotta le decisioni necessarie”. • L’unica regola procedurale è all’art 31: il Consiglio europeo delibera sempre all’unanimità, salvo che sia disposto diversamente. Non è specificato su iniziativa di chi il Consiglio europeo deliberi. ▲ Procedure decisionali seguite dal Consiglio in ambito PESC. • Si applica la regola dell’unanimità, salvo che si disponga diversamente. N.B.: posto che le astensioni non escludono l’unanimità, si è cercato di indurre i membri del Consiglio contrari ad una proposta ad astenersi invece che esprimere il voto contrario si è creato così L’ISTITUTO DELL’ASTENSIONE COSTRUTTIVA: è una deroga al principio per cui le delibere del Consiglio obbligano tutti gli stati membri anche astenuti. In tal caso, infatti, lo Stato membro contrario ad una decisione non è obbligato ad applicare la decisione, ma accetta che questa impegni l’Unione (per mutua solidarietà, lo Stato membro si astiene da azioni che contrastino o impediscano l’azione dell’Unione basata su tale decisione e gli altri Stati membri rispettano la sua decisione). È un esempio di Europa a più velocità. Questo meccanismo diventa inapplicabile quando 1/3 degli Stati membri vi fanno ricorso (che rappresentano 1/3 della popolazione dell’Unione) -> in questo caso, la decisione non è proprio adottata. Vi è poi la possibilità che le decisioni vengano assunte a maggioranza qualificata, in 4 casi: ✓ Quando il Consiglio adotta una decisione che definisce un'azione o posizione dell'Unione, sulla base di una decisione del Consiglio europeo relativa agli interessi e obiettivi strategici dell'Unione ✓ Quando adotta una decisione che definisce un'azione o una posizione dell'Unione in base a una proposta dell'Alto Rappresentante presentata in seguito a una richiesta specifica rivolta a quest'ultimo dal Consiglio europeo di sua iniziativa o su iniziativa dell'Alto Rappresentante; Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 42 ✓ Atti di esecuzione: art 291 TFUE si occupa dell’esecuzione degli atti giuridici vincolanti dell’Unione. • I rientrano atti legislativi (perché adottati con una procedura legislativa) e atti (che anche se adottati attraverso una procedura non qualificata come legislativa, producono effetti giuridici vincolanti) • L’esecuzione è di solito affidata agli Stati membri, che adottano tutte le misure di diritto interno necessarie per l'attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione. Può essere però affidata anche alla Commissione o – eccezionalmente – al Consiglio, soltanto allorché siano necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione. Paragrafo 3 dell’art 291 il controllo da parte degli Stati membri sull’operato della Commissione: prevede che le regole e i principi generali relativi alle modalità di questo controllo saranno stabiliti dal Parlamento e dal Consiglio, deliberando con regolamenti e con p. legislativa ordinaria. 10. La procedura per instaurare una cooperazione rafforzata L’istituto della cooperazione rafforzata si affermò col T. di Amsterdam ed è l’espressione massima dell’Europa a più velocità. Lo scopo è l’utilizzo, da parte degli Stati membri, le procedure e i meccanismi decisionali previsti dai trattati per instaurare tra loro forme di cooperazione non condivise da tutti gli Stati membri. La disciplina dell’istituto è all’art 20 del TUE e negli artt da 326 a 334 del TFUE. La procedura per l’autorizzazione ad instaurare una cooperazione rafforzata è diversa a seconda che l’oggetto riguardi o meno la PESC: • Per la PESC: art 329, par. 2 TFUE dispone che-> la richiesta di instaurare la coop raff è presentata dagli Stati interessati al Consiglio e trasmessa all’Alto Rappresentante e alla Commissione (affinché esprimano un parere sulla coerenza con la PESC e con le politiche europee) e al Parlamento per conoscenza. Il consiglio dà autorizzazione all’unanimità. • Per gli altri settori: gli Stati interessati trasmettono la richiesta alla Commissione, la quale può presentare al Consiglio la proposta o rifiutarsi di farlo (motivando il rifiuto). L’autorizzazione è concessa con p. di approvazione: il Consiglio delibera (a maggioranza qualificata) previa approvazione del Parlamento. La composizione delle istituzioni, le modalità deliberative e le procedure decisionali applicabili sono quelle ordinarie. • L’unica particolarità riguarda il Consiglio: i rappresentanti di Stati membri non partecipanti non possono votare, dunque il quorum per raggiungere la maggioranza qualificata è proporzionale rispetto agli Stati partecipanti. Per l’ambito della PESD (Politica Europea di Sicurezza e Difesa, è una componente della PESC) è applicabile un istituto analogo, c.d. cooperazione strutturata permanente (“permanente” per distinguerla dalla cooperazione ex art 42 TUE per lo volgimento di missioni civili o militari). Gli stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia ai fini delle missioni più impegnativi, possono instaurare tra di loro una cooperazione di tale tipo. La disciplina è simile a quella applicabile alla cooperazione rafforzata. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 45 PARTE III L’ORDINAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA SEZIONE I 1. Considerazioni generali Il complesso di norme del TUE e del TFUE costituisce o no un ordinamento giuridico autonomo? Ossia, l’UE è portatrice di un proprio ordinamento giuridico che si distingue sia dal diritto internazionale sia dal diritto interno di ciascuno stato membro? • Inizialmente, la questione si era posta in riferimento alle CE e al solo diritto comunitario. • Nella sentenza del 1963 Van Gend & Loos la Corte di Giustizia conclude che “la Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti, non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini”; • concezione ribadita dalla sentenza del 1964 Costa c. Enel dove la Corte rileva che, “a differenza dei comuni trattati internazionali, il Trattato C.E.E. ha istituito un proprio ordinamento giuridico, integrato nell'ordinamento giuridico degli Stati membri all'atto dell'entrata in vigore del Trattato e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare”. Secondo la Corte gli Stati membri hanno limitato, sia pure in campi circoscritti, i loro poteri sovrani e creato quindi un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e per loro stessi. A differenza dei trattati internazionali tradizionali, l’allora TCE comporta delle vere limitazioni alla sovranità degli Stati membri ed entra nella sfera giuridica di questi ciò ci segnala l’autonomia del diritto comunitario rispetto al diritto interno degli Stati. Inoltre, l’applicazione del diritto comunitario nei settori assegnati alla sua sovranità non è subordinata all’adozione da parte degli Stati di misure interne di adattamento (principio di efficacia diretta) e non è possibile che la sua applicazione sia ostacolata da provvedimenti nuovi o preesistenti degli Stati membri contrari a ciò che il diritto comunitario prevede (principio del primato). • Quindi secondo la Corte di Giustizia l’ORDINAMENTO COMUNITARIO è autonomo rispetto all’ordinamento internazionale generale e rispetto agli ordinamenti interni degli Stati membri. Prima di Lisbona era lecito dubitare che la categoria dell’autonomia potesse applicarsi ad un complesso di norme che, soprattutto per la PESC, mantenevano marcate caratteristiche di stampo intergovernativo. Dopo Lisbona la soppressione della CE come ente autonomo rispetto all’Unione, la – parziale – abolizione della struttura a pilastri e il riconoscimento all’Unione di personalità giuridica (art Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 46 47 TUE) rendono di facile intuizione la considerazione che il nuovo ordinamento UE tende all’unicità e all’onnicomprensività. 1.2. IL SISTEMA DELLE FONTI E GERARCHIA DELLE FONTI DEL DIRITTO Anche l’ordinamento dell’Unione si basa su un sistema di fonti di produzione del diritto articolate secondo una propria gerarchia: a. Trattati, principi generali del diritto, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea b. Le norme del diritto internazionale generale e gli accordi conclusi tra UE e stati terzi c. Gli atti di base adottati dalle istituzioni d. Gli atti di attuazione o di esecuzione adottati dalla Commissione o dal Consiglio La distinzione fondamentale resta quella tra diritto primario (a) e diritto secondario o derivato (c, d), a cui si aggiunge la categoria delle fonti intermedie (b). 1.3. DIRITTO DERIVATO O SECONDARIO. All’ interno del diritto derivato o secondario vi è gerarchia tra atti di base ed atti d’attuazione o di esecuzione, distinzione (introdotta dal T. di Lisbona) rilevante non solo per la procedura decisionale applicabile l’atto di attuazione o esecuzione deve rispettare l’atto di base e rimanere nei limiti della delega conferita. • Atti di attuazione: sono sempre adottati dalla Commissione su delega disposta da un atto legislativo adottato o da Parlamento e Consiglio insieme o da uno dei due. Recano l’aggettivo “delegato” nel titolo. La delega abilita la Commissione all’emanazione di atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell’atto legislativo • Atti di esecuzione: sono emessi dalla Commissione o – in casi specifici e motivati – dal Consiglio. Recano l’aggettivo “di esecuzione” nel titolo. In generale, che siano atti di base o atti secondari, gli atti delle istituzioni sono diversi tra loro in base alla loro natura ed alla loro struttura. 1.3. Natura: si distinguono atti legislativi ed atti non legislativi. La distinzione è stata introdotta col Trattato di Lisbona, ma non vengono creati appositi tipi di atti. La distinzione, invece, si basa sulla procedura decisionale applicata per la loro adozione: • sono atti legislativi quelli adottati con procedura legislativa, • sono atti non legislativi gli atti adottati con procedura diversa • In concreto, si possono avere regolamenti, direttive e decisioni legislativi e regolamenti, direttive e decisioni non legislativi. Dal momento che la procedura decisionale applicabile è indicata dalla base giuridica in forza del quale l’atto è adottato è questa che determina la natura legislativa o meno degli atti. Quindi la categoria degli atti non legislativi è definita per esclusione sono tali tutti gli atti delle istituzioni per cui l’adozione non è prevista una procedura legislativa Inoltre, le procedure legislative, ordinarie o speciali, contemplano sempre l’adozione di atti da parte del Parlamento e del Consiglio (insieme o separatamente) gli atti delle altre istituzioni sono a priori non legislativi. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 47 Certo è che non si tratti di una costituzione di tipo statuale – tuttavia non soddisfa la tesi che i trattati siano meri trattati internazionali. 2.3. Sta di fatto che la Corte di giustizia considera e adopera i trattati come una vera costituzione (piuttosto che come trattati internazionali). • Ciò si riflette nei criteri interpretativi seguiti dalla Corte, che si discostano molto da quelli usati per i trattati internazionali: ricorre spesso a criteri contestuali e teleologici, piuttosto che attenersi al dato testuale delle norme. Ad esempio, le norme del TFUE sulle 4 libertà di circolazione (merci, persone, servizi, capitali) e le norme sulle competenze dell’UE sono sempre interpretate estensivamente; Al contrario, le norme che consentono agli Stati di adottare o mantenere provvedimenti derogatori rispetto alle regole generali sono interpretate restrittivamente è rovesciato il criterio seguito dai giudici internazionali secondo cui le limitazioni della sovranità degli Stati non si presumono. Altro criterio interpretativo applicato alle norme dei Trattati è quello c.d. dell’effetto utile tra le varie interpretazioni la Corte preferisce quella che concede alla norma la maggiore effettività possibile, in modo che gli scopi cui la norma è volta possano essere raggiunti più compiutamente (un esempio di ciò è offerto dalla giurisprudenza che riconosce l’efficacia diretta delle direttive). 2.4. Modifica dei trattati: le procedure di revisione I trattati possono essere modificati solo ricorrendo alle procedure di revisione previste dall’art 48 TUE • La più importante di queste procedure è la procedura di revisione ordinaria, di portata generale (par 1-5): “1. I trattati possono essere modificati conformemente a una procedura di revisione ordinaria. Possono inoltre essere modificati conformemente a procedure di revisione semplificate. Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i trattati. Tali progetti possono, tra l'altro, essere intesi ad accrescere o a ridurre le competenze attribuite all'Unione nei trattati. Tali progetti sono trasmessi dal Consiglio al Consiglio europeo e notificati ai parlamenti nazionali. Qualora il Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, adotti a maggioranza semplice una decisione favorevole all'esame delle modifiche proposte, il presidente del Consiglio europeo convoca una Convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione. In caso di modifiche nel settore monetario, è consultata anche la BCE. La convenzione esamina i progetti di modifica e adotta per consenso una raccomandazione a una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri quale prevista al par. 4. Il Consiglio europeo può decidere a maggioranza semplice, previa approvazione del Parlamento europeo, di non convocare una convenzione qualora l'entità delle modifiche non lo giustifichi. In questo caso, il Consiglio europeo definisce il mandato per una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri. Una conferenza dei rappresenti dei governi degli Stati membri è convocata dal presidente del Consiglio allo scopo di stabilire di comune accordo le modifiche da apportare ai trattati. Le modifiche entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. Qualora, al termine di un periodo di due anni a decorrere dalla firma di un trattato che modifica i trattati, i 4/5 degli Stati membri abbiano ratificato detto trattato e uno o più Stati membri abbiano incontrato difficoltà nelle procedure di ratifica, la questione è deferita al Consiglio europeo”. • Sono poi previste due procedure di revisione semplificate: La prima è disciplinata dal paragrafo 6 e si applica solo a determinate parti dei trattati. “6. Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento EU o la Commissione possono sottoporre al Consiglio europeo progetti intesi a modificare in tutto o in parte le disposizioni della parte III del TFUE relative alle politiche e azioni interne dell'UE./Il Consiglio eur può adottare una decisione che modifica in tutto o in parte le disposizioni della parte III del TFUE. Il Consiglio europeo delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento eu, della Commissione e, in caso di modifiche nel settore monetario, della BCE. Tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme cost./La decisione di cui al secondo comma non può estendere le competenze attribuite all'Unione nei trattati.”; La seconda si applica solo per modificare le procedure decisionali. È detta anche procedura passerella, ed è disciplinata dal paragrafo 7. 7. Quando il TFUE o il titolo V del presente trattato prevedono che il Consiglio deliberi all'unanimità in un settore o in un caso determinato, il Consiglio europeo può adottare una decisione che consenta al Consiglio di deliberare a maggioranza qualificata in detto settore o caso. Il Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 50 presente comma non si applica alle decisioni che hanno implicazioni militari o che rientrano nel settore della difesa. /Quando il TFUE prevede che il Consiglio adotti atti legislativi secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio europeo può adottare una decisione che consenta l'adozione di tali atti secondo la procedura legislativa ordinaria./ Ogni iniziativa presa dal Consiglio europeo in base al 1° o al 2° comma è trasmessa ai parlamenti nazionali. In caso di opposizione di un parlamento nazionale notificata entro sei mesi dalla data di tale trasmissione, la decisione di cui al 1° o al 2° comma non è adottata. In assenza di opposizione, il Consiglio europeo può adottare detta decisione./Per l'adozione delle decisioni di cui al 1° o al 2° comma, il Consiglio europeo delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono. Inoltre, nel testo dei trattati si incontrano altre clausole di revisione di portata specifica. La procedura di revisione ordinaria Art 48 TUE paragrafi da 1 a 5 Si compone di più fasi: • le prime preparatorie si svolgono all’interno del circuito UE, • le altre finali si svolgono all’esterno ed i protagonisti diventano gli Stati membri e i loro parlamenti nazionali. La procedura: 1. Il Governo di uno Stato membro, il Parlamento EU o la Commissione presentano al Consiglio un progetto di modifica; 2. Decisione del Consiglio europeo – a MAGGIORANZA SEMPLICE – previa consultazione del Parlamento Eu e della Commissione. Provvede all’esame delle modifiche trasmesse dal Consiglio; 3. Il Presidente del Consiglio Eu convoca una Convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di Governo degli Stati membri, del Parlamento Eu e della Commissione, con lo scopo di esaminare progetti di modifica e adottare una raccomandazione per la CIG; 4. In alternativa, se l’entità delle modifiche non giustifichi la convocazione della Convenzione il Consiglio Eu decide a maggioranza semplice, previa approvazione del Parlamento eu, che definisce il mandato per la CIG; 5. Convocazione di una CIG – formata dai rappresentanti dei Governi degli Stati membri – per stabilire di comune accordo le modifiche da apportare ai trattati; 6. Ratifica delle modifiche, approvate da tutti gli Stati membri conformemente alle loro norme costituzionali ed entrata in vigore. • L’avvio della procedura è agevolato dal fatto che il Consiglio eu può deliberare a maggioranza semplice. Tuttavia in seguito sarà necessario l’accordo unanime degli Stati membri sul trattato di revisione. • L’entrata in vigore è subordinata alla ratifica da parte di tutti gli Stati membri. N.B.: è rimessa a ciascuna Costituzione nazionale definire le forme della ratifica e stabilire se questa debba avvenire come per qualsiasi trattato internazionale o se sia necessario seguire procedure speciali. Le costituzioni nazionali stabiliscono se e in che caso la ratifica debba essere sottoposta a referendum popolare. Il paragrafo 5 dell’art 48 dovrebbe facilitare l’entrata in vigore del trattato di revisione evoca la possibilità che il Consiglio Europeo decida misure che favoriscano l’entrata in vigore del trattato di revisione nonostante la mancata ratifica da parte di un unico Stato membro o di un numero limitato di Stati membri RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 51 2.5. Le procedure semplificate di revisione Art 48 TUE paragrafi 6 e 7 Quella al paragrafo 6: • può avere ad oggetto soltanto modifiche totali o parziali delle disposizioni della terza parte del TFUE relative alle politiche e azioni interne dell’Unione • è escluso tutto ciò che riguarda l’azione esterna • L’obiettivo è agevolare una sempre maggiore integrazione europea in questi settori. • La differenza con quella ordinaria è che si evita la convocazione della convenzione e della CIG • Fasi della procedura: 1. Il Governo di uno Stato membro, il Parlamento EU o la Commissione presentano al Consiglio un progetto di modifica; 2. Adozione delle modifiche da parte del Consiglio eu con decisione all’UNANIMITÀ, previa consultazione del Parlamento eu e della Commissione; 3. Entrata in vigore della decisione del Consiglio eu previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispetti norme costituzionali. Quella al paragrafo 7 procedura passerella: • può avere ad oggetto solo le disposizioni del TFUE o del Titolo V del TUE (PESC) che prevedono che: 1. Il Consiglio deliberi all’unanimità in un settore o in un caso determinato; 2. Il Consiglio adotti atti legislativi secondo una procedura legislativa speciale • Nel caso 1) è possibile stabilire che il Consiglio deliberi a maggioranza qualificata, nel caso 2) che si passi alla procedura legislativa ordinaria. • Le fasi della procedura: • Iniziativa del Consiglio eu; • Trasmissione dell’iniziativa ai parlamenti nazionali. Ciascuno di questi, entro 6 mesi, può opporsi all’iniziativa – impedendo che la procedura prosegua – • In assenza di opposizioni, il Consiglio eu delibera con decisione all’unanimità, previa approvazione del Parlamento eu. Qui, le differenze con la procedura ordinaria sono importanti: • Invece della ratifica da parte degli Stati membri, è sufficiente delibera unanime del Consiglio eu con approvazione del Parlamento eu. • Non è dunque mai prevista una fase che si svolga al di fuori del circuito istituzionale dell’Unione; • L’assenza di intervento diretto da parte degli Stati membri è compensata dall’obbligo di notificare ogni iniziativa del Consiglio eu – prima che Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 52 • Se si tiene conto, invece, della loro funzione costituzionale si conclude che le procedure ex art 48 TUE e le altre a questo preposte devono essere considerate obbligatorie tentare di introdurre eventuali modifiche senza seguirle le renderebbe (le modifiche) prive di valore giuridico. La Corte di Giustizia non si è mai pronunciata sul merito, ma è da ritenersi che la risposta della Corte sarebbe negativa. Va ricordata in proposito la netta presa di posizione della Corte contro il riconoscimento della possibilità che il TCE venisse modificato da una prassi difforme di Stati membri o istituzioni. SEZIONE II 3. I PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO 3.1. Rientrano tra le fonti di diritto primario anche i principi generali del diritto compresi quelli relativi alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. Hanno ampio spazio soprattutto negli ordinamenti di recente formazione o dove la produzione di norme è poco efficiente, perché servono a colmare le lacune e costituiscono punto di riferimento per l’interprete. La tipologia dei principi generali è ampia, ci possono essere: • Principi generali propri del diritto dell’Unione • Principi generali del diritto comuni agli ordinamenti degli Stati Membri • Principi generali posti a protezione dei diritti fondamentali Si distinguono dai principi generali i valori dell’Unione • hanno rilevanza sul piano politico e morale • sono il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani • connotano un modello di società europea caratterizzata da pluralismo, non discriminazione, tolleranza, giustizia, solidarietà e dalla parità tra uomini e donne 3.2. Principi generali dell’Unione Trovano espressione nella norme dei trattati, alle quali vengono assegnate carattere imperativo e inderogabile, proprio perché considerate corrispondenti ad un principio generale. Hanno grande importanza e carattere assolutamente imperativo e inderogabile. Un esempio è il principio di non discriminazione agli articoli 18 (discriminazioni legate alla nazionalità), art 19 (discriminazioni su sesso, razza, etnia, religione, handicap, età,…), l’art 40, par. 2 (discriminazioni tra produttori e consumatori), art 157 (discriminazioni sul lavoro) del TFUE. Secondo la Corte di Giustizia queste disposizioni sono applicazione del principio generale di non discriminazione e devono essere quindi interpretate in modo estensivo. • Esempio: Nozione di discriminazione alle discriminazioni palesi o dirette sono state assimilate le discriminazioni occulte o indirette. Sentenza Cowan pag. 184 Anche il campo di applicazione del principio di non discriminazione è stato interpretato in modo estensivo. Stabilire che quello di non discriminazione è un principio generale ne consente l’applicazione ad ipotesi non espressamente contemplate da alcuna delle norme richiamate è l’autonomia del principio di non discriminazione. Altra manifestazione dell’autonomia di questo principio generale di non discriminazione è ravvisabile nel principio generale di parità di trattamento o di uguaglianza RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 55 • Impone che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale • Vieta irragionevoli distinzioni di trattamento tra situazioni analoghe e impone il diverso trattamento di situazioni non comparabili Sentenza Da Silva Jorge pag. 187 La Corte, però, non ritiene che rientrino nel campo d’applicazione del principio di non discriminazione le c.d. discriminazioni alla rovescia situazioni che si creano quando norme di uno Stato membro prevedono per i propri cittadini un trattamento deteriore rispetto a quello riservato ai cittadini di altri Stati membri Tra gli altri principi generali dell’Unione vanno annoverati: • il principio di libera circolazione, • il principio della tutela giurisdizionale effettiva. • Sono talvolta considerati anche i principi all’art 5 TUE: principio di attribuzione, principio di sussidiarietà, principio di proporzionalità (anche se questi non possono trovare applicazione in contesti diversi dal loro oggetto specifico). • Il principio che vincola l’Unione al rispetto dell’uguaglianza degli stati membri davanti ai trattati e della loro identità nazionale e il principio di leale collaborazione • Altro principio è quello della fiducia reciproca tra gli Stati Membri 3.3. Principi generali del diritto comuni agli ordinamenti degli Stati membri È la seconda categoria: sono principi desunti non dal diritto dell’Unione, ma dall’esame parallelo dei vari ordinamenti nazionali. Questi principi assumono rilevanza nell’intero campo d’applicazione dei trattati e vengono usati soprattutto quando si tratta di verificare la legittimità del comportamento delle istituzioni o degli Stati membri in relazione alla posizione dei singoli. Tra questi ci sono alcuni principi inerenti all’idea stessa di stato di diritto: • il principio di legalità ogni potere esercitato dalle istituzioni deve trovare la sua fonte di legittimazione in una norma dei trattati che ne fissi le condizioni di esercizio • il principio di certezza del diritto chi è tenuto al rispetto di una norma giuridica deve essere messo in condizione di poterlo fare e di conoscere il comportamento che la norma gli impone • il principio del legittimo affidamento può essere invocato in caso di modifica normativa improvvisa e imprevedibile da parte degli operatori giuridici, senza che ciò sia giustificato da ragioni imperative di interesse generale • il principio del contraddittorio secondo cui istituzioni e organi dell’Unione, quando intendono assumere un provvedimento sfavorevole a carico di un singolo, devono consentire a questo di far valere il proprio punto di vista prima che il provvedimento stesso venga adottato • Particolare importanza ha il principio di proporzionalità implica che gli interventi della pubblica autorità limitativi della libertà o dei diritti dei singoli, per essere legittimi devono: • Essere idonei a raggiungere l’obiettivo in interesse pubblico perseguito; Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 56 • Essere necessari a questo fine, evitando di imporre ai privati sacrifici superflui. principi generali posti a protezione dei diritti fondamentali Hanno rilevanza residuale per effetto dell’entrata in vigore della Carta dei Diritti Fondamentali ma restano applicabili soprattutto a situazioni sorte anteriormente alla data di entrata in vigore della Carta, purché non esaurite. 4. La protezione dei diritti fondamentali 4.1. Sono compresi all’interno dei principi generali del diritto: sono la terza categoria che comprende i principi rivolti alla protezione dei diritti umani. Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la protezione dei diritti fondamentali dell’uomo è oggetto dell’art 6 TUE, disposizione molto articolata: “1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni. 2. L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. 3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali”. Dal testo risulta che la protezione dei diritti umani nell’ordinamento dell’UE trova la sua disciplina in una pluralità di fonti: • Carta dei diritti fondamentali dell’UE, • la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), • i principi generali di cui fanno parte i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Per il momento la CEDU non vincola direttamente l’unione, anche se il suo contenuto contribuisce a formare i principi generali. Il processo: Nell’articolo 6 sono confluiti i risultati di un lungo e tormentato processo pag. 193-194 4.3. L’affermazione della giurisprudenza della Corte di giustizia secondo cui esistono principi generali del diritto che proteggono i diritti fondamentali e che vincolano le istituzioni è strettamente collegata alla presa di posizione assunta dalle Corti Costituzionali italiana e tedesca nelle pronunce del 1973 e del 1974. Entrambe le Corti partono dal presupposto che le norme costituzionali che hanno permesso all’Italia e alla Germania di aderire alla CE non consentono di derogare a quelle altre norme costituzionali che definiscono e proteggono i diritti fondamentali della persona umana. Ne deriva che tali norme devono essere rispettate anche dagli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione. In caso contrario, le dure Corti si riservano il potere di assicurare la prevalenza delle norme costituzionali impedendo che l’atto comunitario trovi applicazione nell’ordinamento interno. Nella sentenza del 1973 Frontini, la Corte costituzionale italiana ritiene che nel caso di atti delle istituzioni che violassero “i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o i diritti inalienabili della persona umana, sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato di questa Corte sulla perdurante compatibilità del Trattato con i predetti principi fondamentali” ( c.d. teoria dei controlimiti). La Corte allude alla possibilità di dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge di autorizzazione alla ratifica e l’ordine d’esecuzione del TCE. Negli stessi anni, la Corte di giustizia elaborò in via giurisprudenziale una forma “comunitaria” di tutela dei diritti fondamentali in una serie di sentenze tale tutela viene ricondotta ai principi generali del diritto che le istituzioni devono rispettare e la cui osservanza è sottoposta al controllo della Corte. Secondo l’impostazione della Corte: RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 57 1. Articolo 53 “Livello di protezione” clausola di compatibilità “Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell'Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l'Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri”. Da questo si evince che la Carta non impedisce l’applicazione della CEDU o delle altre fonti richiamate, nella misura in cui queste prevedano una tutela più ampia di quella garantita dalla Carta. Il problema più delicato sollevato dall’art 53 riguarda la conciliazione fra la tutela dei diritti fondamentali al livello previsto “dalle costituzioni degli Stati membri” e i principi di applicazione uniforme e di primato del diritto dell’Unione: la garanzia particolarmente elevate offerta da una Costituzione nazionale a un determinato diritto fondamentale dovrebbe prevalere –per effetto dell’art 53- sul regime comune stabilito dal diritto dell’Unione e ciò vale senz’altro quando lo Stato membro gode di discrezionalità nell’attuare le disposizioni dell’Unione. Dalla giurisprudenza emerge tuttavia una diversa soluzione qualora il grado di tutela del diritto fondamentale in esame sia già stato cristallizzato da una specifica norma o atto dell’Unione: la Corte ha affermato che uno Stato membro può applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretato dalla Corte, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione. Sentenza Melloni pag. 212 e Sentenza Taricco pag. 213 2. Articolo 52 “Portata e interpretazione dei diritti e dei principi” clausola di equivalenza: Si occupa solo della CEDU: “Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell'Unione conceda una protezione più estesa”. In base a questo articolo, la Carta deve essere applicata in modo tale che il livello di protezione assicurato ai diritti tutelati anche dalla CEDU sia almeno equivalente a quello garantito dalla CEDU. Resta salva la possibilità che la protezione sia superiore e che la Carta protegga diritti non tutelati affatto dalla CEDU [ La Carta può solo estendere la portata della tutela dei diritti fondamentali rispetto a quanto già previsto da altre fonti, mai restringerla]. Perché l’art 6 ha mantenuto una struttura così complessa con questa pluralità di fonti? Ci si chiede se sarebbe stato sufficiente sancire il valore giuridico della Carta stessa • senza il bisogno di mantenere il richiamo ai principi generali tratti dalla CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, • senza bisogno di prevedere l’adesione formale dell’Unione alla CEDU. • Quanto all’adesione dell’Unione alla CEDU, la sua previsione è giustificata: si tratta di sottoporre l’Unione al controllo esterno degli organi della CEDU e in particolare della Corte EDU: tale controllo, in mancanza di adesione formale, non può essere esercitato direttamente dall’UE. Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 60 • Meno pacifica è la scelta di reiterare il richiamo ai principi generali trattati della CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, dato che c’è la Carta con valore giuridico certo. Ciò si spiega probabilmente in due modi: • La Carta è considerata come minimum standard per la protezione dei diritti fondamentali, e dunque non si deve impedire in nessun modo l’applicazione di protezione maggiore prevista da altre fonti; • Teniamo presente che, grazie al Protocollo 30, la Carta non costituisce uno standard di protezione interamente comune a tutti gli Stati membri, avendo ottenuto la Polonia e gli UK di applicarlo in modo parzialmente diverso. In questo modo, se non fosse ribadito l’impegno dell’Unione e degli Stati membri a rispettare i principi generali, si sarebbe corso il rischio di un arretramento rispetto alla situazione pre-Lisbona del livello di protezione nei due Stati membri. 6. Il ruolo dei principi generali e della Carta dei diritti fondamentali (nel sistema delle fonti) Si dice che questi abbiano una funzione strumentale, perché influiscono sull’applicazione di norme materiali derivanti da altre fonti. • I principi generali del diritto vengono in rilievo in primo luogo come criteri interpretativi delle altre fonti (norme dei trattati e atti delle istituzioni) dell’Unione in presenza di più interpretazioni possibili si dovrà scegliere la soluzione più coerente con i principi generali e con il rispetto dei diritti fondamentali. • In secondo luogo, i principi generali operano indirettamente come parametro di legittimità per gli atti delle istituzioni: possono essere annullati o invalidati per violazione di un principio o per contrarietà ai diritti sanciti dalla Carta. • In terzo luogo, i principi generali operano indirettamente da parametro di legittimità per alcuni comportamenti degli Stati membri, quando questi sono adottati in attuazione di una norma UE che ne autorizzi l’adozione. Pertanto gli interventi degli Stati membri in attuazione del diritto dell’UE devono conformarsi ai principi generali del diritto comunitario e in particolare a quelli attinenti al rispetto dei diritti fondamentali. Qualora ciò non avvenisse, tali interventi sarebbero incompatibili rispetto alla norma dell’UE che li autorizza o li prescrive e andrebbero dunque disapplicati. In genere, i diritti fondamentali vengono invocati dai singoli per opporsi a provvedimenti assunti dagli Stati membri in violazione di tali diritti . Non è però escluso che talvolta i ruoli si invertano e siano gli Stati ad invocare diritti fondamentali per giustificare i propri provvedimenti. Perché ad uno Stato membro possa essere contestata la violazione di un principio generale e/o dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta, è necessario che sussista un collegamento tra il comportamento dello Stato membro ed il diritto dell’Unione • occorre che lo Stato abbia agito per attuare una norma dei trattati o atto delle istituzioni o che almeno il comportamento contestato sia assunto in un settore del campo d’applicazione dei trattati. • In mancanza, l’obbligo degli Stati membri di rispettare i diritti fondamentali non è ricollegabile all’UE la Corte non ha competenza per assicurare il rispetto di quei diritti. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 61 È confermato dall’art 51, par. 1, della Carta dice che il dovere degli stati membri di rispettare i diritti fondamentali previsti è limitato ai casi in cui agiscono nell’attuazione del diritto dell’unione “Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi, organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’UE. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’UE nei trattati”. • La formula usata è più restrittiva della giurisprudenza, la quale estende l’obbligo per gli Stati membri di osservare i principi generali, compresi quelli relativi ai diritti umani, anche a casi in cui questi agiscono “nel campo di applicazione” dei trattati. I comportamenti degli Stati membri confliggenti con i diritti dell’uomo, anche se privi di collegamento col campo d’applicazione dei trattati, possono essere nondimeno oggetto della procedura di controllo e sanzione ex art 7 TUE, in caso di rischio di violazione grave” o di “violazione grave e persistente” dei valori di cui all’art 2 TUE, tra cui figura il <<rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze>>. Infine, dobbiamo dire che l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi generali del diritto vale per tutto il campo di attività dell’Unione, comprese le materie che prima di Lisbona rientravano nei pilastri non comunitari (PESC, CPGMP). SEZIONE III 7. Diritto internazionale generale e gli Accordi internazionali L’Unione costituisce un soggetto di diritto internazionale autonomo e gode quindi delle prerogative delle persone giuridiche internazionali: • diritto di legazione attivo e passivo, • capacità di concludere accordi internazionali con Stati terzi o altre organizzazioni internazionali, • acquisire la qualità di membro di una tal organizzazione • L’art 47 TFUE, infatti, dice che “L’Unione ha personalità giuridica”. 7.2. L’UE è pertanto tenuta a rispettare le norme di diritto internazionale generale. Un comportamento delle istituzioni assunto in violazione di una norma di diritto internazionale generale costituirebbe un illecito internazionale! E precisiamo però che le norme di diritto internazionale generale (D.I.G.) vincolano l’Unione soltanto nei confronti di soggetti terzi: gli Stati membri non possono invocare tali principi nei loro rapporti Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 62 • La Corte ammette tuttavia due eccezioni all’eccezione in cui l’utilizzabilità degli accordi OMC come parametro di Costituzionalità viene ammessa: • Che l’atto impugnato sia stato adottato proprio per dare esecuzione agli obblighi derivanti da tali accordi; • Quando l’atto impugnato richiama espressamente specifiche disposizioni degli accordi. Ulteriore caso di accordi internazionali non usati come parametro di legittimità degli atti delle istituzioni è la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. 8. I Regolamenti Il regolamento è descritto all’art 288 TFUE, al 2° comma: “Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”. Emergono tre caratteristiche dal testo dell’articolo: • La portata generale indica che il regolamento ha natura normativa e pone delle regole di comportamento rivolte alla generalità dei soggetti. Può accadere che un regolamento definisca i requisiti di fatto o di diritto richiesti per la sua applicazione in maniera che soltanto un numero relativamente ristretto di persone li soddisfi, ma non per questo si potrà dire che non abbia portata generale. • L’obbligatorietà integrale il regolamento deve essere rispettato in tutti i suoi elementi, nella sua interezza, non in modo incompleto, selettivo o derogandolo. • La diretta applicabilità “in ciascuno degli Stati membri” Ciò si traduce in due profili complementari: A. In primo luogo, la diretta applicabilità riguarda l’adattamento degli ordinamenti interni degli Stati membri, o meglio i modi in cui questo adattamento deve avvenire. L’art 288 vuole disciplinare in modo uniforme come dovranno dare applicazione al regolamento gli Stati, prescrivendo che l’adattamento avviene direttamente, immediatamente ed automaticamente, senza necessità (e nemmeno è consentito) di subordinare l’applicazione del regolamento ad un atto interno specifico di adattamento o attuazione [l’eventuale atto nazionale di recepimento sarebbe superfluo e incompatibile con il 288: se ne occulterebbe la natura comunitaria]. • N.B.: La diretta applicabilità non esclude però che gli Stati membri adottino dei PROVVEDIMENTI NAZIONALI INTEGRATIVI. • Talvolta è il regolamento stesso che chiede agli Stati di adottarne uno e possono essere provvedimenti integrativi specifici o genericamente descritti. • In altri casi, la necessità di provvedimenti nazionali integrativi, pur non essendo espressamente prevista, è implicita e discende dal principio di leale collaborazione. • In nessuno di questi casi i provvedimenti nazionali possono limitare la portata del regolamento; al contrario, devono essere contenuti entro il margine di discrezionalità conferito dal regolamento e garantire comunque il rispetto dei principi generali dell’UE. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 65 B. In secondo luogo, l’applicabilità diretta dei regolamenti implica la loro capacità di produrre effetti diretti all’interno degli ordinamenti degli Stati membri (c.d. efficacia diretta). Inoltre/ Infatti/Per questo, il regolamento è atto ad attribuire ai singoli dei diritti che i giudici nazionali devono tutelare. 9. Le direttive e le decisioni quadro dell’ex III pilastro La direttiva è descritta al terzo comma art 288 TFUE: La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”. Analizziamo le caratteristiche delle direttive: • Portata individuale: • pur essendo un atto vincolante, la direttiva non ha portata generale: ha dei destinatari definiti che possono essere uno o più di uno. • Spesso è rivolta a tutti gli stati membri: in questo caso si parla di direttive generali e lo sono le direttive legislative (adottate con p. legislativa), ma lo potrebbero essere anche quelle non legislative. • Per lo più le direttive mirano ad ottenere l’avvicinamento e l’uniformità delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in determinate materie: pertanto, anche se le direttive mancano di portata generale, tale portata hanno le misure di attuazione adottate dagli Stati membri. • È in questo senso che si dice che LE DIRETTIVE RAPPRESENTANO UNO STRUMENTO DI FORMAZIONE IN DUE FASI: 1. la prima a livello dell’Unione (si fissano gli obbiettivi e i principi generali), 2. la seconda decentrata a livello nazionale (ciascuno Stato membro attua, attraverso strumenti normativi completi e dettagliati gli obiettivi e i principi generali della direttiva). • Obbligatorietà integrale: • la direttiva è obbligatoria in tutti i suoi elementi. • Tuttavia, a differenza del regolamento, la direttiva si limita ad imporre agli Stati membri un risultato da raggiungere, lasciandoli liberi di scegliere le misure di adattamento necessarie per realizzare il risultato prescritto la direttiva comporta un obbligo di risultato, il regolamento impone un obbligo anche di mezzi. • La direttiva non gode di diretta applicabilità; distinguiamo però i due profili individuati col regolamento: 1. Per quanto riguarda la non necessità di adottare misure di adattamento, si deve affermare che la direttiva non gode della diretta applicabilità: il meccanismo descritto all’art 288 infatti richiede che la direttiva riceva attuazione da parte degli Stati membri attraverso apposite misure gli Stati membri sono tenuti ad adattare, a modificare l’ordinamento interno, per assicurare che il risultato prescritto sia raggiunto. In mancanza, la sola direttiva non è in grado di ottenere il risultato voluto. 2. Quanto al secondo profilo, ossia la capacità di produrre effetti diretti negli ordinamenti interni anche in mancanza di misure d’attuazione da parte degli Stati (efficacia diretta), la risposta è più sfumata certamente la direttiva non Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 66 gode di efficacia diretta come i regolamenti, infatti perché si possa parlare di efficacia diretta di una direttiva è necessario che siano soddisfatte alcune condizioni temporali e sostanziali individuate dalla Giurisprudenza della Corte. Inoltre, l’efficacia diretta delle direttive ha una portata ridotta ratione personarum (capitolo IV). Risulta da quanto detto che l’attuazione da parte degli Stati membri è un momento centrale e problematico per ciascuna direttiva. • L’obbligo di attuazione è assoluto per ogni Stato cui la direttiva è rivolta. L’unica ipotesi in cui è possibile omettere di attivarsi si ha quando lo Stato membro dimostra che il proprio ordinamento interno è già conforme alla direttiva (es. nel caso in cui una direttiva, nell’adottare un modello di disciplina, si ispiri alla normativa già vigente in uno Stato membro). L’obbligo va adempiuto entro un termine di attuazione fissato dalla stessa direttiva, ed è un termine imperativo e perentorio. L’obbligo di trasposizione sorge nel momento in cui la direttiva entra in vigore e lo Stato membro può attuare la direttiva anche prima della scadenza. È anche possibile procedere ad un’attuazione per tappe, purché sia completata entro il termine previsto. Al contrario, in pendenza del termine, lo Stato membro dovrà astenersi dall’adottare provvedimenti in contrasto con la direttiva o che compromettano la realizzazione del risultato che la direttiva prescrive (c.d. obbligo di standstill o di non aggravamento). Inoltre, il principio di leale collaborazione impone agli Stati membri di comunicare le misure di attuazione che essi hanno adottato. Il contenuto delle direttive: • il risultato viene definito dalla direttiva, forme ed i mezzi, vengono scelte dallo Stato membro. • Nella prassi, la distinzione tra risultati e forme-mezzi non è semplice da tracciare: determinati risultati richiedono non solo elaborazione di obiettivi e principi, ma anche l’elaborazione di un quadro normativo più dettagliato. Non è pertanto possibile individuare in via generale uno spazio di competenza riservato agli Stati membri oltre il quale la direttiva non può intervenire. • Viceversa, la frontiera tra il livello d’intervento dell’Unione e quello nazionale è frutto di valutazioni politiche delle istituzioni, operate in funzione dell’obiettivo voluto dalla direttiva e del principio di sussidiarietà. Non sono perciò fondate le accuse di illegittimità rivolte alle direttive degli anni ’80 che erano caratterizzate da una disciplina particolarmente precisa e particolareggiata (direttive dettagliate). 9.8. L’ex III pilastro. Nell’ambito di quello che, fino al T. di Lisbona era il III pilastro, le istituzioni potevano adottare tipi di atti diversi da quelli elencati dall’art 288 (vecchio art 249 TCE). L’art 34 TUE indicava infatti 4 tipi di atti tutti del Consiglio: le posizioni comuni, le decisioni quadro, le decisioni e le convenzioni. Ci soffermiamo solo sulle decisioni quadro: è un tipo di atto che si ispira al modello direttive. Con queste condivide lo scopo che la maggior parte delle direttive persegue, ossia il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Come le direttive, le decisioni quadro sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere e non per i mezzi o le forme per ottenerli. Vi è però un’importante differenza: le decisioni quadro “non hanno efficacia diretta”. È questo un problema lasciato irrisolto per le direttive (anche se ora la Giurisprudenza della Corte lo ha risolto). Dopo il T. di Lisbona, gli effetti giuridici delle decisioni quadro “sono mantenuti finché tali atti non saranno abrogati, annullati o modificati in applicazione dei trattati”. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 67 prevedere i criteri per l’attuazione delle norme dell’UE da parte del Governo, mediante decreti legislativi. Il governo è tenuto a rispettare anche il c.d. divieto del gold plating: i decreti legislativi che attuano le direttive non possono introdurre o mantenere livelli di regolazione, obblighi o oneri superiori a quelli richiesti dalla normativa dell’UE. Inoltre, i decreti legislativi devono assicurare parità di trattamento tra cittadini italiani e cittadini degli altri Stati membri. 2. Delegificazione delle materie interessate La legge di delegazione eu può contenere disposizioni che autorizzano il Governo all’attuazione delle direttive in via regolamentare, e può avvenire per direttive che riguardano materie di competenza esclusiva statale anche se si tratta di materie disciplinate con legge, ma non riservate alla legge. Il regolamento così emanato può quindi modificare norme di leggi preesistenti, grazie all’espressa autorizzazione data dal Parlamento nella legge di delegazione europea. La legge europea: Dà attuazione diretta agli obblighi derivanti dal diritto dell’UE, attraverso abrogazione o modifica di disposizioni vigenti. È un metodo utilizzabile in 4 casi: • Per abrogare o modificare disposizioni in contrasto con gli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’UE; • Per abrogare o modificare disposizioni “oggetto di procedure di infrazione avviate dalla Commissione eu o di sentenze della Corte di Giustizia; • Per dare attuazione o per assicurare l’applicazione di atti dell’UE; • Per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’UE. N.B.: è un procedimento più dispendioso, che implica approvazione del Parlamento della modifica da apportare all’ordinamento viene usato per adempimenti puntuali e di semplice definizione. La legge 234/2012 si occupa anche dell’attuazione del diritto dell’UE da parte delle Regioni. Si tende ora a riconoscere un ruolo sempre più ampio alle Regioni, salvo restando il principio della responsabilità del solo Stato nei confronti dell’UE. Infatti, l’art 117 4° comma prevede ormai che “Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”. In attuazione di detto principio, la legge del 2012 prevede che le regioni e le province autonome, nelle materie di loro competenza, possono dare immediata attuazione alle direttive, e non devono attendere prima di agire un previo intervento da parte dello Stato: possono provvedere non appena la direttiva entra in vigore e diventa quindi obbligatoria. Ciò non esclude del tutto l’intervento dello Stato. • In primo luogo, nelle materie di competenza concorrenti, è compito dello Stato la determinazione dei principi fondamentali e questo vale anche quando si tratta di attuare atti dell’Unione. I principi così individuati non sono derogabili dalla legge regionale e prevalgono sulle eventuali contrarie disposizioni emanate dalle regioni. • In secondo luogo, gli artt 117 e 120 Cost prevedono a favore dello Stato un potere sostitutivo nel caso di inadempimento regionale riguardante la normativa dell’UE. Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 70 Sul punto, la legge del 2012 ribadisce un sistema di sostituzione preventiva: lo Stato adotta provvedimenti di attuazione anche riguardo a direttive che ricadono nelle materie di competenza delle regioni. Tali provvedimenti si applicano solo a partire dalla data di scadenza dell’obbligo di attuazione di ciascuna direttiva e solo nel territorio delle regioni che non abbiano già provveduto all’attuazione. Una procedura di sostituzione successiva è disciplinata dalla legge del 2013 c.d. L. la Loggia: prevede la messa in mora preventiva della Regione che non rispetti la normativa dell’UE, con l’assegnazione di un congruo termine per adottare i provvedimenti necessari. Va segnalato che la previsione di un potere sostitutivo a favore dello Stato per il caso di inadempimento regionale non è imposta dal diritto dell’UE. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 71 PARTE IV DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA E SOGGETTI DEGLI ORDINAMENTI INTERNI 1. CONSIDERAZIONI GENERALI La caratteristica propria dell’ordinamento dell’Unione consiste nel riconoscere come titolari di soggettività giuridica non solo gli Stati membri, ma anche coloro ai quali tale soggettività spetta nell’ambito degli ordinamenti interni degli Stati membri. Le norme dell’ordinamento dell’Unione europea si rivolgono direttamente ai cittadini degli Stati membri ciò comporta che tali norme presentano due dimensioni distinte: • Una dimensione internazionale costituita dai rapporti giuridici che il diritto dell’Unione fa sorgere in capo agli Stati membri e all’Unione stessa. Il loro contenuto è costituito da diritti e obblighi che, l’Unione, attraverso le sue istituzioni, e uno Stato membro possono far valere nei confronti di un altro Stato membro o di un’istituzione. Nell’ambito di tali rapporti lo Stato membro interessato si presenta in maniera unitaria esso è espressione comprensiva di tutte le componenti in cui si articola la propria organizzazione interna (esecutivo, magistratura, enti territoriali e individui). I rapporti di tipo internazionalistico sfociano, in caso di controversia, in procedimenti giudiziari di soluzione anch’essi di stampo internazionalistico. • Una dimensione interna costituita dai rapporti giuridici interessati dal diritto dell’Unione che coinvolgono soggetti dell’ordinamento interno di ciascuno Stato membro. • Talvolta si tratta di rapporti che vedono contrapposti un soggetto privato ad un altro rapporti orizzontali • Altre volte sorgono tra soggetto privato e un soggetto pubblico rapporti verticali Il Diritto dell’Unione può fornire in tutto o in parte la disciplina di tali rapporti avviene nel campo dei regolamenti: essi sono direttamente applicabili, quindi costituiscono una fonte che assume valore normativo anche all’interno degli ordinamenti nazionali, disciplinando una nuova materia o sostituendosi a norme interne preesistenti (effetto di sostituzione). Il diritto dell’Unione può interessare la disciplina di un rapporto giuridico dettando principi generali o regole particolari che si limitano ad impedire l’applicazione di norme interne ad esse contrarie (effetto di opposizione). La disciplina del rapporto resta soggetta al diritto interno, dal quale vengono espunte le norme incompatibili con il diritto dell’Unione. In entrambi i casi (effetto di sostituzione e di opposizione), si dice che la norma comunitaria goda di efficacia diretta negli ordinamenti interni e nei confronti dei soggetti riconosciuti da tali ordinamenti. • Non è possibile definire a priori il contenuto degli effetti diretti che una norma dell’unione può produrre, essendo questi strettamente legati al contenuto della norma stessa e al contesto in cui la norma è invocata. L’efficacia diretta di una norma dell’Unione implica che il soggetto nei cui confronti la norma produce effetti favorevoli può pretenderne il rispetto da parte dell’altro soggetto del rapporto (efficacia diretta in senso sostanziale). In caso di mancato rispetto l’efficacia diretta comporta anche l’invocabilità in giudizio i soggetti favoriti dalla norma dell’Unione possono chiedere al giudice nazionale l’applicazione in giudizio della norma stessa, ottenendo la corrispondente tutela giurisdizionale. Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 72 2.6. EFFICACIA DIRETTA DEGLI ACCORDI INTERNAZIONALI • È possibile che soggetti privati siano interessati a far valere la disciplina contenuta in tali accordi, per contestare la legittimità di comportamenti o di provvedimenti degli Stati membri o delle istituzioni La verifica svolta dalla corte per decidere sull’efficacia diretta delle disposizioni contenute in accordi internazionali si caratterizza per una particolare attenzione rivolta al contesto. L’analisi si svolge in due tempi: 1. Prima bisogna dimostrare che la natura e la struttura dell’accordo permettono di riconoscere effetti diretti alle sua disposizioni in generale 2. Poi, è necessario provare che la specifica disposizione invocata presenti le caratteristiche della sufficiente precisione e della incondizionatezza 2.7. EFFICACIA DIRETTA DEI REGOLAMENTI • La diretta applicabilità dei regolamenti implica che le loro disposizioni siano anche capaci di produrre effetti diretti. • Nel caso di regolamenti che richiedono l’emanazione da parte degli Stati membri di provvedimenti di integrazione o di esecuzione, in mancanza di tali provvedimenti nazionali, occorre verificare che la disposizione regolamentare in questione presenti i presupposti della sufficiente precisione e della incondizionatezza. • Anche i regolamenti producono effetti diretti tanto nei rapporti verticali quanto in quelli orizzontali è possibile parlare di efficacia diretta verticale e di efficacia diretta orizzontale. Sentenza Leonesio e Sentenza Monte Arcosu vedi pag. 278-279 3. CASI PARTICOLARI (DIRETTIVE, DECISIONI, ATTI DEGLI EX PILASTRI NON COMUNITARI) 3.1. EFFICACIA DIRETTA DELLE DIRETTIVE Per quel che riguarda i presupposti sostanziali, anche le direttive, per essere direttamente efficaci, devono presentare le caratteristiche di sufficiente precisione e incondizionatezza. Occorre però fare delle precisazioni che riguardano: a. La portata temporale dell’efficacia diretta delle direttive -> cioè il momento a partire dal quale l’efficacia diretta si produce; b. La portata soggettiva dell’efficacia diretta delle direttive -> cioè i soggetti nei cui confronti può essere fatta valere l’efficacia diretta. Sentenza Marshall la signora contestava al suo datore di lavoro la violazione di una direttiva, avendo applicato nei suoi confronti condizioni di licenziamento meno favorevoli di quelle applicate ai lavoratori maschi. Malgrado la scadenza, le autorità UK non avevano applicato la direttiva. Allora la corte ricorda che se le disposizioni di una direttiva sono incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere nei confronti dello stato se questo non ha attuato la direttiva o l’ha fatto nel modo sbagliato. 3.2. LA PORTATA TEMPORALE. • Di effetti diretti può parlarsi dopo la scadenza del termine per l’attuazione concesso agli Stati membri per attuarla1 PERCHÉ per sua natura la direttiva NON è concepita come fonte di effetti diretti di regola RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 75 1 L’unico caso di efficacia diretta anticipata potrebbe darsi nell’ipotesi di attuazione completa effettuata prima della scadenza del termine. In questo caso lo Stato membro in questione rinuncia al termine concesso in suo favore e pertanto, qualora le misure di attuazione si rilevino inadeguate, potrebbe soggiacere anticipatamente agli eventuali effetti diretti della direttiva. ha efficacia meramente indiretta o mediata, in quanto la disciplina dei rapporti giuridici interni rientranti nel suo oggetto non viene posta dalla direttiva stessa, ma dalle norme di attuazione emanate da ciascuno Stato membro. • Può capitare che gli Stati membri attuino le direttive in ritardo o in forme non corrette e sufficienti, in modo da impedire il raggiungimento dello scopo voluto In casi del genere (che appartengono alla patologia del meccanismo delle direttive) si pone il problema di stabilire se, nonostante la mancanza o l’insufficienza delle misure nazionali d’attuazione (e quindi sempre dopo la scadenza del termine per l’attuazione), la direttiva possa produrre effetti diretti. 3.3. LA PORTATA SOGGETTIVA. • Ogni autorità pubblica è tenuta ad attuare la direttiva nel proprio ambito di competenza è possibile quindi rimproverarle di non averlo fatto La direttiva ha solo efficacia diretta verticale più precisamente ai rapporti in cui la direttiva è invocata contro un’autorità pubblica • La direttiva inattuata (anche se sufficientemente precisa ed incondizionata) non può produrre effetti diretti nei rapporti orizzontali (non ha efficacia diretta orizzontale) i privati non possono in alcun modo essere responsabili della mancata attuazione. Peraltro, se ai singoli si imponessero obblighi in base ad una direttiva inattuata, non essendo essi in grado di conoscerne con sufficiente certezza la portata, risulterebbe violato il principio di certezza del diritto. Quindi la direttiva ha solo efficacia diretta verticale mentre è priva di efficacia in due situazioni: 1. Quando la direttiva è invocata da un soggetto pubblico contro un soggetto privato c.d. rapporti verticali invertiti 2. Quando la direttiva è invocata da un soggetto privato contro un altro soggetto privato c.d. rapporti orizzontali Sentenza Faccini Dori efficacia diretta di una direttiva per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dai locali commerciali – Pag. 284. RICAPITOLANDO: 3.4. Dinanzi ad una direttiva inattuata è determinante stabilire se il soggetto nei cui confronti si intende invocare la direttiva sia un soggetto pubblico o un soggetto privato la Corte interpreta Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 76 molto ampiamente la nozione di soggetto pubblico l’obbligo di attuare la direttiva non incombe soltanto sugli organi dello Stato centrale, ma anche: 1. su qualsiasi ente di diritto pubblico interno (es. società pubblica) o su qualsiasi organismo privato 2. che “opera sotto l’autorità o il controllo dello stato” 3. incaricato dallo Stato dello svolgimento di un compito di interesse pubblico e che dispone, a tal fine, di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli. Dunque la giurisprudenza, per qualificare un ente come pubblico, segue un criterio di natura organica (l’appartenenza dello stato è intesa in senso ampio) e non funzionale Esempio della situazione all’1 è la sentenza Marshall la corte afferma che già amministrati, quando riescono a far valere una direttiva nei confronti dello Stato, possono farlo indipendentemente che si agisca come pubblica autorità o datore di lavoro. • Una direttiva inattuata può essere invocata anche contro • autorità fiscali • autorità di polizia • magistratura • autorità competenti in materia di immigrazione Il rifiuto di riconoscere efficacia diretta orizzontale di una direttiva inattuata è oggetto di critiche da parte della dottrina . • La giurisprudenza della Corte, postulando che una stessa direttiva possa avere effetti diretti a seconda del contesto in cui viene invocata (rapporto verticale, verticale invertito e orizzontale), nega che l’efficacia diretta sia una qualità obiettiva della norma stessa • ad esempio, una direttiva in materia di lavoro potrebbe essere considerata, a parità di tutte le altre circostanze, direttamente efficace o meno a seconda che sia invocata da un dipendente pubblico o privato si dà così vita ad una forma di discriminazione la cui responsabilità ricade sulla Stato membro e sulla sua mancata attuazione della direttiva. A ridurre la rilevanza della distinzione tra efficacia diretta verticale e orizzontale può fungere l’atteggiamento di non sollevare d’ufficio la questione anche qualora la situazione che induce il giudice nazionale ad adire la Corte in via pregiudiziale dovesse riguardare unicamente rapporti orizzontali o verticali invertiti • la Corte ritiene di doversi comunque pronunciare sull’interpretazione della direttiva e sulla sua idoneità in abstracto a produrre effetti diretti, senza porsi il problema se tali effetti possano essere fatti valere nel contesto del giudizio a quo. La Corte stessa ha ammesso delle eccezioni al principio giurisprudenziale che nega l’efficacia diretta orizzontale della direttiva: 1. Prima eccezione: riguarda i c.d. rapporti triangolari si tratta di quei rapporti in cui un privato invoca l’applicazione di una direttiva inattuata nei confronti di un organo pubblico, a titolo principale, ma anche nei confronti di altri soggetti privati, la cui posizione verrebbe compromessa dall’applicazione della direttiva (controinteressati). In questi casi la Corte non considera come circostanza preclusiva alla produzione di effetti diretti da parte della direttiva l’effetto pregiudizievole che indirettamente subirebbero i soggetti controinteressati; RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 77 LE DIRETTIVEINAT UATEgodonodiEFFICACIAANEIRAPPOR IV RTIC Lquandlare�vaèinvocataunprivatoc ntros gge�obblicPR VEV R ITIO ZZ NTALIaltr greca fosse condannata ad assumerli a tempo indeterminato. TUTTAVIA, la direttiva, pur imponendo agli Stati membri di prevedere delle sanzioni in caso di abuso dei contratti a tempo determinato, non prescriveva agli Stati membri l’obbligo di riconoscere ai lavoratori interessati il diritto ad ottenere la trasformazione in un contratto a tempo indeterminato -> QUINDI -> la direttiva non era sufficientemente precisa e dunque direttamente efficace -> ALLORA -> La Corte ricorda al giudice greco l’obbligo di interpretazione conforme, ma precisa che nel caso di tardiva attuazione di una direttiva, l’obbligo generale che incombe ai giudici nazionali di interpretare il diritto interno in modo conforme alla direttiva esiste solamente a partire dalla scadenza del termine d’attuazione di quest’ultima. Dalla data in cui la direttiva è entrata in vigore, i giudici degli Stati membri devono astenersi dall’interpretare il diritto interno in un modo che rischierebbe di compromettere gravemente, dopo la scadenza del termine d’attuazione, la realizzazione del risultato perseguito da questa direttiva. 3. La Corte afferma che nell’adempiere al proprio obbligo di interpretazione conforme, il giudice deve osservare i principi generali del diritto: a. i principi a tutela dei diritti fondamentali (ora previsti dalla Carta dei diritti fondamentali) l’interpretazione conforme non può condurre a risultati normativi che si pongano in conflitto con i principi generali; b. il principio della certezza del diritto e dell’irretroattività tali principi trovano particolare applicazione nel campo penale e si oppongono a che l’interpretazione conforme porti ad un aggravamento della responsabilità penale degli individui, creando nuove ipotesi di reato o estendendo il campo di applicazione di quelle già previste dall’ordinamento interno. La distinzione tra obbligo di interpretazione conforme e efficacia diretta è valorizzata dalla sentenza Pupino in cui la Corte ha affermato che l’obbligo di interpretazione conforme sussiste anche riguardo alle decisioni quadro adottate nell’ambito dell’allora terzo pilastro, nonostante l’art. 34 TUE specificasse che tali atti non avessero efficacia diretta. Tale affermazione mantiene la sua rilevanza anche dopo che il Trattato di Lisbona ha soppresso la categoria delle decisioni quadro gli effetti giuridici di tali atti, infatti, permangono fino alla loro abrogazione o modifica Sentenza Pupino la sig.ra era indagata per i reati di abuso di mezzi di disciplina e lesioni personali commessi contro alcuni suoi alunni minorenni. Il PM aveva chiesto per le vittime che l’assunzione delle loro testimonianze avvenisse anticipatamente rispetto al dibattimento, applicando le modalità dell’incidente probatorio. Il giudice delle indagini preliminari, ritenendo che tale norma avesse portata eccezionale e fosse applicabile solo ai reati, specificamente indicati, interroga in via preliminare la Corte, secondo art.35 TUE, circa l’interpretazione della decisione. Quadro 2001/220/GAI del Consiglio, sulla posizione della vittima nel procedimento penale. L’art.8 prevede che ove sia necessario proteggere le vittime dalle conseguenze della loro deposizione in udienza pubblica, ciascuno stato garantisce la facoltà, su decisione del giudice, di rendere testimonianza in condizioni che consentano di conseguire tale obiettivo e che siano compatibili coi principi fondamentali del proprio ordinamento. Il giudice a quo si chiede se la decisione quadro gli imponga di consentire l’assunzione anticipata della prova testimoniale in un tale caso. 5. IL RISARCIMETO DEL DANNO. Un’altra FORMA DI EFFICACIA INDIRETTA consiste nel riconoscere che la norma dell’Unione, anche se non direttamente efficace, può essere fonte di un diritto al risarcimento del danno. È opportuno distinguere le due ipotesi di norma direttamente efficace e norma priva di efficacia diretta: 1. L’ipotesi in cui gli organi di uno Stato membro ledano, provocando un danno, il diritto attribuito ad un singolo da una norma dell’Unione direttamente efficace tali organi sono tenuti al risarcimento del danno. In questi casi il diritto al risarcimento costituisce il corollario necessario dell’effetto diretto riconosciuto alle norme comunitarie la cui violazione ha dato origine al danno subito. Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 80 2. L’ipotesi di mancata attuazione di una direttiva priva di efficacia diretta in questi casi il comportamento omissivo degli organi statali impedisce il sorgere stesso del diritto che la direttiva intendeva garantire ai singoli. Si può parlare di efficacia indiretta della direttiva in quanto il pregiudizio subito non si rapporta alla lesione di un diritto già sorto, ma ne precede il sorgere. Questo diritto ad ottenere il risarcimento del danno subito in conseguenza della mancata attuazione di una direttiva non direttamente efficace è stato affermato per la prima volta nella sentenza Francovich. 5.4. Le condizioni definite dalla giurisprudenza perché sorga il diritto al risarcimento del danno sono 3: a. La norma dell’Unione violata deve essere diretta a conferire diritti ai singoli danneggiati, il cui contenuto possa essere individuato in base alla norma stessa; Riguardo a questa condizione, nella sentenza Francovich la Corte ha affermato che il risultato descritto da tale direttiva comporta l’attribuzione ai lavoratori subordinati del diritto ad una garanzia per il pagamento di loro crediti non pagati relativi alla distribuzione. b. La violazione della norma deve essere sufficientemente grave e manifesta Si parla di violazione grave e manifesta quando uno Stato membro, nell’esercizio del suo potere normativo, ha violato in modo grave e manifesto i limiti del suo potere discrezionale. c. Tra la violazione ed il danno deve esistere un nesso di causalità diretto. Gli organi che, con il loro comportamento commissivo od omissivo possono mettere in gioco la responsabilità per danni dello Stato membro, la Corte ha riconosciuto che possano essere organi legislativi di uno Stato, di autorità fiscali, di una cassa di previdenza per dentisti, di un ente locale, del potere giudiziario. Le condizioni formali e sostanziali, compresa la definizione del giudice competente, dipendono dalle varie legislazioni nazionali, salvo il rispetto dei limiti che devono osservare quando si applicano ad azioni aventi ad oggetto diritti dell’UE. 6. LA TUTELA PROCESSUALE DEI DIRITTI DERIVANTI DA NORME DELL’UNIONE. Le norme dell’unione possono essere invocate direttamente o indirettamente, di fronte ai giudici degli stati membri, per ottenere la tutela giurisdizionale delle posizioni create in loro favore da tali norme. La definizione degli aspetti processuali di come ciò avvenga, spetta agli ordinamenti nazionali degli stati membri nei quali la norma dell’unione è azionata. • quando manca una specifica disciplina comunitaria, è l’ordinamento interno di ciascuno stato che designa il giudice e stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziali per garantire la tutela dei diritti dei singoli. 6.2. AUTONOMIA PROCESSUALE DEGLI STATI MEMBRI. Questo principio è quello dell’autonomia processuale degli Stati membri. • Non è assoluto (non sempre le norme nazionali possono essere applicate alle azioni esercitate per la tutela dei diritti originati da una fonte dell’Unione) • Le condizioni perché il principio in questione possa valere sono 2 e sono cumulative (il giudice deve esaminare entrambe le condizioni): 1. Principio di equivalenza le modalità definite dal diritto nazionale per l’esercizio di posizioni che derivano dal diritto dell’Unione non possono essere meno favorevoli di quelle applicate per la protezione in via giudiziaria di posizioni analoghe interne; RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 81 2. Principio di effettività le modalità non possono essere tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti derivanti dalle norme dell’Unione europea. Il principio dell’autonomia processuale degli Stati membri e i relativi limiti si applicano anche nel caso di azioni per ottenere il risarcimento del danno imputabile agli organi statali per violazione del diritto dell’Unione. Anche il principio di interpretazione conforme può incidere sull’applicazione delle norme processuali interne, sia penali che civili. Sentenza Manfredi pag. 309 e sentenza Unibet 6.3. il principio dell’autonomia processuale degli Stati Membri e i limiti di tale principio si applicano anche nel caso di azioni per ottenere il risarcimento del danno imputabile agli organi statali per violazione del diritto dell’Unione. Sent. (2006) Traghetti del Mediterraneo (TMD) la Corte ha negato che la disciplina italiana della responsabilità dei magistrati risponda al principio d’effettività. TDM aveva proposto azione di risarcimento contro Tirrenia, sua concorrente nel campo dei collegamenti marittimi con le isole maggiori, accusandola di aver ricevuto dallo stato italiano aiuti pubblici vietati dal TFUE. L’azione veniva rigettata in 1° grado, in appello e dalla Corte di Cassazione. Quest’ultima aveva ritenuto che non si trattasse di aiuti incompatibili coi citati artt., ritenendo che tale soluzione risultava da una costante giurisprudenza della Corte di giustizia e rifiutando così di effettuare un rinvio pregiudiziale secondo art.267 TFUE, nonostante l’obbligo di rinvio previsto per i giudici di ultima istanza. Convinto che la sentenza della Corte di Cassazione fosse manifestamente contraria al diritto dell’UE, TDM proponeva azione di risarcimento secondo una legge che, tuttavia, impone condizioni restrittive per potere ottenere un risarcimento. Su rinvio del Tribunale di Genova, la Corte ha statuito che il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda la responsabilità dello stato per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione risulta dà un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo. Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello stato interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente. Il principio di interpretazione conforme delle norme dell’Unione può incidere anche sull’applicazione delle norme processuali interne. 7. IL PRIMATO DEL DIRITTO DELL’UNIONE La capacità del diritto di produrre effetti diretti all’interno degli ordinamenti degli Stati membri pone il problema dei conflitti che possono sorgere tra norma dell’Unione e norme interne incompatibili • essi sono risolti in base la principio del primato del diritto dell’Unione, secondo il quale le norme nazionali non possono in alcuna maniera ostacolare l’applicazione del diritto dell’Unione all’interno degli ordinamenti degli Stati membri, e quando la norma dell’Unione direttamente efficace incontra una norma interna incompatibile, il principio del primato impone che la seconda incida sulla prima. 7.2. Logicamente il principio del primato si salda con quello dell’efficacia diretta se così non fosse, la norma dell’Unione – direttamente efficace – non potrebbe creare diritti in capo ai soggetti di quegli ordinamenti degli Stati membri in cui fossero presenti norme interne incompatibili. L’efficacia della norma dell’Unione varierebbe così da uno Stato membro all’altro. • Questo è inaccettabile e incompatibile con un’esigenza dell’ordinamento dell’Unione che le sue norme siano applicate uniformemente in tutti gli Stati membri. Il principio del primato non vale in assenza di efficacia diretta Quindi la norma che sia priva di effetti diretti non può essere applicata direttamente dal giudice e quindi non può portare alla disapplicazione della norma interna incompatibile • Di recente però la corte sembra disponibile a dissociare il concetto di primato da quello di efficacia diretta, esigendo dal giudice la disapplicazione di norme interne incompatibili con norme dell’Unione senza prendere esplicita posizione sul se le norme dell’Unione siano davvero direttamente efficaci Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 82 della norma interna non compatibile: “le disposizioni del Trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l’effetto nei loro rapporti con il diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere ipso iure inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione preesistente, ma anche di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie. Questo in quanto dette disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell’ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri” ->TUTTAVIA -> l’orientamento attuale della Corte è che il fenomeno della disapplicazione quale conseguenza del primato, NON postula che a norma interna incompatibile debba essere considerata invalida: le eventuali conseguenze sul piano della costituzionalità della norma interna non sono questioni disciplinate dal diritto dell’Unione , ma dal diritto interno applicabile. Non è compatibile con il principio del primato la prassi di uno stato membro che, per ragioni di tutela del legittimo affidamento dei soggetti coinvolti, preveda che, nei giudizi tra privati, la disapplicazione della norma avvenga solo dopo che sia stato effettuato un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. L’orientamento attuale della Corte è però che il fenomeno della disapplicazione quale conseguenza del primato non postula che la norma interna incompatibile debba essere considerata invalida. 7.5. L’esigenza di assicurare la tutela giurisdizionale immediata delle norme dell’Unione produttive di effetti implica il potere per il giudice nazionale la sospensione dell’applicazione di una norma interna, in attesa che sia definitivamente accertata l’incompatibilità della norma interna con il diritto dell’Unione. 7.6. Lo Stato membro può provvedere all’abrogazione o modifica della norma interna incompatibile con il diritto dell’Unione in caso contrario, la permanenza della norma nell’ordinamento dello Stato membro mantiene gli interessati in uno stato di incertezza circa la possibilità loro garantita di fare appello al diritto comunitario. 8. LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA La Corte costituzionale italiana ha accettato con difficoltà il principio del primato: ■ INIZIALMENTE: la Corte costituzionale è partita dall’assunto che, secondo l’ordinamento costituzionale italiano, l’unico procedimento attraverso cui una legge in vigore può essere resa inapplicabile, è la dichiarazione d’incostituzionalità ai sensi dell’art. 134 Cost. DUNQUE occorre individuare un aggancio che consenta di riconoscere valenza costituzionale al diritto dell’Unione e che comporti, come conseguenza, l’incostituzionalità della norma di legge contraria. Nella sentenza 7 marzo 1964 n. 14, Costa c. Enel (relativa ad una vicenda analoga a quella che dà vita alla sentenza Costa c. Enel della Corte di giustizia, per la quale vedi pag. 6), tale aggancio costituzionale non viene rinvenuto la Corte costituzionale, poiché la legge di esecuzione del TCE è una legge ordinaria, deduce che anche le norme del TCE hanno il rango di legge ordinaria, e sono pertanto destinate a cedere di fronte ad una norma di legge successiva. DUNQUE: È netto il contrasto tra la posizione assunta dalla Corte Costituzionale italiana e quella assunta dalla Corte di giustizia: ■.1.La Corte costituzionale ritiene che il giudice italiano può applicare le norme dei Trattati (e degli atti di diritto derivato) solo se non sia intervenuta una legge interna successiva incompatibile. ■.2.La Corte di giustizia ritiene che il giudice nazionale debba sempre applicare le norme dei Trattati, disapplicando qualsiasi norma interna contraria (vedi pag. 6). ■ SUCCESSIVAMENTE: un primo avvicinamento tra le due posizioni avviene con la sentenza 30 ottobre 1975 n. 232 qui la Corte costituzionale esamina una questione di costituzionalità sollevata dalla Corte di cassazione in merito ad un decreto legislativo riproduttivo di un regolamento del Consiglio. valorizzando l’art. 11 Cost., deduce che esso non solo consente all’Italia di accettare limitazioni di sovranità con legge ordinaria, ma esige che il legislatore rispetti le limitazioni di sovranità così accettate e che non ostacoli, con l’emanazione di leggi successive incompatibili la diretta applicabilità dei regolamenti DUNQUE: per effetto del principio della successione delle leggi nel tempo: a. Se la legge precede nel tempo la norma dell’Unione europea il giudice italiano ha il potere di disapplicare una norma di legge interna contraria al diritto dell’Unione; RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 85 b. Se la legge succede nel tempo la norma dell’Unione europea il giudice nazionale dovrà sollevare la questione di legittimità costituzionale e attendere la decisione della Corte costituzionale. F 0 A 7 SUCCESSIVAMENTE: il sopravvenire della sentenza Simmenthal, nella quale la Corte di giustizia, senza dirlo espressamente, aveva preso posizione proprio contro la soluzione contenuta nella sentenza ICIC del 1975, costringe la Corte costituzionale a modificare nuovamente il proprio orientamento: l’occasione viene fornita dalla sentenza Granital dell’8 giugno 1984: Sentenza Granital: essa è originata da una controversia in materia di prelievi agricoli all’importazione. Alcuni regolamenti, così come interpretati dalla Corte di giustizia, imponevano di calcolare il prelievo secondo il tasso in vigore alla data dell’accettazione della dichiarazione d’importazione. In applicazione di alcune norme Italiane successive rispetto ai regolamenti, Granital aveva invece corrisposto prelievi calcolati secondo il tasso più favorevole intervenuto prima dell’immissione in libera pratica. Di fronte all’opposizione di Granital contro il provvedimento che le ingiungeva di versare la differenza, il Tribunale di Genova, ritenendo di essere in presenza di un’ipotesi di conflitto tra un regolamento e norme di legge successive, solleva questione di costituzionalità delle norme stesse per violazione dell’art. 11 Cort. la Corte dichiara sorprendentemente inammissibile la questione. L’aspetto di novità rispetto alle precedenti pronunce, consiste nel rifiuto di assimilare le norme dell’Unione a norme nazionali di legge da qua l’impossibilità di applicare ai conflitti tra le une e le altre i metodi di risoluzione previsti per l’ipotesi di conflitto tra norme entrambe appartenenti all’ordinamento italiano. Trattandosi di norme di ordinamenti diversi, eventuali conflitti vanno risolti in base al criterio della competenza. DUNQUE: Il giudice ordinario, senza richiedere l’intervento della Corte costituzionale, dovrà stabilire se la materia rientri tra quelle in relazione alle quali l’Italia ha accettato, in conformità con l‘art. 11 Cost., di limitare la propria sovranità in favore dell’Unione. F 0 A 7 INOLTRE: la Corte costituzionale esclude in 2 ipotesi il potere del giudice di applicare immediatamente la norma dell’Unione e disapplicare l’eventuale legge interna confliggente, esigendo invece che sia sollevata questione di costituzionalità (competenza residua della Corte costituzionale): 1. Ipotesi di norma dell’Unione contraria ai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e ai diritti dell’Uomo il giudice nazionale chiamato ad applicare una norma dell’Unione sospettata di violare tali principi, sarebbe tenuto a sollevare questione di costituzionalità relativamente alla legge di esecuzione dei trattati, in quanto da tale legge deriverebbe l’applicazione in Italia di una norma del genere è la teoria dei controlimiti 2. Ipotesi di norme di legge dirette ad impedire il rispetto dei principi fondamentali dei trattati è un’ipotesi che si ha per quelle statuizioni di legge statali illegittime perché impediscono o pregiudicano l’osservanza del Trattato in relazione al nucleo essenziale dei suoi principi. Dovrebbe trattarsi di casi caratterizzati da particolare gravità e da una comprovata intenzione di impedire l’applicazione in Italia di interi settori del diritto dell’Unione La competenza della Corte costituzionale a conoscere di conflitti tra norme dell’Unione e norme interne sussiste anche in tutte quelle ipotesi che si pongano al di fuori del giudizio di costituzionalità in via incidentale qualora un conflitto del genere venga in rilievo nell’ambito di una delle sue competenze dirette la Corte Cost. è chiamata a risolverlo, rispettando, come tutti gli organi dello Stato, il principio del primato. 8.8. RIFORMA DEL TITOLO V. Con la riforma del Titolo V della Costituzione “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario” 8.9. CONTRASTO CON NORMA PRIVA DI EFFICACIA DIRETTA. In caso di contrasto rispetto ad una norma dell’Unione priva di efficacia diretta, il giudice, non potendo procedere alla disapplicazione della legge interna, deve sollevare davanti alla Corte costituzionale eccezione di costituzionalità per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 86 PARTE V IL SISTEMA DI TUTELA GIURISDIZIONALE 1. Considerazioni generali 1.1. L’ordinamento dell’Unione comprende un sistema di tutela giurisdizionale che assicura la protezione delle posizioni giuridiche sorte per effetto del diritto dell’Unione. È ripartito su 2 livelli: 1. Corte di Giustizia dell’Unione Europea 2. Gli organi giurisdizionali degli stati membri Al primo livello -> spettano in via esclusiva alcune azioni tassativamente enumerate dai trattati che i soggetti interessati possono proporre direttamente davanti ad una delle articolazioni della Corte di giustizia (competenze dirette). Esse sono: a. Ricorsi per infrazione -> proposti nei confronti di uno Stato membro accusato di aver violato obblighi derivanti dai trattati (artt.258 e 259 TFUE); b. Ricorsi d’annullamento -> attraverso i quali viene contestata la legittimità di atti delle istituzioni (art.263 TFUE): c. Ricorsi in carenza-> attraverso i quali si vuole far constatare l’illegittimità delle omissioni addebitabili alle istituzioni (art.265 TFUE), d. Ricorsi per risarcimento -> hanno ad oggetto la responsabilità extracontrattuale delle istituzioni (art. 268 TFUE). Il TFUE attribuisce alla competenza diretta della Corte di giustizia anche altre azioni minoris generis : 1. le controversie tra le istituzioni e i propri dipendenti; 2. le controversie riguardanti la Banca Europea degli investimenti; 3. le controversie riguardanti i contratti di diritto privato stipulati dall’Unione, qualora il contratto contenga una clausola compromissoria che preveda la competenza della Corte di giustizia; 4. le controversie tra stati membri connesse con l’oggetto dei trattati, qualora le parti concludano un compromesso che le sottoponga alla Corte di giustizia. Al secondo livello, al di fuori di tali azioni, vige la competenza dei giudici nazionali • I soggetti interessati all’applicazione di una norma dell’Unione possono rivolgersi ai giudici nazionali e chiedere loro di assicurare la tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche loro spettanti • INFATTI -> art.19 TUE: “gli stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione”. L’art 274 conferma il carattere speciale della Corte di giustizia rispetto alla competenza generale dei giudici nazionali: “fatte salve le competenze attribuite alla Corte di Giustizia dai trattati, le controversie nelle quali l’Unione sia parte non sono per tale motivo sottratte alla competenza delle giurisdizioni nazionali” -> Anche un’azione proposta da un’istituzione dell’Unione ma che non rientri in alcuna delle competenze riservate alla Corte di giustizia va proposta dinanzi al giudice nazionale. •.2.IL RINVIO PREGIUDIZIALE: raccordo tra i due livelli. I due livelli di tutela giurisdizionale non operano in maniera del tutto distinta: attraverso la procedura del rinvio pregiudiziale (art. 267 TFUE) il giudice nazionale ha la facoltà o l’obbligo di deferire alla Corte di giustizia le questioni riguardanti il diritto dell’unione si instaura una collaborazione tra livello dell’Unione e livello nazionale di tutela giurisdizionale che consente di preservare il carattere uniforme delle norme dell’Unione anche nel momento applicativo. Quindi con il rinvio si evita che i giudici nazionali, nell’applicare il diritto dell’Unione, possano pregiudicare l’uniformità delle disposizioni di tale diritto, interpretandole come se si trattasse si norme del proprio ordinamento nazionale. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 87 membro essi potranno semmai denunciare la violazione alla Commissione o al proprio Stato membro per sollecitarli ad intervenire. In entrambi i casi sono previste due fasi: 1. Una fase precontenziosa preliminare ha 2 scopi: a. favorire la composizione amichevole della controversia. Imponendo alle parti di discutere e confrontare le rispettive posizioni, si può evitare l’intervento della Corte; b. fungere da condizione di ricevibilità del ricorso alla Corte. L’inserimento nell’oggetto del ricorso di contestazioni diverse da quelle sollevate nella fase precontenziosa provocherebbe l’irricevibilità parziale del ricorso. 2. Una fase contenziosa -> prevede il ricorso alla Corte di giustizia e l’emanazione di una decisione giudiziaria. 2.5. ART. 258: LA COMMISSIONE APRE IL PROCEDIMENTO. “La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea”. La scelta di dare avvio al procedimento, e anche di porvi termine, spetta alla Commissione (ha un ampio potere discrezionale). La FASE PRECONTENZIOSA (comma 1) si articola nei seguenti momenti: 1. Si invia allo Stato membro la lettera di messa in mora atto informale con cui la Commissione contesta lo Stato membro determinati comportamenti e gli assegna un termine entro il quale presentare le proprie osservazioni; 2. Lo Stato membro presenta le sue osservazioni (se non ci sono, si passa alla fese successiva); 3. La Commissione emette un parere motivato con cui espone gli addebiti mossi allo Stato e lo invita a conformarsi entro il termine fissato. Si tratta di un atto non obbligatorio: il potere di constatare l’infrazione commessa da uno Stato membro non spetta alla Commissione, ma alla Corte lo Stato membro non è obbligato a conformarsi al parere motivato, lo farà solo se preferisce evitare il ricorso alla Corte. Tale circostanza esclude l’impugnabilità dell’atto motivato. Per alcune materie si applica un procedimento speciale, in cui non è necessario esperire la fase precontenziosa (es. materia aiuti di Stato alle imprese) 2.6. Il passaggio alla FASE CONTENZIOSA (comma 2) è possibile solo una volta che il termine fissato nel parere motivato sia decorso invano. “Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea significa che essa non è obbligata a ricorrere alla Corte: potrebbe omettere del tutto il ricorso qualora lo stato membro si sia conformato al parere motivato, seppure con un leggero ritardo rispetto al termine previsto; La Commissione potrebbe anche lasciare trascorrere molto tempo prima di adire la Corte, qualora siano in corso trattative che appaiano in grado di portare ad una rapida soluzione in via amichevole. Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 90 Una volta presentato il ricorso, l’eventuale eliminazione da parte dello Stato membro della violazione contestata non comporta alcuna conseguenza sull’esito del giudizio la situazione di infrazione si cristallizza al momento della presentazione del ricorso. Qualunque evento successivo è irrilevante. Spetta alla Commissione l’onere di dimostrare l’esistenza dell’inadempimento dedotto e di fornire le prove necessarie affinché la corte possa accertare l’esistenza di tale inadempimento. 2.7 La fase contenziosa termina con una sentenza di mero accertamento della Corte • in caso di accoglimento del ricorso, si limita a riconoscere che lo Stato membro abbia mancato o meno ad un obbligo derivante dai trattati. • È una sentenza di mero accertamento (no di condanna) Lo stato membro deve prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta ma questa non indica adempimenti specifici e termini. In caso di mancata o ritardata adozione dei provvedimenti necessari a conformarsi alla sentenza, la Commissione può avviare un secondo procedimento di infrazione per violazione dell’art. 260. • Questo potrà condurre all’emanazione di una sentenza di condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria. • È oggetto di una specifica disciplina all’art 260, perché prima era previsto un procedimento uguale al 258, per cui si poteva concludere con un’altra sentenza di mero accertamento. 2.8. ART. 259: UNO STATO MEMBRO APRE IL PROCEDIMENTO. “Ciascuno degli Stati membri può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea quando reputi che un altro Stato membro ha mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati. Uno Stato membro, prima di proporre contro un altro Stato membro un ricorso fondato su una pretesa violazione degli obblighi che a quest'ultimo incombono in virtù dei trattati, deve rivolgersi alla Commissione. La Commissione emette un parere motivato dopo che gli Stati interessati siano posti in condizione di presentare in contraddittorio le loro osservazioni scritte e orali. Qualora la Commissione non abbia formulato il parere nel termine di tre mesi dalla domanda, la mancanza del parere non osta alla facoltà di ricorso alla Corte”. Tale procedura costituisce l’unico mezzo per risolvere una controversia tra gli Stati membri circa il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati, essendosi impegnati, a non sottoporre una controversia relativa all’interpretazione ed all’applicazione dei trattati a un modo di soluzione diverso da quelli previsti dal trattato. 1. Lo stato membro deve rivolgersi alla Commissione chiedendole di agire nei confronti dell’altro stato membro. 2. La Commissione deve porre in condizione gli Stati interessati “di presentare in contradditorio le loro osservazioni scritte”. 3. Poi la Commissione emette un parere motivato. • Se questo parere non è stato formulato entro 3 mesi dalla domanda, il primo stato può fare ricorso direttamente alla Corte. • In caso di inerzia della commissione lo Stato membro riacquista la propria libertà di agire e può adire alla Corte di giustizia. 4. In caso di accoglimento del ricorso la sentenza della Corte avrà le stesse caratteristiche di una sentenza a seguito di ricorso della Commissione. 3. IL RICORSO D’ANNULLAMENTO RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 91 Si contesta la legittimità degli atti delle istituzioni. Esso è disciplinato dagli artt. 263 e ss. TFUE. 3.1.MONOPOLIO DELLA CORTE SUL CONTROLLO DI LEGITTIMITÀ. Costituisce la forma principale di controllo giurisdizionale prevista per gli atti delle istituzioni mira ad ottenere l’annullamento degli atti che risultino viziati. La Corte ritiene di essere investita del monopolio sul controllo di legittimità del diritto derivato dell’Unione • INVECE i giudici nazionali, comprese le Corti costituzionali, non dispongono del potere di dichiarare invalido o anche solo di disapplicare un atto delle istituzioni che non sia già stato dichiarato invalido dalla Corte di giustizia PERCHE’ se ogni giudice nazionale potesse procedere in questo senso, si minerebbe l’uniforme applicazione del diritto UE: ciascun giudice nazionale potrebbe giungere a conclusioni diverse. Ciò comporta che: • Se il giudice nazionale nutre dubbi sulla validità di un atto delle istituzioni, non può che sottoporre una questione pregiudiziale di validità alla Corte; • I giudici nazionali possono esaminare la validità di un atto comunitario e, se ritengono infondati i motivi di invalidità addotti dalle parti, respingerli, concludendo per la piena validità dell’atto 3.2.GLI ATTI IMPUGNABILI. Il primo comma dell’art. 263 TFUE definisce gli atti impugnabili facendo riferimento a 3 criteri: “La Corte di giustizia dell'Unione europea esercita un controllo di legittimità sugli atti legislativi, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della Banca centrale europea che non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. Esercita inoltre un controllo di legittimità sugli atti degli organi o organismi dell'Unione destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi”. 1. L’autore possono essere impugnati gli atti di tutte le istituzioni (che dunque godono di legittimazione passiva nell’ambito del ricorso d’annullamento) eccetto Corte di giustizia e la Corte dei conti. 2. Il tipo si distingue tra: a. atti legislativi, SEMPRE impugnabili; b. raccomandazioni e pareri adottati da Commissione e BCE, MAI impugnabili; c. atti non legislativi, la cui impugnabilità DIPENDE DAL 3° CRITERIO (quello degli effetti) 3. Gli effetti -> sono impugnabili solo quegli atti non legislativi destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. Questo vale anche per gli atti adottati da organi e organismi dell’Unione. Per il consiglio, la Commissione, la BCE, questo scopo è raggiunto implicitamente, escludendo l’impugnabilità di raccomandazioni e pareri e ammettendo l’impugnabilità di qualsiasi altro atto di tali istituzioni. Caso particolare è dato dai c.d. atti preparatori-> atti che esauriscono le varie fasi di un procedimento complesso destinato a sfociare in un provvedimento finale: in quanto non definitivi, non sono autonomamente impugnabili. I suoi vizi vanno fatti valere impugnando l’atto finale (impugnabilità derivata). Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 92 qualificato che consente loro l’impugnazione dell’atto finale (indipendentemente dalla sua natura). Si sono stabilite condizioni di ricevibilità dei ricorsi individuali meno severe basta dimostrare solo che l’atto riguarda il ricorrente direttamente. Queste condizioni valgono solo se oggetto di impugnazione sono: • atti regolamentari ossia atti di portata generale che non hanno natura legislativa La nozione di “atto regolamentare” deve essere interpretata nel senso che include qualsiasi atto di portata generale, ad eccezione degli atti legislativi. La giurisprudenza è pervenuta ad un’interpretazione più estensiva della nozione di “atti regolamentari”, includendovi anche decisioni, purché di portata generale e non adottate secondo procedura legislativa ordinaria o speciale, e atti adottati da altri organi diversi dalle istituzioni. La nozione è stata estesa anche ad atti non adottati da un’istituzione ma da altri organi. • che non comportano alcuna misura di esecuzione a riguardo la Giurisprudenza è stata molto restrittiva 3.9. I VIZI DI LEGITTIMITÀ. L’art. 263, secondo comma, elenca i vizi di legittimità che possono essere fatti valere nell’ambito di un ricorso d’annullamento: A. Incompetenza può essere di due tipi: • incompetenza interna, nel caso in cui l’istituzione che emette l’atto non ha il potere di farlo perché tale potere spetta ad altra istituzione; • incompetenza esterna, nel caso in cui nessuna istituzione ha il potere di emanare l’atto in questione in quanto non rientra affatto nella competenza dell’Unione, ma semmai in quella degli Stati membri; B. Violazione delle forme sostanziali sussiste quando non sono rispettati i requisiti formali di importanza tale da influire sul contenuto dell’atto. • Es. forme relative al procedimento da eseguire per emanare un atto (es. obbligo di consultazione del Parlamento o del Comitato economico e sociale) o in materia di concorrenza (es. obbligo di audizione delle imprese interessate) • La forma sostanziale più importante è la violazione dell’obbligo di motivazione risulta violato quando la motivazione è del tutto assente o insufficiente. Un atto adottato senza queste formalità è viziato e deve essere annullato. C. Violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione Ingloba anche l’incompetenza e la violazione di forme sostanziali, per questo è il vizio più frequentemente invocato. In quanto espressione del principio della gerarchia delle fonti dell’Unione, può riguardare la violazione di qualunque norma giuridica che sia da considerare superiore rispetto all’atto impugnato; RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 95 D. Sviamento di potere si ha quando un’istituzione emana un atto che ha il potere di adottare, perseguendo scopi diversi da quelli per i quali il potere le è stato attribuito. 3.10. TERMINE DI RICORSO. Il termine di ricorso è di 2 mesi e decorre: • Dalla pubblicazione sulla GU se l’atto è stato pubblicato; • Dalla notificazione se l’atto è stato notificato e solo per il destinatario della notificazione; • Dal giorno in cui il ricorrente ha avuto conoscenza dell’atto in mancanza di pubblicazione o notifica. 3.11. EFFICACIA DELLE SENTENZE DI ANNULLAMENTO L’art. 264 TFUE disciplina l’efficacia delle sentenze di annullamento: “Se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell'Unione europea dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato. Tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell'atto annullato che devono essere considerati definitivi”. • Il primo comma pone la regola generale la sentenza ha portata generale e retroattiva: l’atto è nullo erga omnes e la nullità retroagisce al momento in cui l’atto è stato emanato; L’annullamento può essere anche parziale ma solo se gli elementi dichiarati illegittimi possono essere separati dal resto dell’atto. Se non è possibile, l’atto va annullato del tutto. • Il secondo comma prevede un’eccezione alla regola generale la Corte può limitare discrezionalmente gli effetti della sentenza che annulla l’atto. Più spesso la limitazione ha ad oggetto la portata temporale dell’annullamento, stabilendo che gli effetti vengano fatti valere non ex tunc, ma a partire da un momento successivo individuato dalla Corte. Ciò è giustificato dalla Corte in base ad esigenze di certezza del diritto e tutela dell’affidamento. 3.12. COMPETENZA DI MERITO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA. Il controllo sugli atti delle istituzioni esercitato dalla Corte di Giustizia è un controllo di mera legittimità la sentenza si limita quindi ad annullare l’atto I regolamenti adottati congiuntamente da Parlamento e Consiglio o dal solo Consiglio possano attribuire alla Corte di giustizia anche una competenza di merito limitata al riesame delle sanzioni previste nel regolamento stesso la Corte dispone del potere di modificare l’ammontare della sanzione. 4. RICORSO IN CARENZA È un’altra forma di controllo giurisdizionale della legittimità del comportamento delle istituzioni. È disciplinato dall’art. 265 TFUE. L’oggetto del controllo giurisdizionale è un comportamento omissivo ( detto carenza) che si assume illegittimo, perché tenuto in violazione di un obbligo di agire previsto dai trattati. I presupposti del ricorso sono: Alessandra D’Agosta – Università di Pavia – alessandra.dagosta@universitadipavia.it 96 a. L’esistenza di un obbligo di agire a carico dell’istituzione in causa -> non si può agire in carenza contro l’omissione di atti la cui adozione è affidata alla discrezionalità delle istituzioni b. La violazione dell’obbligo stesso. 4.3.CONDIZIONI DI RICEVIBILITÀ. La violazione di un obbligo di agire può essere fatta valere tramite un ricorso a condizione che: • L’istituzione, l’organo o l’organismo in causa siano stati preventivamente richiesti di agire; • Sia scaduto il termine di 2 mesi da tale richiesta senza che l’istituzione abbia preso posizione. In mancanza il ricorso non è ricevibile c’è una fase precontenziosa obbligatoria • La richiesta d’agire, nota come messa in mora deve essere formulata in modo tale che l’istituzione comprenda che, in caso di inerzia, rischia di subire la presentazione di un ricorso. • La messa in mora deve indicare con chiarezza e precisione i provvedimenti che l’istituzione è richiesta di adottare. Per interrompere la mora è sufficiente che l’istituzione prenda posizione (non è necessario che adotti i provvedimenti richiesti) -> anche un atto negativo, come il rifiuto di emanare l’atto richiesto, ovvero l’adozione di un atto di contenuto non coincidente con la richiesta costituiscono prese di posizione. • La presa di posizione deve essere definitiva, una comunicazione di carattere meramente interlocutorio lascerebbe sussistere la mora. Se l’istituzione non prende posizione entro 2 mesi dalla richiesta, il soggetto che l’ha formulata può presentare ricorso alla Corte di giustizia entro 2 ulteriori mesi fase contenziosa 4.4.LEGITTIMAZIONE PASSIVA I soggetti contro i quali può essere presentato ricorso in carenza sono: a. Parlamento europeo, Consiglio europeo, Consiglio, Commissione e BCE; b. Organi ed organismi dell’Ue. 4.5.LEGITTIMAZIONE ATTIVA. I soggetti che possono adire il giudice dell’Unione sono distinti in 2 categorie: 1. Ricorrenti privilegiati sono gli stati membri e le altre istituzioni Dispongono di un diritto di ricorso ampio e non soggetto a limitazioni attinenti all’interesse a ricorrere o al tipo di carenza contestata. 2. Ricorrenti non privilegiati ogni persona fisica o giuridica Dispongono di un diritto di ricorso limitato: • “Ogni persona fisica o giuridica può adire la Corte alle condizioni stabilite dai commi precedenti per contestare ad una istituzione, organo o organismo dell’Unione di avere omesso di emanare nei suoi confronti un atto che non sia una raccomandazione o un parere” • Inizialmente la giurisprudenza ha dato un’interpretazione restrittiva della norma: persone fisiche o giuridiche possono ricorrere solo contro l’omissione di una decisione (solo le decisioni possono essere emanate nei confronti di persona fisica o giuridica) della quale sarebbero destinatari formali. RIASSUNTO DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA 97
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