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Riassunto completo "Compendio di pedagogia dello spettacolo", Appunti di Pedagogia

Riassunto completo per l'esame di "Pedagogia sociale e della famiglia" del primo anno di Scienze Pedagogiche con il professore Stramaglia, testo: "Compendio di pedagogia dello spettacolo".

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 03/01/2022

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Scarica Riassunto completo "Compendio di pedagogia dello spettacolo" e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Compendio di pedagogia dello spettacolo. Educare nell’epoca del neo-divismo Il compendio è una sintesi sul tema dello spettacolo, può avere una valenza educativa o dis- educativa informale a seconda dei casi. Si interroga sui fenomeni, come il passaggio dal divismo al non-divismo. Premessa: La sfida comunicativa Questa opera nasce con l’intento di fornire una lettura pedagogica della società odierna e delle diverse forme di comunicazioni e spettacolo a tutti gli educatori, comunicatori, esperti di belle arti e musica. | destinatori potranno leggere la trama educativa implicita nelle diverse forme di comunicazione spettacolare (dello spettacolo), in modo tale da, diventarne critici e riscoprire quella funzione sociale dell’intrattenimento, spesso dimenticata. La nostra società è fondata sulle apparenze, siamo “spettatori” nello spettacolo ed i bisogni più intimi e reali passano in secondo piano, sfociando nella solitudine e fragilità. Basta pensare ai danni psicofisici causati agli adolescenti dai canoni di bellezza in voga o ai simboli dell’era mediatica, il lusso e la sfrenatezza che hanno reso gli adulti senza un controllo e con desiderio infinito tendente al nulla. 1. Senza Dio, senza divi. Il neo-divismo È opportuno distinguere il fenomeno del divismo da quello del neodivismo contemporaneo. Il primo risale agli inizi del Novecento, i divi nati in questo periodo hanno caratteristiche di ultra- mondanità: sono celebri, famosi e inarrivabili. Ad esempio, nessuno poteva paragonarsi a Marilyn Monroe, era talmente surreale e artefatto da incarnare l’ideal-tipo maschilista senza possibilità di replica. Marilyn incarna le qualità opposte (good - bad girl), questa dualità sarà poi adottata da molte star successive. Si tratta della “regola della contraddizione” essenziale per avere un successo mediatico. Il pubblico ama i personaggi controversi, che si mettono in gioco, che passano da “ragazzi buoni della porta accanto” a “ragazzi perversi e disinibiti” perché tutto ciò attrae e coinvolge. La narrativa spettacolare si basa sulla dicotomia buono-cattivo per vari motivi: individuare dei limiti nel mito incarnato, ha una funzione consolatoria nei riguardi delle proprie mancanze (lo spettatore fa leva sulle fragilità del personaggio pubblico e prova piacere nel distruggere la potenza dell’immagine per ricavare conforto ai propri stenti). Il rapporto con la celebrità prescelta è fanatico in quanto il fan ha rapporti conflittuali con l'eroe mitizzato. Lo spettacolo ha dato sempre in pasto le sue creature alle folle, decretandone, non solo il successo o l'insuccesso ma anche la loro salute psichica. D'altro canto, il pubblico ha sempre approvato lo scandalo (storie d'amore finite) e la controversia (litigi in TV). La dialettica good-bad-girl ha portato un successo senza precedenti a Marilyn, divenuta il più importante esempio del processo di divinizzazione della prima ondata (divismo), la cantante oltre ad essere talentuosa è passata di “divano in divano” per fare carriera. Secondo Selwyn Ford “a Marilyn piaceva la compagnia di uomini forti.. Le davano quella sicurezza di cui era drammaticamente priva”. Una celebrità odierna non avrebbe avuto le stesse difficoltà che ha avuto Marilyn nell’improvvisarsi oggetto sessuale perché oggi la costruzione sociale della celebrità segue item diversi, basati sull’esibizionismo di un falso spontaneismo, di un'innovazione continua improvvisa e soprattutto di caratteristiche di medietà. Oggi il personaggio pubblico deve sembrare “uno di casa”, non deve avere per forza doti eccezionali e deve somigliare quanto più possibile all'uomo e alla donna comune. Oggi, è di moda il dozzinale. A differenza dei tempi ti Marilyn, siamo tutti divi, attori, le celebrità devono mostrarsi al pubblico senza trucco. Marilyn Monroe è la diva-tipo del periodo divistico, mentre nel periodo neo-divistico (periodo attuale) facciamo riferimento a personaggi più o meno performanti, senza alcun talento ma onnipresenti. Le dive degli anni 80 si vedono e si sentono ancora oggi mentre le “non-dive” contemporanee si limitano nello spazio della rete e durano poco tempo perché sono poco convincenti e più persuasive. 2. Quello dello spettacolo è un problema pedagogico? La pedagogia del pop e dello spettacolo appare oggi di poco interesse per la ricerca nelle accademie italiane. Michele Baldassare distingue la personalità (l'immagine, la facciata) dal carattere (l'interno, la verità del se). Lo spettacolo mediatico a volte viene associato all'esteriorità, alla spontaneità del personaggio. La pedagogia attuale interroga l'agire didattico, la scuola, l'infanzia, l'educazione familiare mentre la pedagogia dello spettacolo è ritenuta residuale, in secondo piano rispetto ai problemi sopra citati. Gianni Borgna, nella sua opera Divi, leader e star (non pedagogica) individua i punti di riferimento delle nuove generazioni, che non sono più i genitori ma i diversi personaggi dello star system. L'autore spiega che i grandi divi contemporanei sono delle star assolute che adempiano a molti ruoli: dal cinema alla canzone, dalla pubblicità alla tv, dal ruolo paterno a quello materno e persino da filosofo a educatore. Quindi assume dei ruoli di guida, di mentore, di riferimento nel quale gli adolescenti si identificano. Questi divi presentano personalità molto simili a quelle adolescenziali, tanto che ci si rispecchiano appieno (un film può rappresentare la nostra vita come una colonna sonora). La celebrità è una entità familiare che plasmiamo a nostra immagine e somiglianza, senza domandarci se hanno ragione, perché siamo le nostre celebrità e i genitori di noi stessi. Il senso ultimo della pedagogia dello spettacolo è quello di fare in modo che le giovani generazioni sappiano leggere con un pensiero critico il testo spettacolare in modo tale da non rimanere intrappolati nei cliché. La pedagogia dello spettacolo potrebbe provare a spiegare il successo delle band a partire dalla loro nascita e costruzione. Le regole da seguire sono principalmente due: il prodotto deve piacere sia ai teen sia ai tweens (preadolescenti e adolescenti), due categorie sociali che non investono direttamente nell'industria dell'intrattenimento, ma mediante i genitori; il brand deve conformarsi a dei canoni di successo che tenderà a ripetersi sempre uguale a se stesso, per garantire un investimento economico di successo. Come, ad esempio, dopo le Spice Girl, nascono gli One Direction, vediamo che cambia la forma cambia il decennio ma non la sostanza né il prodotto commerciale. L'importanza della questione è innanzitutto educativa, troviamo le risposte evolutive che attraversano le generazioni di tutti i tempi: il bisogno di popolarità o centratura rispetto al gruppo, il bisogno di non perdere il contatto con la propria infanzia, l'ambivalenza adolescenziale, il rapporto con il corpo e con la moda e il sentimento di estraniamento chi caratterizza la crescita umana intorno alle polarità identità-appartenenza. Il saggio di Borgna si sofferma anche sul rapporto che si stabilisce tra il fan-divo a livello privato. La celebrità a sua insaputa assume le vesti del pedagogo e dell’educatore. Una responsabilità molto importante, che non può assumersi, la sua mission è vendere e far valere la sua immagine. 3. La prospettiva della chiesa Anche la chiesa si è interrogata sul tema dello spettacolo. Un'’emergenza che in primo rilievo riguarda il fatto che i media interferiscono nel processo educativo sia in maniera diretta che indiretta, sia positivamente che negativamente. Le immagini e gli esempi veicolati dai media assumono la stessa importanza di quelli testimoniati dalle figure educative. Non è ancora chiaro la pervasività del mezzo, ma è certo che i messaggi mediatici influenzano la nostra mente a tal punto da offuscarne le percezioni soggettive che non sono più soggettive, influenzando così le scelte del pubblico di ogni età, i gusti, le mode e gli stili. Il consumatore mediatico non è più un ricettore passivo perché egli interagisce con i media che gli fornisce un'illusione di una partecipazione esclusiva a un mondo iper-stimolato. L'offerta mediatica odierna si orienta verso tendenze approvazione disinibita e ingiustificata dei costumi sessuali che ha trasformato il mestiere in una professione e l'organo maschile, il più proibito, a venire esposto e ad un prezzo accessibile a tutti. L’efficacia dei prodotti commerciali, un tempo, si misurava in funzione di quanto essi fossero in grado di “trattenere”; oggi, si va nella direzione del “penetrare”, tanto più sarà in grado di entrare nelle nostri menti tanto più sarà adeguato/efficace. Non basta più far riferimento ai desideri inconsci, ma occorre che tutto sia manifesto ed esplicito: sesso senza freni, gusti sessuali senza misura, rapporti sessuali a portata di un click. AI mondo d’oggi non c’è più tempo per conoscerci, basti pensare alla trasmissione televisiva Naked Attraction, dove sconosciuti si incontrano e si conoscono per la prima volta da nudi, una volta ci si presentava con il volto e poi semmai si passava all’incontro sessuale. La sessualità oggi è diventata un mestiere, per scelta e non per costrizione, molte/i escort fanno dei propri corpi una merce, con prezzi variabili. Il sesso proibito del “Crazy Horse” si è “democratizzato”, è uscito alla scoperta tanto che oggi lo scandalo fa bene alla popolarità di un personaggio divistico o neo-divistico. Ancora una volta, è dimostrato che siamo tutti divi, con immagini pubblicate in rete e sui social, che ritraggono pose osé e non, adolescenti, adulti e persino anziani. Nell’era di Naked Attracion, divengono sempre più laiche e contemporanee le indicazioni redatte nel 1964 dalla Commissione episcopale per la gioventù, si afferma come alla precocità della maturità fisica si accompagna un ritardo nello sviluppo della personalità e l’ambiente in cui il ragazzo vive è sovraeccitato dal punto di vista sessuale. Ciò è vero se si considera che i bambini di oggi sono soggetti a un precocismo generazionale (menarca e polluzione notturne sempre più anticipate). Molti studiosi si interrogano sulla relativa immaturità di una certa generazione, più prossima al valore dell’apparire e dell'essere, difronte ad un utilizzo sempre più precoce e dannoso delle tecnologie. Dal primato del cinismo siamo giunti a quello del piacere, un piacere cinico e freddo che riduce l’altro a un puro e fruibile oggetto sessuale, sopprimendo ogni forma di immedesimazione e desiderio. Occorre quindi educare i giovani ad evitare tutto ciò che è dannoso per la loro età, in modo da salvaguardare l’integrità della loro sessualità. Il capitolo fa riferimento all’album Californication dei Red Hot Chili Pepppers, perché fa riflettere sull'importanza, ancora oggi nell’era digitale, dell'educazione analogica. Oggi l'educazione mira alla spontaneità e all’autenticità: ciascuno ha diritto a essere come vuole, a dire la sua ed a esprimere il proprio essere. AI valore dell’intimità è subentrato quello dell’extimità e di un nuovo estremismo dell’apparire. L’adulto deve saper educare ed indirizzare il ragazzo verso i giusti valori e ad evitare comportamenti e atteggiamenti controproducenti, come il primeggiare, l’utilizzo di registri comunicativi differenti a secondo dei contesti, il non essere sempre se stessi, tutto ciò perché mettono l’altro nelle condizioni di poterci attaccare facilmente. Educare ad essere autentici si, ma con i pochissimi che lo meritano. 6. Cultura “alta” e cultura “bassa” Che cos'è la cultura? Cosa significa cultura oggi? Fra le diverse definizioni prendiamo quella desumibile dal saggio di Friedrick H. Tenbruck, dal titolo L'importanza dei mass media per lo sviluppo sociale e culturale: la televisione trasmettere buoni/cattivi programmi, ma trasmette solamente le informazioni e non la cultura vera e propria. Nella dialettica di Umberto Eco, la comunicazione mediatica appartiene alla “cultura bassa”, o incultura o non-cultura. La “cultura alta” è divulgata da canali e istituzioni non mediatici e rispetta un codice comunicativo più elevato (non mass-ivo o popolare). La definizione emergente di cultura, condivisibile in parte con quella di Tenbruck è che “la cultura, oggi, è un sistema di concetti elaborati presso apposite sedi preposte al compito e tras-formati dai mezzi di comunicazione massiva”; equivale a dire che di comunicazione e educazione mediatiche debbano occuparsene gli intellettuali, come anche i pedagogisti. Lo psicologo Levitin cerca di spiegare l'attaccamento all’idolo musicale e ritiene che grazie al vincolo mutuamente rinforzato di ritmo, melodia e accenti combinato con un’esplosione di dopamina, che accompagna l’ascolto della musica. La musica ha un ruolo molto importante nei giovani, soprattutto nei processi di costruzione dell’identità. Quest’ultimi attraversano una fase di transizione, passaggio dall’infanzia all’età adulta, che può essere critica, diventano pertanto vittime del fascino dei divi, trasformati in modelli da imitare per costruire e rafforzare la propria identità. Il rapporto fra cultura “alta” e cultura “bassa” apre la questione del significato di postmodernità, altro non è che l’assimilazione di cultura “alta” e “bassa”. Il ricercatore Isidori rileva come stiamo vivendo una crisi della cultura, la società dello spettacolo è caratterizzata da una specifica tipologia di comunicazione (chiama spettacolarizzata), è dominata dall'influenza dei media e dal loro potere di modellare e trasmettere la conoscenza. Di conseguenza, le persone che vivono nella società attuale sperimentano un degrado dei valori, della cultura, dei gusti. In questa comunicazione la linea tra la serietà e il ridicolo, tra il vero e il falso è molto sfocata. Questo accade perché la comunicazione viene veicolata e modellata dall'industria dell’intrattenimento. Queste riflessioni sono venute fuori anche in ambito sociologico con Baumann in quanto la cultura oggi si conforma alla mercé del miglior offerente, per divenire un prodotto alla moda. Le varie posizione degli intellettuali sopra citati risultano essere simili, in quanto, nell'era coeva (postmoderna, dopo- moderna, tecnologica..), si assiste ad un decadimento dei valori culturali che hanno contaminato il portato teorico “puro”. Lo spettacolo se ben organizzato può educare, ad esempio l’hip hop, un genere musicale, una danza, una narrazione che ruota intorno ai bisogni giovanili, è una vera e propria espressione sociale, una filosofia di vita che rileva un approccio culturale trasgressivo e dirompente rispetto ai modelli sociali dominanti. Attraverso la cultura dell’hip hop, una cultura marginale, può risultare uno strumento di lavoro educativo efficace nella comunicazione con i minori e nella elaborazione di un progetto basato sui singoli bisogni. 7.La musica leggera Questo capitolo tratta il tema della musica pop, o leggera, con riferimento al filosofo o sociologo tedesco, ed anche musicologo, Theodor W. Adorno. Si legge nei saggi di Adorno che la musica pop viene differenziata dalla musica seria: da una parte, la musica colta o classica, dall’altra, la musica di intrattenimento o popolare. In questa scissione è presenta il genere pop, che permette agli studiosi di arte e di educazione di comprendere quei riferimenti impliciti che fanno di un brano commerciale (popolare o mainstream) un successo discografico. Il compito della musica leggera non è estraneo alle tematiche di guerra (Imagine di J. Lennon), di povertà (Contessa Miseria di Carmen Consoli), di depressione (Freelove dei Depeche Mode), insomma di eventi e stati d'animo che caratterizzano l’esistenza dell’essere umano. Vittorio Bergonzini sostiene che la musica popolare sia seria quanto quella classica, perché una canzone ben fatta può dire tante cose, racconta il presente, ricordando il passato e alludendo a un domani. Il punto centrale della questione non sta nella serietà del genere musicale o del brano ascoltato in auto o al teatro, ma sta nel vissuto personale che si accompagna allo stimolo sonoro. L'ascolto di un pezzo musicale a volte avviene per puro caso, ma è logico che il genere pop, in parte, è assoggettato alle logiche del mercato (una canzone che all’inizio non piace, a suon di venire trasmessa, finisce per piacere per forza; mentre il singolo di un artista che piace è “bello in sé” per il fan, al di là della qualità reale). Siamo toccati in prima persona dalla melodia in quanto essa parla di noi e fa da colonna sonora alle vicende che caratterizzano la nostra vita. Ogni tipo di musica ha pari dignità, colta o incolta che sia, l'ascoltatore è esposto alle medesime tonalità emotive. Non sono le emozioni ad essere dentro di noi ma siamo noi a essere dentro un’emozione. La funzione psicologica della musica consiste nell’esprimere in pochi minuti e in maniera fedele il sentire del musicista, che entra in armonia con quello dello spettatore. La funzione pedagogica invece, è nel mettere ordine (o dare una forma) all’emozione individuale, nel “fare gruppo” (sentirsi meno soli), nel sentirsi una “persona comune”, con l’artista o il pubblico. La musica, anche quella leggera, è utile a attenuare quel vuoto che ciascuno sente in quanto essere di relazione separato dall’istanza primaria (dalla Madre, da Dio, dal vero amore, a seconda dei casi), ovvero, come essere mancante. Adorno sostiene che le canzoni non sono altro che riproposizioni di filastrocche infantili, inni cantati e motivetti canticchiati da ragazzo. Ad esempio, il ritornello del brano dei Maneskin, Zitti e Buoni, adopera un modulo accrescitivo; come la canzone di Malika Ayane, Ti piaci così, che rispetta una convenzione infantile, ovvero quella di spezzare parole e suddividerle in sillabale. Le canzoni per San Remo sono state scritte mediante il ricorso a un registro scanzonato e bambinesco, con l’intento di piacere un po’ a tutti e adatte a tutte le età. Viene utilizza questa modalità perché è stato dimostrato che il decimo anno di età è fondamentale per la scelta dei gusti musicali. Intorno ai dieci anni il bambino inizia ad interessarsi veramente alla musica, da adulti la musica che ricordiamo con nostalgia è quella che abbiamo sentito in quegli anni. In specie ai tempi nostri, a dieci anni, si entra a pieno titolo nella fase preadolescenziale, autori come Lady Gaga, Justin Bieber o Emma Marrone sono stati progettati per piacere sia ai teens che ai tweens. Adorno introduce un ulteriore concetto-chiave per comprendere i segreti della musica leggera: il focus, viene centrato sul baby talk, ossia sui “modi di dire da bambini” che ritroviamo sia nella musica leggera (dance, pop, rock) ma anche in quella trap e rap, più vicina al mondo adolescenziale. L'analisi di Adorno relativa alla popular music mostra le caratteristiche proprie della musica mainstream di oggi: l’utilizzo di frasi infantili come i perché dei bambini diventano un elemento frequente del brano e la forma “sgrammaticata” del testo (l'ortografia intenzionalmente sbagliata, le abbreviazioni apostrofate di acronimi nella trap e rapper, vezzeggiativi, nomignoli nosense come trottolino amoroso du du da da). Tutto ciò è molto frequente nella musica leggera, poiché esalta la tenerezza della madre con il bambino e/o le frasi che si dicono gli innamorati nella prima fase della loro relazione. Oggi è di tendenza menzionare i nomi dei principi attivi dei farmaci (paracetamolo o ibuprofene), o nell'era gender fluid, utilizzare termini relativi a un amore “neutro”, i testi di oggi aprono al libero pensiero. Quindi, la musica leggera soddisfa i bisogni infantili e allo stesso tempo tratta di ambiti adolescenziali, i personaggi e i testi della musica pop sono portavoce del voler dire infantile. Il bambino-ragazzo si affida all’idolo pop e al testo della musica leggera, come un neonato si lascia cullare dalla mamma ascoltando una filastrocca. Questo dinamismo permane in età adulta, la musica quindi può educare e educare le emozioni, educare ai valori e all’aver cura di sé. Tutta la musica, anche la meno seria. La funzione reale della musica sentimentale è nel sollievo temporaneo, ad esempio quando si è tristi si tende ad ascoltare brani di sofferenza e malinconia, quando si è infelici, si ascolta brani strappalacrime. Si ascoltano canzoni che rispecchiano il nostro stato d'animo attuale, questo perché chi è depresso o triste si sente solo e abbandonato ed ascoltando un brano, un genere che rispecchiano il suo stato, ci si sente “più sollevati” e ciò rappresenta una via d’uscita dallo stato depressivo. 8. Una musica può fare (... la Strada) La musica ha delle caratteristiche educanti: * Essaèdiconforto. Chi suona non è mai solo poiché entra in contatto con in primis con il pubblico e se si suona con una band, con il gruppo, se si suona da soli/privato, con se stessi. * Lamusica non ha bisogno di una specifica “cultura”, per comprenderla bisogna essere sensibili. Questo permette di definire la musica “popolare”, ossia per tutti, senza distinzione di genere, etnia o fede. perché le imprese, le agenzie lavorative ma come le persone in generale consultano prima di tutto le fonti online (iscrizioni ai social network, blog e siti, video). il mondo in cui rappresentiamo noi stessi virtualmente e uno dei primi biglietti da visita per quanti intendono relazionarsi con noi. 11. Il cinema. Im-personarsi In questo capitolo si analizza il valore dell’immedesimazione dello spettatore, nel protagonista o nel personaggio di un film e il rapporto fra identità e alterità (ego e alter). Cosimo Scaglioso sostiene che la produzione cinematografica è strettamente collegata alla società del tempo, parla di virtualità educative insite nella visione filmica. Attraverso un film è possibile per l'educatore produrre nei soggetti educandi dei significati, trasmettere dei valori e orizzonti impliciti e manifesti (sceneggiature e caratteristiche dei personaggi), esemplificazioni (narrazioni suggestive, testimonianze), metafore (modi di dire, raccontare il vero), visioni (scenografie, atmosfere), arte visiva e musicale (colonne sonore). All'interno della dimensione filmica possiamo trovare dei tracciati pedagogici: il racconto, i colpi di scena, l'ipotesi di un finale diverso, la logica con cui diversi eventi si intrecciano fra loro.. sono tutti elementi che concorrono a stimolare, in ogni stagione dell'esistenza, la crudele sottigliezza del pensiero intuitivo, la saggezza del sentire, l'attribuzione di un messaggio di tipo etico o morale a vicende che ci ri-guardano. Assistere a uno spettacolo cinematografico può avere il valore di passatempo, di attività di intrattenimento, insomma il fruitore e catapultato in un mondo di cui è parte attiva, concorrendo alla costruzione delle scene con la propria fantasia percettiva e ideativa. La vita vivente nel testo del film prende forma nello spettatore. Inoltre, il film è uno dei canali artistici-espressivi privilegiati proprio perché ai potere di rispecchiamento. Lo spettatore non assiste solo ad un mero show in cui i personaggi assumono comportamenti predefiniti, ma alla delucidazione dei diversi perché, confini sottointesi o espliciti. Il cimema consente allo spettatore di varcare la soglia dell’irrealtà senza perdervisi. La visione del film ci despazializza e determporalizza, collocandoci in un altrove dove ogni cosa può avvenire, il film ci porta al punto in cui vogliamo e non oltre. Il potere simbolico della visione filmica consente il coinvolgimento a distanza di sicurezza, il quale gioca all’eroe, alla vittima, all’innmamorato senza compromettersi, o prendervi parte. Coloro che si occupano di educazione e formazione, hanno il fine la persona, il soggetto-persona, la persona in relazione, sino all’individuo stesso. È importante incontrare l’altro nella sua alterità, è per questo che si educa. Per parlare con adolescenti deviati o a rischio, può essere utile pellicole di livello diverso, da quelle commerciali a quelle d’autore. E° l’analisi del contesto a stabilire il pre- testo (materiale audio-visivo) per pervenire a uno o a più testi (contenuti educativi). Lo strumento filmico diviene una fra le diverse strategie educative e formative, la pedagogia in questa occasione mostra l’intenzionalità, la responsabilità, la cura, l’utopia, i valori, le relazioni. E’ il filtro educativo a restituire dignità al film. Il grande errore che compie la pedagogia quando si occupa del nesso cinema ed educazione, in quanto il film deve essere un modo per capire gli altri, non per autorappresentarsi. Ci si guarda in un film per tornare a se stessi, non per esserne gli stolti protagonisti. Im-personarsi nel film significa imparare a capire l’altro. Si esce dall’adolescenza come dal narcisismo (da quello giovanile a quello anziano), proprio quando si accetta che non tutto è spiegabile e che le ragioni dell’altro possono non essere le nostre. In gioco non è l’empatia, ma l’entropia (primo movimento: essere un personaggio) per ri-appartenersi (secondo movimento: tornare in sé) e guardare il personaggio dall’esterno (terzo movimento: cum-patirlo, compassione). Senza tale processo, che fine farebbe l’alterità? Il valore dell’immersione filmica è quello di sentirsi contenuti e pertanto di dirigersi verso l’altro. 12. Identità a teatro. Quando mancano i confini L'educazione teatrale consente al soggetto educandi di mettere in scena una parte di sé, ovvero quella immaginata o che il soggetto stesso non può permettersi di esibire nella vita quotidiana. Si tratta della parte più profonda di sé, che la società e l'educazione hanno represso e che prende corpo nel personaggio interpretato. Il grande attore studia il personaggio, entra in contatto con lui andando ad analizzare ogni singolo dettaglio della sua vita impadronendosi il più possibile della sua visione del mondo. Dopodiché, lo introietta (lo fa suo) e in questo gioco di scambi fra ciò che è sé e ciò che non è sé, impara a recitare se stesso nella versione del personaggio sul palco. Il teatro può essere educativo per due motivi: permette la possibilità di sperimentare parti di sé nascoste o oppresse, permette una chiave di lettura altra da quella offerta dalle proprie conoscenze ed esperienze. Per il bambino, lo spettacolo teatrale è una delle modalità preferite per sentirsi riconosciuto dai propri genitori. Tutti i bambini hanno una latente o manifestata tendenza esibizionistica e quasi tutti i genitori acconsentono che questa possa liberarsi in tutti i contesti, scuola, casa tempo extrascolastico (recite di fine anno, poesie delle feste, partite di calcio). Qual ora i genitori sono poco empatici queste occasioni vengono a mancare. Il teatro è una forma di co-educazione, auto-educazione e comunicazione, importante ad ogni età. L'educazione teatrale è funzionale alla formazione di confini relazionali: se si interpreta un ruolo, i due valori da tenere in considerazione sono il rispetto del personaggio (che è parte di me e al contempo altro da me) e la generosità verso il pubblico, che non è un mero ricettatore passivo della drammatizzazione, ma fa parte del personaggio. D'altronde il personaggio non reciterebbe in assenza di pubblico. Il confine è ciò che consente all’identità di essere se stessa (auto- riconoscimento) e non altro da se stessa, è l’istanza psichica che se gravemente compromessa, può indurre alla dissociazione. L'assenza di confini è pericolosa per sé e gli altri: chi non ha confini non riconoscenze il marito dal figlio o l’amico dalla psicoterapeuta. Chi non ha confini (ad esempio chi non dice mai di no), così come chi ha i confini troppo spessi (narcisismo patologico) tende a esprimere quasi sempre rabbia e a metter e in atto comportamenti inopportuni, rischiano un disagio psichico importante. La nostra specie è dotata di cultura, ovvero un sistema di simboli codificati e regole, senza costoro non sarebbe possibile una umanità. Chi non ha confini (o limiti, regole, certezza di sé) non ha etica, non amandosi e non amando. Il teatro restituisce a tutti gli autori un confine: dalla scenografia alle diverse sequenze teatrali, le coordinate spazio-temporali del vissuto rappresentato vincolano ciascuno ad avere la propria parte, persino nell’improvvisazione. Giovanni Cattanei, nell’opera Sociologia dello Spettacolo, identifica il teatro non come il teatro vero e proprio, ma come la vita vera, la realtà che viviamo. Partendo da questo costrutto il pedagogista e sociologo sviluppa una visione utopica della società e della persona umana. Nell’uomo c'è una dimensione scenica, una “teatralità di comportamento” che non è genuinità/naturale, ma artificio. Affinché si ridiventi se stessi, ci si deve liberare di questa scenità, che è per lo più dovuta a imitazione di modelli, quindi ad un adeguamento a schemi fuori di sé. Teatro si ha quando noi viviamo essendo noi stessi, quando estrinsechiamo noi stessi, dando luogo a situazioni vere, spontanee, rappresentando noi, in rapporto con gli altri. Non tutta la vita però è teatro, lo diventa quando persone in gruppi agiscono fra loro senza schemi, essendo liberamente se stessi. L'aspetto innovativo è individuabile nell’agire teatrale inteso come agire educativo: l’attore non è colui che si pone dinanzi a uno spettatore, ma siamo tutti, attori e spettatori, chiamati a suscitare e a educarci l’un l’altro. Il “nuovo attore” assume un ruolo pedagogico, di educatore, l’educatore vero è un attore e viceversa. La sacralità della vita è in quella situazione in cui l’uomo si riscopre, individua se stesso (non come singolo ma come uomo). E’ un rito che si verifica ogni qualvolta l’uomo rispettandosi come persona, non viola i valori che gli riguardano. Quando invece ci si ritira dalle relazioni o si vive la vita come un teatro sempre aperto, è presente il rischio della patologia o della sola “esagerazione”, fermo restando che ciò può far parte della vita di ciascuno in quanto non esistono persone equilibrate, ma persone che cercano di stare in equilibrio. Michael Jackson ha saputo legare canto, danza e teatro in un tutt'uno, non sarebbe stato il re del pop se non fosse stato sopra le righe, la sua esistenza è stata emblematica in quanto non ha avuto confini, sesso ed etnia definiti. È importante sin dalla tenera età all’anzianità educare al senso della teatralità, intendendo la teatralità del singolo come momento socializzante, cioè come momento in cui le singole personalità si fondono e si raccordano continuamente. Concependo gli attori come persone che hanno compiuto un lavoro su di sé e riducendo al mimino le situazioni che portano alla finzione, dove potrebbe esserci il rischio della perdita di confini. E° importante amare se stessi come gli altri, n equale modo, aprendo i nostri labili confini, ma non tenendoli spalancati alla mercé dei troppi immeritevoli. 13. Modi della moda: per un’educazione di classe L’ultimo capitolo cerca di spiegare il nesso moda (come il corpo è vestito) e educazione (componente etica e formale dell’agire). L'abbigliamento che ciascuno di noi predilige è un modus di entrare in confidenza con e per sé stessi e di accedere alla relazione con e per l’altro. Il capo vestiario è sia una forma di comunicazione ma anche di educazione. Ad esempio, se io accetto il mio corpo sceglierò un modus che valorizzerà la parte migliore di me, metto in mostra i fianchi piuttosto che la zona addominale. La scelta non ha solamente implicazioni comunicative (esibisco socialmente la parte migliore di me), ma anche educative (sguardo altrui) ed auto-educative (mi voglio bene e perciò mi presento nel migliore dei modi). Se ricevo ospiti con cui ho un certo grado di familiarità posso concedermi il lusso della causalità e comfort, se invece ho ospiti di un certo livello mi vesto in modo più formale. Chi tende a curarsi esageratamente, potrebbe dare l'impressione di avere qualcosa da nascondere (insicurezze, paure), chi invece si tras-cura potrebbe tendere a comunicare qualcosa (scarsa autostima di sé, poca cura e igiene personale, disagio). In entrambi i casi vi è la definizione di un’identità, la formazione esteriore del proprio essere (importante quanto quella interna), la creazione di un sentimento di appartenenza a un genere, una generazione, uno stile, un credo politico, un livello socioeconomico. Se scelgo di seguire un dress code comunico la mia volontà di far parte ad uno specifico contesto sociale, se non ne aderisco, comunico la non partecipazione ai valori di quel gruppo. La moda è dunque annunciatrice di istanze comunicative: se mi presento in tenuta sportiva ad un matrimonio è segno di attribuzione di non valore all'evento oltre che maleducazione. Se invece in veste di stilista presento modelle anoressiche, sto diseducando le masse rispetto all'educazione nutrizionale. La moda può produrre valore comunicativo, educativo o contro-educativo, a seconda dei modi delle persone di generare il valore. L’esteriorità è un modo di “dire” l’interiorità. E’ difficile pensare come un’acconciatura, un corsetto o un vestito possa cambiare il mondo ma esistono esempi storici che dimostrano come l’abbigliamento abbia favorito l’identificazione di istanze politiche e sociali. La politica ha contribuito a dare il nome a mode che si sono diffuse ben oltre il ristretto gruppo dei politici, come lo stile impero o quello vittoriano. Siamo immersi nel mondo dello spettacolo: la scelta è esserne protagonisti attivi, personaggi o mere comparse, testimoniando e lasciando il segno.
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