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Riassunto completo del libro "Il contratto in generale. Vol. 8: La rescissione, Benedetti, Sintesi del corso di Diritto Civile

Riassunto completo del libro "Il contratto in generale. Vol. 8: La rescissione, Benedetti, per Diritto Civile I.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 24/03/2023

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Scarica Riassunto completo del libro "Il contratto in generale. Vol. 8: La rescissione, Benedetti e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! RIASSUNTO COMPLETO DI “IL CONTRATTO IN GENERALE, LA RESCISSIONE (VOL. VIII)”, GIUSEPPE BENEDETTI CAPITOLO 1: DELLA RESCISSIONE STATO DI PERICOLO E LESIONE Il nostro c.c. nella disciplina della patologia del contratto prevede al capo XIII la rescissione e la disciplina degli artt 1447/8 porta a pensare che in questo capo sia regolato un unico istituto articolato in 2 figure, ma non è così. Il 1448 predica come generale l’azione di rescissione, mentre la figura del 1447 va allontanata dall’azione generale di rescissione. La lesione si apre ad una vasta problematica fondata sul sinallagma contrattuale. Il 1447, invece, soprattutto ove autorizza il giudice, nel pronunciare la rescissione del contratto concluso in stato di pericolo, ad assegnare un compenso all’altra parte per l’opera prestata, muove dall’idea che l’accordo stretto nello stato di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno alla persona è contratto che, se non è gratuito, consente solo un compenso a fronte di un’opera prestata (uno di quei contratti con causa neutra, che ammette alternativa tra onerosità e gratuità, es mandato): infatti per questa figura non si pongono i problemi inerenti al sinallagma. Nei prossimi paragrafi ci occupiamo dell’azione generale di rescissione. LA RESCISSIONE NEL CONTESTO DELL’AUTONOMIA PRIVATA La rescissione è un istituto di confine, è assieme limite e sostegno dell’autonomia privata, una figura ambigua. Da un lato ci viene presentata come un limite all’autonomia del privato, secondo la quale spetta agli interessati fissare secondo convenienza l’EQUAZIONE DELLO SCAMBIO; dall’altro si sottolinea come la libertà contrattuale vada in crisi di fronte alla lesione (si richiama il principio solidaristico, ossia la legge con questo strumento sostiene l’autonomia e libertà del privato). Solo guardando alla prospettiva dell’autonomia privata, possiamo comprendere gli aspetti più interessanti di questa figura. Basta richiamare gli artt 1322 e 1372 c.c.: spetta agli interessati stabilire il contenuto del contratto. Inoltre, si sottolinea la vincolatività del contratto poiché il giudice, nel sindacare l’adeguatezza delle prestazioni contrapposte, induce dei risvolti sia sulla libertà che sulla vincolatività contrattuale. Libertà e vincolatività sono collegate: quanto più si dilata il rimedio contro la lesione, investendo il giudice del potere di valutare l’adeguatezza delle prestazioni, tanto più si scolora la vincolatività. Quando si è dato spazio alla tutela della lesione si è finito per allentare il vincolo contrattuale, tanto che sono stati introdotti espedienti come le CLAUSOLE PENALI. Il giudice, pur potendo pronunciare la rescissione, non può modificare la situazione giuridica che deriva dal contratto al fine di conservarlo: solo il contraente contro il quale è domandata la rescissione può evitarla, offrendo una modificazione della situazione giuridica. Questo però non vuol dire che l’autonomia privata sia un dato immobile. L’ordinamento non è fermo, ma il diritto deve essere calato nella temporalità, il civilista sa che le esigenze sociali mutano. Il giudice detta nel presente con l’esperienza del passato alla stregua di una norma scritta per il futuro. In questo senso la tutela europea della concorrenza e le sentenze della corte di giustizia sono significative. Connettere la rescissione con l’autonomia privata e la libertà contrattuale è importante anche ai fini del diritto transnazionale europeo. Oggi l’esigenza della SIMMETRIA CONTRATTUALE assume un peso importante a fronte della disciplina del CODICE DI CONSUMO, che tratta dell’atto di consumo tra chi consuma e il professionista. Quindi questo ordine fondato sull’autonomia privata deve essere tenuto sotto monitoraggio, se non vuole rimanere affermazione astrattizzante. I PRECEDENTI DELL’ART 1448, IL CODE NAPOLEON E IL CODICE DEL 1865. DAL RIMEDIO PARTICOLARE DELLA RESCISSIONE DELLA VENDITA IMMOBILIARE ALL’AZIONE GENERALE DI RESCISSIONE Dobbiamo ricostruire l’essenza di questo istituto a partire dai suoi precedenti. Molta influenza sul nostro cc hanno avuto il codice precedente e il modello tedesco BGB. Il code napoleon si basava sul principio del LAISSEZ FAIRE e di fronte alla lesione arrivava ad una conseguenza estrema: IL CONTRATTO È GIUSTO. Ma questo ostracismo fu superato grazie alle obiezioni del primo console, facendo prevalere le tesi di PORTALIS: venne introdotta così la rescissione per lesione circoscritta alla vendita immobiliare, rimedio preso anche dal codice del 1865, ma dal carattere STRAORDINARIO. Il nostro lgs del ‘42 ha portato questa azione da particolare a generale: dal tipo della vendita immobiliare è stato portato nelle norme generali del contratto come schema astratto dai singoli tipi, rendendolo applicabile a tutti i contratti con prestazioni corrispettive, tranne quelli aleatori. Nel codice del 42 questa azione è preceduta da altre generali come quella di nullità e l’annullamento, ma la differenza è che queste sono sempre state generali, mentre la rescissione lo è diventata solo con il codice del 42. Già nel BGB (codice civile tedesco) c’era un modello generale di questa azione, ma era comunque molto diverso. Il fatto di rendere generale l’azione elimina anche il limite oggettivo del bene immobiliare (ricordiamo che si passa da un’economia agricola ad una fondiaria). EMERSIONE DEI MOMENTI SOGGETTIVI: STATO DI BISOGNO ED APPROFITTAMENTO Nel Code Napoleon la rescissione era giustificata così dal primo console: “se il venditore ha ceduto al bisogno, perché la legge non dovrebbe difendere il povero oppresso contro l’uomo facoltoso che per spogliarlo abusa della sua ricchezza?” (se una persona vende, pressata dal bisogno, a prezzo vile una casa o un fondo ad esempio). Emergono qui due elementi soggettivi della fattispecie lesione: LO STATO DI BISOGNO (di cui l’altra parte approfitta per trarre vantaggio) e L’ABUSO PERPETRATO. Se è vero che l’ordinamento riconosce all’accordo liberamente concluso forza di legge, questa deve essere negata quando si abusa dello strumento. Il contratto è un mezzo di circolazione della ricchezza, non uno strumento iugulatorio. FONDAMENTO DELLA RESCISSIONE: RICOSTRUZIONI DELLA DOTTRINA Nel ricercare il fondamento dell’istituto, la dottrina è andata alla ricerca di una configurazione unitaria, con la conseguenza che si è giunti a diverse e contrastanti versioni: OGGETTIVA (sproporzione tra le prestazioni) e SOGGETTIVA (stato di bisogno e approfittamento). Le dottrine più autorevoli possono essere raggruppate in 2 versanti: quello che, esaltando il momento della lesione, individua l’essenza del vizio nella causa contrattuale; quello che, esaltando il momento del bisogno e dell’approfittamento, individua un vizio della volontà. VIZIO GENETICO QUANTITATIVO DELLA CAUSA La prima dottrina, che configura il vizio genetico quantitativo della causa del contratto, se esalta la sproporzione tra le prestazioni, riduce il bisogno e l’approfittamento a mere condizioni. Tuttavia, nel mondo del diritto non esiste una meccanica corrispondenza fondata sul NESSO DI CAUSALITA’, ma è anche vero che l’argomentazione giuridica costituisce il fondamento di una serie di corollari, tra cui quello dell’adeguatezza delle prestazioni: ma questo principio non trova recezione nel nostro ordinamento e neanche nell’orizzonte dell’UE in quanto l’adeguatezza mal si concilia con il concetto stesso di autonomia. Perché? Si tratta di un difetto che non penetra nella causa, non solo nel senso qualitativo della illiceità, ma anche in senso quantitativo: se la sproporzione viziasse la causa, questa rimarrebbe viziata anche se non accompagnata dagli elementi soggettivi del bisogno e dell’approfittamento e tanto basta a far cadere il contratto. Ma allora non si comprende come mai il contratto sproporzionato sia pienamente valido ed efficace (es: al privato è consentito scambiare il bene fissandone il corrispettivo al di sotto della metà del valore di mercato). Inoltre, vi sono norme, seppur residuali, che fanno riferimento all’EQUO CONTEMPERAMENTO E AL GIUSTO PREZZO. Il contratto economicamente sproporzionato rimane fermo. VIZIO DELLA VOLONTA’ La seconda dottrina fa riferimento agli elementi soggettivi e ai vizi di volontà. Anch’essa non può essere accolta perché il vizio della volontà rileva di per sé, penetra nella struttura del consenso corrompendola, a PARITA’ DEI CONTRAENTI. Parliamo dell’ACCORDO IUGULATORIO: esso è viziato nelle condizioni della contrattualità, LIBERTA’ E PARITA’, e il vizio deve essere tale da indurre esiti di misura abnorme che la legge fissa oltre la metà (LAESIO ENORMIS). La prospettiva della fattispecie ha dominato a lungo la dottrina tradizionale: anche i momenti precedenti all’accordo (come il mettersi d’accordo) sono stati attratti nel concetto di fattispecie, o meglio in una sua sottospecie costruita come FATTISPECIE A FORMAZIONE SUCCESSIVA. Benedetti critica l’idea di fattispecie a formazione successiva in quanto, se adatta a spiegare talune figure, non lo è per altre. Benedetti si batte per contrapporre alla fattispecie contrattuale un concetto di PROCEDIMENTO DINAMICO, più idoneo non solo a rappresentare la sequenza formativa, ma anche a creare il luogo di impostazione dei problemi degli atti, come la proposta, la revoca, l’accettazione etc…PROCEDIMENTO E FATTISPECIE non sono altro che due prospettive diverse necessarie a risolvere i problemi. Gli atti del procedimento sono quindi in dimensione dinamica e non vanno confusi con gli elementi della fattispecie. Anche la Cass conferma questa visione, dando rilievo a momenti esterni alla fattispecie contrattuale, in particolare ai comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative: questa giurisprudenza, superando il dogma della fattispecie, giunge quindi a riconoscere la RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE anche in presenza di un contratto valido (nella pronuncia della Cass si trattava dell’obbligo di comunicazione della parte strumentale ai fini delle conseguenti dichiarazioni dell’altra, successive alla conclusione. L’inosservanza di tali obblighi non comporta l’invalidità del contratto, ma fa sorgere una responsabilità). Bisogna distinguere tra REGOLE DI VALIDITA’ E REGOLE DI COMPORTAMENTO. Questa sentenza è importante per questa ricerca perché permette di superare il dogma della fattispecie, dando rilievo ai comportamenti tenuti dalle parti prima e dopo la conclusione. Questo indirizzo innova rispetto alla tradizione, secondo la quale quei comportamenti estranei alla fattispecie contrattuale, rimangono assorbiti in essa; invece, anche in presenza di un contratto concluso, valido ed efficace, si può ancora indagare sulla legittimità o meno di comportamenti tenuti nel corso della trattativa o in sede di esecuzione, per far emergere la rilevanza giuridica di un danno risarcibile derivante da essi. Il discorso si allarga individuando uno spazio giuridico esterno alla fattispecie, in cui si collocano comportamenti giuridicamente rilevanti che non incidono sulla fattispecie. tuttavia, anche la distinzione tra regole di validità e di comportamento vale in senso assoluto: oltre ai comportamenti, bisogna considerare anche situazioni e fatti antecedenti o successivi alla conclusione. Accanto alla struttura della fattispecie contrattuale deve sorgere una STRUTTURA CONTESTUALE dai contorni elastici e frastagliati, ed è proprio in questa struttura che per Benedetti devono essere collocate quelle DISPARITA’ DI POTERE CONTRATTUALE: libertà di contrarre ed uguaglianza di posizione sono PRESUPPOSTI del contratto. IL DIRITTO EUROPEO DEI CONTRATTI È compito della dottrina trovare spazi e luoghi ove convogliare e sistemare le ricche analisi della complessità che caratterizza il nostro tempo. Oggi il giurista deve essere attento e rigoroso: non può chiudersi nell’impianto dogmatico del passato, ma deve aprirsi al nuovo. Parlando di parte generale (diritto comune dei contratti) e parte speciale (norme di settore) bisogna muoversi in 2 direzioni: se da una parte si deve constatare che la normativa più massiccia è quella di settore, in essa è dato cogliere regole di portata generale. Se la legislazione si è mossa prevalentemente su norme di settore, la dottrina all’opposto ha considerato tra i compiti principali di elaborare un CODICE EUROPEO DEI CONTRATTI IN GENERALE. L’armonizzazione si realizza con una disciplina uniforme della parte generale dei contratti. Vi sono significative discipline generali, come quella sulle clausole vessatorie, contenute prima nel libro IV del cc e poi trasferite nel codice di consumo: proprio in questo quadro rientrano il DOVERE DI INFORMATIVA e I CONTRATTI ASIMMETRICI. Bisogna armonizzare la disciplina vigente, con una rilettura delle vecchie norme che conferisca loro valore attuale. La lesione non è l’invalidità del contratto, ma si pone sul piano dell’INEFFICACIA. B) TRATTAMENTO, VARIAZIONI IN TEMA DI INEFFICACIA La lesione è INEFFICACIA. Questa parola è ambigua per la pluralità di significati. La dottrina le ha dato diverse connotazioni: mancanza di effetti da sempre e per sempre; mancanza di effetti attuali in attesa di effetti futuri. In questa parola poi si sono ricomprese ipotesi di privazione dell’efficacia, ex tunc ed ex nunc, per le parti e per i terzi. Questa privazione può inserirsi anche in una vicenda fisiologica, com’è la condizione risolutiva, o patologica, in quanto dipendente dall’invalidità, ovvero quale rimedio di un vizio di atto valido, come la rescissione. Una dottrina autorevole ha precisato che la categoria della SEMPLICE INEFFICACIA è generica e può assumere rilievo soltanto negativo (ossia essa non dipende dall’invalidità del negozio). Si ha inefficacia semplice nei casi in cui il negozio valido è o diviene inefficace. La differenza tra invalidità e inefficacia è che la prima dipende da un vizio del negozio in uno dei suoi elementi costitutivi, mentre la seconda postula la validità del negozio e dipende da un fatto esterno alla struttura del negozio (nella struttura concettuale). Sotto questo punto di vista, la rescissione è la caducazione degli effetti di un contratto all’origine efficace, che necessita della pronuncia del giudice, senza pregiudicare i diritti acquistati dai terzi. Un’inefficacia evitabile con l’offerta di riduzione ad equità. Un altro problema riguarda i rapporti tra RESCISSIONE E USURA. Per la legge il contratto rescindibile non è un contratto illecito, mentre quello usuraio lo è, tanto da essere colpito da nullità di protezione e da sanzione penale. CAPITOLO II: IL RIMEDIO RESCISSORIO, IL TRATTAMENTO IL PERDURARE DELLA LESIONE AL MOMENTO DELLA DOMANDA: ESSENZIALE DELLA MOBILITA’ DELLA LESIONE Abbiamo detto che il vizio rescissorio oltrepassa gli elementi del contratto, cioè oltre la fattispecie contrattuale sbocca in una struttura ad essa contestuale di rilevanza sostantiva. Condizione dell’azione di rescissione è il perdurare della laesio enormis sino al tempo della proposizione della domanda. La lesione ha un rilievo BIDIMENSIONALE perché va colta nella PROSPETTIVA STATICA, perché il secondo comma del 1448 ne fissa la misura facendo riferimento al valore reale delle prestazioni al tempo della conclusione del contratto e in una DINAMICA, perché il terzo comma fissa il termine cronologico di rilevanza della lesione al tempo in cui la domanda è proposta: basta che manchi uno solo di questi due momenti per escludere la pronuncia di rescissione. Tuttavia il testo della legge pone il dubbio circa la rilevanza della sproporzione nel periodo intermedio tra la conclusione e la proposizione della domanda: la norma utilizza infatti il verbo “perdurare”, che significa “persistere senza interruzione né attenuazione” e ciò è confermato dal fatto che sia agganciato alla locuzione “fino al tempo”. È prevalsa nella disciplina positiva un’interpretazione TELEOLOGICO-FUNZIONALE, secondo la quale il periodo intermedio non assume alcun rilievo. È sufficiente che la sproporzione sussista, e non solo sia provata, al momento della conclusione e a quello in cui è proposta la domanda. La prova è ammessa senza limiti. La disciplina positiva poi dà la possibilità di dare rilievo anche al momento successivo alla proposizione della domanda con la reductio ad aequitatem, fondata su un atto dispositivo del convenuto o da un qualsiasi fatto che ponga a disposizione della parte lesa un valore economico sufficiente ad eliminare le conseguenze pregiudizievoli della sproporzione. Qui emerge l’ineludibilità della prospettiva del rapporto ai fini della tutela rescissoria. PRESCRIZIONE Il 1449 stabilisce che l’azione si prescrive in un anno dalla conclusione del contratto e che la rescindibilità del contratto non può essere opposta in via di eccezione quando l’azione è prescritta. Tali regole confermano la netta distinzione tra il rimedio rescissorio e l’invalidità del contratto: infatti l’azione di nullità non è soggetta a prescrizione, mentre quella di annullamento si prescrive in 5 anni dal tempo in cui la causa del vizio è cessata. Eloquente appare la diversità in ordine al termine iniziale per il decorso della prescrizione dell’azione di rescissione e di annullamento del contratto. Per l’annullamento la legge prevede lo slittamento del dies a quo al tempo in cui sia venuto meno il vizio del consenso, sia cessato lo stato d’interdizione o d’inabilitazione, ovvero il minore abbia raggiunto la maggiore età; invece per l’azione di rescissione decorre sempre ed esclusivamente dalla conclusione del contratto. Inoltre, solo nel contratto annullabile è ravvisabile un vizio della fattispecie contrattuale: la rescissione invece offre rimedio a fronte di un vizio non interno alla fattispecie contrattuale, ma esterno ad essa e cioè in una struttura contestuale, quindi idoneo ad incidere sulla stabilità del vincolo. Quanto all’attualità della lesione, la giurisprudenza ha posto in risalto che tanto nell’ipotesi in cui nel contratto la determinazione del prezzo sia rinviata ad un momento successivo, quanto in quella di fattispecie sottoposta a condizione sospensiva, il dies a quo per il decorso del termine non è quello della conclusione del contratto ma quello successivo della determinazione del prezzo o dell’avveramento della condizione. OFFERTA DI MODIFICAZIONE DEL CONTRATTO Abbiamo visto che per rinvenire la regola più giusta a disciplinare i casi sempre nuovi emergenti dal fluire della vita, la fattispecie del concetto deve librarsi in un sistema aperto, esaltando la contemporaneità. A tale nuovo orizzonte si giunge non solo in una prospettiva DIACRONICA, per effetto di un mutamento del tessuto normativo e sociale, ma anche SINCRONICA. Il 1450 prevede che il contraente contro il quale sia proposta domanda possa evitare la rescissione offrendo una modificazione del contratto sufficiente a ricondurlo ad equità: si tratta di un atto spontaneamente dichiarato dal profittatore per tenere fermo il vincolo contrattuale. Il giudice può pronunciare la rescissione, ma non può modificare il contratto. Diverse sono le tesi elaborate. Per alcuni si tratta di un ATTO SOSTANZIALE, mentre per altri di un ATTO PROCESSUALE volto ad una pronuncia costitutiva o di accertamento. il contenuto dell’offerta può essere vario: spetta all’offerente determinare la misura della modifica da apportare alla prestazione lesiva, ovvero questa determinazione può essere demandata al giudice. In caso di accettazione dell’offerta, il contratto rescindibile sarà sostituito da un nuovo contratto e si determinerà l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere. L’accordo modificativo può integrare anche gli estremi della transazione (non suscettibile a sua volta a rescissione). Se l’offerta non viene accettata, sarà apprezzata dal giudice, ossia sarà da questo valutata: se verrà ritenuta adeguata, indurrà una sentenza di ACCERTAMENTO COSTITUTIVO (costitutiva perché è necessaria la valutazione equitativa dell’equità, ma di accertamento perché il giudice si limita a dichiarare l’equità della modificazione operata dal profittatore). Si determina una VICENDA DEL RAPPORTO GIURIDICO poiché crea una situazione nuova che modifica quella lesiva preesistente. Se l’offerta rifiutata viene ritenuta iniqua dal giudice, questi accoglierà la domanda del contraente che ha subito la lesione e pronuncerà la rescissione. L’offerta di riduzione può essere anche rimessa all’arbitrio del giudice, il quale assume la veste di ARBITRATORE (in questo caso il giudice non potrà pronunciare la rescissione, dovendo limitarsi a stabilire i termini della modificazione per poter ricondurre il contratto ad equità). Il contenuto dell’offerta deve essere tale da eliminare la sproporzione tra le prestazioni. Diversa è la previsione per la RESCISSIONE DELLA DIVISIONE, al fine di impedire la quale è richiesta non la semplice riduzione ad equità, ma la dazione del SUPPLEMENTO DELLA PORZIONE EREDITARIA, in danaro o in natura, all’attore e agli altri coeredi (per la divisione non è richiesta una lesione dipendente da particolari condizioni soggettive, ma solo l’oggettiva corrispondenza tra la quota spettante e la porzione assegnata). Infine, dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che l’offerta debba essere tale da eliminare la sproporzione nel momento in cui viene effettuata la prestazione o viene pronunciata la sentenza. INAMMISSIBILITA’ DELLA CONVALIDA Secondo la dottrina, la convalida in questo contesto si presenta priva di giustificazione logica e sistematica. Per comprendere la genesi di questa previsione, dobbiamo tornare indietro. Il codice del 1865 stabiliva all’art 1529 che il venditore leso aveva il diritto di chiedere la rescissione “ancorché nel contratto avesse rinunziato alla facoltà di domandare una tale rescissione”: questo per evitare che l’acquirente potesse imporre al venditore una clausola di rinunzia all’azione di rescissione inserita nel contratto stesso. Il codice vigente si è preoccupato di estendere la tutela al periodo successivo alla stipulazione. La convalida si limiterebbe a precludere l’impugnazione alla parte cui spetta l’azione. Inoltre, essa lascia l’assetto economico così com’è, lo cristallizza giacché consente alla parte legittimata di avvalersene convalidandolo. dibattito tra il significato di questa norma e quella corrispondente del codice del 1865 (il quale aggiunge “qualunque atto qualificato con titolo di vendita, permuta, transazione o in qualsiasi altra maniera”). Inoltre la norma del 1865 utilizza l’espressione “che abbia per oggetto” mentre la nostra norma “che abbia per effetto”: gli autori si sono chiesti quindi se ci fosse o meno la rilevanza dell’elemento soggettivo (nel caso del termine “effetto” la questione si risolve negando la rilevanza della QUAESTIO VOLUNTATIS). Si pose poi il problema di capire in che categoria si collocassero questi atti e come si determinasse lo scioglimento. La divisione lo realizza attraverso l’APPORZIONAMENTO: è divisione l’atto che produce l’effetto di sciogliere la comunione attraverso la formazione e assegnazione delle porzioni, le quali devono corrispondere alla misura segnata dalla quota (corrispondenza proporzionale tra quota e porzione). Quali sono le somiglianze e diversità tra la divisione e gli atti ad essa equiparati? Per capirlo dobbiamo soffermarci sull’effetto divisorio e sull’apporzionamento. La questione si risolve nel senso che è equiparato l’atto che, senza indurre la cessazione integrale della comunione, realizza un’attribuzione patrimoniale il cui valore è rapportato a quello dell’intero nella misura indicata dalla quota: l’atto equiparato è quello compiuto dai coeredi o condomini tra loro e non verso un soggetto estraneo alla comunione e suo tratto essenziale è l’uscita di uno o più coeredi dalla comunione (che continua a sussistere) e l’applicazione del principio di proporzionalità tra quota e porzione. Gli atti equiparati producono effetti loro propri diversi da quelli della divisione. Possono indicarsi come atti equiparati la vendita non totalitaria di beni in favore di uno o più condomini e la cessione non totalitaria di quota a favore di uno o più condomini fuori dei casi della vendita a rischio e pericolo. DIVISIONE TRANSATTIVA E DIVISORIA Il 764 afferma che l’azione di rescissione non è ammessa contro la transazione con la quale si è posto fine alle questioni insorte a causa della divisione o dell’atto fatto il luogo della medesima, ancorché non fosse al riguardo incominciata alcuna lite. Questa norma pone il problema di quale tipo di transazione sia esclusa dal rimedio rescissorio: per questo molti hanno proposto la distinzione tra DIVISIONE TRANSATTIVA E TRANSAZIONE DIVISORIA. La differenza tra le due è che, a fronte di una controversia divisionale, solo nella divisione transattiva c’è proporzionalità tra attribuzioni patrimoniali: di qui l’applicabilità del rimedio rescissorio. In realtà la questione deve essere risolta distinguendo il CAPUT CONTROVERSUM (questioni che sono state oggetto di controversia fra le parti, definitivamente risolte con l’accordo transattivo) dal CAPUT NON CONTROVERSUM. Quando la legge esclude dal rimedio la transazione, si tratta di una transazione con la quale si è posto fine alle questioni insorte a causa della divisione o dell’atto equiparato: quindi occorre che il caput controversum incida sulle questioni divisorie. Inoltre, la transazione non si caratterizza per il solo componimento della lite, poiché questo deve realizzarsi con le RECIPROCHE CONCESSIONI (“con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti”). Il 764 deve essere posto in collegamento con il 1970 (la transazione non può essere impugnata per causa di lesione) e il 1969 (la transazione non può essere annullata per errore di diritto relativo alle questioni che sono state oggetto di controversia tra le parti). Quindi non è rescindibile la transazione divisoria in ordine alle questioni divisorie insorte a causa della divisione. Riassumendo: 1. La divisione richiede una disciplina specifica sulla lesione, che è ridotta al quarto e prescinde dallo stato di bisogno e approfittamento; 2. La stessa disciplina è estesa agli atti equiparati alla divisione. 3. Tale disciplina è esclusa per la transazione, ma solo per quella con la quale si è posto fine alle questioni insorte a causa della divisione o atto equiparato, e non anche per la divisione transattiva, che in ragione del principio della proporzionalità, resta soggetta alla rescissione; 4. La vendita della quota a rischio e pericolo incompatibile con il principio della proporzionalità non ammette il rimedio rescissorio. VENDITA DEL DIRITTO EREDITARIO FATTA AL COEREDE È esclusa la rescissione contro la vendita del diritto ereditario fatta senza frode a uno dei coeredi, a suo rischio e pericolo, da parte degli altri coeredi. La norma ha fatto sorgere un dibattito in ordine all’interpretazione delle locuzioni “a rischio e pericolo” e “senza frode”. Il primo viene ricondotto al concetto di vendita aleatoria, sicché l’esclusione del rimedio deriverebbe proprio dalla natura aleatoria del contratto (i contratti aleatori non sono rescindibili per lesione). Per altri invece questa locuzione conterrebbe un’INCERTEZZA SOGGETTIVA circa la consistenza economica della quota venduta, risultando assimilabile alla fattispecie della vendita di eredità: in questo caso l’esclusione del rimedio deriverebbe dall’assenza del principio di corrispondenza tra quota e porzione assegnata al condomino. Per quanto riguarda la locuzione “senza frode” molti hanno parlato di DOLO COMMISSIVO, di accordo delle parti in frode alla legge, di DOLO OMISSIVO. Escluse le prime due, la norma conterrebbe una previsione di dolo omissivo, ovvero di semplice conoscenza del valore esatto del patrimonio ereditato da parte del contraente che profitta della vendita. LA RESCISSIONE-RISOLUZIONE DEL CONTRATTO DI DIRITTO PUBBLICO L’allegato F della legge 2248/1865 (legge base sui lavori pubblici) recita all’art 340: “l’amministrazione è in diritto di rescindere il contratto, quando l’appaltatore si renda colpevole di frode o di grave negligenza e contravvenga agli obblighi e alle condizioni stipulate. L’appaltatore avrà ragione soltanto del pagamento dei lavori eseguiti regolarmente e sarà passibile del danno che provenisse all’amministrazione dalla stipulazione di un nuovo contratto”. In realtà la dottrina ritiene che la figura disciplinata dal 340 sia la risoluzione del contratto secondo la disciplina comune del contratto privato: la precisazione è arrivata con il d. lgs 163/2006 che ha introdotto l’art 136 (prevede la risoluzione del contratto per grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo).
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