Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto completo del libro “Relazioni pericolose. Italia fascista e Russia comunista.”, Appunti di Storia

Riassunto completo del libro della Giusti per l’esame di storia dell’Italia repubblicana.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 02/07/2024

lss.blnx
lss.blnx 🇮🇹

4.5

(4)

13 documenti

1 / 36

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto completo del libro “Relazioni pericolose. Italia fascista e Russia comunista.” e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! CAPITOLO PRIMO: I RAPPORTI TRA ITALIA LIBERALE E RUSSIA RIVOLUZIONARIA 1. Le difficoltà di un’intesa italo-russa La politica italiana nei confronti della Russia ha sempre oscillato tra ideologia e Realpolitik, alternando la visione della Russia come alleato o nemico, già prima della rivoluzione bolscevica del 1917. La Russia zarista veniva percepita come una potenza asiatica e nemica del cattolicesimo, incomprensibile e talvolta barbara. La partecipazione dell'Italia nella guerra di Crimea e la politica estera di Cavour illustrano questo atteggiamento ambivalente. Cavour cercò di avvicinarsi alla Russia per garantire l'indipendenza dell'Italia, ma la minaccia di un'unione panslava sostenuta dall'impero zarista ostacolò questo tentativo. Durante la Prima Guerra Mondiale, l'Italia inviò una missione militare a Pietrogrado, che si trasferì poi a Mosca dopo la rivoluzione. Tuttavia, la rivoluzione bolscevica colse di sorpresa l'Italia, impreparata diplomaticamente a causa della sua concentrazione sulle questioni balcaniche. L'invio di truppe italiane a sostegno dell'Armata Bianca e la natura della rivoluzione bolscevica complicarono ulteriormente le relazioni con il nuovo stato sovietico. Nonostante le differenze ideologiche, tra gli anni Venti e la metà degli anni Trenta, Italia e Russia mantennero relazioni rispettose. Prima del fascismo, furono avviati rapporti politici e commerciali significativi, anche se i governi liberali di Nitti e Giolitti incontrarono difficoltà. Mosca adottava un approccio duplice nei confronti dei governi liberali italiani e il forte Partito Socialista Italiano influenzava le dinamiche. L'Italia, pur riconoscendo l'importanza delle materie prime russe e la necessità di un equilibrio di potere in Europa, rimaneva cauta nel riconoscere ufficialmente il governo sovietico, anche a causa delle pressioni dell'Intesa e delle implicazioni politiche. Parallelamente, Gabriele D'Annunzio, da Fiume, cercò di stabilire relazioni privilegiate con i sovietici, basate su idee libertarie e sull'indipendenza dei popoli, anticipando i tempi rispetto alle istituzioni liberali italiane. 2. Le due rive luminose: Fiume e Mosca Il proclama "Lumen in Oriente timebat Herodes", pubblicato il 5 febbraio 1920 per iniziativa di D'Annunzio, annunciava la disponibilità del Comando di Fiume a stabilire rapporti diretti con il governo di Mosca, evidenziando l'ambiguità degli stati europei occidentali nel trattare con la Russia sovietica. Mario Carli, su "La Testa di Ferro", esortava a unire "le due rive luminose", Fiume e Mosca, attraverso la rivoluzione. L'Impresa fiumana, avviata nel settembre 1919, si orientò verso un'anima più rivoluzionaria e di sinistra con l'ingresso di Alceste de Ambris, che sognava di estendere la rivoluzione a tutta l'Italia tramite la Carta del Carnaro. Questo generò un amalgama di idee politiche irrazionali, tra cui l'utopia di una rivoluzione che avrebbe trasformato l'Italia e la difficoltà nel gestire i nazionalismi post-imperiali. Mussolini riprese molte idee del fiumanesimo, incluso l'avvicinamento alla Russia sovietica. Léon Kochnitzky, capo dell'Ufficio relazioni esterne, sottolineò l'importanza della Rivoluzione russa e la necessità di unire gli oppressi contro gli imperialisti. Il ponte con Mosca era cruciale per contrastare la Società delle Nazioni e per dissipare i dubbi sulla natura dell'Impresa. Il riconoscimento del governo russo avrebbe anticipato Nitti e conferito legittimità all'Impresa. Nonostante il suo apprezzamento per la Rivoluzione russa, D'Annunzio propose una versione più moderata del comunismo senza dittatura, delineando una visione di progresso più pacifica e italiana. 3. I tentativi dannunziani di avvicinamento alla Russia rivoluzionaria Nel 1919, la Federazione Italiana dei Lavoratori del Mare (FILM), guidata dal sindacalista e politico Giuseppe Giulietti, compì un atto eclatante di solidarietà verso i rivoluzionari sovietici catturando il piroscafo italiano "Persia" nello stretto di Messina e dirigendolo verso Fiume. Questo gesto, apparentemente pirata, sfidò apertamente il blocco imposto dal governo italiano attorno alla città. Il "Persia" trasportava aiuti del governo italiano alle forze controrivoluzionarie in Russia, includendo 13.000 tonnellate di armi, munizioni e viveri destinati all'Armata Bianca impegnata contro i bolscevichi. L'arrivo del "Persia" a Fiume fu considerato fondamentale poiché consentiva di equipaggiare non solo i legionari di Fiume, ma anche altri gruppi. D'Annunzio sostenne che coloro che ostacolavano Fiume volevano soffocare anche la Rivoluzione russa e che il carico del "Persia" forniva a Fiume le "armi per la giustizia", proteggendo così la città da potenziali attacchi esterni. Questo evento accelerò la narrazione della Fiume dannunziana e il suo progetto internazionale, unendo varie cause rivoluzionarie. Tuttavia, all'interno del movimento fiumano, le divergenze ideologiche complicavano gli approcci verso la Rivoluzione russa. Mentre alcuni vedevano nella causa bolscevica un'alleanza naturale contro gli oppressori occidentali, altri erano più cauti, temendo l'adesione a un'ideologia straniera e l'indebolimento delle loro posizioni nazionali. I tentativi di avvicinamento con Mosca vennero interpretati in modi diversi dalle varie fazioni politiche italiane. Per i socialisti, rappresentavano una provocazione e un tentativo di compromettere le loro posizioni già indebolite dagli eventi del biennio rosso. Dall'altra parte, per D'Annunzio e i suoi sostenitori, rappresentavano un'opportunità per anticipare le mosse del governo italiano e rafforzare la posizione di Fiume sulla scena internazionale. Inoltre, questi incontri con i rappresentanti sovietici non solo miravano a sondare e provocare una reazione dai socialisti italiani, ma anche a influenzare le complesse trattative per la ripresa dei rapporti tra Italia e Russia. Sia D'Annunzio sia i socialisti rappresentavano una minaccia per Mosca in queste trattative, e i tentativi di avvicinamento con Fiume rischiavano di complicare ulteriormente la situazione diplomatica già delicata. La situazione si complica ulteriormente quando si considera il ruolo delle potenze occidentali e la lotta per il controllo geopolitico. I rappresentanti della Russia bolscevica cercavano di stabilire relazioni con i vari movimenti rivoluzionari in Europa, compreso Fiume, ma allo stesso tempo dovevano bilanciare questi tentativi con le loro relazioni diplomatiche con i paesi occidentali. Questo equilibrio sottolineava la complessità delle dinamiche politiche e diplomatiche dell'epoca. Infine, i tentativi di avvicinamento con Mosca mettevano in evidenza le tensioni interne al movimento fiumano e le divergenze ideologiche tra i suoi sostenitori. Mentre alcuni vedevano nella collaborazione con i bolscevichi un'opportunità per promuovere la causa della libertà e dell'indipendenza nazionale, altri temevano che questo avvicinamento avrebbe compromesso la loro posizione e indebolito la loro lotta contro il governo italiano. Queste tensioni e divergenze ideologiche avrebbero continuato a influenzare il destino di Fiume e la sua relazione con la Rivoluzione russa nei mesi e negli anni a venire. 4. La parabola dei rapporti tra Fiume e Mosca Nonostante gli sforzi dei governi italiani per ristabilire i rapporti con la Russia rivoluzionaria, D'Annunzio cercò un'altra via tramite Sayd Zaghlul Pascià, esponente egiziano, per mediare con i russi e ottenere supporto per Fiume. Tuttavia, il progetto di Kochnitzky, filobolscevico, cozzava con realtà finanziarie e politiche più ampie. Il fallimento di questa trattativa derivò dall'incapacità dei legionari di Fiume di garantire legittimità politica e dagli sforzi italiani per ripristinare relazioni commerciali con la Russia. Anche l'idealismo di Kochnitzky contrastava con la realpolitik e l'opposizione della destra fiumana. Inoltre, l'antimperialismo dell'Impresa entrò in conflitto con il carattere totalitario della Russia rivoluzionaria. D'Annunzio vedeva un'avvicinamento tra Fiume e la Russia, ma l'Italia era divisa tra nazionalisti e socialisti, mentre la politica internazionale ostacolava modifiche a Fiume. Nitti riconobbe la necessità di rinunciare a Fiume per affrontare la crisi economica. Molti militari abbandonarono Fiume e non era chiaro se D'Annunzio volesse un esito rivoluzionario. Il rapporto tra la città e il suo destino si logorava mentre Giolitti, con il Trattato di Rapallo, pose fine all'esperienza fiumana, ricorrendo all'esercito per scacciare gli occupanti. D'Annunzio deluso tornò al suo lavoro letterario, consigliando di non compromettersi con forze solo apparentemente affini. 5. Nitti e la Russia dei soviet Nell'approccio dei governi liberali verso la Russia rivoluzionaria, è fondamentale distinguere tra l'atteggiamento di Nitti e quello di Giolitti, considerando anche la diversa percezione che i sovietici avevano dei due protagonisti della politica italiana. Nitti, con cautela, vedeva il riconoscimento del governo sovietico non come un fine in sé ma inserito in uno scenario internazionale di riappacificazione post-bellica in Europa, auspicando la ricostruzione economica italiana attraverso gli scambi commerciali con la Russia e l'utilizzo delle sue materie prime. Nonostante la sua visione di ampio respiro, prevalse la cautela nel suo approccio verso Mosca, come documentato dall'Archivio della Politica estera russa. I primi passi verso la Russia furono compiuti nel marzo 1920, quando Vodovozov accompagnò una delegazione socialista italiana a Copenaghen per trattare la restituzione dei prigionieri di guerra. Dopo incontri con Nitti e Contarini, Vodovozov agì come rappresentante politico sovietico, spingendo per un rapido accordo per il riconoscimento del governo russo. Tuttavia, i tentennamenti di Nitti derivavano dal timore di un'alleanza tra Mosca e i socialisti italiani e dalle pressioni dell'Intesa che, sebbene avesse abolito il blocco commerciale alla Russia, non aveva ancora instaurato relazioni ufficiali con il governo bolscevico. La nomina dei rappresentanti sovietici per la ripresa delle relazioni commerciali fu complessa, con dispute su candidati come Berzin e Vorovskij. Roma non favoriva la nomina di Vorovskij, descritto per la Russia. Il Commissariato del popolo agli Esteri (Nkid) non solo seguì vie diplomatiche ma intraprese anche iniziative di propaganda per far conoscere agli italiani il nuovo stato sovietico. La corrispondenza fra la rappresentanza italiana e il Nkid, recentemente desecretata, mostra che il 5 dicembre 1922, subito dopo la firma del Trattato di Rapallo, il delegato alla propaganda russo Vorob’ëv scrisse a Cicerin, illustrando la situazione in Italia e pianificando di far conoscere agli italiani tutti gli aspetti della vita nella Russia sovietica. Per evitare critiche di propaganda politica, l'ufficio informazioni doveva apparire come un'organizzazione indipendente. Sergio Panunzio, un giornalista divenuto sostenitore della Russia rivoluzionaria, era incaricato delle comunicazioni. La propaganda includeva anche l'invio quotidiano di newsletter dell'agenzia Rosta e la pubblicazione di un settimanale chiamato "Verità" (Pravda), con otto pagine di articoli che spiegavano e illustravano la vita in Russia, basati su quanto pubblicato nei quotidiani russi. Questo richiedeva spese di 15.000 lire al mese.  Vorob'ëv notava l'entusiasmo dei lavoratori italiani per ogni riferimento alla Russia, che esercitava pressione sul governo italiano. Tuttavia, a causa delle condizioni politiche in Italia, queste aspirazioni potevano concretizzarsi solo attraverso la rappresentanza parlamentare, composta in gran parte da opportunisti inclini a seguire argomenti borghesi internazionali. Perciò, era necessaria una pressione costante sul gruppo parlamentare per favorire la ripresa completa dei rapporti con la Russia sovietica. 4. La Nep L'idea di Mussolini di avvicinare la Russia sovietica all'Europa trovò un alleato nella Nuova Politica Economica (NEP) lanciata dal governo sovietico. Egli interpretava la NEP come un ritorno della Russia al capitalismo. Il 3 maggio 1921, in un discorso a Milano, Mussolini affermava che Lenin stava riconoscendo il fallimento della sua dottrina e che la Russia si stava trasformando in un paese di piccoli borghesi, con i capitalisti pronti a sfruttare l'economia russa impoverita. Nel suo intervento alla Camera il 21 giugno 1921, Mussolini sottolineava che Lenin aveva dovuto abolire i consigli di fabbrica e reintrodurre il commercio libero per risollevare l'economia russa. Inoltre, Mussolini osservava che la Russia era ormai dominata da una gigantesca burocrazia, e che Lenin stesso aveva ammesso l'assenza delle fondamenta economiche per una vera società socialista. Mussolini riteneva che la NEP segnasse una svolta verso una "rivoluzione agraria a tipo democratico, piccolo-borghese" piuttosto che comunista. Tuttavia, rimaneva l'incognita politica sulla direzione della politica estera sovietica: pace o guerra. Mussolini temeva che la Russia potesse perseguire una politica di espansione rivoluzionaria per salvare il governo dei soviet, minacciando la stabilità europea. Mussolini, pur anticomunista, considerava la possibilità di un'alleanza con la Russia, soprattutto dopo l'apertura di Lenin a forme di economia capitalistica. Tale visione doveva rassicurare gli industriali italiani e il governo liberale. Tuttavia, l'immagine dell'URSS rimaneva variabile e complessa negli ambienti fascisti. Nel contesto internazionale, il 16 aprile 1922, Germania e Russia firmarono il Trattato di Rapallo, riavviando i rapporti diplomatici e commerciali senza riconoscimento formale del governo sovietico da parte tedesca. Anche l'Italia, il 24 maggio 1922, firmò un accordo economico con la Russia, promuovendo scambi commerciali e la politica energetica italiana, nonostante le pressioni contrarie dell'Intesa. Tuttavia, questo accordo non venne ratificato dal governo sovietico, che in seguito firmò vari trattati commerciali, inclusa l'apertura di sedi della società di navigazione Lloyd Triestino in diversi porti dell'URSS. Questo successo fu il risultato degli sforzi di rappresentanti della Camera di commercio di Trieste, Confindustria e circoli industriali di diverse città italiane. 5. Il 1922, un anno incerto Dopo il fallimento della Conferenza di Genova, durante l'estate del 1922, le relazioni diplomatiche tra Italia e Russia si bloccarono a causa dell'aumento delle violenze legate all'ascesa del fascismo in Italia, che colpivano anche la rappresentanza russa. In una lettera a Cicerin, Vorovskij descriveva la situazione italiana come prossima all'anarchia, con un governo assente sostituito di fatto dal Partito fascista. Quest'ultimo attaccava socialisti, lavoratori e istituzioni socialiste, spesso uccidendo esponenti di spicco del socialismo o del comunismo. Vorovskij lamentava l'inazione del governo nel ripristinare lo stato di diritto, interpretando questo comportamento come un tacito supporto agli atti di violenza fascista. Nonostante le divergenze ideologiche, Mussolini dichiarò, subito dopo la marcia su Roma, la sua disponibilità a riconoscere de jure il governo sovietico, spinto da motivazioni economiche e dalla necessità di evitare l'isolamento internazionale dell'Italia. Tra i protagonisti di questa apertura diplomatica vi furono, oltre a Cicerin, diplomatici come Vorovskij e Konstantin K. Jurenëv (alias Krotovskij), e l'italiano Contarini. Anche il discorso di Nicola Bombacci alla Camera il 30 novembre 1923 ebbe una certa rilevanza. Tuttavia, i rapporti tra la Russia bolscevica e il fascismo iniziarono male a causa di due episodi: un attacco fascista alla delegazione commerciale russa e il sequestro di un carico russo di solfato di ammonio destinato a un acquirente italiano, che rischiarono di compromettere i progressi diplomatici compiuti fino a quel momento. 5.1. L’attacco alla rappresentanza sovietica Il 31 ottobre 1922, Benito Mussolini formò il nuovo governo a Roma, accompagnato da una grande parata delle camicie nere. Tuttavia, l'evento fu segnato da episodi di violenza, tra cui l'irruzione il 1° novembre nella sede della missione commerciale russa da parte di sei fascisti imolesi armati di bastoni, rivoltelle e bombe. Questi chiedevano la consegna del deputato comunista Anselmo Marabini. Non trovandolo, perquisirono l'ufficio e pretesero la lista degli impiegati, prendendo e picchiando l'imolese Umberto Gualandi, ferendolo con colpi di pistola. In una nota di protesta al ministro degli Esteri italiano, il rappresentante russo Vorovskij denunciò l'assenza dei carabinieri durante l'attacco e la mancata protezione della delegazione russa da parte della polizia romana, chiedendo un'inchiesta rigorosa. Vorovskij evidenziò che, nonostante gli aggressori avessero agito di propria iniziativa, essi appartenevano a un'organizzazione che aveva legami politici con membri del governo. Di fronte a queste accuse, il 4 novembre 1922 il ministero degli Esteri italiano negò qualsiasi complicità delle autorità e riaffermò l'impegno a garantire la sicurezza della delegazione russa. Mussolini comprese che una campagna contro la Russia sarebbe stata controproducente. Vorovskij, pur protestando ufficialmente, mantenne la calma e si oppose al richiamo della rappresentanza sovietica a Mosca, giudicandolo inopportuno per gli interessi russi e prevedendo un imminente riconoscimento diplomatico da parte dell'Italia. L'azione dei fascisti finì per favorire la posizione russa, poiché Mussolini fu costretto a condannare l'episodio e a porgere scuse ufficiali, accelerando così il dialogo con i sovietici. 5.2. Il caso del solfato d’ammonio Un'altra questione che minacciava di aggravare i rapporti italo-russi riguardava il sequestro di un carico di solfato d'ammonio, venduto dalla delegazione russa all'imprenditore milanese Carlo Rossi il 13 settembre 1922. Il carico, proveniente da Mariupol' e giunto al porto di Napoli, fu sequestrato dall'ufficiale giudiziario su richiesta della Federazione consorzi agrari di Piacenza, che ne rivendicava la proprietà risalente al 1913, ma mai ricevuta a causa della guerra. Il 28 ottobre 1922, i sovietici protestarono presso il ministero degli Esteri italiano, appellandosi all'articolo 10 dell'accordo del 1921 e minacciando rappresaglie. Tuttavia, poiché l'accordo sarebbe stato concluso solo nell'autunno del 1923 e ratificato nel 1924, il Tribunale di Roma sequestrò il denaro e lo nazionalizzò. Il 2 novembre 1922, Cicerin dichiarò ai rappresentanti del Lloyd Triestino che non si sarebbe potuto avviare alcun confronto finché non si fosse risolta la questione del sequestro. Le ripercussioni continuarono con la chiusura delle sedi del Lloyd Triestino a Odessa, Sebastopoli, Novorossijsk, e con il sequestro a Batumi di due piroscafi italiani. Gli italiani si rivolsero a Litvinov, che rimandò la questione al Commissariato al Commercio estero guidato da Leonid Krasin. Per risolvere la situazione senza sembrare debole, Mussolini incontrò Vorovskij il 15 novembre, affermando che l'Italia intendeva riavvicinarsi alla Russia senza interferire nei suoi affari interni, guidata da interessi reali e non da motivi umanitari. Mussolini anticipò che se l'Italia non avesse raggiunto la completa uguaglianza all'interno dell'Intesa, si sarebbe orientata verso est, cioè verso Russia e Germania. Vorovskij osservò che dopo la formazione del governo Mussolini, la normalità era tornata più velocemente a Roma che in provincia, e che i fascisti avrebbero dovuto cambiare tattica e dichiararsi contro le illegalità, pur continuando le violenze. Vorovskij scrisse che concedere il ritorno degli ex coloni italiani in Russia e permettere l'emigrazione dei contadini italiani nelle regioni del Mar Nero e in Turkestan sarebbe stato vantaggioso per ottenere credito finanziario dai capitalisti italiani. Propose di presentare uno schema di proposte da discutere a Losanna. Il giorno dopo l'incontro, nel suo primo discorso programmatico alla Camera dei deputati, Mussolini dichiarò la determinazione a riconoscere la Russia sovietica, sottolineando che l'Italia voleva gestire i propri rapporti con la Russia basandosi su interessi reali e non interferire nelle questioni interne reciproche. L'Italia mirava a sfruttare le relazioni con la Russia per rafforzare la propria posizione internazionale, sganciandosi dall'Intesa e contrapponendosi all'egemonia anglo-francese in Europa. 6. La conferenza di Losanna A margine della Conferenza di Losanna (21 novembre 1922 - 4 febbraio 1923), si svilupparono ulteriori rapporti italo-sovietici. Mussolini incontrò sia Vorovskij sia il commissario al Commercio estero Krasin. La Conferenza mirava a regolare il regime degli stretti del Mar Nero e del Mar di Marmara e a rivedere il Trattato di Sèvres, non accettato da Mustafa Kemal Atatürk, che aveva sconfitto la Grecia. I sovietici puntavano a partecipare alla Conferenza alla pari con gli altri Stati e a impedire il libero ingresso delle navi degli ex alleati nel Mar Nero. Malgrado la proposta sovietica di demilitarizzare gli stretti, l'opposizione inglese impedì alla Russia di presentare i propri piani per quell'area. Il 18 dicembre, i delegati russi, ucraini e georgiani proposero un progetto di regolamentazione del passaggio attraverso lo stretto dei Dardanelli, del Mar di Marmara e del Bosforo, ma furono esclusi dalla discussione sulla demilitarizzazione degli stretti. La Gran Bretagna, opponendosi alle richieste sovietiche, consegnò a Mussolini un progetto il 13 novembre, dichiarando che i russi potevano esprimere il loro punto di vista, senza garantire l'approvazione del piano russo. Questo portò al fallimento degli obiettivi sovietici. Mussolini, desideroso di confermare il mandato italiano sul Dodecaneso e su Rodi e aspirando a ulteriori mandati, si trovò a sostenere i russo-turchi contro la politica anglo-francese, tentando di fungere da ago della bilancia. Tuttavia, mentre la Gran Bretagna si oppose alle richieste sovietiche, riconobbe lo stato sovietico prima dell'Italia, dimostrando la lentezza della diplomazia fascista. A Losanna, Mussolini subordinò l'appoggio agli inglesi alla garanzia degli interessi italiani in Turchia e nei rapporti con l'URSS, seguendo l'esempio di Giolitti. Il capo della delegazione italiana, Garroni, dopo una posizione intermedia sulla Russia, dichiarò che l'Italia era favorevole alla partecipazione dei russi a tutte le riunioni della Conferenza. Tuttavia, per evitare l'isolamento da Francia e Gran Bretagna, Garroni consigliò a Mussolini di aderire alla linea franco-inglese. Nonostante ciò, Mussolini riuscì a incontrare Krasin, il 15 dicembre, per discutere della ripresa dei rapporti italo-russi, evento che ebbe grande risonanza diplomatica. Krasin, in un'intervista del 7 dicembre, dichiarò che Mussolini desiderava definire ufficialmente le relazioni e incrementare i rapporti economici. Successivamente, Giuseppe Gavazzi e Franco Marinotti partirono per l'URSS con il compito di convincere i sovietici a interrompere la propaganda bolscevica in Italia. Gavazzi, al ritorno, sostenne l'urgenza di riconoscere il governo sovietico. Lo stesso mese, il socialista Oddino Morgari, finanziato dalla Cice e dalla Fiat, e Egisto Pavirani, promosso dal Consorzio cooperativo italiano, visitarono la Russia per studiare un progetto di colonizzazione nella Russia meridionale, abbandonato nel 1925. Questo progetto era parte del tentativo di Mussolini di controbilanciare la politica restrittiva sull'immigrazione italiana adottata dagli USA nel 1924. 7. Il Komintern, ostacolo sulla “via aperta verso Mosca” La politica di apertura verso l’URSS, oltre ai benefici economici e commerciali, veniva utilizzata da Mussolini anche per gestire i rapporti con la sinistra in Italia. Come spiegato da De Felice, Mussolini aveva cercato di reclutare alcuni socialisti prima di formare il governo a fine ottobre, per migliorare i rapporti con la classe operaia e pacificare il paese, scosso da scioperi tra novembre 1921 e ottobre 1922. Tuttavia, questo tentativo fallì a causa dell'opposizione dei nazionalisti, che non avrebbero mai accettato accordi con i socialisti. Nella prima metà degli anni Venti, Mussolini usò l'antibolscevismo per destabilizzare la sinistra e rafforzare la sua posizione a destra. Promuovendo la "via aperta verso Mosca", puntava a creare una crisi tra socialisti e comunisti, contando sul fatto che i comunisti sarebbero stati contrari a una stretta collaborazione con l'URSS, mentre i socialisti l'avrebbero appoggiata. Sebbene si esaltassero le convergenze tra Italia e URSS, i rapporti italo-sovietici si inasprirono tra fine 1922 e inizio 1923, a causa delle rivelazioni sui tentativi del Komintern di interferire negli affari italiani e della repressione anticomunista del regime fascista. Un incontro promettente tra Krasin e Mussolini a dicembre 1922 venne subito seguito da tensioni, quando il 30 dicembre Mussolini ordinò l'arresto dei rappresentanti del Partito Comunista d'Italia, in risposta a un manifesto antifascista stilato a Mosca e pubblicato dall'«Avanti!». La polizia italiana, con l'aiuto delle squadre fasciste, iniziò una serie di arresti, culminati con la cattura di Amedeo Bordiga e il sequestro di una somma di denaro proveniente dal Komintern e di un appello al giornale «Il Lavoratore» di Trieste. Mussolini convocò Vorovskij, rappresentante sovietico, per chiarire i legami tra il governo sovietico e il Komintern. Vorovskij tentò di spiegare che il Komintern agiva indipendentemente dal governo sovietico, ma Mussolini non accettò questa spiegazione, sottolineando che Lenin era capo sia del governo che del Komintern, quindi responsabile di entrambe le entità. Vorovskij era preoccupato che primo ambasciatore italiano, mentre il 7 marzo 1924 Konstantin K. Jurenëv sostituì Jordanskij. Manzoni, grazie alla sua esperienza diplomatica trentennale, riorganizzò l'ambasciata italiana, riattivando la raccolta e selezione delle informazioni sui vari aspetti dell'URSS. In breve tempo, riuscì a instaurare stretti legami di cooperazione e interscambio commerciale con l'Italia. 11. L'omicidio Matteotti visto dai sovietici Il 14 marzo 1924, il neoambasciatore russo Turenëv dichiarò alla stampa italiana e internazionale la sua felicità per l'incarico ricevuto e sottolineò che l'accordo tra Italia e Russia inaugurava una nuova era nelle relazioni italo-sovietiche. Durante un incontro con Mussolini, Turenëv constatò con soddisfazione che il presidente del Consiglio attribuiva grande importanza allo sviluppo delle relazioni amichevoli tra i due paesi. Pochi mesi dopo, il 10 giugno 1924, il rapimento del segretario del Partito Socialista Unitario Giacomo Matteotti minacciò di compromettere gli sforzi diplomatici fino a quel momento. Nonostante il drammatico evento, Turenëv decise di non annullare l'invito a pranzo di Mussolini presso l'ambasciata sovietica, nonostante le proteste della sinistra e dei liberali. In una lettera all'8 luglio, Turenëv spiegò al commissario degli Esteri Cicerin l'impossibilità di evitare l'incontro, nonostante il disappunto manifestato da un "compagno del posto", probabilmente un membro del Pcd'I o un agente del Komintern. Questa decisione indicava la volontà di Mosca di mantenere un difficile equilibrio con il governo italiano, evidenziando al contempo il complesso rapporto tra i comunisti sovietici e il Partito Socialista Italiano. La scomparsa di Matteotti, che aveva denunciato i brogli elettorali e criticato Mussolini, non sembrava sufficiente per interrompere le relazioni italo-sovietiche recentemente riprese. Jurenev inviò diverse relazioni a Cicerin, descrivendo la situazione politica italiana dopo la scomparsa di Matteotti e osservando come la debolezza dei partiti politici italiani avesse tranquillizzato Mussolini. Inoltre, le manifestazioni antifasciste in Francia avevano in un certo senso giovato alla posizione del regime fascista. Jurenev riportò che il caso Matteotti aveva suscitato reazioni contro il governo fascista non solo tra la piccola borghesia e la classe lavoratrice, ma anche all'interno del partito fascista stesso. La stampa fascista affermava che il caso Matteotti era una questione interna agli italiani e che ogni patriota doveva difendere la nazione dagli attacchi dei socialisti e dei governi stranieri. Jurenev notò anche che gli arresti tra gli attivisti fascisti avevano creato imbarazzo e tensioni all'interno del partito, esacerbando i rapporti tra gli squadristi e i fascisti moderati. Il 18 luglio, Jurenev osservò una sorta di stabilizzazione della situazione politica italiana, prevedendo un abbassamento dei toni nelle dimostrazioni contro il regime e un cambiamento di rotta del fascismo. Tuttavia, la svolta sarebbe avvenuta nella direzione opposta, verso la dittatura, entro sei mesi. La stampa sovietica, pur non condannando ufficialmente l'assassinio di Matteotti, non poté ignorare l'evento. Settimane come "Ogonek" e "Prozektor" pubblicarono articoli critici, collegando il fascismo alla violenza e all'omicidio. Il riconoscimento italiano dell'URSS ebbe una lunga gestazione. Paradossalmente, l'ascesa del fascismo accelerò l'azione diplomatica, poiché entrambi i regimi rivoluzionari cercavano legittimazione internazionale. Durante la preparazione del trattato commerciale, la diplomazia sovietica, guidata da Cicerin, si dimostrò efficiente e determinata, trovando però ostacoli nelle azioni del Komintern. Quest'ultimo confidava nel Pcd'I per non lasciare i rapporti italo-sovietici in mano al fascismo, mentre la diplomazia russa considerava i comunisti italiani incapaci e pericolosi. Il Pcd'I si trovava in una posizione ambigua: perseguitato internamente dal regime, ma con un governo che all'esterno trattava con l'URSS. Le richieste insistenti di Mussolini al Commissariato agli Esteri di fermare la propaganda antifascista miravano a creare tensioni tra il Komintern e il ministero degli Esteri, destabilizzando le forze dell'opposizione interna. CAPITOLO TERZO: I RAPPORTI ECONOMICI E COMMERCIALI NEGLI ANNI VENTI 1. Agli inizi degli anni Venti I rapporti commerciali tra Italia e URSS hanno rappresentato una base fondamentale per lo sviluppo delle relazioni politiche tra i due paesi, i cui interessi erano convergenti in diversi aspetti. Nel campo dell'economia e delle politiche sociali, si riscontravano "inaspettate simmetrie" che avvicinavano l'Italia fascista all'URSS. Per l'Italia, era strategicamente importante stabilire buone relazioni con la Russia, vista come un fattore di equilibrio internazionale e una via di penetrazione nei Balcani e nel Mar Nero, in opposizione a Francia e Gran Bretagna. I rapporti commerciali avrebbero migliorato le relazioni politiche, considerando che l'Italia aveva una posizione favorevole verso Mosca, praticando una sorta di opposizione rispetto alla politica intransigente delle grandi potenze europee. L'Italia si pronunciava contro alcune disposizioni del Trattato di Versailles e mirava a ridimensionare l'influenza francese e inglese in Europa. Sul piano economico, l'Italia necessitava di materie prime che la Russia poteva fornire in cambio di manufatti, crediti e macchinari. Per la Russia, sebbene i rapporti con l'Italia non fossero prioritari, erano visti come un mezzo per superare l'isolamento politico post-rivoluzionario. L'avvio delle relazioni diplomatiche con i paesi capitalisti rappresentava per il Cremlino il primo passo nello sviluppo dei rapporti politici. La diplomazia sovietica puntava a stabilire relazioni normali con tutti i paesi capitalisti su basi reciprocamente vantaggiose ed eque. Il commissario agli Esteri Cicerin, in una lettera del 12 ottobre 1923 al plenipotenziario sovietico a Roma, N.I. Jordanskij, sottolineava l'importanza di mantenere rapporti amichevoli con stati di diversa natura socioeconomica, basati su interessi reali, commerciali o altro, senza compromettere la natura sociopolitica del governo sovietico. Cicerin riteneva che il riconoscimento dell'URSS fosse necessario sia per l'Unione Sovietica sia per i paesi capitalisti, poiché avrebbe facilitato gli scambi commerciali ed economici. Questo era evidente anche nel contesto inglese, dove il mercato sovietico era considerato indispensabile per le materie prime. Dal 1914, la Russia subiva un blocco economico, inizialmente per opera dei suoi nemici durante la guerra e poi, a causa della rivoluzione, da parte dei suoi ex alleati dell'Intesa. Il Consiglio economico alleato autorizzò la ripresa dello scambio di merci nel 1920, precisando che questo non avrebbe comportato il riconoscimento politico del governo russo e che le transazioni avrebbero coinvolto le organizzazioni cooperative russe per evitare relazioni dirette con il governo bolscevico. Nonostante ciò, le potenze dell'Intesa avevano bisogno di riprendere i rapporti commerciali con la Russia, data la grave situazione economica postbellica. Parallelamente, il Cremlino adottava misure per controllare il commercio con l'estero, nazionalizzando tutto il commercio estero e autorizzando il Centrosojuz a trattare direttamente con le imprese europee e americane. Nel 1920, un accordo tra il Centrosojuz e le cooperative italiane stabilì che l'Italia avrebbe fornito medicinali, macchine agricole e materiale elettrico alla Russia, mentre questa avrebbe esportato grano, pane e petrolio in Italia. L'accordo fu simbolicamente suggellato con l'invio di un carico di grano dalla Russia all'Italia. Nel marzo 1920, Litvinov trattò temi commerciali con i rappresentanti italiani a Copenaghen, inclusi i deputati socialisti Bombacci e Ângelo Cabrini, accompagnati da Vodovozov, capo della rappresentanza commerciale russa in Italia. Queste trattative portarono a un accordo per gli scambi tra il Centrosojuz e le cooperative italiane. L'11 giugno 1920, in un telegramma a Cicerin, Krasin riportava che il conte Sforza, sottosegretario agli Esteri del II governo Nitti, dichiarava che l'Italia era pronta a riprendere i rapporti commerciali e ad accogliere un rappresentante sovietico. L'Italia sperava di acquistare petrolio, legname, tabacco e pane dalla Russia, vendendo in cambio materiale elettrico e macchinari. Pur non essendo pronta per il riconoscimento ufficiale del governo sovietico, l'Italia concludeva accordi commerciali significativi, come quello di giugno 1920, che prevedeva la fornitura di medicinali, macchine agricole e materiale elettrico alla Russia in cambio di grano, pane e petrolio, simboleggiato dall'invio di un carico di grano in Italia. 2 La Compagnia Italiana per il Commercio Estero Prima del trattato del 2 settembre 1933, i rapporti commerciali italo-sovietici erano regolati dall'accordo preliminare del 26 dicembre 1921, risultato di lunghe trattative iniziate dai governi liberali. Alla fine della Prima guerra mondiale, la necessità di riprendere i rapporti con la Russia rivoluzionaria spinse alcuni imprenditori italiani, prevalentemente lombardi, a fondare nel 1918 la Camera di commercio italo-russa, con l'obiettivo di promuovere gli scambi commerciali e coordinare gli sforzi delle aziende interessate al mercato russo. Dal 1920, la Camera pubblicava un bollettino speciale con dati sull'economia russa e sull'andamento del mercato. Tra il 1921 e il 1923, fiduciari del governo italiano presenti a Mosca, come Andrea Caffi ed Erminio Mariani, inviavano bollettini settimanali al Ministero degli Esteri sui rapporti commerciali, sulla situazione militare dell’Urss e sui bisogni del suo apparato industriale. Lenin stesso incaricò Vorovskij di negoziare un accordo commerciale con l'Italia, segno dell'interesse russo verso i rapporti commerciali con l'Italia. Nel 1921, vari imprenditori italiani aderirono alla Camera di commercio e fu fondata a Milano la Compagnia Italiana per il Commercio Estero (CICE), su iniziativa di Franco Marinotti. Marinotti, dopo un'esperienza a Varsavia e a Mosca per la Filatura Cascami di Seta, promosse la creazione della CICE per favorire gli scambi italo-russi. La CICE rappresentava circa cento imprese italiane di vari settori e comprendeva tra i suoi soci aziende come Fiat, Pirelli, Tosi, Marelli, Lanificio e Canapificio Nazionale, e il Lanificio Rossi. Nel 1922, la CICE condusse le prime trattative con la delegazione sovietica alla Conferenza Economica Internazionale di Genova. L'obiettivo della CICE era "il rinnovo e il rafforzamento di solide, normali relazioni con la Russia", proponendo l'approvvigionamento del mercato russo con prodotti italiani a prezzi di fabbrica. Sebbene l'Italia non avesse ancora riconosciuto il governo sovietico, la CICE incoraggiava la politica commerciale italiana verso la Russia, nonostante le difficoltà legate all'integrazione della Russia rivoluzionaria nel mercato internazionale. Il capitale iniziale della CICE, di 500.000 lire, servì a finanziare uffici di informazione per il commercio italo-russo in paesi confinanti con l'Urss. Nel 1922, la CICE aumentò il capitale a un milione di lire, grazie al supporto di industriali tessili e produttori di agrumi del Sud Italia, che riuscirono a includere garanzie statali per i crediti commerciali nell'accordo commerciale italo- sovietico del 1930. Il 7 giugno 1922, Marinotti e il rappresentante del Vnestorg firmarono una bozza di accordo per la costituzione della Russitatorg, una società di commercio russo-italiana con un capitale di 500.000 lire, metà a carico del governo russo e metà della CICE. La CICE si impegnava a fornire alla Russitatorg un credito commerciale di 5 milioni di lire in cambio del diritto al libero scambio sul mercato russo. Nonostante l'iniziale cautela del Vnestorg, il capitale della società mista fu aumentato a 7 milioni di lire nel 1925, permettendo alla Russitatorg di entrare in rapporti commerciali con altri stati dell'ex impero russo. La diplomazia sovietica rimase prudente riguardo alla concessione dei visti per i dirigenti della CICE, come Gavazzi e Marinotti, ritardando la ratifica dell'accordo sulla rappresentanza commerciale. Il Cremlino utilizzava questo ritardo come leva per ottenere il riconoscimento ufficiale del governo sovietico da parte dell'Italia. Nonostante le difficoltà, la CICE continuava a spingere per il riconoscimento come ente preposto agli scambi commerciali con l'Urss, mentre il governo sovietico preferiva trattative commerciali dirette a livello governativo. Nonostante i tentativi sovietici di rifiutare la registrazione della CICE, la pressione degli industriali italiani e la necessità sovietica di prestiti a lungo termine portarono alla proroga della registrazione della CICE. Le controversie non impedirono l'attivazione degli scambi commerciali e l'acquisto di materie prime russe da parte dell'Italia. 3. Le relazioni commerciali dopo il riconoscimento dell’Urss Dopo il riconoscimento dell'URSS, le relazioni commerciali tra Italia e Russia si intensificarono, con entrambe le nazioni che cercavano di superare le difficoltà socio-politiche e economiche del periodo post-bellico e rivoluzionario. Nei primi anni Venti, l'Italia, devastata dal "biennio rosso" (1919-1921), attraversò un periodo di forte instabilità, influenzando negativamente gli investimenti in Russia da parte della potente Banca commerciale italiana, la Comit. Tuttavia, con il passare del tempo, sia le autorità sovietiche sia gli imprenditori italiani cominciarono ad adottare un approccio più pragmatico e positivo verso la ripresa delle relazioni commerciali. Tra gli imprenditori italiani, si distinsero due principali orientamenti. Il primo, sostenuto da gruppi come la Cice, proponeva la politica dei "piccoli affari", puntando a stabilire inizialmente rapporti commerciali modesti, per poi consolidare la posizione italiana nel mercato russo e avviare iniziative più ampie in futuro. La Cice svolse un ruolo di intermediario commerciale tra il governo bolscevico e l'industria italiana fino al 1930, quando gli imprenditori italiani iniziarono a trattare direttamente con le entità statali sovietiche. Il secondo orientamento, sostenuto principalmente dalla Comit, era la politica dei "grandi affari". Questo gruppo riteneva che fosse necessario unire grossi capitali in consorzi potenti per partecipare al rilancio dell'economia sovietica, ottenendo concessioni di materie prime. La politica dei "grandi affari" però, incontrò critiche da parte di figure come Giovanni Agnelli, che sottolineavano l'insufficienza dei capitali italiani e i rischi elevati degli investimenti in Russia. significative. Dal 1924, la Snom divenne rappresentante esclusiva del Sindacato parusso del petrolio e del gas (Neftegastroiprofsojuz), vendendo prodotti petroliferi sovietici in Italia. Nel 1926, con regio decreto, nacque l'Agip (Azienda Generale Italiana Petroli), che ereditò le funzioni della Snom. Nonostante iniziali difficoltà nei pagamenti, la Snom riuscì a saldare i suoi debiti, e Agip mantenne buoni rapporti commerciali con l'URSS. La Regia Marina italiana acquistava carburante russo, firmando contratti significativi per l'approvvigionamento di materie prime essenziali. L'Italia si stava industrializzando rapidamente, ma la carenza di materie prime era un ostacolo significativo. La domanda italiana di prodotti petroliferi aumentò notevolmente nella seconda metà degli anni Venti, con un incremento della richiesta di benzina, nafta, e cherosene per vari settori, tra cui trasporti, agricoltura e turismo. Nel 1929, l'Italia importò 390.000 tonnellate di benzina, il 19% in più rispetto all'anno precedente e il doppio rispetto al 1925. Le importazioni di cherosene aumentarono del 12% rispetto al 1928 e del 40% rispetto al 1925. Le importazioni totali di prodotti petroliferi passarono da 800.000 tonnellate nel 1925 a circa 1.300.000 nel 1929, con oltre il 52% proveniente dall'URSS. Le importazioni di petrolio russo passarono da 100.000 tonnellate nel 1924- 1925 a 815.000 nel 1929-1930. Il mercato petrolifero italiano divenne un "pomo della discordia" per le multinazionali, dato che l'Italia era totalmente dipendente da fornitori esteri e aveva una piccola industria di raffinazione del petrolio. La politica energetica italiana contava molto sulle risorse russe, e l'export di materie prime russe era fondamentale sia per l'economia sovietica sia per la sua politica estera. Tuttavia, gli accordi commerciali sui prodotti petroliferi creavano anche tensioni politiche, in particolare con la Romania, a causa delle ambizioni balcaniche di Mussolini. 5. Gli ostacoli alla collaborazione Nonostante il cambio di passo del regime fascista tra il 1925 e il 1927, con misure politiche contro l'opposizione interna comunista e socialista e una virata verso la costituzione di un impero, i rapporti italo-sovietici non ne furono seriamente influenzati. Questi cambiamenti non rappresentarono un serio impedimento allo sviluppo delle relazioni tra Italia e URSS, se non per alcune questioni di politica estera. La "crociata ideologica" contro il comunismo internazionale divenne un elemento chiave della politica estera fascista solo nella seconda metà degli anni Trenta, rimanendo inizialmente un elemento del discorso populista interno. Tuttavia, alcuni elementi esterni al regime fascista offuscarono i rapporti italo-sovietici, rischiando di compromettere gli sforzi diplomatici per avvicinare i due paesi. Tra questi ostacoli, l'attentato a Mussolini e la ratifica del Trattato sull'annessione della Bessarabia alla Romania furono particolarmente significativi. 5.1. L'attentato a Mussolini Il 7 aprile 1926, Violet A. Gibson, una nobile irlandese, tentò di assassinare Mussolini a Roma. Violet, figlia di Edward Gibson, lord cancelliere d'Irlanda, era ritenuta mentalmente instabile e aveva affermato di essere guidata da Dio. Durante l'attentato, Mussolini stava scendendo i gradini del Campidoglio dopo aver inaugurato un congresso di chirurgia. Violet, vestita modestamente, lo attese con una vecchia pistola e sparò, ferendolo solo di striscio sul naso. Nonostante il suo aspetto e le sue dichiarazioni, si sospettò inizialmente di un attentato politico. Questo portò a voci infondate che l'attentatrice fosse polacca, rumena o russa, scatenando la reazione dei fascisti che tentarono di assaltare l'ambasciata sovietica. La polizia, guidata dal sovrintendente Ermanno De Bernardini, arrestò Violet e la condusse al carcere delle Mantellate, dove lei rivelò di essere irlandese. Il Tribunale speciale, guidato da Guido Cristini, si occupò brevemente del caso, chiudendolo rapidamente per evitare complicazioni nei rapporti con il Regno Unito. L'attentato attirò l'attenzione della stampa sovietica, come la "Pravda", che lo collegò alla repressione fascista. Subito dopo l'attentato, la polizia e i militari transennarono le vie adiacenti all'ambasciata sovietica, mentre l'agenzia Stefani riportava la notizia dell'attentatrice straniera senza specificarne la nazionalità, alimentando l'indignazione popolare contro la Russia. Dino Grandi, sottosegretario agli Esteri, rifiutò di accogliere la nota di protesta sovietica, aggravando la situazione diplomatica. L'incidente rivelò come l'opinione pubblica italiana fosse manipolata contro la Russia, alimentando la propaganda fascista. La diplomazia sovietica lamentò gli attacchi mediatici contro Mussolini pubblicati dalla stampa sovietica, ma il governo sovietico, rappresentato da Litvinov, negò responsabilità, pur sapendo che le pubblicazioni ufficiali come le "Izvestija" erano avallate dal Cremlino. La satira contro Mussolini era diffusa sia in Italia che in URSS, dove si pubblicavano caricature e commenti sarcastici contro il leader fascista. Questa tensione rifletteva le difficili relazioni tra i due governi ideologicamente opposti, entrambi in cerca di partner commerciali vantaggiosi e di legittimazione internazionale. Gli attentati contro Mussolini evidenziavano il controllo del regime fascista sulla società italiana, mirato a eliminare ogni forma di opposizione. L'URSS osservava con interesse l'evoluzione del fascismo, culminata con il plebiscito del 1929 e i Patti Lateranensi, che sancirono l'accordo con la Santa Sede. La "Pravda" dedicò numerosi articoli agli interventi di Mussolini, evidenziando i passaggi riguardanti i rapporti con l'Unione Sovietica. 5.2. La questione della Bessarabia  Durante gli anni tra le due guerre mondiali, la Bessarabia era una regione contesa tra la Romania e l'Unione Sovietica, abitata principalmente da una minoranza rumena. La Romania desiderava annetterla per motivi storici ed etnici, mentre l'Unione Sovietica la considerava parte del suo territorio. Mussolini guardava con interesse alla Romania per bilanciare l'influenza sovietica nella regione. La firma del patto di non aggressione tra Germania e Unione Sovietica nel 1939 complicò la situazione, poiché la Romania temeva una pressione sovietica sulla Bessarabia. La situazione si risolse solo con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, portando a cambiamenti significativi nella geopolitica dell'Europa orientale. Durante la Conferenza di pace di Parigi del 1920-1921, la Romania cercava il riconoscimento dell'annessione della Bessarabia, regione contesa tra Romania e Unione Sovietica. La Francia e gli Stati Uniti sostenevano la richiesta rumena, ma l'Australia e il Giappone non ratificarono il trattato, mantenendo la questione irrisolta. Nel 1924, Italia e Romania si avvicinarono, ma Mussolini negò eventuali accordi bilaterali riguardanti la Bessarabia. Il governo sovietico, preoccupato per qualsiasi intesa che potesse favorire l'Italia nella regione, riteneva qualsiasi accordo sulla Bessarabia una violazione del diritto internazionale. Mussolini, da parte sua, cercava di migliorare i rapporti con la Romania per consolidare l'influenza italiana nei Balcani e contrastare quella francese. Tuttavia, questo avvicinamento preoccupava l'Unione Sovietica, che temeva di perdere terreno nella regione. Mussolini cercò quindi di mediare tra Romania e Unione Sovietica, offrendo all'Italia un ruolo di mediazione e una presunta egemonia nei Balcani. Nonostante gli sforzi italiani di stabilizzare la situazione e mantenere buoni rapporti con entrambe le parti, la questione della Bessarabia e le trattative tra Italia e Romania continuarono a preoccupare l'Unione Sovietica. La situazione rimase quindi delicata e complessa, alimentando tensioni geopolitiche nell'Europa orientale. Per Mussolini, la ratifica del trattato sulla Bessarabia sembrava inevitabile, anche considerando le pressioni provenienti da Londra. La scoperta di una centrale del "Soccorso Rosso" all'interno della delegazione commerciale di Milano, che dimostrava che Mosca aveva violato le regole stabilite nel 1921, contribuì a rendere più difficile la situazione. Queste regole imponevano la reciproca astensione da azioni di propaganda ostile, ma la scoperta dimostrava che l'Unione Sovietica non stava rispettando gli accordi precedenti. A Mosca, la firma del patto di amicizia italo-rumeno sollevò preoccupazioni riguardo alla sua interpretazione da parte russa, soprattutto per quanto riguardava le forniture militari alla Romania. L'Unione Sovietica chiese l'eliminazione delle lettere che accompagnavano il trattato in cui si accennava alla Bessarabia. L'ambasciatore italiano chiarì che le forniture di armi erano solo commerciali e che la Romania avrebbe potuto acquistarle da qualsiasi altro paese senza coinvolgimento politico da parte dell'Italia. Inoltre, assicurò che Mussolini stava lavorando per rafforzare i rapporti con l'Unione Sovietica e che l'accordo con la CICE sarebbe stato prolungato. La situazione si fece più tesa con l'incontro a Livorno tra Mussolini e l'ambasciatore sovietico. Il 5 ottobre, l'Unione Sovietica inviò una nota formale di protesta a Mussolini, avvertendolo che la ratifica del trattato italo-rumeno avrebbe attirato l'attenzione internazionale e avrebbe danneggiato i rapporti tra Italia e Unione Sovietica. Inoltre, l'Unione Sovietica condannò l'occupazione rumena della Bessarabia e sollecitò le masse lavoratrici italiane a protestare contro questa occupazione. La protesta dell'Unione Sovietica era quindi più decisa e risoluta, evidenziando la gravità della situazione. Per risolvere la questione della Bessarabia, l'ambasciatore suggeriva di ricorrere a un plebiscito, ma ricordava che l'accordo di Parigi doveva essere considerato privo di valore poiché non era stato ratificato da tutte le parti coinvolte. Inoltre, avvertiva che tale mancanza di ratifica poteva essere interpretata come un atto di ostilità. La diplomazia sovietica sottolineava che la mancata ratifica del trattato da parte di alcuni stati, insieme all'incertezza da parte di Roma, indeboliva e minava la legittimità dell'accordo. Di fronte a queste pressioni, Mussolini reagì difendendo la posizione italiana, sottolineando che eventuali minacce sovietiche avrebbero solo spinto l'Italia a ratificare il trattato, fino ad allora evitato per rispetto nei confronti di Mosca. In sostanza, Mussolini oscillava tra l'Unione Sovietica e la Romania, cercando di mantenere un equilibrio tattico e reagendo alle pressioni esterne nel tentativo di preservare gli interessi italiani nella regione. La ratifica del Trattato sulla Bessarabia il 7 marzo 1927 segnò un avvicinamento tra Mussolini e il generale Averescu, delineando la politica estera del regime italiano verso i Balcani. In questa ottica, Mussolini suggerì di spiegare al governo turco che il ritardo della ratifica italiana derivava dalla speranza che le parti interessate potessero raggiungere un'intesa, facilitata dai buoni rapporti tra Italia e Russia. Inoltre, Mussolini assicurò che la decisione italiana non aveva alcuna intenzione ostile verso la Russia e non avrebbe avuto ripercussioni indirette sui rapporti italo-turchi. In sostanza, Mussolini cercava di rassicurare Ankara sulle possibili ambizioni italiane in Asia Minore, continuando a proporsi come mediatore e arbitro delle questioni balcaniche. Sembrava che la Romania non potesse contare su una solida alleanza con l'Italia, e ciò, insieme alle osservazioni di riguardo della Serbia nei confronti della Romania, indicava una certa fragilità nelle relazioni tra i due paesi. Tuttavia, la Romania sembrava disposta a negoziare con il regime fascista per garantirsi forniture di materie prime, anche in vista di un eventuale deterioramento dei rapporti con l'Unione Sovietica. La necessità di soddisfare il fabbisogno di materie prime, soprattutto per l'industria, influenzava la politica estera italiana. Gli anni '20 furono caratterizzati da episodi che dimostravano una certa ambiguità nella politica estera del fascismo nei confronti dell'Unione Sovietica. Questi eventi mostrano la complessità delle relazioni internazionali dell'Italia fascista e la sua ricerca di alleanze per perseguire i propri interessi geopolitici, anche oltre i confini europei. 6. Peculiarità della crescita economica sovietica La crescita economica dell'Unione Sovietica presentava peculiarità interessanti. Nonostante le tensioni e le diatribe politiche, le relazioni commerciali con l'Italia conoscevano un notevole sviluppo. Tra il 1927 e il 1928, le esportazioni italiane verso l'Unione Sovietica raddoppiarono, passando da 32 milioni nel 1927 a 65 milioni nel 1928. Le importazioni dall'Unione Sovietica in Italia mostrarono anch'esse una tendenza positiva, sebbene con oscillazioni, con un picco nel 1929 di oltre 340 milioni di lire, per poi ridursi a circa la metà nel 1931, per poi risalire nel 1931 superando i 340 milioni di lire. Questo aumento degli scambi avvenne nonostante l'Unione Sovietica avesse introdotto nel 1926 misure protezionistiche, come l'aumento dei dazi su alcuni beni di consumo come profumeria, tessuti e giocattoli. La crescita degli scambi tra l'Italia e l'Unione Sovietica rifletteva la capacità delle imprese italiane di adattarsi alle condizioni di mercato.   L'Italia ha continuato a godere di riduzioni tariffarie grazie a accordi commerciali vantaggiosi, mentre altri paesi come l'Inghilterra subivano dazi più elevati. L'organo ufficiale del Commissariato per il Commercio ha evidenziato il crescente sviluppo dell'economia italiana nel dopoguerra, trasformando il paese in un partner privilegiato per l'Unione Sovietica per l'importazione di materie prime. Durante il primo piano quinquennale dell'Unione Sovietica, l'Italia ha ottenuto importanti commesse di attrezzature industriali e gli imprenditori italiani hanno potuto concedere crediti a lungo termine garantiti dallo stato. Questo evidenzia il ruolo significativo che l'Italia ha svolto nel commercio con l'Unione Sovietica e le opportunità che si sono presentate per le imprese italiane in quel periodo. La storia economica dell'Unione Sovietica durante il periodo dei piani quinquennali è un argomento complesso e interessante. 6.1. Lo sviluppo economico fino al primo quinquennale Durante gli anni in esame, che vanno dal 1928 al 1932, possiamo individuare diverse fasi che riflettono l'evoluzione dell'approccio economico del regime sovietico. Inizialmente, c'è stata la fase del comunismo di guerra, che è stata un tentativo di mettere in pratica il programma del comunismo attraverso una serie di misure economiche drastiche. Questo periodo è stato caratterizzato da un forte intervento statale nell'economia, con politiche volte a mobilitare risorse e manodopera per sostenere lo sforzo bellico e consolidare il potere bolscevico. Tuttavia, questa fase è stata segnata da gravi difficoltà e tensioni, inclusi conflitti con i contadini e rivolte interne. Successivamente, si è passati alla fase dei piani quinquennali, avviata nel 1928. Questa fase ha visto l'introduzione di piani centralizzati e pianificazione economica statale su vasta scala, con l'obiettivo di accelerare rappresentanti russi, come Morozov, che successivamente avrebbero facilitato l'ingresso dell'azienda in Unione Sovietica. Giovanni Agnelli ha avuto un ruolo chiave nell'espansione della Fiat verso la Russia, sostenendo attivamente le iniziative commerciali e industriali nel paese. Nel 1926, Agnelli assunse la direzione della Compagnia Industriale Commercio Estero (Cice) e nel 1934 sostenne l'iniziativa di, un sindacato petrolifero russo, per la vendita diretta dei prodotti petroliferi russi in Italia. Questo progetto mirava a sviluppare l'industria petrolifera in Italia. Anche se ci furono alcune resistenze da parte di altri attori del settore, come l'Agip, Agnelli perseverò nei suoi programmi, considerando il basso costo del petrolio russo e promuovendo la creazione di infrastrutture, come una raffineria a Savona, per facilitare l'importazione e la raffinazione del petrolio proveniente dall'URSS.  Nel 1930, la Fiat siglò un accordo con l'URSS per aumentare le esportazioni e avviare un programma di collaborazione tecnica e industriale, con un giro d'affari previsto di oltre 15 milioni di dollari. Un aspetto importante di questi accordi era la costruzione, da parte della Fiat, del più grande stabilimento al mondo di cuscinetti a sfera, intitolato a Lazar' M. Kaganovic, un importante collaboratore di Stalin.  La fabbrica Kaganovic fu certamente un progetto di grande rilevanza nella cooperazione tra l'Unione Sovietica e l'Italia fascista. Questo impianto non solo segnò uno dei primi e più grandi investimenti industriali dell'Unione Sovietica, ma anche un importante accordo di collaborazione tra i due paesi. La sua costruzione simboleggiava la volontà delle due nazioni di unire le forze per raggiungere obiettivi industriali e economici comuni.   CAPITOLO 4: IL VOLO TOTALITARIO IN ITALIA E URSS E IL RUOLO DI ITALO BALBO 1.Le forniture aereonautiche all’urss L'aviazione rappresentava un settore chiave nei rapporti commerciali tra Italia e URSS, soprattutto per quanto riguarda le forniture aeronautiche. Già durante la prima guerra mondiale, la Regia Marina italiana aveva stretto legami con la Russia. Nel 1920, la Cooperativa Nazionale Aeronautica (CNA) fu fondata a Roma, con l'obiettivo di sostenere lo sviluppo dell'industria aeronautica italiana, contando anche su personalità di spicco come Gabriele D'Annunzio. Questa cooperativa contribuì al mantenimento e alla crescita del settore, favorendo anche gli scambi commerciali con l'URSS. Questa cooperazione includeva la vendita di aeroplani italiani all'Unione Sovietica e la ricerca di partnership nel settore aeronautico. Inoltre, c’era un forte  interesse crescente dell'Unione Sovietica per l'industria aeronautica italiana.  Durante gli anni Venti, l'Italia e l'Unione Sovietica intrapresero una collaborazione nel settore dell'aviazione. Questa cooperazione comprendeva diversi aspetti: -Vendita di aeroplani italiani: L'Italia vendeva aeroplani all'Unione Sovietica. -Ricerca di partnership nel settore aeronautico: Entrambi i paesi cercavano di stabilire partnership nel settore aeronautico. Ciò potrebbe significare lo scambio di tecnologie, la costruzione di nuovi impianti o accordi per lo sviluppo congiunto di aerei o componenti. Tuttavia, questa collaborazione non fu priva di difficoltà. Un incidente aereo coinvolse due velivoli italiani che precipitarono, causando la morte di alcuni piloti e portando alla sospensione dei permessi di volo per la Cooperativa Nazionale Aeronautica (CNA), un'organizzazione che promuoveva lo sviluppo dell'aviazione in Italia. Questo incidente potrebbe aver influenzato negativamente i rapporti tra Italia e Unione Sovietica nel settore dell'aviazione. Nonostante le difficoltà, l'interesse dell'Unione Sovietica per l'industria aeronautica italiana era evidente. La Russia era disposta a investire notevoli risorse per acquisire aeroplani italiani e persino per avviare la produzione di velivoli direttamente nel proprio territorio. Infine, figure di spicco come Umberto Balbo svolsero un ruolo importante nella promozione dell'immagine dell'aviazione italiana e nel consolidamento dei rapporti commerciali con l'Unione Sovietica. La costruzione della fabbrica della SIA a Berdiansk nel 1927 segnò l'inizio dei piani per la produzione di idrovolanti destinati all'uso militare e direttamente venduti all'Unione Sovietica. Tuttavia, l'accordo per questa iniziativa fu firmato solo nel 1930, coinvolgendo il ministro delle Corporazioni Bottai, il ministro delle Finanze Antonio Mosconi e il vicecommissario al Commercio estero. 2.Il volo in Italia Durante il periodo compreso tra i primi anni Venti e gli anni Trenta, l'Aeronautica italiana si sviluppò rapidamente, sia a livello civile che militare, diventando un settore di grande importanza. Questo sviluppo fu guidato principalmente dall'iniziativa della Regia Aeronautica, che fu istituita nel 1923 su proposta del sottosegretario all'Aeronautica Italo Balbo. Il Commissariato per l'Aeronautica fu istituito il 24 gennaio 1923, segnando il primo passo verso l'indipendenza dell'aviazione italiana. Successivamente, con la legge del 28 marzo dello stesso anno, la Regia Aeronautica divenne un'arma autonoma, con uniformi e distintivi di grado propri. Questi cambiamenti normativi riflettevano l'importanza crescente attribuita all'aviazione sia per scopi militari che civili. La nomina del generale Pier Ruggero Piccio a capo di stato maggiore dell'Aeronautica il 1 gennaio 1926 segnò un momento significativo per l'aviazione italiana. Tuttavia, Piccio presto cedette il suo incarico a Italo Balbo, che all'epoca era ancora un ufficiale dell'esercito. L'Aeronautica italiana, fin dai suoi primi giorni, fu fortemente associata al regime fascista, che la considerava una sua creazione. Questo culto del volo contribuiva a consolidare il regime fascista, e le manifestazioni aeree divennero parte integrante della ritualità e dello spettacolo del regime stesso. Anche Mussolini stesso aveva una passione per l'aviazione.  L'Italia divenne un protagonista nel campo dell'aviazione, con un'industria che si concentrava anche sulla ricerca di nuovi mercati per la sua produzione. Durante questo periodo, furono compiuti significativi progressi nell'aviazione italiana, con voli pionieristici compiuti nel Mediterraneo, in Europa e verso l'America del Nord e del Sud. Gli aviatori italiani parteciparono attivamente a competizioni per stabilire record mondiali di velocità, altezza, durata del volo e distanza in linea retta e in circuito chiuso, es:Il "Savoia-Marchetti S.64". 3.Il volo nell’Urss L’industria  aeronautica sovietica si trovava in ritardo rispetto all'Europa e agli Stati Uniti. Si basava su una produzione artigianale e dipendeva pesantemente dalle forniture straniere. Nel 1922, durante la Conferenza economica internazionale di Genova, fu firmato il Trattato di amicizia e collaborazione a Rapallo tra Germania e Russia sovietica, che riavvicinava le due potenze escluse dalla scena europea dopo la prima guerra mondiale. Questo trattato segnò la ripresa dei rapporti commerciali tra i due stati, con Mosca che abbandonava la politica di isolamento dall'Europa occidentale e la Germania che avviava un riarmo clandestino sostenuto dall'URSS in cambio della tecnologia tedesca più avanzata. Come risultato di questo accordo, nel maggio del 1923 fu inaugurata la prima rotta aerea commerciale tra l'URSS e uno stato straniero. La compagnia aerea Dobrolet aveva diversi compiti, tra cui assistere l'industria aeronautica sovietica nell'acquisizione di tecnologie straniere, gestire le relazioni commerciali e promuovere lo sviluppo dell'aviazione civile e militare.  L'aereo era non solo un mezzo di trasporto, ma anche uno strumento potente di propaganda. L'esito disastroso della missione dell'"Ant-25" dell'anno precedente spinse le autorità a limitare la pubblicità delle imprese aeree fino al loro completamento. Nel giugno del 1936, Stalin incaricò Valerij Čkalov di compiere una missione da Mosca a Chabarovsk a bordo dell'"Ant-25" ribattezzato "Put' Stalina" (la via di Stalin), diventando un simbolo degli anni '30 in URSS. Nel 1937, compì la prima trasvolata polare artica su un "Ant-25" da Mosca a Vancouver negli Stati Uniti. 4.L’aereonautica sovietica al femminile: le streghe della notte L'Aeronautica sovietica femminile vide protagoniste vere eroine, nonostante le catastrofi aeree, come quella dell'equipaggio femminile dell'"Ant-37" "Rodina" nel settembre 1938. Durante la Seconda guerra mondiale, le aviatrici fornirono un contributo significativo, incoraggiate dal patriottismo propagandistico di Stalin, che le coinvolse attivamente nonostante la società tradizionalmente maschilista. 5.Italo Balbo e il volo di massa Italo Balbo è stato uno dei protagonisti dell'aviazione italiana, noto soprattutto per il suo volo di massa che ha rappresentato un simbolo della combinazione tra le aspirazioni del fascismo e quelle del comunismo nell'Aeronautica italiana. Prima della sua impresa più celebre, Balbo aveva già ottenuto successo con il volo dei due idrovolanti Mardeno lungo i grandi fiumi europei, nel 1926, utilizzando il modello S.62 della SIAI-Marchetti. Il volo di massa, noto come "Crociera del Decennale", aveva lo scopo di dimostrare la potenza e la modernità dell'aviazione italiana. Fu un'impresa ambiziosa che coinvolse diverse tappe, tra cui una particolarmente significativa in Russia.  Anche se aveva combattuto come ufficiale degli alpini durante la Grande Guerra, la sua vera passione era sempre stata il volo. Fin dal suo primo mandato alla Camera dei deputati nel 1924, Balbo fondò un gruppo parlamentare aeronautico e si dedicò a individuare località per i campi di atterraggio d'emergenza in Italia, convinto che "l'avvenire d'Italia è nel cielo". La nomina di Italo Balbo a ministro dell'Aeronautica italiana segnò un momento cruciale nella storia dell'aviazione italiana. Balbo divenne un punto di riferimento per lo sviluppo e la promozione dell'industria aeronautica italiana. Con la sua nomina, l'Aeronautica italiana divenne ancora più popolare. Balbo promosse attivamente l'organizzazione di Aero Club, lo sviluppo di spettacolari esibizioni aeree e la costruzione di nuovi aeroporti. I principali obiettivi della politica industriale di Balbo erano chiaramente definiti: mirava a promuovere l'esportazione dei prodotti dell'industria aeronautica italiana e a mantenere attive le filiali del settore. Grazie a questi sforzi, l'Italia fascista divenne uno dei principali esportatori di armi a livello mondiale nel settore aeronautico. Italo Balbo incarnava un'audacia e una determinazione simili a quelle di un piccolo Odisseo, pronto a essere risvegliato da un frullo d'ali. Nonostante il suo straordinario impegno e la sua passione per l'aviazione, Balbo si trovò a lottare contro ostacoli politici e finanziari: l’utilizzo dell'«arma fascistissima» e del mito del volo a fini propagandistici non ricevette un adeguato sostegno finanziario. Questo suggerisce una discrepanza tra l'entusiasmo e la retorica propagandistica associati all'aviazione e la reale disponibilità di risorse finanziarie per sviluppare e sostenere l'industria aeronautica italiana. Tuttavia, lui non vedeva solo l'aviazione come un mezzo di gloria individuale, ma soprattutto come un'opportunità per coinvolgere l'intera nazione. Egli propugnava un'idea di volo nazionale, incentrata su valori collettivi e patriottici, anziché su imprese individuali di singoli piloti. Questo approccio portò Balbo a criticare il "campionismo" e il "divismo" nel mondo dell'aviazione. La sua battaglia contro gli "assi" e le "prime donne" dell'aviazione rifletteva il suo desiderio di promuovere un'immagine più inclusiva e nazionalistica dell'aviazione italiana, piuttosto che concentrarsi su figure individuali di prestigio. Balbo era un abile politico che sapeva sfruttare il successo pubblico delle sue imprese aviatorie per promuovere la sua carriera e il prestigio dell'aviazione italiana.  Mussolini, consapevole del carisma e delle capacità di Balbo, lo nominò generale di squadra aerea di complemento nel 1926. Balbo discusse con l'ambasciatore russo sulla possibilità di organizzare una crociera aerea verso l'Unione Sovietica. Il giorno successivo, Balbo ottenne l'approvazione di Mussolini per l'impresa. Balbo, durante un incontro segreto con Kurnosov, rappresentante dell'ambasciata russa, illustrò i dettagli della trasvolata e dichiarò la sua ammirazione per i bolscevichi, sottolineando la possibilità di un'intesa tra le due parti nonostante le divergenze ideologiche. L'atteggiamento di Balbo durante la trasvolata del Mediterraneo orientale rifletteva una politica di collaborazione apparentemente cordiale con l'Unione Sovietica, nonostante le divergenze ideologiche. Rispetto alla precedente trasvolata, quella del Mediterraneo orientale fu un po' più lunga, ma meno costosa e coinvolse meno personale e risorse. La squadriglia partì da Odessa il 5 giugno 1929, con alcune discrepanze tra Balbo e De Pinedo riguardo alla preparazione e al comando dell'operazione. Questo episodio evidenziò non solo le divergenze di rapporti tra i due, ma anche una diversa visione gerarchica e organizzativa. Nonostante le divergenze, il successo della trasvolata a Odessa fu evidente grazie alla calorosa accoglienza riservata dai sovietici. La stampa italiana, soprattutto quella filo-fascista, celebrava l'impresa di Balbo come un successo diplomatico e una dimostrazione di forza dell'Italia fascista, evidenziando il cordiale rapporto tra Balbo e le autorità sovietiche. La stampa italiana seguiva una strategia simile a quella sovietica nel trattare l'impresa di Balbo a Odessa, evitando di enfatizzare gli aspetti ideologici e concentrandosi invece sull'aspetto patriottico e sulle capacità dell'Arma aeronautica italiana. Mentre alcuni giornali italiani come "Il Popolo d'Italia" relegavano la notizia della crociera di Balbo alla terza pagina ed enfatizzavano altri eventi politici, come la ratifica dei Patti Lateratensi. Questo dimostra come, nonostante il successo dell'impresa, l'attenzione mediatica fosse prevalentemente focalizzata su altri avvenimenti politici considerati più significativi per il regime fascista. L'arrivo dei piloti sovietici a Roma nel 1929, accolto con calore dalle autorità italiane, ha evidenziato l'interesse reciproco nel rafforzare i legami politici tra Italia e Unione Sovietica. Balbo ha sottolineato l'amicizia tra i piloti. Questo evento ha aperto opportunità di collaborazione economica, come le trattative per forniture di petrolio e legname dall'Unione Sovietica all'Italia. Il successo ottenuto ha contribuito alla nomina di Balbo come ministro dell'Aeronautica nel 1933. Nonostante i suoi successi nel promuovere lo sviluppo dell'aviazione, Balbo fu rimosso dall'incarico di ministro nel novembre 1933, mentre era all'apice della popolarità. Sembra che il viaggio di Balbo in Unione Sovietica nel 1938 abbia suscitato l'interesse della stampa sovietica, che ha pubblicato notizie sulla sua morte. Mekhlis ha descritto Balbo come un uomo che enfatizza le sue qualità interne, ma che non sembra essere un grande politico. Mekhlis descrive Balbo come un uomo che manifesta esternamente amicizia e calore, ma che sotto sotto sembra avere un carattere ambizioso e narcisista. Ciano aggiunge che Balbo si comporta come un despota, crede che tutto ruoti attorno alla sua immagine ed è eccessivamente concentrato sugli affari personali, 4.Sulla via dei trattati italo sovietici Durante il primo piano quinquennale, le relazioni tra Italia e URSS sono diventate sempre più strette. L'Italia ha iniziato a esportare più prodotti verso l'URSS, aiutando a mitigare la crisi economica mondiale. Il ministro delle corporazioni Bottai ha dichiarato interesse nell'aumentare le esportazioni verso l'URSS e ha offerto crediti con garanzie statali. L'URSS ha chiesto maggiori macchinari e attrezzature industriali dall'Italia. Le trattative per gli accordi commerciali sono state accelerate, culminando in un incontro decisivo nel giugno 1930. Mussolini ha offerto maggiori garanzie di credito all'URSS. Tuttavia, durante le trattative, gli imprenditori italiani hanno proposto un credito inferiore rispetto alle aspettative sovietiche. Questo ha portato l'URSS a ottenere più di quanto l'Italia avesse pianificato. Su un piano politico, c'erano discussioni sulla possibilità di una conferenza internazionale tra Italia, Germania e URSS, ma senza coinvolgere Mosca direttamente. Entrambi i paesi erano interessati a un accordo politico che li avrebbe aiutati a superare l'isolamento internazionale. Litvinov, il viceministro degli esteri sovietico, ha sottolineato l'importanza delle relazioni amichevoli tra Italia e URSS, nonostante le differenze ideologiche. Le due nazioni avevano interessi comuni che potevano essere sviluppati e rafforzati in futuro. Nel luglio 1930, l'Italia e l'URSS stavano diventando sempre più vicine. Questo ha portato alla firma di un importante accordo commerciale il 2 agosto, che ha permesso all'URSS di acquistare prodotti italiani per un valore di 200 milioni di lire. Il governo italiano ha anche incoraggiato le aziende a fornire assistenza tecnica alle imprese sovietiche, offrendo garanzie statali. Secondo Bottai, gli accordi italo-sovietici avrebbero aiutato l'Italia a ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti per le materie prime e ad affrancarsi dai salari alti del fordismo, oltre a contrastare il protezionismo americano. Grandi ha sottolineato che questo accordo avrebbe dato all'Italia un ruolo importante in Europa, permettendole di scegliere il suo destino in caso di conflitto. L'ambasciatore italiano a Mosca, Attolico, ha confermato la convergenza di interessi tra Italia e URSS durante un incontro con il presidente Kalinin. Questo ravvicinamento è stato sottolineato anche durante una missione navale sovietica a dicembre. Litvinov, il commissario sovietico, ha cercato di coinvolgere l'Italia in una politica estera attiva in Europa, con l'obiettivo di indebolire la Francia. Tuttavia, l'Italia ha mantenuto una posizione più cauta, vedendo l'amicizia con l'URSS come un vantaggio tattico senza impegnarsi in un'alleanza formale. Incontri successivi tra Attolico e Litvinov hanno discusso della possibilità di invitare l'URSS alla conferenza pan-europea e di espandere i commerci tra i due paesi. Questi passi rappresentavano un tentativo di integrare l'URSS nella comunità internazionale. 5.L’accordo dell'aprile 1931 e la missione guidata da Felice Guarnieri La politica di Grandi verso l'URSS sembrava essere opportunista nei confronti di Mosca e provocatoria verso le capitali europee. Nel gennaio 1931, il primo ministro francese Laval aveva accennato a un possibile avvicinamento italo-francese, cosa che Grandi aveva prontamente riferito a Litvinov. Tuttavia, Grandi temeva che l'URSS potesse usare l'amicizia con l'Italia a proprio vantaggio, il che avrebbe potuto compromettere le relazioni con altri paesi. Il 27 aprile 1931, la firma di un accordo commerciale e finanziario tra Italia e URSS ha eliminato gli ultimi ostacoli burocratici alla cooperazione tra i due paesi. Questo accordo ha stimolato l'entusiasmo degli industriali italiani, che vedevano nell'URSS un mercato potenziale per i loro prodotti. La visita di una delegazione italiana a Mosca nel giugno 1931, guidata da Felice Guarnieri e includente anche Giovanni Agnelli, ha evidenziato l'interesse crescente del governo sovietico per la collaborazione italiana. Tuttavia, i resoconti della visita non erano tutti positivi, con alcuni membri della delegazione che esprimevano cautela circa la stretta collaborazione con l'URSS. Anche Stalin aveva espresso preoccupazione per i problemi di organizzazione e produzione nell'industria sovietica, ma si sperava che l'Italia potesse aiutare l'URSS a superare tali difficoltà. In generale, c'era il rischio che, se l'Europa non avesse sostenuto l'URSS, questa sarebbe potuta fallire, ma se l'URSS fosse fallita, avrebbe incolpato l'opposizione dei paesi capitalistici. In sintesi, c'erano opinioni contrastanti sull'opportunità di una stretta collaborazione tra Italia e URSS, con alcuni che vedevano l'URSS come un potenziale alleato economico, mentre altri erano più cauti, sottolineando le sfide interne che l'URSS doveva affrontare. 6.La crisi economica mondiale e il patto di amicizia Italo sovietico del 1933 Negli anni '30, i rapporti tra Italia e URSS oscillavano tra iniziative entusiastiche di scambi commerciali e fasi di crisi legate alla politica estera fascista. La crisi economica internazionale del 1932 colpì duramente l'Italia, con una forte diminuzione della produzione industriale e la chiusura di numerose piccole imprese. Il regime fascista rispose con interventi pubblici e la creazione di enti per sostenere l'economia, ma la disoccupazione industriale aumentò notevolmente. Nel gennaio 1932, rappresentanti sovietici espressero preoccupazione sulla situazione economica italiana durante un incontro con il ministro Bottai. L'Italia proponeva di utilizzare parte dei proventi delle esportazioni in Italia come pagamento per gli ordini sovietici, ma le condizioni di credito dell'accordo commerciale erano considerate insostenibili. Nonostante la politica autarchica italiana, l'URSS era interessata al mercato italiano per esportare grano, legname, cotone e altri prodotti. Tuttavia, l'aumento delle importazioni di legname sovietico in Italia nel 1930 aveva provocato preoccupazioni tra i commercianti italiani. Allo stesso modo, l'incremento della produzione di cotone in URSS suscitava timori di una concorrenza dannosa per il cotone statunitense, già colpito dalla crisi economica. L'URSS stava cercando di sviluppare la propria industria nazionale, mentre l'Europa capitalista doveva trovare soluzioni per affrontare la crisi economica. Nonostante la crisi, l'URSS riusciva a far crescere la sua economia e produzione industriale, ma era consapevole dell'importanza di mantenere relazioni economiche con altri paesi, compresa l'Italia. Stalin accettò la proposta italiana di avviare i negoziati commerciali, ma decise di mantenere la decisione finale su quando iniziare le trattative. Questo indica che l'URSS era aperta a negoziare con l'Italia, ma voleva valutare l'efficacia della pressione italiana sulla diplomazia sovietica. 7.Il patto a quattro e le reazioni dell’URSS. Mussolini propose un accordo tra Germania, Italia, Francia e Gran Bretagna chiamato in Italia, "patto Mussolini". Questo causò tensioni con l'Unione Sovietica, che si sentiva esclusa e vedeva l'accordo come una minaccia antisovietica. Anche Roosevelt escluse l'URSS da una conferenza economica, aumentando i sospetti. L'URSS si sentiva circondata anche dall'approvazione di leggi che vietavano l'importazione di merci sovietiche. Pensava che l'accordo fosse un modo per imporre decisioni senza di lei. Ma, l'accordo tra Francia e URSS e il patto Mussolini cambiarono i rapporti tra Italia e URSS, portando a una maggiore cooperazione commerciale. L'ambasciatore Potemkin, dopo un incontro con Mussolini, Litvinov e Stalin, sostenne la firma di un patto italo-sovietico. L'URSS vedeva questo come un successo e una conferma della propria politica. Il patto Mussolini, firmato nel 1933, prevedeva una politica comune su questioni coloniali e revisioni dei trattati di pace. Ma l'Italia cercava di usare questo accordo per i propri fini, nonostante l'opposizione dei Paesi della Piccola Intesa e della Polonia. Alla fine, l'accordo diventò solo una collaborazione senza contenuti politici significativi, rassicurando l'URSS. L'Italia dovette lavorare per ristabilire buoni rapporti con l'URSS, dimostrando la sua autonomia dagli altri Paesi e firmando un importante accordo italo-sovietico. 8.La firma del trattato di amicizia, non aggressione e neutralità Il trattato tra Italia e URSS, firmato il 2 settembre 1933 a Roma, rappresentò un momento solenne con la presenza dei dirigenti del ministero degli esteri. Composto da sette articoli, prevedeva che potesse essere sciolto solo dopo un anno dalla comunicazione di una delle parti, ma questa comunicazione non poteva essere fatta prima di cinque anni. Questo significava che il trattato doveva rimanere in vigore per almeno sei anni. Mussolini esprimeva la sua felicità per la firma, considerandola storica e promettendo risultati ancora più positivi. Il governo italiano vedeva il trattato come un modo per coinvolgere attivamente l'URSS nelle questioni internazionali, riconoscendo l'importanza della sua partecipazione. L'accordo veniva presentato come un'idea italiana per confutare le accuse di antisovietismo. In realtà, l'URSS vedeva il trattato come un modo per aumentare la sua autorità internazionale e moltiplicare le sue relazioni bilaterali. Il trattato non modificava radicalmente i legami politici ed economici esistenti tra Italia e URSS ma poteva essere un mezzo per frenare Hitler, vista la politica sempre più aggressiva della Germania. L'URSS vedeva il trattato come un'opportunità per intensificare le relazioni con la Gran Bretagna. I diplomatici italiani facevano sforzi per coinvolgere attivamente l'URSS nelle attività delle quattro potenze, ma Litvinov non vedeva segnali concreti di collaborazione da parte di Mussolini. L'incontro tra Mussolini e Litvinov a Roma si concentrava su temi di rilevanza internazionale come il disarmo e l'uscita della Germania dalla Società delle Nazioni. Mussolini rinnovava l'auspicio di collaborazione tra Italia e URSS, senza aggiungere nulla di nuovo. La stabilità dei rapporti tra Italia e URSS era apprezzata anche nei circoli diplomatici sovietici. 9. L'Urss nella Società delle Nazioni: il ruolo dell'Italia Nel 1934, c'era un dibattito sull'ingresso dell'URSS nella Società delle Nazioni, sostenuto dal governo italiano ma in modo incerto. Mussolini era interessato a riformare la Società invece che ad ampliarla, ma non aveva proposte concrete. L'Italia opponeva l'ingresso dell'URSS per cercare una riforma della Società stessa, minacciando di uscirne. L'URSS mirava a entrare nella Società per sostenere la sua dottrina della sicurezza collettiva, ma questa politica non sempre coincideva con gli interessi italiani. Litvinov, il ministro degli esteri sovietico, cercava di mettere Roma contro Berlino, indebolendo la Francia nell'area balcanica. Litvinov cercava anche il supporto di Francia e Inghilterra per l'ingresso dell'URSS nella Società delle Nazioni. L'adesione dell'URSS alla Società delle Nazioni, nel dicembre 1934, non incontrò forte opposizione da parte dell'Italia, che accettò anche la richiesta di un seggio permanente nel consiglio della Società. La stampa italiana considerava l'adesione come un successo per l'Italia nel suo obiettivo di unire l'Europa e come riconoscimento del ruolo delle grandi potenze. Le relazioni italo-sovietiche non si limitavano agli affari diretti, ma anche ai contatti sulla politica mondiale. Tuttavia, questi contatti sarebbero diventati più limitati quando la situazione internazionale peggiorò nella seconda metà degli anni '30. Infatti, l'URSS fu espulsa dalla Società delle Nazioni nel dicembre 1939, a causa delle sue azioni aggressive in Finlandia e nei Paesi Baltici, secondo le clausole segrete del patto Molotov-Ribbentrop. CAPITOLO SESTO LA TECNOLOGIA ITALIANA NELL’URSS 1.La Fiat e la fabbrica dei cuscinetti a sfera Kaganovic Negli anni '20, l'URSS pianificò la costruzione della sua prima fabbrica statale di cuscinetti a sfera per sostenere il suo sviluppo industriale. Nel 1932, la fabbrica fu dedicata a Lazar M. Kaganovic, un alleato di Stalin. Nonostante la Fiat avesse finanziato in passato azioni contro i bolscevichi, Giovanni Agnelli vide un'opportunità economica nel partecipare alla costruzione di questa grande fabbrica di cuscinetti a sfera. La Fiat ebbe un ruolo significativo nella progettazione e costruzione dell'impianto a Mosca, come dimostrato da varie fonti storiche italiane. La collaborazione italiana non fu solo marginale, ma essenziale per il successo del progetto. Tuttavia, la storiografia sovietica ha ignorato in gran parte il contributo italiano, enfatizzando il successo del piano quinquennale sovietico. La Fiat fu scelta per la sua esperienza e competenza nella produzione di cuscinetti a sfera. Dopo un accordo commerciale tra Italia e URSS nel 1930, la Fiat ottenne un importante contratto per la fornitura di cuscinetti a sfera all'URSS. Questo accordo fu influenzato anche dalla politica estera italiana, che mirava a migliorare i rapporti con l'URSS. La Fiat non solo fornì i cuscinetti a sfera, ma anche assistenza tecnica per la progettazione e la costruzione di fabbriche e impianti metallurgici in URSS, contribuendo così allo sviluppo industriale del paese. La scelta della Fiat per la costruzione dell'impianto era dovuta a diversi motivi: la mancanza di concorrenza da parte di altre aziende, come la svedese SFK, e gli ostacoli politici e commerciali con gli Stati Uniti. Il progetto italiano fu approvato da una commissione a Mosca, riconoscendo la sua originalità e praticità rispetto ai progetti americani. Inizialmente concepito per produrre cuscinetti a sfera per l'industria automobilistica e meccanica, l'impianto divenne cruciale anche per l'industria della difesa sovietica. La Fiat fornì assistenza tecnica per il progetto e contribuì alla formazione di tecnici russi. Il contratto stipulato definiva i dettagli della collaborazione, incluso lo sviluppo del progetto e la fornitura di attrezzature. Il progetto prevedeva la produzione di milioni di cuscinetti l'anno e fu gestito da una squadra di esperti inviati dalla Fiat, guidati da Ugo Gobbato. La costruzione procedette con grande precisione e velocità, senza gare d'appalto, con tempi stringenti e consegne puntuali. Gobbato fu nominato direttore della missione, ma in sua assenza, Gaetano Ciocca, un ingegnere italiano, giocò un ruolo chiave nell'impresa. La sua esperienza e la sua dedizione contribuirono al successo della costruzione dell'impianto. 1.1. La progettazione e l’avvio dei lavori  Prima della firma del Trattato di amicizia, non aggressione e neutralità con l'URSS del 2 settembre 1933, Mussolini cercò di mediare tra Mosca e Berlino per ridurre l'ostilità antibolscevica di Hitler e promuovere un accordo tra gli stati europei e l'URSS. Tuttavia, dopo la firma del trattato, le relazioni tra Italia e URSS iniziarono a deteriorarsi.  Nel 1934, i rapporti politici e commerciali tra i due paesi si ridussero significativamente, nonostante la firma di protocolli per mantenere il livello degli scambi commerciali. Tra il 1932 e il 1935, le esportazioni italiane verso l'URSS calarono drasticamente, mentre le importazioni di materie prime dall'URSS si ridussero meno significativamente. In particolare, diminuirono le consegne italiane di zolfo, metalli ferrosi, strumenti di precisione e materiali elettrici, mentre l'importazione di carbone, ferro, seta e legname continuò con ritmi simili. Le cause di questa riduzione risiedono nella diminuzione delle operazioni di import-export dovuta alla necessità di risparmiare valuta e allo sfruttamento delle risorse interne. Inoltre, l'Italia ridusse le importazioni di legname russo e proibì l'importazione di seta di gelso, aggravando la situazione. La crisi finanziaria del 1929 e i dazi doganali introdotti negli anni successivi provocarono un calo degli scambi commerciali, tranne che per il settore cantieristico. La "battaglia del grano" lanciata da Mussolini nel 1925, mirava a raggiungere l'autosufficienza alimentare, un'idea che prese forma concreta nel modello di economia autarchica promosso dai fascisti, soprattutto dopo le sanzioni economiche imposte all'Italia nel 1935 a seguito dell'aggressione all'Etiopia. La politica estera italiana divenne incoerente con l'alleanza con la Germania e l'adesione al patto anti-Komintern, deteriorando ulteriormente i rapporti con l'URSS. Tuttavia, nonostante le tensioni ideologiche, l'Italia continuò a fornire materiale bellico e know-how all'URSS fino al 1941, in cambio di materie prime indispensabili, dimostrando la debolezza e l'incongruenza della sua politica estera.   CAPITOLO 7: IL CONTRIBUTO ITALIANO ALL’AERONAUTICA SOVIETICA 1. Umberto Nobile e Felice Trojani Fin dal 1925, l'Aeronautica militare sovietica mostrò interesse per la tecnologia dei dirigibili italiani. L'Italia, tramite l'ambasciatore Gaetano Manzoni, offrì ai sovietici l'opportunità di studiare la tecnologia dei dirigibili e di acquistare dirigibili e infrastrutture correlate. Questo interesse portò all'acquisto di velivoli e alla stipula di un contratto con l'ingegnere italiano Umberto Nobile, che giocò un ruolo cruciale nello sviluppo della dirigibilistica sovietica. In Italia, tuttavia, la dirigibilistica subì un duro colpo con il disastro del dirigibile "Italia" nel 1928, comandato da Nobile. Questo evento, combinato con i successi dell'aviazione militare guidata da Italo Balbo, portò a un declino dell'interesse per i dirigibili. Balbo sfruttò la tragedia per denigrare Nobile, che nel 1931 lasciò l'Italia per trasferirsi in Unione Sovietica, dove rimase fino al 1936. Nobile, ingegnere e generale, è una figura chiave nella storia delle relazioni tra Italia e URSS, grazie al suo contributo alla dirigibilistica sovietica. Nonostante il deterioramento dei rapporti con il fascismo, Nobile continuò a lavorare con successo in Unione Sovietica, portando con sé una vasta documentazione che testimonia il contributo italiano alla tecnologia sovietica. L'interesse di Nobile per l'URSS era alimentato anche da simpatie socialiste e da un legame speciale con il paese, rafforzato dal ruolo dei soccorritori sovietici nel salvataggio dei sopravvissuti del dirigibile "Italia". Durante la Prima guerra mondiale, Nobile lavorò alla costruzione di dirigibili per la difesa costiera e, dopo la guerra, affrontò la sfida di mantenere aperto lo Stabilimento Militare di Costruzioni Aeronautiche (SCA), evitando la sua chiusura e riconvertendo la produzione per usi civili. Il disastro del "Italia" e la successiva campagna denigratoria di Balbo portarono Nobile a cercare nuove opportunità in Unione Sovietica, dove contribuì significativamente allo sviluppo della Dirigibilistica. Il suo collaboratore Felice Trojani, pur scettico riguardo alle prospettive della Dirigibilistica sovietica, lavorò anch'egli in URSS, ma valutò l'esperienza come un fallimento. Trojani documentò dettagliatamente la sua esperienza e la vita quotidiana nella fabbrica di dirigibili sovietica, offrendo una visione critica del progetto e delle sue speranze disattese. La carriera di Nobile, segnata da successi tecnici e da conflitti con il regime fascista, rappresenta un capitolo importante nella storia della collaborazione tra Italia e URSS, evidenziando il complesso intreccio di motivazioni personali, politiche e tecniche che caratterizzarono il periodo.   2. L’impresa del “Norge” Il 11-12 maggio 1926, Umberto Nobile fu protagonista di una storica impresa a bordo del dirigibile "N- 1", conosciuto come "Norge" grazie al patrocinio dell'Aeroclub norvegese. Partito da Ciampino, il dirigibile volò per 4.300 chilometri fino a Leningrado, dove rimase per 20 giorni a causa del maltempo. Durante la sosta, Nobile ebbe modo di esplorare le infrastrutture sovietiche e di instaurare rapporti con il governo russo, che gli riservò un'accoglienza calorosa. L'equipaggio internazionale era composto da 16 persone, tra cui l'esploratore norvegese Roald Amundsen e il finanziatore americano Lincoln Ellsworth. Dopo aver lasciato Leningrado, il "Norge" si diresse verso le isole Svalbard per costituire l'equipaggio definitivo e da lì partì l'11 maggio, raggiungendo il Polo Nord il giorno seguente. Durante il sorvolo, vennero gettate tre bandiere: italiana, norvegese e americana. Il 14 maggio, il dirigibile atterrò a Teller, in Alaska, dopo aver coperto una distanza totale di 13.000 chilometri. La spedizione fu un successo, ma non priva di controversie. Amundsen e Nobile ebbero contrasti su questioni tecniche, finanziarie e sulla paternità del progetto. Amundsen accusò Nobile di aver attribuito l'idea della trasvolata a Mussolini, mentre Nobile sostenne che l'idea era nata nel 1925 dopo un fallito tentativo di Amundsen di raggiungere il Polo Nord in aereo. Nonostante le polemiche, la spedizione fu ufficialmente denominata "The Amundsen-Ellsworth-Nobile Transpolar Flight". Al ritorno in Italia, Nobile fu accolto come un eroe. Mussolini lo elogiò e lo nominò generale, sebbene Nobile fosse critico nei confronti del regime fascista e avesse un rapporto controverso con esso. Durante la sua permanenza a Leningrado, Nobile suscitò grande interesse tra i sovietici per le sue competenze ingegneristiche. L'anno successivo, venne invitato a Mosca dove fu accolto calorosamente e invitato a partecipare a un congresso internazionale sull'utilizzo dei dirigibili per lo studio dei paesi artici. In conclusione, l'impresa di Nobile non solo segnò un'importante tappa nella storia dell'esplorazione polare, ma rafforzò anche i legami tra Italia e Unione Sovietica, portando a future collaborazioni in campo aeronautico.   3. Il disastro dell’ “Italia” Due anni dopo il successo del volo del "Norge", Umberto Nobile tentò un'altra impresa con il dirigibile "Italia" (N-4), completato nell'ottobre 1927. L'obiettivo era superare la precedente impresa e riaffermare il suo ruolo di comandante e costruttore di dirigibili. Tuttavia, il volo si concluse tragicamente: il dirigibile si schiantò sul pack artico, causando la morte di otto membri dell'equipaggio. Nobile e altri superstiti furono salvati fortunosamente. Il regime fascista non era molto interessato al progetto, considerandolo una replica del volo del 1926, mentre la Marina era favorevole per le potenziali applicazioni militari. Nonostante le perplessità, Mussolini approvò la spedizione, convinto del potenziale successo propagandistico della stazione scientifica che il dirigibile avrebbe installato sul pack. Il 19 marzo 1928, il "Italia" partì da Ciampino per Milano e poi verso il Polo Nord il 15 aprile. L'impresa era gestita dalla Reale Società Geografica Italiana e finanziata da industriali e privati, con l'obiettivo di coprire i costi attraverso i diritti giornalistici. L'equipaggio comprendeva 16 persone, tra cui tecnici, militari, scienziati e due giornalisti. Il polo fu raggiunto dopo circa venti ore di volo, ma il 24 maggio, il dirigibile, sovraccarico di ghiaccio e colpito da una bufera, perse quota e si schiantò. Nobile e altri nove uomini furono sbalzati sulla banchisa, alcuni feriti, mentre sei rimasero con il dirigibile che si perse nei cieli del Polo Nord. Dei sei, non si seppe più nulla. Il disastro segnò la fine dell'uso operativo dei dirigibili militari italiani. Le operazioni di soccorso furono difficili. Tra i soccorritori vi fu anche Roald Amundsen, che scomparve nell'Artide durante la missione di ricerca. Umberto Maddalena e Stefano Cagna avvistarono i superstiti dopo 49 giorni, recuperandoli dalla "tenda rossa" dove erano sopravvissuti. Il disastro ebbe gravi conseguenze per Nobile, la cui carriera ne fu irrimediabilmente segnata. Secondo Nobile, la nave d'appoggio "Città di Milano" non rispose ai suoi messaggi di SOS a causa della presenza di giornalisti e della convinzione che lui fosse morto. Malmgren, Mariano e Zappi partirono a piedi in cerca di aiuto; solo Mariano e Zappi furono salvati dai soccorritori russi.   4.Le spedizioni sovietiche per il salvataggio dei superstiti dell'<Italia>. Già nei primi giorni della scomparsa alcuni paesi annunciarono l'organizzazione di spedizioni aeree di soccorso, mentre Mussolini taceva; addirittura, il 30 maggio, alcuni cittadini milanesi, decisero di finanziare una spedizione. Tutti volevano salvare gli italiani e tutti volevano essere i primi. Una svolta c'era stata la sera del 3 giugno, quando il giovane radioamatore russo captò l'Sos dell'Italia. Il governo russo finanzia le spedizioni per la ricerca e il recupero dei naufraghi: dei costi si fece carico la società per azioni della Florida mercantile Sovietica. Probabilmente per giustificare la stasi del governo italiano, del ministero dell'Aeronautica e del suo sottosegretario Balbo, si era consolidata nel tempo l'idea che l'Italia avesse sostenuto economicamente le operazioni sovietiche, cosa che invece non fu. La commissione d'inchiesta CAGNI, nominata dal governo italiano per far luce sugli eventi e sulle responsabilità, avrebbe giudicato inaccettabile che il comandante Nobile si fosse salvato per primo, abbandonando i suoi uomini, inoltre avrebbe attribuito proprio alla sua errata manovra la responsabilità del disastro. Egli ha cercato di spiegare quella scelta che era dovuta a varie ragioni, come la necessità di coordinare il salvataggio dalla città di Milano. Nobile rientro a Roma il 31 luglio e dovette affrontare l'inchiesta della Commissione Cagni, che il generale non accettò mai e interpretò come l'effetto della congiura ordita contro di lui da Balbo. Il 7 marzo 1929, Nobile rinuncio ai gradi di generale e si dimise dall'aeronautica. 5.Nobile in Unione Sovietica: Il contratto con la Dirizablestroj. Da questo momento iniziava per nobile una fase difficile della vita: il disastro del Dirigibile Italia, la morte dei suoi compagni e di quanti erano partiti per salvare i dispersi, lo spinsero alla decisione di lasciare l'Italia. La sua attenzione si rivolse verso quei paesi che avevano sostenuto, in particolare l'Unione sovietica. Già nel maggio 1929 Nobile si era rivolto all'ambasciatore Kurskij affinché lo appoggiasse nella richiesta di partecipare ad una spedizione. Qualche mese dopo Nobile ricevette la visita a Roma di un generale sovietico che, a nome del governo di Mosca, lo invitò a trasferirsi nell'URSS per organizzare e dirigere l'impianto per la costruzione dei dirigibili. Accettò con entusiasmo anche all'idea di riprendere il lavoro e suggerì di acquistare come prototipo di modello il Dirigibile italiano semirigido N-6, tuttavia Balbo ordinò che l'N-6 fosse demolito. Il 1931 fu per Nobile l'anno della svolta. Poiché venne invitato a prendere parte al viaggio che quell'estate il <Malagyn> avrebbe intrapreso nella regione della terra di Francesco Giuseppe, in compenso gli si chiedeva di fermarsi nell'URSS per dar consigli sulla costruzione di un dirigibile; egli accetto poiché sperava di far luce sulla sorte dei sei dispersi dell'Italia. Avrebbe soggiornato nell’Urss fino a tutto il 1936 poiché firmò un accordo con la Dirizablestroj (ovvero la sezione costruzione di dirigibili del Aeroflot). Nel 1936, alla sua partenza, sul sito erano sorte ormai officine, hangar, laboratori e un centro abitato da diverse migliaia di persone. Mussolini preferiva allontanare una possibile lo scomodo enerale, al quale concesse persino di portare con sé i disegni dei dirigibili. Nobile sarebbe stato a capo di un ufficio tecnico, sorvegliato da un vice. Inoltre, i sovietici si impegnavano ad assumere gli specialisti italiani indicati dallo stesso. 6.Nobile ed il rapporto con gli altri tecnici italiani. Nobile assumeva anche l'incarico di preparare il personale sovietico al pilotaggio dei dirigibili e si impegnava a far parte della Commissione di Stato per la selezione dei comandanti e degli ufficiali di bordo. Per andare nell’Urss, i tecnici italiani, avrebbero dovuto dimettersi dall'aeronautica, e così fecero alcuni dei prescelti di Nobile, tra i quali De Martino, Villa, Trojani. Belli Ecc. Tra questi, Trojani aveva una bassa opinione della squadra: la maggior parte di loro, a suo avviso, non aveva ancora acquisito sufficiente esperienza di calcoli, disegni di progetto, costruzione e montaggio dei dirigibili. A questi si sarebbero aggiunti altri italiani già residenti in Russia, rifugiati politici che avevano lasciato l'Italia dopo l'avvento del fascismo e che in seguito accusati di spionaggio industriale, finirono vittime delle purghe nel 1937/1938. Il progetto iniziale prevedeva alla costruzione, entro i 5 anni successivi, di ben 425 di dirigibili di tutti i tipi e misure. Un ostacolo al lavoro era rappresentato dal continuo cambio ai vertici dell'azienda e dalle condizioni di lavoro che sicuramente non erano facili: 1. l'ufficio tecnico era situato a Mosca, mentre l'ufficio progettazioni cambiò sede quattro volte. 2. Nei primi tempi Nobile aveva bisogno di essere affiancato da un interprete che però, a sua detta, doveva riferire le sue attività e il suo modo di pensare. 3. Provenendo da un paese fascista, molti dubitavano del suo atteggiamento. L'ottimismo che regnava in Russia, l'accoglienza che aveva riscontrato, seppur a volte eccessiva, gli davano ispirazione. A Mosca, dove teneva anche conferenze e lezioni, Nobile si tuffò a capofitto nella vita culturale della capitale sovietica, un entusiasmo che secondo Trojani era alimentato piuttosto dalla speranza di ristabilire in Russia la posizione perduta in Italia. Da qui, iniziarono le tensioni fra Nobile e Trojani. 7.Il montaggio del V-5 e la rottura tra Nobile e Trojani. Nobile e Trojani non esitavano ad accusarsi a vicenda delle disfunzioni dei dirigibili. Va considerato che la responsabilità delle disfunzioni in realtà erano dovute anche a fattori di carattere generale, alle condizioni di lavoro e alla carenza dell'Interno della Dirizablestroj. Altrettanto numerose erano le risposte dei dirigenti sovietici, che cercavano da un lato di smussare i toni delle controversie fra i due italiani, dall'altro, nei documenti riservati destinati alla leadership del partito e a Stalin, si attribuivano le disfunzioni e i ritardi del lavoro ai due ingegneri. A complicare la situazione intervenne un episodio grave: nella notte tra il 26 e il 27 febbraio 1933 Nobile fu colto da un improvviso attacco di appendice. Si recò lo stesso al lavoro, ma le autorità sovietiche decisero di farlo ricoverare in un ospedale del Cremlino dove fu operato e così si salvò. Intanto in Europa e in Italia veniva dato per morto. Mentre egli era in convalescenza, la responsabilità del montaggio ricade tutta su Trojani, il quale venne accusato di vergognosa condotta da Nobile. In questa specie di tragica farsa, i sovietici non erano dei semplici spettatori, anzi fomentavano le critiche e cercavano di condurre il discorso degli interlocutori italiani ai propri fini, cioè ottenere informazioni e raccogliere così materiale da utilizzare in futuro per corroborare le accuse di luogo per sottrarlo alle rappresaglie della polizia fascista, che lo aveva identificato come agitatore e messa sotto controllo, in secondo luogo per utilizzare le sue competenze di ingegnere meccanico per l'aeronautica sovietica. Arrivato in Russia, si laureò in ingegneria aeronautica e fu arruolato nell'aviazione dell'Armata Rossa. Sotto la sua direzione sono stati progettati gli aerei <Stal 6> (stabilì il record di velocità), <Stal 7> (utilizzato in guerra come bombardiere medio a lungo raggio), <Dar>. Bartini si interessava anche di filosofia e le sue opinioni erano tanto insolite quanto i suoi aerei erano in anticipo sui tempi. Era in grado, inoltre, di effettuare calcoli matematici molto precisi sulle caratteristiche di volo e con poca o nessuna necessità di sperimentazione. Riteneva infatti, che solo a 300 anni dalla sua data di nascita la scienza avrebbe raggiunto la capacità di comprendere e amplificare i risultati del suo lavoro matematico e filosofico. Verso la fine degli anni 30 anche i progettisti aeronautici finirono nella spirale di sospetto e repressione generata dal terrore Staliniano. Martini fu arrestato a Mosca il 14 gennaio nonostante la sua professata fede comunista, il collegio militare del Tribunale supremo dell'URSS lo condannò a 10 anni di reclusione e a 5 di privazione di diritti civili per attività di spionaggio a favore dell'Italia. Dopo la liberazione lavoro presso l'Istituto di ricerca aeronautica, nonostante l'arresto e la condanna rimase fedele all'Unione sovietica, scegliendo di continuare a vivere a Mosca, dove morì nel 1974. Bartini è stato senz'altro un ingegnere analitico geniale. Tuttavia, raramente portò a termine uno dei suoi velivoli. Martini non ha avuto i riconoscimenti che meritava. CONCLUSIONI: LA FINE DI UN IDILLIO Nel 1929 e il 1934 il commercio fra Italia e Unione sovietica raggiunse il suo apice. Anche i contatti politici furono piuttosto significativi e questo dipese dalla coincidenza di interesse in ambito geopolitico, commerciale ed industriale. I due regimi aspiravano all'accreditamento in Europa e ciò li legava in un odio senza appello per le democrazie liberali e per il parlamentarismo. Dunque, come avevo affermato Benito Mussolini ad accomunarle l'Italia fascista e la Russia comunista erano proprio gli atteggiamenti negativi manifestati verso regimi presso i quali, paradossalmente, cercavano credito e legittimazione. Mussolini si era proposto più volte come mediatore per favorire l'ingresso della Russia comunista all'interno degli organismi internazionali. Del resto il Duce era consapevole, e come lui la leadership europee, che non si poteva ignorare il fatto che l'Unione Sovietica avrebbe certamente aspirato a occupare come forza egemone il vuoto lasciato dall'impero austro ungarico alla fine della Prima guerra mondiale nell'Europa centro orientale. Peraltro, qualsiasi ambizione dell'Italia di venire potenza di riferimento, avrebbe portato inevitabilmente a un confronto con l'URSS. Nonostante posizioni ideologicamente antiche, gli interessi di Italia e URSS coincidevano su una serie di questioni: 1. Entrambi i paesi avevano un atteggiamento negativo nei confronti del trattato di Versailles, 2. ambedue erano ostili all'Inghilterra, la Francia e i loro alleati. 3. il commercio. 1 1 collaborazione industriale, difatti, avrebbe agevolato entrambe i paesi, poiché l'Italia aveva estremamente bisogno di grano e petrolio. Nonché dell'esportazione di prodotti finiti. Nonostante tutto questo, però, si iniziarono a manifestare le prime crepe. A partire dal 1935 le relazioni Italo-sovietiche entrano in una crisi sempre più profonda a causa delle inconciliabili divergenze politiche e ideologiche. Crisi che coincideva con una nuova fase della politica estera italiana, quando la leadership fascista si avvicina sulla strada della revisione del trattato di Versailles e verso la guerra dell'Etiopia. Secondo l'ambasciatore sovietico, le ragioni che erano all'origine di questo atteggiamento risiedevano nell'insoddisfazione italiana per il ravvicinamento di Mosca a Inghilterra e Francia, che faceva intravedere agli italiani lo spettro dell'isolamento. Data la rottura della relazione commerciale con l'Unione Sovietica, l'Italia si rese conto che l'unica alternativa stava nello sviluppo massimo delle risorse nazionali. Il principio dell'indipendenza austriaca sarebbe stato ribadito dalla Conferenza di Stresa nell'aprile 1935, in cui l'Austria venne definita come un fronte che mirava a isolare la Germania. Gli obiettivi della conferenza furono vanificati dallo scoppio del conflitto Italo etiopico. L'elemento di novità in quel 1934 fu l'ingresso dell'URSS nelle società delle Nazioni, che in un certo in un certo senso serviva anche a bilanciare la potenza tedesca. Ma i caratteri aggressivi del regime sovietico avrebbero aderito a poco provocato l'espulsione dell'URSS dalla Lega. La politica estera di Stalin fino al 1939 era diretta a due obiettivi: • quello di mantenere la pace in Europa attraverso la stipula di patti bilaterali, • quello di garantire la sicurezza dell'URSS collaborando con i regimi liberali di Francia e Gran Bretagna Nonostante i rapporti Italo sovietici fossero già entrati in crisi nel 1934, gli anni tra il 1935 e il 1939, furono caratterizzati 3 tappe principali: 1. la prima, la fase della guerra d’Etiopia. 2. La seconda tappa comprende il periodo segnato dalla grande guerra civile spagnola, (luglio 1936 Marzo 1939), - Il sostegno dell'Italia al generale Franco non consentiva più di proseguire i rapporti fra i due paesi, il fascismo si era trasformato da regime circoscritto all'Italia in un modello da esportare a impiantare in altri paesi, appunto come la Spagna, che occupavano importante posizione strategica. 3. Nella terza tappa dei rapporti, il periodo prebellico che va dal 1937 al 1930, segna lo strappo fra Italia e URSS che sarebbe stato ostacolato dal terrore di entrambi i paesi di far dover fronteggiare un altro conflitto. l'Italia cercò addirittura di regolarizzare le relazioni con l'URSS. Mussolini sperava che, mediante articolate combinazioni politiche, con l'appoggio dell'URSS, della Gran Bretagna e della Francia, egli sarebbe stato in grado di dissuadere la Germania dal lanciare un conflitto mondiale, soddisfacendo le richieste di Berlino con concessioni relativamente modeste. In questo ragionamento, difatti, si inseriva il suo ruolo di mediatore alla Conferenza di Monaco del settembre 1938 dove appunto l'uomo della Provvidenza avrebbe evitato lo scoppio di un altro conflitto, sostenendo presso Francia e Inghilterra le pretese hitleriane sui territori multilinguisti dei Sudeti, al confine tra Cecoslovacchia e Reich tedesco. Va detto che il mancato coinvolgimento dell'URSS a Monaco, come d'altronde l'assenza della Cecoslovacchia, fece intendere a Mosca che l'accordo tra i regimi liberali indirizzava le mire espansionistiche del fuhrer verso est. Questa interpretazione del Patto di Monaco spiega perché Stalin mostro cautela verso i successivi sforzi Anglo francesi di stringere un'alleanza. Certo è che il Patto di Monaco rappresentò la prima tappa nel processo di crisi del delicato equilibrio europeo. Una crisi a tutto vantaggio della Germania e che ovviamente inquieto l'URSS. L'occupazione di Praga da parte della Germania nazista nel marzo 1939 e la dissoluzione della Cecoslovacchia, conseguenza del Patto, portarono le democrazie occidentali ad abbandonare tardivamente a politica di contenimento. A rompere definitivamente l'equilibrio in Europa fu il Patto Molotov Ribbentrop del 23 agosto 1939 stipulato fra Unione Sovietica e Germania che sancì la fine della Polonia, che fu spartita fra Germania e URSS e lasciò il campo libero a Hitler per invadere mezza Europa. Sulla base degli accordi segreti, l'URSS occupava e si annetteva l'Estonia, la Lettonia, la Lituania e il 30 novembre, con il pretesto di rivendicazioni territoriali, attaccava la Finlandia. Un attacco che per l'Unione sovietica segnò anche l'espulsione dalla società delle Nazioni il 12 dicembre 1939. Stalin era consapevole che un conto era annettere i territori, un altro governarli. Inoltre, le fortificazioni difensive preesistenti sul confine occidentale sovietico erano state smantellate e quelle nuove non erano ancora pronte. Malgrado le conquiste, dunque, l'URSS si era indebolita a ovest, offrendo la Germania l'occasione favorevole per attaccare. Per Hitler, invece, il Patto rappresentava una mossa strategica che gli consentì di neutralizzare l'unica potenza che avrebbe potuto appoggiare la Polonia, di evitare una guerra su due fronti e di dar vita a una costellazione di potenze che potesse scoraggiare azioni Franco britanniche. Il 22 giugno 1941, allo scattare dell'operazione Barbarossa, l'Italia seguiva la Germania nella dichiarazione di guerra all'Unione Sovietica, trasformando la Seconda guerra mondiale in un conflitto ideologico che avrebbe visto nazifascismo e comunismo affrontarsi in una in una lotta all'ultimo sangue.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved