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Riassunto Completo di Diritto Canonico, Sintesi del corso di Diritto Canonico

Riassunto del manuale di diritto canonico integrato perfettamente con tutte le lezioni (prima sbobinate) tenute dal prof Andrea Zanotti. Completo e Dettagliato ma sintetico e scorrevole. Perfetto per sostenere il preappello dei frequentanti (voto 30L) sia per gli appelli successivi per non frequentanti (ci hanno studiato delle mie compagne ed hanno ottenuto tutte 30-30L). Si può studiare solo da questo e in meno di una settimana dare l'esame.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 13/03/2023

SerenaVas
SerenaVas 🇮🇹

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Scarica Riassunto Completo di Diritto Canonico e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Canonico solo su Docsity! DIRITTO CANONICO Prof Andrea Zanotti – G. DALLA TORRE, Lezioni di Diritto Canonico, ultima edizione LE FONTI DEL DIRITTO CANONICO FONTI DI PRODUZIONE, FONTI DI COGNIZIONE E FONTI STORICHE 1. Fonti di produzione o fontes existendi = disciplinano sia il soggetto che pone la norma, sia come la norma viene posta in essere in modo formale. 2. Fonti di cognizione = i documenti attraverso cui conosciamo le norme.  il diritto canonico parte da uno ius vetus che raccoglie il diritto canonico fino al Corpus Iuris Canonici (fino al 1500); c’è la prima grande codificazione del 1917, poi una novata del 1983. 3. Fonti storiche = fanno riferimento alla sedimentazione progressiva del diritto canonico.  negli ordinamenti secolari non hanno alcun rilievo, se non dal punto di vista dello studio della storia del diritto (es. statuto albertino).  L’evoluzione degli ordinamenti religiosi, invece, anche negli ordinamenti in cui può avvenire per via legislativa e non solo interpretativa (ordinamento canonico), avviene secondo continuità. Le novità della Chiesa nascono sempre dal passato della sua tradizione perché i sistemi religiosi sono veritativi: la verità può apparire sotto aspetti diversi, ma non muta. LE FONTI DI PRODUZIONE LEGGE ECCLESIASTICA, CONSUETUDINE, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA CANONISTICA Le fonti del diritto canonico sono: 1. Legge ecclesiastica 2. Consuetudine = diritto oggettivo non scritto che connota una determinata porzione di popolo di Dio, il quale la osserva nel convincimento della sua giuridicità e necessità, per un periodo di tempo sufficiente a radicarla. 3. Giurisprudenza = formata dalle sentenze dei tribunali competenti, della giurisdizione della Chiesa: partendo dal basso, tribunali ecclesiastici diocesani e metropolitani (riuniscono più diocesi e costituiscono il tribunale di appello dei diocesani); tribunali della santa sede e la sacra romana rota.  l’equitas canonica si applica solo alle norme di diritto umano. L’applicazione di una norma di diritto divino non può essere infatti nutritiva di peccato perché il diritto divino, provenendo da Dio, è perfetto e sopra di esso non c’è nient’altro da poter applicare.  Funzione nompoietica della giurisprudenza del diritto canonico = produce norme (come nella common law). Es. esisteva il principio della doppia conforma in materia matrimoniale, per cui l’ultimo grado in materia matrimoniale era la rota romana, che aveva una forte funzione di indirizzo e nomopoietica. 4. Dottrina canonistica = il canone ‘19 dice che, nel caso di dubbio interpretativo\vacatio legis, è una fonte suppletiva. CLASSIFICAZIONI DELLE LEGGI ECCLESIASTICHE Le leggi ecclesiastiche si possono classificare: a) Per autore (a seconda se poste in essere da Dio o dal legislatore umano): • Di diritto divino = complesso di norme poste da Dio. Nei diritti a base religiosa Dio è legislatore.  Possono essere di diritto divino naturale o positivo (vedi dopo). • Di diritto umano o ecclesiastico - Conciliari = il concilio viene convocato, presieduto e confermato dal Papa e procede normalmente per documenti (decreti, dichiarazioni, normalmente: normalmente, almeno nel passato procedevano per canoni conciliari). C’è stato poi il problema dell’eresia conciliarista (primato del concilio sul papa). - Pontificie = emanate dal Papa, massimo legislatore della Chiesa. Egli può intervenire attraverso decretali, bolle… - Sinodali = i sinodi potevano essere generali o locali. Non sono concili ecumenici: non hanno la rappresentatività di tutta la chiesa (ecumenicità). - Episcopali = c’è una Chiesa universale, il cui capo è il Papa, e una locale, connessa a quella universale, il cui capo è l’epìskopos, ossia il vescovo. La struttura della diocesi segue “in scala” le logiche della Chiesa universale. Quindi, i vescovi possono legiferare in sede locale. Le conferenze episcopali sono divenute soggetti con capacità legislativa. - Capitolari = in passato, esistevano i capitoli cattedrali, corpi collegiali che potevano emanare leggi. b) Per tipologia: • Universali = portata per tutta la chiesa • Particolari = es. episcopali • Generali • Speciali • Territoriali • Proprie = si riferiscono agli ordini religiosi, che hanno costituzioni proprie e quindi una specificità giuridica non territoriale • Personali = (ius singolare) di una persona o classe di persone DIRITTO DIVINO (NATURALE E POSITIVO) Il diritto divino è un complesso di norme poste da Dio, ma fatte valere da un’autorità umana. A seconda delle modalità con cui sono state prodotte e a seconda dei destinatari, possono essere norme di diritto divino naturale o positivo. DIRITTO DIVINO NATURALE È un complesso di norme non scritte che Dio pone direttamente nel cuore dell’uomo, il quale non ha bisogno di mediazione per conoscerle (es. non uccidere, divieto di incesto…). Sono dirette a tutti gli uomini e vincolano tutti gli uomini, non solo i battezzati.  a questo nucleo sono ricollegabili principi positivizzati nelle leggi positive, es. i diritti umani: il diritto ad una riservatezza (canone 219) della quale fa parte la scelta dello status che si vuole assumere (fedele, sacerdozio, ordine sacro, vita religiosa…); diritto al buon nome e tutela della dignità (canone 219 e 220); diritto al matrimonio (canone 2058; tantoché le ragioni che vietano di contrarre matrimonio sono eccezionali).  dal punto di vista dei diritti religiosi, il diritto canonico è l’unico che postula una sfera di diritto divino naturale preesistente a quello rivelato: sarebbe un’eresia nel diritto islamico, dove la fonte divina rivelata è il corano; nel diritto ebraico esiste qualcosa di assimilabile al diritto divino naturale, cioè i 7 principi noachidi (c.d. perché Dio gli avrebbe dati prima ad Adamo e poi, dopo il diluvio, a Noè: 6 divieti ed il comandamento del impositivo, l’obbligo di istituire tribunali per esercitare la giustizia) che preesistono alla rivelazione sinaichida.  all’interno dei diritti religiosi, a questa tematica è connessa una possibilità di in cima a una colonna o a un albero per isolarsi dal mondo e si nutrivano calando un cestello e chi passava dava loro qualcosa da mangiare. Nel II sec. cristiano, questo fenomeno assume forme più allargate (cenobi) perché introno a questi maestri si formò una comunità di seguaci che già dal III sec. si dà una vita più strutturata nei monasteri (monos= solo): si tratta di comunità di vita consacrata che si raccoglievano intorno ad un maestro di vita spirituale, che lasciava la regola che traduceva il carisma del fondatore (cioè l’idea del fondatore sulla via più opportuna per avvicinari alla sequela cristhi), intorno alla quale nascevano le costituzioni degli ordini religiosi, che si davano l’assetto di forma di governo (es. carisma dei benedettini è lavorare e pregare, carisma dei francescani è vivere la vita con gli umili in mezzo alla natura). Le prime regole erano più ispirate alla spiritualità e condivisione fraterna piuttosto che al diritto; vi sarà una regola più giuridicamente strutturata con l’ordine agostiniano e poi con quello benedettino (VI sec.). Molte di queste regole riflettono le esigenze e necessità della Chiesa in vari periodi storici: nell’epoca benedettina le abbazie divenivano regole di organizzazione di vita (“Chiesa nella Chiesa”). La convivenza con il diritto secolare non è sempre stata facile perché il diritto dei religiosi prevedeva un’autonomia da esso. Tra il IX e il X sec. nelle abbazie benedettine più importanti si andava a contrattare direttamente a Roma la propria autonomia dal pontefice. Gli stati moderni hanno attinto alle costituzioni di tali ordini. L’autonomia dal potere episcopale ha fatto sì che le costituzioni degli ordini religiosi diventassero ancora di più un laboratorio politico, momenti di sperimentazione di forme di governo e di organizzazione, che hanno consentito agli stati moderni di trarne esempio. Per tutto il primo millennio, gli ordini esistenti erano agostiniano e benedettino. Quando la chiesa sprofonda nel grande scisma d’occidente, verrà salvata dal punto di vista spirituale dalla nascita degli ordini religiosi medievali, che però non volevano assumere la regola benedettina. La chiesa non era sicura se fossero santi o eretici e la cosa si risolse con il concilio lateranense IV del 1215, che pone il tema per cui chiunque voglia condurre vita mistica associata deve assumere una regola che dovrà essere bollata (riconosciuta) da una mano pontefice. Es. il paradosso di Santa Chiara: Santa Chiara ha come regola di base il diritto di non possedere perché aveva paura che dopo la sua morte si sarebbe ceduto ad accumulare dei beni; la chiesa andava in controtendenza rispetto alla regola di Santa Chiara, quindi questa verrà bollata dopo, da Innocenzo III. I gesuiti sono retti da un diritto proprio. Prima del concilio lateranense IV, le regole non erano bollate e quindi nell’ordinamento canonico non vi era la gerarchia delle fonti perché il diritto degli ordini religiosi era un diritto di comunità che si autoregolano. Questi ordimenti giuridici, pur avendo il fine originale del diritto canonico (la salvezza delle anime), sono ordinamenti primari che si autoregolano ed hanno in sé tutti gli strumenti per raggiungere il proprio fine.  non è vero che il diritto canonico è morfologicamente uguale alle origini e ai giorni nostri: è frutto di sedimentazioni progressive ed in esso l’esperienza del diritto proprio è importante. DIRITTO SECOLARE Le fonti secolari hanno un’incidenza rilevante, che si modula in tre forme: 1. Del rinvio  il diritto canonico rinvia al diritto secolare, che regolamenta delle aree che sarebbero di competenza della Chiesa (es. il matrimonio, per gli effetti meramente civili) 2. Della presupposizione  il diritto canonico prevede che in materia di cause spirituali sia il papa a giudicare i capi di stato. Che cosa sia e come si giunga a quel ruolo non riguarda il diritto canonico. 3. Della canonitatio legi civili il diritto canonico fa proprie delle norme del diritto civile se lo ritiene conveniente. IL POPOLO DI DIO SOGGETTI DI DIRITTO DEL DIRITTO CANONICO Il codice del diritto canonico vigente intitola il libro II “Il Popolo di Dio” : sono i soggetti della Chiesa che compongono il popolo di Dio. Il concetto di popolo di Dio ha una derivazione fondamentalmente biblica (popolo di Israele =popolo eletto, il popolo scelto da Dio  il nuovo testamento si pone in continuità con il vecchio e la Chiesa si pone come popolo di Dio).  Popolo = gente associata che si riconosce in un vincolo comune, tale termine fa riferimento all’elemento sociale, al substrato personale, alla comunità di uomini uniti dal perseguimento di comuni finalità  Di Dio = la volontà associativa è stata posta non dai consociati, ma da qualcuno di esterno Dio ! la chiesa non è un’istituzione umana, è un’istituzione divina. Anche in democrazia si usa il termine “popolo”, ma il rapporto tra democrazia e Chiesa va chiarito. Nell’ultimo secolo e mezzo, ci sono stati due tipi di democrazia: 1. Democrazie socialiste = partivano dall’idea del primato del popolo come potere al popolo. Il luogo associativo era la territorialità, ma di fatto la fabbrica  per la loro ispirazione e morfologia erano inadatte a tradurre un modello possibile di Chiesa 2. Democrazie liberali = il potere viene dal basso, quindi anche queste erano inadatte a tradurre un modello possibile di Chiesa. ! Nella chiesa, infatti, il potere non viene mai dal basso: anche le elezioni canoniche si configurano solo come qualcosa che Dio ha già deciso (nella volontà dell’assemblea elettiva deve trasparire una volontà divina). IL POPOLO DEL DIRITTO CANONICO È:  UNIVERSALE = non sono soggetti di diritto che stanno in un confine. Tutti sono universalmente chiamati ad entrare nella Chiesa, attraverso il battesimo (canone 96: il battesimo è la porta della Chiesa)  è un ordinamento aperto  HA UN VINCOLO NELL’UNITA’ DI FEDE = la condivisione di un credo comune e delle azioni sacramentali fondano l’esistenza di tale popolo. Il popolo di dio non nasce da fattori socialmente ricorrenti nelle altre società (identità nazionale), ma dalla fede e dalla partecipazione alla vita e all’azione sacramentale.  HA EGUAGLIANZE SOSTANZIALI, MA DIVERSITA’ FUNZIONALI = ciò caratterizza la condizione giuridica delle persone, all’interno dell’ordinamento canonico. Una uguaglianza sul piano sostanziale: della fede, del battesimo, della comune dignità di redenti, da cui discendono come conseguenza diritti e doveri comuni a tutti gli appartenenti al popolo di Dio. Una diversità sul piano funzionale, sul piano dei carismi, dei ministeri, dell’esperienza di fede, sia pure nel quadro di una comune responsabilità nella missione della Chiesa: “c’è nella Chiesa diversità di ministero ma unità di missione”  Dalla diversità sussistente tra fedeli sul piano funzionale discende di conseguenza la diversità di diritti e di doveri che sono quindi commisurati alla peculiare condizione di ogni membro del popolo di Dio.  HA UNA RESPONSABILITA’ COMUNE CONDIVISA: LA MISSIONE SALVIFICA DELLA CHIESA  si raggiunge attraverso la diversità funzionale che caratterizza anche diversi stati di vita, diversi stati giuridici all’interno dell’ordinamento canonico. UNIVERSALITA’ Il popolo di dio è aperto a tutti e non solo ai discendenti di abramo. La chiesa non detta norme solo per i propri soggetti di diritto: tradizionalmente si diceva “canonibus infidere non tractatur” (i canoni non vincolavano i non soggetti di diritto). In realtà, essendoci anche il diritto divino naturale e sulla base di tale universalità, la chiesa detta norme e riconosce ditti anche per:  non battezzati: soggetti che non avendo ricevuto il battesimo non sono ancora incorporati nella chiesa e giuridicamente costituiti persone. Nonostante non sono riconosciuti come soggetti di diritto gli vengono riconosciuti dei diritti fondamentali come il diritto di libertà religiosa. (es. è nell’ebraismo e nell’islam vietato contrarre matrimonio con un non ebreo o con un non islamico; *anche nel cattolicesimo è vietato contrarre matrimonio con un non battezzato. Si può chiedere dispensa alla Chiesa di contrarre matrimonio con un non battezzato. Queste disposizioni sono indirizzate a un non battezzato quindi a un soggetto non di diritto della chiesa. Questo perché il matrimonio è un istituto di diritto naturale e quindi tali norme sonno rivolte a tutti gli uomini.)  eretici e scismatici I CHRISTIFIDELIS - I FEDELI La nozione di CHRISTIFIDELIS o fedele è contenuta nel can.204 par.1 nel quale è detto che i FEDELI sono coloro che essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo sono:  Costituiti popolo di Dio e perciò resi partecipi nel modo loro proprio dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo  Chiamati ad attuare secondo la condizione giuridica propria di ciascuno la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo. REQUISITI PER ESSERE SOGGETTI DI DIRITTO DELLA CHIESA L’ordinamento canonico è un ordinamento non chiuso ma aperto nel senso che tutti gli uomini in potenza ne fanno parte. Ma a fronte di questa attitudine dell’ordinamento canonico si pongono delle situazioni personali di parziale estraneità all’ordinamento stesso o meglio di una soggezione ad esso solo potenziale. Sono riconosciuti soggetti di diritto della chiesa:  BATTEZZATI = Il canone 204 dice che i fedeli sono coloro che sono stati incorporati con il battesimo al popolo di Dio e in esso costituito persona, con diritti e dovere che ai cristiani tenuto conto della loro condizione sono propri. Ogni uomo ha una capacità ed un diritto al battesimo e ciò spiega anche alcune norme: il canone 801 II dice che ogni uomo ha diritto a ricevere il battesimo e questo è talmente importante che può essere impartito anche non da un sacerdote e, se l’azione è retto da una retta intenzione, anche da un non battezzato. Il codice del diritto canonico dice che con il battesimo l’uomo viene costituito in persona: il diritto canonico ha una nozione più larga, non solo tecnica, del concetto di “persona”, perché è tale anche se non è ancora nata (tutele personali anticipate al momento del concepimento: la chiesa condanna l’aborto). I non battezzati non sono s oggetti all’ordinamenti giuridico canonico, mancando del presupposto essenziale per far parte di quella società ecclesiastica di cui l’ordinamento è espressione. Tuttavia se sono comunque come ogni uomo soggetti alle disposizioni di diritto naturale, possono essere destinatari di norme canoniche in determinate circostanze, in particolare qualora entrino in rapporti giuridici con persona battezzata nella Chiesa cattolica *. • Hanno il compito di animare cristianamente le realtà temporali facendo crescere il mondo in maniera conforme al disegno di Dio. Tradizionalmente hanno rappresentato una figura residuale (non era né papa, né cardinale,..).I laici erano chiamati alla vita della Chiesa in maniera più forte; nel II millennio si è prodotta una netta divisione tra queste due parti del popolo di Dio, intorno all’anno 1000 in virtù alla riorganizzazione della Chiesa intorno al Papa. Prima, i vescovi venivano eletti da tutto il clero ed il popolo. Graziano espunge il popolo dall’elezione canonica e ciò si traduce in una spinta verso la verticalizzazione del sistema, che diviene più forte nel Tridentino. Il cardinale Roberto Bellarmino elabora e scolpisce una definizione della Chiesa: essa è il centro dei fedeli (il gregge), radunati sotto il governo dei legittimi pastori  si ricava che ci sono 2 specie di cristiani= gli ordinati che sono quelli che contano e i laici. Con questa frattura ha fatto i conti il Concilio Vaticano II, per due motivi: a) teologico: andava recuperata tutta la parte carismatica della chiesa b) apostolico contingente: già si assisteva sempre a un maggior scemare delle ordinazioni sacre (età media preti in ita oggi è 75 anni)  o la chiesa in qualche modo arriva ai laici o è destinata a sparire  Tant’è che il codice dell’83 parla dei diritti e doveri dei fedeli e dello statuto giuridico del popolo di Dio, trattandolo in maniera unitaria e non tenendo conto della divisione. DISTINZIONE FEDELI PER STRUTTURA CARISMATICA E ISTITUZIONALE: TRIPARTIZIONE La seconda diversità tra fedeli della chiesa deriva dalla sua STRUTTURA CARISMATICA e al tempo stesso ISTITUZIONALE. Sotto questo profilo si da luogo a una TRIPARTIZIONE  se si guarda dall’ottica del carisma, cioè del dono gratuito dello spirito che abilita chi lo accoglie ad un particolare servizio ecclesiale, si distinguono: 1. CHIERICI: Coloro che sono chiamati a svolgere il ministero sacro 2. LAICI: Coloro che vivono da cristiani nel mondo cercando di sviluppare le potenzialità positive e cominciando a costruire già ora il regno di Dio che compiutamente si realizzerà solo la fine della storia. 3. RELIGIOSI: Coloro che professano consigli evangelici - povertà, castità, obbedienza -ed emettendo i voti, scelgono una radicale sequela di Cristo rinunciando spontaneamente a ciò che è pure buono nella condizione umana - come la proprietà e l’utilizzo personale dei beni, l’esercizio la sessualità nel matrimonio, la piena libertà di autoderminazione personale - e quindi testimoniano qui ora il regno di Dio che verrà.  I religiosi sono persone che si obbligano ad osservare delle regole che si articolano intorno ai voti, che devono essere espressi pubblicamente. L’assunzione dei voti non coincide con l’ordine sacro. Ci possono essere religiosi non sacerdoti, mentre l’essere sacerdoti non implica di dover scegliere la vita religiosa. ! se riguardati dal punto di vista della struttura gerarchica della Chiesa, i religiosi sono o chierici o laici. Dunque il par.2 del can.207 permette la distinguibilità, all’interno del ceto dei fedeli, di forme di vita che danno luogo ad uno statuto canonico particolare, nel senso che esiste un diritto proprio dei chierici, un diritto proprio dei laici, un diritto proprio dei religiosi, cioè di quella porzione di fedeli che con la professione dei consigli evangelici mediante voti o altri vincoli sacri sono consacrati in modo speciale a Dio. LO STATO GIURIDICO COMUNE: DOVERI E DIRITTI FONDAMENTALI Nei canoni che vanno dal 208 al 223 è delineato lo statuto comune a tutti i fedeli, chierici, religiosi, laici, all’interno dell’ordinamento giuridico della Chiesa. Al riguardo si deve per prima cosa notare che per la prima volta nella storia della Chiesa il legislatore ha formulato nel vigente codice, in maniera organica e sotto la precisa rubricazione “obblighi e diritti di tutti i fedeli”, un catalogo di doveri e diritti comuni a tutti i fedeli. can.208 recita che fra tutti i fedeli in forza della loro rigenerazione in Cristo sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire e per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del Corpo di Cristo secondo la condizione ed i compiti di ciascuno. Ma l’affermazione del principio di uguaglianza è sul piano propriamente giuridico, sicchè le differenze di trattamento giuridico registrabili sul piano del diritto positivo discendono non tanto dalla appartenenza a differenti STATUS quanto dalle differenti funzioni che ciascuno è chiamato a svolgere. Al principio di uguaglianza fondata sulla cristo conformazione battesimale, sono strettamente connessi i diritti e doveri fondamentali del cristiano, che il codice elenca nei can.209-222 • Canone 211 = missionarietà (diritto e dovere di diffondere la verità del messaggio evangelico) • Canone 212 = dovere di obbedienza ai pastori • Canone 213 = diritto ai sacramenti • Canone 219 = diritto alla scelta dello status di vita tra quelli contemplati dal diritto canonico ! Sono diritti che non centrano nulla con i “diritti borghesi” in quanto sono diritti soggettivi che tendono a poter essere riconosciuti e risolversi all’interno della comunità ecclesiastica. (Quindi oggi i diritti soggettivi hanno oggi cittadinanza nel diritto canonico; il canone 109 dice che c’è un’eguaglianza sostanziale dei soggetti di diritto del popolo di Dio, ma c’è una inaequalitas funzionale che sta nelle diverse funzioni assolte da un unico popolo di Dio. Nella lettera ai Galati, Paolo dice che non c’è posto per la discriminazione, ma per questa diseguaglianza. ) PECULIARITA’ DIRITTI E DOVERI CANONICI Vi sono alcune peculiarità rispetto agli ordinamenti statuali: • il legislatore canonico contempla accanto ai diritti, anzi prima di essi, i doveri fondamentali del fedeli  differenza non solo formale - legislatore della Chiesa ha preferito esplicitare i doveri fondamentali laddove questi negli ordinamenti statuali sono impliciti per specularità nelle formulazioni dei diritti fondamentali- ma è sostanziale : la concezione canonistica dei diritti fondamentali è fortemente tributaria di una teologia dei diritti del cristiano cos’ come della tradizionale concezione del diritto naturale cristiano. • Eterogeneità del manipolo dei diritto fondamentali del cristiano nell’ordinamento canonico: non solo perché esistono diritti sanciti dal codice che non hanno alcun riscontro negli ordinamenti giuridici secolari (esempio il diritto ai sacramenti); ma anche e soprattutto perché pure laddove si tratti di diritti rinvenibili per lo stesso NOMEN IURIS negli ordinamenti secolari, di diritti aventi in sostanza gli stessi contenuti nell’uno come negli altri ordinamenti, il loro ambito di operatività e le modalità del loro esercizio nella Chiesa non possono che essere del tutto peculiari (libertà di associazione) • Elenco dei doveri e dei diritti contenuto nei canoni sopra menzionati non sembra doversi intendere in senso esaustivo: genericità formulazione + ordinamento aperto al diritto divini naturale e positivo cui precetti sia nella dimensione della doverosità che in quella della pretesa non possono non produrre immediatamente effetti giuridici anche in assenza di una loro positivizzazione  DIRITTO ALLA LIBERTA’ RELIGIOSA: è stato dichiarato inviolabile nel CVII ma è evidente che tale diritto si pone propriamente allo stato, società dalla appartenenza necessaria, mentre ha poco senso considerarlo nella Chiesa, cioè una società ad appartenenza volontaria. In altre parole l’immunità da coercizioni esterne in materie religiosa, in cui consiste il diritto di libertà religiosa, ha un senso nell’ambito della comunità statale, della quale si fa parte a prescindere da una volontà personale ed alla quale difficilmente ci si può sottrarre.Il fatto invece che della Chiesa si entri a far parte con un libero atto volontà col quale per converso è pure possibile recedere dalla appartenenza ecclesiale, fa conseguire che ha poco senso parlare di libertà religiosa  che senso avrebbe una valenza nella Chiesa, se nella Chiesa tutti si riconoscono in una stessa verità? La chiesa si limita solo a non costringere nessuno al battesimo # si obbliga lo stato a farsi carico dell’esercizio della libertà religiosa). RAPPORTO PUBBLICO-PRIVATO NEL DIRITTO CANONICO Un altro importante tema è quello del rapporto pubblico-privato nel diritto canonico = la grande ripartizione pubblico- privata dei nostri ordinamenti parte da Hobbes, che pensava di dover limitare il potere sovrano per evitare divenisse Leviatano. Nasce così l’idea di una sfera di attività private cui è garantita protezione dall’ingerenza dei poteri pubblici. Nel diritto canonico, invece, il rapporto tra pubblico e privato è etico di compenetrazione: non ci si salva e non ci si perde da soli, è un diritto essenzialmente comunitario. # anni ’70 ci fu una grande diatriba perché Agostino d’Avac riteneva che l’ordinamento canonico fosse esclusivamente a stampo privatistico, perché la salvezza dell’anima è un bene personale e quindi rientrante nel diritto privato. Prima si diceva il contrario: il fondamento nella Chiesa non è di tipo individualistico ma comunitario. Nel senso che i diritti dei fedeli non rappresentano come i diritti fondamentali negli ordinamenti secolari, l’espressione e lo strumento della massima emancipazione dell’individuo da ogni vincolo sociale o istituzionale di origine umana, ma piuttosto costituiscono sfere autonome di azione del fedele sempre protese al conseguimento de fine supremo della Chiesa, secondo un’antropologia teologica che concepisce il destino di salvezza di ciascuno uomo come indissolubilmente legato a quello dell’intero popolo di Dio, cui peraltro è chiamata a far parte l’intera umanità. La verità sta nel mezzo: il diritto canonico in diritto dove l’individualità si risolve nella collettività. In ogni caso la partizione pubblico privato non può essere intesa con la stessa logica con cui la intendiamo all’interno di diritti secolari. possono pèoi svolgere il ruolo di promotori giudiziari, promotori di giustizia (nelle cause, nella Chiesa c’è spesso in gioco un profilo di interesse pubblico perché l’ordinamento canonico ha un profilo pubblicistico eminente, essendo la Chiesa una comunità di credenti: il promotore di giustizia difende il rilievo pubblico della causa) e difensori del vincolo (c’è una presunzione di validità del matrimonio di cui si fa parte il difensore del vincolo, che difende il vincolo sacramentale nel processo canonico). LE ASSOCIAZIONI DEI FEDELI In nome del diritto di libertà di associazione, diritto naturale riconosciuto dal can.215, il codice detta un’ampia ed articolata disciplina del fenomeno associativo nella Chiesa.In relazione a ciò ci sono grandi novità rispetto al codice del 17 perchè il codice del 1993 allarga lo spazio associativo. Alle origini la chiesa era piena di momenti associativi; poi, nella vigenza del vecchio codice, lo spazio associativo fu molto ristretto. Fino al Concilio Vaticano II, vi era l’azione cattolica promossa non dal basso ma dalla gerarchia. Il codice del 1993, invece, apre le associazioni dei fedeli (canone 298-299)  è sancito il diritto dei fedeli di formare associazioni per perseguire insieme fini di pietà, di culto, di apostolato, di carità; associazioni che possono essere erette o lodate o raccomandate dalla competente autorità ecclesiastica Il codice distingue 2 tipi di associazioni di fedeli:  PRIVATE  nascono dal basso su iniziativa dei fedeli. Sono totalmente legittime e possono avere o meno personalità giuridica (come nel diritto secolare civile). In un’associazione non riconosciuta, il patrimonio dell’associazione non è distinto da quello dei consociati. Nell’associazione riconosciuta, si riconosce l’associazione persona fisica dalle persone dei consociati. Possono anche intitolarsi l’aggettivo “cattolico”, ma devono chiedere l’autorizzazione ecclesiastica. Per il riconoscimento della personalità giuridica, è necessario far esaminare all’autorità ecclesiastica gli statuti e controllare che non vi sia nulla di contrario alla normazione ecclesiastica.  PUBBLICHE nascono dalle gerarchie ecclesiastiche, per volere della chiesa. Sono quelle costituite su iniziativa della autorità ecclesiastica o comunque aventi lo scopo di insegnare la dottrina cristiana in nome della Chiesa, di incrementare il culto pubblico ovvero di perseguire altri fini che l’autorità ecclesiastica riserva alla porpria competenza. Particolarità;:Il patrimonio delle associazioni pubbliche entra a comporre il patrimonio ecclesiastico (Bona ecclesiastica), a differenza che nelle associazioni private. IL VOLONTARIATO + CASO CARITAS Il volontariato cattolico costituisce oggi una delle forme in cui l’associazionismo dei fedeli si manifesta che si distingue dalle altre per profili soggettivi ed oggettivi. Le caratteristiche volontariato cattolico: iv. si basa su una prestazione personale (non solo patrimoniale), spontanea e gratuita non isolata ma inserita in una struttura organizzata; v. carattere non saltuario ma continuativo vi. svolgimento di attività assistenziali non solo con carattere riparatorio delle situazioni di emarginazione verificatesi ma anche di carattere preventivo, vii. si svolge tutto AD EXTRA: ha ad oggetto attività caritative e sociali in rapporto a situazioni di bisogno che si verificano nella società civile Duplice finalità: il bene dell’uomo sofferente, di tutto l’uomo e insieme il perfezionamento spirituale personale di chi agisce che nel servizio ad altri cerca la propria santificazione Il fenomeno del volontariato è un fenomeno importante oggi, ha ridato fiato al volontariato cattolico che rappresenta oggi per quanto riguarda il terzo settore, una parte importante. Tutto sommato, dentro questa capacità della chiesa di autorganizzazione su base volontaria, come la Caritas, c’è sotteso al fondo questa convinzione che la chiesa ha avuto negli ultimi secoli quello che più tardi noi chiameremo Welfare, in realtà erano finanziate dalla chiesa e dagli ordini religiosi, ad esempio in ogni città italiana troviamo un ospedale che sia di origine religiosa. Gli ordini religiosi che si occupavano di questa assistenza pubblica, si sono occupati di settori specifici sostituendosi allo Stato che evidentemente non era in grado di assolvere a queste funzioni specifiche. Ancora oggi il volontariato si struttura in maniera imponente, il terzo settore in generale è in grande espansione, noi veniamo da una statualità tardo napoleonica dove si guarda ad un certo sfavore a che i privati investano in settori di interesse generale. All’interno del terzo settore oggi la chiesa rappresenta in Italia un punto di riferimento importante. IL GOVERNO DELLA CHIESA LA SACRA POTESTAS La potestà sacra deriva da un mandato originario apostolico: è fondata direttamente da Cristo, che coopta 12 apostoli che formano il collegio apostolico. Successore del collegio apostolico è il collegio episcopale, titolare supremo della sacra potestà e composto da tutti i vescovi ed il pontefice. La sacra potestà si distingue in potestà di ordine, di magistero e di giurisdizione, detti anche tria munera ecclesiae (SANTIFICANDI – DOCENDI – REGENDI), corrispondenti al triplice ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo. In questa triplice potestà si manifesta il prolungamento dell’azione di Cristo nella Chiesa e si evidenzia la natura del tutto peculiare del potere all’interno della società ecclesiale.  Al Collegio episcopale, succeduto all’originario Collegio Apostolico e nel quale risiede l’origine della POTESTAS SACRA, si accede in virtù della consacrazione episcopale, con cui viene conferita la pienezza del sacramento e dell’ordine e mediante la comunione gerarchica col Capo del Collegio e con le membra . Nella consacrazione è data un’ONTOLOGICA partecipazione dei sacri UFFICI o MUNERA (SANCTIFICANDI, DOCENDI E REGENDI)  l’esercizio della POTESTAS implica la COMUNIONE GERARCHICA col Capo del Collegio e con le membra. Il potere nella Chiesa ha dunque un carattere personale in forza della consacrazione che imprime un carattere indelebile alla persona ordinata IN SACRIS, ma al tempo stesso presenta una forte dimensione istituzionale in virtù degli stretti vincoli di comunione che legano tra loro i membri del Collegio episcopale e i loro più stretti collaboratori, i presbiteri. L’ordinato compimento dei TRIA MUNERA o pubbliche funzioni, richiede una complessa organizzazione ecclesiastica nella quale tali funzioni sono ripartite in distinte sfere di competenze la cui unità elementare e proiezione giuridica è costituita dal concetto di UFFICIO ECCLESIASTICO, definito come qualunque incarico costituito stabilmente per disposizioni sia divina sia ecclesiastica da esercitarsi per un fine spirituale. Alla provvisione o assegnazione di un ufficio si procede nel diritto canonico, mediante libero conferimento, istituzione, conferma o ammissione, infine per libera elezione e accettazione dell’eletto. La chiesa è un ordinamento giuridico primario. Nell’epoca della controriforma, i mezzi che la chiesa aveva per raggiungere il suo fine erano 2  teoria di membre, in base alla quale articolava i suoi poteri: 1. Potestà di ordine: =possibilità della chiesa di porre in essere atti della trasmissione della grazia santificata 2. Potestà di giurisdizione = possibilità porre un’attività di governo e di gestione della società a cui la chiesa stessa è preposta. il termine iurisditio è di derivazione medievale, essa era una formula diettica perché non c’era la separazione dei poteri e comprendeva il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. La teoria di membre conteneva in sé molte contraddizioni: a. Le 2 potestà, originariamente, erano unite in uno stesso potere. questo perché le nomine erano relative (la nomina di vescovo era relativa a quell’ufficio). Nelle nomine episcopali, la consacrazione del vescovo è distinta dalla missio canonica. Nella nomina del vescovo stavano sempre potestà di ordine e di giurisdizione. Quando inizia ad affermarsi il primato pontificio, che comincia ad essere un ruolo anche politico, vi sono nomine che vengono fatte non relative ad un ufficio, soprattutto con il crescere dell’idea che la carriera ecclesiastica era comunque riservata al ramo cadetto (= alle grandi famiglie nobiliari) venivano fatte delle nomine c.d. assolute.  Inizia uno scollamento tra potestà di ordine e di giurisdizione. b. C’era un’attività che rientrava nelle potestà che non aveva autonomia: l’attività di insegnamento e di magistero della Chiesa. La teoria di membre faceva rientrare la potestà di magistero nella potestà di giurisdizione. Questa era una contraddizione perché il potere magisteriale è rivolto ai battezzati, ma soprattutto ai non battezzati. Tolto l’ebraismo (per ragioni in parte storiche ed in parte teologiche), infatti, le religioni sono normalmente vocate alla missionarietà. Fondamentalmente, i soggetti di diritto della Chiesa sono i battezzati. Un’attività rivolta a tutti gli uomini come poteva essere ricompresa nella potestà di giurisdizione, che invece si rivolgeva solo ai battezzati? Tale scelta trova le sue ragioni nel fatto che la Chiesa voleva controllare la potestà di insegnamento. 🡪 Il concilio Vaticano II fonda invece una teoria c.d. trimembre perché dà autonomia alla capacità di insegnare della Chiesa, vedendolo come un altro potere. L’ORDINE SACRO I TRE ORDINI SACERDOTALI L’ordine sacro è l’insieme di: 1. Diaconato 2. Presbiterato 3. Episcopato CHI PUÒ ESSERE ORDINATO Solo gli uomini possono accedere all’ordine sacro. Le ordinazioni femminili sono proibite e confluiscono nella materia penale della Chiesa, nel c.d. delitto tentato di ordinazione femminile. Ciò per: a. Scelta di Cristo, che ha cooptato 12 apostoli maschi. b. La tradizione della Chiesa, che è fonte del diritto, è stata concorde nel rigettare l’ordinazione di donne sacerdote. Alcuni hanno provato a sostenere la possibilità di costituire ordinazioni femminnili, affermando che nella Chiesa delle origini ci fosse un ordine aperto di diaconesse, ma in realtà non c’è alcun fondamento storico vero. IL SACRAMENTO Il carattere dell’ordine sacro è il sacramento. Tutti i sacramenti sono indelebili, perciò non ci si può dimettere dall’essere sacerdoti (sacerdos est sacerdos in eterno) e, non ci si può “sbattezzare” (si può solo chiedere al parroco di annotare nel registro dei battesimi che non si vuole più essere considerati parte della Chiesa) e per il matrimonio si può solo far valere un vizio delle origini per cui esso non è mai esistito.  il sacerdote può però chiedere alla Chiesa la dispensa dall’esercizio dei sacri ministeri, ma dal punto di vista ontologico non viene meno all’ordinazione sacerdotale (è solo sospesa l’efficacia di questa). IL CELIBATO ECCLESIASTICO Il celibato ecclesiastico non è una norma di diritto divino, ma è una riforma ecclesiastica introdotta dal concilio di Trento (non si potrebbero invece prevedere le ordinazioni femminili perché vi è l’esempio di Cristo) per ripristinare un costume presbiterale che fosse più consono per i tempi (per porre fine al clero concubinale) e per l’esigenza di sacerdoti che investissero in maniera forte e totale nella ragione ecclesiastica. Prima del tridentino, i preti non potevano sposarsi una volta ordinati, ma potevano aver contratto matrimonio prima di entrare negli ordini sacri. Nel mondo ortodosso, invece, i preti sono ancora sposati. Alcuni hanno cercato di introdurre tale possibilità anche nella Chiesa cattolica, distinguendo una categoria totalmente devota alla ragione ecclesiastica e il clero uxorato. Nella chiesa cattolica esistono oggi minoranze di • POTESTA’ GIUDIZIALE di cui godono i giudici e collegi giudiziari (potestà vicaria), ordinata alla risoluzione delle controversie mediante l’applicazione del diritto al caso concreto, è da esercitarsi nel modo stabilito dal diritto e non può essere delegata, se non per eseguire gli atti preparatori diun qualsiasi decreto o sentenza. • POTESTA’ ESECUTIVA ordinaria, ossia quella ordinata al perseguimento dei fini dell’amministrazione ecclesiastica mediante l’applicazione delle leggi. essa può essere delegata sia per un atto (delega speciale) che per un insieme di casi (delega generale) a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto e quella delegata dalla Santa Sede può essere di regola anche suddelegate. COLLEGIALITÀ E PRIMATO: LA DINAMICA DEL POTERE NELLA CHIESA CHIESA LOCALE E UNIVERSALE La chiesa conosce: • una dimensione locale (Chiesa locale), cioè una porzione del popolo di Dio affidata ad un Vescovo, con al proprio interno un’articolazione alveolare che arriva fino alla Parrocchia, punto ultimo di contratto tra Dio e i suoi pastori. • una dimensione universale (Chiesa universale), che fa capo al romano pontefice e che viene ricalcata nelle sue strutture organizzative dalla Chiesa locale. Queste due dimensioni non sono scisse nell’ordinamento canonico, ma si compenetrano. IL CONCILIO VATICANO II Nel Tridentino e poi nel codice del 1917 si faceva riferimento ad un’organizzazione ecclesiastica che vedeva i vescovi come cinghie di trasmissione in periferia del potere pontificio. La misticità della Chiesa (cioè l’essere della Chiesa il corpo mistico di Cristo, come diceva San Paolo) era passata in secondo piano, così come era passata in secondo piano la caratterizzazione derivante dalla consacrazione episcopale, mentre in primo piano restava la missio canonica (il potere del Papa di incardinare in una diocesi il vescovo). Il concilio Vaticano II introduce due novità: 1) libertà religiosa 2) collegialità e sacramentalità episcopale.  la costituzione Lumen Gentium afferma: A. LA CONTINUITÀ TRA COLLEGIO APOSTOLICO ED EPISCOPALE pone in primo piano la continuità apostolica tra il collegio degli apostoli ed il collegio episcopale B. L’EPISCOPATO COME SACRAMENTO afferma che l’episcopato è un sacramento  il concilio di Trento non si era addentrato teologicamente nella natura dell’episcopato perché i vescovi erano considerati delegati del pontefice in provincia. C. IL POTERE COLLEGIALE DEI VESCOVI SULLA CHIESA UNIVERSALE se nell’essere vescovo risalta in primo piano il rapporto verticale diretto con il papa, è destinata a perdersi l’idea che esista un rapporto orizzontale dei vescovi tra di loro e quindi il fatto che questo sia un ceto, un corpo.  mentre il concilio di Trento aveva imposto una riforma ecclesiastica che implicava anche l’obbligo per i vescovi di recarsi ogni 5 anni ad limina apostolorum, cioè presso la sede apostolica, per rendere conto dell’andamento della propria diocesi, il concilio Vaticano II sottolinea che i vescovi hanno un potere collegiale sulla Chiesa universale, come era per il collegio apostolico. D. LA NATURA COLLEGIALE E PRIMAZIALE DELLA COSTITUZIONE GERARCHICA DELLA CHIESA per risolvere il problema identificativo del soggetto cui attribuire il primato della Chiesa (papa o concilio), nel lumen gentium si spiega che la costituzione gerarchia della chiesa si incardina sulla collegialità episcopale e sul primato del Vescovo di Roma.  Collegialità episcopale nel collegio episcopale si attua una successione organica non personale al collegio apostolico: non è il singolo vescovo a succedere ad uno dei 12 apostoli, ma è il collegio episcopale nella sua universalità ad essere successore del collegio apostolico.  Primato del Vescovo di Roma La nota explicativa praevia alla lumen gentium precisa che il termine “collegio” non è usato in senso tecnico-giuridico, perché il collegio episcopale non è come un’assemblea che elegge il primus inter pares (presidente) dell’organo: il primato del pontefice non deriva da un’elezione da parte del collegio episcopale, ma dal fatto che in lui si attua una successione personale a Pietro, così come il primato di Pietro nel collegio apostolico deriva direttamente da un’investitura personale fatta da Cristo su di lui.  il pontefice può decidere di governare la Chiesa universale in autonomia o con il collegio dei vescovi, il quale non è invece autonomo perché agisce sempre in comunione con il romano pontefice.  Il primato del papa è ontologico, cioè è scritto direttamente nella tradizione del diritto divino positivo. Il suo riconoscimento, tuttavia, non è stato pacifico, poiché si è storicamente affermato in maniera forte con il Dictatus Papae di Gregorio VII. Uno dei punti di tale documento, infatti, è “prima sedes a nemine iudicatur”, cioè “il papa non può essere giudicato da nessuno”.  Subito dopo il dictatus papae, alcuni pensatori (es. Giacomo da Viterbo, Egidio romano…) operano uno slittamento sul terreno del linguaggio: iniziano a transitare dal regno della parola (potere che nel paradiso terrestre Dio ha dato all’uomo di chiamare le cose per nome e che differenzia l’uomo da tutti gli altri esseri viventi) al regno dei numeri binari: da “vicario di Pietro”, quindi successore di un uomo, si passa a dire che il Papa è “vicarius Christi”, quindi rappresentante diretto del fondatore. Così, Bonifacio VIII porrà una concezione teocratica per cui se Cristo ha creato il mondo, il Papa deve essere titolare sia del potere spirituale che temporale; essendo però impegnato a governare la Chiesa, concede la spada temporale al sovrano, il quale agisce quindi come mandatario del papa che può togliergli il mandato attraverso la scomunica. Bonifacio VIII, infatti, nella bolla Unam Sanctam dice che gli imperatori devono governare “ad nutum sacerdotis” (al cenno dei sacerdoti, quindi del Papa). GLI ORGANI DI GOVERNO DELLA CHIESA UNIVERSALE IL COLLEGIO DEI VESCOVI Primato pontificio e collegialità episcopale si fondono in maniera suprema e definitiva nel concilio ecumenico, che vede tutti i vescovi convocati, presieduti e confermati dal pontefice ed è espressione suprema dell’autorità potestativa della Chiesa. Questa collegialità può oggi estrinsecarsi in due modi: 1. Collegialità conciliare propriamente detta  i vescovi si trovano riuniti fisicamente in uno stesso luogo e insieme elaborano dei documenti con valore giuridico. 2. Collegialità conciliare impropria  i vescovi, sparsi nel mondo, si ritrovano virtualmente. Se convocati dal romano pontefice, l’atto ha valore giuridico. La conciliarità non segna un’apertura democratica della chiesa: lo spirito che evoca il Concilio Vaticano II non si alimenta di maggioranze e minoranze, ma di altri metodi come la comprensione e comunicazione reciproca, il riconoscersi una verità. La chiesa, anzi, ha sempre guardato con diffidenza al tema delle maggioranze e minoranze, lo spaccarsi dell’unità: ancora oggi, il metodo preferenziale nelle votazioni è l’unanimità perché la Chiesa nasce affinché i fedeli siano una sola cosa, uniti in uno stesso luogo, e la verità dovrebbe apparire a tutti uguale. Su ciò si fonda anche la cultura musicale dei canti gregoriani, un tipo di canto eufonico in cui tutti cantano all’unisono, per cui si sente una sola voce e non si capisce quante persone stiano cantando. Nel corso della storia, poi, la chiesa ha avuto divisioni interne e così si è introdotto il principio maggioritario. Alessandro III introduce il principio maggioritario puro e semplice per cui la verità sta nella ragione dei più: la dissonanza tra maggioranza e minoranza viene composta attraverso un accordo armonico. San Benedetto, invece, pone un correttivo forte al maggioritario, per cui nella maior pars deve rientrare anche il gruppo silenziosamente riconosciuto come più autorevole nella comunità. La collegialità episcopale piena è nel concilio ecumenico e questa forma del concilio ecumenico è anche straordinaria: nella storia della Chiesa ci sono stati 21 concili, in media circa 1 ogni 100 anni (anche se in verità ci sono state grandi stagioni di concili ecumenici). La storia dei concili ecumenici è uno dei tratti caratteristici del cristianesimo rispetto ad altri monoteismi: in esso c’è stata la cristallizzazione di un’ortodossia unanime (non c’è un’ortodossia nell’ebraismo, non c’è un rabbino capo che obbliga i rabbini nella loro interpretazione; esistono addirittura molte divisioni nell’islam). I primi 8 concili della chiesa sono stati fondamentalmente teologici, hanno distillato le verità di fede, l’ortodossia: il primo grande 2. Esigenza di velocità. Per la necessità di “fare fretta. Infatti nella chiesa quando muore il titolare dell’ufficio, si ferma tutto. Il rapporto tra la chiesa e il papa è sponsale come quello tra la chiesa locale ed il vescovo. C’era l’idea che la chiesa non potesse restare “vedova” per molto tempo e quindi servisse fare in fretta. Al conclave partecipano tutti i cardinali che non abbiano superato 80 anni di età. Non c’è invece un elettorato passivo. La materia del conclave è regolata ancora dall’ di Giovanni II del 1996, cui sono state apportate modifiche nel 2007 e poi nel 2013 da Benedetto XVI  Si è previsto che dopo aver svolto invano 21 votazioni, vadano votati soltanto i nomi dei due cardinali che nell’ultimo scrutinio abbiano ottenuto il maggior numero di voti: questi due cardinali (che disputano una sorta di ballottaggio) non possono peraltro più votare. QUORUM: Maggioranza dei 2\3, se non raggiunta si passa a una maggioranza semplice, poi ballottaggio tra i due cardinali che hanno avuto più voti (non votano i due ballottati). È dalla fumata del camino che si sa se c’è stata l’elezione del papa. I primi a votare con scheda sono stati gli elettori canonici (sistema adottato prima dai domenicani e poi passato alla Chiesa gerarchica universale). Tutti i materiali prodotti nella giornata del conclave vengono bruciati alla fine della giornata ed il fumo viene colorato diversamente: o Fumo nero= esito negativo scrutinio o Fumo Bianco = esito positivo scrutinio  la cristianità ha un papa Il conclave inizia con una messa (si invoca Dio che faccia vedere la verità ai conclaristi perché possano trovare un accordo), dove c’è l’omelia del conclave; poi c’è l’extra omnes (fuori tutti) e la chiusura delle porte  si chiede sostanzialmente l’aiuto dall’alto e l’illuminazione da dio. Il papa eletto sceglie un nome e gli viene dato l’anello piscatoris (=anello del pescatore). L’anello del pescatore è un simbolo del papa e viene da lui utilizzato come timbro sui sigilli per legittimare i documenti. Per questa ragione quando il papa muore la prima cosa che si fa è quella di sfilare l’anello del pescatore e spaccarlo, per poi fonderlo e crearne uno nuovo per il successivo pontefice. Con la proclamazione il papa entra nella pienezza dei propri poteri. CESSAZIONE DALLA CARICA  Tradizionalmente, l’ufficio petrino termina con la MORTE  RINUNCIA = è avvenuto 2 volte: 1) Celestino V nel 1294 aveva rinunciato all’ufficio. Bonifacio VIII dopo la rinuncia lo costrinse, sapendo della pericolosità della compresenza di due papi, a confinarsi di nuovo nella grotta in maiella. 2) Risuccesso nel 2013 la dottrina dice che la chiesa deve essere portata a conoscenza della rinuncia attraverso un atto ricettizio. L’eventuale rinuncia all’ufficio papale, per la quale è legittimato solo il Pontefice e non richiede l’accettazione di alcuno, per essere valida deve essere fatta liberamente e debitamente manifestata (can.332 par.2). Durante la vacanza della Sede apostolica per morte o per rinuncia come anche nel caso di totale impedimento (es. per prigionia, esilio o grave infermità del Pontefice) il governo interinale della Chiesa universale è affidato al Collegio cardinalizio che non può però apportare alcuna modifica o innovazione. Problemi rinuncia: • Si è inserito il problema del pontificato a tempo con la vecchiaia (forze per governare la chiesa vs sponsarietà del papa e la chiesa universale)= si può dire che vada in pensione dal pontificato? • Chiesa impedita (occupata da un papa che non è in grado di governare) non regolata dal diritto canonico. Anche i canonisti hanno ragionato su due progetti di legge che regolano la chiesa impedita e la chiesa vacante, da sottoporre poi alla curia. LA CURIA ROMANA IL GOVERNO DELLA CHIESA La curia romana è l’insieme di poteri che fa funzionare il governo della Chiesa universale. si può definire come il complesso di organi e autorità che costituiscono l’apparato della Santa Sede, che coordina e fornisce l’organizzazione necessaria per il corretto funzionamento della chiesa cattolica e il raggiungimento dei suoi obbiettivi  viene generalmente considerata “Il GOVERNO DELLA CHIESA” Essa è costituita da una serie complessa di dicasteri e altri organismi coordinati dalla Segreteria di Stato cui presiede il cardinale Segretario di Stato nominato dal Pontefice e suo principale collaboratore. La cost. ap. PASTOR BONUS del 1998 che attualmente la disciplina individua due principali caratteristiche della Curia Romana: 3) La sua indole strumentale o ministerialità, nel senso che essa non ha alcuna autorità né alcun potere all’infuori di quelli che riceve dal supremo pastore 4) Il suo carattere VICARIO per cui essa non agisce per proprio diritto né per propria iniziativa ma esercitando la potestà ricevuta dal Papa, che rappresenta al tempo stesso la ragione di forza e anche i limiti delle sue prerogative. La curia romana nasce con la Bolla “Immensa Aeterni Dei” di Sisto V nel 1588, (eletto in un conclave incerto perché le grandi famiglie romane erano in conflitto perché nessuna delle due riusciva a prevalere. Si decise di fare un papa di transizione). Essa ha rappresentato un esempio per gli stati secolari. Nel libro “il sovrano pontefice”, si sostiene la tesi che lo stato moderno nascesse con l’apparire della curia romana. Ancora oggi, lo stato moderno si amministra e governa come si è iniziata ad organizzare la curia romana. Lo stato moderno, però, non nasce semplicemente perché è in grado di organizzare un buon apparato di gestione politica ed amministrativa dei poteri, ma nasce anche con la tripartizione dei poteri. La Curia romana conosciuto 4 riforme:  Pio XI nel 1908  Paolo VI nel 1967;  Giovanni Paolo II nel 1988;  Papa Francesco nel marzo 2022  L’intento della riforma è l’istituzione ecclesiale che si occupa della missionarietà: la chiesa come chiesa missionaria vuol dire che riflette l’indole pastorale a cui deve sottostare la Curia Romana , vuol dire rendere l’attività di governo della chiesa a servizio della pastoralità = La curia romana è un governo a servizio della pastoralità. Sono 2 i punti strategici della riforma: 1. Missionarietà 2. Sinodalità = diviene uno stile e modo di governare, che deve essere assunto sia dentro la curia romana, che nella Chiesa in generale. + Altro punto importante della riforma è eguaglianza battesimale dei christi fidelis = per la prima volta ogni istituzione curiana compie la propria funzione in virtù di una potestà vicaria ricevuta dal Papa. Qualunque fedele può quindi presiedere un dicastero o un organismo curiale, a prescindere dal fatto che sia o no cardinale. Questa innovazione rende ancora più evidente la differenza tra potestà di ordine e di giurisdizione: possono essere titolari di istituzioni curiali anche laici e donne. Non c’è bisogno che chi governa uffici o istituzioni curiali abbia l’ordine sacro e non importa il genere maschile, quindi la potestà di governo non deriva dalla potestà di ordine, ma dalla missio canonica e cioè non bisogna avere l’ordinazione sacra per poter governare. Ogni istituzione curiale è retta da un prefetto, che non deve essere necessariamente un cardinale. La necessità di avere rappresentanze non solo italiane nella curia romana si era avvertita nel ‘600 circa perché le grandi potenze non tolleravano di non averne. ORGANIZZAZIONE DELLA CURIA Le unità organizzative della CR una volta si chiamavano congregazioni, poi dicasteri, oggi istituzioni curiali. Sono 29: 1. 1 Segreteria di stato 2. 16 Congregazioni (dicasteri) 3. 3 Organi giudiziari 4. 6 Organismi economici; 5. 3 uffici che non sono istituzioni curiali in senso stretto 6. + Pontifici consigli I. SEGRETERIA DI STATO Coadiuva da vicino il Sommo Pontefice coordina gli altri dicasteri e cura i rapporti con gli Stati. È il dicastero dei più stretti assistenti del papa. è guidato dal cardinal segretario di Stato e al suo interno è articolata in: – I Sezione: Affari generali – II Sezione: Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni – III Sezione: Rapporti e attività diplomatiche della santa sede + una Funzione importante cui presiede la Segreteria di stato è quella svolta dai LEGATI PONTIFICI cui è affidato l’ufficio di rappresentare stabilmente il Pontefice presso le Chiese particolari con il compito di rendere sempre più saldi ed efficaci i vincoli di unità che intercorrono tra la Sede apostolica e le Chiese particolari (can.364). Quei legati che rappresentano il Pontefice anche presso gli Stati e le autorità pubbliche presso cui sono inviati, detti NUNZI hanno anche il compito peculiare di promuovere e sostenere le relazioni con le locali, di cui devono chiedere il consiglio e che devono mantenere aggiornati. • Ufficio del Camerlengo di santa Romana Chiesa = deve curare e amministrare i beni e diritti in caso di sede vacante. VI. PONTIFICI CONSIGLI Vi sono il Pontificio Consiglio per i laici, quello per l’unità dei cristiani, per la famiglia, per il dialogo interreligioso, quello della giustizia e della pace, quello della cultura e il Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi che attua in forma consultiva una funzione per certi versi assimilabile a quella di una Corte Costituzionale proponendo l’interpretazione autentica delle leggi universali della Chiesa e verificando a richiesta degli interessati il rispetto della legislazione universale da parte delle leggi particolari. CARATTERISTICHE DICASTERI Oltre che per materia tali dicasteri si differenziano tra loro anche per il TIPO di potestà esercitata: - Congregazioni  è essenzialmente quella esecutiva - Tribunali  generalmente quella giudiziaria - Pontifici Consigli  di regola poteri consultivi e promozionali. Tutti i dicasteri della Curia sono posti su un piede di PARITA’ GIURIDICA e agiscono IN NOME del Pontefice con POTESTA ORDINARIA VICARIA, senza avere poteri propri. Ciò non significa tuttavia che tutti i loro atti siano imputabili direttamente al Pontefice o alla Santa Sede come soggetti titolari di potestà suprema. Proprio per evitare una simile identificazione che pregiudicherebbe la tutela dei diritti contro gli atti della Curia sono stati introdotti due criteri di carattere generale: o In relazione alla potestà ESECUTIVA e GIUDIZIARIA sono soggette all’approvazione del Pontefice le decisioni di maggiore importanza con due eccezioni: a) Quelle per le quali siano state attribuite ai capi dei dicasteri speciali facoltà b) Le sentenze dei due Tribunali della Rota e della Segnatura apostolica pronunciate entro i limiti della rispettiva competenza. Pertanto le sentenze di tali tribunali e gli atti di potestà esecutiva esenti dall’approvazione pontificia sono direttamente imputabili ai dicasteri che li hanno emanati, con la possibilità per i secondi di essere impugnati con ricorso davanti al tribunale della Segnatura apostolica per vizio di legittimità. o In relazione alla potestà LEGISLATIVA i singoli dicasteri non possono emanare leggi o decreti generali aventi forza di legge né derogare alle prescrizioni del diritto universale vigente se non i singoli casi e con specifica approvazione del Sommo Pontefice. APPROFONDIMENTO SEZIONE II DELLA SEGRETERIA DELLO STATO Essa è adibita ai rapporti con lo Stato e vi fanno riferimento i Nunzi apostolici, che hanno un duplice compito: - Mantenere il rapporto e tenere saldi i vincoli di fedeltà tra la sede apostolica e i singoli episcopati nazionali. - Promuovere le relazioni con le locali È importante ricordare che la santa sede ha una personalità giuridica internazionale da sè, essa risale ab origine, non dimentichiamo che la chiesa ha avuto anche una territorialità fino al 1870. C’è stato un tempo in cui la chiesa si è percepita come uno stato tra stati ed è proprio questo stato per certi versi che ci ha permesso di percepirla come una realtà terrena. Che modello di stato è la chiesa? Per Aristotele esistono sostanzialmente tre forme di governo :Monarchia – Aristocrazia - Democrazia Che a loro volta, conoscono tre possibili gradi. Quando si cerca di interpretare e guardare i modelli di riferimento, si dice che la Chiesa è una monarchia temperata da elementi di aristocrazia. È evidente che questa teoria dei modelli, implicava l’idea che la chiesa si percepisse come uno stato tra gli stati. Quindi la chiesa è stata uno stato tra gli stati, ma la sua capacità di diritto internazionale è stata conosciuta in via originaria. La santa sede svolge un’attività diplomatica attraverso i nunzi apostolici che sono accreditati in tutti i paesi del mondo + a sua volta la santa sede ospita i diplomatici del mondo e le sedi della diplomazia vaticana all’estero sono chiamate nunziature. L’attività e l’organizzazione è svolta dalla segreteria dello stato, come depositaria nella nostra diplomazia; l’attività di queste nunziature dipende dalla seconda sezione. Non bisogna dimenticare che la chiesa, in sede apostolica, ha anche oggi una territorialità dello stato centrale del vaticano  Uno dei grandi temi è la vicenda di benedetto sedicesimo, che insistette perchè fosse riconosciuta una certa territorialità della chiesa. Va distinta la città dello stato del vaticano dalla chiesa universale anche se le cose in qualche modo sono connesse. Ci furono due problemi: 1. La rivisitazione della chiesa in quanto si sa che essa sia costruita a meccanismi di ingranaggi a cascata 2. Novità ontologica portata dal Vaticano II, che fa riferimento al principio dell’apostolicità dell’episcopato ancorato al diritto divino, trainando con sé un secondo grande principio che è quello della collegialità episcopale e a sua volta questo porta con sé un terzo grande concetto che è quello della sinodalità della Chiesa riguardante il modo di porsi nei governi della chiesa. La sinodalità è un principio guida e di stile della Chiesa.  Si pone il problema forte della collegialità. In quel momento si aveva un solo modo di espressione della collegialità che era quello conciliare. I concili a livello storico sono stati uno ogni 100 anni circa, se si fosse concluso un concilio senza utilizzare degli altri strumenti per approfondire la tematica del concilio ciò avrebbe rappresentato un problema in quanto i soggetti interessati non avrebbero probabilmente avuto la possibilità di riparlarne. Paolo VI fu un grande papa del secolo scorso. Lui riassunse il concilio e lo portò a compimento e attuarlo quindi dovette redigere alcune regole di trasmissione del potere collegiale in chiave episcopale. Paolo inventerà due strumentazioni importanti che rappresentano due esercizi indiretti o non propri della collegialità. L’esercizio indiretto improprio è quello della collegialità conciliare, oggi si fa una distinzione più del passato tra collegialità conciliare propria ed extra-conciliare. IL SINODO DEI VESCOVI REGOLAMENTAZIONE È una forma di cooperazione dei vescovi con il Pontefice nel governo della Chiesa universale, consistente in un’assemblea di una rappresentanza di vescovi scelti dalle varie regioni del mondo. È un’istituzione di diritto umano prevista al canone 134 del codice di diritto canonico ed istituita da Paolo VI nel 1965 con il Motu proprio apostolica sollicitudo, in attuazione di un’indicazione del Vaticano II per creare un’unione tra pontefice e vescovi. È regolato dall’Ordo Synodi Episcoporum, pubblicato per la prima volta nel 1966, modificato nel 1969 e nel 1971 recependo le variazioni resesi necessarie a seguito dell’entrata in vigore del codice di diritto canonico e del codice dei canoni delle chiese orientali. Papa Francesco ha rivisitato il sinodo con il collegio episcopale del 2018, emanando la Costituzione apostolica Episcopalis communio, che ha sostituito tutte le norme precedenti sul Sinodo, includendo l’intero popolo di Dio nei processi di consultazione ed attuazione e trasformando la sinodalità dei vescovi da strumento del papa a strumento durale. FUNZIONI La sua funzione è di carattere consultivo (se non fosse una rappresentanza sarebbe un concilio): discute delle questioni proposte. Ai sensi del canone 343 del codice di diritto canonico, può avere carattere legislativo quando il pontefice stesso concede la delega di parte delle proprie competenze al sinodo e ratifica l’operato di quest’ultimo, così come il parlamento può delegare al governo il potere legislativo su certe materie. SOTTOPOSIZIONE ALL’AUTORITA’ DEL PONTEFICE Ai sensi del canone 344, il sinodo dei vescovi è direttamente sottoposto all’autorità del Romano Pontefice, che deve: a. convocare il sinodo ogni qualvolta lo ritenga opportuno e designare il luogo in cui tenere le assemblee; b. ratificare l’elezione dei membri che devono essere eletti e designare e nominare gli altri membri; c. stabilire prima dello svolgimento del sinodo gli argomenti delle questioni da trattare; d. definire l’ordine dei lavori; e. presiedere il sinodo personalmente o per mezzo di altri; f. concludere, trasferire, sospendere o sciogliere il sinodo. TIPOLOGIE A seconda degli argomenti, si riunisce in un’assemblea generale che può essere: 1. Ordinaria = tratta temi generali\ordinari, non urgenti. La maggioranza dei membri è eletta dalle singole conferenze episcopali, altri divengono membri in ragione della loro funzione, altri ancora sono nominati dal pontefice, cui si aggiungono alcuni membri eletti di istituti religiosi clericali 2. Straordinaria = tratta temi che richiedono una soluzione sollecita. La maggioranza dei membri diviene tale in ragione della loro funzione, altri sono nominati direttamente dal pontefice, cui si aggiungono alcuni membri eletti di istituti religiosi clericali. 3. Speciale = tratta temi che riguardano direttamente una o più regioni precise, per cui è composta soprattutto da membri scelti in queste. FUNZIONAMENTO Il sinodo è un’assemblea non permanente, ma stabile. Quando l’assemblea del sinodo viene dichiarata conclusa dal Pontefice, cessa l’incarico affidato ai suoi membri. • è dotata di una segreteria generale permanente, presieduta dal segretario generale nominato dal Romano pontefice ed assistito da un consiglio di segreteria composto da Vescovi; • per ogni assemblea, dal sinodo il pontefice nomina uno o più segretari speciali. Ogni sinodo si svolge in tre fasi: 1) preparatoria = consultazione del popolo di Dio sul tema che il Papa ha scelto 2) celebrativa = di discussione 3) attuativa I CARDINALI Il crescere delle mansioni del governo della Chiesa porta alla nascita del ceto cardinalizio, come un insieme di cardinali di aiuto al Papa per gli affari della Chiesa, sia come singoli che collegialmente. I cardinali vengono così chiamati perché sono incardinati nelle diocesi o nei luoghi più vicini al Papa. Il cardinalato è una istituzione di diritto umano. I TRE ORDINI I cardinali hanno origine dai chierici che fin dai primi secoli collaboravano a vario titolo con il vescovo di Roma nelle sue funzioni di governo della diocesi romana. Il collegio cardinalizio ancora oggi si compone di 3 ordini: 1) L’ordine dei CARDINALI VESCOVI sono storicamente i vescovi incardinati nelle 7 diocesi suburbicarie (più vicine a Roma: Ostia, Frascati, Albano, Palestrina, Porto-Santa Rufina; Sabina-Poggio Mirteto; Velletri-Segni). Questi eleggono al loro interno il Decano, che presiede come primus inter pares il collegio cardinalizio; 2) L’ordine dei CARDINALI PRESBITERI derivano la loro legittimazione dall’essere presbiteri (parroci) di alcune diocesi romane; 3) L’ordine dei CARDINALI DIACONI incardinati nelle più antiche diaconie romane. ! NECESSARIA CONSACRAZIONE EPISCOPALE: Il codice attuale dice che per diventare cardinale, oggi bisogna essere necessariamente vescovo: se un soggetto viene elevato al cardinalato e non ha la consacrazione episcopale, deve assumerla. MODI DI ESTRINSECAZIONE DELL’UFFICIO CARDINALIZIO: La nomina o rimozione avvengono da parte del Papa, che li sceglie in base a dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari. Il papa può sceglierli in due modi: a) Li annuncia pubblicamente in concistoro e quindi emana un decreto di nomina, che viene ufficializzata b) Nomina in pectore (si diviene cardinali in pectore), con cui il pontefice annuncia pubblicamente la creazione del cardinale, ma riservandosi il nome per ragioni esterne di sicurezza che non fanno ritenere la pubblicità confacente alla situazione (es. vescovi di chiese locali oggetto di persecuzione da parte delle autorità civili dello Stato). OPERATIVITÀ COLLEGIALE Il canone 377 prevede una serie di procedure e di consultazioni in diocesi: il collegio dei consultori, che è una parte del consiglio presbiterale, ha la responsabilità di assemblare e consultare il popolo di Dio, anche in via informale, per capire quale fra i presbiteri che abitano presso il luogo di dio può essere adatto alla carica di Dio. Dopodiché è eventualmente il “dicastero per la nomina dei vescovi” che formalmente propone la nomina al papa, il quale poi sceglie e nomina il vescovo. L’INTRONIZZAZIONE È un momento liturgico che era importante perché doveva essere scelto nelle feste ascolane. In esso:  vengono date le chiavi della chiesa cattedrale, per prendere possesso del bene fisico  c’è la consegna dell’anello (anche i vescovi hanno il loro anello con le loro insegne) TIPI DI VESCOVI Il canone 376 ci dice anche che la nomina a vescovo contiene un incarico specifico: vuol dire che vescovi sono di due tipi.  Diocesani: vescovi cui viene affidata la cura di una Diocesi  Titolari: viene loro affidata la cura di una diocesi soppressa e di fatto viene loro affidato un compito diverso dalla cura d’anime (es. un incarico alla curia romana). Di questa categoria fanno parte anche i vescovi coadiutori (istituiti dalla Santa sede quando lo ritiene opportuno, forniti di speciali facoltà ed aventi ipso iure il diritto di successione al vescovo diocesano) e ausiliari (privi di diritto di successione, costituiti su richiesta del Vescovo diocesano quando lo suggeriscano le necessità pastorali), che devono essere consultati dal Vescovo diocesano nelle questioni di maggiore importanza e sono di regola vicari generali della diocesi o, se vescovi ausiliari, vicari episcopali. I POTERI DEL VESCOVO DIOCESANO POTESTÀ ORDINARIA PROPRIA ED IMMEDIATA Il vescovo all’interno della diocesi ha una potestà ordinaria (ordinario significa che è ordinato al suo ufficio) propria ed immediata, tranne che per le cause riservate ad altra autorità ecclesiastica dal diritto o con decreto del pontefice. A lui sono giuridicamente equiparati, salvo disposizione contraria, coloro che presiedono le altre Chiese particolari. Egli svolge all’interno della diocesi il suo mandato in triemunera. Il vescovo deve risiedere in diocesi (concilio tridentino) e deve fare cura d’anime: un buon vescovo deve stare vicino al suo popolo. PRESA DI POSSESSO DELLA DIOCESI Per poter esercitare l’ufficio affidatogli, deve prendere possesso canonico della diocesi, presentando personalmente o tramite procuratore la lettera apostolica al collegio dei consultori e alla presenza del cancelliere della curia, che ne redige un verbale se si tratta di una diocesi di nuova erezione, e comunicandola al clero e al popolo presenti in cattedrale con verbalizzazione da parte del presbitero più anziano. LA VACANZA DELLA SEDE EPISCOPALE CASI IN CUI RICORRE La sede episcopale diviene vacante con: 1) La morte del Vescovo diocesano 2) La rinuncia del Vescovo, accettata dal Pontefice, che va obbligatoriamente presentata a 75 anni.  tale obbligo è stato introdotto da Paolo VI, riservando poi al Pontefice la facoltà di accettare le dimissioni (si lascia che il Papa potrebbe rifiutarle per il timore che i vescovi facessero resistenza all’adozione delle novità del concilio Vaticano II). 3) Trasferimento o privazione intimata al Vescovo  Papa Francesco nel 2018 introduce una nuova norma con il titolo “Imparare a congedarsi”, dove prevede che, in virtù di circostanze particolari per cui il Vescovo si dimostri non più in grado di esercitare bene il proprio ufficio, la chiesa può chiedere unilateralmente la rinuncia al vescovo. AMMINISTRAZIONE DELLA SEDE VACANTE In caso di sede vacante, la successione nell’ufficio episcopale compete: • Ipso iure al Vescovo coadiutore; • Se quest’ultimo manca, compete, fino alla costituzione dell’amministratore diocesano, al Vescovo ausiliare; • In mancanza anche di quest’ultimo, compete al collegio dei consultori. Entro 8 giorni dalla notizia della vacanza della sede, il collegio dei consultori deve eleggere l’amministratore diocesano, che deve aver compiuto i 35 anni di età ed ha poteri-doveri di tipo amministrativo fino alla presa di possesso della diocesi da parte del nuovo Vescovo. Decorso inutilmente il termine di 8 giorni, la sua nomina spetta al metropolita, che è l’arcivescovo della città più importante della provincia ecclesiastica (entità con personalità giuridica che raccoglie più diocesi per concordare indirizzi pastorali comuni), attorno cui si aggregano le altre chiese della provincia, dette chiese suffraganee. LE REGIONI ECCLESIASTICHE Sono raggruppamenti di province ecclesiastiche vicine, istituite dalla Santa Sede su proposta della conferenza episcopale. I CONCILI PARTICOLARI Sono istituzioni dotati di potestà di governo, soprattutto legislativa (pur dovendo rispettare il diritto universale della Chiesa), che riuniscono i Vescovi di un determinato territorio quando lo suggeriscono le circostanze. Possono essere: 1) Plenari = riuniscono i Vescovi di tutte le Chiese particolari della stessa conferenza episcopale, cui compete di convocarlo quando lo ritenga necessario, con l’approvazione della Sede Apostolica; 2) Provinciali = raccoglie le diverse Chiese particolari della stessa provincia ecclesiastica e viene celebrato ogni volta che risulti opportuno a giudizio della maggioranza dei Vescovi diocesani della provincia. È presieduto dal Metropolita, che con il consenso della maggioranza dei Vescovi lo convoca. Devono essere convocati ed hanno voto deliberativo tutti i vescovi del territorio. Gli atti emanati devono essere trasmessi alla Sede Apostolica, che concede loro la recognitio prima della promulgazione. LE CONFERENZE EPISCOPALI CREAZIONE Sono state create da Paolo VI per dare riscontro al principio di collegialità. La prima conferenza episcopale è quella belga del 1830, per costituire una società civile tra le contrastanti minoranze vallone e fiamminghe, unite in occasione del Congresso di Vienna per creare un cuscinetto tra gli imperi centrali. Solo però con il Concilio Vaticano II e poi con il codice del 1983 hanno avuto una disciplina di diritto comune per tutta la Chiesa. AUTONOMIA STATUTARIA Le conferenze episcopali sono riunioni di vescovi di una territorialità che normalmente coincide con quella dello Stato . Hanno poteri autonomi, personalità giuridica, propri istituti ed autonomia statutaria: elaborano un proprio statuto soggetto alla recognitio della Santa Sede: eleggono un proprio presidente (tranne in quella italiana dove, probabilmente per allineamento con la santa sede, il presidente è scelto dal pontefice) che ne presiede le riunioni generali, un consiglio permanente ed il segretario generale. Raccogliendo l’episcopato in tutta la nazione, diventano gli organi più rappresentativi. La loro erezione, soppressione o modifica spetta unicamente alla suprema autorità della Chiesa, sentiti i vescovi interessati. ORGANI: 1. La riunione plenaria = assemblea deliberativa a cui partecipano tutti i vescovi del territorio. Può anche emanare decreti generali con valore legislativo. Si riunisce almeno una volta l’anno o secondo le necessità. 2. Il consiglio permanente = organo esecutivo che deve eseguire le delibere assunte nella riunione plenaria e preparare le questioni da trattare in questa. 3. La segreteria generale = svolge funzioni di ausilio e redazione degli atti al servizio degli altri organi e del presidente, provvedendo a comunicare alle conferenze episcopali confinanti gli atti e i documenti. IL RICONOSCIMENTO DELLA POTESTÀ LEGISLATIVA Secondo la logica di Paolo VI, che temeva di spingersi verso un clero nazionale come successo nella Francia anglicana, le conferenze erano state immaginate come organismi di prova della legislazione conciliare universale della chiesa nella particolarità nazionale (perché il diritto canonico è universale e quindi deve essere applicato ovunque). In verità, sono diventate, dopo riforme della curia romana, il punto di riferimento nel rapporto vero con gli stati, punto di concordanza tra gli stati nazionali e la chiesa. Questo ha fatto sì che i patti concordatari dovessero essere attuati e così alle conferenze episcopali viene riconosciuta potestà legislativa, ma con alcuni limiti: • Solo nelle materie in cui lo abbia disposto il diritto universale o la sede apostolica (nelle altre materie seve consenso unanime dei vescovi) • Maggioranza qualificata dei due terzi dei membri • Decreti necessariamente soggetti alla recognitio della Santa sede. LA STRUTTURA INTERNA DELLE CHIESE PARTICOLARI LA CURA DIOCESANA La curia diocesana è un insieme di uffici e persone che assistono il Vescovo nell’amministrazione della diocesi. • Vicario generale = principale collaboratore del Vescovo, da questi nominato; ha la potestà esecutiva del Vescovo diocesano su tutta la diocesi; • Uno o più vicari episcopali = possono esser costituiti dal Vescovo per il buon governo della diocesi; ha la potestà del vicario generale ma per una porzione della diocesi\per alcune materie\per un gruppo determinato di persone; • Cancelliere = redige e custodisce nell’archivio gli atti della curia; • Consiglio per gli affari economici = nominato e presieduto dal Vescovo, sovraintende l’attività della diocesi e stila i bilanci; dura in carica 5 anni; • Economo = in accordo con il vescovo (che lo nomina), amministra e gestisce i beni della diocesi; dura in carica 5 anni. IL CONSIGLIO PRESBITERALE E IL COLLEGIO DEI CONSULTORI Il consiglio presbiterale raccoglie i presbiteri della diocesi. È un organo consultivo formato da un numero di membri tra 3 e 6. Il capitolo cattedrale, che oggi ha solo poteri di organizzazione liturgica, è formato dai presbiteri più prestigiosi della diocesi. Da un punto di vista storico la formazione del patrimonio ecclesiastico ha avuto le sue origini proprio nella nascita del PURGATORIO. La chiesa non pensa che al momento della morte ci sia un “aut o aut” ovvero si è stati buoni o cattivi, ma ci sia invece un regno di mezzo – il purgatorio appunto- ove chi è stato non solo buono e non solo cattivo si troverà a transitare per un certo lasso di tempo in attesa di scontare le sue condotte per transitare poi successivamente in paradiso. Si tratta di un luogo ovviamente molto tormentato e, siccome – come diceva Balzac - l’uomo è un misto di bene e male, è senz’altro un luogo affollato.  ciò viene congiunto nella fede della chiesa al fatto che ci sia la possibilità per i vivi di intercedere per i morti, di intervenire con delle opere per facilitare questo transito (purgatorio  paradiso) e soprattutto c’è la possibilità di intervenire in anticipo sulla sort della propria anima: si tratta della famosa teoria dell’indulgenza. Quindi il fatto che si possa intervenire in favore dei morti con riti, novene, messe, ecc e dall’altro lato si possa intervenire in vista della salvezza della propria anima, fa si che la chiesa abbia accumulato nel periodo medioevale un patrimonio immenso e fondamentalmente immobiliare. Il famoso patrimonio della “mano morta” della chiesa deriva dal rigor mortis: nella imminenza della morte il corpo umano tende a irrigidirsi e le mani si chiudono. Così nel momento della dipartita spesso i padri confessori consigliavano di lasciare parte dei propri beni alla chiesa. IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO Il codice vigente innovando rispetto alla antica tradizione della Chiesa, ha profondamente modificato il sistema di sostentamento del clero. IL SISTEMA BENEFICIARIO PREVIGENTE Questo era tradizionalmente imperniato sul “SISTEMA BENEFICIAIO” di origine feudale, per il quale in sostanza accanto ad ogni ufficio ecclesiastico (vescovile, parrocchiale, ecc.) si costituiva una massa patrimoniale, detta BENEFICIO, avente personalità giuridica e dai cui redditi si sosteneva il chierico titolare di quel determinato ufficio ecclesiastico. Inoltre questo sistema aveva un vantaggio evidentemente politico importante che era rappresentato in larga parte dal diritto di patronato, cioè chi dava i soldi per il beneficio ecclesiastico (il beneficio ecclesiastico del vescovo si chiamava: “mensa episcopale”) pretendeva di avere anche il diritto di patronato. Il DIRITTO DI PATRONATO: voleva significare il diritto di proporre una terna di persone fra le quali l’autorità ecclesiastica competente fosse parte se si doveva nominare un vescovo o se il vescovo doveva nominare il parroco doveva scegliere all’interno di una terna.  Sostanzialmente questo sistema consentiva di indirizzare le scelte su coloro che erano titolari dei benefici ecclesiastici perché evidentemente la posta in gioco era importante e quest’ultima consisteva nel controllo territoriale. Tale sistema beneficiale è stato in vigore fino al Concilio Vaticano II ma soprattutto è stato in vigore fino al Concordato del 1984, perché il Concordato del 1984 rivoluziona completamente i modi di sostentamento economico della chiesa. Fino a quel momento che cosa si stabiliva dal punto di vista patrimoniale? Che la chiesa aveva un sistema beneficiale e lo stato acconsentiva alla possibilità di integrare il reddito del beneficio ecclesiastico con una somma congrua - ossia il diritto di congrua - o anche supplemento di congrua – laddove si rendesse necessario - per mantenere il titolare del beneficio. Ad esempio se il parroco di San Sigismondo non riusciva a reperire , in base al suo benefico ecclesiastico annesso all’ufficio, le risorse sufficienti, poteva domandare allo stato una congrua cifra con cui integrare i frutti di quel beneficio. Mussolini in particolare aveva stabilito pattiziamente questo principio: prevedendo la possibilità da parte dello stato di controllare: 1. Il fine ecclesiastico dell’ente. Io avevo un latifondo? Lo intitolavo a san Giovanni di Capistrano, ma in verità era un latifondo che non faceva attività ecclesiastica ma che quindi allora non poteva però beneficiare di questo sistema. 2. I bilanci: lo stato richiedeva di controllare i bilanci prima di corrispondere la somma congrua NUOVO SISTEMA PREVISTO DAL CONCORDATO DEL 1984 Questo è stato il sistema fino al Concilio Vaticano II che ne dispose l’abbandono o comunque la riforma. È con il Concordato del 1984 tutto ciò cambia drasticamente  finisce il sistema beneficiale. Quindi come si fa? Si fa in 2 modi: • Si ribalta di fatto sui fedeli l’onere del sostentamento della chiesa: il c.d. 5x1000.  Nel Concordato del 1984 si prevde che il fedele può scegliere nella propria dichiarazione dei redditi a chi dare il suo 0,8x1000: egli può devolverlo allo stato oppure ad una confessione religiosa annessa all’Intesa. Quindi per tutela pubblica ex art 8 della costituzione posso decidere se darla alla chiesa Cattolica, agli Evangelisti del settimo giorno, agli Ebrei ecc.. • Si istituiva la possibilità di fare delle donazioni allora fino a 2 milioni di lire (oggi sarebbero mille euro) deducibili dalle tasse. Quindi il Concordato del 1984 aveva un contenuto patrimoniale molto forte, per due ordini di ragioni 1. La chiesa si rende conto che questa massa immobiliare che forma il suo patrimonio è antistorico: Oggi la ricchezza non ruota più attorno alla sfera immobiliare bensì mobiliare. La chiesa si rende così conto che deve riconvertire il suo patrimonio. Questo ha portato la chiesa ha comprare un pezzo (azioni) di Fiat o di Benetton ad esempio. Ci sono due trucchi in questo sistema:  Il primo riguarda la spartizione dello 0,8x1000, il quale non è solamente proporzionale. Se nella espressione della scelta, la chiesa prende il 30% delle preferenze, le comunità ebraiche il 2%, lo stato il 20 % e via discorrendo ci sono una serie di preferenze (non espresse. Il non espresso si ripartisce nella misura dell’espresso. Cioè se la chiesa ha preso il 30% delle preferenze di 0,8 sul non espresso conseguentemente prende il 30% del non espresso.  La sistema beneficiale e il diritto di congrua imponeva che lo stato prendesse atto e visione dei bilanci degli enti ecclesiastici. Il Concordato introduce un triennio fra l’entrata in vigore del concordato del 1984 e l’entrata in vigore di questo sistema nel 1987 ove non è più richiesto per avere la congrua che si esibiscano i bilanci. Vuol dire che c’è un buco nero di un triennio dove chiesa ha potuto chiedere tutte le congrue di cui necessitava senza dover esibire i bilanci. 2. Ha poi comportato una razionalizzazione del clero, sono nati in sede diocesana, gli istituti per il sostentamento del clero che raccoglie tutte le risorse e redistribuite a tutti i sacerdoti che prendono. Infatti viene prevista la costituzione di 3 diversi istituti - con personalità giuridica canonica -attraverso i quali garantire il sostentamento dei chierici, favorire una eguaglianza di trattamento tra di loro, promuovere azioni di solidarietà. I. ISTITUTO PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO: a istituirsi in ogni diocesi, il cui patrimonio è costituito dai patrimoni dei benefici soppressi, da beni e offerte dei fedeli. Dal reddito di tale patrimonio si provvede al sostentamento dei chierici che prestano servizio a favore della diocesi II. FONDO PER LA PREVIDENZA SOCIALE DEL CLERO: costituito da beni forniti dagli stessi appartenenti al clero ed eventualmente dalle liberalità dei fedeli, il cui fine è di provvedere alla conveniente assistenza sanitaria del clero, nonché alle pensioni di invalidità e vecchiaia per lo stesso  da costituire in ogni diocesi, qualora nella realtà nazionale non esistano già forme di sicurezza sociale pubblica o privata cui possano. III. FONDO COMUNE: costituito con fondi individuati dal diritto locale e dalle liberalità dei fedeli, destinato a sovvenire alle necessità di quanti prestano servizio a favore della Chiesa, tra cui anche i laici che in maniera permanente svolgano un ministero o prestino un servizio ecclesiale. AMMINISTRAZIONE DEI BENI ECCLESIASTICI Principio generale in materia è che amministratore della persona giuridica pubblica è colui che le presiede a norma di legge o per disposizioni statuarie o fondazionali. Esempi tipici di amministratori EX LEGE sono il Vescovo per la diocesi ed il parroco per la parrocchia; esempi di amministratori determinati dagli statuti o dalle tavole di fondazione sono quelli dei capitoli, delle associazioni pubbliche di fedeli, delle fondazioni pie autonome. Gli amministratori sono tenuti ad adempiere i loro compiti in nome della Chiesa sicchè è escluso che essi possano agire come titolari di un mandato senza rappresentanza. La legge prevede i Criteri con cui ovviare ai casi in cui per ragioni di fatto o di diritto sia impedita la regolare amministrazione del patrimonio ecclesiastico .  Nella prima ipotesi è previsto che nei casi di difetto o di negligenza dei legittimi organi di amministrazione è attribuito all’autorità gerarchicamente sovraordinata e cioè a seconda dei casi, il Pontefice e l’Ordinario diocesano, il potere di avocare l’amministrazione dell’ente in luogo dell’ordinario amministratore.  Nella seconda ipotesi poi ricorrente laddove né la legge né gli statuti né le tavole di fondazione determinino gli organi di amministrazione, è prescritto che spetta all’Ordinario cui la persona giuridica è soggetta nominare come amministratori persone idonee che restano in carica per un triennio con possibilità di essere confermate. Ogni persona giuridica deve avere un consiglio dei valori economici. Prima dell’assunzione dell’incarico è previsto che gli amministratori prestino un giuramento di buona amministrazione per cui devono svolgere le proprie funzioni onestamente e fedelmente con la diligenza del buon padre di famiglia agli scopi di tutto il patrimonio destinato e di assolvimento dei compiti previsti dal canone 1097. Devono poi sottoscrivere un inventario dei beni mobili e immobili. COMPITI DEGLI AMMINISTRATORI - curare la conservazione del patrimonio anche attraverso opportuni contratti di assicurazione; - predisporre tutele della proprietà in forme valide anche nell’ordinamento giuridico dello Stato; - attenersi scrupolosamente alle norme canoniche e civili - versare puntualmente le quote d’interesse e di capitale connesse a mutui o ipoteche; - impiegare le attività di bilancio per fini propri della Chiesa e dell’ente … COMPITI DI VIGILANZA E CONTROLLO La legittimità del diritto penale canonico deriva dalla volontarietà dell’adesione alla Chiesa, che comporta l’adesione al sistema penale canonico (chi volontariamente entra a far parte della Chiesa vi si assoggetta). PRINCIPI DEL DIRITTO PENALE CANONICO 1) Legalità = nessuno può essere punito se non in virtù di una legge che preveda quel determinato atto, comportamento, pericolo (nullun crimen sine legge) 2) Riserva di legge = non si può essere puniti se non in forza di una disposizione di legge prevista 3) Tassatività = divieto di estensione della legge penale a fattispecie non legislativamente definite.  la consuetudine è fonte del diritto, ma non può introdurre nuovi delitti (come negli ordinamenti secolari). 4) Divieto analogia = non c’è la possibilità di applicare pene a fatti non espressamente previsti dalla legge 5) Irretroattività = la legge penale non può punire comportamenti che siano stati compiuti nel passato, prima che entrasse in vigore la legge. 6) Principio di adeguamento\discrezionalità nell’applicazione della iusta pena (proporzionale) = a differenza che negli ordinamenti secolari, il principio di tassatività non è ferreo e il fine supremo dell’ordinamento (perseguimento della salvezza) non deve essere sacrificato dal principio di certezza del diritto. Infatti, il canone 1399 prevede la discrezionalità del giudice nella riduzione della pena: a violazione di una legge divina o canonica può essere punita con iusta pena, per evitare che si determinino situazioni di maggiore gravità e quindi prevenire o riparare uno scandalo e quando il giudice ne ravvisi la necessità. La iusta pena è una sorta di “norma in bianco” sottoposta all’identificazione della sanzione adeguata.  Comando e sanzione vanno adeguati al singolo fedele: è prevista un’elasticità per cui il giudice può irrogare o meno una sanzione, mitigarla o applicare una penitenza al posto della pena. Infatti, il giudice del forno interno, il quale è regolato da norme morali, pone attenzione anche alla coscienza ed intenzione del soggetto, a differenza del giudice del foro esterno, essendo quest’ultimo regolato da norme giuridiche in senso stretto e attento solo al comportamento oggettivo del soggetto. Qui si vede la peculiarità del diritto canonico, che sta nella capacità di adattamento ai bisogni del singolo. DELITTO Il delitto è una violazione esterna di una legge che prevede per quel comportamento l’applicazione di una pena. La violazione di una norma morale del foro interno (che regola i rapporti tra l’uomo e Dio) non consiste necessariamente in un delitto, cioè in una violazione delle norme giuridiche del foro esterno (che regola i conflitti intersoggettivi tra i consociati). ELEMENTI IDENTIFICATIVI DEL DELITTO Il canone 1321 contiene gli elementi identificativi del delitto: a. Elemento oggettivo del delitto: • Deve esistere il fatto evento • Antigiuridicità del fatto = deve esserci un nesso causale tra l’evento prodotto e l’azione dell’agente. L’azione dell’agente lede l’interesse specifico di persone fisiche o giuridiche e l’interesse generale della comunità ecclesiale. b. Elemento soggettivo: ci deve essere un atteggiamento psicologico che deve essere ricordato nella sua imputabilità.  il soggetto può agire per: • Dolo = intenzionalità  sempre punito • Colpa = negligenza, imprudenza o incapacità del soggetto.  non sempre punito. La riforma del 1321 fa riferimento ad una tassatività punitiva del dolo, ma non della colpa: laddove la legge lo disponga, il giudice può decidere di non irrogare la sanzione. La riforma del 1321 introduce una presunzione di innocenza per cui l’imputato del delitto è presunto innocente fino alla definizione del processo. CAUSE TIPICHE CHE ESCLUDONO L’ANTIGIURIDICITÀ DEL FATTO Il delitto può venire meno in presenza di cause: 1) Oggettive: • Timore • Legittima difesa 2) Soggettive: • Violenza fisica • Ignoranza del colpevole • Errore CIRCOSTANZE AGGRAVANTI ED ATTENUANTI A. Aggravanti = il giudice può inasprire una pena e laddove sia prevista una pena facoltativa questa diviene obbligatoria: • Recidiva (ripetizione del comportamento delittuoso) • Particolare dignità ecclesiastica o civile del colpevole • Mancata adozione di misure di prevenzione dell’evento • Abuso d’ufficio • Ubriachezza o assunzione di droghe o farmaci B. Attenuanti = affievoliscono la pena: • Passione non volontariamente provocata  che non tolga la capacità di volere ma la attenui • Timore grave • Eccesso colposo • Grave o ingiusta provocazione altrui  fatti che portano il soggetto ad andare al di là di quanto non avrebbe normalmente fatto se non ci fossero stati. DELITTO CONSUMATO E DELITTO TENTATO Delitto consumato = l’evento si produce Delitto tentato = l’evento non si produce perché qualcosa si frappone alla sua conclusione  non si applica la sanzione, a meno che da questa condotta sia nato un eventuale scandalo da riparare (es. tentativo di ordinazione femminile). SOGGETTI ATTIVI DEI DELITTI Per essere tali bisogna essere: a. Ex canone 1311, fedeli cattolici, battezzati  ma per alcuni reati specifici, sono solo alcuni battezzati, come i chierici (es. attentato al matrimonio). Il Papa non può essere soggetto a punizione perché per definizione non può essere giudicato: gode quindi di una immunità assoluta per gli atti del suo ufficio. b. Imputabili  imputabilità = capacità di intendere e di volere unita alla responsabilità morale. A differenza che in alcuni ordinamenti secolari in cui la responsabilità penale è sempre personale, nel diritto canonico le persone giuridiche hanno capacità penale.  Non è imputabile: • Chi non abbia compiuto i 16 anni di età (tra i 16 ed i 18 anni il soggetto attivo può essere colpito da una pena minore e attenuata); • Chi ha determinate condizioni patologiche come l’infermità mentale. La malattia mentale grave è causa di esclusione dell’imputabilità, ma alcune di esse hanno delle “pause” in cui il soggetto riacquista la capacità di intendere e volere. IRROGAZIONE DELLA PENA La pena è una privazione irrogata ad un delinquente di un diritto o bene sussistente nella Chiesa. Secondo il canone 1312, le pene si distinguono in due grandi gruppi: a. Medicinali o censure = mirano, fondamentalmente, a correggere il reo e di punire il delitto commesso; b. Espiatorie = volte alla punizione del reo. È previsto un principio di gradualità e di discrezionalità nell’applicazione e di ricorso alla pena come extrema ratio (bisogna prima tentare misure pastorali). FUNZIONI DELLA PENA 1) Preventiva = non incentivare e scoraggiare comportamenti delittuosi 2) Restaurare la giustizia 3) Riparare lo scandalo, che presenta un interesse comune e una valenza collettiva (costituisce un rischio per la salvezza delle anime) 4) Promozione del pentimento e della rieducazione, reinserimento e recupero del reo. EROGAZIONE DELLA PENA Avviene attraverso due modalità (canone 1314). - ferendae sententiae = la pena deve essere comminato dopo un processo; - latae sententiae = la pena si irroga automaticamente con la commissione dell’atto, senza bisogno di un processo. PENE MEDICINALI • scomunica = esclude il reo dalla comunione ecclesiastica  non si possono celebrare e ricevere i sacramenti e sacramentali, non si può partecipare come ministro ad atti di culto, non si possono esercitare compiti di ufficio o incarichi di monasteri; • interdizione = ha gli stessi effetti della scomunica ma limitatamente all’esercizio di potestà di ordine (no partecipazione al culto) • sospensione = è il divieto parziale di potestà di ordine e potestà di governo Fino alla novella del libro sesto avvenuta nel 2021, le pene di interdizione e sospensione potevano essere irrogate solo ai chierici; con la revisione vengono allargate e comminate anche ai laici. PENE ESPIATORIE Rispetto al codice previgente, sono ricondotte ad una razionalità sistematica e maggiormente graduabili all’interno dell’ordinamento canonico. • ingiunzione o proibizione di governare in un certo luogo e esercitare in un certo territorio uffici o incarichi; • ingiunzione di tipo pecuniario e divieto di portare l’abito ecclesiastico religioso (introdotte con la riforma del 2021); • dismissione dallo stato clericale (una delle pene più gravi). CHIESA E REALTÀ TEMPORALI IL PRINCIPIO DUALE LA CHIESA COME MONARCHIA TRA LE MONARCHIE Nella Controriforma l’idea di riferimento, sulla quale aveva lavorato il tridentino, era quella di “regno”. la Chiesa si percepiva come una monarchia tra le monarchie, temperata dagli elementi di aristocrazia, facendo riferimento in particolare al collegio cardinalizio. La Chiesa non ha solo rapporti al proprio interno o rapporti con l’aldilà, ha anche rapporti con i regni della terra si confronta e questa linea di collegamento con le realtà temporali è una linea mobile. I RAPPORTI MOBILI TRA CHIESA E REALTÀ TEMPORALI La parte finale di un'opera di Gasparri, che riguardava i rapporti con gli Stati, non venne riportata dal cardinale a cui era stato attribuito tale compito. Ciò poteva rispondere a due ragioni: una dimenticanza o, come appare più probabile, una decisione volontaria. Infatti, fissare nell’ultimo capitolo i rapporti tra Stato e Chiesa significava impegnare la Chiesa in una gabbia di coordinate fisse nelle quali essa non si era mai posta. La Chiesa, infatti, ha sempre avuto rapporti mobili e cangianti nel tempo con le realtà secolari. LE CITTÀ COME FRUTTO DEL MALE Il primo punto di riferimento scritturale è una pagina della genesi dove si parla del primo omicidio rituale, che è un fratricidio. Figli di Adamo ed Eva, Abele e Caino, si scontrano e Caino uccide Abele con un sasso. La pagina biblica ci disegna Dio che interroga Caino e ci dice che Caino, con le mani insanguinate, corse per il mondo a fondare città. Una certa teologia negativa ne desumeva che la città dell’uomo nasce timorata nel sangue del primo fratricidio, dunque è frutto del male. Anche il simbolo dell’imperatore, ovvero il drago, deriva da un dato biblico: quando si parla della Vergine Maria, si dice che “verrà una donna che schiaccerà la testa del drago”. Le Città nascono dal male, ma possono essere attratte a salvazione consacrandosi a Dio. Questa linea teorica comporta che non esiste autonomia delle realtà temporali e che è necessaria la teocrazia, l’idea che il governo di Dio sta sopra a tutte le cose. LA TEOCRAZIA Nel contesto della fine della lotta per le investiture e del Concordato di Worms del 1122 (detto anche Patto Callistino), vi è un documento, la Bolla Unam Sanctam, in cui ci sono già tutti i germi che porteranno alla teocrazia e Bonifacio VIII, suo autore, porta a sistema questo pensiero. Bonifacio VIII dice che tutta la creazione appartiene a Cristo e che a lui competono tutte e due le spade del governo, sia la temporale, sia la spirituale e poiché il Papa è Vicario di Cristo, per traslato, le due spade spettano entrambe al Papa. Il Papa, però, essendo molto occupato nel governo delle cose spirituali, delega la cura delle cose temporali all'imperatore. Questo non è un pensiero che concede autonomia al temporale, perché il rapporto tra Pontefici e imperatore si configura come una sorta di mandato: il mandatario deve esercitare le prerogative affidategli nella sera in cui ha ottenuto delega dal mandante. Questo porta Bonifacio VIII a dire che gli imperatori devono governare ad nutum et patientia sacerdotis: al cenno e perché glielo concedono i sacerdoti. Tale Bolla non farà mai stato nell'ordinamento canonico e per questo Bonifacio VIII verrà affrontato dai legisti francesi ad Anagni, dove verrà schiaffeggiato. Essa è il punto di espansione più alto, simbolicamente, della parabola teocratica. La teocrazia non è stata solo un’esperienza propria della Chiesa cattolica in Occidente, ma è la forma di espressione tipica dei monoteismi. Israele è una teocrazia oligarchica. Sia in Israele sia nella religione islamica, non è stato costruito teologicamente uno spazio di autonomia delle realtà temporali: il governo spirituale è anche il governo delle cose. Quando Israele ha dovuto costruire lo stato., ha dovuto scegliere una strada secolarizzata: si è data infatti un Parlamento. In verità, poi Israele ha costruito, grazie al presidente della Corte Costituzionale, una propria via di equilibrio secolarizzato, ma non è stata una via semplice. Questo percorso non c’è ancora NELL’ISLAM, come non c’è stato per lungo tempo nel cristianesimo. IL PRINCIPIO DUALE LA PAGINA DEL VANGELO DI MATTEO In una celebre pagina del Vangelo di Matteo, Gesù, alla domanda “chi dobbiamo servire, Dio o Cesare?”, risponde “Date a Cesare quel che è di Cesare e Dio per tutti”. Si radica su questo passaggio evangelico quello che connota il cristianesimo rispetto agli altri monoteismi: il principio duale. Il fuoco opposto a quello della teocrazia, ovvero l'assorbimento del potere temporale in quello religioso, è occupato dal cesaropapismo, ovvero l'assorbimento del potere religioso in quello temporale. Il cesaropapismo nasce ad Oriente, dopo lo scisma, e ancora prima con Giustiniano c’era un interesse imperiale nelle questioni della Chiesa. Giustiniano vuole convocare i concili perché è consapevole del fatto che la Chiesa è un grande instrumentum regni. La figura dell’imperator sacerdos dà origine a tale modello di cesaropapismo. L’autorità del patriarca di Costantinopoli rimane in ombra rispetto a tale figura, che è centro di imputazione di poteri. L’imperatore sacerdote porta l’Oriente ad identificarsi in una figura di sintesi, che abbia in sé poteri quasi divini. PAPA GELASIO II AD ANASTASIO IMPERATORE Papa Gelasio II (IV sec d.C.) teorizza il principio dualista quando, scrivendo ad Anastasio imperatore, dice “due sono le potestà che regolano il mondo: l’autorità sacra dei pontefici e il potere regale”. Sono due i pilastri su cui si articola la convivenza e l’Europa si costruirà così: concedendo autonomia alla sfera temporale, ma il problema era definire fino a dove, posto che la regolamentazione della vita è capillare nel monoteismo cristiano. LOGICHE DI COMPOSIZIONE DI POTERE TEMPORALE E SPIRITUALE LA DIVISIONE DELLE MATERIE Il principio duale viene riscoperto con la nascita degli Stati Nazionali, che non sono più disposti a governare ad nutum et patientia sacerdotis. La Chiesa, dunque, cambia strategia e cambia modo di rapportarsi con gli Stati, cercando di adattarsi ad un nuovo corso per ottenere il massimo dei risultati. La Chiesa cambia apparentemente la propria tavola fondativa di pensiero: non più potestà diretta (il Papa poteva intervenire direttamente nel temporale se riteneva sbagliata una legge, andando a cancellarla e a scomunicare l’imperatore, svincolando così i sudditi dal dovere di fedeltà al sovrano), ma una potestà indiretta. La Chiesa riconosce un’autonomia secolare, ma divide le cose che cadono nella nostra sensibilità e accezione in 3 ambiti. Esistono: 1) delle materie meramente spirituali, evidentemente appannaggio della Chiesa (organizzazione gerarchica della Chiesa, la transustanziazione ecc.); 2) materie meramente tecniche, che sono a carico dello Stato (es. come si costruisce una rete fognaria, come si costruisce un impianto di irrigazione, come si determina una rete di infrastrutture ecc.) 3) La chiesa dice che in mezzo ci sono le res mixe, in cui coesiste un aspetto tecnico ed un aspetto spirituale (es. matrimonio e aborto), un rilievo morale e spirituale ed un rilievo che resta di giurisdizione dello stato.  La chiesa dice che su queste materie ci si deve mettere d’accordo: si concorda. Si fanno dei concordati: si seguono delle trattative diplomatiche (ci possono essere anche delle trattative segrete) e quando si finisce di trattare si stende un testo che viene ratificato da entrambe le parti, è un trattato internazionale.  apparentemente funziona, ma la ragione della chiesa è sempre teocratica e: a. dal punto di vista tecnico giuridico rivendica sempre la clausola interpretativa di concordato b. dentro una visione religiosa, non può esistere questa stretta divisione nell’ambito di materie , perché quello della chiesa è uno sguardo mobile che si avvolge su delle competenze che possono variare (es. siamo sicuri che l’impianto di illuminazione di una città sia una questione meramente tecnica? Ma se in base ad un piano sbagliato di illuminazione si crea un angolo in cui non si vede ed in quell’angolo si crea prostituzione o si spaccia droga, è solo un fatto tecnico o una res individuale o una res mixa?)  questo è il motivo per il quale la chiesa non costruisce mai un sistema di coordinate fisse in cui regola i rapporti tra sé e lo stato.  la chiesa cerca di trarre il massimo vantaggio di volta in volta: se riesce impone una teocrazia, se non riesce introduce una potestas indirecta temporalibus, che viene accompagnata anche da un’altra politica– dopo il concilio di Trento e con la nascita dei gesuiti – che è la politica dei confessori: per cercare di influenzare le decisioni dei regnanti attraverso suggerimenti, si avvalgono anche del foro interno. LA TERZA VIA PER LEGITTIMARE IL SISTEMA DELLA CHIESA DI DARE GIUDIZI SUL MONDO Fino alla rottura dell’illuminismo e prima della Rivoluzione francese, poi liberale e poi marxista, la chiesa ha sempre parlato linguaggi omologhi, anche con i propri sacrestani, teologicamente fondati. Nell’800 questo schema entra in crisi con la grande apostasia della massa operaia rispetto la chiesa cattolica. La chiesa deve cercare dei dialoghi diversi da questi. La dottrina sociale, ovvero la rerum novarum (titolo di una grande enciclica che fonda la dottrina sociale della chiesa), dice sostanzialmente che nel capitalismo e liberismo da una parte e nel marxismo e socialismo dall’altra, la chiesa è fondatrice delle cose sociali, ovvero di una terza via che e la dignità del lavoro dell’uomo. Tale terza via non è né capitalistica, perché non porta disuguaglianza, né un appiattimento sul ragionamento di classi come faceva Marx (credendo in un’alleanza tra i diversi operai), né solo lavoro né solo capitale ma una via di mezzo. questa terza via legittima il sistema della chiesa a dare giudizi sul mondo. IL POTERE DELLA CHIESA DI ILLUMINAZIONE DELLE COSCIENZE E LA POTESTAS MEDIATA Dopo il trauma della Prima guerra mondiale, ovvero la grande malattia continentale, tra le due guerre nasce in Francia un nuovo modo di pensare, la Nouvelle Théologie (nuove teologie). In Francia c’è molto fermento soprattutto nel mondo cattolico perché, nel 1801 dopo il grande concordato napoleonico e dopo il 1803, essa conosce una legge di separazione tra stato e chiesa. La chiesa non ha più posizioni privilegiate in Francia e si sono cercate delle vie nuove per esprimere una propria egemonia quantomeno culturale. Questi teologi sostengono che la chiesa deve rinunciare all’elemento del diritto quando si rapporta al temporale e fidarsi della capacità di intervenire con un semplice potere di illuminazione delle coscienze. Questa via non venne accettata da Roma perché era una “scommessa pericolosa”. I canonisti italiani negli anni 50 definiscono tale potere della chiesa “potestas mediata”. Sostengono che la Chiesa può rinunciare al diritto e quindi alla potestà di giurisdizione di foro esterno, tenendo invece quella di foro interno, vincolando i fedeli all’osservanza di una norma morale. L’intervento fu quello della scomunica a chi politicamente pensa cose non compatibili con la politica della chiesa, che quindi impediscono al foro interno di limitare un partito o una parte politica, di prendere decisioni che non siano legittimate dai magistrati della chiesa. POTESTÀ DI GIURISDIZIONE La potestà di giurisdizione o giudiziale = il potere conferito a un giudice ecclesiastico di giudicare le controversie e di applicare le relative norme canoniche. COMPETENZA La competenza rappresenta la misura del potere di giudicare la comunità con ciascun codice ecclesiastico. La competenza ci dice qual è la latitudine a cui si spinge il giudice ecclesiastico, il quale ha competenza, secondo il canone 1401:  In materia Spirituale, sulle cause che riguardano cose spirituali, per esempio la materia sacramentale.  Cose annesse alla materia spirituale: al confine con le cose temporali sostanzialmente toccherebbero alla competenza attuale dello Stato.  Per esempio in materia di matrimonio, tutta la parte sacramentale è di giurisdizione della Chiesa, salvo gli effetti civili del matrimonio.  Violazioni di norme ecclesiastiche e tutto ciò in cui vi è ragione di peccato: es. fattispecie che riguardano sia la giurisdizione della Chiesa che quella dello Stato: un omicidio è un delitto per la Chiesa ma è un reato che ricade anche sotto la giurisdizione dello Stato. Vige inoltre un PRINCIPIO DI COMPETENZA TERRITORIALE: competente a giudicare è di norma il giudice del territorio in cui abita la parte (convenuto) che viene chiamata in giudizio. Questa regola della competenza è però una regola non assoluta e ci sono delle eccezioni:  Basate sulla materia del contendere, domicilio parti, grado del giudizio..  Papa ha una competenza esclusiva sul giudicare : i Capi di Stato, i cardinali e i vescovi in materia penale. Il Papa, essendo il massimo governante e giudice della Chiesa, inoltre può in qualsiasi momento avocare o riservare a sé una causa . la competenza esclusiva e assoluta del pontefice è espressione diretta della volontà dell’Istituzione.  Il tribunale della Curia è competente per quel che riguarda il procedimento che vede come le parti i vescovi o superiori religiosi.  Quindi in materia penale, i vescovi sono giudicati dal Papa mentre le controversie tra vescovi o superiore dell’Ordine religioso vengono giudicati dalla Rota romana. Rimane fermo un principio assolutamente democratico, cioè il fatto che ogni fedele può chiedere di ricorrere al giudizio del Papa. Ci sono queste clausole di apertura super-democratiche per cui per esempio nell’ordine religioso, qualsiasi novizio appena entrato può chiedere di essere sentito in capitolo generale dal Papa. Ogni fedele qui ha la facoltà di chiedere di essere giudicato direttamente dal Papa. Naturalmente c’è una norma di chiusura, che ho già richiamato, del 1404. ORDINAMENTO GIUDIZIARIO DELLA CHIESA L’ordinamento giudiziario è strutturato in: 1. Tribunali di prima istanza  in ogni sede diocesesana: In prima istanza il vescovo è chiamato ad organizzare la giustizia nella diocesi, anche se i vescovi da un sacco di tempo non lo fanno personalmente. 2. Tribunali di seconda istanza (appello)  in ogni circoscrizione territoriale = sede arcidiocesana ovvero la sede del metropolita + Poi naturalmente ci sono tribunali della Santa Sede: o Segnatura Apostolica, massimo tribunale amministrativo e Giudice della giurisdizione e della competenza o Rota romana. ORGANIZZAZIONE INTERNA L’organizzazione della giustizia passa attraverso la costituzione dei collegi giudicanti, il giudice canonico può essere monocratico o collegiale, in questo caso può variare da 3 a 5 membri, sarà di 5 membri ovviamente nei casi più gravi, importanti e rilevanti. Viene nominato un istruttore che normalmente si chiama uditore giudiziario, colui che svolge la parte pre-processuale, la parte previa al dibattimento. Nel collegio esiste normalmente un ponente, vuol dire un giudice che illustra la causa, che si fa carico degli altri all’interno del collegio di illustrare la causa e redige la sentenza. Poi naturalmente nella funzione giudiziale rientrano le funzioni del promotore di giustizia, che è l’equivalente del pubblico ministero, presente sempre naturalmente nei giudizi penali, ma anche nei giudizi non penali, laddove si ravvisi un interesse pubblico. Il difensore del vincolo è il pubblico ministero nelle cause matrimoniali, che nel processo matrimoniale difende il valore del vincolo coniugale inteso come un bene comune all’interno della chiesa; poi esiste la funzione del notaio che è colui che redige gli atti e da una scansione d’ordine alle sezioni processuali. Queste funzioni erano e sono normalmente svolte da chierici, ma dopo il Concilio Vaticano II, dopo il Codice dell’83’ sono mansioni attribuite a soggetti anche laici. PROCESSI CANONICI I processi canonici conoscono due forme: quella del giudizio ordinario e quella del giudizio speciale. È un unico modello quindi di processo, che conosce alcune varianti nei casi dei procedimenti più gravi. Innanzitutto va detto che il processo canonico è quasi esclusivamente e normalmente svolto per iscritto, anche se il canone 1656 ci dice che esiste anche un processo contenzioso orale, ma normalmente il processo canonico si svolge per iscritto. La prima è una parte introduttiva, che comincia con la proposizione di un libello, redatto dalla parte attrice presentata dal giudice in cui si descrive l’oggetto della causa e i punti in diritto della domanda. Il giudice dovrà valutare il libello per vedere se è ammissibile e rendersi conto di cosa si tratta, se la causa è sussumibile, se è procedibile e se è di sua competenza, procederà a convocare in giudizio la controparte. Segue una parte istruttoria vera e propria, che consiste nella raccolta di prove, tra cui le dichiarazioni delle parti, prove testimoniali, documenti, perizie, ispezioni e anche le presupposizioni nel diritto canonico possono essere rilevanti  che cos’è la presupposizione? È sostanzialmente la deduzione probabile di una cosa incerta partendo da un dato certo. Le presunzioni/presupposizioni possono essere:  “iuris tantum” e possono quindi prevedere una prova in contrario, ad esempio il “favor matrimonii”, il codice ci dice che in caso di dubbio si ritiene valido il matrimonio e fino a prova contraria si presume che il matrimonio sia valido.  “iuris et iure” che non ammettono la prova al contrario, perché si decide ad esempio che una persona non è imputabile in quanto affetta da una malattia mentale grave, questa non è una presunzione iuris tantum ma iuris et iure e che quindi non ammette prova contraria. Segue la pubblicazione degli atti, dando accesso alle due parti agli atti processuali, in modo che si preparino le difese, poi comincia la parte della discussione. Si apre infine la parte finale del processo con l’emanazione della sentenza definitiva, sempre che non ci siano state durante il processo fasi incidentali o questioni preliminari che evidentemente sono risolte, come succede nei nostri processi ordinari, dal giudice con provvedimenti interprocessuali. Su una sentenza definitiva quali sono i rimedi che le parti possono avere, anche rispetto a una sentenza ritenuta non giusta?  3 rimedi “Quando io dico che il diritto canonico ha a cuore la verità sostanziale e non processuale, la sentenza può presentarsi anche come una sentenza profondamente ingiusta” 1. Il primo rimedio è l’appello, canoni 1628 ss; il codice ci dice che la sentenza non passata in giudicato naturalmente, può essere appellata entro il termine di 90 giorni e la cosa giudicata è fonte di diritto tra le parti e rende impossibile il discrimen: la res iudicata preclude la possibilità di investire nuovamente il giudice ecclesiastico della medesima questione tra le parti.  Passano tutte in giudicato tranne le sentenze che riguardano lo stato personale. 2. Il secondo rimedio è la querela di nullità = impugnazione per fatti non in merito della sentenza, ma per fatti gravi che si siano frapposti all’interno del processo, come l’incompetenza del giudice, gravi irregolarità nel corso del processo, una sentenza che non contenga l’imputazione, vizi sostanzialmente del procedimento. 3. Il terzo rimedio è la restituzione in integrum, vuol dire che una sentenza passata in giudicato ma palesemente ingiusta, o palesemente viziata, non passa in giudicato e può essere richiesta la restituzione in integrum da parte del soccombente. Ad esempio quando ci sono fatti nuovi sopravvenuti, vuol dire che si viene a sapere del dolo di una delle due parti, quindi del danno derivato dal dolo, dal comportamento nocivo dal punto di vista processuali. Quindi fatti che non riguardano errori processuali o di competenza del giudice, ma fatti nuovi o che riguardano la cattiva fede delle parti di cui si viene a conoscenza ex post oppure ancora la palese ingiustizia di una sentenza. Rispetto al processo ordinario, i PROCESSI SPECIALI si configurano come delle varianti:  I processi matrimoniali,  i processi riguardanti la sacra ordinazione, gli ordini sacri,  il processo amministrativo, che nella parte istruttoria ha un processo più snello  rimedio contro il processo speciale amministrativo è il ricorso gerarchico.  il processo di beatificazione. GIUSTO PROCESSO Nel diritto canonico si è molto discusso del giusto processo e tutto sommato il codice dell’83’ è andato in questa direzione, perché sappiamo che il giusto processo si avvale di alcuni pilastri, tra cui il contraddittorio delle parti, il diritto di difesa, la parità tra le parti, l’imparzialità del giudice e un accettabile tempo di durata del processo. PROCESSO DI BEATIFICAZIONE E CANONIZZAZIONE "Beatificazione" è il riconoscimento formale, da parte della Chiesa, dell'ascensione di una persona defunta al Paradiso. Tuttavia però i beati non possono ancora essere considerati formalmente santi. Lo stato di santità viene riconosciuto al termine di un processo più lungo che prende il nome di "canonizzazione". Il motivo per cui la chiesa contrastò la stregoneria deriva dal fatto che questa costituisce l’avamposto di una nuova scienza. Il potere di manipolare la natura con presunti poteri magici diventa in quel torno di tempo subito prima del tridentino che determinava una emancipazione dal dogma che diventerà scienza. É questo il tempo della condanna di Copernico e Galileo. Oltre a Inferno e paradiso, esiste un regno di mezzo, il purgatorio. Non c’è nella fede della chiesa una visione manichea che vede contrapposti due soli elementi (paradiso-Inferno) ma esiste un regno di mezzo , in cui avviene una purificazione dell’animo umano , preparatorio all’ascensione in paradiso. Il grande tema è che esiste un rapporto tra la vita e la morte in cui gli uomini possono intercedere per i morti e viceversa, evidenziandosi, così, non una cesura ma continuità. È riconosciuta la possibilità per un vivo di intercedere per un parente defunto e l’ulteriore possibilità di accelerare il tempo di purgazione dell’anima attraverso le indulgenze quando si è ancora in vita. L’indulgenza , ancora contemplata nel codice di diritto canonico, è la possibilità di rimettere una pena attraverso il pagamento di una somma di denaro. Dopo il purgatorio e, dopo la purgazione dell’anima, si ascende al paradiso, luogo dove stanno Santi e Beati, che vedono da vicino il volto di Dio. Questo significa che la beatitudine del paradiso è qualcosa che gli uomini non possono percepire. I SANTI La chiesa introduce in cielo la gerarchia del tempo, nel senso che santi e beati sono via via sempre più vicini a Dio. I santi cominciano ad essere additati come esempio di vita eroica per la chiesa , di esercizio eroico della virtù, senza necessità che ci fosse un riconoscimento dell’autorità ecclesiastica. Nei secoli successivi le cose subiscono una evoluzione in quanto si diffonde l’idea che i santi hanno capacità taumaturghe, ovvero guariscono.  Comincia a prevalere l’idea che fosse necessario l’intervento autoritativo del vescovo ai fini dell’accertamento di queste capacità taumaturgiche. IL PROCEDIMETO DI SANTIFICAZIONE Subentra una terza fase (intorno all’anno mille) in cui si assiste ad una progressiva procedimentalizzazione della pratica di santificazione. Intorno all’anno mille c’è un movimento che attribuisce al Papa l’autorità di certificare la santità. Infine, l’ultimo grande periodo che connota questa evoluzione del processo di santificazione, è quello che vede come protagonista Urbano VIII. Quest’ultimo in 14 libri esplica in dettaglio le modalità attraverso le quali si deve certificare la santità. Il tema è quello di conferire serietà procedurale al processo di beatificazione, con la dimostrazione della fama di santità, del grado eroico della virtù e dei miracoli, accompagnati da una certificazione medica. Fu benedetto XIV che riorganizzò in maniera unitaria le differenti fonti susseguitesi nel corso dei secoli e stabilendo le fasi in tema di santificazione. Fondamentale rimane tutt’oggi il carattere inquisitorio delle cause di beatificazione e canonizzazione. PRIMA FASE IN SEDE LOCALE A livello locale il procedimento è aperto dal SUPPLEX LIBELLUS cioè dall’istanza rivolta dall’attore tramite il postulatore perché si inizi il giudizio e si istruisca la causa. Accolta l’istanza il Vescovo diocesano deve consultare la Conferenza episcopale sull’opportunità della stessa, nonché notificare a tutti i fedeli della propria diocesi ed eventualmente di altre diocesi interessate, la petizione, invitando i fedeli stessi a fornire notizie utili alla causa.  Competente ad istruire il processo è l’Ordinario diocesano cioè della diocesi in cui il servo di Dio è deceduto o, ma previa autorizzazione della Congregazione per le cause dei santi, altro Ordinario locale individuato in base a criteri di economia processuale (dove ad esempio è più agevole reperire il materiale probatorio). Poi si procede con l’istruttoria diocesana: vi sono procedure distinte e separate per la valutazione degli scritti, raccolta delle testimonianze sulle virtù o sul martirio, all’inchiesta sui miracoli e verifica che non vi siano segni di culto in suo onore.  L’istruttoria sui miracoli invece è fatta dall’Ordinario del luogo in cui il fatto miracoloso è avvenuto. SECONDA FASE A ROMA I relativi atti sono trasmessi in duplice copia autenticata alla Congregazione per le cause dei santi, mentre gli originali sono conservati nell’archivio della curia diocesana. La fase dibattimentale e decisionale si apre presso la Congregazione per le cause dei santi, durante la quale può essere prevista un’ulteriore istruttoria. Le conclusioni del processo di beatificazione e canonizzazione dirette all’accertamento dei fatti (virtù o martirio, miracoli, fama di santità) costituiscono il presupposto del successivo provvedimento pontificio, che investe al contempo il MUNUS REGENDI ed il MUNUS DOCENDI del Pontefice essendo insieme atto di governo (concessione del culto pubblico) ed atto di magistero (dichiarazione della santità).  Spetta la Pontefice di pronunciare la decisione definitiva decretando il culto pubblico da prestarsi al servo di Dio SOGGETTI  Attori (i soggetti privati del processo interessati ad ottenere il riconoscimento della santità del servo di Dio): possono essere singoli fedeli, associazioni o persone giuridiche ecclesiastiche o civili, che siano stati autorizzati dalla competente autorità ecclesiastica  onere sostenere spese della causa.  Postulatore: procuratore che ha la rappresentanza processuale degli attori e la difesa tecnica (avvocato attori)  Parte pubblica : Promotore di giustizia nel tribunale diocesano e Promotore della fede presso la congregazione.  Testimoni: intervengono pro rei veritate  Periri: - Censori teologici: valutano che negli scritti del servo di dio non ricorrano errori in materia di fede e di morale - Periti in ricerche storico-archivistiche: raccolgono e valutano il materiale edito e inedito riguardante la causa onde contribuire alla ricostruzione critica della vita, morte, fama del servo di dio - Periti medici: valutano i miracoli ! Importante sottolineare come si sia verificata una economia giudiziale della santità ( di per sé è qualcosa di non misurabile e percepibile dal punto di vista sensoriale), accertata attraverso un processo. Questo costituisce sicuramente un elemento unico che non ha eguali in nessun ordinamento al mondo.
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