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Riassunto completo di "Filologia Germanica" di Nicoletta Francovich Onesti, Sintesi del corso di Filologia Germanica

Riassunto completo di "Filologia Germanica" di Nicoletta Francovich Onesti, per l'esame di Filologia Germanica della professoressa Carla Falluomini dell'Università degli Studi di Perugia.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 29/06/2019

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Scarica Riassunto completo di "Filologia Germanica" di Nicoletta Francovich Onesti e più Sintesi del corso in PDF di Filologia Germanica solo su Docsity! FILOLOGIA GERMANICA STORIA DI CHE COSA TRATTA LA FILOLOGIA GERMANICA La filologia germanica si occupa delle lingue germaniche antiche e delle loro attestazioni scritte. In particolare studia i testi che ce le documentano; è quindi una scienza dei testi, non importa se di grande valore letterario o di mero valore documentario. I limiti cronologici entro cui opera questa disciplina sono elastici, anche se si può dire che rientrano nell'età medievale. Nello studio delle lingue germaniche antiche si va dalle origini, situate nella tarda antichità o nell'Alto Medioevo, fino grosso modo all'inizio dell'età moderna. Le quali sono: inglese, tedesco, olandese, frisone, danese, svedese, norvegese, islandese, più due lingue ora estinte: il gotico e il longobardo. Per lo studio della documentazione scritta nelle lingue germaniche si analizzano i testi. E questo significa "filologia": analisi testuale; in particolare critica del testo, che mira ad accertarne l'autenticità, a verificarne la correttezza, a ricercarne la fisionomia originaria, a rintracciarne la trasmissione attraverso il tempo dall'originale alle copie, di manoscritto in manoscritto, di redazione in redazione; infine a interpretarlo, magari a individuarne le fonti e a capire le circostanze della sua stesura. Dare un'accurata lettura di un testo e proporne l'edizione ritenuta più fedele e più vicina all'originale è lavoro basilare per i filologi. Per fare questo sono indispensabili conoscenze di linguistica germanica. Ecco che allora "filologia" acquista anche un senso più ampio, non scienza dei testi ma anche delle lingue in cui sono scritti. Trattandosi di testi antichi, risulta fondamentale lo studio delle lingue germaniche antiche, delle loro origini e del loro sviluppo nel tempo. La filologia germanica si configura dunque sostanzialmente come una scienza storica, una scienza delle antichità germaniche in senso lato, imperniata innanzi tutto sull'analisi dei decumenti scritti e delle relative lingue. La linguistica germanica si occupa non soltanto delle varie lingue e dialetti germanici, ma anche delle relazioni che li legano, dei rapporti di parentela che uniscono in grado più o meno stretto una lingua all'altra. Cerca di classificarle, di definirne la struttura e il funzionamento, di cogliere la loro posizione in seno al gruppo germanico, di vedere quali fili le uniscono e quali processi le allontanano fra loro. Segue inoltre la loro evoluzione nel tempo, e tenta anche di risalire all'indietro alla loro origine prima. Individuando le caratteristiche comuni a tutte le lingue germaniche, le raffronta con altri gruppi linguistici affini. Lo studio della filologia contribuisce a illuminare quello di una lingua germanica moderna, conferendogli prospettiva storica, spessore scientifico, nonchè dandogli un inquadramento linguistico più ampio. STORIA DELLA DISCIPLINA La filologia germanica come scienza è sorta nei primi anni dell'Ottocento, insieme alle altre discipline linguistiche, sull'onda degli interessi romantici per le origini. Ma è solo quando nel secolo scorso gli studi linguistici si danno una metodologia rigorosa che la filologia germanica può raggiungere lo stato di scienza. Tutto era iniziato con lo studio comparativo della lingua sanscrita degli antichi testi religiosi indiani, raffrontata col greco e il latino. Il metodo comparativo fu poi applicato dal danese Rasmus Rask più approfonditamente alle lingue germaniche nel 1818. Le sue osservazioni furono utilizzate e sviluppate da Jacob Grimm nel 1822. Grimm portò avanti per molti anni i suoi studi di filologia germanica in senso lato, occupandosi non solo degli aspetti linguistici e dell'edizione di testi, ma facendo anche studi sull'antico diritto germanico, sulla mitologia, sul folklore e sulle tradizioni germaniche; è perciò giustamente considerato il più grande fra i fondatori della filologia germanica moderna. Oggi il campo della filologia germanica è vastissimo, include tutte le lingue germaniche coi loro dialetti, le loro attestazioni, i loro sistemi di scrittura, le loro letterature antiche, su un'area geografica che comprende non solo i paesi germanici attuali (dall'Isalnda e Scandinavia fino alle Alpi), ma anche le regioni dove i popoli germanici possono essere migrati nei secoli passati. La germanistica è quindi spesso scissa oggi in diversi settori e sotto-branche più specialistiche, come la filologia nordica, la filologia inglese, tedesca, e così via. Per la sua natura di scienza dei testi, la filologia si colloca un po' come un ponte fra le scienze linguistiche e le letterature; si alimenta di ambedue queste anime, la più scientifica e la più letteraria. BREVE PROFILO STORICO DEI POPOLI GERMANICI Il territorio originariamente stabilito dai popoli germanici era limitato nei primi secoli a.C. alla Scandinavia meridionale (Svezia e Norvegia meridionale), all'attuale Danimarca (penisola dello Jutland e isole danesi), e alla contigua pianura della Germania settentrionale. Che quest'area detta "la cerchia nordica", fosse stata la sede dei germani fin da un'epoca assai antica, lo dimostrerebbe anche il fatto che non pare vi sia traccia nei nomi di luogo di uno strato linguistico diverso da quello germanico. Dalla Germania settentrionale varie tribù sono quindi scese verso sud occupando gradualmente quella che oggi è la parte occidentale del territorio tedesco. Gaio Giulio Cesare nel De bello gallico è il primo autore latino a parlare dei Germani. Lo storico latino Cornelio Tacito alla fine del I secolo d.C. dedicò un intero trattato ai popoli germanici allora noti ai romani, il De et situ germanorum, comunemente noto come Germania. L'opera è del massimo interesse, non solo perchè Tacito descrive le usanze, la religione, di moltissime tribù che vengono per la prima volta esaurientmente nominate, e mostra forti interessi "antropologici"; ma anche per la sua antichità, che ci permette di avere già un quadro dei popoli germanici di non poco anteriore alle prime documentazioni dirette dei Germani stessi nelle loro proprie lingue. Quando Tacito parla dell'antica suddivisione dei Germani in tre gruppi, quello degli Ermìnoni, degli Ingèvoni e degli Istèvoni, è quasi certo che si riferisca a quelli che noi oggi consideriamo germani occidentali, cioè quelle tribù continentali che gravitavano verso occidente e verso il Reno. Nel corso del IV secolo varie tribù germaniche oltrepassano il basso corso del reno stanziandosi in quello che oggi è il FILOLOGIA GERMANICA STORIA DI CHE COSA TRATTA LA FILOLOGIA GERMANICA La filologia germanica si occupa delle lingue germaniche antiche e delle loro attestazioni scritte. In particolare studia i testi che ce le documentano; è quindi una scienza dei testi, non importa se di grande valore letterario o di mero valore documentario. I limiti cronologici entro cui opera questa disciplina sono elastici, anche se si può dire che rientrano nell'età medievale. Nello studio delle lingue germaniche antiche si va dalle origini, situate nella tarda antichità o nell'Alto Medioevo, fino grosso modo all'inizio dell'età moderna. Le quali sono: inglese, tedesco, olandese, frisone, danese, svedese, norvegese, islandese, più due lingue ora estinte: il gotico e il longobardo. Per lo studio della documentazione scritta nelle lingue germaniche si analizzano i testi. E questo significa "filologia": analisi testuale; in particolare critica del testo, che mira ad accertarne l'autenticità, a verificarne la correttezza, a ricercarne la fisionomia originaria, a rintracciarne la trasmissione attraverso il tempo dall'originale alle copie, di manoscritto in manoscritto, di redazione in redazione; infine a interpretarlo, magari a individuarne le fonti e a capire le circostanze della sua stesura. Dare un'accurata lettura di un testo e proporne l'edizione ritenuta più fedele e più vicina all'originale è lavoro basilare per i filologi. Per fare questo sono indispensabili conoscenze di linguistica germanica. Ecco che allora "filologia" acquista anche un senso più ampio, non scienza dei testi ma anche delle lingue in cui sono scritti. Trattandosi di testi antichi, risulta fondamentale lo studio delle lingue germaniche antiche, delle loro origini e del loro sviluppo nel tempo. La filologia germanica si configura dunque sostanzialmente come una scienza storica, una scienza delle antichità germaniche in senso lato, imperniata innanzi tutto sull'analisi dei decumenti scritti e delle relative lingue. La linguistica germanica si occupa non soltanto delle varie lingue e dialetti germanici, ma anche delle relazioni che li legano, dei rapporti di parentela che uniscono in grado più o meno stretto una lingua all'altra. Cerca di classificarle, di definirne la struttura e il funzionamento, di cogliere la loro posizione in seno al gruppo germanico, di vedere quali fili le uniscono e quali processi le allontanano fra loro. Segue inoltre la loro evoluzione nel tempo, e tenta anche di risalire all'indietro alla loro origine prima. Individuando le caratteristiche comuni a tutte le lingue germaniche, le raffronta con altri gruppi linguistici affini. Lo studio della filologia contribuisce a illuminare quello di una lingua germanica moderna, conferendogli prospettiva storica, spessore scientifico, nonchè dandogli un inquadramento linguistico più ampio. STORIA DELLA DISCIPLINA La filologia germanica come scienza è sorta nei primi anni dell'Ottocento, insieme alle altre discipline linguistiche, sull'onda degli interessi romantici per le origini. Ma è solo quando nel secolo scorso gli studi linguistici si danno una metodologia rigorosa che la filologia germanica può raggiungere lo stato di scienza. Tutto era iniziato con lo studio comparativo della lingua sanscrita degli antichi testi religiosi indiani, raffrontata col greco e il latino. Il metodo comparativo fu poi applicato dal danese Rasmus Rask più approfonditamente alle lingue germaniche nel 1818. Le sue osservazioni furono utilizzate e sviluppate da Jacob Grimm nel 1822. Grimm portò avanti per molti anni i suoi studi di filologia germanica in senso lato, occupandosi non solo degli aspetti linguistici e dell'edizione di testi, ma facendo anche studi sull'antico diritto germanico, sulla mitologia, sul folklore e sulle tradizioni germaniche; è perciò giustamente considerato il più grande fra i fondatori della filologia germanica moderna. Oggi il campo della filologia germanica è vastissimo, include tutte le lingue germaniche coi loro dialetti, le loro attestazioni, i loro sistemi di scrittura, le loro letterature antiche, su un'area geografica che comprende non solo i paesi germanici attuali (dall'Isalnda e Scandinavia fino alle Alpi), ma anche le regioni dove i popoli germanici possono essere migrati nei secoli passati. La germanistica è quindi spesso scissa oggi in diversi settori e sotto-branche più specialistiche, come la filologia nordica, la filologia inglese, tedesca, e così via. Per la sua natura di scienza dei testi, la filologia si colloca un po' come un ponte fra le scienze linguistiche e le letterature; si alimenta di ambedue queste anime, la più scientifica e la più letteraria. BREVE PROFILO STORICO DEI POPOLI GERMANICI Il territorio originariamente stabilito dai popoli germanici era limitato nei primi secoli a.C. alla Scandinavia meridionale (Svezia e Norvegia meridionale), all'attuale Danimarca (penisola dello Jutland e isole danesi), e alla contigua pianura della Germania settentrionale. Che quest'area detta "la cerchia nordica", fosse stata la sede dei germani fin da un'epoca assai antica, lo dimostrerebbe anche il fatto che non pare vi sia traccia nei nomi di luogo di uno strato linguistico diverso da quello germanico. Dalla Germania settentrionale varie tribù sono quindi scese verso sud occupando gradualmente quella che oggi è la parte occidentale del territorio tedesco. Gaio Giulio Cesare nel De bello gallico è il primo autore latino a parlare dei Germani. Lo storico latino Cornelio Tacito alla fine del I secolo d.C. dedicò un intero trattato ai popoli germanici allora noti ai romani, il De et situ germanorum, comunemente noto come Germania. L'opera è del massimo interesse, non solo perchè Tacito descrive le usanze, la religione, di moltissime tribù che vengono per la prima volta esaurientmente nominate, e mostra forti interessi "antropologici"; ma anche per la sua antichità, che ci permette di avere già un quadro dei popoli germanici di non poco anteriore alle prime documentazioni dirette dei Germani stessi nelle loro proprie lingue. Quando Tacito parla dell'antica suddivisione dei Germani in tre gruppi, quello degli Ermìnoni, degli Ingèvoni e degli Istèvoni, è quasi certo che si riferisca a quelli che noi oggi consideriamo germani occidentali, cioè quelle tribù continentali che gravitavano verso occidente e verso il Reno. Nel corso del IV secolo varie tribù germaniche oltrepassano il basso corso del reno stanziandosi in quello che oggi è il Belgio, e a sud raggiungono il lago di Costanza. Queste zone recano traccia del primitivo strato linguistico dei toponimi, che non sono solo al cento per cento germanici, ma in certa misura ancora di origine celtica, o addirittura latina in quelle zone incluse negli antichi confini dell'impero romano. I GERMANI ORIENTALI Il gruppo detto orientale è quello che è transitato lungo le coste del Baltico nelle pianure dell'attuale Germania orientale e Polonia, per poi migrare in varie direzioni. Appartengono al gruppo dei Germani orientali i Burgundi, i Rugi, i Gepidi, i Vandali e i Goti. I Vandali e i Burgundi agli inizi del IV secolo d.C. si muovono dalle rive dell'Oder per migrare verso sud-ovest. I Burgundi giungono al Reno attorno al 407, si stanziano temporaneamente attorno a Worms, dove formano il primo regno burgundo, che poi viene annientato però da un'incursione di Unni. Passano il Reno nel 437 e vanno quindi a fondare un altro regno nella valle del Rodano, fra Fancia e Svizzera attuali. Questa regione ha preso il loro nome: Burgundia. Il regno dei Burgundi ha vita breve perchè vengono vinti nel 534 dai più potenti vicini Franchi che inglobano il territorio burgundo nel loro regno. I Vandali si spingono assai più oltre; traversano rapidamente la Francia e poi la penisola iberica, finchè nel 429 guidati dal re Genserico traversano lo stretto di Gibilterra per andare a stanziarsi in Africa (odierna Algeria e Tunisia). Il regno dei Vandali, centrato su Cartagine, estende la propria egemonia anche alle isole Baleari, alla Sardegna e alla Corsica. Per via di mare i Vandali nel 455 arrivano anche a saccheggiare Roma. Ma nel VI secolo una forza militare bizantina, inviata dall'imperatore d'Oriente Giustiniano, mette fine al regno dei Vandali negli anni 533-34. I Gepidi invece, come i Goti, si spostano verso sud-est; la loro è una lenta migrazione che li porta a raggiungere la riva sinistra del Danubio alla fine del V secolo. Lo stanziamento dei Gepidi in questa zona (pressappoco l'odierna Ungheria) dura fin verso il 570, quando saranno sopraffatti da nuove invasioni, questa volta di popoli asiatici in migrazione verso occidente. Intanto erano stati però in contatto coi Goti e coi Longobardi, anch'essi in transito per la regione danubiana. Il popolo dei Goti lascia le coste baltiche e la pianura tra l'Oder e la Vistola probabilmente verso la fine del II secolo d.C., dirigendosi anch'esso verso sud-est attraverso le pianure dell'Europa orientale, per affiancarsi alla fine del II secolo d.C, dirigendosi anch'esso verso sud-est attraverso le pianure dell'Europa orientale, per affacciarsi alla fine del III secolo sul Mar Nero. Durante l'ultima fase di questa migrazione secondo la tradizione i Goti si dividono in due gruppi distinti, quello degli Ostrogoti o Goti dell'est, e quello dei Visigoti. Premendo sui confini dell'impero d'Oriente lungo il basso Danubio, i Goti ebbero rapporti alterni con Bisanzio, ora venendo a patti ora attaccando. I Visigoti nel 378 infliggono una dura sconfitta all'imperatore Valente ad Adrianopoli, città tracia a nord di Bisanzio. Nella regione a sud del Danubio, anticamente chiamata Mesia (oggi Bulgaria settentrionale), era stanziato un gruppo appartato di Visigoti, detti "Goti minores" che proprio durante il IV secolo cominciano a convertirsi al Cristianesimo. Il loro capo spirituale e vescovo Wulfila predica la nuova fede e traduce per il suo popolo il Vangelo in lingua gotica. Sono gli anni delle accanite dispute teologiche nell'impero bizantino: Wulfila accoglie il Cristianesimo nella versione ariana che di lì a poco sarà condannata come eretica; i Visigoti trasmettono l'arianesimo anche ad altri popoli germanici, probabilmente ai Burgundi, certamente agli Ostrogoti, ai Vandali e in parte ai Longobardi. Ma il grosso dei Visigoti comincia a spostarsi verso occidente e si dirige verso l'Italia, dove giungono nei primi anni del V secolo guidati dal re Alarico. In seguito alle incomprensioni con l'imperatore d'Occidente Onorio compiono il sacco di Roma del 410. Tentano poi di passare in Africa, ma durante il tragitto verso sud Alarico muore. I Visigoti allora indietreggiano e risalgono la penisola per passare nella Gallia meridionale, dove entrano nel 412. Qui si forma un regno visigoto con capitale a Tolosa; e nel corso dello stesso secolo i Visigoti si estendono in Spagna dove costituiscono un regno con capitale Toledo. Il regno di Tolosa però sarà schiacciato dai Franchi che nel 507 conquistano la Gallia meridionale. Il regno di Toledo ha vita più lunga; qui col tempo i re goti di Spagna si convertono al cattolicesimo, abbandonando l'eresia ariana. La fine del regno visigoto di Toledo si ebbe soltanto con l'arrivo degli Arabi in Spagna nel 711. Gli Ostrogoti nel IV secolo al tempo di re Ermanarico occupavano la pianura ucraina e le coste del Mar Nero. Esposti alle incursioni degli Unni, premevano anch'essi sull'impero romano d'Oriente. Alla fine del V secolo l'imperatore bizantino invita gli Ostrogoti in Italia a contrastare il re barbarico Odoacre. A quest'epoca re degli Ostrogoti è Teodorico l'Amalo, un capo geniale che era anche vissuto a lungo alla corte bizantina. Nel 489 Teodorico batte Odoacre sull'Isonzo ed entra in Italia settentrionale; quindi nel 493 conquista definitivamente il regno italico e si insedia a Ravenna. Il regno ostrogoto d'Italia dura 60 anni, di cui i primi decenni trascorrono in una benefica pace, fino alla morte di Teodorico. L'unica fonte di tensione è costituita dal tenace arianesimo dei Goti, che li rende invisi alla Chiesa romana. Gli ultimi anni del regno goto sono però funestati da intrighi politici e crescente instabilità, finchè l'imperatore d'Oriente Giustiniano decide di porre fine al regno ostrogoto, e invia ingenti forze militari per la riconquista dell'Italia. La lunga guerra greco-gotica che ne consegue è disastrosa per l'Italia, che infine soccombe alla conquista bizantina. Il regno ostrogoto è così liquidato, molto tempo prima di quello visigoto di Spagna. I GERMANI SETTENTRIONALI Il gruppo settentrionale è quello dei popoli scandinavi. Questi rimangono a lungo nelle sedi scandinave originarie; l'epoca della forte espansione per loro arriverà più tardi, alla fine del VIII secolo. La società scandinava è per il momento statica, e segue una lenta evoluzione. I Danesi sono insediati nell'attuale Svezia meridionale e sulle isole danesi, solo nel V-VI secolo si estendono nella penisola dello Jutland. A nord, nella Svezia meridionale del VI secolo è stanziato il popolo dei Geati, che ha lasciato il nome all'attuale regione di Götaland. I vicini Svìar, abitanti della Svealand (la regione svedese centrale), vinsero i Geati e allargarono così il loro regno; il loro nome è da identificare con quello degli antichi Suiones, e sono i diretti predecessori degli Svedesi. In diffuso presso ciascun gruppo germanico l'uso della scrittura e quindi sviluppata una letteratura scritta. Inoltre le modalità con cui il Cristianesimo è stato recepito hanno anche in parte influito sul carattere stesso delle testimonianze scritte che sono state lasciate; non solo, ma sulla più o meno precoce scomparsa o censura di certe tradizioni orali autoctone. Ciò ha pesato sulla cancellazione o sulle eventuali sopravvivenze del paganesimo germanico, e di conseguenza sul nostro grado di conoscenza del medesimo. I primi a convertirsi sono i Goti, nel IV secolo, per opera del vescovo Wulfila. Essi recepiscono il Cristianesimo nella forma ariana che trasmettono a Vandali, Burgundi e a parte dei Longobardi. In un primo momento dunque è l'arianesimo a diffondersi fra i Germani. Questa precoce conversione dei Goti ha avuto una forte influenza sul tipo delle testimonianze scritte che ci hanno lasciato, nessuna delle quali conserva l'antica poesia eroica gotica. Poi è il re dei Franchi Clodoveo a convertirsi nel 496 al cattolicesimo romano, il che gli permette di accattivarsi le simpatie e la collaborazione del clero e della popolazione gallo- romana della Francia. La religione cristiana tende a diffondersi in tutto il regno franco, anche ad est del Reno, via via estendendosi seppur faticosamente alle nuove acquisizioni territoriali in Germania. Risale al 597 la conversione degli Anglosassoni. In questa data papa Gregorio Magno invita il missionario Agostino a predicare presso il re del Kent, che si converte con la sua corte. Nel corso del VII secolo, grazie all'atteggiamento accorto e acuto dei missionari, il resto del paese accetta pacificamente la nuova fede, sostanzialmente senza traumi. Contemporaneamente agli emissari di Roma operano nel nord dell'Inghilterra anche i monaci irlandesi, a cui si deve la fondazione di importanti monasteri. Ma è l'organizzazione di tipo romano che prevale, sia nella creazione di diocesi che nella struttura ecclesiastica. Nel 600 è il re longobardo Agilulfo a convertirsi al cattolicesimo, per influenza della regina Teodolinda e di papa Gregorio Magno. Prima i Longobardi erano in parte ariani in parte ancora pagani; la conversione del re sembra appianare i rapporti con la popolazione italica. La conversione definitiva di tutti i Longobardi avviene poi nel 671. In Germania il Cristianesimo si diffonde gradualmente, e soprattutto per volontà politica dei sovrani franchi. Ciò avviene dapprima nelle regioni centro-meridionali del paese, in area alemannica, fràncone e bavarese. Alla fine dell'VIII secolo tutta la Germania centro-meridionale è, almeno ufficialmente, cattolica. Nei vari monasteri c'è una febbrile attività di insegnamento del latino e di traduzione dei testi religiosi. Il nord del paese invece, la regione dei Sassoni, verrà convertito solo con la violenza, per volontà di Carlo Magno durante le sue guerre di conquista. I Sassoni recalcitranti devono accettare per forza il battesimo, mentre vengono abbattuti i simboli del loro tenace paganesimo, come la colonna sacra detta Irminsul. Dall'804 in poi missionari carolingi portano la nuova religione in Sassonia. Il primo tentativo di convertire i Frisoni è compiuto nel 690 dal missionario anglosassone Willibrord, che cinque anni dopo divenne arcivescovo di Utrecht. Il completamento della conversione dei Frisoni si ebbe poi con le progressive ammissioni all'impero franco nel corso dell'VIII secolo, e per la Frisia orientale agli inizi del IX, insieme cioè ai Sassoni. Dalle nuove diocesi e fondazioni monastiche della Germania settentrionale nel IX secolo partono i primi tentativi missionari volti a convertire la Scandinavia. È nel secolo seguente, il X, che i re danesi accettano pienamente il Cristianesimo, anche per calcoli di convenienza politica. La Norvegia, più lontana dai centri cristiani, viene in contatto con la nuova religione leggermente più tardi. L'impulso alla conversione giunge questa volta tramite l'Inghilterra, dove il re norvegese Olaf Tryggvason, un ex vichingo, aveva ricevuto il battesimo alla fine del X secolo. Nell'anno 1000 il Cristianesimo si afferma, soprattutto per volontà regia, su tutta la Norvegia costiera. Poco più tardi, sotto il regno di Olaf il Santo (morto nel 1030), si completa la conversione del paese. Anche l'Islanda acetta la nuova religione nel 1000, ma per deliberazione dell'assemblea, la quale decide di accogliere una missione inviata sull'isola dal re di Norvegia. Inizialmente i sacrifici pagani ed altre pratiche tradizionali vengono ancora tollerati, purchè compiuti privatamente. L'organizzazione della Chiesa islandese non è immediata: nei primi tempi è affidata a vescovi-missionari, sia tedeschi che anglosassoni. Il lungo periodo di sopravvivenza delle antiche tradizioni ha potuto permettere che molte di queste si riflettessero nella letteratura medievale islandese. Contemporaneamente il Cristianesimo raggiunge anche le lontane colonie della Groenlandia, dove l'archeologia ha rivelato l'esistenza di piccole chiese della comunità vichinga. Ultima ad accogliere la fede cristiana è la Svezia, dove nella seconda metà del XI secolo era ancora in funzione il tempio pagano di Uppsala, come ci testimonia Adamo da Brema. Le prime missioni provengono soprattutto dalla Danimarca, e il Cristianesimo comincia ad affermarsi dapprima attorno al lago Mäler nella Svealand; più tenacemente pagane sono invece le regioni interne di Götaland e Dalecarlia. TOPONIMI E ANTROPONIMI La storia del popolo germanico si riflette nella toponomastica, e attraverso l'analisi dei nomi di luogo si possono ottenere informazioni sull'estensione e le modalità degli insediamenti dei popoli germanici. In Scandinavia e in Islanda si nota una straordinaria compattezza linguistica nei toponimi: essi sarebbero cioè praticamente tutti di origine germanica, senza mescolanze con altri strati linguistici; o per lo meno se altre lingue sono esistite in area scandinava, non hanno lasciato tracce nella toponomastica. Questo eccettuato naturalmente l'estremo nord di Svezia e Norvegia, dove è presente il lappone. Questa situazione quasi del tutto compattamente germanica si riscontra anche nella toponomastica della Germania settentrionale, immediatamente a sud della Danimarca. Nella zona renana però, che include parti dell'attuale Olanda e Belgio, Germania occidentale e Svizzera, nonchè nella zona alpina una volta celtica e poi inclusa nell'impero romano, restano accanto ai prevalenti toponimi germanici anche residui nomi di luogo di origine celtica o latina. In Inghilterra l'elemento anglosassone nella toponomastica è molto forte nelle regioni orientali, e si attenua via via procedendo verso ovest, dove i toponimi celtici sono ancora numerosi. Al di fuori poi degli attuali paesi di lingua germanica, si notano tracce di elementi germanici anche nella toponomastica della Francia, dell'Italia, e della Spagna, tracce dovute al passaggio o allo stanziamento nel Medioevo di popoli germanici in questi territori. Questi toponimi costituiscono un superstrato germanico che si impianta sul precedente fondo toponomastico latino o pre-latino. In questi paesi essi costituiscono naturalmente una minoranza di nomi, che sono però rivelatori. LINGUA LE LINGUE GERMANICHE NELLA FAMIGLIA INDOEUROPEA Quasi tutta l'Europa è oggi coperta da lingue del gruppo idoeuropeo. Le maggiori famiglie linguistiche che attualmente si estendono sul territorio sono quella neolatina, quella germanica, e quella slava. Altre lingue e gruppi linguistici sempre indeuropei, non meno importanti ma quantitativamente meno rilevanti sono le lingue celtiche, le lingue baltiche, l'albanese, e infine il greco, lingua di antichissima e gloriosa tradizione. Non appartengono invece alla famiglia linguistica indeuropea nè il finlandese, nè il lappone, nè l'estone, nè l'ungherese, nè il basco. Le lingue indeuropee sono così dette perchè si estendono appunto dall'India all'Europa. Nell'antichità comprendevano: l'antico indiano o sanscrito, l'avestico e l'antico persiano, l'armeno, il tocario, l'ittita, il greco, l'antico slavo, il latino e alcune altre lingue dell'Italia antica, le antiche lingue germaniche, le lingue baltiche, le antiche lingue celtiche. La loro distribuzione geografica ha subito forti variazioni nel corso della storia. Le lingue indeuropee sono flessive, esprimono cioè a mezzo di flessioni (desinenze delle declinazioni e delle congiunzioni verbali) la funzione delle parole nella frase; e hanno in comune gran parte del lessico, il che significa che moltissime parole nelle diverse lingue indeorupee hanno radici comuni. La sostanziale parentela fra le varie lingue indeuropee è stata osservata, compresa e infine studiata dai linguiti dell'Ottocento, a cominciare da F. von Schlegel, fondatore dello studio comparativo delle lingue; seguito da F. Bopp, R. Rask, J. Grimm. La linguistica comparata e storica ha analizzato a fondo i rapporti in cui si trovano le varie lingue indeuropee fra loro, ed ha enucleato il cocentto di "indeuropeo" comune, una sorta di lingua madre originaria, da cui sarebbero discese poi le singole lingue storicamente attestate. Questo indeuropeo non è documentato, ma ricostruito a tavolino dai linguisti appunto mediante la comparazione; se questa fase originaria è mai esistita, deve avere avuto luogo prima delle più antiche attestazioni delle diverse lingue, in età storica già differenziate e geograficamente lontane. Le lingue indeuropee di più antica attestazione sono il greco, il sanscrito e l'ittita; e risalgono al massimo al II millennio a.C. Le lingue germaniche non prima del II secolo d.C (le primissime iscrizioni runiche), e in modo esauriente solo a partire dal IV secolo d.C. La linguistica storica e comparativa deve tenere dunque conto di fortissime sfasature cronologiche fra le varie lingue ideuropee, non tutte ugualmente colte nello stesso stadio d'evoluzione. Le lingue germaniche si collocano, sia per affinità linguistiche che per posizione geografica, fra le lingue celtiche a occidente, le baltiche e slave a oriente, il latino e le altre lingue italiche antiche a sud. Non mancano alcuni legami col greco, seppur non stretti. Condividono infine con tutto il restante gruppo di lingue ideuropee le caratteristiche generali comuni di queste lingue, come il cosiddetto "vocabolario indeuropeo compatto", l'inseme cioè delle radici presenti in tutte le lingue indeuropee. Ci sono isoglosse (cioè tratti linguistici uguali) che uniscono le lingue germaniche a quelle baltiche e slave, altre che le uniscono a quelle celtiche e al latino, altre isoglosse sono latino-germaniche. Le lingue germaniche si collocano comunque nel gruppo indeuropeo occidentale, caratterizzato dal mantenimento delle consonanti velari indeuropee, che non si palatalizzano come invece avviene in sanscrito, persiano e balto-slavo. IL GERMANICO COMUNE Queste prime attestazioni ci mostrano lingue già abbastanza differenziate e caratterizzate ciascuna da particolarità linguistiche specifiche. La documentazione successiva delle varie lingue germaniche mostra che le particolarità individuali di ciascuna si accentuano col tempo, portando a un progressivo allontanamento delle singole lingue fra di loro, avendo ciascuna una sua evoluzione e una sua storia. All'inverso, quanto più si risale addietro nel tempo, tanto più le vediamo avvicinarsi. È venuto quindi spontaneo agli studiosi di grammatica comparata e di linguistica storica del secolo scorso ipotizzare che, in un'epoca antecedente ai primi documenti scritti, queste lingue convergessero, avvesero cioè avuto una fase originaria comune e ancora indifferenziata. A questa fase linguistica, da cui si sarebbero poi staccate le singole lingue storiche, fu dato il nome di urgermanish da linguisti tedesci, cioè "germanico originario", "germanico primitivo" o "protogermanico". Naturalmente l'ipotetico protogermanico non è documentato da nessuna attestazione scritta, si collocherebbe cioè nella fase preistorica delle lingue germaniche. Il pensare a una lingua madre originaria protogermanica, che avrebbe poi dato vita alle varie lingue storiche, veniva suggerito dal facile paragone con le lingue neolatine, già diversificate nel Medioevo, ma tutte risalenti a una stessa matrice: il latino. La differenza fondamentale sta nel fatto che il latino è ben noto e ampiamente documentato, mentre del protogermanico non si sa nulla. Il lavoro dei linguisti e filologi germanici in questo senso è profondamente diverso da quello dei filologi romanzi. Il protogermanico può essere soltanto ricostruito a tavolino, le sue forme ipotizzate sulla base di un lavoro di comparazione. Niente ci autorizza a credere che la fase protogermanica fosse assolutamente indifferenziata, un'unica lingua compattamente unitaria. Anzi avrebbe anche potuto portare in nuce delle varietà dialettali, che in seguito si sarebbero accentuate durante l'età delle migrazioni. Tanto più che nella storia dell'evoluzione linguistica non si riscontrano solo fenomeni di filiazione o separazione di una o più lingue, ma anche spesso fenomeni opposti di convergenza linguistica di dialetti affini sotto l'azione unificante di una data varietà più prestigiosa o dominante; e questo può essere accaduto durante la fase germanica primitiva. Perciò più che credere in un urgermanisch compatto, concepito come una singola lingua, si preferisce pensare a una fase preistorica che viene ricostruita raccogliendo i tratti linguistici presenti in tutte le lingue germaniche. Questo "germanico comune" è costituito allora solo da gli elementi comuni a tutte le lingue germaniche conosciute. Oggi non interessa tanto il germanico comune come ipotesi di lingua realmente esistita, quanto come ricostruzione di forme linguistiche di base, utili ad indicare sinteticamente il punto di riferimento che sta a monte delle forme effettivamente attestate; il confronto tra queste e la forma ricostruita (indicata da un asterisco *) permette una rapida comprensione di quale evoluzione le forme storiche abbiano avuto. Partendo dalla fase germanica comune si è pensato che le diverse lingue germaniche storiche si fossero successivamente separate; per rappresentare schematicamente tale separazione si è fatto ricorso al modello dell'albero genealogico. Lo schema ad albero evidenzia la derivazione in senso storico-diacronico, mostrando i raggruppamenti e le scissioni. Se invece si vuole evidenziare il grado di vicinanza fra le varie lingue, quanto esse hanno in comune, senza preoccuparsi dei rapporti di filiazione, si usa los chema a cerchi dell'insiemistica. Ma quali siano esattamente i rapporti di parentela fra le diverse lingue germaniche è stato a lungo dibattuto e non è affatto pacifico. CARATTERISTICHE DEL GERMANICO Il gruppo delle lingue germaniche si individua con nettezza nella famiglia indeuropea perchè ben caratterizzato da una serie di tratti linguistici suoi propri. La linguistica comparata ha evidenziato, oltre ai tratti di ascendenza indeuropei, anche queste peculiarità germaniche, sia fonetiche che morfologiche e lessicali, che sono riassumibili in sette punti principali. Le caratteristiche fonetiche sono le seguenti. ACCENTO L'accento germanico è un accento d'intensità, il che comporta che la sillaba accentata sia pronunciata con maggior energia espiratoria. Questo tipo di accento si dice anche dinamico o percussivo. L'accento germanico è anche fisso sulla sillaba radicale, non può trovarsi quindi sui prefissi, suffissi e desinenze, che sono sempre atoni. Che l'accento sia fisso sulla radice è un fenomeno detto rizotonìa. Pare che l'accento indeuropeo fosse invece libero e comportasse un'altezza di tono musicale più che una intensità. L'accento germanico è intensivo come quello italiano ma più forte: sotto l'azione dell'accento infatti i confini di sillaba sono meno netti che in italiano, e la sillaba tonica viene evidenziata a scapito delle sillabe non accentate, che col tempo tendono a offuscarsi o anche a cadere del tutto. La rizotonia germanica comporta diverse importanti conseguenze. Tutta una serie di fenomeni fonetici che hanno avuto luogo nel corso dell'evoluzione storica delle varie lingue germaniche è riconducibile all'azione dell'accento, così la sincope, il frangimento vocalico, la riduzione delle desinenze (con importanti conseguenze in campo morfologico), e probabilmente anche la metafonia. L'accento germanico è dunque intensivo e fisso sulla radice. Ad esempio il verbo inglese give "dare" ha un composto forgive "perdonare" in cui l'accento si mantiene sulla radice /giv/ e non va sul prefisso for-; da questo verbo è tratto il derivato forgiveness "perdono" in cui l'accento resta sulla stessa sillaba radicale, mentre anche il suffisso -ness (che forma sostantivi astratti) è atono. Lo stesso accade nella coniugazione del verbo, in cui le forme ad esempio del gerundio forgiving e del participio passato forgiven hanno le desinenze atone. ESITO DI A, O INDOEUROPEE Le vocali indoeuropee A ed O hanno nel germanico esiti diversi a seconda se sono lunghe o brevi. Le vocali brevi A, O danno luogo tutte e due ad a breve germanica. Mentre le lunghe A, O producono tutte e due o lunga germanica. Vediamo ad esempio che i.e. O > germ. /a/ nella parola ghost-is "straniero" > germ. *gast-iz, ted. Gast "ospite", got. gasts "straniero". Inversamente, i.e. A > germ. /o:/; ad esempio i.e. bhag-os "faggio" > germ. *bok-, ags. boc "faggio". ESITO DELLE SONANTI INDOEUROPEE Le liquide e nasali indoeuropee L, R, M, N, potevano essere delle sonanti, cioè avere anche funzione vocalica e sostenere una sillaba. In molte lingue storiche sviluppano delle vocali d'appoggio, di vario timbro. Nel germanico sviluppano sempre la vocale di appoggio u /u/: si veda, ad esempio, i.e. kntòm "cento", ma got. hunda, ags. hund "cento". Così la particella negativa indoeuropea N produce nel germanico un-. LA PRIMA MUTAZIONE CONSONANTICA Il fenomeno fonetico più vistoso che caratterizza il germanico è la I mutazione consonantica. È nota anche come "legge di Grimm", essendo stato Jacob Grimm il primo a esporla con sistematicità nel 1822. La I mutazione consonantica caratterizza tutto il germanico nel suo complesso. Si tratta di un completo spostamento delle consonanti occlusive indoeuropee, che producono nel germanico nuove serie di fenomeni consonantici. Per spiegare questo fenomeno bisogna partire dal sistema consonantico indoeuropeo, e la sostanza stessa della I mutazione dipende dalla ricostruzione che si fa del consonantismo indoeuropeo. La ricostruzione fatta dai comparatisti si basava sulle lingue di più antica attestazione, soprattutto greco latino e sanscrito; in particolare la presenza in sanscrito di consonanti sonore aspirate è servita a postularne l'esistenza anche a livello indoeuropeo. Dunque si ipotizza per l'indoeuropeo un sistema di consonanti occlusive formato da tre serie: sorde, sonore, e sonore aspirate; in ogni serie si distinguono labiali, dentali, velari e labio-velari. A questo sistema di occlusive indoeuropee corrisponde nel germanico un sistema diverso: le occlusive sorde indoeuropee hanno prodotto delle spiranti sorde; le sonore appaiono nel germanico come sorde; le sonore aspirate appaiono come sonore semplici germaniche. Cioè le occlusive sorde indoeuropee: · P > germ. f · T > germ. th in nasale quando è debole e si comporta cioè come sostantivo. Quanto al sistema verbale, il germanico mantiene molte caratteristiche fondamentali del verbo indoeuropeo, come l'apofonia vocalica, la distinzione di tempi, modi, persona, numero, in parte anche l'aspetto e la diatesi attivo/passivo. Le complesse strutture del verbo indoeuropeo sono però già estremamente semplificate nel germanico: dei tempi conserva solo il presente e un passato, senza avere nè l'imperfetto nè il futuro. Dell'aspetto del verbo indoeuropeo il germanico mantiene solo il carattere durativo del tema del presente, che infatti nelle lingue germaniche antiche poteva valere anche da futuro; l'aspetto indoeuropeo prevedeva un durativo, che indicava azione in corso o aveva valore generico, di azione anche ripetuta o abituale: ciò si mantiene nel presente germanico. L'indoeuropeo aveva anche un aspetto puntuale (azione momentanea); e un aspetto perfettivo (azione portata a termine, o risultato dell'azione). Questi due ultimi aspetti nel germanico sono confluiti in un'unica forma di passato, che è detto preterito proprio perchè comprende ambedue queste indicazioni aspettuali; anche se come forma discende dal perfetto indoeuropeo, e ha acquisito però più che altro nelle lingue germaniche storiche valore forse più temporale (azione al passato) che aspettuale. Il germanico non deriva dal tema del presente un durativo riferito al passato. Resta dunque solo l'opposizione temporale-aspettuale fra presente e preterito. Delle antiche forme sintetiche di medio-passivo del verbo indoeuropeo le lingue germaniche non conservano quasi traccia. Per esprimere il passivo dunque le lingue germaniche hanno dovuto fare ricorso a forme perifrastiche costruite con verbi ausiliari, come del resto è accaduto nelle lingue neolatine. Dei modi il germanico mantiene l'indicativo, l'ottativo (che funziona anche da congiuntivo), e l'imperativo. Dei nomi verbali conserva l'infinito e il participio. Si mantengono le desinenze personali, e la distinzione fra singolare e plurale. Le antiche forme di duale sono invece perdute. I verbi forti germanici mantengono bene, anzi potenziano l'alternanza vocalica indoeuropea, che prevedeva solitamente il grado normale della vocale radicale nel presente, il grado forte del preterito singolare. I verbi forti germanici, a seconda della struttura fonetica della sillaba radicale e del tipo di apofonia impiegata, si suddividono comunemente in sette classi; la settima classe era costituita dagli antichi verbi con preterito a raddoppiamento. Ma solo pochi verbi gotici mostrano ancora il preterito a raddoppiamento di origine indoeuropea. Questi caratteri conservativi- quale l'apofonia- nel verbo germanico a un certo punto si dimostrano anche fossilizzati, perchè i verbi forti cessano presto di essere produttivi; sono forti infatti solo gli antichi verbi, ed ogni nuova formazione germanica, ogni verbo derivato non rientra più nel sistema dei verbi forti. Ecco quindi che si ricorre in questo caso ad un altro sistema, quello dei verbi deboli. Nelle lingue germaniche moderne poi i verbi deboli col tempo sono diventati molto numerosi, fino a costituire la maggioranza dei verbi, per cui in molte grammatiche sono chiamati impropriamente "verbi irregolari". Alcuni antichissimi verbi atematici radicali ( in cui manca ciò la vocale tematica) sono conservati nel germanico, per quanto in numero molto esiguo. POSIZIONE RECIPROCA DELLE VARIE LINGUE GERMANICHE Le lingue germaniche storicamente attestate sono unite da isoglosse comuni ad esse soltanto. CARATTERISTICHE DEL GOTICO Il gotico occupa una posizione distinta fra le lingue germaniche per una serie di sue peculiarità linguistiche. Queste sono: 1. Esito di E breve, ie. E > germ. *e > got. i (breve). 2. Esito di E lunga indoeuropea, ie. E > germ. *e > got. e (lunga); cioè il gotico mantiene la e germanica. 3. Preterito a raddoppiamento. Il gotico è l'unica lingua germanica che conservi in una classe di verbi forti l'antico sistema del raddoppiamento, di origine indoeuropea, per la formazione del tempo preterito. 4. Mancanza di metafonia. Il gotico, probabilmente a causa della sua antichità, non presenta fenomeni di metafonia. ISOGLOSSE NORD-OCCIDENTALI È probabile che il gotico si sia staccato per tempo dalla compagine germanica originaria, mentre le restanti lingue germaniche hanno continuato ad avere uno sviluppo comune, attestato dalle innovazioni comuni sia al gruppo nordico che al gruppo detto occidentale. Le isoglosse comuni nord-occidentali sono: 5. Esito di e lunga germanica, germ *e > *a nord-occ. 6. Presenza di *e lunga nei verbi forti della VII classe. Il preterito dei verbi forti mostra *e nella radice. 7. Rotacismo. In tutte le lingue nord-occidentali c'è stato lo sviluppo di *s sonora germanica in r, fenomeno detto rotacismo. ISOGLOSSE GOTO-NORDICHE Però esistono anche dei legami che collegano il gotico alle sole lingue nordiche. Queste isoglosse goto-nordiche devono essere assai antiche, e risalire a un'epoca anteriore al distacco dei Goti dagli altri Germani; esse mostrano che in una fase antica gotico e nordico dovevano essere stati in stretto contatto, ma non sono sufficienti a farci ipotizzare una comunanza protratta nel tempo nè a postulare un "ramo" goto-nordico o una sub-unità goto-nordica all'interno del gruppo germanico. Tali legami goto- nordici sono: 8. Il rafforzamento di *-jj- e *-ww- germanici. 9. La seconda persona singolare del preterito dei verbi forti. Solo in gotico e in nordico questa è formata con la stessa vocale radicale delle altre persone del preterito singolare, e con desinenza -t. CARATTERI DEL NORDICO La temporanea unitarietà nord-occidentale non è dunque monolitica. E infatti si possono cogliere importanti divergenze al suo interno, che permettono di individuare un ramo settentrionale (il nordico) con caratteristiche proprie, opposto a un ramo occidentale comprendente le lingue restanti (antico sassone, anglosassone, antico frisone, alto tedesco antico). Le caratteristiche del gruppo nordico sono le seguenti: 10. Esito di */j-/ germanica, in posizione iniziale di parola si dilegua, qualunque sia la vocale seguente. 11. Esito di */w-/ germanica, in posizione iniziale di parola si dilegua davanti a vocale velare. 12. Sincope. In epoca più tarda, verso il VII secolo, il forte accento intensivo ha provocato casi di sincope, cioè caduta di sillabe atone interne alla parola, con conseguente allungamento della vocale tonica. 13. Assimilazioni. La naturale tendenza all'assimilazione di gruppi consonantici, presente in tutte le lingue. 14. Metafonia da -R. La metafonia in norreno è provocata non solo da suoni vocalici, il che accade anche nelle lingue occidentali. 15. Nascita di verbi riflessivi. Formazione di verbi riflessivi dal valore medio-passivo per mezzo del pronome riflessico sik che viene impiegato come suffisso del verbo. 16. Nascita dell'articolo postposto. Il nordico sviluppa un nuovo tipo di articolo dererminativo, enclitico al nome; si tratta dell'articolo enn, neutro et. ISOGLOSSE GERMANICHE OCCIDENTALI Anche le lingue del ramo occidentale sviluppano ben presto caratteristiche proprie, che lo dal nordico e dal gotico; anche se poi il gruppo occidentale è piuttosto composito e articolato al suo interno. Le isoglosse che individuano il germanico occidentale sono: 17. Geminazione. Le consonanti germaniche davanti a semivocale si raddoppiano. 18. Esito del germanico "th" in germanico occidentale "d" 19. Caduta della desinenza germanica *-z. germ *-az > got. -s > norr. -r. 20. Infinito flesso. L'infinito del verbo, specie se preceduto da preposizione, si può flettere come un sostantivo, con suffisso germanico occidentale *-annja; questa forma è detta anche gerundivo. ISOGLOSSE DEL GERMANICO DEL MAR DEL NORD Il ramo occidentale non è però molto omogeneo; al suo interno si presentano ulteriori divergenze che individuano a loro volta singole lingue o gruppi di lingue. Da un lato l'alto-tedesco mostra il fenomeno suo peculiare della II mutazione consonantica, dall'altro l'anglosassone, l'antico sassone e l'antico frisone sono uniti da isoglosse particolari. Queste ultime tre lingue costituiscono la comunità linguistica del germanico del Mar del Nord, o comunità ingèvone. Le principali caratteristiche del germanico del Mar del Nord sono le seguenti: 21. Caduta di *n davanti a spirante. 22. Monottongazione del germanico *ai. 23. Plurale del verbo. ISOGLOSSE ANGLO-FRISONI All'interno del gruppo ingèvone, anglosassone e antico frisone sono contraddistinti da ulteriori innovazioni comuni, tanto che si è ipotizzata un'unità anglo-frisone precedente alla separazione delle due lingue, avvenuta nel V secolo. Le più importanti isoglosse anglo-frisoni sono: 24. Palatalizzazione della */a/ breve germanica. 25. Palatalizzazione della */a/ lunga germanica occidentale. LA II MUTAZIONE CONSONANTICA L'antico sassone fa da cuscinetto fra le lingue più ingèvoni e l'alto-tedesco, che sarebbe molto vicino all'antico sassone per lessico e forme grammaticali, ma che si distingue nettamente per il fenomeno della II mutazione consonantica. È la più vistosa caratteristica dell'alto-tedesco, l'unica lingua germanica che presenti tale peculiare riassetto dei fonemi consonantici germanici. In breve, partendo dal sistema di occlusive germaniche si nota che le sorde /p, t, k/ in alto tedesco antico hanno due esiti: risultano affricate in posizione iniziale o dopo consonante, o quando geminate; cioè: p > pf t > ts k > kx Invece, in posizione mediana, o finale dopo vocale, le occlusive sorde germaniche /p, t, k/ danno luogo a spiranti sorde; quindi: p > f t > s k > x Quanto alle sonore germaniche /b, d, g/, diventano sorde in alto tedesco antico perciò: b > p d > t g > k ISOGLOSSE GOTICO-ALTOTEDESCHE L'alto tedesco antico presenta altre divergenze dalle altre lingue del gruppo occidentale che lo collegano invece al gotico. Per il pronome personale di terza persona sia il gotico che l'alto tedesco antico utilizzano la radice indoeuropea EIS, ID. Invece le altre lingue germanico-occidentali e il nordico utilizzano il germanico *h-. SCHEMA DELLE LINGUE GERMANICHE Il gotico per quanto piuttosto isolato ha legami sia col nordico che con l'alto tedesco antico; dopo il suo distacco precoce dalle altre lingue germaniche, la temporanea compagine nord-occidentale si scinde presto in due rami, uno settentrionale e uno occidentale; quest'ultimo è alquanto articolato, le lingue ingèvoni trovandosi in posizione intermedia fra nordico e alto-tedesco. IL GERMANICO ORIENTALE (GOTICO) Il "ramo orientale" delle lingue germaniche è rappresentato solo dal gotico; le altre lingue che si presuppone facessero parte del gruppo orientale non sono sufficientemente note. Il gotico stesso si è estinto, per cui non è continuato da nessuna lingua moderna; è una lingua morta. Nessuna lingua germanica moderna discende quindi dal ramo orientale. La documentazione più ampia e sicura è fornita dalla Bibbia di Wulfila. Si tratta della traduzione dei Vangeli completata dal vescovo visigoto nel IV secolo. Egli tradusse dal greco tutto il Nuovo Testamento. Per scrivere il gotico Wulfila ideò un apposito alfabeto. L'opera monumentale di Wulfila, rivolta ai Goti che proprio in quegli anni si stavano convertendo, è conservata da manoscritti posteriori, risalenti al VI secolo. Si tratta dei seguenti manoscritti: · il Codex Argenteus; · il Codex Carolinus; · i Codices Ambrosiani A, B, C, D; · il frammento di Gissen. Un altro testo gotico è la cosiddetta Skeireins, cioè "spiegazione"; un commento frammentario (sono solo 8 fogli) al Vangelo di San Giovanni, contenuto nel Codice Ambrosiano E. Sempre del VI secolo sono i documenti di Napoli e di Arezzo. Si tratta di due atti di compra-vendita in latino, che contengono sottoscrizioni in lingua greca da parte di testimoni goti. Questi documenti mostrano la continuità della tradizione di scrivere in lingua gotica anche durante gli ultimi anni del regno ostrogoto d'Italia, e sono significativi perchè rivelano una sostanziale fedeltà della lingua scritta della tradizione wulfiliana nonostante i due secoli intercorsi dalla traduzione della Bibbia; nonchè la sostanziale unitarietà linguistica fra visigotico e ostrogotico, che possono essere considerati non più di varietà dialettali di una medesima lingua gotica. Quello che a noi è rimasto di scritto in gotico è frutto della conversione al Cristianesimo, opera di copisti goti, e di glossatori e revisori di testi. Con la fine del regno Ostrogoto d'Italia sembra estinguersi anche la lingua gotica, che lascia tracce soltanto sotto forma di prestiti dell'alto-tedesco antico, nell'italiano, francese o spagnolo, o sotto forma di toponimi e antroponimi entrati in queste lingue. Ma esiste anche una traccia più recente, il cosiddetto gotico di Crimea. È possibile che resti di Ostrogoti trattenutisi sulle rive del Mar Nero avessero continuato a parlare una lingua germanica fino al XVI secolo; poi anch'essa si estinse. IL GERMANICO SETTENTRIONALE Quello settentrionale, o nordico, è il ramo più omogeneo e unitario; quello dove le divisioni linguistiche interne sono avvenute più tardi. Ciò è dovuto al fatto che i popoli scandinavi sono rimasti a lungo nelle loro sedi storiche (parte dello Jutland, isole danesi, Svezia centro-meridionale e Norvegia sud-occidentale) senza grandi spostamenti nè scosse, almeno fino alla cosiddetta età vichinga che inizia nel IX secolo. È dalla scandinavia che abbiamo la maggior quantità di iscrizioni runiche, alcune delle quali molto antiche. Fino a che nel Nord Europa non si scriveranno i primi codici medievali in alfabeto latino, il nordico rimane documentato solo da iscrizioni runiche, per cui si parla anche di "periodo runico" della lingua. La fase più antica del periodo runico è detta proto-nordico. IL PROTO-NORDICO È il periodo che va grosso modo dal II-III secolo al IX. Le iscrizioni runiche mostrano che in questa fase la lingua era omogenea e sostanzialmente unitaria per tutta la Scandinavia. Fra il VI e il VIII secolo il proto-nordico entra in un periodo di mutamenti, i principali dei quali sono la sincope, quindi la metafonia e il frangimento. Si parla di proto-nordico tardo, contrapposto al periodo più arcaico. La metafonia nordica inizia con l'influenza delle vocali estreme /i, u/ sulla vocale radicale. Dopo di che le vocali atone possono anche cadere, avendo però lasciato traccia nel timbro della vocale radicale metafonizzata. In seguito si produce anche la metafonia da -R, tipica del nordico. Il frangimento o frattura nel nordico è un fenomeno che inizia non prima del 650 circa; comporta il dittongamento di /e/ tonica quando sia seguita da /a/ o /u/, e da nessi consonantici. Il periodo proto-nordico è caratterizzato da una sostanziale unità linguistica per tutta la Scandinavia, il che è dovuto anche al fatto che i maestri incisori di rune continuano a usare un linguaggio tradizionale e conservativo, e la lingua delle iscrizioni si può considerare una koinè o lingua franca runica. L'ETÀ VICHINGA Con l'inizio del IX secolo si apre la cosiddetta età vichinga, l'epoca in cui la lingua nordica viene esportata oltre i confini originari sull'onda dell'espansione vichinga oltremare. I mutamenti si accentuano; si cominciano a verificare i fenomeni di assimilazione regno d'Olanda. Sull'olandese si basa lo standard nazionale nederlandese, e non più sui dialetti meridionali delle Fiandre e del Brabante che erano invece in auge nel periodo medio. In Belgio, regno costituito solo nel 1830, il dialetto locale è ancora ben vivo, anche se la lingua standard ufficiale è comunque il nederlandese. La situazione del Belgio è particolare, perchè le provincie meridionali sono di lingua francese, la capitale Bruxelles è bilingue, ed anche il francese è lingua ufficiale accanto al nederlandese, che anzi ha raggiunto il riconoscimento ufficiale solo nel 1932. L'Afrikaans è una delle lingue ufficiali dell'unione sudafricana che deriva dal nederlandese. Si diffonde attraverso l'opera di alcuni coloni nella regione del Capo di Buona Speranza. AREA DELLA II MUTAZIONE CONSONANTICA Nell'area meridionale del germanico occidentale ha agito il fenomeno della II LV, che ha toccato più o meno intensamente tutti i dialetti alto-tedeschi, e poi anche la lingua dei Longobardi. Verso nord si può tracciare un confine oltre il quale la II LV non ha agito. ALTO-TEDESCO ANTICO Col termine collettivo di alto-tedesco antico si comprendono tutti i dialetti tedeschi della Germania centro-meridionale, nell'arco di tempo che va dalle prime attestazioni fino al 1050 circa. Il quadro dei dialetti alto-tedeschi è molto variegato. Quanto alle caratteristiche linguistiche dell'alto-tedesco antico, si nota che le varianti di posizione [b, g] dei fonemi germanici /b, g/ si presentano comunque come occlusive alto-tedesco antiche /b, g/ in qualunque posizione. Inoltre il germanico th > alto- tedesco antico /d/. Nelle vocali, il germanico +/o:/ > alto-tedesco antico uo. I numerosi centri monatici dell'area alto-tedesca producono libri in latino e in tedesco, fungono da centrali della cultura altomedievale come nel nord ancora non si faceva. Anche a questa differenza iniziale è dovuto il maggior peso culturale dell'alto-tedesco, che non a caso darà poi vita al tedesco letterario. I primissimi documenti in alto-tedesco antico sono glossari latino-tedeschi, utilizzati dai monaci per l'apprendimento della lingua della Chiesa. La lingua del Carme di Ildebrando non rispecchia nessuno dei dialetti alto-tedesco antichi, e una mistura di forme settentrionali o sassonizzate, con molte forme meridionali; vi abbondano le espressioni formulari della tradizione poetica orale e il lessico tipico dell'epoca germanica; sulla sua origine sono state fatte le più svariate ipotesi. La letteratura alto-tedesco antica si chiude con la prosa di Notker Teutonico, monaco di San Gallo che tradusse molto dal latino, commentando i testi; la sua è una prosa didattica, chiara e ben costruita. ALTO-TEDESCO MEDIO Dopo un periodo di transizione si apre la fase dell'alto-tedesco medio, che giunge grosso modo alla fine del XV secolo. dal 1350 in poi si può parlare di tardo alto-tedesco medio, che sfocia poi ai primi del Cinquecento nel tedesco moderno. Il nesso alto- tedesco antico sc, sk, /sk/ si palatalizza in /s/ scritto <sch>. La letteratura alto-tedesco media è assai ampia; importantissima in età sveva, l'età degli Staufer, è la fioritura del romanzo cortese, che attinge ai temi del ciclo arturiano sul modello dei romanzi francesi contemporanei, e lo sviluppo della poesia lirica. TEDESCO MODERNO Il tedesco moderno si caratterizza per i seguenti esiti fonetici: le vocali lunghe i ed u dell'alto-tedesco medio si sono dittongate rispettivamente in ei, au. LONGOBARDO Della lingua dei Longobardi si sa pochissimi, le attestazioni sono tutte del periodo italiano, contenute in testi latini; oppure in glossari, o in documenti ed epigrafi che fanno menzione di nomi propri longobardi. Si tratta cioè unicamente di singole parole sparse, citate in testi latini; non esiste neanche una frase in longobardo che sia intera. Nelle fonti latine dell'Italia in epoca longobarda troviamo parole come bart "barba", panca, plodraub "spoglie prese a un ucciso", arimannus "arimanno". Come si vede queste parole longobarde sono spesso latinizzate nella forma grammaticale, nella fonetica e nella grafia; a volte assumono anche suffissi diminutivi di origine latina. E bisogna tenerne conto, prima di analizzare le caratteristiche del longobardo in sè. Si possono comunque individuare alcuni tratti salienti del longobardo. Il germanico */e/ breve > longobardo /i/. L'esito del germanico e lunga > longobardo a colloca questa lingua nel gruppo occidentale, e non in quello orientale. Può darsi che la II mutazione consonantica abbia raggiunto il longobardo in Italia, provenendo dalla Baviera attraverso il Brennero. È probabile che anche il longobardo tragga origine dal "germanico dell'Elba". Si può avere un'ulteriore conoscenza della lingua in via indiretta, tramite i numerosi prestiti che dal longobardo sono entrati in italiano e nei dialetti italiani, soprattutto settentrionali. Se ne ricava una conoscenza preziosa di elementi del lessico longobardo, che spesso, se non si fossero conservati in italiano, sarebbero altrimenti sconosciuti. Il longobardo si è estinto forse già nel corso dell'VIII secolo, assorbito dal latino, o meglio dalla nascente lingua romanza che diventerà italiano; non senza però lasciare in questa qualche traccia sotto forma di prestiti e nomi propri. CULTURA RELIGIONE Oltre a Tacito, le fonti più importanti per la conoscenza dell'antica religione germanica sono: i Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificium di Adamo da Brema, canonico di Brema e Amburgo, che descrive le notevoli sopravvivenze di culti pagani in Svezia; i carmi mitologici dell'Edda poetica; l'Edda di Snorri; la Ynglinga Saga, contenuta nella prima parte della Heimskringla di Snorri; alcune saghe islandesi, e i Gesta Danorum di Saxo Grammaticus. Si spartiscono gli Asi le funzioni principali del potere cosmico, che sono quelle della sovranità (Odino), della forza (Thor), e della fecondità (Freyr). Questo tipo di triade si riscontra anche presso altre religioni indoeuropee. Le connessioni che la religione ha col mare si colgono osservando le pratiche di sepoltura: il morto veniva abbandonato su una nave alla deriva, come descritto nel poema Beowulf; oppure sepolto sotto un tumulo con la nave e tutto.
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