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Riassunto completo di "geografia e fiction", Sintesi del corso di Geografia

Geografia letterariaGeografia simbolicaGeografia e narrativaGeografia culturale

Riassunto completo del manuale di Tanca, geografia e fiction, usato per il corso di geografia umana e culturale. il lavoro è suddiviso nei rispettivi capitoli e paragrafi trattando esaustivamente ogni argomento in modo sintetico

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 15/02/2022

Francescaferro646
Francescaferro646 🇮🇹

4.2

(35)

7 documenti

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Scarica Riassunto completo di "geografia e fiction" e più Sintesi del corso in PDF di Geografia solo su Docsity! VERSO UNA TEORIA GEOGRAFICA DELLA FICTION 1. Geografia e fiction Secondo quanto detto da Fechtner quando accettiamo come plausibile la reazione assurda in determinate circostanze siamo proiettati all’interno dell’essenza della fiction. Esistono svariati modi di studiare il multiforme universo finzionale anche derivanti dall’esperienza dello spazio di alcuni autori (come Foucault) parte dello spatial turn che si occupa dello spazio, compito non più relegato unicamente alla geografia. Per esempio in geogritica e geopolitica popolare per quanto in ambiti diversi partono dalla crisi della rappresentazione ma la prima è un approccio letterario dovuto a Westphal (si impone il recupero della referenzialità dopo la frattura strutturalista affermando il dinamismo dei luoghi letterarie e in atlanti). Non parla delle relazioni tra città reale e letteraria ma di una circolarità perché la finzione attinge alla realtà ma al contempo la modifica (le città e gli scrittori hanno un debito reciproco). La seconda invece individua nei media il campo di analisi riconoscendo la crisi delle modalità tradizionali di fare politica; si tratta del lato popolare dei Think tank internazionali che si sviluppano sui mezzi di comunicazione di massa (utili non solo per la diffusione delle informazioni ma anche per il loro inquadramento secondo Dodds); l’obiettivo è mettere a fuoco le grammatiche morali dei media esplicitandone il sistema di valori. I primi elementi chiave della teoria geografica della fiction: - L’essere inequivocabilmente geografica vale a dire riconoscibile come tale: c’è continuità tra territorializzazione reale e finzionale (che può essere vista come una simulazione di territorialità che si sviluppa nel raccontare come territorializzare oppure nel raccontare la storia di una territorializzazione) - Proporre un metodo, cioè basarsi su una teoria e su regole precise e dichiarate: la fiction può essere descritta in termini geografici come territorializzazione simbolica quindi nella geografia ci sono già gli strumenti essenziali per l’analisi bisogna applicarli al campo della produzione letteraria - Rappresentare un valore aggiunto, ossia metterci nella condizione di vedere qualcosa che altrimenti non vedremmo: strumenti marcati geograficamente vogliono mostrare se la geografia interni nell’impianto narrativo - Rispettare la specificità del medium affrontato, qualunque sia, scardando la tentazione di ricondurlo a un “testo”: opera, film, fumetto non sono testi quindi usano un linguaggio misto anche se hanno una componente testuale 2. Verso una teoria geografica della fiction Spazio e territorio sono polisemiche: il primo è una parola ombrello (spazio narrativo, referenziale nella fiction, spazio occupato dal testo, la forma spaziale del testo che si riflette nella sua organizzazione narrativa); il secondo è diversificato in territory (Lèvy ne trova 9 significati diversi) che in genere è un’unità spaziale continua con confini ben definiti coincidendo con la sovranità e territoire invece grazie a Raffestin è evidente il valore culturale non politico (lo spazio mentre gli uomini se ne appropriano con produzioni simboliche e materiali scompare). Quest’ultima visione riesce a considerare le relazioni comunicative e di potere tra uomini e mondo, si nutre delle rappresentazioni che gli uomini fanno dello spazio (che sono già appropriazioni). Incide sull’approccio/paradigma territorialista che connota il nostro paese nella geografia con Turco e Dematteis. Nella visione di Raffestin territorio (risultato dell’atto sintagmatico) e spazio (condizione preesistente senza progettualità umana) non sono equivalenti e la geografia oscilla perché senza il primo viene meno la capacità di organizzare il campo operativo senza il secondo viene meno la possibilità di progettualità umana. Secondo Turco il rapporto spazio-territorio (territorio non è preesistente) è simultaneo, ma non coincidente; le due dimensioni costitutive di qualunque formazione geografica sono estensione (capacità di proiettarsi sul suolo occupando uno spazio definito, permette di identificare il profilo oggettuale delle rappresentazioni dato da posizionalità e cosalità) e struttura (all’entità spaziale corrisponde direttamente una o più strutture che sono luogo di coesistenza di oggetti che ne determinano la densità). Le due non hanno una relazione biunivoca e questo porta alla qualità territoriale: lo spessore geografico è dato da logiche interattive. La descrizione di qualunque formazione geografica muta sensibilmente dando peso maggiore alla spazialità (fissità e stabilità dei luoghi) o alla territorialità (serie de significati dati all formazioni geografiche). Turco come terzo elemento introduce il profilo simbolico concentrato su significati e pragmatica. Un’altra riflessione su spazio e territorio data da Dolezel (da Eco) distingue due forme di referenzialità, eterocentrata (contenuto dell’opera finzionale in relazione a un referente esterno: l’opera finzionale ha valore di verità se i contenuti corrispondono al prototipo esterno, come ci descrive Auerbach) e autocentrata (se stessa, postula la semantica dei mondi possibili con una verità autonoma, come in Eco o in Marquez). In questo secondo caso la conoscenza geografica non è esaustiva, le vicende si svolgono in un mondo possibile e dobbiamo usare una mappa mentale diversa da quella che usiamo per orientarci nel mondo reale; nell’eterocentrata ci chiediamo cosa la geografia può fare per la fiction, nell’auto cosa la fiction per la geografia. Si può quindi analizzare la trattazione geografica su un piano cartesiano ponendo in due poli l’oggettuale e lo strutturale, negli altri due la prassi interpretativa guarda al contenuto come significante o significato. 3. Quattro pragmatiche di lettura: prassi interpretative spaziali e temporali autonome o eteronome: - Spazio/avere un referente quando siamo a una fiction un valore documentario la leggiamo per le informazioni geografiche in essa contenute, il mondo alla finzione si legano per: • Cosalità: punta sul principio di verosimiglianza e riproducibilità delle fattezze esteriori dei luoghi. Da qui deduciamo che la geografia è l’insieme di ciò che accade e che la messa in scena ci metta direttamente in contatto con la realtà, quello che in letteratura è il naturalismo; usa il doppio registro di indicare le variazioni dal prototipo reale e armonizza queste differenze. • Posizionalità: l’effetto reale viene ottenuto con l’esattezza topografica e quindi la mappabilità dei contenuti di un’opera, ovvero la presenza in una fiction di contenuti cartografici del mondo reale. La mappabilità può poi essere analitica (mappa con grado di accuratezza elevato) o sintetica (la mancanza di un apparato cartografico non ci consente di localizzare gli eventi narrati) secondo categorie di Kant. Le mappe possono essere tradizionali quindi chiuse nella fruizione (come “Atlante del romanzo europeo” di Moretti; ma anche non letterarie per esempio Benjamin voleva trarre la mappa di Parigi da “Passages”) o sperimentali aperte (“Literary Atlas of Europe” dell’ETH di Zurigo). - Territorio/avere un referente secondo Lando questa visione guarda alla fiction per interrogati sul senso ultimo della rappresentazione del territorio che veicola recuperando la soggettività in diverse geografie: • La geografia umanistica vede questa soggettualità come individuo concreto, un artista deve cogliere le percezioni legate all’esperienza del paesaggio interpretando il senso del luogo (questa prospettiva deriva dall’insoddisfazione di molti geografi come Tuan e Buttimer per il positivismo) • La new cultural geography è segnata da senso critico e attenzione per la società con Sauer (a metà tra ecologia e antropologia) e Duncan (che la caratterizza come una scienza sociale). Amplia le opere prese in esame rispetto alla geografia umanistica anche quotidiane (i media) e gli attribuisce non solo la capacità di cogliere dati reali ma anche di avere una radice sociale e politica (la rappresentazione è una costruzione mai neutrale); l’attenzione passa dai contenuti a come vengono rappresentati. - Spazio/essere un referente questa visione recupera l’oggettività ma la riferisce non a qualcosa di esterno. Ci sono schemi spaziali che individuano gli elementi attraverso i quali un medium rappresenta lo spazio e gli stilemi che sono soluzioni narrative adottate dal singolo autore per dare disegnabilità; l’opera finzionale è quindi una letteratura disegnata che intreccia schemi formali e soluzioni individuali. Anche qui il profilo oggettuale si esprime, libero dall’adeguarsi a un prototipo esistente, con: • Cosalità: l’efficacia di mettere insieme le fattezze esteriori delle cose e le loro proprietà fisiche, la messa in scena però non è legata alla mappabilità perché la funzione dell’opera è produrre uno spettacolo non rappresentare e la verità diventa una questione interna all’opera. • Posizionalità: senza la mappabilità dei luoghi crea una cartografia senza un corrispettivo nel mondo attuale (definita da Ryan internal maps); l’impossibilità di un corrispettivo tra finzione e fatto si chiama carticità e anch’essa può essere analitica (una mappa in un’opera in cui la spazialità è autoreferenziale e gli effetti derivano dall’immagine cartografica o dichiarando l’unicità della cartografia dell’opera o con la finta mappabilità reale per creare il dubbio nel lettore o per dare al lettore uno strumento per orientarsi nella storia come de Scudery in “Clelie”) o sintetica (in mancanza di una mappa esplicita finzionale la si ricava dalle relazioni spaziali nell’opera come analizza Stockhammer). Deduciamo che cartografia e fiction hanno un rapporto di co-implicazione (ogni mappa ha in sé una o più storie e Il moralismo, come quello di La Rochefoucauld, parla di falsità travestite puntando con l’arte alla fisiognomia. Cavaillé e Snyder evidenziano il carattere politico di questa antitesi in un’epoca in cui la libertà di opinione ancora non esiste la pratique dissidente è una forma di sopravvivenza ed è adottata anche dal potere creando il passaggio al binomio illusione-realtà, così simulare e dissimulare diventano condotte di vita. Nell’arte il massimo dello sforzo del convivere con il massimo della naturalezza, il senso dell’arte che cela se stessa si vede in Chopin, Baudelaire, Calvino, Eco, Baudrillard (vede nella contemporaneità l’area di simulazione) in cui la dissimulazione si lega al concetto di merce. Dalla simulazione come tratto epocale passiamo a metodo e strumento della conoscenza diventando tratto fondamentale dell’epistemologia e della scienza; ci sono vantaggi anche nel riconoscere alla fiction la territorialità. Le strutture immanenti che ereggono le azioni trasformati della terra sono le stesse della dimensione della territorializzazione e questo le permette di veicolare contenuti cognitivi, come sostengono Turco e Berque. 2. Imitare e simulare Importante è il rapporto tra imitare e dissimulare, Gebauer e Wulf sostengono che il primo includa il seconda, perché sono differenti perché l’estensione della mimesis non va oltre l’agire imitativo e le analogie non sono rilevanti quanto le differenze. Quindi la fiction può essere vista come simulazione e non come imitazione. Secondo Tatarkiewicz la produzione artistica si lega alla creatività solo dal romanticismo, nell’arte classica era mimesis della natura, come vediamo nella “Repubblica” di Platone o in modo diverso nella “Poetica” di Aristotele e le due diverse concezioni (l’imitazione pura e l’inserzione di elementi per creare il sorprendente) sono l’ambiguità del termine mimesis, distinguendo nel 1500 (Correia) l’imitatio simulata dall’imitatio ficta che sono vicine al significato di imitazione (produrre un duplicato) e simulazione (se qualcosa che poteva essere realmente sia). 3. Di cosa parliamo quando parliamo di simulazione? La simulazione in riferimento alla fiction indica una produzione programmata di qualcosa realizzata con una procedura finzionale denotando sia la pratica di produzione che il qualcosa prodotto, e ha una macchina simulante che coordina i mezzi di produzione della simulazione che necessita di una macchina simulata, che designi il contenuto prodotto in rapporto tra loro cronologico. Se la simulazione è programmata vuol dire che è fatta da qualcuno per qualcun altro per uno scopo, dobbiamo quindi aggiungere l’homo simulans (il soggetto simulante, unico che può svelare la simulazione) e il soggetto fruitore (per i gusti del quale l’oggetto è prodotto, quindi anche questo è un soggetto attivo). Questa definizione non considera la finzione che è vicina secondo Bertetto all’inganno (la simulazione porta con sé sempre una dose di finzionalità che richiama alla memoria l’esperienza pregressa del fruitore). La distinzione tra fingere e ingannare dipende dal soggetto simulante che è sempre consapevole di fingere, ma il soggetto fruitore no (per esempio il s.s. Potëmkin che convince s.f. Caterina che la Crimea (obiettivo) è florida opera una finzione predisponendo una m.s1 che genera una m.s2; oppure l’istallazione del padiglione della Lituania “Sun&Sea” nel 2019 che è una messinscena finzionale di cui tutti sono consapevoli). In quanto finzione il significato non è a priori ma si attiva entrando in contatto con un fruitore; la finzione è una pratica di produzione programmata e l’oggetto è una serie di condizioni di possibilità creando il problema dell’etica e della politica della simulazione in base alla consapevolezza dell’inganno. 4. Lo scambio simbolico e la geografia Ciò che accomuna tutte le simulazioni è lo scambio simbolico tra apparire ed essere: l’iscrizione di una parte di mondo in una macchina simulante è la sua trasformazione in segno, in apparenza buona in grado di generare riconoscimento da parte del fruitore, che può benissimo secondo Bertetto essere illusoria. La simulazione può simulare di non essere una simulazione ma non dissimila di essere una simulazione (l’esempio della Crimea), a cambiare sono l’intenzione dell’artefice e la mappa con il territorio e si crea secondo Braudrillard un simulacro (copia senza reale). Ci sono quattro esempi di simulazione: 1. Copie esatte cioè repliche realistiche che rispecchiano la realtà duplicandola 2. Simulacri di primo ordine cioè contraffazioni, copie che snaturano l’originale che richiamano 3. Simulaci di secondo ordine cioè simulazioni liberamente ispirate che giocano su apparenze 4. Simulacri di terzo ordine o assoluti che sono artifici che fingono di essere reali ma sono privi di referente Le prime due rimandando al mondo esistente sono simulazioni iconiche, la terza è simbolica, la quarta è autoreferenzaiale (come per esempio le mitologie di Barthes). 5. Dalla geografia della simulazione alla simulazione della geografia Il rapporto tra geografia e simulazione può combinarsi nella territorializzazione (la produzione geografica media il nostro rapporto con l’agire simulativo) o nella simulazione di territorialità (l’agire simulativo media il nostro rapporto con la produzione geografica). La performance simulata è il risultato tra la macchina simulante e la macchina simulata ma può differenziarsi nell’esito finale (se il risultato è una copia, un tipo, un simulacro), se si accompagna alla dissimulazione, se i luoghi simulati sono presenti nel mondo attuale o finzionale. Si possono creare quindi: - Luoghi che sono una simulazione di altri luoghi, disseminati sulla terra creano geografie transitive. C’è una territorializzazione simulata diretta che crea geografie che rimandano ad altre geografie (per esempio il tentativo di rendere Rio una Parigi tropicale simulandone gli edifici con un fenomeno che si chiama copysite, come le contraffazioni in Turchia eseguite da Al Babas oppure in Cina). Il secondo esempio aggiunge il fattore culturale (mentre in occidente il copiare è da svalutare in oriente è prova di virtuosismo dando origine alla territorializzazione simulativa diretta che è data dal rapporto dissimulato tra macchina simulante e simulata. - Luoghi in cui si simulano altri luoghi, la macchia simulante è in vista e quindi la simulazione è mediata e indiretta, richiede di oltrepassare il limens perché solo con la macchina simulante possiamo accedere alla simulata con assenza di dissimulazione. Gli atti trasformativi sono riconducibili alla strutturazione che nascono dalla differenza dello spazio (per esempio nei fumetti di zio Paperone Paperino non potendo andare in vacanza cera una scatola delle vacanze che Paperone vende e cambia il modo di far vacanza ma in modo consapevole dal fruitore). Questi luoghi hanno insieme carattere formativo e performativo perché sono ambienti di apprendimento e luoghi che producono comportamenti; questo simulare è un testare. - Luoghi che appartengono solo alla geografia finzionale, macchina simulante e simulata si fondono producendo la simulance; è l’ambito della fiction dove c’è una simulazione di territorialità, è internamente simulata quindi per accedere alle qualità topiche che la fruizione delle opere finzionali che le ospitano, i contenuti della fiction non si possono vedere in forma pura (nel luogo c’è in realtà un set). L’opera finzionale non è di per sé atlante o meglio non subito perché i contenuti vanno presi sotto forma narrativa. Il trattamento del materiale nella macchina simulante è come un modo di pensare, un metodo di ricerca quindi dalla fiction dobbiamo sempre aspettarci dei simulacri non copie perfette, nel caso della transitività dei luoghi si può parlare nella geografia della simulazione di forme imitative abbastanza fedeli, ma non è possibile nella simulazione della geografia che è interamente simulata (tutte le espansioni di spazi sono simulate). Questo evoca l’immaginazione geografica (per esempio nel caso delle opere di Van Gogh). 6. Fiction e immaginazione geografica Rodari nella “grammatica della fantasia” dice che l’arte di inventare storie poggia sulla capacita di porsi domande cariche di potenziale narrativo, la fiction ci permette di porre ipotesi sulla nostra relazione con il mondo, è essa stessa un’ipotesi e l’immaginazione è un correlato essenziale che trasforma la fiction in conoscenza e interviene quando la conoscenza è preclusa. L’immaginazione si basa su una forma di conoscenza ipotetica che ha per oggetto un evento (territorio) di cui non è possibile una conoscenza diretta nel mondo attuale (una storia non esiste prima di essere raccontata in un certo modo) ma la fiction non si distacca totalmente perché necessita di riconoscibilità secondo Dolezel. Nella fiction quindi sono sempre presenti ma inversamente proporzionali mimesis e simulacro, estremi di una scala di valori, e quindi porta a una conoscenza mediata nella quale la stessa performance è fatta di finzionalità. L’intervento dell’immaginazione geografica permette di formulare ipotesi fornendo le basi per pensare al senso della realtà garantito dalla mimesis, come appare in “L’uomo senza qualità” di Musil; il senso della possibilità ci fa descrivere il modus operandi dell’immaginazione che si affianca alla memoria nei diversi approcci geografici. La rappresentazione finzionale apre a nuove interpretazioni, come in Kundera che sostiene che l’esistenza non sia l’avvenuto ma l’insieme delle possibilità umane; la fiction insegna come si potrebbe stare sulla terra. L’EGITTO A VIENNA: LA GEOGRAFIA DEL Flauto magico DI MOZART 1. Ouverture Se misuriamo la vitalità di un’opera con i rifacimenti che ha prodotto dobbiamo citare il “Flauto magico” di Mozart che viene ripreso da Götz, Schikaneder, de Chédeville e Lachnith, Muller ed era da subito composito per la moltitudine di registri ed elementi eterogenei sia nel testo che nella musica (per esempio ala frase melodica di Tamino nel terzetto del secondo atto o l’aria del coro) definita da de Wyzewa pot-pourri musicale. Starobinsky evidenzia la disponibilità dell’opera a rilevare sempre nuovi significati con nuove domande. Dal punto di vista geografico si può guardare le imaginative geographies che diffonde (elementi orientaleggianti, di diverse etnie, un Egitto filomassonico) e ci interessa come significante che rimanda a molti significati esterni. Si tratta di un’analisi eterocentrica e centrifuga che vuole arrivare a capire come la geografia abbia contribuito a creare l’opera perché al suo interno ci sono molte potenziali descrizioni del mondo anche reali. 2. Una geografia teatrale Da una prima analisi la geografia finzionale sembrerebbe rappresentativa, paratattica direbbe Turco. L’opera di Mozart dipende anche dal luogo nel quale è stata presentata nell’ambiente dei sobborghi viennesi nel teatro di breve vita Wiedner Theater; queste componenti rendono lo spazio del “flauto magico” ma la località diventa luogo grazie alla funzione e alle condizioni che si modificano per crearne altre. L’analisi vuole verificare la relazione co-implicativa di azione e luogo, per esempio i teatri potevano essere inter o extra muros dando una geografia spaziale ma anche sociale. La territorializzazione teatrale di essenza politica avviene con l’istituzione di un teatro tedesco su modello francese per contrastare lo strapotere italiano. I teatri dei sobborghi sono caratterizzati da un repertorio tedesco e non italiano con artisti versatili con esecuzioni musicali di buona qualità e l’impiego di cori. 3. Un principe giapponese nell’antico Egitto Mettendo in luce la simbolica del territorio nel libretto vediamo che in parte è vicina all’humanistics geography ma si concentra più sulla simulazione verbale di geografie potenziali (l’autore costruendo il suo mondo non può fare a meno di territorializzarlo) e mette al centro l’attenzione al leggere il testo come si legge il territorio. Nel “Flauto magico” notiamo la capacità evocativa che nella successione dei quadri costruisce un mondo articolato. Per evitare fraintendimenti bisogna seguire parallelamente testo (di Schikaneder molto dinamico) e musica che si completano reciprocamente. Sappiamo che tutti gli elementi dello spettacolo (iconemi) che ne definiscono la territorializzazione primaria non bastano a raccontare la storia della territorializzazione. Il mondo dell’opera è a sé, un unicum, una regione a sé temporaneamente indefinita e dal punto geografico nuova; il paesaggio inconsueto vuole portare lo spettatore in una regione altra, della fabula, per esempio l’ambiente pseudo-egizio ha delle intenzioni (i monumenti, l’antico, la massoneria). L’opera si apre con lo smarrimento teatrale del principe giapponese Tamino in mezzo alle piramidi, subito in una regione impervia nel mezzo della narrazione (il pericolo imminente appare dalla musica). Dopo lo svenimento ha subito bisogno di localizzarsi anche perché ciò che incontra è sempre fuori posto quasi di Heidegger, sembra un apprendistato/prove iniziatiche che informano sulle qualità dell’homo geographicus. Invece Papageno è quello che Kant chiama l’homo naturalis, antitesi del geographicus, costruisce sé mentre costruisce il territorio mentre Tamino è un homo geogaphicus in fieri; Salastro sovrano del regno della ragione (pare in un mondo migliore ma ricco di ambuiguità) e domina sull’uomo, Monostato dal taglio esotico (fa arie leggere con stile alla turca). In alcuni passaggi l’uomo di natura appare più saggio dell’uomo saggio. Il “flauto magico” ha una forte localizzazione geografica, l’Egitto esotico ed esoterico, la fisionomica dei personaggi è definita anche dal rapporto che intrattengono con lo spazio (pensiamo ai molti “dove?”). 4. Spazi di rappresentazione e massa territoriale: una geografia culturale del XVIII secolo La geografia delle opere finzionali ha maggiore o minore risoluzione a seconda delle texture che compongono la messa in posto, e una maggiore o minore indicalità in base al peso che i luoghi rivestono nell’economia generale. Le qualità geografiche dell’opera finzionale oltre al livello testuale condensano in un unico spazio di rappresentazione linguaggi, tradizioni e generi provenienti da territori diversi (qui barocco, gesuiti, mondo Unisce la mise en place e la mise en scene per esempio in “Paris, Le Paris” dove prevale l’ambiguità di linguaggio (Paris è usato polisemicamente come luogo singolare declinato in varie forme e come sostantivo plurale). Non c’è solo un livello letterale e denotativo ma anche simbolico perché il contenuto risiede in valori culturalmente condivisi e socialmente accettati nella geografia emozionale (le sue scelte hanno carattere poetico, culturale, autobiografico); in una prospettiva di eteroreferenzialità c’è un legame intimo e poetico alla base della geografia esistenziale dell’uomo. L’artista è legato a un territorio geografico e culturale marcato e tenta di esprimerlo in modo oggettivo, poi interpreta il territorio in chiave referenziate autocentrica nella tensione dialettica provincia (territorio opaco di unità socio-topica, è vista soprattutto come attesa)-altrove (promessa di avventura di un nuovo inizio di felicità che appare per esempio in “Chi siamo noi” che punta sulla proiezione e dislocazione). Questo secondo aspetto mostra la natura simulativo-allegorica della poesia di Conte tra provinciale, mondi teatrali e una terza via di evasione con figure archetipe e lontane come “La nostalgia del Mocambo” che sogna al di là delle proprie possibilità. 3. Dall’importanza dell’immaginazione geografica La provincia e l’altrove sono especes d’espaces, antagonistici e comunicanti se non coincidenti. Conte stimola figure narrative che sono archetipi di territorialità ricchi di informazioni; la geografia contiamo appare strutturalmente su una matrice simulativa con la dislocazione allegorica. Appare anche il carattere mediatico del generale entusiasmo nel dopoguerra (è ricca di verbi che danno l’idea della ripresa, c’è un attore sintagmatico in grado di fare un progetto di cambiamento). Inserisce nella provincia italiana tratti americani che scardinano le certezze e con queste favole lontane di un nuovo mondo si fa conoscenza mediata dell’altrove per persone che hanno viaggiato poco; appaiono luoghi che serbano esemplari (l’esotismo diventa fondamentale nella simbolica del territorio incentrata sulla simulazione capace di stimolare la nostra immaginazione geografica). La canzone è una forma di conoscenza ipotetica e liberatoria che ci permette di desiderare un altro territorio PAGINA 223 I RAGAZZI, LA PROVINCIA, LA CITTA’ E LA PALUDE: APPUNTI SULLA GEOGRAFIA DELLE STORIE DI GIPI 1. Geografia e fumetto Il riconoscimento del fumetto come arte autonoma ha permesso la diffusione del graphic novel. Bisogna differenziare la geografia del fumetto (la geografia funge da contesto, mira a diffondere questa forma di narrazione, è localizzativa) da quella nel fumetto (la geografia funge da contenuto come contengono descrizioni del mondo che possiamo studiare con diverse pratiche interpretative incrociando spazio e territorio). Come significante il fumetto non esaurisce il suo contenuto di significante solo con la dimensione spaziale, come significato è un trattamento che mostra analogie con quello cartografico, come simulazione di territorialità ci permette di conoscere un divenire possibile come nelle opere di Gipi che sostiene per lui il disegno sia una sorta di allontanamento dalle cose e la sua percezione degli ambienti è frammentata e nevrotica, i suoi personaggi sono deterritorializzati e attraversati da oppressione nei confronti del mondo. Il luogo a differenza della località generica secondo Turco è un luogo dove accadono cose non diversamente ubicabili e la sua identità nasce dalla predicazione condizionale perché ha in sé la possibilità di sviluppare relazioni co-implicative (si parla di pertinenza ubicativa); ma nel caso di Gipi perché se l’ambientazione è solo un pretesto vige la spaesatezza di Heidegger e l’impossibilità co-implicativa. 2. La deterritorializzazione come pretesto narrativo Homo geographicus è uno stato che si raggiunge o si perde perché la territorializzazione non è un percorso unilaterale, il territorio non è mai identico a se stesso ma ha cicli riassumibili nello schema TDR di Raffestin: - Territorializzazione: il territorio prende forma configurandosi come insieme codificato di relazioni con condizioni di equilibrio e continuità tra corpo sociale e strutture territoriali - Deterritorializzazione: segue la crisi del territorio al venir meno di queste condizioni di equilibrio perché le strutture non riescono più a reggere il rapporto tra società e territorio - Riterritorializzazione: uscita dalla situazione di instabilità non con le forme di partenza ma nuove strategie Essendo un processo ciclico e aperto è in continua ripetizione; torna l’homo outsider che ha un senso di appartenenza ai luoghi ma in senso di estraneità con territorialità pragmatica e obliqua. La seconda fase rappresenta l’incapacità del corpo sociale di porsi in un’idea di futuro del territorio che smette di essere il luogo in cui prendono forma le relazioni e la sfera di possibilità. Nell’opera di Gipi l’adultità scompare lasciano il posto alla nuova generazione che deve crescere in fretta e si azzera l’homo geographicus quindi la capacità di umanizzare lo spazio, mancano memoria e immaginazione: la territorialità che inscena Gipi è strutturalmente lacerata e instabile (come vediamo in “Esterno notte” o “Appunti per una storia di guerra” che hanno un territorio non protettivo ma privo di scopo, in “Facce” invece iil mondo scarnificato non è indifferenziato sopravvivendo un embrione di territorialità). La strutturazione avviene anche visivamente nelle tavole in cui si comunicano scorrere del tempo e horror vacui. La precarietà della vita orienta alla percezione dello spazio poiché niente è al suo posto ma i giovani lo ignorano. 3. L’impossibile voyage aux régions équinoxiales Nella “Terra dei figli” mancano punti di riferimento stabili perché la vicenda si svolge nell’irrequietezza, il tema è la fuga intesa come attraverso senza bussole o mappe del mondo per esempio in “Diario di fiume” dove l’impossibilità di compiere il viaggio nella costruzione della relazione con il mondo: quando non vogliamo rapportarci con il mondo rinunciamo a definirci. L’estraneità tra uomini e mondo porta alla radicale estraneità tra uomini infatti manca ogni esempio di società.
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