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Riassunto completo di Istituzioni di diritto processuale civile (Balena, Volume Terzo), Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Riassunto completo di Istituzioni di diritto processuale civile (Volume Terzo - I processi speciali e l'esecuzione forzata) aggiornato alla Riforma Cartabia per la preparazione di Procedura civile II parte

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 06/05/2024

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Scarica Riassunto completo di Istituzioni di diritto processuale civile (Balena, Volume Terzo) e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! I PROCESSI SPECIALI E L’ESECUZIONE FORZATA CONTROVERSIE DI LAVORO E PREVIDENZIALI Introduzione Il rito delle controversie individuali di lavoro e previdenziali è – oltre a quello ordinario ex artt. 163 ss. – è un preminente processo a cognizione piena di competenza del tribunale, in quanto l’unico regolato in maniera realmente organica ed in larga misura autonoma rispetto a quello ordinario e perché tali controversie raggiungono un numero di poco inferiore a quello di tutti gli altri processi a cognizione piena che seguono il rito ordinario. Nel tempo, talune riforme hanno esteso l’applicazione del rito del lavoro ad altre materie, in ottica di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione:  L. 533/1973: alcuni tipi di cause in materia locatizia; controversie agrarie; locazione e comodato di immobili urbani e dell'affitto di aziende;  D.lgs. 150/2011: cause di opposizione ad ordinanza-ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa; opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada; controversie riguardanti l’applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali. In ogni caso, la disciplina specificamente dettata per il rito del lavoro rimane per molti aspetti lacunosa e dovrebbe essere conseguentemente integrata con il ricorso ai principi generali, da ricercare all’interno del processo ordinario. Caratteristiche fondamentali Le principali peculiarità della disciplina del processo del lavoro (art. 409 ss.), che lo differenziano dal processo ordinario sono:  Competenza: per materia (indipendentemente dal valore), salvo controversie attribuite alle sezioni specializzate agrarie, al tribunale in composizione monocratica; per territorio disciplinata dall’art. 413 con norme inderogabili;  Atto introduttivo: ricorso, per cui l'instaurazione del contraddittorio fra le parti presuppone un provvedimento di fissazione dell'udienza da parte del giudice (vs. citazione a udienza fissa);  Caratteri: oralità (cfr. gli scritti difensivi – successivi rispetto agli atti introduttivi – utilizzati in via eccezionale) e concentrazione (cfr. potenzialità del process di esaurirsi in prima udienza – udienza di discussione – o in pochissime udienze ravvicinate tra loro, essendo esplicitamente vietate le udienze di mero rinvio), con un sistema particolarmente drastico e generalizzato di preclusioni, ricollegate già agli atti introduttivi delle parti, con modestissime possibilità di nuove allegazioni, richieste istruttorie e produzioni documentali nel corso del processo;  Poteri istruttori autonomi: il giudice può esperire d'ufficio quasi tutti i mezzi di prova normalmente riservati alle parti, perfino in alcune ipotesi in cui essi non sarebbero ammissibili secondo le regole ordinarie;  Decisione: avviene sempre, senza soluzione di continuità, al termine della discussione orale e viene resa immediatamente nota alle parti attraverso la lettura in udienza del dispositivo e della motivazione; in ogni caso, quando il giudice differisca la stesura della motivazione si tratti di una condanna favorevole al lavoratore, il solo dispositivo costituisce già titolo idoneo per iniziare il processo di esecuzione forzata. Ambito di applicazione L’art. 409 – controversie individuali di lavoro individua le controversie alle quali si applica la disciplina speciale del rito del lavoro: 1. Rapporti di lavoro subordinato privato, anche estranei all'esercizio di impresa (es. lavoro domestico): differenza con il lavoro autonomo.  Le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti sono state recentemente assoggettate ad una disciplina speciale (cfr. rito Fornero), che diverge per parecchi profili da quello di cui all’art. 409 ss., per offrire al lavoratore una tutela processuale rapida ed efficace. 2. Controversie in materia di contratti agrari oppure conseguenti alla conversione dei contratti associativi in affitto: attribuite alle sezioni specializzate agrarie del tribunale; 3. Rapporti di agenzia o rappresentanza commerciale, nonché altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato: rapporti di lavoro parasubordinato caratterizzati, pur in mancanza di una vera e propria subordinazione, da una marcata dipendenza economica del prestatore d’opera rispetto al committente (es. controversie tra asl e medici convenzionati; amministratore/sindaco e la società amministrata); 4. Rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici economici: svolgimento istituzionale, in via esclusiva o prevalente, di un'attività economica (es. Anas; in passato Enel); 5. Rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici non economici ed altri rapporti di lavoro pubblico, sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice: gruppo di controversie enormemente ampliato verso la fine degli anni ’90, in seguito al trasferimento al giudice ordinario del contenzioso relativo ai rapporti di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni (precedentemente riservato alla giurisdizione amministrativa), fatte salve alcune eccezioni (magistratura; forze di polizia e personale militare dello Stato; personale della carriera diplomatica e prefettizia; professori universitari e ricercatori nonché, in generale, tutte quelle in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti pubblici). Altre specifiche disposizioni di legge attribuiscono al tribunale, in funzione di giudice del lavoro, anche le non controversie latu sensu collettive previste dal nostro ordinamento. Tentativo di conciliazione L’art. 410-411 disciplina, tra le attività del giudice in prima udienza, il tentativo di conciliazione:  Obbligatorietà: il legislatore del 1988, in occasione dello spostamento del contenzioso sul pubblico impiego dal giudice amministrativo a quello ordinario, ha generalizzato e reso obbligatorio, per le cause di lavoro, un tentativo di conciliazione preventivo, nell’intento di creare una sorta di “filtro” e di arginare l’inevitabile incremento del carico di lavoro dei tribunali;  Facoltatività: nel 2010, il legislatore ha reso tale tentativo meramente facoltativo in tutte le cause di lavoro, privato o pubblico. In particolare, l’art. 410 stabilisce che chi intenda proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti all'art. 409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale cui aderisce o alla quale conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione della controversia, avvalendosi delle procedure di conciliazione previste dalla contrattazione collettiva (art. 412-ter) oppure rivolgendosi alle apposite commissioni di conciliazione costituite presso le direzioni provinciali del lavoro (determinata in base ai medesimi criteri territoriali ex art. 413 per l’individuazione del giudice competente):  Richiesta: deve contenere gli elementi indicati dal comma 6 (cfr. generalità delle parti; esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa), deve essere sottoscritta dall’istante, consegnata o spedita, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, alla commissione adita e alla controparte. Dalla comunicazione discende l'effetto interruttivo della prescrizione e la sospensione, per la durata del tentativo di conciliazione e per i 20 giorni successivi alla sua conclusione, di ogni eventuale termine di decadenza;  Accettazione: se l’altra parte intende accettare la procedura conciliativa, deve depositare presso la commissione, entro i 20gg successivi al ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande riconvenzionali;  Conciliazione: se accettata, la commissione, entro 10gg, fissa la comparizione delle parti per l’esperimento del tentativo di conciliazione, da tenersi entro i successivi 30gg. o In caso contrario, ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria.  Processo verbale (art. 411): se la conciliazione ha esito positivo, il relativo verbale viene sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione, viene depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato formato ed acquista l'efficacia del titolo esecutivo tramite un decreto del giudice, previo controllo della sua regolarità formale. comparire dell'art. 163-bis, rende l'atto inidoneo al raggiungimento dello scopo e quindi nullo; decreto privo della data dell’udienza). In questi casi, il giudice potrà ordinare la rinnovazione dell'atto invalido (cfr. nuova notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza ex art.162, oppure, quando il vizio sia ascrivibile alla sola prima notificazione, ex art.291), in quanto si tratta di vizi sanabili con efficacia retroattiva, poiché non toccano il ricorso introduttivo del processo, di per sé regolare, né gli effetti sostanziali e processuali della domanda che esso ha già prodotto in un momento anteriore. I dubbi riguardano l’ipotesi in cui, arrivati all’udienza di discussione, si constati, non essendosi il convenuto costituito, che la notificazione del ricorso è stata del tutto omessa oppure deve considerarsi giuridicamente inesistente. La giurisprudenza, muovendo dalla premessa che il vizio in questione non possa incidere sugli effetti già anteriormente prodotti dal deposito del ricorso, ritiene che il giudice, quanto meno nel giudizio di primo grado, debba assegnare al ricorrente un ulteriore termine per provvedere alla notifica.  Siccome nel processo di primo grado (vs. appello), non è prescritto che al ricorrente venga comunicato il decreto di fissazione dell’udienza e che, inoltre, al di fuori delle ipotesi in cui si tratti di un giudizio di natura impugnatoria, il convenuto non subisce alcun apprezzabile nocumento dall’omessa notificazione del primo provvedimento e dalla fissazione di una nuova udienza, si ritiene che la soluzione prevista dalla giurisprudenza, pur priva di una concreta base positiva, non sia contra legem. Costituzione del convenuto Mentre la costituzione dell'attore coincide col deposito del ricorso, l’art. 416 disciplina la costituzione del convenuto, che deve avvenire almeno 10 giorni prima dell'udienza, dichiarando la residenza o eleggendo domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito, tramite il deposito in cancelleria di una memoria difensiva (cfr. art. 167 – comparsa di risposta). Inoltre, per disincentivare la costituzione tardiva (cfr. il convenuto potrebbe comunque costituirsi in un momento successivo, direttamente all'udienza o persino nel corso del processo, dopo esser stato dichiarato contumace) e far sì che il giudice e le altre parti possano avere un quadro completo della materia del contendere e delle rispettive posizioni difensive fin dalla prima (e potenzialmente unica) udienza, l’art. 416 ha previsto pesanti limitazioni nei propri poteri processuali (preclusioni) del convenuto, che deve, a pena di decadenza:  Formulare le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. o Il terzo comma disciplina, senza decadenza, le mere difese del convenuto (cfr. eccezioni improprie), in quanto il convenuto può sempre, anche nella memoria difensiva, prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda, e proporre tutte le sue difese in fatto (contestazione dei fatti allegati dall’attore) e in diritto (conseguenze giuridiche ad essi ricollegabili). Tuttavia, la mancanza di una specifica contestazione dei fatti allegati dall’avversario consentirebbe al giudice di ritenere senz’altro provati i fatti medesimi ex art. 115.1, avendo riguardo al complessivo e reciproco comportamento processuale delle parti.  Proporre eventuali domande riconvenzionali: per evitare che l’attore abbia un termine troppo breve per difendersi dalle nuove domande, il convenuto deve chiedere al giudice lo spostamento della data dell'udienza di discussione, attraverso un nuovo decreto che deve essere pronunciato entro 5 giorni e deve essere poi notificato all'attore unitamente alla memoria difensiva, entro i successivi 10 giorni, a cura dello stesso ufficio. La nuova data dell’udienza, inoltre, dovrebbe essere fissata in modo tale che l'intervallo tra la proposizione della domanda riconvenzionale e l'udienza non superi i 50 giorni (70 se la notifica del decreto all'attore debba effettuarsi all'estero), e che, soprattutto, all'attore sia assicurato un termine non minore di 25 giorni tra la data in cui gli viene notificato il provvedimento e quella dell'udienza (35 se la notifica avviene all’estero);  Indicare specificamente i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti, che devono essere depositati insieme alla stessa memoria difensiva;  Dichiarare l'eventuale volontà di chiamare in causa un terzo ex art. 106: in realtà, l’art. 416, a differenza dell’art.167, non menziona la chiamata in causa di terzi da parte del convenuto, ma l’esistenza di tale preclusione sembra potersi desumere dalla circostanza che tale chiamata implica normalmente (quanto meno) una nuova domanda di accertamento nei confronti del terzo; fermo restando che qui, peraltro, a differenza che nel rito ordinario, l’effettiva citazione del terzo non può avere luogo subito ma solo dopo che il giudice, alla udienza di discussione, l’abbia autorizzata (sicché il problema di chiedere lo spostamento dell’udienza già fissata non dovrebbe nemmeno porsi). Costituzione e difesa personale delle parti Fermo restando che, di regola, anche nel rito del lavoro vige l'obbligo di rappresentanza tecnica, l'art. 417 consente alla parte – attore o convenuto – di stare in giudizio personalmente se:  Il valore della causa non eccede €129,11;  La parte deve eleggere domicilio nell'ambito del territorio della Repubblica. L'attore che utilizzi tale facoltà ha la possibilità di proporre la domanda verbalmente al giudice, che deve raccogliere in un processo verbale. In caso di difesa personale, la cancelleria deve provvedere a tutte le notificazioni occorrenti (ricorso o processo verbale; decreto di fissazione dell’udienza). L'art. 417-bis prevede che nelle controversie relative a rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, limitatamente al giudizio di primo grado, le p.a. sono abilitate a stare in giudizio avvalendosi direttamente dei propri dipendenti o, nel caso di enti locali, conferendo apposito mandato alle strutture dell'amministrazioni civile del Ministero dell’interno. Qualora si tratti di amministrazioni statali che godono della rappresentanza e difesa in giudizio dell'avvocatura dello Stato, quest’ultima deve trasmettere immediatamente ai competenti uffici dell'amministrazione interessata, e comunque entro 7 giorni, gli atti introduttivi che le vengono notificati (perché l’amministrazione interessata possa provvedere a costituirsi in giudizio tramite un proprio dipendente); può però anche accadere, venendo in rilievo questioni di massima rilevanza o aventi notevoli riflessi economici, che essa, cioè l’avvocatura dello Stato, decida di assumere direttamente la trattazione della causa. Udienza di discussione La prima udienza fissata dal giudice con decreto ex art. 415 è virtualmente anche l'unica della causa, giacché potrebbe concludersi con la discussione orale e l'immediata pronuncia della sentenza definitiva, essendo inoltre espressamente vietate le udienze di mero rinvio. In concreto, però, anche il processo del lavoro si snoda, normalmente, attraverso una pluralità di udienze, ancorché tutte potenzialmente destinate alla discussione e alla conseguente pronuncia della sentenza, per varie ragioni (cfr. necessità di assumere prove costituende; trattazione per iscritto per le questioni più complesse (vs. principio generale dell’oralità); mancanza di specifiche sanzioni per i meri rinvii). L’art. 420 articola le fasi dell’udienza di discussione:  Trattazione della causa, che si conclude con i provvedimenti relativi all'ammissione dei mezzi di prova;  Assunzione delle prove ammesse – fase eventuale;  Fase decisoria, che conduce, senza soluzione di continuità, alla deliberazione della sentenza, di cui viene immediatamente letto in udienza il dispositivo. Trattazione della causa L’art. 420 articola in primo luogo le attività della fase di trattazione:  Interrogatorio libero e tentativo di conciliazione: attività obbligatorie (sebbene la loro omissione non possa determinare alcuna nullità) che dovrebbero condurre il giudice a formulare una proposta transattiva o conciliativa, sempre che la natura della causa lo consenta. Le parti sono, conseguentemente, tenute a comparire personalmente, salva la possibilità di farsi rappresentare da un procuratore, generale o speciale, che sia a conoscenza dei fatti della causa e sia stato investito del potere di conciliare o transigere la controversia. o In caso di inadempimento (es. mancata comparizione ingiustificata; procuratore designato mostri di non conoscere i fatti della causa), il giudice può trarre argomenti di prova dal comportamento delle parti ai fini del giudizio ex art. 116; in caso di ingiustificato rifiuto della proposta transattiva o conciliativa, il giudice può esclusivamente condannare la parte alle spese ex art. 91.  Modificazione delle domande e delle eccezioni originarie: mentre si esclude la proposizione di domande nuove ed anche, conseguentemente, la mutatio libelli, ossia la trasformazione radicale della domanda di taluno dei suoi elementi identificativi, è possibile, in presenza di gravi motivi e previa autorizzazione del giudice, l’emendatio libelli, cioè la modificazione delle domande e delle conclusioni originariamente formulate. Viceversa, il legislatore ha ammesso, seppur con le limitazioni probatorie ex artt. 414.5 e 416.3, la libera allegazione di nuovi fatti estintivi, impeditivi o modificativi che il giudice potrebbe rilevare d’ufficio (cfr. le eccezioni precluse ex art. 416 sono soltanto quelle processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio). o Anche in mancanza di una disposizione ad hoc – ricavabile via analogica dall’art. 171ter (1) – l’attore può proporre, almeno nella prima udienza di discussione, ogni domanda riconvenzionale (reconventio reconventionis) che trovi la propria ragione d'essere nelle domande, eccezioni o difese formulate dal convenuto nella memoria difensiva.  Decisione immediata sulle questioni preliminari o pregiudiziali: quando, essendo fallito il tentativo di conciliazione, la causa risulti già matura per la decisione nel merito, oppure siano sorte questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice può dare immediato ingresso alla fase decisoria, invitando le parti alla discussione e pronunciando sentenza, eventualmente anche non definitiva, dandone lettura in udienza. o Per questo profilo, l’art. 420 non differisce sensibilmente dall’art. 187, in quanto non menziona le questioni preliminari di merito, e perché parrebbe lasciar intendere che, ove sorga una questione processuale idonea a definire il giudizio, il giudice debba risolverla immediatamente. L'orientamento prevalso nella giurisprudenza, tuttavia, ritiene che, indipendentemente dalla natura della questione preliminare o pregiudiziale, di rito o di merito, il giudice possa optare, a propria discrezione, tra la decisione immediata ed anticipata, anche con sentenza non definitiva, ed il differimento della decisione stessa al momento in cui la causa, conclusa con l'eventuale istruttoria, sarà matura anche per il merito.  Provvedimenti relativi alla ammissione dei mezzi di prova: nella prima udienza, salvo che la causa non sia già matura per la decisione senza necessità di istruttoria, il giudice deve decidere sull'ammissione dei mezzi di prova e documenti chiesti dalle parti nei rispettivi atti introduttivi, disponendo, se possibile, la loro immediata assunzione. Se non sia possibile provvedere all'assunzione immediata dei mezzi di prova ammessi, il giudice deve fissare una nuova udienza a non oltre 10 giorni dalla prima, eventualmente concedendo alle parti, ove ricorrano giusti motivi, un termine perentorio non superiore a 5gg prima di tale udienza per il deposito in cancelleria di note difensive. o Non sono consentite di regola nuove richieste istruttorie, a meno che non si tratti di prove che le parti non abbiano potuto proporre prima, nel qual caso il provvedimento di ammissione delle nuove prove deve assegnare all'altra parte un termine perentorio di 5gg per dedurre, a sua volta, gli ulteriori mezzi di prova che si rendano necessari in relazione a quelli ammessi. Intervento di terzi Nella causa possono intervenire i terzi:  Intervento volontario (art. 419): salvo che sia effettuato per l'integrazione necessaria del contraddittorio (cfr. litisconsorte necessario pretermesso), l'intervento del terzo ex art. 105 non può aver luogo oltre il termine stabilito per la costituzione del convenuto (cfr. art. 419, fino a 10 giorni prima dell'udienza di discussione) attraverso il deposito in cancelleria di una memoria contenente gli elementi prescritti, a pena di decadenza, dagli artt. 414 e 416 (cfr. domande che il terzo eventualmente propone nei confronti delle parti originarie, con le relative richieste istruttorie e l'indicazione dei documenti prodotti);  Intervento coatto: o Ordine del giudice (iussu iudicis): al pari dell’integrazione del contraddittorio ex art. 102, può disporsi in qualunque momento del giudizio di primo grado (art. 107); o Istanza di parte: in assenza di una disciplina specifica, si ritiene che possa essere richiesta:  Convenuto: nella sola memoria difensiva di costituzione;  Attore: entro la prima udienza di discussione, quando l’esigenza dell'intervento possa ricondursi alle domande o alle difese del convenuto (cfr. art. 171ter (1). In ogni caso, la chiamata di terzo deve sempre essere autorizzata dal giudice, previa verifica della sussistenza dei presupposti ex art. 106, tenuto conto che essa implica sempre la fissazione di una nuova udienza di discussione nel rispetto dei termini previsti per l’originaria fissazione dell’udienza ex art. 415.5 (termine minimo di 30 giorni, elevabile a 40gg nel caso in cui una della parti sia contumace e si trovi all’estero) e la notifica, a cura della cancelleria, al chiamato e alle parti originarie (in caso di intervento volontario), entro 5 giorni, del relativo provvedimento, del ricorso introduttivo e della memoria di costituzione del convenuto e del terzo.  Dal rito speciale al rito ordinario (art. 427): se è stata promossa con rito del lavoro una causa avente ad oggetto un rapporto estraneo a quelli previsti dall'art. 409, il giudice si limita a disporre che gli atti siano messi in regola con le disposizioni tributarie, tenuto conto che le cause di lavoro (al pari di quelle previdenziali) sono esenti da qualunque imposta o tassa, ed oggi, comunque prevedono il pagamento del contributo unificato di iscrizione a ruolo in misura ridotta, quando le parti non ne siano totalmente esentate in base al reddito. Nel caso in cui vi sia l'erronea qualificazione dell'oggetto della causa che abbia inciso sulla competenza del giudice adito (es. causa del lavoro del valore di 1000 euro sia proposta con rito ordinario dinnanzi al giudice di pace), il giudice deve spogliarsi della controversia, rimettendo le parti davanti al giudice competente. In seguito al provvedimento di conversione del rito, è necessario valutare quanto già acquisito in base alla disciplina propria del rito erroneamente adottato, comunque non implicando la regressione del processo ad una fase anteriore:  Restano validi gli atti già compiuti fino a quel momento, salvo – nell’ipotesi di passaggio dal rito speciale a quello ordinario – le prove acquisite in base alla disciplina del rito speciale, che potranno essere utilizzate dal giudice solo entro i limiti di ammissibilità consentiti dalle norme ordinarie;  Le preclusioni già maturate devono essere valutate in base alla disciplina del rito ordinario (es. se la trasformazione del rito è stata disposta alla prima udienza, le parti possono ancora integrare o modificare le proprie iniziali allegazioni e richieste istruttorie entro i termini successivamente accordati dal giudice ex art. 171ter). Fase decisoria Nel rito del lavoro vi è una concentrazione massima della fase decisoria della causa che si risolve in una discussione orale (cfr. non sono previsti né una formale precisazione delle conclusioni, né uno scambio di scritti difensivi conclusivi tra le parti), alla quale segue, senza soluzione di continuità, la pronuncia della sentenza (art. 429), che deve essere immediatamente portata a conoscenza delle parti tramite lettura nella stessa udienza sia del dispositivo sia della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione (si ritiene analogamente applicabile l’art. 281-sexies.2., per cui la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria). Tuttavia, il giudice può:  Rinviare a nuova udienza: quando lo ritenga necessario e su richiesta delle parti, il giudice può rinviare ad una nuova udienza e assegnare un termine non superiore a 10 giorni per il deposito di note difensive; fermo restando che a tale nuova udienza si avrà la discussione orale e l'immediata decisione;  Differire la motivazione: in caso di particolare complessità della controversia, il giudice può limitarsi a leggere in udienza, a pena di nullità, il dispositivo (a pena di nullità), fissando contestualmente un termine non superiore a 60 giorni per la stesura della motivazione ed il deposito della sentenza in cancelleria. o Mentre il procedimento di formazione della sentenza-documento differisce da quello ordinario solo per il termine, il dispositivo letto in udienza, proprio perché viene reso immediatamente pubblico, non ha il valore meramente interno che gli compete nel processo ordinario e si ritiene che non sia in nessun caso modificabile dalla sentenza successivamente depositata in cancelleria, neanche quando il giudice dovesse rendersi conto di aver commesso un errore, pena la nullità della decisione contrastante col dispositivo letto in udienza; o Qualora il giudice, nella sentenza depositata in cancelleria, modificasse la decisione anteriormente assunta e resa pubblica in udienza con la lettura del dispositivo, il vizio si convertirebbe in una nullità della sentenza, e pertanto dovrebbe essere fatto valere attraverso l’impugnazione di quest’ultima, che altrimenti, una volta passata in giudicato, prevarrebbe inevitabilmente sul dispositivo letto in udienza. Questa particolarità concernente le modalità della pronuncia, si riflette sul regime di esecutività della sentenza di condanna distinguendo:  Favorevole al datore di lavoro: l'art. 431.5 rinvia espressamente agli artt. 282 e 283, cioè prevede l’esecutività provvisoria tra le parti delle sentenze, salva l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza da parte del giudice dell’appello se l’impugnazione appare manifestamente fondata o se dall’esecuzione potrebbe derivare un pregiudizio grave e irreparabile, pur quando la condanna ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche in relazione alla possibilità di insolvenza;  Favorevole al lavoratore per crediti derivanti dai rapporti di cui all'art. 409 (negli altri casi, in base alla soluzione preferibile, deve trovare applicazione la disciplina ordinaria desumibile dagli art. 282 e 283): ferma restando la provvisoria esecutività di diritto della condanna, il lavoratore ha il vantaggio di poter iniziare immediatamente l'esecuzione forzata, sulla base di una copia del dispositivo letto in udienza, senza dover attendere il deposito della sentenza in cancelleria, che il giudice abbia eventualmente differito. Nonostante la formulazione dell’art. 432.2, che prevede tale possibilità in pendenza del termine per il deposito della sentenza, si ritiene che questa efficacia esecutivo del dispositivo permanga pure dopo lo spirare del termine e addirittura anche quando il deposito della sentenza in cancelleria sia già avvenuto. o Il soccombente può chiedere al giudice d'appello l'inibitoria, ma tale sospensione può essere accordata solamente quando dall'esecuzione possa derivare alla parte impugnante un gravissimo danno (espressione più restrittiva rispetto ai “gravi e fondati motivi richiesti dall’art.2 83). L’inibitoria, inoltre, può riguardare soltanto una parte della somma per cui è stata pronunciata la condanna, e non può mai essere totale giacché resta autorizzata l'esecuzione provvisoria fino all'importo di €258,23. In ogni caso, la richiesta di inibitoria presuppone che vi sia un giudice attualmente investito dell'appello, e che, quindi, il datore di lavoro abbia già impugnato. Infatti, l’art. 433.2, per l'ipotesi di esecuzione forzata iniziata prima della notificazione della sentenza (e, quindi, evidentemente, in base al solo dispositivo letto in udienza), consente di proporre appello con riserva di motivi: in tal caso, infatti, non conoscendo ancora la motivazione della decisione, il soccombente non può motivar la propria impugnazione e si limita, in definitiva, ad instaurare il processo di secondo grado. I motivi dell’impugnazione, poi, dovranno essere presentati, a pena di decadenza, entro il termine ordinario dell'appello (30 giorni). Appello A seguito della riforma del 1990 e della soppressione delle preture (1998), la distanza tra il rito del lavoro e quello ordinario si è ridotta anche relativamente al giudizio di appello, a cui si applica la disciplina ordinaria ex artt. 339-359 nei limiti in cui essa sia compatibile (es. art. 340, riserva di appello differito nei confronti delle sentenze non definitive; art. 346, riproposizione delle domande ed eccezioni non accolte in primo grado):  Atto introduttivo (art. 434): il ricorso deve contenere, oltre alle indicazioni prescritte ex art. 414, e deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi specifici deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico: o Capo della decisione di primo grado che viene impugnato; o Censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado; o Violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della Corte di appello entro 30 giorni (40 se all’estero) dalla notificazione della sentenza (si applica anche il termine di decadenza lungo semestrale ex art. 327).  Fase introduttiva: disciplinata in modo del tutto analogo a quella del processo di primo grado, salvo lievi differenze: o Termini: il termine minimo che deve intercorrere tra la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza è di 25 giorni, elevato a 60 quando la notifica sia da farsi all’estero; o Composizione del giudice: il decreto di fissazione dell'udienza compete al presidente della Corte (o della sezione) e contiene, altresì, la nomina del giudice incaricato della relazione al collegio (vs. composizione monocratica del primo grado).  Vizi: il processo inizia con il deposito del ricorso, cui deve ricondursi la formulazione della domanda d’impugnazione; ogni eventuale nullità della vocatio in ius (es. violazione del termine minimo di comparizione, conseguente alla tardiva notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza) non può incidere sulla valida e tempestiva proposizione dell'appello, implicando solamente, in caso di mancata costituzione dell’appellato, la necessità di una rinnovazione degli atti viziati nonché di una nuova notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza;  Costituzione delle parti: il procedimento d’appello ricalca fedelmente quello di primo grado, per cui l’appellante si costituisce per effetto del deposito del ricorso introduttivo e l'appellato deve costituirsi almeno 10 giorni prima dell'udienza, depositando in cancelleria il proprio fascicolo e una memoria difensiva contenente la dettagliata esposizione di tutte le sue difese, nonché, a pena di decadenza, l'eventuale appello incidentale ed i motivi specifici sui quali esso si fonda. L'impugnazione incidentale, poi, dovrà considerarsi tempestiva o tardiva a seconda che sia stata proposta prima o dopo lo spirare dei termini per l’appello; ma, a differenza che nel rito ordinario, deve essere in ogni caso notificata alla controparte almeno 10 giorni prima dell’udienza. Disciplina dei nova L’art. 437 esclude in maniera molto più netta i nova rispetto al processo ordinario, in quanto pone divieto di nuove:  Domande: si ritengono ammesse le modestissime deroghe previste dall’art. 345 (cfr. interessi, frutti o altri accessori maturati dopo la scadenza della sentenza impugnata o risarcimento di danni sofferti o conosciuti dopo la sentenza stessa);  Eccezioni: senza alcun distinguo tra quelle processuali e quelle di merito, né tra quelle in senso stretto e quelle in senso lato. La soluzione più conforme alla volontà del legislatore è nel senso di escludere l’allegazione di qualunque nuovo fatto estintivo, impeditivo o modificativo, indipendentemente dalla circostanza che sia rilevabile dalle parti o anche d’ufficio. o Il giudice e le parti possano rilevare di propria iniziativa l’effetto (estintivo, modificativo o impeditivo) di fatti che erano stati già allegati o comunque acquisiti agli atti del processo di primo grado; e le parti possono altresì proporre liberamente le mere difese, in diritto o in fatto.  Mezzi di prova (compresi documenti): fanno eccezione solamente il giuramento decisorio ed estimatorio, nonché le nuove prove, costituende o documentali, che il collegio, anche d'ufficio, ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa. o Inoltre, sebbene l’art. 437 non lo preveda espressamente, devono ritenersi proponibili, ai sensi dell’art. 345.3, i nuovi mezzi istruttori e i nuovi documenti che la parte, per causa ad essa non imputabile, non aveva potuto chiedere o produrre nel giudizio di primo grado. Qualora vengano ammesse nuove prove, il collegio rinvia la causa ad una nuova udienza, da tenersi entro 20 giorni, per l'assunzione delle nuove prove e per la discussione e la pronuncia della sentenza. Lo stesso collegio, inoltre, può disporre, ove lo ritenga opportuno, una consulenza tecnica, fissando in tal caso una nuova udienza di discussione non oltre 30 giorni dalla prima (art. 441). Trattazione della causa e fase decisoria Salvo il caso siano eccezionalmente ammesse nuove prove oppure sia disposta una consulenza tecnica (e debba avere luogo, pertanto, l’assunzione delle stesse), il processo d'appello dovrebbe concludersi già alla prima udienza, con la relazione orale al collegio del giudice designato, la discussione da parte dei difensori e l'immediata pronuncia della sentenza.  Rinvio dell’udienza: in casi particolari, è necessario fissare una nuova udienza: o Assenza dell’appellante: quando l'appellante, principale o incidentale, non compaia alla prima udienza, dovrà essere fissata una nuova udienza e comunicato il relativo provvedimento alla parte non comparsa (cfr. art. 348.2); o Riserva di motivi: qualora sia stato proposto appello con riserva dei motivi ex art. 433.2, viene fissata nuova udienza per la discussione e la decisione sull'istanza di inibitoria della sentenza di primo grado (cfr. audizione delle parti in camera di consiglio, per una data anteriore a quella dell'udienza di discussione).  Modalità della decisione: o Iter ordinario (art. 438): fuori dai casi ex art. 436bis, la sentenza deve essere depositata entro 60 giorni dalla lettura del dispositivo in udienza, mentre il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti; o Iter semplificato (art. 436bis): in caso di improcedibilità (artt. 348), inammissibilità o manifesta infondatezza/fondatezza (348-bis), o quando il giudice lo ritenga opportuno in ragione della ridotta complessità o urgenza della causa (350.3), all'udienza di discussione il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della motivazione redatta in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi. Nelle fasi di trattazione e decisione dell’appello, trovano piena applicazione le disposizioni dettate per il procedimento in primo grado, in particolare gli artt. 426 e 427, che disciplinano le conseguenze dell'eventuale errore sul rito della causa (sempre che tale errore si sia verificato nel processo di primo grado); l’art. 429.2 che consente di rinviare la discussione e la decisione ad un'udienza successiva, concedendo alle parti un  Esclusa la rivalutazione automatica dei crediti di lavoro (art. 429.3) e la possibilità del giudice di liquidare in via equitativa la somma dovuta (art. 432). PROCESSI IN MATERIA DI PERSONE, MINORENNI E FAMIGLIE La riforma Cartabia ha introdotto un procedimento unitario (vs. Tribunale solo per i minorenni) in materia di persone, minorenni e famiglie disciplinato dal Titolo IVbis il cui art. 473bis di apertura indica l’ambito di applicazione (art. 473bis), che riguarda i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie, salvo che la legge disponga diversamente e con esclusione dei procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, dei procedimenti di adozione di minori di età e dei procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, e ulteriori disposizioni speciali in materia di:  Violenza domestica o di genere;  Separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, dell'unione civile e di regolamentazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale o revisione delle relative condizioni;  Interdizione, inabilitazione e nomina di amministratore di sostegno;  Dichiarazione di assenza o morte presunta;  Minori interdetti o inabilitati;  Rapporti patrimoniali tra coniugi;  Ordini di protezione contro gli abusi familiari. Per ogni aspetto non disciplinato da tali disposizioni, si richiamano le norme del procedimento ordinario dinanzi al tribunale con le relative impugnazioni. Disposizioni generali Il codice individua disposizioni generali per le controversie in materia di persone, minorenni e famiglie:  Competenza per territorio: determinata in base alle disposizioni generali ex artt. 18 ss., salvo quanto previsto ex art. 473bis.47 (cfr. separazione, scioglimento o cessazione del matrimonio etc.) e salvi i procedimenti in cui devono essere adottati i provvedimenti che riguardano un minore, per i quali è competente il tribunale del luogo in cui il minore ha la propria residenza abituale (competenza che permane entro un anno dall'eventuale trasferimento non autorizzato del minore);  Organo giudicante: salvo che la legge disponga diversamente, il tribunale giudica in composizione collegiale e la trattazione e l'istruzione possono essere delegate a uno dei componenti del collegio (regola applicabile alle sole sezioni distrettuali del tribunale, in quanto le sezioni circondariali giudicheranno sempre in composizione monocratica). Al giudice si riconoscono ampi poteri officiosi istruttori: o Minori: il giudice può d'ufficio nominare il curatore speciale nei casi previsti dalla legge, adottare i provvedimenti opportuni, in deroga all’art. 112 (principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato), e disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, sempre nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria; o Domande di contributo economico: il giudice può d'ufficio ordinare l'integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria; o Mediazione familiare: il giudice può, in ogni momento, informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore, da loro scelto tra le persone iscritte nell’apposito elenco, per ricevere informazioni circa le finalità, i contenuti e le modalità del percorso e per valutare se intraprenderlo.  Poteri del pubblico ministero: nell'esercizio dell'azione civile e al fine di adottare le relative determinazioni, il p.m. può assumere informazioni, acquisire atti e svolgere accertamenti, anche avvalendosi della polizia giudiziaria e dei servizi sociali, sanitari e assistenziali;  Ascolto del minore: il minore che ha compiuto 12 anni (o età inferiore ove capace di discernimento) è ascoltato dal giudice nei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Le opinioni del minore devono essere tenute in considerazione avuto riguardo alla sua età e al suo grado di maturità. Viceversa, il giudice non procede all'ascolto, dandone atto con provvedimento motivato, se esso è in contrasto con l'interesse del minore o manifestamente superfluo, in caso di impossibilità fisica o psichica del minore o se quest'ultimo manifesta la volontà di non essere ascoltato. Infine, nei procedimenti in cui si prende atto di un accordo dei genitori relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice procede all'ascolto soltanto se necessario. o Modalità dell’ascolto: al fine di non turbare la serenità del minore e valutarne nel modo migliore le dichiarazioni, l’ascolto viene condotto dal giudice, il quale può farsi assistere da esperti e altri ausiliari, e, tenuto conto dell'età e del grado di maturità del minore, lo informa della natura del procedimento, degli effetti dell'ascolto, e della possibilità di chiedere la nomina di un curatore speciale. L'udienza è fissata in orari compatibili con gli impegni scolastici del minore, ove possibile in locali idonei e adeguati alla sua età, anche in luoghi diversi dal tribunale. Infine, prima di procedere all'ascolto, il giudice informa dei temi oggetto dell’ascolto i genitori, gli esercenti la responsabilità genitoriale, i rispettivi difensori e il curatore speciale, i quali possono proporre argomenti e temi di approfondimento e, su autorizzazione del giudice, partecipare all'ascolto; o Rifiuto del minore a incontrare il genitore: il giudice procede all'ascolto senza ritardo, assume sommarie informazioni sulle cause del rifiuto e può disporre l'abbreviazione dei termini processuali. quando il minore rifiuta di incontrare uno o entrambi i genitori, quando sono allegate o segnalate condotte di un genitore tali da ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo tra il minore e l'altro genitore o la conservazione di rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.  Nomina del curatore speciale: oltre ai casi di affidamento, in via duratura, del minore ad un tutore o un curatore in seguito ad un provvedimento incidente sulla responsabilità genitoriale, il giudice deve nominare, anche d’ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento, un curatore speciale, oltre ai casi di necessaria nomina del curatore speciale ex artt. 78-79-80 con relativo procedimento, in particolari casi: o Decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori richiesta dal p.m. o da uno dei genitori; o Minore moralmente o materialmente abbandonato, o esposto, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la incolumità psico-fisica, verso cui si siano disposti i provvedimenti ex art. 403 del c.c. o ne sia stato disposto l’affidamento ex artt. 2 ss. L. 184/1983; o Situazione di pregiudizio per il minore, rilevata dai fatti emersi nel procedimento, tale da precluderne l'adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori; o Richiesta del minore che abbia compiuto quattordici anni; o Genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore. Il curatore speciale esercita la sola rappresentanza processuale del minore, ma il giudice potrebbe, anche successivamente, attribuirgli specifici poteri di rappresentanza sostanziale. Il curatore è tenuto, come lo sarebbero i genitori, a procedere all'ascolto del minore, interpellando su tutte le questioni decisioni che lo riguardino. Il minore che abbia compiuto quattordici anni, i genitori che esercitano la responsabilità genitoriale, il tutore o il pubblico ministero possono chiedere con istanza motivata al presidente del tribunale o al giudice che procede, che decide con decreto non impugnabile, la revoca del curatore per gravi inadempienze o perché mancano o sono venuti meno i presupposti per la sua nomina. Procedimento uniforme Fase introduttiva La domanda si propone con ricorso che deve contenere, oltre a tutti (salvo gli avvertimenti) gli elementi analoghi all’atto di citazione ex art. 163 (indicazione dell'ufficio giudiziario davanti al quale la domanda è proposta; generalità dell'attore e del convenuto; generalità del procuratore; oggetto della domanda; chiara e sintetica esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda si fonda, con le relative conclusioni; indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e dei documenti che offre in comunicazione), le generalità dei figli comuni delle parti se minorenni, maggiorenni economicamente non autosufficienti o portatori di handicap grave, e degli altri soggetti ai quali le domande o il procedimento si riferiscono, e l'esistenza di altri procedimenti che abbiano ad oggetto le medesime domande o domande connesse.  In caso di domande di contributo economico o in presenza di figli minori, al ricorso sono allegate le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni; la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati, nonché di quote sociali; gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni;  Nei procedimenti relativi ai minori, al ricorso è allegato un piano genitoriale che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute  Nel caso di ricorso proposto dal pubblico ministero o, in quanto compatibile, dal parente, tutore, curatore o curatore speciale, esso dovrà contenere altresì le generalità del tutore, del curatore, del curatore speciale e dell'affidatario del minore, di tutti coloro che possono avere, nei giudizi relativi allo stato delle persone, un interesse qualificato all’esito del giudizio, e, nel caso in cui il minor sia collocato in una struttura comunitaria, del legale rappresentante, ove non sia necessario mantenerne la riservatezza.  In caso contenga richiesta di allontanamento del minore, il ricorso deve indicare gli eventuali parenti entro il quarto grado che abbiano mantenuto rapporti significativi con lui. Al ricorso sono allegati i documenti relativi agli accertamenti svolti e alle informazioni assunte, i provvedimenti relativi al minore emessi dall'autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità (in presenza di domande di contributo economico, deve essere allegata anche la documentazione relativa alla situazione economica e reddituale dei genitori e del minore). Dopo il deposito nella cancelleria del giudice competente, il presidente, entro 3 giorni dal deposito del ricorso:  Designa il relatore, al quale può delegare la trattazione del procedimento;  Fissa l'udienza di prima comparizione delle parti – per una data che non dovrebbe eccedere il termine ordinatorio di 90 giorni dal deposito – assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire almeno 30 giorni prima dell'udienza; o Il decreto deve contenere gli avvertimenti ex art. 163 (7) – informando che la costituzione oltre il termine implica le decadenze ex artt. 38 e 167, l’obbligatorietà della difesa tecnica mediante avvocato e che, ove ne ricorrano i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato – e deve informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare.  Nomina un curatore speciale quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace. Infine, il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza sono notificati al convenuto a cura dell'attore. Tra la notifica del ricorso e la data dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a 60 giorni liberi (90 se all’estero). Il decreto è inoltre comunicato al p.m., a cura della cancelleria. Provvedimenti indifferibili In caso di pregiudizio imminente e irreparabile o quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l'attuazione dei provvedimenti, il presidente o il giudice da lui delegato, assunte ove occorre sommarie informazioni, adotta con decreto provvisoriamente esecutivo i provvedimenti necessari nell'interesse dei figli e, nei limiti delle domande da queste proposte, delle parti.  Tali provvedimenti, adottati inaudita altera parte, presuppongono l'istanza della parte interessata e rappresentano un'anticipazione di quelli temporanei ed urgenti che il giudice assume normalmente l'esito della prima udienza; infatti, essi si collocano tra il deposito del ricorso e l'udienza di prima comparizione delle parti virgola in quanto si esclude la pronuncia ante causam. Con il medesimo decreto, fissa entro i successivi 15 giorni l'udienza per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti adottati con il decreto, assegnando all'istante un termine perentorio per la notifica (cfr. udienza anteriore a quella eventualmente già fissata per la comparizione delle parti), per cui il giudice deciderà con ordinanza reclamabile alla Corte di appello (i provvedimenti stessi non possono invece essere impugnati). Fase decisoria La Cartabia ha disciplinato due modalità decisorie:  Decisione immediata: quando la causa è matura per la decisione senza bisogno di assunzione dei mezzi di prova (senza attività istruttoria in senso stretto), il giudice, fatte precisare le conclusioni, pronuncia i provvedimenti temporanei e urgenti e ordina la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un'udienza successiva e, all'esito, trattiene la causa in decisione (oppure, se si tratta del giudice delegato, si riserva di riferire al collegio per la decisione). o Tale decisione può altresì aversi quando la controversia abbia ad oggetto una domanda relativa allo stato delle persone cumulata a domande ulteriori, per cui è possibile decidere immediatamente per una domanda e continuare il procedimento per la definizione delle altre (es. separazione personale e contributo economico).  Decisione in seguito all’istruttoria: il giudice, esaurita l'istruzione, fissa davanti a sé l'udienza di rimessione della causa in decisione e assegna alle parti dei termini perentori per il deposito di note scritte (senza la possibilità, a differenza del rito ordinario, di richiedere la discussione orale): o Non superiore a 60 giorni prima dell'udienza per il deposito di note scritte di precisazione delle conclusioni; o Non superiore a 30 giorni prima dell'udienza per il deposito delle comparse conclusionali; o Non superiore a 15 giorni prima della stessa udienza per il deposito delle memorie di replica. All'udienza la causa è rimessa in decisione e il giudice delegato si riserva di riferire al collegio. La sentenza è depositata nei successivi 60 giorni. Attuazione dei provvedimenti Per agevolare e garantire la concreta attuazione dei provvedimenti, il codice contiene disposizioni:  Tutela del credito: o Garanzie: il giudice può imporre al soggetto obbligato di prestare idonea garanzia personale o reale, se esiste il pericolo che possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi di contributo economico in favore della prole o delle parti; o Sequestro: il creditore cui spetta la corresponsione periodica del contributo, per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni in ordine all'adempimento, può chiedere al giudice di autorizzare il sequestro dei beni mobili, immobili o crediti del debitore; o Pagamento diretto del terzo: il creditore cui spetta la corresponsione periodica del contributo in favore suo o della prole, dopo la costituzione in mora del debitore, inadempiente per un periodo di almeno 30 giorni, può notificare il provvedimento o l'accordo di negoziazione assistita in cui è stabilita la misura dell'assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al soggetto obbligato (es. datore di lavoro), con la richiesta di versargli direttamente le somme dovute, dandone comunicazione al debitore inadempiente.  In tal caso, il terzo è tenuto a effettuare periodicamente il pagamento del contributo (nei limiti dell’importo da lui dovuto al debitore) e, ove non adempia, il creditore ha azione esecutiva diretta nei suoi confronti per il pagamento delle somme dovute.  Affidamento dei minori ed esercizio della responsabilità genitoriale: o Competenza: giudice del procedimento in corso, che provvede in composizione monocratica. Viceversa, se non pende un procedimento, è competente, in composizione monocratica, il giudice che ha emesso il provvedimento da attuare o, in caso di trasferimento del minore, quello del luogo dell'ultima residenza abituale  In caso non sia pendente un giudizio di merito, se durante il procedimento di attuazione dovesse essere instaurato tra le stesse parti un nuovo giudizio avente ad oggetto la titolarità o l'esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice dell'attuazione si limita ad adottare anche d'ufficio, entro 15 giorni, i provvedimenti urgenti che ritiene necessari nell'interesse del minore trasmettendo gli atti al giudice del merito e i suoi provvedimenti mantengono la propria efficacia fino al provvedimento di conferma, modifica o revoca del giudice del merito. o Procedimento: a seguito del ricorso, il giudice, sentiti i genitori, coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, il curatore e il curatore speciale, se nominati, e il p.m., tenta la conciliazione delle parti e, in difetto, pronuncia ordinanza con cui determina le modalità dell'attuazione e adotta i provvedimenti opportuni, avendo riguardo all'interesse superiore del minore. Inoltre, se nel corso dell'attuazione sorgono difficoltà che non ammettono dilazione, ciascuna parte e gli ausiliari incaricati possono chiedere al giudice, anche verbalmente, che adotti i necessari provvedimenti temporanei.  Uso della forza: il giudice può autorizzare l'uso della forza pubblica, con provvedimento motivato, soltanto se assolutamente indispensabile e avendo riguardo alla preminente tutela della salute psicofisica del minore (extrema ratio). L'intervento è posto in essere sotto la vigilanza del giudice e con l'ausilio di personale specializzato, anche sociale e sanitario, il quale adotta ogni cautela richiesta dalle circostanze. o Qualora sussista pericolo attuale e concreto, desunto da circostanze specifiche e oggettive, di sottrazione del minore o di altre condotte che potrebbero pregiudicare l'attuazione del provvedimento, il giudice determina le modalità di attuazione con decreto motivato, senza la preventiva convocazione delle parti. Con lo stesso decreto dispone la comparizione delle parti davanti a sé nei quindici giorni successivi, e all'udienza provvede con ordinanza. Contro questa ordinanza, è possibile proporre opposizione. Misure sanzionatorie e coercitive Il legislatore ha previsto altresì una pluralità di misure sanzionatorie coercitive di natura civilistica per favorire l'ottemperanza ai provvedimenti del giudice. In particolare, in caso di gravi inadempienze, anche di natura economica, o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento e dell'esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice può d'ufficio modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:  Ammonire il genitore inadempiente;  Individuare ex art. 614-bis la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento;  Condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria (€75- 5.000 euro) a favore della Cassa delle ammende;  Condannare il genitore inadempiente al risarcimento dei danni a favore dell'altro genitore o, anche d'ufficio, del minore. I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari. Inoltre, l’art. 388.2 c.p. sanziona anche penalmente chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci. Appello Il giudizio di secondo grado presenta diverse peculiarità rispetto al rito ordinario:  Regime dei nova: il divieto di nuove domande ed eccezioni e di nuovi mezzi di prova previsto ex art. 345 si applica limitatamente alle domande aventi ad oggetto diritti disponibili – tale deroga dovrebbe interpretarsi restrittivamente (es. modifica delle domande originarie), al fine di evitare la lesione del principio del doppio grado;  Sentenze non definitive che decide sullo stato delle persone: ammissibilità del solo appello immediato (vs. differito);  Fase introduttiva: l'appello si propone con ricorso alla Corte d'appello (cfr. art. 342); successivamente, il presidente della Corte, entro 5 giorni dal deposito del ricorso, nomina il giudice relatore e fissa con decreto l'udienza di comparizione e trattazione e il termine entro cui l'appellante deve notificare il ricorso e decreto l'appellato, tenendo presente che tra la data della notifica e quella dell'udienza deve intercorrere un termine di almeno 90 giorni (150 se all’estero). Inoltre, il presidente dispone l'acquisizione d'ufficio delle relazioni aggiornate dei servizi sociali o sanitari eventualmente incaricati e ordina alle parti di depositare la documentazione aggiornata in presenza di minori o comunque di domande di contributo economico (cfr. provvedimenti che potrebbero essere contenuti nello stesso decreto di fissazione dell'udienza). o L'appellato deve costituirsi almeno 30 giorni prima dell'udienza mediante deposito di una comparsa in cui deve esporre le sue difese in modo chiaro e specifico e deve, a pena di decadenza, proporre l'eventuale appello incidentale; o L'appellante può replicare con una memoria depositata almeno 20 giorni prima dell'udienza a cui l'appellato può a sua volta replicare con una memoria depositata almeno 10 giorni prima dell'udienza; o Il p.m. interviene, facoltativamente o obbligatoriamente, depositando le proprie conclusioni almeno 10 giorni prima dell'udienza.  Trattazione della causa (collegiale): all'udienza, il giudice designato svolge una relazione orale, cui segue normalmente la discussione e il passaggio della causa in decisione. Il collegio può altresì adottare i provvedimenti indifferibili o quelli temporanei e urgenti o ammettere nuovi mezzi di prova, delegandone eventualmente l'assunzione al relatore. Inoltre, su richiesta delle parti, può assegnare un termine per note difensive rinviando ad un'altra udienza;  Fase decisoria: la sentenza è depositata entro i 60 giorni successivi all'udienza in cui la causa è stata riservata per la decisione. Separazione, divorzio e processi ad essi assimilati La Cartabia ha altresì introdotto disposizioni specifiche relative ai processi di separazione personale dei coniugi, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento dell'unione civile e regolamentazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, nonché per quelle di modifica delle relative condizioni:  Competenza: tribunale del luogo in cui il minore ha la propria residenza abituale (che permane entro un anno dall'eventuale trasferimento non autorizzato del minore). In mancanza di figli minori, è competente il tribunale del luogo di residenza del convenuto. In caso di irreperibilità o residenza all'estero del convenuto, è competente il tribunale del luogo di residenza dell'attore o, nel caso in cui l'attore sia residente all'estero, qualunque tribunale della Repubblica;  Atti: le parti, oltre al ricorso o la comparsa di costituzione, devono produrre la documentazione patrimoniale e reddituale. Inoltre, quando adotta i provvedimenti temporanei e urgenti, il giudice indica le informazioni che ciascun genitore è tenuto a comunicare all'altro e può formulare una proposta di piano genitoriale tenendo conto di quelli allegati dalle parti. Se queste accettano la proposta, il mancato rispetto delle condizioni previste nel piano genitoriale costituisce comportamento sanzionabile;  Possibile cumulo delle domande di separazione e divorzio: o Negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale, le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse (es. contributo economico). Le domande così proposte sono procedibili decorso il termine a tal fine previsto dalla legge sul divorzio, e previo passaggio in giudicato della sentenza (non definitiva) che pronuncia la separazione personale (cfr. connessione oggettiva); o Se il giudizio di separazione e quello di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio sono proposti autonomamente tra le stesse parti davanti a giudici diversi, è prevista la possibilità di ricondurre ad unità i relativi procedimenti attraverso la riunione facoltativa ex art. 274 o applicando la disciplina della connessione di cause ex art. 40.  In presenza di figli minori, la rimessione avviene in favore del tribunale del luogo di residenza abituale del minore.  Procedimento su domanda congiunta: nel caso in cui le parti propongano congiuntamente una domanda di separazione o divorzio, il ricorso può proporsi indifferentemente al tribunale del luogo di residenza oh domicilio dell'una o dell'altra parte, deve essere sottoscritto e deve contenere le indicazioni di cui all'articolo 473- bis.12, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 5), e secondo comma, e quelle relative alle disponibilità reddituali e patrimoniali dell'ultimo triennio e degli oneri a carico delle parti, nonché le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici. Con il ricorso le parti possono anche regolamentare, in tutto o in parte, i loro rapporti patrimoniali. Se intendono avvalersi della facoltà di sostituire l'udienza con il deposito di note scritte, devono farne richiesta nel ricorso, dichiarando di non volersi riconciliare e depositando i documenti di cui all'articolo 473-bis.13, terzo comma. o A seguito del deposito, il presidente fissa l'udienza per la comparizione delle parti davanti al giudice relatore e dispone la trasmissione degli atti al p.m., il quale esprime il proprio parere entro 3 giorni prima della data dell'udienza. All'udienza, il giudice, sentite le parti e preso atto della loro volontà di non riconciliarsi, rimette la causa in decisione. Il giudice può sempre chiedere i chiarimenti necessari e invitare le parti a depositare la documentazione di cui all'articolo 473-bis.12, terzo comma; o Siccome la medesima funzione è assolta, per i diritti aventi ad oggetto prestazioni di dare, dal requisito della liquidità, tale requisito assume rilevanza solo in relazione all’esecuzione in forma specifica diretta ad attuare obblighi di fare o disfare. In ogni caso, l'esistenza del titolo esecutivo è necessaria, non solo per iniziare l'esecuzione forzata, ma anche per portarla a compimento, in quanto l'eventuale venir meno del titolo nel corso del processo esecutivo ne impedirebbe la prosecuzione. Titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati Sebbene le sentenze straniere siano oggetto di un riconoscimento virtualmente automatico, la possibilità di attuarle coattivamente, ponendole a fondamento di un procedimento di esecuzione forzata, presuppone il ricorso ad una specifica procedura di riconoscimento (exequatur), di competenza delle Corti d’appello. Il Regolamento CE 805/2004 ha previsto che nelle stesse materie in cui si applica il reg. 44/2001 (decisioni in materia civile e commerciale), le decisioni giudiziarie, le transazioni giudiziarie e gli atti pubblici formati in uno Stato dell'Unione europea, relativi a crediti non contestati, sono riconosciuti ed eseguiti negli altri Stati membri senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al loro riconoscimento. Il credito, che deve essere liquido ed esigibile, si considera non contestato quando il debitore:  L’ha espressamente riconosciuto mediante una dichiarazione o mediante una transazione approvata dal giudice o conclusa davanti al giudice nel corso di un procedimento giudiziario;  Non l'ha mai contestato nel corso del procedimento giudiziario, in conformità delle relative procedure giudiziarie previste dalla legislazione dello Stato membro di origine;  Non è comparso o non si è fatto rappresentare in un'udienza relativa ad un determinato credito pur avendo contestato inizialmente il credito stesso nel corso del procedimento, sempre che tale comportamento equivalga a un'ammissione tacita del credito o dei fatti allegati dal creditore secondo la legislazione dello Stato membro d’origine;  L’ha espressamente riconosciuto in un atto pubblico. In tutti questi casi, l’exequatur previsto dalla disciplina comune è sostituito da una certificazione, redatta dal giudice dello Stato di provenienza, su un apposito modello, destinata ad attestare che si tratta di titolo esecutivo europeo e che sussistono tutte le condizioni previste dal suddetto regolamento. Una decisione giudiziaria certificata come titolo esecutivo europeo è eseguita alle medesime condizioni di una decisione giudiziaria pronunciata nello Stato membro dell’esecuzione. Il reg. 44/2001 è stato sostituito dal Regolamento Bruxelles I bis, in tema di competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni, che prevede anch’esso che la decisione emessa in uno Stato membro che è esecutiva in tale Stato membro è altresì esecutiva negli altri Stati senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutività, riducendo lo spazio di applicazione del reg. 805/2004. Legittimazione e successione In considerazione della natura astratta dell’azione esecutiva, devono individuarsi i soggetti abilitati a promuovere l’azione esecutiva o ad esserne il destinatario passivo (creditore-debitore) facendo riferimento a quanto emerge dal titolo esecutivo.  Quando il diritto risultante dal titolo abbia subito, sul piano sostanziale, modificazioni dal lato attivo o passivo (es. prima dell’inizio dell’esecuzione o nel corso del processo di cognizione; o a processo esecutivo già avviato), si deve stabilire se ed in quale misura tali modificazioni reagiscano sul processo esecutivo, già in corso oppure non ancora iniziato: se sia possibile, cioè, che il processo esecutivo sia intrapreso o proseguito da o nei confronti di soggetti diversi da quelli indicati nel titolo, che siano succeduti a questi ultimi nel diritto o nell’obbligo posto a base del titolo medesimo. In realtà, le sole disposizioni che espressamente si riferiscono all’efficacia soggettiva del titolo esecutivo sono due:  Art. 475, per cui le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti dell'autorità giudiziaria, nonché gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, valgono come titolo per l'esecuzione forzata per la parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l'obbligazione , o per i suoi successori (senza alcuna distinzione nell’ambito di questi ultimi);  Art. 477.1, per cui il titolo esecutivo contro il defunto è efficace contro gli eredi. o Mentre potrebbe sembrare escluso che il titolo sia direttamente efficace contro il successore a titolo particolare del debitore, l'opinione dominante interpreta estensivamente l'art. 477, ammettendo che il titolo esecutivo è utilizzabile, a fortiori, pure contro il successore il cui acquisto sia posteriore alla formazione del titolo nei confronti del suo dante causa (cfr. infatti, il debitore, quando la successione si realizza nel corso del processo di cognizione, subisce, di regola, gli effetti anche esecutivi della sentenza pronunciata nei confronti del suo dante causa). Per questo motivo, la legittimazione (attiva o passiva) del successore a titolo particolare concorra, in linea di principio, con quella della parte originaria; tanto più che, se la successione si verificasse dal lato passivo, il creditore procedente ben potrebbe ignorarla senza alcuna sua colpa. Non essendo previsto alcun controllo (giudiziale) preventivo circa la legittimazione attiva del creditore procedente né circa la legittimazione passiva del soggetto nei cui confronti l’esecuzione viene intrapresa, ed essendo altresì difficile immaginare che un siffatto controllo possa essere esercitato dall’ufficiale giudiziario cui sia chiesto di dar corso all’esecuzione, l’effettiva verifica di tale legittimazione resta subordinata all’eventualità che colui nei cui confronti l’esecuzione viene diretta la contesti tramite una opposizione. Diversa ipotesi è quella che riguarda il mutamento della titolarità del diritto o dell'obbligo risultanti dal titolo che si realizza nel corso del processo esecutivo:  Successione universale: tenuto conto del ruolo modesto del contraddittorio nel processo esecutivo, è pacifico che quest’ultimo debba proseguire pur quando si tratti di successione mortis causa (vs. interruzione del processo di cognizione). o Ferma restando la possibilità che il successore (del creditore esecutante o del debitore esecutato) eserciti nel procedimento i poteri processuali che sarebbero spettati al suo dante causa (es. in caso di successione dal lato passivo, per contestare tramite opposizione la legittimità dell’esecuzione oppure per chiedere la riduzione o la conversione del pignoramento), deve ritenersi che il successore abbia diritto ad essere sentito nelle medesime ipotesi in cui sarebbe stata necessaria l’audizione della parte originaria;  Successione a titolo particolare: se il trasferimento del diritto recato dal titolo avviene a processo esecutivo già iniziato, la legittimazione attiva e passiva delle parti originarie, di regola, non ne risente; mentre maggiori dispute sorgono a riguardo i poteri e le prerogative processuali del successore, soprattutto nell'ipotesi in cui la successione si realizzi dal lato del debitore esecutato. Notificazione Il codice prevede degli atti preliminari, che non appartengono ancora all’esecuzione forzata, ma ne sono presupposti. In particolare, l’art. 479 dispone che, salvo la legge disponga altrimenti, l'inizio dell'esecuzione forzata deve essere preceduto dalla notificazione alla parte personalmente di:  Titolo in copia attestata conforme all'originale: nel caso di atti e provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico può essere formata dallo stesso avvocato o, quando si tratti di atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale deve essere munita dal sigillo del notaio o dell'ufficio al quale appartiene il pubblico ufficiale;  Precetto: ultimatum del creditore al debitore affinché adempia l’obbligo risultante dal titolo, che può essere redatto di seguito al titolo esecutivo. Di regola, il precetto viene notificato unitamente al titolo, mentre, in alcuni casi, la notificazione del precetto deve essere necessariamente successiva, essendo soggetta ad un termine dilatorio, per evitare al debitore che adempia tempestivamente le maggiori spese che derivano dal precetto: o Quando l'esecuzione sia promossa contro gli eredi della parte indicata nel titolo, la notificazione del precetto, che deve essere comunque diretta agli eredi stessi, esige che siano trascorsi almeno 10 giorni dalla notificazione del titolo, che può essere eseguita, entro un anno dalla morte, agli eredi, collettivamente ed impersonalmente, presso l'ultimo domicilio del defunto; o Quando l'esecuzione sia diretta contro un'amministrazione dello Stato o un ente pubblico non economico, il creditore deve attendere almeno 120 giorni prima di poter notificare il precetto. Inoltre, per alcuni titoli esecutivi (cfr. art. 474.(2), di cui il creditore possiede l’originale, non è prevista neppure l’autonoma notificazione, solitamente rimpiazzata da una trascrizione integrale del titolo medesimo all’interno dell’atto del precetto. Precetto L’art. 480 disciplina la forma del precetto, che consiste nella formale intimazione di adempiere all'obbligo risultante dal titolo esecutivo entro il termine, non minore di 10 giorni, indicato dal creditore, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata.  Il presidente del tribunale competente per l'esecuzione, o un altro giudice da lui delegato, peraltro, può dispensare dall'osservanza di tale termine dilatorio ed autorizzare l'esecuzione immediata, eventualmente subordinandola alla prestazione di cauzione, con decreto scritto in calce all'originale del precetto e trascritto nella copia da notificare, qualora ricorra pericolo nel ritardo (es. il debitore risulta già assoggettato ad altre procedure esecutive, che lascino intuire una situazione di insolvenza generalizzata e dunque temere atti fraudolenti di disposizione del suo patrimonio residuo). Elementi essenziali del precetto sono:  Indicazione delle parti e data di notificazione del titolo esecutivo, qualora sia avvenuto separatamente: richiesti a pena di nullità. o Se si tratta di titoli per i quali non è prescritta la notificazione bensì la trascrizione integrale nello stesso precetto, la corrispondenza di tale trascrizione all'originale deve essere certificata dall'ufficiale giudiziario prima della notificazione del precetto, dietro esibizione del titolo da parte del creditore istante;  Dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione a norma dell'art. 26, al fine di agevolare l’esecuzione delle notificazioni e delle comunicazioni al creditore. o La sua omissione non incide sulla validità del precetto, ma implica solamente che le eventuali opposizioni al precetto, che si propongono prima dell’inizio dell’esecuzione, spetteranno alla competenza del giudice del luogo in cui il precetto è stato notificato e le notificazioni dirette all'intimante potranno farsi presso la cancelleria di tale giudice. Quest’ultima disposizione, peraltro, si ritiene applicabile nella sola ipotesi in cui la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio siano mancate del tutto (non anche, quando, invece, esse siano state effettuate in relazione ad un luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione).  Avvertimento che il debitore può, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovra-indebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi oppure proponendo agli stessi un piano del consumatore. o Procedure previste dalla L. 3/2012 sono riservate ai debitori o consumatori esclusi dall’ambito di applicazione della legge fallimentare. Tale avvertimento, conseguentemente, non dovrebbe essere necessario quando si tratti di imprenditori assoggettabili ad una diversa procedura concordare, né ha molto senso quando il diritto risultante dal titolo esecutivo non abbia ad oggetto il pagamento di una somma di denaro; e comunque, in assenza di una specifica sanzione, l’eventuale mancanza parrebbe configurare solo una mera irregolarità. Il precetto, infine, deve essere sottoscritto ex art. 125, dalla parte personalmente oppure dal difensore munito di procura, che potrebbe essere perfino conferita in calce o a margine dello stesso precetto (cfr. intermediazione facoltativa, in quanto atto preliminare all’esecuzione). L’art. 481 dispone che l’esecuzione deve essere iniziata entro 90 giorni dalla notifica del precetto (termine che resta automaticamente sospeso qualora sia proposta opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi), poiché, altrimenti, quest’ultimo diventerebbe inefficace e dovrebbe essere reiterato. La notificazione del precetto determina l'interruzione della prescrizione del diritto risultante dal titolo (non assimilabile a quella che deriva dalla proposizione di una domanda giudiziale, e dunque ha carattere meramente istantaneo). Espropriazione forzata Espropriazione in generale Il Titolo II del Libro III detta una disciplina generale e comune dell’espropriazione, la forma statisticamente più frequente di esecuzione forzata ed è anche quella certamente più complessa, avente come obiettivo finale quello di dare attuazione ad un credito pecuniario, nelle varie fasi e nei suoi aspetti essenziali, che implicano L’art. 497 stabilisce che l’efficacia del pignoramento è limitata nel tempo e cessa se, nei successivi 90 giorni, non viene presentata istanza di assegnazione o di vendita dei beni pignorati – termine sospeso ex lege nel caso in cui sia proposta opposizione agli atti esecutivi. Poteri dell’ufficiale giudiziario L’art. 492 attribuisce all’ufficiale giudiziario poteri piuttosto incisivi, finalizzati all’individuazione di beni utilmente assoggettabili all’espropriazione e di valore idoneo a soddisfare il creditore procedente:  L’ufficiale giudiziario, quando i beni pignorati appaiano insufficienti o appare manifesta la lunga durata della liquidazione, invita il debitore ad indicare ulteriori beni utilmente pignorabili e i luoghi in cui essi si trovano o le generalità dei terzi debitori, avvertendolo, altresì, della sanzione ex art. 388.6 c.p. se omette di rispondere entro 15 giorni o renda una falsa dichiarazione;  Dalla dichiarazione del debitore, che deve essere raccolta in un processo verbale da lui sottoscritto, scaturiscono, quando è positiva, effetti diversi a seconda della natura dei beni ulteriori in essa indicati: o Beni mobili in possesso dello stesso debitore: si considerano pignorati, ad ogni effetto, anche penale, fin dal momento della dichiarazione, fermi restando gli ulteriori adempimenti dell'ufficiale giudiziario relativi alla loro materiale apprensione e custodia; o Crediti o cose mobili del debitore che siano in possesso di un terzo, il pignoramento si considera immediatamente perfezionato nei soli confronti del debitore (e non anche ovviamente del terzo), il quale, tra l'altro, è costituito custode della somma o della cosa, qualora il terzo, non avendo ancora ricevuto la notificazione dell'atto di pignoramento prevista dall'art. 543, gli effettui successivamente il relativo pagamento o gli restituisca la cosa; o Beni immobili: il creditore provvede al relativo pignoramento secondo le specifiche modalità previste per l'espropriazione. Il medesimo invito può essere rivolto al debitore, su sollecitazione del creditore procedente, quando, in seguito all'intervento di altri creditori, i beni pignorati siano divenuti insufficienti. Inoltre, quando il debitore sia un imprenditore commerciale l’ufficiale giudiziario può, su istanza del creditore procedente, invitarlo ad indicare il luogo in cui sono conservate le scritture contabili, nominando un commercialista o un avvocato o un notaio per esaminare al fine dell’individuazione di cose e crediti pignorabili. Ricerca con modalità telematiche L’art. 492-bis, introdotto dal d.l. 132/2014 e modificato sostanzialmente dalla Riforma Cartabia, prevede, al fine di agevolare l’individuazione di beni assoggettabili all’espropriazione, che, su istanza del creditore munito del titolo esecutivo e del precetto, l'ufficiale giudiziario addetto al tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, procede alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare, accedendo a tal fine ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni (cfr. anagrafe tributaria, compreso l'archivio dei rapporti finanziari) e in quelle degli enti previdenziali, per l'acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l'individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti. Di regola, l’istanza deve essere preceduta dalla notifica del precetto e presuppone che sia scaduto il termine dilatorio di 10gg concesso al debitore per adempiere, salvo quando sussista pericolo nel ritardo. La proposizione dell'istanza del creditore all'ufficiale giudiziario o al presidente del tribunale sospende automaticamente il termine di efficacia dell'atto di precetto fino alla comunicazione dell'ufficiale giudiziario di non aver eseguito le ricerche per mancanza di presupposti, al rigetto da parte del presidente del tribunale dell'istanza o fino alla comunicazione del verbale in cui l'ufficiale giudiziario, terminate le operazioni – alle quali potrebbe chiedere di partecipare lo stesso creditore – indica tutte le banche dati interrogate e le relative risultanze. Lo stesso ufficiale giudiziario, se la ricerca ha consentito di individuare beni mobili o crediti del debitore (la ricerca non riguarda i beni immobili, in quanto agevolmente individuabili dal creditore attraverso l’accesso alla banca dati delle conservatorie dei registri immobiliari), procede senz'altro, munito del titolo esecutivo e del precetto, al loro pignoramento, salvo che essi si trovino in luoghi non compresi nel territorio della sua competenza.  Il creditore che si sia avvalso della sospensione del termine di efficacia del precetto è tenuto a depositare, con la nota di iscrizione a ruolo del procedimento esecutivo, a pena di inefficacia del pignoramento, anche l'istanza, l'autorizzazione del presidente del tribunale, quando prevista, e la comunicazione del verbale contenenti i risultati della ricerca, ovvero la comunicazione dell'ufficiale giudiziario di non aver eseguito le ricerche per mancanza dei presupposti o il provvedimento del presidente del tribunale di rigetto dell'istanza, affinché sia possibile verificare che il pignoramento sia stato eseguito entro il termine previsto ex art. 481.1. Quando sia stata individuata una pluralità di beni mobili o di crediti, è il creditore che indicherà all’ufficiale giudiziario quali di essi sottoporre ad esecuzione. Effetti del pignoramento Gli artt. 2913 ss. c.c. disciplinano, l’inefficacia degli atti di alienazione (es. atti traslativi del diritto di proprietà; costitutivi di diritti reali limitati – servitù, superficie, usufrutto; diritti di godimento meramente personali), in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengano nell'esecuzione, nonché gli altri atti latu sensu che importano vincoli di indisponibilità dei beni pignorati (es. convenzione matrimoniale con cui si costituisca un fondo patrimoniale destinando determinati beni a far fronte ai bisogni della famiglia), che egualmente potrebbero vanificare il soddisfacimento dei creditori partecipanti all’espropriazione.  In realtà, si tratta di un’inefficacia relativa, in quanto non è fatto divieto al debitore di disporre giuridicamente dei beni pignorati (costituirebbe reato la materiale sottrazione dei beni medesimi), ma l’eventuale atto di disposizione, mentre rimane valido e produttivo di effetti tra le parti, è inopponibile al creditore pignorante e agli altri creditori intervenuti nell’espropriazione (c.d. vincolo a porta aperta, in quanto giovano del vincolo tutti), che potrebbero proseguire nell'esecuzione come se il bene appartenesse ancora al debitore. Pertanto, se il pignoramento viene dichiarato successivamente nullo od inefficace, o il processo esecutivo si estingue in un momento anteriore alla vendita forzata, l’atto di disposizione, non trovando più ostacolo nel vincolo esecutivo, tornerebbe naturalmente a produrre i propri effetti erga omnes. Tuttavia, l’inefficacia è condizionata e limitata in considerazione della natura dei beni pignorati e le regole che presiedono alla loro circolazione giuridica:  L'art. 2913 fa salvi gli effetti del possesso in buona fede (art. 1153 c.c.) dei beni mobili non iscritti in pubblici registri, che determina l'acquisto della proprietà a titolo originario e che, pertanto, è opponibile anche ai creditori che partecipano all’espropriazione;  L’art. 2914 c.c., per risolvere i conflitti tra i creditori pignoranti o intervenuti ed i terzi aventi causa dal debitore esecutato, prevede che siano inefficaci nei confronti di tali creditori, ancorché anteriori al pignoramento: o Alienazioni di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri la cui trascrizione sia successiva a quella del pignoramento; o Alienazioni di beni mobili ovvero di universalità di mobili che non abbiano data certa anteriore al pignoramento; o Cessioni di credito notificate al debitore ceduto o da questi accettate in un momento successivo al pignoramento.  L’art. 2929bis quale prevede che, allorquando il creditore sia pregiudicato da un atto a titolo gratuito del debitore, che sia successivo al sorgere del credito ed abbia alienato beni immobili o mobili registrati, oppure abbia costituito su di essi un vincolo di indisponibilità o uno dei diritti reali limitati menzionati nell’art.2818 c.c., l’azione esecutiva prescinde dal previo accoglimento dell’azione revocatoria (di cui all’art.2901 c.c.), a condizione che il pignoramento venga trascritto entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole. o La medesima disposizione vale anche per il creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, intervenga nell’esecuzione da altri promossa. In altre parole, gli atti a titolo gratuito trascritti entro l’anno anteriore alla trascrizione del pignoramento sono ipso iure inefficaci nei confronti del creditore, che può senz’altro aggredire il bene come se fosse libero da vincoli di indisponibilità e anche nei confronti del terzo acquirente, (non anche però, dell’avente causa dal terzo acquirente, che abbia acquistato diritti a titolo oneroso sul bene con atto trascritto anteriormente alla trascrizione del pignoramento). Il debitore, il terzo assoggettato ad espropriazione ed ogni altro interessato alla conservazione del vincolo, cioè alla efficacia dell’atto compiuto dal debitore, possono contestare attraverso l’opposizione all’esecuzione, non soltanto i presupposti specifici dell’applicazione dell’art. 2929-bis, ma anche l’eventus damni (ossia che l’atto abbia effettivamente arrecato pregiudizio alle ragioni del creditore) e la scientia damni da parte del debitore, che costituiscono le condizioni per l’accoglimento dell’azione revocatoria rispetto agli atti di disposizione compiuti a titolo gratuito.  L'art. 2916 analogamente prevede che nella distribuzione del ricavato non si tenga conto dei diritti di prelazione derivanti da ipoteche, anche se giudiziali, iscritte dopo la trascrizione del pignoramento, ovvero da privilegi soggetti ad iscrizione in pubblici registri ed iscritti dopo il pignoramento, o infine da privilegi relativi a crediti sorti dopo il pignoramento. Conversione e riduzione del pignoramento Il codice prevede due istituti in favore del creditore:  Conversione (art. 495): prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione, il debitore può chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione, all'importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese. o Garanzia di serietà: unitamente all'istanza deve essere depositata in cancelleria, a pena di inammissibilità e quale garanzia di serietà dell’istanza, una somma non inferiore a 1/6 dell'importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori intervenuti indicati nei rispettivi atti di intervento, dedotti gli eventuali versamenti già effettuati, di cui deve essere data prova documentale; e diviene comunque improcedibile dopo l'aggiudicazione, anche provvisoria, o l'assegnazione dei beni pignorati (art. 187-bis disp. att.); o Determinazione dell’importo globale: la somma da sostituire al bene pignorato è determinata con ordinanza dal giudice dell'esecuzione, sentite le parti in udienza non oltre trenta giorni dal deposito dell'istanza di conversione, e con essa, se il pignoramento riguarda beni (mobili o immobili) e sussistono giustificati motivi, può essere concessa una rateizzazione mensile del pagamento entro un termine massimo di 48 mesi, con applicazione dei relativi interessi scalari (al tasso convenzionale pattuito, ovvero, in mancanza, al tasso legale); o Accoglimento: il provvedimento dispone che i beni siano liberati dal pignoramento e la somma sia ad essi sostituita. L'effettiva liberazione dal pignoramento presuppone però il versamento integrale di tale somma, eventualmente rateizzata allorché si tratti di immobili.  Viceversa, se invece il debitore non adempie al versamento, oppure, essendo stato ammesso alla rateizzazione, omette o ritarda di oltre 30 giorni di pagare anche una sola delle rate, il giudice, su richiesta del creditore procedente o di altro creditore intervenuto che sia munito di titolo esecutivo, dispone senza indugio la vendita delle cose pignorate. Non si sospende la vendita.  Riduzione (art. 496): su istanza del debitore o anche d'ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore all'importo delle spese e dei crediti di cui all'articolo precedente, il giudice, sentiti il creditore pignorante e i creditori intervenuti, può disporre discrezionalmente la riduzione del pignoramento. L’art. 483, pur consentendo al creditore di servirsi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione forzata previsti dalla legge (il che implica la possibilità di eseguire una pluralità di pignoramenti, eventualmente su beni di diversa natura per il soddisfacimento di un unico credito, indipendentemente dal rapporto tra l’unità del credito medesimo ed il complessivo valore dei beni pignorati), prevede che il giudice dell'esecuzione, su opposizione del debitore e con ordinanza non impugnabile, possa limitare l'espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o che, in mancanza, lo stesso giudice determina. Intervento dei creditori Il creditore pignorante che dà luogo all’espropriazione non gode di alcuna preferenza rispetto agli altri creditori, in quanto possono:  Assoggettare lo stesso bene ad ulteriori successivi pignoramenti – ciascuno dei quali produce effetti indipendenti anche se è poi destinato normalmente a confluire nel procedimento instaurato con il primo pignoramento (art. 493);  Intervenire nel processo esecutivo già intentato da altri: mentre in passato, il legislatore consentiva l’intervento a tutti i creditori (cfr. par condicio creditorum) indipendentemente dal possesso di un titolo esecutivo o dall’esistenza di una causa di prelazione del relativo credito; la riforma del 2005, per snellire l’espropriazione ed evitare le non lievi complicazioni che potevano derivare dall’intervento di creditori non titolati, ha circoscritto la possibilità d'intervento ad alcune categorie di creditori (art. 499.1):  Una sottospecie di tale figura può ravvisarsi nell'assegnazione del credito pignorato prevista nell'espropriazione presso terzi, che realizza una cessione del credito pro solvendo per cui non è neppure richiesta l'accettazione del creditore assegnatario. o Assegnazione-vendita: pagamento del valore del bene da parte del creditore assegnatario e, dunque, si risolve in una aggiudicazione per un prezzo predeterminato. Tale prezzo, in base all’art. 506, non può essere inferiore all'importo totale delle spese di esecuzione e dei crediti aventi diritto di prelazione anteriore a quello dell'assegnatario, affinché il ricavato sia almeno sufficiente a soddisfare i creditori a lui anteposti; fermo restando che alla ripartizione dell'eventuale eccedenza concorrono, poi, sia l'assegnatario sia gli altri creditori, secondo le rispettive cause di prelazione. Il processo di espropriazione potrebbe chiudersi anticipatamente, prima della vendita o della assegnazione, ogni volta che risulti non più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo. Effetti e stabilità La vendita forzata e l'assegnazione realizzano un trasferimento coattivo della proprietà del bene assoggettato all’espropriazione.  La natura coattiva della vendita non esclude che si tratti di un trasferimento a titolo derivativo, cui deve applicarsi il principio per cui nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet. Infatti, l'art. 2919 c.c. stabilisce che la vendita forzata trasferisce all'acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l'espropriazione, salvi gli effetti del possesso in buona fede (cfr. il trasferimento del diritto di proprietà in favore dell'acquirente presuppone sempre, di regola, che tale diritto sussistesse in capo al debitore esecutato, a meno che, trattandosi di beni mobili acquistati in buon fede, non risulti applicabile l'art. 1153 c.c., che configura un acquisto a titolo originario);  Lo stesso art. 2919 c.c. prevede, inoltre, che non sono opponibili all'acquirente i diritti acquisiti da terzi sulla cosa, se tali diritti non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell’esecuzione (cfr. atti di alienazione dei beni pignorati ed in genere tutti gli atti loro pregiudizievoli posteriori al pignoramento); di tale inefficacia giova anche l’acquirente del bene espropriato, che acquista il bene dal debitore nella medesima situazione giuridica in cui esso si trovava alla data del pignoramento. Con l’avvertenza, peraltro, che, questo non vale per le ipoteche e i diritti di garanzia in genere (art. 586, che vengono meno con la vendita forzata). Nel caso in cui l'acquirente in vendita forzata (ad eccezione del caso di diritti di garanzia) subisca successivamente l'evizione, totale o parziale, del bene (cfr. un terzo rivendica vittoriosamente, nei suoi confronti, la proprietà o un diverso diritto reale), egli può ripetere il prezzo pagato per l'acquisto (o una parte proporzionale di esso in caso di evizione parziale), se quest’ultimo non è stato ancora distribuito (e deducendo comunque le spese), oppure può ripetere da ciascun creditore (tranne da quelli privilegiati o ipotecari, ai quali la causa di evizione non è opponibile) la parte rispettivamente riscossa e dal debitore l'eventuale residuo, conservando altresì il diritto di agire nei confronti del creditore procedente per i danni e le spese (art. 2921 c.c.).  L'art. 2927 c.c. prevede una disciplina analoga per il creditore assegnatario che, in caso di evizione, può ripetere quanto abbia eventualmente pagato agli altri creditori, ferma restando la possibilità di agire nei confronti del creditore procedente per i danni e per le spese e conservando integre le proprie ragioni di credito nei confronti del debitore esecutato. Se si tratta di vendita di cosa mobile, la posizione dell’acquirente in buona fede eccezionalmente prevale su chi poteva vantare la proprietà o un diverso diritto reale sul bene pignorato, l'art. 2920 c.c. consente a quest’ultimo di far valere le proprie ragioni sulla somma ricavata dalla vendita, ma solo fino al momento in cui essa viene distribuita ai creditori; dopo tale momento, invece, egli non potrà ripetere dai creditori quanto hanno ricevuto, ma può, tutt’al più, agire per il risarcimento dei danni e per le spese, nei confronti del creditore procedente, allorché questi sia stato in mala fede (avesse saputo, cioè, che il bene pignorato non era di proprietà del debitore esecutato), nonché nei confronti del debitore stesso per ingiustificato arricchimento derivatogli dalla circostanza che il suo debito è stato estinto con denaro proveniente dalla vendita di un bene altrui (art. 2041 c.c.).  In caso di assegnazione, il proprietario del bene mobile illegittimamente assoggettato all'espropriazione è comunque tenuto a rispettare l'acquisto dell'assegnatario in buona fede, ma può, nei 60 giorni successivi all'assegnazione, ripetere nei suoi confronti la somma corrispondente all'importo del credito soddisfatto con l'assegnazione; e analoga facoltà è attribuita ai terzi titolari di altri diritti reali sul bene pignorato, entro i limiti del valore del loro diritto (art. 2926 c.c.). Vizi del processo esecutivo L’art. 2929 c.c. stabilisce che la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l'assegnazione non ha effetto riguardo all'acquirente o all'assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente, e gli altri creditori non sono in nessun caso tenuti a restituire quanto abbiano ricevuto in sede di espropriazione.  Il legislatore attribuisce stabilità alla vendita forzata e all’assegnazione, escludendo che esse possano risentire dei vizi formali, eventualmente intervenuti nel processo esecutivo; sebbene l’opinione prevalente, argomentando a contrario dall’esplicito riferimento alle “nullità che hanno preceduto”, interpreti tale disposizione restrittivamente, ritenendo che essa non si applichi ai vizi direttamente incidenti sulla vendita (o sulla assegnazione) oppure sugli atti che ne costituiscono l’immediato presupposto, a condizione che i vizi medesimi siano stati fatti valere tempestivamente attraverso l'opposizione agli atti esecutivi. Viceversa, l’orientamento prevalente ritiene che i vizi che riguardino il diritto stesso del creditore di procedere alla esecuzione forzata (vs. atti esecutivi) non possono essere invocati quali motivo di annullamento della vendita o della assegnazione (vs. deducibili attraverso l’opposizione).  Argomentazioni non univoche, in quanto ritiene che l’art. 2929 sia espressione di un principio di ordine più generale, legato alla tutela dell’affidamento incolpevole del terzo, acquirente o assegnatario; oppure escludendo più a monte che la validità della vendita o dell’assegnazione dipenda dall’effettiva esistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata. Distribuzione del ricavato Esaurita la liquidazione di tutti i beni pignorati attraverso la vendita e/o l'assegnazione, si apre l'ultima fase dell'espropriazione, cioè la distribuzione della somma ricavata, che è formata, in primo luogo, dal prezzo o conguaglio delle cose vendute o assegnate, ed in secondo luogo dai frutti, rendite o proventi delle stesse, nonché da quanto sia stato eventualmente ottenuto, a titolo di multa o risarcimento, dall'aggiudicatario inadempiente (art. 509):  Ricavato sufficiente: se vi è la pretesa del solo creditore procedente o, pur essendovi più creditori, la somma ricavata sia tale da soddisfare integralmente tutti, il giudice dell'esecuzione, sentito il debitore, si limita a disporre il pagamento di quanto spetta ai singoli creditori per capitale, interessi e spese, mentre l'eventuale somma residua deve essere consegnata al debitore esecutato;  Ricavato non sufficiente: se vi è stato l’intervento di altri creditori e il ricavato non sia sufficiente a pagare per intero tutti, la distribuzione dovrà avvenire sulla base di un apposito piano o progetto di riparto, che potrebbe essere concordato tra le stesse parti in caso di beni mobili, e, in ogni caso deve tener conto delle rispettive cause di prelazione, nonché, quando vi siano più creditori chirografari, dell'entità dei rispettivi crediti, affinché il loro soddisfacimento avvenga in misura proporzionalmente eguale;  Disconoscimento del credito: si vi è stato l’intervento di creditori sforniti di titolo esecutivo, il cui credito sia stato in tutto o in parte disconosciuto dal debitore ex art. 499, se tali creditori ne fanno istanza e dimostrano di aver tempestivamente proposto l'azione occorrente a procurarsi il titolo esecutivo, il piano di riparto deve tenere conto anche delle somme loro teoricamente spettanti, che verranno accantonate (in attesa della conclusione dell’azione stessa) per il tempo necessario dal giudice dell'esecuzione, fino ad un massimo di 3 anni. Decorso tale termine (oppure anche prima, qualora nel frattempo tutti i creditori si siano muniti di titolo esecutivo ed uno di essi ne faccia istanza) il giudice, anche d'ufficio, dispone la comparizione davanti a sé del debitore, del creditore procedente e di tutti gli altri creditori, ad eccezione di quelli già integralmente soddisfatti, e procede alla distribuzione della somma accantonata, tenendo conto nel riparto degli ulteriori creditori che sono riusciti a procurarsi il titolo esecutivo. Ciò significa che gli altri restano definitivamente esclusi da tale riparto. Controversie in sede di riparto L’art. 512 stabilisce che, se in sede di distribuzione sorgono controversie – tra i creditori concorrenti, oppure tra creditori e debitore o terzo assoggettato all’espropriazione – circa la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti o diritti di prelazione, il giudice dell'esecuzione decide, sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, con ordinanza che può eventualmente sospendere, in tutto o in parte, la distribuzione.  Per esempio, ciascun creditore può contestare l’esistenza o l’ammontare del credito vantato da un altro creditore o l’esistenza della prelazione da cui tale credito appare assistito; il debitore esecutato, invece, potrebbe contestare l’esistenza o l’ammontare di un credito vantato da un creditore munito di titolo esecutivo, al fine di ottenere l’eventuale somma avanzata dopo la distribuzione; in caso di creditore privo di titolo esecutivo, potrebbe limitarsi a disconoscere, in tutto o in parte il relativo credito. L’ordinanza è impugnabile esclusivamente attraverso l'opposizione agli atti esecutivi, ossia con un rimedio che dà luogo ad un giudizio a cognizione piena destinato a concludersi con sentenza inappellabile ma ricorribile per cassazione, e pertanto in un unico grado.  In base all’art. 512, l’ordinanza deve essere pronunciata sulla controversia sollevata dal debitore o da taluno dei creditori, mentre la sentenza (impugnabile per cassazione) è pronunciata in seguito all’eventuale opposizione agli atti esecutivi. Secondo la soluzione che appare preferibile, entrambi i procedimenti vertono esclusivamente sul diritto del creditore di partecipare al riparto, con effetti limitati al processo esecutivo cui si riferiscono, senza dar luogo, invece, ad un accertamento con efficacia di giudicato circa la sussistenza e/o la misura del credito o della causa di prelazione contestati. Stabilità della distribuzione La distribuzione avrà una stabilità diversa in funzione dei rapporti tra:  Diversi creditori: l'esaurimento della fase di distribuzione e la preclusione relativa all'eventuale impugnazione determina una situazione non più modificabile, in conseguenza del provvedimento che pone fine al processo esecutivo (cfr. fenomeno simile al giudicato):  Debitore esecutato e creditori: la conclusione del processo esecutivo non può produrre di per sé una preclusione in grado di impedire eventuali azioni di ripetizione di indebito, a cui potrebbero avere interesse sia il debitore esecutato sia il creditore che fosse rimasto in tutto o in parte insoddisfatto. Espropriazione mobiliare presso il debitore Pignoramento A differenza dell’espropriazione immobiliare e di quella mobiliare presso terzi, in cui la ricerca e l’individuazione dei beni (o dei crediti) utilmente pignorabili vengono materialmente compiute, in via preventiva, dallo stesso creditore, nell’espropriazione mobiliare, che si attua presso il debitore, esse competono in tutti i sensi all’ufficiale giudiziario, che gode a tale riguardo di specifici poteri coercitivi. Infatti, il creditore interessato deve effettuare una richiesta, seppur meramente verbale, fornendo all'ufficiale giudiziario competente il titolo esecutivo e l'originale debitamente notificato dell'atto di precetto ed eventualmente dichiarare che intende partecipare personalmente alle relative operazioni (l'ufficiale giudiziario dovrà comunicargli con preavviso la data e l'ora dell'accesso, e il creditore può farsi rappresentare o assistere da un difensore e/o da un esperto). L'ufficiale giudiziario dovrà verificare la propria competenza, l'esistenza del titolo esecutivo e l'avvenuta notificazione. Successivamente, l’art. 513 stabilisce che l'ufficiale giudiziario munito di titolo esecutivo e del precetto, può effettuare la ricerca delle cose da pignorare nella casa del debitore e in tutti gli altri luoghi a lui appartenenti, nonché, con le opportune cautele, sulla stessa persona del debitore. A tal fine, può anche può ricorrere all'uso della forza, richiedendo, ove occorre, l’assistenza della forza pubblica, quando sia necessario aprire porte, ripostigli o recipienti, oppure, vincere la resistenza opposta dal debitore o da terzi, oppure allontanare persone che disturbano l’esecuzione del pignoramento.  Su autorizzazione del presidente del tribunale o di altro giudice da lui delegato, che ne sia stato richiesto dal creditore procedente, l'ufficiale giudiziario può anche pignorare cose determinate che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore, ma delle quali egli può direttamente disporre (es. autovettura in un garage di proprietà di terzi, cui il debitore può liberamente accedere). Se invece manca tale potere di disposizione diretta sul bene da parte del debitore, è necessario ricorrere alle Già con la notifica del pignoramento, indipendente dalla sua successiva trascrizione, cui deve provvedere il creditore dopo la consegna dell’originale del pignoramento stesso da parte dell’ufficiale giudiziario, il debitore è costituito custode a titolo gratuito del bene. Trascorso il termine di 10gg dalla notifica, inoltre, se gli organi di polizia accertano che il veicolo continua a circolare o comunque lo rinvengono, procedono al ritiro della carta di circolazione nonché, ove possibile, dei titoli e dei documenti relativi alla proprietà e all’uso del bene pignorato e lo consegnano all’istituto vendite giudiziarie più vicino al luogo in cui il bene pignorato è stato rinvenuto. Dal momento in cui il bene è consegnato all’istituto di vendite giudiziario, quest’ultimo ne assume immediatamente la custodia e dà immediata comunicazione al creditore pignorante dell’avvenuta consegna, possibilmente a mezzo di pec. Il creditore, dal canto suo, entro 30gg da tale comunicazione, deve, a pena di inefficacia del pignoramento, depositare nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, dell’atto di pignoramento e della relativa nota di trascrizione. In deroga all’art. 497, inoltre, è previsto che l’ordinario termine di 45gg, in cui deve essere depositata l’istanza di vendita o assegnazione, decorra dal deposito della suddetta nota di iscrizione a ruolo da parte del creditore (vs. data del pignoramento), oppure, quando alla iscrizione a ruolo abbia provveduto un soggetto diverso, dal giorno in cui quest’ultimo deposita le copie conformi prescritte dal novellato art.159-ter disp. att. Intervento dei creditori La disciplina dell’intervento dei creditori in questo tipo di espropriazione corrisponde a quella generale già esaminata. In linea di principio, l’intervento dei creditori deve avvenire non oltre la prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o per l’assegnazione; dopo tale momento (e prima, ovviamente, del provvedimento di distribuzione), invece, si considera tardivo ed il credito dell’interveniente, salvo che non sia assistito da un diritto di prelazione, viene posposto a quello degli altri creditori, potendo soddisfarsi solo sull'eventuale somma residua.  L'art. 525.2, tuttavia, anticipa il limite temporale dell'intervento tempestivo per la piccola espropriazione, che si ha quando il valore dei beni pignorati, così come stimato in occasione del pignoramento, non superi 20.000 euro: in tal caso, infatti, si fa riferimento alla data di presentazione del ricorso con cui è stata chiesta, a norma dell’art.529, la vendita o l'assegnazione. Se la costituzione è tardiva, anche se munito di titolo esecutivo, il creditore verrà posposto. Assegnazione o vendita dei beni Su ricorso del creditore pignorante o di un altro creditore intervenuto che sia munito di titolo esecutivo, proponibile dopo che sia decorso il termine dilatorio dell'art. 501, il giudice dell'esecuzione fissa l'udienza per l'audizione delle parti, al fine di decidere circa l'assegnazione, allorché ne sussistano i presupposti, o la vendita dei beni pignorati.  Tale udienza, in cui le parti possono fare osservazioni circa l'assegnazione, oppure circa il tempo e le modalità di vendita, costituisce anche l'ultima occasione per le opposizioni agli atti esecutivi nei confronti degli atti anteriori all'udienza stessa, ammesso che la decadenza non si sia già prodotta (cfr. se non vi sono opposizioni o le parti comparse raggiungono l’accordo su di esse, il giudice dell'esecuzione dispone con ordinanza l'assegnazione o la vendita; altrimenti deve prima decidere sulle opposizioni con sentenza). Nel caso della piccola espropriazione di cui all'art. 525.2, il giudice provvede con decreto, senza fissare l'udienza, allorché fino alla presentazione dell'istanza di vendita o di assegnazione non siano intervenuti altri creditori; oppure, in caso contrario, provvede con ordinanza, secondo le modalità indicate poc’anzi, dopo l'audizione dei soli creditori intervenuti tempestivamente. La vendita può avvenire:  Senza incanto o tramite concessionario (regola generale ex art. 532): il giudice – con il provvedimento autorizzativo della vendita e dopo aver sentito, se necessario, uno stimatore – fissa il prezzo minimo della vendita stessa (salvo il valore dei beni risulti da listino di borsa o di mercato), l’importo globale al cui raggiungimento la vendita deve arrestarsi, il numero complessivo degli esperimenti di vendita (comunque non superiore a tre), i criteri per determinare i relativi ribassi, le modalità di deposito della somma ricavata dalla vendita e il termine finale, non superiore a sei mesi, alla cui scadenza il soggetto incaricato della vendita, in caso di insuccesso, deve restituire gli atti in cancelleria. In base all’art. 530, inoltre, il giudice deve stabilire che il versamento della cauzione, la presentazione delle offerte, lo svolgimento della gara tra gli offerenti e il pagamento del prezzo siano effettuati con modalità telematiche, salvo che le stesse siano pregiudizievoli per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura. o I beni pignorati sono affidati all'istituto vendite giudiziarie oppure, con provvedimento motivato, ad altro soggetto specializzato nel settore di competenza ed iscritto nell’apposito elenco, affinché proceda alla vendita in qualità di commissionario (art. 532). Se però la vendita non avviene entro il termine fissato nel provvedimento autorizzativo, il soggetto incaricato è tenuto a restituire gli atti in cancelleria e il giudice, salvo che vi siano istanze di integrazione del pignoramento ai sensi dell’art.540-bis, dispone la chiusura anticipata del processo esecutivo.  All'incanto (art. 534): consentita solamente quando appare probabile che tale modalità frutti un prezzo superiore di almeno la metà rispetto al valore di stima del bene, per cui il giudice deve egualmente fissare, sentito all’occorrenza uno stimatore, il prezzo di apertura dell'incanto (a meno che le circostanze non consiglino di autorizzare la vendita al miglior offerente senza alcun prezzo minimo) e stabilire, altresì, luogo, giorno ed ora in cui la vendita deve avvenire, affidandone l'esecuzione al cancelliere o all'ufficiale giudiziario o ad un istituto all'uopo autorizzato. Se la cosa resta invenduta, il soggetto incaricato della vendita fissa un nuovo incanto ad un prezzo base inferiore di un quinto rispetto a quello precedente (art. 538). In ogni caso, al di fuori dell’ipotesi della piccola espropriazione, il giudice può anche disporre, col provvedimento di autorizzazione della vendita, che il versamento del prezzo avvenga ratealmente, entro un termine non superiore a 12 mesi, in tale ipotesi trovano applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni dettate per l’analoga situazione concernente l’espropriazione immobiliare. Quando la vendita riguardi beni mobili iscritti in pubblici registri, l'art. 534-bis consente al giudice, nel disporre la vendita con o senza incanto, deleghi le relative operazioni ad un istituto autorizzato o ad un notaio, un avvocato o un commercialista iscritti negli appositi elenchi all'art. 179-ter disp. att. (analogamente a quanto si prevede in caso di espropriazione immobiliare). Qualora, nel corso delle operazioni di vendita, sorgano difficoltà, il commissionario o il professionista eventualmente delegato, possono rivolgersi al giudice dell’esecuzione, che provvede con decreto. Le parti e gli altri interessati, dal canto loro, possono proporre reclamo allo stesso giudice contro tale decreto, nonché avverso gli atti del professionista o del commissionario, entro il termine perentorio di 20 giorni dal compimento dell'atto o dalla sua conoscenza; in tal caso, il giudice dell'esecuzione provvede con ordinanza a sua volta impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi. L’art. 530 prevede poi che la vendita deve essere resa pubblica nelle forme di cui all’art. 490 mediante un avviso inserito sul portale delle vendite pubbliche del Min. Giustizia almeno 10gg prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte (nel caso di vendita senza incanto) oppure dalla data dell’incanto; e inoltre, quando si tratta di espropriazione di beni mobili registrati di valore superiore a 25.000 euro, mediante inserimento dell’avviso medesimo, unitamente a una copia dell’ordinanza di vendita e della relazione di stima del bene, in appositi siti internet almeno 45 giorni prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte o della data dell'incanto. L'art. 534 fa inoltre salva la possibilità che il giudice, nell'autorizzare la vendita, disponga forme di pubblicità straordinaria, ex art. 490 (pubblicazione su quotidiani locali o nazionali). Distribuzione del ricavato Gli artt. 541 e 542 prevedono che i creditori possano concordare un piano di riparto per la distribuzione del ricavato, che il giudice, dopo aver sentito il debitore, può recepire nel proprio provvedimento. Qualora ciò non avvenga, oppure il giudice non approvi il piano, ciascun creditore, anche privo di titolo esecutivo, può chiedere che sia il giudice stesso a provvedere alla distribuzione, tenendo conto delle rispettive cause di prelazione. L'art. 540-bis, infine, prevede che, allorché le cose pignorate risultino invendute dopo il secondo o successivo incanto, ovvero quando la somma assegnata non sia sufficiente a soddisfare le ragioni di tutti i creditori, il giudice, ad istanza di uno dei creditori titolati (solo costoro possono provocare i singoli atti dell’espropriazione) muniti di titolo esecutivo, ordini l'integrazione del pignoramento, attraverso la ricerca di ulteriori beni da parte dell'ufficiale giudiziario (art. 518). Se tale ricerca è positiva, il giudice dispone la vendita delle nuove cose pignorate, senza bisogno di una nuova istanza; altrimenti, salvo che debbano completarsi le operazioni di vendita dei beni originariamente pignorati, dichiara d'ufficio l'estinzione del procedimento. Espropriazione presso terzi Oggetto L'espropriazione presso terzi può avere ad oggetto beni mobili di proprietà del debitore, che si trovino nella disponibilità di un terzo (cfr. individuazione dei beni pignorabili come in sede di espropriazione mobiliare presso il debitore) e crediti che il debitore vanti nei confronti di un terzo:  Requisiti: il credito, al momento dell'assegnazione, deve possedere una capacità satisfattiva concretamente apprezzabile, così da poter essere oggetto di assegnazione e vendita. Pertanto, saranno espropriabili i crediti non ancora esigibili, poiché sottoposti a termine o condizione, i crediti illiquidi e quelli futuri, quando derivino da un rapporto giuridico già esistente (es. rapporti di durata – retribuzioni o canoni di locazione non ancora maturati);  Limiti: o Legali: alcuni crediti sono assolutamente impignorabili: a parte le ipotesi risultanti da leggi speciali, l'art. 545.2 menziona i crediti aventi ad oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie e funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. o Limitazioni di carattere relativo: credito pignorabile soltanto per una parte o per il soddisfacimento di determinati altri crediti. L'art. 545 comprende:  Crediti alimentari: pignorabili esclusivamente a tutela di altri crediti alimentari, su autorizzazione del presidente del tribunale e nella misura da lui stabilita con decreto;  Stipendi, salari o altre indennità derivanti da rapporto di lavoro privato (a seguito di interventi della Corte costituzionale, anche quelli derivanti da pubblico impiego sono pignorabili solo nella misura di 1/5) , comprese quelle dovute a causa di licenziamento: pignorabili per crediti alimentari, nella misura autorizzata dal presidente del tribunale, ovvero nei limiti di 1/5 per crediti di natura tributaria dello Stato, delle province o dei comuni ed in egual misura per ogni altro credito; con l'ulteriore limite massimo della metà credito, allorché concorrano simultaneamente più crediti di diversa natura (es. un credito tributario ed un credito di altro genere).  Somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza sono assolutamente impignorabili per un importo pari a una volta e mezza la misura massima mensile dell’assegno sociale (ad oggi €458); mentre, al di là di questo importo, sono pignorabili nella misura di 1/5. Le somme dovute ai titoli del secondo e terzo punto sono ormai corrisposte al debitore mediante accredito su un conto bancario o postale a lui intestato; pertanto, le somme che risultino già accreditate (saldo attivo del conto) sono pignorabili per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale; mentre quelle accreditate successivamente al pignoramento sono pignorabili nei limiti di cui ai punti 2 e 3. La violazione dei divieti e dei limiti è causa di parziale inefficacia del pignoramento, rilevabile dal giudice anche d’ufficio. Pignoramento Il pignoramento si attua per iscritto e si snoda attraverso una struttura piuttosto complessa, poiché l’azione esecutiva, sebbene sia diretta contro il solo debitore (unico soggetto a cui devono notificarsi titolo esecutivo e precetto), produce i suoi effetti anche nei confronti del terzo, sul quale dovrà gravare, alla fine, l’obbligo di consegnare il bene mobile di proprietà del debitore oppure di pagare le somme di cui è a sua volta debitore nei confronti dell’esecutato. Inoltre, il pignoramento presuppone che, in caso di contestazione, si debba pervenire ad un accertamento circa l'effettiva esistenza del bene o del credito pignorato. Il pignoramento si esegue mediante la notifica, al debitore ed al terzo, di un atto che, oltre agli elementi prescritti in generale all'art. 492 (ingiunzione, invito alla dichiarazione di residenza o all'elezione di domicilio,  Cosa mobile: si applicano le disposizioni in tema di assegnazione e vendita dettate per l'esecuzione mobiliare presso il debitore;  Crediti: si distingue: o Esigibilità immediata (oppure in un termine non superiore a 90 giorni): il giudice l’assegna in pagamento, salvo esazione, ai creditori concorrenti, tenendo conto delle cause di prelazione;  L'assegnazione del credito in pagamento (ipotesi più frequente) avviene pro solvendo, nel senso che il diritto del creditore assegnatario nei confronti del debitore originario non si estingue per effetto della sola assegnazione, ma solo in seguito all'effettivo pagamento di quanto dovuto dal terzo; dunque, in caso di mancata riscossione, nulla impedirebbe all'assegnatario di promuovere una nuova procedura esecutiva nei confronti dello stesso debitore originario. o Esigibilità differita: se il termine di esigibilità è maggiore o si tratti di censi o di rendite perpetue o temporanee, l'assegnazione è subordinata ad una richiesta concorde dei creditori, in mancanza della quale è necessario vendere il credito con modalità analoghe a quelle stabilite per la vendita forzata di cose mobili. In base al disposto dell’art. 548, il provvedimento di assegnazione costituisce titolo esecutivo nei confronti del terzo; tuttavia, stando alla ricostruzione che appare preferibile esso determina solamente un trasferimento coattivo del credito, senza fare stato, di per sé, sull’esistenza del credito stesso, fermo restando, peraltro, che l’incontrovertibilità dell’esistenza del credito potrebbe derivare non soltanto dall’ordinanza o dalla sentenza che abbia risolto eventuali contestazioni a norma dell’art. 549, ma pure, indirettamente, dalla irretrattabilità della dichiarazione positiva resa dal terzo. Espropriazione immobiliare Pignoramento L’art. 555 stabilisce che il pignoramento di beni immobili si esegue attraverso la notificazione e successiva trascrizione di un atto – sottoscritto, prima della relazione di notificazione, dal creditore pignorante a norma dell’art. 125 – contenente l'esatta indicazione dei beni e dei diritti immobiliari assoggettati ad espropriazione, con gli estremi catastali richiesti dal Codice civile (art. 2826 c.c.) per l'individuazione dell'immobile ipotecato, oltre all’ingiunzione prevista dall'art. 492. Dopo la notifica del pignoramento, l’ufficiale giudiziario deve consegnare senza ritardo al creditore l’originale dell’atto di pignoramento e la nota di trascrizione restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari, affinché il creditore, entro i 15 giorni successivi alla consegna, provveda a depositare nella cancelleria del giudice competente la nota di iscrizione a ruolo, unitamente a copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, del pignoramento e della nota di trascrizione, e il cancelliere possa conseguentemente formare il fascicolo dell’esecuzione (cfr. anche in questo caso, l’omesso o tardivo deposito dei predetti documenti da parte del creditore fa venir meno l’efficacia del procedimento). L’art. 556 consente al creditore, quando appare opportuno che l'espropriazione avvenga unitariamente, di pignorare insieme con l'immobile anche i mobili che lo arredano: in tal caso è previsto che l'ufficiale giudiziario formi atti separati per l'immobile e per i mobili, ma poi li depositi insieme alla cancelleria del tribunale (cfr. in realtà, l’ufficiale giudiziario dovrebbe solo consegnare i rispettivi atti di pignoramento al creditore, affinché sia quest’ultimo a depositarli in cancelleria, unitamente alle note di iscrizione a ruolo e agli ulteriori documenti necessari). Intervento dei creditori L'intervento dei creditori si considera tempestivo se avviene non oltre la prima udienza per l'autorizzazione della vendita, mentre per l'intervento tardivo l'ultimo momento utile è l'udienza di comparizione delle parti, fissata per la discussione del progetto di distribuzione. Anche in questo caso, però, i creditori intervenuti tardivamente subiscono una penalizzazione, se chirografari, giacché concorrono soltanto alla distribuzione della somma che eventualmente avanzi dopo il soddisfacimento del creditore pignorante, dei creditori intervenuti tempestivamente e di tutti i creditori intervenuti che siano titolari di un diritto di prelazione (i quali, invece conservano integro tale diritto di prelazione anche se intervenuti tardivamente). Anche in questo caso, sebbene l’art. 566 riferisca tale potere ai soli creditori iscritti o privilegiati, la giurisprudenza sostiene che tutti i creditori intervenuti tardivamente siano abilitati, se muniti di titolo esecutivo, a compiere atti d'impulso dell’espropriazione. Custodia dei beni pignorati Le norme sulla custodia degli immobili pignorati – modificate negli ultimi anni – mirano, oltre che ad assicurare la conservazione degli immobili medesimi, a favorirne ed agevolarne la successiva vendita. In primo luogo, l’art. 559 stabilisce ce il pignoramento costituisce automaticamente custode il debitore, senza compenso. Tuttavia, in seguito è previsto che il giudice dell'esecuzione, con provvedimento non impugnabile emesso entro 15 giorni dal deposito della documentazione ipocatastale, deve nominare custode l’istituto vendite giudiziarie o una persona inserita nell'elenco di cui all'articolo 179ter disp. att. (es. avvocato, commercialista o notaio), salvo che la sostituzione nella custodia non abbia alcuna utilità ai fini della conservazione o della amministrazione del bene o per la vendita.  La ratio di tale previsione si individua nell’esigenza che il custode divenga un punto di riferimento per i soggetti interessati all’acquisto dell’immobile – collaborazione che non si avrebbe dal debitore esecutato, che non ha alcun interesse a facilitare la vendita. Il custode nominato collabora con l'esperto che verrà successivamente designato per la valutazione dell’immobile pignorato, redigendo, entro il termine fissato dallo stesso giudice dell’esecuzione, un’apposita relazione informativa in merito alla completezza della documentazione. Inoltre, egli provvede, previa autorizzazione del giudice, all'amministrazione e alla gestione dell'immobile pignorato, esercitando le azioni previste dalla legge ed occorrenti per conseguirne la disponibilità; e può essere sostituito dal giudice allorché si rende inadempiente agli obblighi su di lui incombenti. Il debitore ed i familiari con lui conviventi conservano il diritto di godimento dell’immobile e delle relative pertinenze fino alla pronuncia del decreto di trasferimento, spettando al custode nominato il dovere di vigilare affinché il bene pignorato sia conservato con la diligenza del buon padre di famiglia e ne sia tutelata l’integrità. Il debitore, dal canto suo, non può dare in locazione l’immobile pignorato senza l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione ed è tenuto a consentire, in accordo con il custode, che esso sia visitato dai potenziali acquirenti, secondo le modalità stabilite dal giudice nella ordinanza che autorizzi la vendita, e sono tenuti a presentare il rendiconto della gestione. Liberazione dell’immobile Il giudice dell'esecuzione ordina la liberazione dell'immobile, per cui si distingue:  Immobile non occupato: se l'immobile non è abitato dell'esecutato e dal suo nucleo familiare oppure è occupato da un soggetto privo di titolo opponibile alla procedura, la liberazione deve essere disposta al più tardi entro il momento in cui viene pronunciata l'ordinanza con cui è autorizzata la vendita o sono delegate le relative operazioni;  Immobile occupato: se l'immobile è abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare, l'ordine di liberazione viene di regola emesso contestualmente al decreto di trasferimento. Tuttavia, il giudice, sentite le parti e il custode, può anticipare la pronuncia del provvedimento, quando venga ostacolato l'esercizio del diritto di visita dei potenziali acquirenti; impedito lo svolgimento delle attività degli ausiliari o del giudice; quando l'immobile non viene adeguatamente tutelato o mantenuto in uno stato di buona conservazione o, infine, quando il debitore vìola altri obblighi posti dalla legge a suo carico. In ogni caso, l'ordine di liberazione è impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi ed deve essere attuato dal custode anche se successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento, nell'interesse e senza spesa a carico dell'aggiudicatario o dell'assegnatario, salvo che questi ultimi le esoneri non espressamente dal provvedervi per attuare coattivamente il provvedimento, il custode può essere autorizzato dal giudice ad avvalersi della forza pubblica e a nominare degli ausiliari, mentre resta esclusa l'osservanza delle formalità previste per il rilascio di immobili. Infine, se nell'immobile si trovano beni mobili che non devono essere consegnati, il custode intima – nel verbale o mediante atto notificato a cura del custode – il soggetto tenuto al rilascio di asportarli, assegnandogli un termine non inferiore a 30 giorni, salvi i casi di urgenza. Se l'asporto non è eseguito entro il termine, i beni mobili sono considerati abbandonati e il custode ne cura lo smaltimento o la distruzione, salvo diversa disposizione del giudice. Autorizzazione della vendita L’art. 567 stabilisce che il creditore – pignorante o munito di titolo esecutivo – che presenta l'istanza di vendita ha l'onere di depositare, entro il termine ex art. 497 (cfr. 45 giorni dal pignoramento), l'estratto catastale dell’immobile e i certificati concernenti le iscrizioni o trascrizioni intervenute nei 20 anni anteriori alla trascrizione del pignoramento, al fine di accertare l’effettiva titolarità e la situazione giuridica del bene pignorato e che, peraltro, può essere rimpiazzata da un certificato notarile che attesti le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari. La proroga di questo termine è ammessa per giusti motivi, una sola volta e fino ad un massimo di ulteriori 45 giorni, su istanza di qualunque creditore o dello stesso esecutato. Il giudice, inoltre, assegna di propria iniziativa al creditore un altro termine di 45 giorni allorché ritiene che la documentazione presentata debba essere completata.  Sebbene la formulazione della norma sia lacunosa, sembra lecito ritenere che si tratti di una proroga ulteriore rispetto a quella eventualmente già concessa ed anch’essa subordinata all’esistenza di giusti motivi, ossia alla circostanza che l’incompletezza della documentazione non sia direttamente addebitabile al creditore istante. Se la documentazione viene tempestivamente prodotta, il giudice, nei successivi 15 giorni, provvede alla nomina di un esperto, che deve prestare giuramento in cancelleria mediante sottoscrizione del verbale di accettazione dell’incarico, fissando contestualmente anche la data dell'udienza (da tenersi entro 90 giorni) destinata alla comparizione delle parti (debitore esecutato, creditore pignorante ed eventuali creditori intervenuti), nonché dei creditori non intervenuti ma titolari di diritti di prelazione risultanti da pubblici registri. L'esperto, dopo aver verificato la completezza della documentazione prodotta e segnalato al giudice le eventuali lacune, redige, prima di tale udienza, una relazione di stima dell'immobile pignorato, che, accanto alla determinazione del suo valore di mercato, deve contenere, a norma dell’art. 173-bis disp. att., una serie di elementi diretti ad agevolare il controllo e le valutazioni del giudice, delle parti e successivamente degli stessi soggetti eventualmente interessati all'acquisto (cfr. stato di possesso dell'immobile, con l'indicazione, se occupato da terzi, del titolo della relativa occupazione, l'esistenza di formalità, vincoli ed oneri, anche di natura condominiale, gravanti sul bene e destinati a rimanere a carico dell'acquirente, nonché di quelli che saranno cancellati o non saranno opponibili all’acquirente). La relazione deve essere trasmessa dallo stesso esperto ai creditori – procedenti o intervenuti – e al debitore esecutato tramite posta elettronica certificata oppure, quando ciò non sia possibile, a mezzo di telefax o posta ordinaria; e le parti possono, dal canto loro, depositare direttamente all'udienza delle note concernenti la relazione, purché le abbiano preventivamente trasmesse all’esperto, con le medesime modalità, almeno 15 giorni prima; nel qual caso l'esperto interviene all'udienza per rendere gli opportuni chiarimenti.  In caso di inadempimento del deposito della documentazione entro il termine originario o prorogato, il giudice, previa audizione delle parti, dichiara con ordinanza, l’inefficacia del pignoramento per l’immobile per il quale non è stata depositata la prescritta documentazione, cui fa seguito l'ordine di cancellazione della trascrizione del pignoramento (e l'estinzione del processo esecutivo se non ci sono altri beni pignorabili). Nella stessa udienza, il giudice dispone la vendita, con ordinanza, se non ci sono opposizioni o se su di esse si raggiunge l'accordo delle parti comparse. In caso contrario, prima di dar via alla vendita, il tribunale deve decidere sulle opposizioni con sentenza. Per quel che concerne il contenuto del provvedimento autorizzativo della vendita, disciplinato dall’art. 569, è previsto che di regola debba esperirsi la procedura della vendita senza incanto, nella quale chiunque, escluso il debitore, può presentare, entro il termine fissato dal giudice, una propria offerta di acquisto dell'immobile, nel rispetto del prezzo minimo e delle altre condizioni indicate nell'ordinanza di vendita. Qualora intervengano più offerte, si dispone una successiva gara tra gli offerenti medesimi.  Viceversa, la vendita all’incanto può disporsi solamente quando il giudice ritenga probabile ch’essa potrà aver luogo ad un prezzo superiore almeno della metà rispetto al valore di stima dell’immobile. L'ordinanza che dispone la vendita, pertanto, deve indicare, oltre al prezzo-base dell’immobile, determinato con riguardo al suo valore di mercato, sulla base degli elementi forniti dalle parti e dall’esperto:  Se la vendita avverrà in unico lotto o in più lotti; di un contratto di mutuo, che preveda l'erogazione diretta dell'importo finanziato in favore della procedura e sia assistito da ipoteca di primo grado sullo stesso immobile, la cui iscrizione deve essere contestuale alla trascrizione del decreto di trasferimento (art.585.3). Una volta che il pagamento sia avvenuto, il giudice deve pronunciare il decreto con cui trasferisce all'aggiudicatario il bene espropriato, ripetendo la descrizione dell'immobile contenuta nell'ordinanza che aveva disposto la vendita (affinché il decreto medesimo possa essere trascritto) ed ordinando la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie su di esso gravanti, a meno che queste ultime non si riferiscano ad obbligazioni assunte dallo stesso aggiudicatario. Il decreto, cui compete l’effetto traslativo della proprietà del bene, deve contenere anche l'ingiunzione, rivolta al debitore o al custode, a rilasciare l'immobile all'acquirente e costituisce titolo esecutivo per il rilascio nei confronti di chiunque detenga il bene; a meno, ovviamente, che questo non possa vantare un diritto reale o personale opponibile all’aggiudicatario (es. art.2923 c.c. in materia di locazione). L'art. 586, peraltro, attribuisce al giudice il potere discrezionale di sospendere la vendita, rifiutando, dunque, il decreto di trasferimento e disponendo un nuovo incanto, quando ritenga che il prezzo per cui è avvenuta l'aggiudicazione sia notevolmente inferiore a quello giusto. Tale disposizione, introdotta all’inizio degli anni ’90, mirava essenzialmente a rimediare ad eventuali interferenze illecite di cui il giudice potesse aver avuto sentore; ma si ritiene, in assenza di specifiche limitazioni testuali, che essa sia utilizzabile ogni volta che il prezzo di aggiudicazione si discorsi considerevolmente, per fatti sopravvenuti o per circostanze pre-esistenti di cui si era omesso di tener conto nella fissazione del prezzo base dell’asta, del valore effettivo ed attuale dell’immobile. Assegnazione e ulteriori possibilità in caso di mancata vendita Fino a 10 giorni prima della data dell’udienza fissata per la vendita, ciascuno dei creditori, pignorante o intervenuto, può presentare istanza – in via, dunque, necessariamente anticipata – di assegnazione dell'immobile pignorato per sé o a favore di un terzo (non necessariamente indicato nell’istanza), per l'eventualità che il successivo incanto non sortisca esito positivo per mancanza di offerte (art.588). L'istanza deve contenere l'offerta di pagamento di una somma che non sia inferiore né al prezzo-base d'asta né all'importo determinato a norma dell'art. 506, a meno che non provenga dal creditore procedente, in assenza di altri creditori intervenuti o aventi diritti di prelazione risultanti da pubblici registri; nel qual caso l'offerta può essere contenuta in una somma pari alla differenza tra il prezzo offerto per l'immobile e la sorte capitale del credito di cui l'istante è titolare, oltre le spese (assegnazione satisfattiva). Se, essendo state presentate istanze di assegnazione, la vendita all'incanto non riesce, il giudice provvede su di esse e, se ne accolga una, fissa il termine per il versamento dell'eventuale conguaglio da parte dell'assegnatario, pronunciando il decreto di trasferimento dell’immobile. Se viene accolta un’istanza di assegnazione che era stata formulata a favore di un terzo, il creditore istante è tenuto, entro 5gg dalla pronuncia in udienza del provvedimento di assegnazione o dalla sua comunicazione, a dichiarare in cancelleria il nome del terzo cui deve essere trasferito l’immobile, depositando altresì la dichiarazione del terzo stesso di volerne profittare (art.590bis). In mancanza, il bene verrà trasferito in favore dello stesso creditore, che in ogni caso è l’unico soggetto sul quale gravano gli obblighi derivanti dalla presentazione dell’istanza di assegnazione (a cominciare, da quello al pagamento della somma offerta). In mancanza di istanze di assegnazione o quando il giudice ritenga di non accoglierne nessuna, il giudice può (art. 591):  Ricorrere all'amministrazione giudiziaria dell'immobile, per un periodo non superiore a 3 anni;  Disporre, ai sensi dell’art. 576, la vendita all’incanto per il prezzo base anteriormente stabilito, qualora ritenga che tale modalità di vendita possa aver luogo ad un prezzo superiore di almeno il 50% rispetto a quel prezzo base;  Disporre un nuovo tentativo di vendita senza incanto, stabilendo eventualmente nuove forme di pubblicità e/o nuove condizioni di vendita, nonché un prezzo base inferiore fino ad un quarto a quello precedente (cfr. la procedura riparte con una prima fase di vendita senza incanto, essendo previsto che il provvedimento debba assegnare un nuovo termine, compreso tra 60 e 90 giorni, per la presentazione di offerte di acquisto ex art. 571). o Se neppure il secondo tentativo di vendita ha successo per mancanza di offerte, e però vi sono domande di assegnazione il giudice assegna il bene al creditore o ai creditori richiedenti, fissando il termine per il versamento dell’eventuale conguaglio da parte dell’assegnatario. In assenza di domande di assegnazione, invece, si ripropongono al giudice le medesime opzioni (ricorso all’amministrazione giudiziaria, vendita all’incanto, nuova vendita senza incanto per un prezzo eventualmente ribassato). Possibile delega delle operazioni di vendita L’art. 591bis, per alleviare considerevolmente il lavoro del giudice dell’esecuzione e della sua cancelleria, ha previsto che l'intero complesso delle operazioni di vendita deve essere delegato ad un notaio, avvocato o commercialista, iscritti in appositi elenchi – riservando al giudice esclusivamente la pronuncia del decreto di trasferimento e dei provvedimenti accessori in esso contenuti –, salvo che il giudice, sentiti i creditori, ravvisi l’esigenza di procedere direttamente alle operazioni di vendita a tutela degli interessi delle parti.  In particolare, il giudice dovrà limitarsi a stabilire, con l’ordinanza che dispone la vendita, accanto agli elementi di cui all’art. 569.3, il termine finale per il completamento delle operazioni delegate; dispone lo svolgimento, entro il termine di un anno dall'emissione dell'ordinanza, di un numero di esperimenti di vendita non inferiore a tre; stabilisce le modalità di effettuazione della pubblicità, il luogo di presentazione delle offerte d'acquisto e ove si procede all'esame delle stesse, alla gara tra gli offerenti ed alle operazioni dell'eventuale incanto (luogo che potrebbe coincidere, ad es., con lo studio del notaio o avvocato commercialista designato);  Il professionista delegato deve provvedere a tutto il resto (cfr. determinazione del valore dell'immobile, per la quale dovrà tener conto della relazione di stima dell'esperto nominato dal giudice e delle note delle parti; adempimenti pubblicitari cui è soggetto il provvedimento autorizzativo della vendita; provvedimenti relativi alla deliberazione sull'unica offerta o alla gara tra più offerenti; operazioni dell’eventuale incanto e l'aggiudicazione provvisoria; provvedimenti conseguenti alle eventuali offerte dopo l'incanto, all'inadempienza dell'aggiudicatario, oppure al fallimento del precedente tentativo di vendita; e la deliberazione sulle istanze di assegnazione). Inoltre, quando sia avvenuto il versamento del prezzo da parte dell'aggiudicatario definitivo, egli predispone il decreto di trasferimento da sottoporre alla firma del giudice e, dopo la pronuncia del provvedimento, cura tutte le formalità connesse (registrazione, trascrizione e voltura catastale del decreto; cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie relative all’immobile). Nell’espletamento del suo incarico, il professionista agisce con ampia autonomia, ferma restando la possibilità che egli si rivolga al giudice dell’esecuzione per avere da lui direttive, quando nel corso delle operazioni insorgono difficoltà, per cui il giudice provvede con decreto, senza essere tenuto a sentire previamente le parti (art. 591ter). Queste, dal canto loro, possono proporre reclamo sia contro il decreto reso dal giudice su sollecitazione del professionista sia direttamente contro gli atti di questo (dopo che siano stati compiuti). Su tale reclamo, sottratto ad uno specifico termine e inidoneo a sospendere le operazioni di vendita, salvo che non sia il giudice a provvedere in tal senso, in presenza di gravi motivi, decide lo stesso giudice dell'esecuzione con ordinanza, contro la quale è esperibile il reclamo al collegio ex art.669-terdecies. In ogni caso, il giudice dell'esecuzione vigila sul regolare e tempestivo svolgimento delle attività delegate e sull'operato del professionista delegato, al quale può in ogni momento richiedere informazioni sulle operazioni di vendita. Inoltre, sentito l'interessato, il giudice dell'esecuzione provvede alla sostituzione del delegato qualora non siano rispettati i termini e le direttive per lo svolgimento delle operazioni di vendita, salvo che il professionista delegato dimostri che il mancato rispetto della delega sia dipeso da causa a lui non imputabile. Infine, il professionista delegato deve depositare un rapporto riepilogativo delle attività svolte in conformità a modelli predisposti dal giudice dell'esecuzione e contengono i dati identificativi dell'esperto che ha effettuato la stima:  Iniziale: entro 30 giorni dalla notifica dell'ordinanza di vendita;  Periodico: a decorrere dal deposito del rapporto riepilogativo iniziale e dopo ciascun esperimento di vendita;  Finale: entro 10 giorni dalla comunicazione dell'approvazione del progetto di distribuzione e successivamente al deposito dell'ultimo rapporto riepilogativo periodico. Vendita diretta La Riforma Cartabia ha introdotto la possibilità che lo stesso debitore, che dovrebbe aver interesse a far vendere il bene ad un giusto prezzo, si attivi presentando l’offerta di acquisto di un terzo e chiedendo che l’immobile pignorato sia venduto direttamente all’offerta. Se il prezzo è congruo rispetto al valore di mercato dell’immobile e nessuno dei creditori a ciò legittimati vi si oppone, la procedura può condurre celermente all’aggiudicazione dell’immobile. In particolare, gli artt. 568bis e 569bis prevedono:  Istanza: il debitore, non oltre 10 giorni prima della udienza di autorizzazione della vendita, può depositare in cancelleria l’istanza al giudice di disporre la vendita diretta dell'immobile pignorato o di uno degli immobili pignorati, insieme – a pena di inammissibilità – all’offerta di acquisto e ad una cauzione on inferiore al decimo del prezzo offerto. o L’istanza deve essere notificata, a cura del debitore o dello stesso offerente, almeno 5 giorni prima dell'udienza, al creditore procedente, a quelli titolari di un diritto di prelazione risultante da pubblici registri (es. ipoteca) e a quelli intervenuti prima del deposito dell'offerta medesima.  Udienza: il giudice deve verificare che il prezzo offerto non sia inferiore al prezzo base determinato ex art. 568: o Inammissibilità: se l’offerta è inferiore al prezzo base, il giudice fissa un termine di 10 giorni per integrare l’offerta e la cauzione, adeguandole al prezzo base; in mancanza di integrazione o in caso di inammissibilità ab origine, dichiara, entro 5 giorni, inammissibile l’istanza e dispone che la vendita abbia luogo secondo le modalità ordinarie; o Aggiudicazione: se l’offerta, anche eventualmente integrata, è almeno pari al prezzo base, il giudice la dichiara ammissibile e, se nessuno dei creditori intervenuti munito di titolo esecutivo o titolare in un diritto di prelazione risultante da pubblici registri propone opposizione entro la stessa udienza di autorizzazione della vendita, aggiudica l’immobile all’offerente (è il professionista eventualmente delegato ad occuparsi delle operazioni successive).  Opposizione: se un creditore titolato o uno di quelli intervenuti si oppone all'aggiudicazione, deve darsi luogo ad un’ordinaria vendita senza incanto (con proseguo da parte del professionista delegato delle operazioni successive) – che tuttavia muove da un’offerta irrevocabile già acquisita. In particolare, il giudice, con ordinanza:  Fissa un termine non superiore a 45 giorni per l'effettuazione della pubblicità dell'offerta pervenuta e della vendita;  Fissa il termine di 90 giorni per la formulazione di ulteriori offerte di acquisto ad un prezzo non inferiore a quello dell'offerta già presentata, garantite da cauzione in misura non inferiore a un decimo del prezzo proposto;  Convoca il debitore, i comproprietari, il creditore procedente, i creditori intervenuti, i creditori iscritti e gli offerenti a un'udienza che fissa entro 15 giorni dalla scadenza del termine dei 90 giorni per la deliberazione sull'offerta e, in caso di pluralità di offerte, per la gara tra gli offerenti;  Prevede, salvo che sia pregiudizievole per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura, che il versamento della cauzione, la presentazione delle offerte, lo svolgimento della gara tra gli offerenti nonché il pagamento del prezzo siano effettuati con modalità telematiche.  Decreto di trasferimento: il giudice, con il provvedimento di aggiudicazione al migliore offerente, stabilisce le modalità di pagamento del prezzo da versare entro 90 giorni, a pena di decadenza. Se il prezzo viene regolarmente versato, il giudice pronuncia decreto di trasferimento o, su istanza dell’aggiudicatario, autorizza il trasferimento con atto negoziale, ordinando, contestualmente alla relativa trascrizione, la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie (il notaio stipula l’atto pubblico e ne trasmette copia al cancelliere o al professionista, che provvedono al deposito del fascicolo). o Se il prezzo non viene versato – o comunque il bene non viene aggiudicato – il giudice dispone con decreto che la vendita avvenga con modalità ordinarie. Distribuzione del ricavato Quando il ricavato della vendita deve essere ripartito tra più creditori, il professionista eventualmente delegato provvede, entro 30 giorni dal versamento del prezzo, deve redigere, secondo le direttive impartite dal giudice dell’esecuzione, un progetto di distribuzione, anche parziale, contenente la graduazione dei creditori  Rilascio di un determinato immobile: il procedimento è leggermente più complesso, dovendosi preavvertire la parte esecutata del giorno e dell'ora in cui l'esecuzione avrà materialmente inizio, con l'accesso dell'ufficiale giudiziario sul posto. Tali esecuzioni possono aver luogo in base ad un titolo esecutivo giudiziale, ad un verbale di conciliazione o in forza di un atto pubblico, le cui disposizioni ad esse comuni sono piuttosto scarne:  Atto di precetto (art. 605): contiene, oltre agli elementi previsti dall'art. 480, la descrizione sommaria dei beni da consegnare o rilasciare e, qualora nel titolo si stabilisca un certo termine per la consegna o il rilascio, deve farne riferimento nell’intimazione;  Estinzione (art. 608-bis): prevede l'estinzione del procedimento per rinuncia della parte istante.  Provvedimenti temporanei (art. 610): qualora nel corso dell'esecuzione sorgano difficoltà che non ammettano dilazione, ciascuna parte può chiedere al giudice dell'esecuzione, anche verbalmente, i provvedimenti temporanei occorrenti. o La norma si presta ad essere usata con una certa elasticità, di fronte sia a difficoltà di ordine materiale e giuridico; fermo restando, tuttavia, che tali provvedimenti si ritengono in ogni tempo revocabili e modificabili e non possono avere ad oggetto, neppure indirettamente, il diritto di procedere ad esecuzione forzata (poiché, altrimenti, rivestirebbero la natura di sentenza).  Spese dell’esecuzione (art. 611): la liquidazione delle spese del procedimento (comprese le spese di difesa) è fatta dal giudice dell'esecuzione con decreto che costituisce titolo esecutivo ex artt. 91 ss., cioè a carico della parte esecutata e deve comprendere anche il rimborso delle spese dell'eventuale rappresentanza tecnica. o In assenza di una disposizione ad hoc, si ritiene che tale provvedimento abbia natura monitoria, come se si trattasse di un decreto ingiuntivo, e sia quindi impugnabile tramite un'opposizione davanti allo stesso giudice che l'ha pronunciato. Esecuzione per rilascio di immobile L’art. 608 disciplina, nello specifico, il modo del rilascio di immobile, che ha formalmente inizio con un preavviso che l'ufficiale giudiziario, su sollecitazione della parte istante, deve notificare all'intimato almeno 10 giorni prima dell'accesso al luogo dell'esecuzione, specificando il giorno e l'ora in cui tale accesso avverrà. Nel giorno e nell’ora stabiliti, l’ufficiale giudiziario si reca sul luogo, e, facendo uso all'occorrenza dei poteri coercitivi a lui attribuiti dall’art. 513, immette la parte istante o altra persona da lei designata nel possesso dell'immobile, consegnandole le chiavi o ingiungendo agli eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore.  L’esecuzione è utilizzabile, in linea di principio, anche quando l’immobile sia materialmente detenuto da un soggetto diverso da quello che dal titolo risulta obbligato al rilascio. Spesso, le operazioni occorrenti per portare a compimento l’esecuzione non possono essere esaurite in un solo giorno (es. difficoltà da risolvere ai sensi dell’art. 610), per cui l’ufficiale giudiziario può accedere più volte all’immobile, senza però dover reiterare in ogni occasione l’avviso di cui all’art. 608. Nel caso frequente in cui nell’immobile oggetto di rilascio si trovino dei beni mobili, appartenenti alla parte esecutata o ad un terzo, l’art. 609 prevede che l'ufficiale giudiziario intima alla parte tenuta al rilascio ovvero a colui al quale gli stessi risultano appartenere di asportarli, assegnandogli il relativo termine. Dell'intimazione si dà atto a verbale ovvero, se colui che è tenuto a provvedere all'asporto non è presente, mediante atto notificato a spese della parte istante. Scaduto inutilmente questo termine, se la parte istante lo richiede – assumendosi in tal modo l’onere delle relative spese – l’ufficiale giudiziario determina il presumibile valore di realizzo dei beni ed indica le prevedibili spese di custodia e di asporto, eventualmente avvalendosi di uno stimatore, indicando altresì le spese occorrenti per la loro custodia e trasporto: quando può ritenersi che il valore dei beni è superiore alle spese di custodia e di asporto, l'ufficiale giudiziario, sempre su istanza e a spese della parte istante, nomina un custode e lo incarica di trasportare i beni in altro luogo per poi provvedere alla loro vendita senza incanto nelle forme previste per la vendita dei beni mobili pignorati, secondo le modalità disposte dal giudice dell’esecuzione per il rilascio. Altrimenti, se mancano l’istanza oppure l’anticipazione delle spese occorrenti e, nel contempo, non appare evidente l'utilità del tentativo di vendita, i beni si considerano abbandonati e l'ufficiale giudiziario, salva diversa richiesta della parte istante, ne dispone lo smaltimento o la distruzione. Identico esito è previsto anche quando il tentativo di vendita non abbia avuto successo. Fino alla vendita oppure allo smaltimento/distruzione, peraltro, il proprietario dei beni può sempre chiederne la riconsegna al giudice dell’esecuzione, previo pagamento delle spese e dei compensi per la custodia e l’asporto. Se sono rinvenuti documenti inerenti lo svolgimento di attività imprenditoriale o professionale oppure cose sequestrate o pignorate, l’ufficiale giudiziario deve dare immediatamente notizia dell’avvenuto rilascio tanto al creditore che aveva richiesto il sequestro o il pignoramento, quanto al giudice dell’esecuzione, anche in vista dell’eventuale sostituzione del custode. Esecuzione degli obblighi di fare o non fare L’esecuzione forzata, trattandosi di un'attività di tipo sostitutivo e surrogatorio rispetto a quella che sarebbe richiesta dal diritto sostanziale al debitore, non è utilizzabile per l'attuazione di obblighi, materialmente o giuridicamente, infungibili. Inoltre, l'obbligo di non fare, in quanto tale, non è suscettibile di esecuzione forzata in forma specifica, potendo invece giustificare, in caso di inosservanza, una condanna a disfare, ossia a distruggere, a spese dell’obbligato, ciò che era stato realizzato in violazione dell’obbligo, ex art. 2933 c.c. (l’unica eccezione si ha quando la distruzione della cosa sia di pregiudizio all'economia nazionale), ed un eventuale risarcimento danni. Spesso tuttavia il confine tra obblighi fungibili e infungibili può risultare sfumato e incerto, anche in considerazione della formulazione dell’art. 612, che discorre di sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, perché questa forma di esecuzione forzata si ritiene consentita esclusivamente in presenza di un titolo esecutivo giudiziale (cui oggi deve peraltro equipararsi il verbale di conciliazione anche se formato fuori dal processo), sul presupposto che la fungibilità dell'obbligo debba essere valutata, in via preventiva, dal giudice della cognizione. Procedimento L’art. 612 dispone che chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell'esecuzione (individuato con riferimento al luogo in cui l'obbligo deve essere adempiuto, ex art. 26) che siano determinate le modalità concrete dell'esecuzione.  Infatti, il titolo si limita a determinare l'obiettivo che il creditore ha diritto di conseguire in virtù dell'obbligo di fare o disfare imposto al debitore, senza stabilire come tale obiettivo debba essere raggiunto; il che, a seconda dei casi, potrebbe esigere attività piuttosto complesse e anche di natura non meramente materiale. Sebbene l’art. 612 menzioni esclusivamente la designazione dell’ufficiale giudiziario che deve procedere all’esecuzione e delle persone che devono provvedere al compimento dell’opera non eseguita oppure alla distruzione di quella illegittima, l’opinione prevalente ammette che il giudice dell'esecuzione possa specificare ed integrare il comando eventualmente generico contenuto nel titolo , optando anche, discrezionalmente, tra le più soluzioni che dovessero essere in astratto praticabili per realizzare l’obiettivo indicato. In ogni caso, però, si esclude che il giudice dell'esecuzione, nel provvedervi, possa travalicare i limiti del titolo esecutivo, stabilendo modalità che si pongano in contrasto con esso. Il giudice decide di regola con ordinanza, dopo aver sentito la parte obbligata. Su istanza dell'ufficiale giudiziario incaricato può impartire anche con decreto inaudita altera parte le opportune disposizioni occorrenti per superare le difficoltà sorte nel corso dell'esecuzione (art. 613). In entrambi i casi, il provvedimento sarà soggetto all'opposizione agli atti esecutivi.  Secondo un recente orientamento, il regime del provvedimento dato dal giudice avrebbe in ogni caso – finanche quando il giudice avesse definito il procedimento esecutivo, pronunciando sulle relative spese – natura sommaria, in quanto equivarrebbe al provvedimento con cui si conclude la prima fase dell’opposizione alla esecuzione; sicché esso non sarebbe autonomamente impugnabile, ed il rimedio sarebbe rappresentato dalla possibilità di instaurare il giudizio di merito a cognizione piena. Misure di coercizione indiretta La riforma del 2009 ha introdotto una misura coercitiva di natura civile per assicurare l’esecuzione (indiretta) delle condanne aventi ad obblighi di fare infungibile o di non fare, che non possono trovare attuazione attraverso il processo esecutivo; mentre il d.l. 83/2015 ha esteso enormemente l’ambito applicativo dell’istituto, stabilendo che esso può essere utilizzato per garantire l’attuazione di provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro (cfr. obblighi di fare, di non fare, di consegnare beni mobili o di rilasciare beni immobili, indipendentemente dalla loro fungibilità o infungibilità). In particolare, l’art. 614-bis prevede che il giudice, con il provvedimento di condanna, deve:  Fissare su richiesta di parte, salvo ciò sia manifestamente iniquo, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento, determinata tenendo conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato e prevedibile e di ogni altra circostanza utile;  Determinare la decorrenza della misura, al fine di dare all'obbligato la concreta possibilità di adempiere, in relazione alla natura e all'eventuale complessità della prestazione dovuta, e può anche fissare un termine massimo della sua durata tenendo conto della finalità della stessa e di ogni circostanza utile, per evitare che le penalizzazioni del debitore divenga eccessiva e sproporzionata alla gravità dell'inadempimento. Il provvedimento costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione, inosservanza o ritardo (cfr. misura coercitiva civile di carattere generale, che mira ad assicurare la collaborazione dell’obbligato per l’adempimento di qualunque obbligo che non abbia ad oggetto il pagamento di una somma di denaro – non è un’esecuzione forzata vera e propria né la sola esecuzione degli obblighi di fare o disfare). La riforma Cartabia ha successivamente previsto che la sua applicazione compete, non solo esclusivamente al giudice della cognizione (che si trova nella migliore posizione di determinare l’an e il quantum), ma anche al giudice dell'esecuzione, qualora non sia stata chiesta nel processo di cognizione oppure quando il titolo esecutivo sia diverso da un provvedimento di condanna (es. verbale di conciliazione; accordo raggiunto in sede di mediazione o negoziazione assistita). Infine, il provvedimento di applicazione della misura coercitiva costituisce una statuizione accessoria rispetto alla condanna principale, concernente l’adempimento dell’obbligo di fare, non fare, consegnare o rilasciare, da cui si deve considerare dipendente, in quanto ogniqualvolta questa sia caudata dal giudice dell’impugnazione ne resterà automaticamente travolta ex art. 336 1° co., anche la condanna comminata per l’ipotesi dell’inadempimento e sorgerà il diritto alla ripetizione delle somme eventualmente pagate in esecuzione della sentenza riformata o cassata. Problematiche L’istituto prospetta varie incognite interpretative:  Ambito di applicazione: ne sono espressamente escluse, in base al primo comma, le controversie di lavoro subordinato, pubblico o privato, e quelle relative ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 409, considerata la naturale incoercibilità delle obbligazioni gravanti sul lavoratore (meno se si considerano quelle gravanti sul datore di lavoro-imprenditore). o Dubbi di illegittimità costituzionale, in quanto un’analoga esclusione non è stata prevista per i rapporti di lavoro autonomo o professionale, per i quali si profilano esigenze analoghe dal punto di vista della tutela della dignità e della sfera di libertà del prestatore d’opera.  Manifestamente iniqua: il ricorso all'esecuzione indiretta, ha senso in quanto l'interesse del titolare del diritto leso non può trovare piena ed integrale realizzazione o soddisfazione in altro modo (cfr. la misura non può applicarsi se manifestamente iniqua). D’altra parte, l’art. 2058 c.c. stabilisce che la reintegrazione in forma specifica può essere accordata al danneggiato, in luogo del risarcimento per equivalente, soltanto a condizione che non risulti eccessivamente onerosa per il debitore. Pertanto, si ritiene che l'imposizione di una misura coercitiva debba essere negata quando: o L’adempimento dell'obbligo implicherebbe una penalizzazione eccessiva per il debitore (magari sacrificando anche un suo interesse non patrimoniale); o Il facere infungibile si concreti in una prestazione dal carattere strettamente personale cui si contrappone, dal lato del creditore, un interesse di natura meramente patrimoniale, che può trovare piena soddisfazione nel risarcimento per equivalente.  Titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza successiva: nella specie, si è in presenza di una sorta di condanna in futuro dall'oggetto indeterminato, che l'attore giudice dell'opposizione può disporre, su istanza di parte ed in presenza di gravi motivi, la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo (eventualmente anche solo parziale, quando si contesti solo una parte del titolo), impedendo di utilizzarlo per avviare l'esecuzione;  Esecuzione già iniziata: l'opposizione si propone con ricorso allo stesso giudice dell'esecuzione, il quale fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé ed il termine perentorio entro cui l'opponente deve provvedere alla notificazione del ricorso e del decreto. Siffatta competenza del giudice dell’esecuzione ha un carattere del tutto provvisorio ed è giustificata dalla circostanza che l’opposizione si accompagna normalmente ad una richiesta di sospensione della esecuzione (decide il giudice dell’esecuzione). Dopo questa primissima fase, si passa al giudizio di cognizione vero e proprio; ed allora si torna ad applicare non soltanto i criteri ordinari di competenza (eccezion fatta per quelli relativi al territorio), ma pure lo specifico rito pertinente alla materia della causa. Più precisamente, l’art. 616 prevede che, quantunque la causa concernente l’opposizione debba considerarsi già instaurata e pendente dal momento del ricorso introduttivo, la parte interessata è tenuta a dare nuovo impulso al relativo giudizio, entro il termine perentorio indicato dal giudice, in modi diversi a seconda della competenza rilevata attraverso i criteri ordinari: o Competenza dello stesso ufficio giudiziario (tribunale) cui appartiene il giudice dell'esecuzione: questi fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito (cfr. citazione se deve applicarsi il rito ordinario), previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire dell'art. 163bis, o altri, se previsti, ridotti alla metà; o Competenza di un diverso ufficio giudiziario: il giudice dell'esecuzione deve rimettere ad esso la causa, assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa stessa a norma dell’art.125 disp. att. La ragione della necessità di un siffatto nuovo atto di impulso, che potrebbe anche rappresentare l’occasione per integrare gli originari motivi di opposizione, deve ricondursi alla eventualità che nessuna delle parti, alla luce dell’esito della preliminare fase inibitoria, si mostri interessata ad ottenere una sentenza sul merito dell’opposizione. Tale sentenza, dopo la riforma del 2009, è soggetta a tutte le impugnazioni proprie della sentenza di primo grado, e dunque anche all’appello. Opposizione agli atti esecutivi L'opposizione agli atti esecutivi, riguardando il modo in cui si svolge l'esecuzione, può servire a contestare la regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto, o la legittimità di ogni altro singolo atto del processo esecutivo o provvedimento del giudice dell'esecuzione (cfr. l’opposizione opera come una sorta di impugnazione a critica libera).  Non è del tutto chiaro in quale senso debba intendersi il concetto di regolarità formale adoperato dal legislatore e, se in particolare, esso implichi anche la rilevanza di vizi che non sarebbero motivi di nullità (bensì di mera irregolarità) in base ai principi desumibili dall’art.156. Considerato, peraltro, che l’art. 480.2 contiene un'elencazione dettagliata delle possibili cause di nullità del precetto, che non avrebbe senso se poi si attribuisse rilievo alla mera irregolarità dell’atto, è lecito pensare che l’inclusione di quest’ultima tra i motivi di opposizione debba riguardare esclusivamente il titolo esecutivo (es. omessa applicazione della formula esecutiva) e non anche tutti gli altri atti (notificazione del titolo esecutivo e del precetto) che saranno censurabili solamente per nullità ai sensi del citato art. 156 commi 1 e 2. L'opposizione agli atti esecutivi è assoggettata ad un termine di decadenza di 20 giorni, che decorrono da:  Notificazione del titolo esecutivo o del precetto, quando riguardino vizi propri di tali atti;  Primo atto di esecuzione, se attengono alla stessa notificazione del titolo esecutivo o del precetto (che di conseguenza potrebbero non essere pervenuti a conoscenza del debitore esecutato) ovvero nei casi in cui, pur investendo direttamente il titolo esecutivo o il precetto, sia stato impossibile proporre l'opposizione prima dell'inizio dell'esecuzione;  Giorno del compimento dell'atto, quando il vizio riguardi un diverso atto o provvedimento: in quest’ultima ipotesi, si ritiene che il dies a quo si identifichi col momento in cui l'interessato acquisisce conoscenza effettiva (non necessariamente legale o integrale) dell’atto o del provvedimento, ovvero di un diverso e successivo atto che necessariamente lo presuppone. Dovendosi applicare anche al processo esecutivo la generalissima disposizione contenuta nell’art. 157.2, per cui le nullità sono di regola dichiarativi su eccezione della parte interessata, il rilievo d'ufficio di un vizio formale, da parte del giudice dell'esecuzione, può ammettersi solamente quando, in ragione della peculiare natura del vizio stesso, la nullità debba ritenersi prevista non nell'interesse esclusivo delle parti ma a tutela del corretto esercizio della funzione giurisdizionale; in questo caso, peraltro, per coerenza dovrà ammettersi che la rilevabilità d'ufficio sopravviva alla scadenza del termine per l'opposizione agli atti e possa condurre anche alla revoca o modifica del provvedimento che ne è affetto, finché questo non abbia avuto esecuzione (art. 487). Procedimento Per quel che attiene al modo di instaurazione del giudizio, vale anche per l’opposizione agli atti basata sul momento in cui viene introdotta:  Esecuzione non ancora iniziata (il vizio si riferisce al titolo esecutivo o al precetto): l'opposizione deve essere proposta con un atto di citazione davanti al giudice indicato all'art. 480.3, di regola coincidente col tribunale competente per l’esecuzione;  Esecuzione già iniziata: ricorso al giudice dell’esecuzione, per cui il giudice fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti e il termine perentorio (20 giorni) entro cui tale decreto deve essere notificato, insieme al ricorso, alle altre parti, e poi, all'udienza (con rito camerale), si limita a pronunciare con ordinanza i provvedimenti che ritiene indilazionabili, oppure a sospendere la procedura, assegnando un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito. Nella specie, peraltro, è espressamente previsto che il giudice, già col decreto di fissazione dell'udienza, possa dare, nei casi urgenti, i provvedimenti opportuni, ed inoltre la decisione della causa spetta in ogni caso al giudice dell'esecuzione, sicché è esclusa la rimessione ad un diverso ufficio giudiziario. Il giudizio poi è definito con sentenza non impugnabile, ma ricorribile in cassazione ex art. 111 Cost. e soggetta altresì a regolamento di competenza. Resta da precisare, infine, che l’opposizione agli atti, rappresentando un rimedio di carattere generale rispetto all’illegittimità degli atti e dei provvedimenti del processo esecutivo, è utilizzabile sia dal debitore esecutato che da tutti i soggetti coinvolti in tale processo e, quindi, interessati al suo corretto svolgimento (oltre al creditore procedente e ai creditori intervenuti si considerano in particolare il debitor debitoris, nell’espropriazione presso terzi, e l’aggiudicatario), i quali, quando possano risentire effetti positivi o negativi dall'accoglimento dell'opposizione, si ritiene assumano la qualità di litisconsorti necessari nel relativo giudizio. Opposizione di terzo all’esecuzione L’art. 619 stabilisce che, se l’espropriazione forzata colpisce per errore beni di proprietà di un terzo o sui quali il terzo vanti un diritto reale di godimento, il terzo può opporsi all’esecuzione, senza particolari limiti temporali, purché prima che l'esecuzione si concluda (quindi, prima che venga disposta la vendita o assegnazione dei beni), introducendo un giudizio a cognizione piena avente ad oggetto il diritto affermato dall’opponente. In ogni caso, la scelta dell'opposizione non è l'unico rimedio nelle mani del terzo (es. potrebbe valere la regola possesso vale titolo, oppure agire in revoca ex post), ma è certamente opportuna quando si mira ad ottenere la sospensione dell'esecuzione, nel tempo occorrente perché si decida sull'esistenza del diritto che il terzo vanti sui beni pignorati. Se la sospensione non viene concessa o l'opposizione è proposta in un momento successivo alla vendita ed anteriore al riparto, il terzo potrà far valere il proprio diritto sulla somma ricavata dalla vendita (art. 620). Inoltre, l’art. 621, per proteggere i creditori da possibili accordi fraudolenti tra debitori e terzi, impedisce all'opponente di provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell'azienda del debitore, a meno che l'esistenza stessa del diritto sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal debitore o dal terzo. Si tratta, dunque, di una presunzione legale relativa di appartenenza al debitore di tutti i beni mobili esistenti presso la sua abitazione o azienda, superabile solamente con un atto scritto, avente data certa anteriore al pignoramento, da cui risultino sia il diritto di proprietà del terzo sui beni pignorati, sia il titolo del loro affidamento al debitore esecutato. Procedimento Il procedimento ricalca quello dell’opposizione del debitore; sicché, tenuto conto che in questo caso si tratta necessariamente di un'esecuzione già iniziata, l'opposizione si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione, che fissa con decreto l'udienza di comparizione ed il termine per la notificazione del ricorso e dello stesso decreto. All’udienza poi (in camera di consiglio) è espressamente previsto che le parti possano raggiungere un accordo (es. riconoscendo in tutto o in parte i diritti vantati dal terzo sui beni pignorati): in questo caso il giudice deve darne atto con ordinanza, adottando i provvedimenti diretti ad assicurare, a seconda dei casi, la prosecuzione o l'estinzione del processo esecutivo, e in caso di estinzione statuisce anche sulle spese. Se invece nessun accordo viene raggiunto, il giudice provvede sull'istanza di sospensione dell'esecuzione e poi, a seconda che la competenza sul merito dell'opposizione spetti allo stesso ufficio giudiziario di cui egli fa parte ovvero di uno diverso, fisserà un termine per l'introduzione e per la riassunzione del relativo giudizio. Rapporti tra l’opposizione prevista dall’art. 619 e gli altri rimedi esperibili dal terzo L’opposizione del terzo, stante il preciso riferimento all’esistenza di un diritto reale del terzo sui beni pignorati, parrebbe utilizzabile nei confronti della sola espropriazione e non anche quando la lesione del diritto del terzo derivi da una esecuzione forzata in forma specifica, diretta alla consegna oppure al rilascio oppure alla attuazione di obblighi di fare o disfare, nonché quando sia leso illegittimamente un diritto personale del terzo. Secondo l’opinione più diffusa, dovrebbe distinguersi a seconda che il terzo intenda:  Contestare il diritto del creditore di procedere esecutivamente nei suoi confronti: il rimedio sarebbe offerto dall’opposizione all’esecuzione ex art. 615 (della quale, in definitiva, l’opposizione prevista dall’art.619 è solo una sottospecie);  Rimettere in discussione la legittimità del titolo alla cui formazione egli è rimasto estraneo: la contestazione del titolo esecuzione passerebbe necessariamente attraverso la sua impugnazione nelle forme dell’art. 404, ossia con l’opposizione di terzo (ordinaria o revocatoria). o Nella sua concreta applicazione, tuttavia, tale criterio distintivo appare tutt’altro che inequivoco. Si può pensare, allora, che la necessità di avvalessi dell’opposizione ordinaria (vs. opposizione all’esecuzione) debba circoscriversi alle sole ipotesi in cui, basandosi l’esecuzione forzata su una sentenza, la contestazione del terzo miri espressamente ad ottenere la riforma anche tra le parti. Sospensione e conclusione del processo esecutivo Sospensione La sospensione, nell'ambito del processo esecutivo, serve generalmente ad evitare che un'esecuzione forzata ingiusta o illegittima determini una situazione non reversibile in danno del debitore. Dunque, la sospensione mira essenzialmente a coordinare il processo esecutivo alle varie parentesi di cognizione che possono innestarsi su di esso (in particolare, a seguito di opposizione all'esecuzione o di opposizione agli atti), oppure all'autonomo giudizio in cui si discuta, in sede di impugnazione, dell'esistenza del diritto risultante da un titolo di formazione giudiziale. Svolge in buona sostanza una funzione cautelare, proprio perché destinata a fronteggiare il periculum, rappresentato, per il debitore, dal compimento o anche dal mero inizio della esecuzione. Generalmente, è rimessa al potere discrezionale del giudice. In caso di espropriazione forzata sono poi previste due autonome ipotesi di sospensione: la prima si riferisce specificamente alla fase di distribuzione del ricavato e presume che sia sorta controversia ex art. 512; la seconda riposa sulla volontà concorde dei creditori ex art. 624-bis. Vi sono poi fattispecie di sospensione previste direttamente dalla legge o da essa desumibili (es. l’art. 549, da cui si deduce che l'espropriazione presso terzi è sospesa per il tempo occorrente alla definizione dell'eventuale giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo). A parte le eccezioni viste, la sospensione può derivare esclusivamente da un provvedimento del giudice dell'esecuzione oppure, trattandosi di un titolo esecutivo di formazione giudiziale, del giudice davanti al quale è stato impugnato. In queste ultime ipotesi, come pure nel caso di opposizione al precetto, è altresì possibile ottenere in via preventiva, rispettivamente dal giudice dell’impugnazione o da quello dell’opposizione, la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, la quale impedisce che l'esecuzione forzata abbia inizio e previene l'eventuale danno che al debitore deriverebbe (es. dal pignoramento). Sull'estinzione il giudice dell'esecuzione provvede con ordinanza, soggetta a reclamo al collegio, sia quando dichiari l'estinzione sia quando rigetti la relativa eccezione, entro 20 giorni dalla pronuncia in udienza o dalla comunicazione. Il conseguente procedimento è definito in ogni caso in camera di consiglio con sentenza, impugnabile a sua volta nei modi ordinari. Gli effetti dell’estinzione del processo esecutivo, disciplinati dall’art. 632, sono diversi a seconda del momento in cui essa si verifica: qualora intervenga prima dell’aggiudicazione (anche provvisoria) o dell'assegnazione, l'estinzione rende inefficaci tutti gli atti già compiuti, a cominciare dal pignoramento; in caso contrario, l'aggiudicazione o l'assegnazione non ne vengono travolte e l'estinzione implica solo il diritto del debitore alla consegna della somma che ne è stata ricavata. Con l'ordinanza di estinzione, il giudice deve anche disporre la cancellazione della trascrizione del pignoramento e provvede alla liquidazione del compenso spettante al soggetto cui erano state eventualmente delegate le operazioni di vendita, e, se richiesto, alla liquidazione delle spese sostenute dalle parti. Tenuto conto però che lo stesso art. 632 richiama l’ult. co. art. 310, per cui le spese del processo estinto per inattività delle parti restano definitamente a carico di coloro che le avevano anticipate, si ritiene che il diritto del creditore procedente e di quelli intervenuti al ristoro delle spese sopportare possa derivare esclusivamente da un accordo col debitore in occasione della rinuncia agli atti. PROCEDIMENTI SOMMARI Procedimento per ingiunzione Il procedimento per ingiunzione è uno dei più importanti procedimenti speciali, in quanto costituisce lo strumento attraverso il quale trovano soddisfazione un grandissimo numero di diritti di credito, altrimenti destinati a passare attraverso il processo ordinario o comunque a cognizione piena, garantendo al creditore una tutela rapida, stabile e definitiva, e, al contempo, la deflazione del numero dei giudizi civili. Il procedimento ingiuntivo è monitorio, in quanto caratterizzato dall'assoluto difetto del contraddittorio nella sua prima fase, molto semplice, che in realtà esaurisce il procedimento sommario propriamente detto. Qualora il giudice reputi fondata la domanda del creditore, tale fase si conclude con la pronuncia di un decreto, in cui viene ingiunto al debitore di pagare una certa somma di denaro (o di adempiere, tenuto conto che il diritto vantato dal creditore potrebbe anche avere un oggetto diverso dal pagamento) entro il termine indicato nello stesso provvedimento (normalmente 40 giorni), con l'avvertimento che nello stesso termine gli è consentito proporre opposizione. Se il debitore, a cui deve essere notificato il decreto, non reagisce proponendo tempestiva opposizione, il provvedimento acquista stabilità analoga a quella di una sentenza di condanna passata in giudicato e, qualora non lo fosse già prima, diventa titolo esecutivo. Se invece l'opposizione viene proposta, si aprirà una nuova fase processuale che avrà natura di giudizio a cognizione piena, destinato a concludersi con sentenza, che ovviamente prenderà il posto del provvedimento sommario. Condizioni di ammissibilità Oggetto L’art. 633 prevede che il procedimento d'ingiunzione è utilizzabile per le domande di condanna aventi ad oggetto:  Il pagamento di una somma di denaro liquida, cioè già compiutamente determinata o determinabile nel suo ammontare;  La consegna di una determinata quantità di cose fungibili;  La consegna di una cosa mobile determinata. L’ambito di applicazione è particolarmente ampio, restando escluse soltanto le domande sul rilascio di immobili o l'adempimento di obblighi di fare o disfare. Presupposti Presupposto essenziale è che del diritto fatto valere si deve dare prova scritta, ossia i fatti costitutivi del diritto devono risultare da una prova documentale, non essendo concepibile un'attività istruttoria diretta ad integrare la prova documentale offerta dal creditore, salvo che il diritto posto a base della domanda d'ingiunzione dipenda da una controprestazione o da una condizione, per cui è sufficiente che il ricorrente fornisca una prova indiretta, offrendo elementi atti a far presumere l'adempimento della controprestazione o l'avveramento della condizione. Il concetto di prova scritta è però particolarmente ampio; infatti, ai soli fini della pronuncia del decreto ingiuntivo possono utilizzarsi anche documenti che non varrebbero come prova secondo le regole del processo ordinario. In particolare, la prova scritta può esser data (cfr. indicazioni a carattere esemplificativo):  Dalle polizze e promesse unilaterali per scrittura privata e dai telegrammi, anche se mancanti dei requisiti prescritti dal codice civile;  Limitatamente ai crediti relativi a somministrazione di merci e di denaro o a prestazioni di servizi effettuate da imprenditori esercenti un'attività commerciale, dagli estratti autentici delle scritture contabili (art. 2214 ss. o leggi tributarie), purché bollate o vidimate e tenute secondo le norme stabilite. o Stando ai principi, i libri e le scritture contabili dell'impresa potrebbero eventualmente far prova in favore dell’impresa medesima solamente nei rapporti con altri imprenditori. Ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, invece, essi sono ritenuti sufficienti anche quando il credito sia vantato nei confronti di persone che non esercitano attività commerciale.  Per i crediti di una banca, dall'estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, che deve dichiarare che il credito è vero e liquido;  Per i crediti dello Stato, o di enti o istituti soggetti a tutela o vigilanza dello Stato, dai libri o registri della pubblica amministrazione, a condizione che un funzionario autorizzato o un notaio ne attesti la regolare tenuta a norma delle leggi e dei regolamenti (art. 635.1);  Trattandosi di crediti derivanti da omesso versamento di contributi previdenziali o assistenziali obbligatori inerenti ai rapporti di lavoro, dagli accertamenti eseguiti dall'ispettorato del lavoro o dai funzionari degli enti creditori (art. 635.2).  Qualunque documento, proveniente dal debitore o finanche da un terzo, che sia idoneo a dimostrare, in maniera incontrovertibile, l'esistenza dei fatti costitutivi del diritto vantato, anche quando difetti dei requisiti formali necessari in un giudizio a cognizione piena. Regime di favore per alcuni crediti Lo stesso art. 633 esenta implicitamente dal presupposto della prova scritta i crediti riguardanti onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso spese fatte da avvocati, cancellieri, ufficiali giudiziari o da chiunque altro abbia prestato la sua opera in un processo (es. consulente tecnico), nonché quelli circa onorari o altri emolumenti spettanti ai notai a norma della loro legge professionale oppure ad altri esercenti una libera professione o arte, per la quale esiste una tariffa legalmente approvata (avvocati, ingegneri, architetti, geometri). Per tali crediti la domanda d'ingiunzione deve essere corredata della parcella delle spese e prestazioni, sottoscritta dal ricorrente, nonché, di regola, dal parere del competente consiglio dell'ordine professionale di appartenenza, che evidentemente dovrebbe attestare la congruità degli importi richiesti per ciascuna delle prestazioni. Il parere, infatti, non è necessario quando tali importi siano determinati in base a tariffe obbligatorie, stabilite in misura fissa (e non soltanto nei minimi o nei massimi).  In questi casi, la domanda si fonda, per ciò che concerne la veridicità delle singole voci inserite nella parcella, essenzialmente sulle affermazioni dello stesso creditore, che asserisce di aver compiuto determinate prestazioni o sostenuto determinate spese; potendosi semmai pensare che la prova scritta debba essere pur sempre fornita, trattandosi di un credito professionale, in ordine all’effettivo conferimento dell’incarico (cfr. art. 636.2 allude alla possibilità di un possibile rigetto del ricorso a norma dell’art. 640, cioè per insufficiente giustificazione della domanda). Per il resto, invece, il giudice parrebbe vincolato tanto alla parcella quanto solo stesso parere dell’ordine professionale, cui deve attenersi nei limiti della somma demandata, salva la correzione degli errori. Giudice competente e domanda di ingiunzione L’ art. 637 stabilisce che la competenza per la pronuncia del decreto si determina, di regola, con riguardo ai consueti criteri di competenza (per materia, valore e territorio, in quanto spetta, a seconda dei casi, al giudice di pace o al tribunale in composizione monocratica che avrebbe dovuto conoscere della domanda proposta in via ordinaria.  Inoltre, il ricorrente, quando si tratti di un credito relativo a prestazioni fornite in occasione di un processo, può adire anche l'ufficio giudiziario che ha deciso la causa cui il credito si riferisce. Gli avvocati e i notai, infine, possono rivolgersi anche al giudice competente per valore (giudice di pace o tribunale) del luogo in cui ha sede il consiglio dell'ordine o il consiglio notarile di appartenenza. La domanda di ingiunzione va proposta con ricorso, contenente l'indicazione del giudice adito, le parti, l'oggetto e le ragioni della domanda, le conclusioni, nonché l'indicazione delle prove documentali a supporto dell’istanza. Un altro elemento importante, anche se estraneo alla domanda vera e propria, è rappresentato, nei casi in cui il ricorrente possa stare in giudizio personalmente, dalla dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito; ove questa manchi, le notificazioni dirette al ricorrente saranno eseguite presso la cancelleria (art. 638.2). Il ricorso deve essere depositato in cancelleria unitamente ai documenti allegati, che non potranno essere ritirati prima della scadenza del termine accordato al debitore per l’opposizione. Accoglimento o rigetto della domanda La fase propriamente sommaria del procedimento per ingiunzione è semplicissima, poiché l’unica attività che compete al giudice, una volta che il cancelliere gli abbia sottoposto il ricorso con la documentazione allegata, è provvedere, accogliendo o rigettando la domanda:  Rigetto: può aversi per qualunque ragione, processuale o di merito, che implicherebbe il rigetto della domanda di condanna proposta in via ordinaria (es. mancanza di un presupposto processuale come giurisdizione o competenza, difetto di liquidità o esigibilità del credito vantato dal ricorrente, nullità del contratto sottostante). o Se il giudice ritiene di non poter accogliere la domanda perché insufficientemente giustificata, cioè perché reputa non adeguata a prova fornita dal ricorrente, deve darne notizia al ricorrente tramite il cancelliere, invitandolo ad integrare la prova. In questo caso, il rigetto viene pronunciato, con decreto motivato, solamente se il ricorrente non adempie all'invito né ritira il ricorso, o quando il giudice ritenga di non poter accogliere la domanda neppure dopo l'integrazione della prova. In ogni caso, il rigetto della domanda d'ingiunzione non ha alcun effetto preclusivo, non impedendo la riproposizione della domanda (in quanto non c'è stato contraddittorio) né in via monitoria né tanto meno ordinaria.  Accoglimento (anche parziale): il giudice, entro 30 giorni dal deposito del ricorso, ingiunge all'altra parte, con decreto motivato, di pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose dovute (oppure, in luogo di queste ultime la somma indicata dal creditore) nel termine di 40 giorni dalla notifica, con l'espresso avvertimento che in questo termine potrà proporre opposizione e che, in mancanza di opposizione, si procederà ad esecuzione forzata in suo danno (art. 641). Col medesimo provvedimento, il giudice liquida le spese e le competenze del procedimento, ingiungendone il relativo pagamento. o Una volta che la domanda sia stata accolta, il ricorso e il decreto devono essere portati a conoscenza del debitore, rimasto finora estrano al procedimento, tramite notificazione in copia autentica, cui il ricorrente è tenuto a provvedere entro 60 giorni dalla pronuncia (90 se all'estero). Tale notificazione determina la pendenza della lite, interrompe la prescrizione del diritto, determina la litispendenza, la connessione e la continenza (cfr. è a questa data che si guarda per la produzione degli effetti sostanziali e processuali della domanda). Qualora la notifica non sia effettuata nel termine, il decreto ingiuntivo diventa inefficace – ferma restando la riproponibilità della domanda – e l'intimato ha a disposizione un procedimento semplificato per ottenere che il giudice dichiari, con ordinanza non impugnabile, tale sopravvenuta inefficacia (art. 188 disp. att.). L’opinione dominante, ritiene, tuttavia, che questo procedimento sia utilizzabile solamente per il caso di mancata notifica, poiché, se il creditore ricorrente notifica tardivamente il decreto ingiuntivo, l’intimato può reagire solo attraverso l’opposizione, nel termine per quest’ultima stabilito. Eventuale esecutività provvisoria originaria del decreto ingiuntivo Di regola, il decreto ingiuntivo acquista la qualità di titolo esecutivo solamente con lo spirare del termine per l’opposizione, oppure, nel caso in cui l’opposizione sia stata proposta, dal giorno in cui essa viene rigettata. Disciplina specifica Secondo l’art. 645.1, il processo instaurato dall'opposizione si svolge, in teoria, secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito, con alcune peculiarità:  Mancata o tardiva costituzione dell’attore-opponente: non implica semplicemente le conseguenze dell’art. 290, bensì conduce senz’altro all’improcedibilità dell’opposizione (art.647), che a sua volta rende sostanzialmente immutabile il decreto ingiuntivo;  Poteri delle parti: la posizione processuale delle parti non coincide con quella sostanziale, giacché il creditore-opposto, formalmente convenuto, è in realtà colui che ha proposto la domanda di condanna in via monitoria. Si discute in relazione all’ipotesi che l’opposto proponga, con la propria comparsa di risposta, domande riconvenzionali o comunque diverse da quelle poste a base del ricorso per ingiunzione. Sebbene la giurisprudenza sia di avviso contrario, la soluzione più corretta parrebbe quella di avere riguardo alla posizione formale delle parti e di riconoscere al creditore-opposto, dunque, tutti i poteri processuali che normalmente competono al convenuto, incluso quello di proporre domande nuove oggettivamente connesse a quella dedotta in sede monetaria, quanto meno se rientrati nella competenza del medesimo ufficio giudiziario. o In molti casi si tratterà di domande che il creditore non avrebbe potuto formulare con il ricorso per ingiunzione per difetto dei presupposti indicati nell’art.633, sicché è irragionevole impedire, in assenza di un ostacolo normativo, che esse trovino ingresso nell’eventuale giudizio di opposizione e costringere il creditore stesso a farne oggetto di un giudizio separato.  Chiamata di terzi: l’opponente, qualora intenda chiamare in giudizio un terzo, cui ritiene comune la causa o dal quale pretende di essere garantita, può e deve farlo senz’altro già con lo stesso atto di opposizione, salvo che l’interesse del terzo non derivi dalle “difese” svolte dal creditore-opposto nella propria comparsa di risposta (art. 269.3). Per ciò che riguarda il creditore, invece, la chiamata deve intendersi regolata dall’art. 269.2, sicché dovrà essere richiesta nella stessa comparsa di risposta ed accompagnata dalla contestuale istanza di differimento della prima udienza, al fine di poter citare il terzo nel rispetto dei consueti termini minimi di comparizione. Esecutività provvisoria del decreto in pendenza del giudizio di opposizione Prescindendo dall’ipotesi in cui il provvedimento sia stato reso provvisoriamente esecutivo fin dall’origine, il decreto ingiuntivo può, di regola, acquistare efficacia di titolo esecutivo solo in seguito al rigetto dell'opposizione o all'estinzione del relativo processo. Gli artt. 648 e 649, peraltro, prevedono che il giudice dell'opposizione, in presenza di determinati presupposti, possa (o talora debba):  Disporre la provvisoria esecuzione nella pendenza del giudizio: l’art. 648 prevede, se il decreto ingiuntivo non è già esecutivo ex art. 642, che il giudice, provvedendo già nella prima udienza: o Debba concedere l'esecuzione provvisoria parziale limitatamente alle somme non contestate, a meno che l'opposizione sia stata proposta per vizi procedurali (es. difetto di giurisdizione) che prescindono dalla contestazione del credito vantato dal ricorrente; o Possa concedere l'esecuzione provvisoria se l'opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione; o Debba concederla in ogni caso se l'istante offre cauzione per l'ammontare delle eventuali restituzioni, spese e danni.  La Corte costituzionale ha deciso che, anche se il creditore offre cauzione, il giudice conserva il potere di valutare, ai fini della concessione della provvisoria esecuzione, gli elementi probatori di cui al primo comma, nonché la congruità della cauzione stessa. L'elemento decisivo per la concessione della provvisoria esecuzione parrebbe dunque essere il tipo di prova sulla quale si basa l'opposizione, cioè la circostanza che l'opponente non abbia fornito una prova documentale o di pronta soluzione, da cui il giudice possa agevolmente desumere la fondatezza delle eccezioni o delle ragioni che ha addotto per contestare la pretesa del ricorrente. In realtà, però, si ammette che l’ambito della cognizione del giudice sia molto più vasto, dovendo egli verificare che: o La prova scritta offerta dal creditore sia a sua volta sufficiente, secondo le regole ordinarie, a dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi del diritto; o L'infondatezza della pretesa creditoria non sia desumibile dagli atti, in base alle prove già disponibili o per ragioni esclusivamente giuridiche; o Non sussistano gravi motivi per negare la provvisoria esecutività, anche in considerazione del pregiudizio irreparabile che potrebbe derivarne al debitore. In questa prospettiva, la stessa offerta di una cauzione da parte del creditore perde la propria originaria autonomia e diviene, a ben riflettere, uno soltanto dei vari elementi che il giudice è chiamato a valutare nel bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti.  Sospendere l'esecutività che fosse stata già concessa ai sensi dell'art. 642: l’art. 649, su istanza dell'opponente e in presenza di gravi motivi, sembrerebbe consentire solo la sospensione del processo esecutivo e non anche la revoca dell'esecutività provvisoria del decreto (né, dunque, la cancellazione dell’ipoteca giudiziale eventualmente iscritta in base ad esso), neppure quando questa fosse stata concessa per errore, in assenza dei presupposti richiesti dalla legge. o Questa soluzione è contestata da parte della dottrina e della giurisprudenza perché penalizza il debitore, costringendolo a subire gli effetti negativi di un provvedimento illegittimo pronunciato in assenza di contraddittorio. Eppure, finora, la Corte costituzionale ha disatteso le censure di incostituzionalità. Esito del giudizio di opposizione Il giudizio di opposizione può concludersi:  Conciliazione (art. 652): il giudice, con ordinanza non impugnabile, deve semplicemente adeguare il decreto ingiuntivo all'accordo raggiunto dalle parti, eventualmente riducendo la somma per cui era stata pronunciata l'ingiunzione e rendendola esecutiva, qualora non lo fosse già. Se interviene una riduzione del quantum relativamente ad un decreto provvisoriamente esecutivo, gli atti già compiuti dal creditore, al pari dell'ipoteca giudiziale eventualmente iscritta, restano validi fino a concorrenza della somma o quantità ridotta;  Estinzione (art. 653.1): il decreto ingiuntivo, che non sia già esecutivo, acquista efficacia di titolo esecutivo;  Sentenza, di accoglimento o di rigetto dell'opposizione: si sovrappone e sostituisce in ogni caso il decreto, con una relazione analoga a quella tra la sentenza di appello e quella di condanna di primo grado: o Accoglimento  Totale: il decreto, anche se provvisoriamente esecutivo, resta immediatamente caducato, indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza;  Parziale: il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza, e gli atti esecutivi anteriormente compiuti conservano efficacia nei soli limiti della somma o quantità riconosciuta nella sentenza stessa. o Rigetto integrale: la relativa pronuncia equivale a sua volta ad una condanna, provvisoriamente esecutiva ex art. 282, anche se, in tal caso, il legislatore, probabilmente per ragioni di semplificazione, prevede che sia lo stesso decreto ad acquistare o conservare l'efficacia di titolo esecutivo. Infine, l’art. 654 stabilisce che, ove occorra, l’esecutorietà del decreto ingiuntivo viene conferita con un ulteriore decreto dello stesso giudice che aveva pronunciato il primo provvedimento, scritto in calce all'originale dell’ingiunzione e che, per dare inizio all'esecuzione forzata non è richiesta una nuova notificazione del provvedimento, che costituisce titolo esecutivo, essendo sufficiente che nell'atto di precetto si faccia menzione di tale decreto di esecutorietà. Efficacia del decreto ingiuntivo divenuto relativamente immutabile e le impugnazioni straordinarie L'art. 647 prevede che, quando l'opposizione non è proposta nel termine oppure l'intimato, dopo averla tempestivamente proposta, non si costituisce, il giudice, su istanza anche verbale del creditore-ricorrente, dichiara esecutivo il decreto, a meno che non risulti o appaia probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza del provvedimento e che quindi debba disporsi la rinnovazione della sua notificazione. Prescindendo da quest’ultima ipotesi, la scadenza del termine per l'opposizione o di quello per la costituzione dell'opponente rende l'opposizione improponibile o improcedibile e determina la liberazione della cauzione eventualmente prestata dal ricorrente. L'opinione prevalente ritiene che in questi casi, come pure nel caso il giudizio di opposizione si estingua, il decreto ingiuntivo acquisti un'efficacia analoga a quella della sentenza passata in giudicato. Una parte autorevole della dottrina però è dell'avviso che il decreto ingiuntivo, in cui manca un vero e proprio accertamento del credito, non possa fare stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, ma debba avere un'efficacia più circoscritta, impedendo al debitore le sole azioni, di natura restitutoria, tendenti a privare il creditore della somma o del bene attribuitigli (tradizionalmente si usa il concetto di preclusione pro iudicato). L’art. 656 stabilisce che il decreto ingiuntivo, una divenuto esecutivo ex art. 647, può impugnarsi – oltre che con l’opposizione tardiva, qualora ne ricorrano i presupposti – per revocazione nei casi 1, 2, 5, 6 dell'art. 395, nonché con opposizione di terzo revocatoria ai sensi dell’art. 404.2. Si tratta di una disposizione lacunosa: trascura l’ipotesi del decreto divenuto esecutivo per estinzione del giudizio di opposizione, sia perché, pur alludendo alle fattispecie di rievocazione straordinaria, vi include, inspiegabilmente il vizio consistente nel contrasto con un anteriore giudicato ed omette, invece, di considerare altrettanto inspiegabilmente, quello contemplato dall’art.395 n.3. Mentre il primo ostacolo viene solitamente superato ammettendo una interpretazione estensiva dell’art.656, la seconda incongruenza – probabilmente derivante da una vera e propria svista – può essere emendata solo attraverso un intervento della Corte costituzionale. Procedimento europeo di ingiunzione Il regolamento CE 1896/2006 disciplina un particolare procedimento d'ingiunzione di pagamento di crediti pecuniari non contestati di natura contrattuale, limitatamente alle controversie transfrontaliere, nelle quali almeno una delle parti abbia il proprio domicilio o la propria residenza abituale in uno Stato membro diverso da quello del giudice adito. È utilizzabile, in teoria, per i soli crediti esigibili di natura contrattuale. Si tratta di un procedimento monitorio puro, poiché, nella relativa domanda, da redigersi secondo un modello standard e senza la necessaria intermediazione di un legale, è richiesta una mera descrizione delle prove disponibili: quindi la verità dei fatti allegati dal ricorrente si basa unicamente sulla dichiarazione del ricorrente di fornire in coscienza e in fede informazioni veritiere. Ovviamente, la consapevole falsità di tali dichiarazioni potrebbe implicare sanzioni penali. Il giudice adito valuta se sussistono le condizioni per l'emissione dell'ingiunzione e può, all'occorrenza, invitare il ricorrente a completare o integrare la domanda, a meno che il credito sia manifestamente infondato o la domanda irricevibile.  L'eventuale rigetto della domanda non è impugnabile ma non preclude una nuova istanza di ingiunzione;  Se il ricorso è positivo, l'ingiunzione viene emessa con modulo standard che informa il convenuto della possibilità di proporre opposizione entro 30 giorni, del fatto che l'ingiunzione è emessa soltanto in base alle informazioni fornite dal ricorrente e non verificate dal giudice e che essa acquisterà forza esecutiva in caso di mancata opposizione. o L'ingiunzione deve essere notificata al convenuto. Eseguita la notifica, il convenuto ha 30gg per proporre opposizione davanti al giudice che ha emesso l’ingiunzione: tale opposizione consiste in una mera contestazione del credito, che non esige né motivazione né rappresentanza legale. Il termine di opposizione è rispettato purché entro i 30 giorni la relativa domanda sia inviata, su supporto cartaceo o tramite qualsiasi mezzo di comunicazione, anche elettronico, accettato dallo Stato membro d'origine e di cui dispone il giudice d’origine. L'effetto dell'opposizione tempestiva è impedire che l'ingiunzione acquisti forza esecutiva e di far proseguire il procedimento davanti ai giudici competenti dello Stato membro d'origine, secondo le norme di procedura civile ordinaria. Se l'opposizione non è presentata nel termine, il giudice che aveva emesso l'ingiunzione la dichiara senza ritardo esecutiva; in questo caso, essa è riconosciuta ed eseguita anche negli altri Stati membri, senza che sia necessaria alcuna procedura di exequatur e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento. Sono poi disciplinate alcune ipotesi eccezionali in cui il convenuto, nonostante lo spirare del termine per l'opposizione, può chiedere il riesame dell'ingiunzione di pagamento, adducendo circostanze che gli abbiano impedito di contestare tempestivamente il credito o deducendo che l'ingiunzione risulta manifestamente emessa per errore, tenuto conto dei requisiti previsti dal regolamento oppure a causa di circostanze eccezionali. Procedimento per convalida di licenza o sfratto Gli artt. 657 ss. disciplinano il procedimento per convalida di licenza o sfratto, che offre al locatore e al concedente, che intendano agire per conseguire il rilascio dell'immobile oggetto di locazione, comodato o affitto di azienda, una scorciatoia rispetto al processo ordinario, in quanto, qualora il convenuto non contrasti contestazione, resta comunque esclusa la convalida di sfratto, ma il giudice può disporre con ordinanza il pagamento della somma non controversa, concedendo al conduttore un termine non superiore a 20 giorni perché vi provveda e fissando una nuova udienza successiva alla scadenza di tale termine. A tale udienza, se l'ordine è rimasto inadempiuto, convaliderà l'intimazione di sfratto, pronunciando l'ulteriore provvedimento d'ingiunzione relativo al pagamento dei canoni;  Rilascio dell’immobile (art. 665): l'opposizione dell'intimato si concreta nella proposizione di eccezioni non fondate su prova scritta. In questo caso, il giudice, su istanza del locatore e purché non sussistano gravi motivi in contrario, può pronunciare ordinanza non impugnabile di rilascio, con riserva di eccezioni del convenuto, che è immediatamente esecutiva, non risente dell'eventuale successiva estinzione del giudizio e può essere eventualmente subordinata alla prestazione di una cauzione per i danni e le spese. o Il legislatore sembra supporre che i fatti costitutivi del diritto vantato dal locatore siano non controversi oppure risultino assistiti da una prova scritta; di fronte ad eccezioni del convenuto che esigerebbero, dal canto loro, l’assunzione di prove costituende, consente la pronuncia di una condanna sommaria con riserva di tali eccezioni, fondata su una cognizione eventualmente incompleta e su una valutazione, inevitabilmente, discrezionale. Il che, considerato che il provvedimento è sottratto a qualunque impugnazione e anche allo stesso parere di revoca o modifica del giudice da cui proviene, solleva dubbi di illegittimità costituzionale. Opposizione tardiva e altri rimedi nei confronti dell’ordinanza di convalida L’opinione dominante riconosce all’ordinanza di convalida di licenza o sfratto piena attitudine al giudicato, sostanzialmente equiparandola, dunque, ad una sentenza costitutiva di risoluzione del contratto per inadempimento (nel caso di sfratto per morosità) e/o di condanna al rilascio.  Con specifico riferimento allo sfratto per morosità, del resto, gli art. 664 ult. co. e 669 lasciano chiaramente intendere che la convalida, nel disegno del legislatore, determina senz’altro la risoluzione del contratto. Secondo l'art. 668, inoltre, l'unico rimedio idoneo a caducare l'ordinanza di convalida è l'opposizione tardiva, ammessa solamente quando l'intimato provi di non aver avuto tempestiva conoscenza dell'intimazione per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore, oppure di non essere potuto comparire all'udienza per caso fortuito o forza maggiore. Tale opposizione, esperibile non oltre 10 giorni dall'inizio dell'esecuzione forzata per rilascio, instaura un giudizio a cognizione piena ed esauriente: si propone con le stesse forme prescritte per l'opposizione al decreto di ingiunzione, in quanto applicabili; tenendo presente, peraltro, che questo giudizio è soggetto alla speciale disciplina dell'art. 447bis. La proposizione dell'opposizione non fa venir meno, di per sé, l'esecutività dell'ordinanza di convalida, ma consente al giudice, in presenza di gravi motivi, di disporre, con ordinanza non impugnabile, la sospensione del processo esecutivo, eventualmente subordinata, quando lo ritenga opportuno, alla prestazione di una cauzione da parte dell’opponente. La non impugnabilità del provvedimento di convalida è stata in parte ridimensionata sia sul piano interpretativo – quando l'ordinanza sia resa fuori dai presupposti di legge, deve considerarsi sentenza di primo grado e sia appellabile (cfr. principio di prevalenza della sostanza sulla forma) – sia in conseguenza di alcuni interventi della Corte costituzionale – assoggettabilità all'opposizione di terzo ex art. 404 e alla revocazione ordinaria per errore di fatto e a quella straordinaria per dolo di una parte in danno dell'altra (art. 395). Provvedimenti cautelari Sequestro Il sequestro è la tipica misura cautelare conservativa, poiché mira a cristallizzare la situazione di fatto e di diritto, per evitare tutte le modificazioni, materiali o giuridiche, che potrebbero rendere difficile o impossibile, o scarsamente fruttuosa, l'attuazione del provvedimento di condanna a favore della parte che risulterà vittoriosa al termine del processo a cognizione piena. Il codice di rito prevede diverse figure di sequestro:  Sequestro giudiziario (art. 670): o Sequestro di beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni, previsto nel caso in cui sia controversa la proprietà o il possesso di tali beni e allo stesso tempo sia opportuno provvedere alla loro custodia o gestione temporanea; o Sequestro di libri, registri, documenti, campioni o ogni altra cosa da cui si pretende desumere elementi di prova, quando sia controverso il diritto all'esibizione o alla comunicazione e sia opportuno provvedere alla loro custodia temporanea.  Sequestro conservativo (art. 671): può avere ad oggetto beni mobili o immobili del debitore, o cose o somme a lui dovute da terzi, e presuppone che il creditore abbia fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito;  Sequestro liberatorio (art. 687): tipo speciale e meno diffuso di sequestro, che ricorre quando il debitore abbia offerto o messo a disposizione del creditore le somme o cose per liberarsi della propria obbligazione e siano controversi l'obbligo o le modalità di pagamento o della consegna, oppure l'idoneità della cosa offerta. Sono poi previste altre figure di sequestro nel Codice civile e nelle leggi speciali. Infine, va ricordato che un Reg. UE (2014) ha istituito una procedura che consente al creditore, in materia civile e commerciale, di ottenere una ordinanza europea di sequestro conservativo delle somme detenute dal debitore o in suo nome in un conto bancario tenuto in uno Stato membro. Sequestro conservativo Il sequestro conservativo è previsto a tutela dei diritti di credito (artt. 2905-2906 c.c. tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, offerta da tutti i beni, presenti e futuri, del debitore), nelle situazioni in cui il creditore abbia ragione di temere che il debitore, attraverso atti di disposizione dei propri beni, magari fraudolenti, possa di fatto svuotare il proprio patrimonio, vanificando le concrete possibilità di una successiva azione esecutiva fruttuosa:  Fumus boni iuris: verosimile e probabile esistenza del credito vantato, vale la sommarietà e superficialità della cognizione che connota i provvedimenti cautelari;  Periculum in mora: fondato timore di perdere la garanzia del credito, desunto da circostanze oggettive (es. scarsa consistenza del patrimonio del debitore rapportata all'entità del credito o la sua composizione; comportamento del debitore stesso, che eventualmente faccia intuire o temere la sua volontà di sottrarre i propri beni alla successiva espropriazione forzata). o Non devono necessariamente concorrere entrambi i profili, in quanto a rendere fondato il timore del creditore potrebbe essere sufficiente anche uno solo profilo, a seconda delle circostanze. L'oggetto del sequestro è individuato all'art. 671 nei beni mobili o immobili del debitore e nelle somme o cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento (di cui il sequestro conservativo rappresenta un’anticipazione).  Non si menziona come possibile oggetto di sequestro l’azienda o altre università di beni (vs. art. 670), in quanto non potrebbe essere espropriata in quanto tale, bensì con riguardo ai singoli beni mobili o immobili di cui è composta, da indicarsi specificamente nell’atto di pignoramento. L’individuazione dei beni assoggettati al sequestro non viene compiuta, di regola, dal giudice nel provvedimento di concessione della misura cautelare (che di solito si limita ad indicare l'importo massimo della somma per cui il sequestro è autorizzato), ma compete al creditore nella fase di esecuzione del sequestro (esattamente come in presenza di un titolo esecutivo). L’art. 2905.2 consente di chiedere il sequestro conservativo anche nei confronti di un soggetto diverso dal debitore, che da questo abbia acquistato dei beni, quando sia stata proposta l'azione per far dichiarare l'inefficacia dell’alienazione (si pensi all’azione revocatoria); in tal caso, appare ovvio che il sequestro debba dirigersi fin dal principio sugli specifici beni che sono stati oggetto dell’atto di disposizione contestato. La prassi, infine, ha esteso il sequestro conservativo in mani proprie anche a somme che lo stesso creditore sequestrante sarebbe tenuto a pagare o dare al debitore, e che, pertanto, vengono sequestrate presso lo stesso creditore istante, al fine di legittimare il suo mancato adempimento. Esecuzione Il sequestro mantiene, relativamente alla fase dell'attuazione, una propria disciplina specifica ispirata alle forme del pignoramento (di cui anticipa il vincolo di indisponibilità che deriverebbe dalla esecuzione forzata), distinguendo se si tratti di:  Beni mobili e crediti: trovano applicazione, a seconda dei casi, le norme relative al pignoramento presso il debitore o presso terzi. In questo secondo caso, il creditore sequestrante deve, con lo stesso atto di sequestro, citare il terzo a comparire davanti al tribunale del luogo in cui risiede, per rendere la dichiarazione ex art. 547. Se tale dichiarazione, però, viene omessa oppure è oggetto di contestazioni, tali da dover procedere all'accertamento dell'obbligo del terzo, il relativo giudizio resta di regola sospeso fino alla conclusione del giudizio di merito (quello cioè concernente l’esistenza del credito tutelato tramite il sequestro), a meno che non sia il terzo a chiedere l'accertamento immediato;  Beni immobili o beni mobili registrati: la misura cautelare si esegue mediante trascrizione del provvedimento autorizzativo rispettivamente presso il conservatore dei registri immobiliare del luogo in cui i beni si trovano, oppure, negli altri casi, nei diversi registri precisi dalla legge. L’art. 675 stabilisce che il sequestro conservativo deve essere eseguito entro 30 giorni dalla pronuncia del provvedimento autorizzativo, che altrimenti diverrebbe inefficace; può essere revocato quando il debitore presti idonea cauzione per l'ammontare del proprio debito e delle spese (art. 684), e possono vendersi le cose deteriorabili, con il trasferimento del vincolo del sequestro sul relativo ricavato (art. 685). Effetti L'art. 2906 c.c. prevede che non hanno effetto in pregiudizio del creditore sequestrante le alienazioni e gli altri atti che hanno per oggetto la cosa sequestrata, in conformità alle regole stabilite per il pignoramento.  Gli effetti sostanziali del sequestro conservativo sono, almeno dal punto di vista oggettivo identici a quelli del pignoramento: tuttavia, operano, dal punto di vista soggettivo, a favore del solo creditore sequestrante. Ciò significa che, mentre il pignoramento crea un vincolo a porta aperta dal quale possono trarre vantaggio sia il creditore pignorante che tutti gli altri creditori che partecipano al processo esecutivo, il sequestro determina un vincolo a porta chiusa, secondo cui l’inefficacia relativa dell'eventuale atto di disposizione giova esclusivamente al creditore che aveva eseguito il sequestro e consente solo a lui di espropriare successivamente il bene sequestrato come se appartenesse ancora al debitore. L’art. 686 stabilisce che il sequestro conservativo si converte in pignoramento nel momento in cui interviene, a favore del sequestrante, una sentenza di condanna esecutiva, anche se non passata in giudicato, nei limiti in cui la domanda del creditore sia risultata fondata.  Stando alla opinione prevalente, questa conversione si realizza ipso iure; anche se il sequestrante è poi tenuto, entro 60 giorni dalla comunicazione della sentenza e per evitare che il processo esecutivo si estingua (privando dunque di efficacia il pignoramento), a depositare copia della sentenza nella cancelleria del giudice competente per l'esecuzione nonché, quando il sequestro riguardi beni immobili, a chiederne l'annotazione in margine alla trascrizione del provvedimento che aveva autorizzato la misura cautelare (art. 156 disp. att.). Sequestro giudiziario Sequestro giudiziario di beni Il sequestro giudiziario dovrebbe servire, ai sensi dell’art. 670, a tutelare il diritto di proprietà e il possesso (in senso atecnico, per indicare tutte le ipotesi in cui è controverso un diritto, anche di natura personale e non reale, alla consegna o alla restituzione di un bene e dunque ogni fattispecie in cui il provvedimento cautelare sia strumentale ad una domanda di condanna alla consegna o al rilascio):  Fumus boni iuris: deve essere apprezzato tenendo conto della sommarietà della cognizione propria dei provvedimenti cautelari;  Periculum in mora: indicazione indiretta e generica, facendo riferimento all’opportunità di provvedere alla custodia o alla gestione temporanea dei beni sequestrati (es. pericolo di distruzione, deterioramento, cattiva gestione del bene; rischio di alienazione o comunque di disposizione giuridica del bene di cui è controversa la proprietà o il possesso – prospettabile prevalentemente in relazioni a beni mobili non iscritti in pubblici registri, cui è applicabile il principio dell’art. 1153 c.c., che tutelerebbe l’eventuale acquirente in buona fede. Per quel che riguarda gli immobili e i mobili registrati, Istruzione preventiva L'istruzione preventiva (art. 692 ss.) consente l'assunzione anticipata, prima dell’inizio del giudizio di merito oppure nel corso dello stesso (e anche durante la sua eventuale interruzione o sospensione), di determinati mezzi di prova (cfr. prova testimoniale, accertamento tecnico e ispezione giudiziale) in situazioni nelle quali, se dovesse attendersi l'apertura della fase strictu sensu istruttoria del processo di cognizione piena, essa potrebbe risultare di fatto preclusa o non più utile.  Audizione di testi a futura memoria quando le loro deposizioni possono essere necessarie in una causa da proporre e vi sia fondato motivo di temere che essi stiano per mancare;  Accertamento tecnico e ispezione giudiziale: possono disporsi per accertare lo stato di luoghi o la qualità di cose (formulazione originaria), e, dopo della riforma del 2005, anche sulla persona dell'istante e, quando questa vi acconsenta, anche sulla persona nei cui confronti l'istanza è proposta. Inoltre, l’art. 696.2 consente espressamente che l'accertamento tecnico comprenda valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all'oggetto della verifica; lasciando intendere che al consulente tecnico possa chiedersi, già in questa sede, anche una concreta stima dell'entità dei danni lamentati dalle parti. Il che, naturalmente, potrebbe rendere superflua un’ulteriore consulenza tecnica nel processo a cognizione piena. o In ogni caso il ricorso all'accertamento tecnico e all'ispezione giudiziale preventivi resta subordinato al presupposto dell'urgenza, che coincide con il periculum in mora e va identificata con l’eventualità che, nel periodo occorrente per l'assunzione della prova in via ordinaria, venga meno o risulti alterato l'oggetto della prova stessa. Procedimento L’art. 693 dispone che l’istanza si propone con ricorso, contenente l'indicazione dei motivi dell'urgenza e dei fatti sui quali verte la prova, nonché l'esposizione sommaria delle domande o eccezioni alle quali la prova è preordinata. La relativa competenza è attribuita allo stesso giudice che sarebbe competente per il merito in base ai criteri ordinari, sia esso il tribunale o il giudice di pace, con la particolarità che, nel caso del tribunale, la decisione spetta al presidente. A tale competenza si affianca, in casi di eccezionale urgenza, quella del tribunale del luogo in cui la prova deve essere assunta. Se la causa di merito è già pendente, l'istanza si propone al relativo giudice istruttore oppure (in applicazione analogica dell’art. 669-quater) al presidente del tribunale, quando l'istruttore non sia ancora stato designato o il relativo giudizio si trovi in una situazione di quiescenza. Quando il ricorso sia proposto ante causam, il giudice è di regola tenuto, prima di provvedere sull'istanza, a disporre con decreto la comparizione delle parti, fissando contestualmente anche la relativa udienza e il termine perentorio per la notificazione del provvedimento. Dopo aver sentito le parti ed acquisito sommarie informazioni, il giudice decide con ordinanza non impugnabile; la quale, se ammette la prova, contiene la designazione del giudice che deve materialmente assumere la testimonianza oppure, quando si tratti di accertamento tecnico o ispezione, indica la data d'inizio delle operazioni e, a seconda dei casi, la nomina del consulente tecnico (art. 694 e 695).  In caso di eccezionale urgenza, peraltro, il giudice può anche accogliere l'istanza con decreto, inaudita altera parte, dispensando il ricorrente dalla notificazione alle altre parti e nominando un procuratore, che intervenga per le parti non presenti all'assunzione della prova (art. 697); il cancelliere deve notificare il decreto non oltre il giorno successivo alle parti non presenti all’assunzione. L’art. 669-septies (unica disposizione del rito cautelare uniforme applicabile a questi provvedimenti) prevede che l'ordinanza di incompetenza o rigetto della domanda cautelare non preclude la riproposizione della domanda, a condizione che, trattandosi di rigetto per questioni di merito, siano dedotti mutamenti delle circostanze oppure nuove ragioni di fatto o diritto. Inoltre, quando l'incompetenza o il rigetto siano pronunciati prima dell'inizio del giudizio di merito, il provvedimento deve statuire anche sulle spese del procedimento cautelare.  In forza di una pronuncia della Corte costituzionale, i provvedimenti di istruzione prevedeva sono assoggettati al reclamo cautelare solo nel caso di provvedimento di rigetto dell’istanza di istruzione preventiva; più dibattuta, è, in assenza di una norma ad hoc, l’ammissibilità di questa soluzione anche per il provvedimento di accoglimento. Consulenza tecnica La riforma del 2005 ha introdotto una vera e propria consulenza tecnica preventiva (art. 696bis), che può essere richiesta, anche al di fuori delle condizioni ex art. 696.1, ai fini dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito.  Presupposti della consulenza individuati dal legislatore in negativo, prescindendo dalla sussistenza del periculum in mora (vs. accertamento tecnico), ossia dalla urgenza del mezzo istruttorio, e di conseguenza da una finalità cautelare, mentre è invece preordinato a favorire una composizione preventiva della lite, quando appare sperabile che l'intervento del consulente tecnico giovi al raggiungimento di un accordo tra contendenti (cfr. funzione deflattiva della norma volta ad evitare che le parti instaurino un processo al solo fine di risolvere una questione tecnica). La consulenza tecnica preventiva può essere richiesta con ricorso, in presenza di qualunque controversia riguardante il pagamento di somme di denaro, a titolo di risarcimento o restituzione, che comunque scaturisca da un illecito, contrattuale o extracontrattuale:  Ante causam: la competenza, in caso di consulenza richiesta ante causam, appartiene al presidente del tribunale ovvero al giudice di pace e, in particolare, a quello territorialmente competente ex art. 693. o Le indagini del consulente tecnico possono vertere non solo sul quantum ma anche sull'an del diritto  In pendenza di causa: provvede sull’istanza il giudice istruttore ovvero, qualora non sia ancora stato nominato, il presidente del tribunale, ovvero, in ragione della propria competenza, il giudice di pace. All’udienza fissata in seguito al ricorso, il giudice, dopo aver verificato la regolarità del contraddittorio, indica al consulente tecnico i quesiti ai quali dovrà rispondere. L’istanza può essere:  Rigettata: necessaria una pronuncia sulle spese, ai sensi dell’art. 669septies, richiamato dalla stessa norma (l’art. 669-quaterdecies) che esclude l’applicabilità del processo cautelare uniforme ai procedimenti di istruzione preventiva. La natura non cautelare dell’istituto induce ad escludere l’esperibilità del reclamo ex art.669terdecies (anche se la questione è dibattuta, soprattutto in conseguenza di una sentenza della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli art. 669-quaterdecies e 695 c.p.c. nella parte in cui non consentivano la reclamabilità del provvedimento di rigetto della istanza di istruzione preventiva ai sensi degli art. 692 e 696 del codice);  Ammessa: la consulenza tecnica preventiva potrà avere come esito la conciliazione delle parti dinanzi al consulente (infatti, il consulente deve dar corso, ove possibile, prima di provvedere al deposito della relazione, ad un tentativo di conciliazione). Qualora la conciliazione tra le parti dovesse riuscire, il processo verbale di conciliazione sarà sottoposto al giudice, il quale vi attribuirà, con decreto, efficacia di titolo esecutivo ai fini della esecuzione forzata e dell’iscrizione di ipoteca giudiziale. Il processo verbale è inoltre esente dall’imposta di registro (incentivare l’uso dell’istituto). o Qualora la conciliazione non riesca, il consulente redigerà la propria relazione, contente le sue conclusioni, la quale potrà essere acquisita nel successivo giudizio di merito. Questo stesso istituto è stato introdotto come passaggio obbligatorio (in alternativa alla mediazione obbligatoria):  Controversie che riguardano il risarcimento dei danni da responsabilità medica (riforma del 2017). Nel caso in cui la consulenza tecnica preventiva non venga esperita – né venga esperito il tentativo di mediazione – vi sono meccanismi analoghi a quelli che il d.lgs. 28/2010 prevede nel caso in cui non si osservi l’obbligo di esperire un tentativo preliminare di mediazione. In ogni caso, decorsi 6 mesi dal deposito dell’istanza di consulenza tecnica preventiva, la domanda diviene procedibile. Il procedimento segue le norme del procedimento sommario di cognizione (art. 702bis ss.);  Controversie in materia di invalidità civile (art.445bis): l’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Provvedimenti d'urgenza Atipicità e sussidiarietà Il legislatore, per quanto previdente, non potrebbe mai sperare di far fronte con disposizioni specifiche alle più disparate situazioni in cui un diritto può essere minacciato da un pericolo immediato, che potrebbe rendere più o meno inutile la tutela successivamente ottenibile attraverso il processo a cognizione piena. D’altro canto, ove si consideri che il diritto d’azione, garantito dall’art. 24 Cost, è per sua natura atipico e che la tutela cautelare ne costituisce un presidio irrinunciabile, è inevitabile che l’ordinamento appresti strumenti idonei a far fronte ad ogni possibile evento in grado di attentare alla effettività della tutela giurisdizionale. Pertanto, il codice, accanto ai provvedimenti cautelari tipici e nominati, in quanto disciplinati con sufficiente grado di specificità, prevede anche delle misure atipiche, in grado di sopperire a tutte le residue esigenze di cautela. In base all’art. 700, infatti, fuori dai casi di sequestri, denunce di nuova opera o danno temuto, procedimenti di istruzione preventiva, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d'urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.  Atipicità: può cogliersi rispetto alla situazione giuridica tutelata, che potrebbe essere qualunque diritto; rispetto al periculum prevenibile, che è la minaccia di un pregiudizio imminente ed irreparabile del diritto stesso; ed infine rispetto ai possibili contenuti, che saranno quelli più idonei Quest’ultima formula, in particolare, lascia intendere che essi avranno, di regola, un contenuto anticipatorio, nel senso che potranno produrre, anche se provvisoriamente, effetti analoghi a quelli che deriverebbero da una sentenza di accoglimento – anche eventualmente parziale – della domanda. o In ogni caso sono da ritenersi ammissibili anche provvedimenti d'urgenza dal contenuto meramente conservativo, miranti a cristallizzare a situazione di fatto e di diritto o a dettare una regolamentazione provvisoria del rapporto che non corrisponde a nessuno degli esisti conseguibili con il giudizio a cognizione piena.  Sussidiarietà (fuori dei casi regolati): tale disposizione, proprio perché costituisce una sorta di valvola di sicurezza del sistema della tutela cautelare, può essere invocata solamente quando, per la difesa di un determinato diritto da un certo periculum, non sia utilizzabile un provvedimento cautelare tipico. Limiti positivi La funzione dei provvedimenti d’urgenza, unita all’inevitabile indeterminatezza delle espressioni adoperate dal legislatore, ne ha favorito un uso massiccio e talora distorto; pertanto, è opportuno dunque definire i limiti che si impongono all’istituto, dallo stesso art. 700 nonché, più in generale, dalla natura sommaria e cautelare di tali provvedimenti. In particolare, Quantunque il contenuto dei provvedimenti d’urgenza possa essere il più vario, non appare comunque lecito:  Perseguire in questo modo un risultato maggiore di quello che potrebbe ottenersi dal processo a cognizione piena, oppure estraneo ai possibili esiti di tale cognizione (cfr. si esclude l’ammissibilità di una vera e propria azione di condanna all’adempimento di determinati obblighi infungibili, quando non siano concretamente utilizzabili misure coercitive, civili o penali);  Attribuire al giudice poteri maggiori di quelli che gli spetterebbero in cognizione piena;  Ammettere di provvedimenti che anticipino gli effetti di una sentenza di mero accertamento o costitutiva, in quanto il provvedimento cautelare, essendo intrinsecamente inidoneo a produrre la certezza giuridica propria del giudicato, non sembra poter fornire alcuna oggettiva utilità ulteriore rispetto a quelle derivanti dalla sua possibile attuazione coattiva (es. provvedimento d'urgenza che dichiarasse la legittimità di un determinato comportamento di taluna delle parti non potrebbe precludere un'azione risarcitoria dall'altra parte fondata sulla legittimità del comportamento che il giudice del cautelare aveva reputato corretto). Dottrina e giurisprudenza hanno cercato di individuare il periculum in mora, in relazione all'irreparabilità di un pregiudizio (cfr. l'imminenza del pregiudizio che minaccia il diritto si apprezza in rapporto al tempo concretamente occorrente per far valere il diritto medesimo in via ordinaria, ossia attraverso un processo a cognizione piena della specie utilizzabile), ammettendo i provvedimenti di urgenza a tutela di diritti di credito senza distinguere a seconda che si tratti di crediti nati come tali o aventi carattere risarcitorio derivante dall'inadempimento di un diritto avente diversa natura. In questo caso, l'irreparabilità del pregiudizio va intesa in senso relativo, in quanto sussiste non soltanto nelle ipotesi in cui il diritto di credito risponde ad una funzione in tutto o in parte patrimoniale, ma anche quando la realizzazione tardiva del credito esporrebbe il creditore ad un pregiudizio non più completamente rimediabile ex post, seppure attraverso il risarcimento del danno.  Il termine entro cui il ricorso e il decreto devono essere notificati, a cura del ricorrente, all'altra parte. Per il resto, invece, il legislatore non impone alcuna particolare prescrizione o preclusione, stabilendo solo che il giudice, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto. Ciò significa che egli, nel rispetto della sommarietà della cognizione, dovrà compiere le sole indagini ed utilizzare i soli mezzi istruttorii compatibili con l'urgenza del procedimento, avvalendosi delle prove di più celere acquisizione e senza essere vincolato a tutte le formalità solitamente prescritte per la loro assunzione, ove non siano essenziali per il contraddittorio; evitando in tal modo che l’istruttoria cautelare si risolva nell’integrale anticipazione di quella che potrà avere luogo, eventualmente, nella fase istruttoria del processo a cognizione piena. Il provvedimento cautelare può anche assumersi con decreto motivato, senza la previa instaurazione del contraddittorio ed assunte, ove occorra, sommarie informazioni (cioè in base ad una cognizione ancora più superficiale), quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento. Stando all’opinione preferibile, tale situazione può verificarsi non solo quando, in considerazione della natura e dell’oggetto del provvedimento richiesto, la preventiva conoscenza della domanda cautelare da parte del oggetto che ne è destinatario potrebbe consentire a quest’ultimo di eludere agevolmente la successiva attuazione della misura cautelare, ma anche, seppur in casi estremi, quando l’urgenza, derivante dall’imminenza del periculum da cui è minacciato il diritto, sia tale da non consentire alcun indugio e da porre a rischio l’utilità stessa del provvedimento che dovrebbe intervenire successivamente alla instaurazione del contraddittorio. In tutte queste ipotesi, peraltro, l'efficacia del provvedimento concesso inaudita altera parte dovrebbe avere ristretti confini temporali, poiché il giudice, con lo stesso decreto, è tenuto a fissare l'udienza di comparizione delle parti entro un termine massimo di 15 giorni, assegnando allo stesso tempo all'istante un termine perentorio non superiore ad 8 giorni per la notificazione del ricorso e del decreto all'altra parte. All’udienza, poi, decide con ordinanza, confermando, modificando o revocando i provvedimenti dati col decreto. Ordinanza di rigetto L'art. 669septies.1 stabilisce che l'ordinanza di rigetto, sia questo determinato da ragioni processuali o di merito, non impedisce la riproposizione della domanda cautelare quando si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto. Il rigetto ha, quindi, efficacia preclusiva modesta: copre solo il dedotto e non il deducibile (lasciando aperta la strada all’allegazione di nuovi fatti ad esso pre-esistenti o anche, più semplicemente, a nuovi elementi probatori), e può essere rimesso in discussione anche in base a nuove argomentazioni meramente giuridiche.  L’ordinanza dichiarativa di incompetenza non ha efficacia preclusiva, in quanto non è in nessun modo di ostacolo alla riproposizione della domanda (in teoria neppure dinanzi al medesimo ufficio giudiziario). Questo regime era coerente con la soluzione, adottata dal legislatore del ’90, di escludere il reclamo nei confronti del provvedimento negativo, “compensandolo” in un certo senso, con la possibilità di reiterare la domanda cautelare, seppure solo in base ad argomenti di fatto o di diritto diversi da quelli già fatti valere con il primo ricorso. Oggi, essendo stato il reclamo esteso a tutte le ordinanze di rigetto, di rito o merito, è possibile che l’istante faccia valere le nuove circostanze e le nuove ragioni anche attraverso l’impugnazione del provvedimento negativo.  Le esigenze di coordinamento sistematico impongono di ritenere che il regime dell’art. 669septies potrà trovare applicazione solo nel caso in cui l’ordinanza di rigetto non sia stata reclamata. Se invece si proponga il reclamo, e questo conduca alla conferma del rigetto, l’istanza cautelare potrà reiterarsi esclusivamente per circostanze sopravvenute alla conclusione del relativo provvedimento. L'ordinanza di incompetenza o di rigetto pronunciata prima dell'inizio della causa di merito deve provvedere anche sulle spese del procedimento cautelare (art. 669septies.2), per evitare che la parte resistente, risultata vittoriosa, sia costretta ad instaurare il giudizio a cognizione piena solo per ottenere il rimborso di tali spese. Ordinanza di accoglimento Una delle caratteristiche che hanno sempre contraddistinto, tradizionalmente, le misure cautelari può indicarsi nella provvisorietà, intesa nel senso che l’efficacia del provvedimento cautelare non può protrarsi sine die, rimanendo subordinata tanto alla tempestiva instaurazione del giudizio di merito (se il provvedimento stesso è ante causam), quanto alla sua prosecuzione fino alla decisione della domanda. In linea di principio, pertanto, il giudice che conceda la misura cautelare prima dell'inizio della causa di merito è tenuto, con lo stesso provvedimento di accoglimento, a fissare un termine perentorio non superiore a 60 giorni, decorrente dalla pronuncia dell'ordinanza, se avvenuta in udienza, o altrimenti dalla sua comunicazione, per l'inizio del giudizio a cognizione piena (art. 669octies). In astratto, tale giudizio può essere promosso da qualunque delle parti, ma, in concreto, quella più direttamente interessata è la parte che ha ottenuto il provvedimento cautelare, giacché la scadenza di tale termine provocherebbe la caducazione del provvedimento (art. 669novies) e la sua inefficacia.  Dopo la riforma del 2005, la disciplina resta applicabile a tutte le misure cautelari dal contenuto meramente conservativo; mentre un nuovo regime è stato previsto per i provvedimenti dal contenuto anticipatorio Regime dei provvedimenti a contenuto anticipatorio Il novellato art. 669octies.6-8 ha introdotto un regime di stabilità differenziato in relazione ai provvedimenti d'urgenza emessi ai sensi dell’art. 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal Codice civile o da leggi speciali, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ex art. 688. Infatti, per essi non vale né l'obbligo di iniziare il giudizio di merito entro un termine perentorio, né, quando si tratti di provvedimenti resi ante causam, il principio per cui l'efficacia della misura cautelare resta travolta dall'eventuale estinzione del processo a cognizione piena, che può essere liberamente instaurato da ciascuna delle parti senza particolari vincoli, neanche dei provvedimenti cautelari di sospensione dell'efficacia delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società. Tale innovazione si ispira a finalità latu sensu deflattive, contando sull’eventualità che, in parecchi casi, le parti dopo l’emissione del provvedimento cautelare, siano ben disposte ad accettare il nuovo assetto di interessi determinato da quest’ultimo, prestandovi acquiescenza, e dunque non avvertano l’esigenza di intraprendere (o di portare a compimento) il processo a cognizione piena. Onde evitare, anzi, che la parte vittoriosa sia costretta ad instaurare il giudizio di merito al solo fine di recuperare le spese della fase cautelare, lo stesso art. 669octies prevede che il giudice, quando conceda un provvedimento anticipatorio prima dell'inizio della causa di merito, debba pronunciare anche sulle spese del relativo procedimento (la statuizione sulle spese resta esclusa invece quando il provvedimento cautelare intervenga nel corso del giudizio di merito).  Ciò che è stato ridimensionato in questi casi è la precarietà del provvedimento, tenuto conto che gli effetti della misura anticipatoria non sono più limitati e condizionati nel tempo, dalla tempestiva instaurazione e dalla pendenza del giudizio di merito; sicché può avvenire, quando nessuna delle parti dimostri interesse ad ottenere la sentenza, che tali effetti si protraggano sine die. Il concetto di anticipatorietà deve essere dedotto, in termini meramente oggettivi, da un raffronto tra il contenuto della misura cautelare richiesta e quello della futura ed eventuale sentenza di merito, così come postulata dalla parte istante; nel senso, cioè, che si è di fronte ad un provvedimento anticipatorio solo quando il contenuto della misura cautelare corrisponde, almeno parzialmente, al contenuto della ipotetica sentenza di accoglimento della domanda di merito sottesa a quella cautelare. Inefficacia del provvedimento cautelare Le fattispecie di caducazione del provvedimento cautelare sono parzialmente diverse e seconda della natura del provvedimento medesimo:  Misure dal contenuto conservativo (o comunque diverse da quelle menzionate nell’art. 669octies.6): l'inefficacia deriva dall'omessa o tardiva instaurazione del giudizio di merito (in caso di provvedimenti ante causam) o dall'estinzione del giudizio stesso;  Tutte le misure cautelari: altre ipotesi di inefficacia, che riguardano indistintamente tutte le misure cautelari, indipendentemente dal contenuto. Secondo l'art. 669-novies, il provvedimento cautelare resta caducato quando: o L’istante abbia omesso di provvedere alla prestazione della cauzione per l'eventuale risarcimento danni; o Il giudizio di merito conduca ad una sentenza, anche se non passata in giudicato, che dichiari l'inesistenza del diritto posto a base della domanda cautelare.  Se la causa di merito è attribuita al giudice di un altro Stato oppure ad arbitri, italiani o stranieri, può trattarsi anche di una sentenza straniera ovvero di un lodo arbitrale. o Spettando la giurisdizione per il merito ad un giudice straniero o ad arbitri, la parte interessata non presenta domanda di esecutorietà in Italia della sentenza straniera o del lodo arbitrale entro i termini previsti per la decadenza dalla legge o dalle convenzioni internazionali.  Tenuto conto dell'attuale regime di riconoscimento automatico delle sentenze straniere, tale disposizione si applica solo al sequestro conservativo (la cui conversione in pignoramento esige l’acquisizione di un titolo esecutivo), per il quale l’art. 156-bis disp. att. prescrive che il sequestrante proponga domanda di esecutorietà della sentenza straniera o del loto entro il termine perentorio di 60gg. In tutti questi casi, sebbene l'inefficacia operi sicuramente ipso iure, è possibile che la parte che ha subito il provvedimento abbia interesse a farla dichiarare, anche al fine di ottenere a sua volta una pronuncia idonea ad eliminare gli effetti pregiudizievoli già prodotti dal provvedimento cautelare. A tal fine, l’art. 669novies.2 prevede che tale parte possa presentare ricorso allo stesso giudice (inteso come magistrato persona fisica) che aveva emesso il provvedimento, il quale, dopo aver fissato con decreto la comparizione delle parti, provvede, se tutte le parti concordano sulla sopravvenuta inefficacia, con un’ordinanza, avente efficacia esecutiva e contenente anche le disposizioni occorrenti per ripristinare la situazione anteriore, ammesso che la rimessione in pristino sia materialmente e giuridicamente possibile. Revoca e modifica Tutti i provvedimenti cautelari, indipendentemente da quando siano pronunciati, sono di regola modificabili e/o revocabili, su istanza di parte, per mutamenti nelle circostanze, cioè in base a fatti sopravvenuti che incidano sui presupposti della misura cautelare (fumus boni iuris o sul periculum in mora) o in base a fatti anteriori di cui si è ottenuta conoscenza in seguito al provvedimento, purché l'istante fornisca la prova del momento in cui è venuto a conoscenza di tali fatti. La revoca o la modifica, inoltre, potrebbero riguardare un provvedimento anticipatorio, affrancato dalla necessaria instaurazione e prosecuzione del giudizio a cognizione piena; sicché sono consentite alle medesime condizioni, anche quando il giudizio di merito non sia stato ancora iniziato o sia stato dichiarato estinto. Per quel che concerne la competenza, poi, bisogna distinguere a seconda che il giudizio sia:  Iniziato e ancora pendente: il potere di revoca o modifica spetta in ogni caso al giudice istruttore che ne è investito, salvo che sia stato promosso reclamo ex art. 669terdecies: in quest’ultimo caso, i nuovi fatti sopravvenuti dovrebbero essere comunque dedotti nel procedimento di reclamo, sicché la possibilità di porli a base di una successiva istanza di revoca o modifica presuppone che essi siano intervenuti dopo la conclusione di tale procedimento o che la parte interessata provi di averne avuto conoscenza dopo tale momento;  Non ancora iniziato o estinto oppure se la causa di merito appartiene alla giurisdizione di un giudice straniero o è devoluto ad arbitri: la revoca e la modifica possono chiedersi allo stesso giudice che ha provveduto all'istanza cautelare, purché sia esaurita l'eventuale fase del reclamo ex art. 669-terdecies; anche in questo caso il riferimento al reclutamento sottendente l'onere di far valere nel relativo procedimento ogni fatto nuovo sopravvenuto prima della sua definizione. Fase di attuazione Prescindendo dalle specifiche disposizioni relative all’esecuzione dei sequestri, l’art. 669duodecies disciplina la fase di attuazione del provvedimento cautelare, con una preliminare distinzione fondata sul contenuto dell'obbligo imposto al destinatario del provvedimento:  Pagamento di somme di denaro: si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'espropriazione forzata ordinaria ex art. 491 ss. Il rapporto tra la fase di autorizzazione e di attuazione della misura cautelare è analogo al rapporto tra processo di cognizione, deputato all’accertamento del diritto, e quello di esecuzione forzata. o Sebbene il legislatore ometta di qualificare il provvedimento cautelare come vero e proprio titolo esecutivo, la sostanza non cambia poiché si ritiene comunemente che debbano trovare integrale applicazione le disposizioni generali dell’espropriazione forzata (con la sola eccezione di quelle concernenti le attività preliminari, ossia la notificazione del titolo esecutivo e del precetto, da cui in tale ipotesi si può prescindere) nonché le disposizioni che, a seconda del tipo di bene sul quale l’azione esecutiva si dirige, disciplinano le varie forme di espropriazione;  Azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.): concessa al possessore o al detentore spogliato del possesso entro un anno dallo spoglio;  Azione di manutenzione (art. 1170 c.c.): concessa, in caso di molestie al possesso, al possessore, se il possesso dura da più di un anno e non è stato conseguito in modo violento o clandestino. La riforma del 2005 è intervenuta anche sulla loro disciplina. In primo luogo, l’odierno art. 703 prevede che le domande possessorie si propongono con ricorso al giudice competente ex art. 21, cioè quello del luogo in cui è avvenuto il fatto lesivo del possesso, il quale provvede ai sensi degli art. 669bis ss., in quanto compatibili. Benché distinti dai provvedimenti cautelari, restano anch’essi assoggettati, in linea di principio, alla disciplina di questi ultimi, ma con riserva di compatibilità, ossia a condizione che le norme del rito cautelare non risultino concretamente inconciliabili con le peculiarità, anche funzionali, del provvedimento possessorio (infatti, l'ordinanza di accoglimento o di rigetto della domanda è soggetta al reclamo ex art. 669terdecies). L’innovazione più significativa deriva però dal quarto comma, in cui si stabilisce che il giudice fissi dinanzi a sé l'udienza di prosecuzione del giudizio di merito solo se richiesto da una delle parti entro il termine perentorio di 60 giorni, decorrente o dalla comunicazione dell'ordinanza di accoglimento o rigetto, oppure, in caso di reclamo, del provvedimento che decide sul reclamo stesso. Il legislatore, dunque, ha inteso attribuire una struttura bifasica al giudizio possessorio, caratterizzato da una prima fase (teoricamente sommaria), definita con ordinanza, e da una seconda fase eventuale a cognizione piena ed esauriente, che conduce ad una sentenza idonea al giudicato; ma nel contempo, per doverosa coerenza con il regime di stabilità dei provvedimenti cautelari anticipatori, ha pure previsto che l’apertura di questa seconda fase, che non inizia un nuovo giudizio, rappresentando, invece, la mera prosecuzione di quello introdotto con il ricorso ex art.703, non è più necessaria ed automatica, bensì presuppone il formale atto d’impulso di una delle parti, che chieda al giudice di fissare un’udienza ad hoc. Il tutto sul presupposto che in molti casi, tanto nell’ipotesi in cui l’ordinanza abbia concesso il provvedimento interdittale, quanto nell’ipotesi inversa, la parte soccombente possa acquietarsi, magari dopo aver tentato la strada del reclamo, e l’altra parte, dal canto suo, non abbia interesse a far decidere con efficacia di giudicato sull’esistenza di una lesione del possesso. Rapporti tra la fase sommaria e quella a cognizione piena Premesso che l’eventuale prosecuzione del giudizio di merito è retta dalla domanda già formulata nel ricorso introduttivo ed è poi soggetta alla disciplina del processo ordinario di cognizione, l’istanza di fissazione dell'udienza, cui sono legittimate entrambe le parti, si propone con ricorso allo stesso giudice (persona fisica) investito della fase interdittale ed il rispetto del termine perentorio di 60 giorni deve valutarsi, pertanto, in relazione a tale deposito.  È dubbio se debba essere la stessa parte istante a far notificare alle altre parti il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza o se debba essere la cancelleria. Quando nessuna delle parti chieda la prosecuzione del giudizio entro tale termine perentorio, il giudizio si estingue ex art. 307.3, senza incidere sull'efficacia dell'ordinanza possessoria di accoglimento di accoglimento, che può essere caducata solamente da una sentenza, ancorché non passata in giudicato, che accerti l'infondatezza della domanda possessoria (art.669-novies comma 3 richiamato dall’art.703 ult. co.).  Stando all’opinione più persuasiva, l’estinzione non può neanche attribuire al provvedimento sommario un’autorità analoga a quella del giudicato, sicché non può impedire che in un nuovo ed autonomo processo a cognizione piena (vs. petitorio) si torni a discutere della stessa situazione possessoria dedotta nel giudizio estinto e si pervenga ad una sentenza idonea a prevalere sull'ordinanza possessoria. Rapporti tra il procedimento possessorio e l’eventuale giudizio petitorio Gli artt. 704 e 705 disciplinano i rapporti tra procedimento possessorio e l'eventuale giudizio petitorio, in cui si discute dell'effettiva esistenza e titolarità del diritto di proprietà o del diverso diritto reale cui l'attività del possessore dovrebbe corrispondere:  L’art. 704 stabilisce che, se il fatto lesivo del possesso avviene durante la pendenza del giudizio petitorio, la domanda possessoria è attribuita alla competenza del giudice di quest’ultimo. La sola azione di spoglio (reintegrazione nel possesso) può essere proposta anche al giudice territorialmente diverso, individuato ai sensi dell’art. 21, che è quello del luogo in cui è avvenuto il fatto denunciato; il quale deve, però, limitarsi alla pronuncia dei provvedimenti temporanei indispensabili, ossia dell'ordinanza interdittale, spettando alle parti l'eventuale decisione di proseguire il giudizio petitorio e art. 703;  L'art. 705, invece, sancisce il divieto di cumulo tra petitorio e possessorio. Per rafforzare la tutela del possessore, impedisce alla parte convenuta (non, si badi, anche all’attore) del giudizio possessorio di instaurare un giudizio petitorio finché il primo giudizio non sia definito e la decisione non sia stata eseguita; salvo che tale parte dimostri che l'esecuzione del provvedimento possessorio non può compiersi per fatto dell'attore. o Questo divieto, tuttavia, è stato considerevolmente attenuato da una pronuncia della Corte costituzionale, che ha escluso che possa valere quando potrebbe derivarne al convenuto un pregiudizio irreparabile. Dalla motivazione della decisione della Corte parrebbe evincersi che l’unico rimedio sia costituito dalla possibilità di instaurare immediatamente il giudizio petitorio e di ottenere, in quella sede, eventualmente un provvedimento cautelare destinato ad anticipare la relativa decisione di merito e paralizzare l’esecuzione del provvedimento possessorio. Tuttavia, l’opinione prevalente ammette, anche in considerazione degli inconvenienti che potrebbero derivare da questa soluzione, che il convenuto, deducendo il pericolo di un pregiudizio irreparabile, possa far valere le proprie ragioni petitorie già nel procedimento possessorio, anche se in via di mera eccezione e quindi solo per ottenere il rigetto della relativa domanda. PROCEDIMENTI IN CAMERA DI CONSIGLIO Gli artt. 737 ss. disciplinano un modello speciale di procedimento, applicabile nelle innumerevoli ipotesi in cui la legge prevede, anche al di fuori del codice, che un determinato provvedimento debba essere pronunciato in camera di consiglio, (art. 742bis) – espressione che, quanto meno in origine, si contrapponeva alla decisione a seguito di discussione in pubblica udienza.  In passato, tale procedimento era confinato abbastanza rigidamente nell’ambito della giurisdizione volontaria, che non ha ad oggetto diritti o status ed in qualche caso neppure consente di individuare, quanto meno a priori, delle parti contrapposte e potenzialmente destinatarie del provvedimento richiesto (cfr. distinzione tra procedimenti unilaterali e procedimenti bilaterali o plurilaterali). Ciò può dunque spiegare il carattere semplificato di tale rito, che gran parte della dottrina classifica nei procedimenti sommari e che si contraddistingue per la massima discrezionalità attribuita al giudice nella conduzione e nella determinazione delle modalità di svolgimento del processo e per il peculiare regime di stabilità e d'impugnazione del provvedimento finale. Il legislatore richiama spesso il modello-base del procedimento camerale, eventualmente apportandovi delle modifiche o integrazioni, in non pochi casi in cui il processo ha innegabilmente oggetto dei diritti soggettivi o degli status, invece che la mera gestione di interessi. Tale fenomeno, definito (cfr. cameralizzazione dei diritti), si è andato accentuando negli ultimi decenni, forse anche per reazione alla eccessiva complessità e durata del processo ordinario di cognizione. Caratteristiche Il codice delinea la disciplina essenziale (schema-base) del procedimento camerale:  Forma della domanda e del provvedimento (art. 737): il procedimento in camera di consiglio inizia con ricorso da depositare nella cancelleria del giudice competente. o Nel silenzio della legge circa le modalità di instaurazione del contraddittorio, dottrina e giurisprudenza ritengono che il principio del contraddittorio debba trovare attuazione anche nei procedimenti camerali (vs. inaudita altera parte), sia quando abbia ad oggetto diritti o status, sia quando si tratti di giurisdizione volontaria e si possano a priori individuare dei soggetti contro-interessati. Tale conclusione trova riscontro nell'art. 111 Cost. che impone il rispetto del contraddittorio, senza distinzione, in ogni processo. Pertanto, il giudice – solitamente il presidente del collegio – quando non si tratti di un procedimento unilaterale, dovrà disporre con decreto la comparizione delle parti, senza essere in ciò vincolato ad alcun termine minimo dilatorio, assegnando un termine per la notificazione dell'atto introduttivo e del decreto ai contro-interessati.  Procedimento (art. 738): il presidente deve nominare un relatore che riferisca al collegio in camera di consiglio, si disciplinano le modalità d'intervento del p.m., nei casi in cui è obbligatorio ex art. 70, e si attribuisce al giudice il potere di assumere informazioni. o Pertanto, di regola, la trattazione è di norma integralmente collegiale (sebbene si ammetta la delega della sola assunzione delle prove ad uno dei componenti del collegio), le attività di allegazione e probatorie delle parti sono esenti da specifici termini o preclusioni e il giudice, dal canto suo, è investito di ampi poteri inquisitori e di autonoma iniziativa istruttoria.  Revocabilità dei provvedimenti (art. 742): salvo la legge disponga altrimenti, il procedimento si conclude con decreto motivato, modificabile e revocabile in ogni tempo (indipendentemente dal mutamento di circostanze e, quindi, anche in base ad una diversa valutazione dei fatti e delle ragioni giuridiche originariamente dedotti), seppure rimangano fatti salvi i diritti anteriormente acquistati in buona fede da terzi. o Il provvedimento camerale è di per sé inidoneo ad acquisire la stabilità propria della sentenza passata in giudicato e, quindi, a spiegare autorità in un diverso giudizio.  Reclami delle parti (art. 739): l'unica impugnazione ammessa nei confronti del decreto camerale è rappresentata dal reclamo, per cui è competente la corte d'appello ove si tratti di provvedimento reso dal tribunale, proponibile nel termine perentorio di 10 giorni, decorrente dalla comunicazione del decreto (quando, trattandosi di procedimenti unilaterali, sia dato nei confronti di una sola parte) oppure dalla notificazione, se pronunciato nei confronti di due o più parti. La decisione sul reclamo è pronunciata con decreto, che però non è soggetto né a reclamo né ad altra impugnazione. o Il reclamo è esperibile, entro 10 giorni dalla comunicazione, anche dal pubblico ministero, se riguarda un provvedimento per il quale era necessario il suo parere. Deviazioni dal modello-base Nelle ipotesi in cui il procedimento in camera di consiglio ha direttamente ad oggetto diritti o status, il legislatore detta una normativa più articolata, magari disciplinando in modo meno approssimativo le modalità di attuazione del contraddittorio e i poteri istruttorii delle parti, ed eventualmente stabilendo che il provvedimento finale rivesta la forma non del decreto bensì dell’ordinanza oppure della sentenza; con il risultato di assoggettare il provvedimento stesso ad un diverso regime formale nonché, quando sia prevista la decisione con sentenza, al sistema di impugnazioni proprie di quest’ultima. Anche al di fuori di queste specifiche ipotesi in cui il legislatore direttamente è intervenuto, la giurisprudenza estende al rito camerale alcun principi caratteristici dei processi contenziosi, tra cui la garanzia del contraddittorio, il diritto di avvalersi della difesa tecnica e il diritto alla prova (che implica la possibilità di utilizzare tutte le prove che sarebbero ammesse in un processo a cognizione piena, seppur con modalità semplificate che tengano conto delle peculiari esigenze di speditezza del rito in esame). Inoltre, nel caso il procedimento abbia ad oggetto diritti o status, tenendo conto della disciplina del ricorso per cassazione straordinario, la giurisprudenza dominante attribuisce natura decisoria al provvedimento camerale (pur quando riversa la forma del decreto o della ordinanza), e quindi, quando non sia previsto un diverso rimedio impugnatorio, ne ammette la ricorribilità in cassazione, negando tuttavia, allo stesso tempo, che il provvedimento resti revocabile e modificabile ex art. 742. Giurisdizione volontaria che incidono indirettamente su diritti o status Vi sono casi in cui il provvedimento reso in camera di consiglio, pur costituendo di per sé mera gestione di interessi e, quindi, pur rimanendo nell'ambito della giurisdizione volontaria, può essere suscettibile di incidere negativamente, anche se in via indiretta, su diritti soggettivi o status (es. revoca amministratori e sindaci nelle s.p.a., che può accompagnarsi alla nomina di un amministratore giudiziario; provvedimenti concernenti l’amministrazione della cosa comune e la nomina di un amministratore, che oltre ad incidere sul diritto dei comunisti di godere direttamente il bene, impongono loro lontre economico relativo al compenso della amministrato). o Il potere di stipulare il contratto (es. rappresentante volontario) comprende il potere di convenire la clausola compromissoria; tuttavia, la validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce; pertanto, l'eventuale nullità del contratto stesso potrebbe non estendersi alla clausola compromissoria e non escludere l'investitura degli arbitri In ogni caso, la convenzione d'arbitrato esige la forma scritta ad substantiam a pena di nullità ; che peraltro si considera rispettata anche quando la volontà delle parti è espressa per telegrafo, telescrivente o messaggio telematico, purché nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi. L’art. 808quater prevede che, nel dubbio, la convenzione d'arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce. Arbitri Nomina Le stesse parti, con la convenzione di arbitrato oppure con accordo separato posteriore, possono designare direttamente gli arbitri o, almeno, stabilire il loro numero e il modo di nominarli. Tuttavia, è indispensabile (ai fini della validità del compromesso o della clausola compromissoria) che la nomina sia riferibile alla volontà di tutte le parti (es. prevedendo che ciascuna di esse ne indichi uno e che il terzo sia scelto di comune accordo o da un terzo). Premesso che qualunque persona fisica, anche se straniera, può assumere la veste dell'arbitro, sono comunque previste delle regole generali:  Arbitrato amministrato: la convenzione d'arbitrato potrebbe attribuire la funzione di arbitro anche ad un organismo precostituito (es. ad una delle camere arbitrali istituite presso le singole camere di commercio);  Incapacità di essere arbitro (art. 812): non può essere arbitro chi è privo, in tutto o in parte, della capacità legale di agire;  Numero degli arbitri (art. 809): gli arbitri devono essere in numero dispari (al fine di assicurare che possa formarsi una maggioranza al momento della decisione). Sono altresì previste alcune regole integrative se la convenzione arbitrale: o Ha omesso d'indicare il numero di arbitri e le parti non raggiungono un accordo a proposito: il numero resta fissato in 3; o Prevede un numero di arbitri pari: il presidente del tribunale – salvo che le parti non abbiano diversamente convenuto attribuendo la designazione ad un diverso soggetto – deve nominare un ulteriore arbitro; o Ha omesso di indicare le modalità della nomina: il presidente del tribunale, salvo che le parti abbiano diversamente convenuto, provvede alla designazione dell'unico arbitro o degli arbitri.  Nomina (art. 810): o Dalle parti: quando a norma della convenzione, gli arbitri devono essere nominati dalle parti, ciascuna, di esse, con atto notificato per iscritto (cfr. domanda di accesso agli arbitri) rende noto all'altra l'arbitro o gli arbitri che essa nomina, con invito a procedere alla designazione dei propri. La parte, alla quale è rivolto l'invito, deve notificare per iscritto, nei 20 giorni successivi, le generalità dell'arbitro o degli arbitri da essa nominati. o Dal presidente del tribunale: in mancanza di nomina, la parte che aveva formulato l'invito può chiederne la nomina con ricorso al presidente del tribunale nel cui circondario si trova la sede dell'arbitrato, ovvero, se la sede ancora non sia stata determinata, al presidente del tribunale nel cui luogo era stata stipulata la convenzione di arbitrato, o, se questo luogo è all'estero, al presidente del tribunale di Roma. Il presidente provvede senz’altro alla nomina – nel rispetto di criteri che assicurano trasparenza, rotazione ed efficienza e, a tal fine, della nomina viene data notizia sul sito dell'ufficio giudiziario – senza essere neppure tenuto a sentire le parti, salvo che la convenzione d'arbitrato non sia manifestamente inesistente o preveda manifestamente un arbitrato estero.  Il provvedimento di nomina parrebbe sottratto a qualunque impugnazione, sicché un ingiustificato diniego di nomina resterebbe privo di rimedio. Si ritiene che questo procedimento sia utilizzabile anche in caso di arbitrato irrituale, il che rende superfluo verificare, in questa fase, la natura dell’arbitrato voluto dalle parti. Lo stesso procedimento è esperibile quando la nomina di uno o più arbitri sia demandata dalla convenzione di arbitrato direttamente all’autorità giudiziaria oppure ad un terzo, il quale abbia omesso di provvedervi, nonché, quando, essendo venuti a mancare tutti o alcuni degli arbitri nominati e dovendosi, pertanto, procedere alla loro sostituzione, la convenzione di arbitrato nulla disponga al riguardo oppure la parte o il terzo, cui la sostituzione sarebbe demandata, non vi provveda.  Accettazione degli arbitri (art. 813): data per iscritto, anche mediante sottoscrizione del compromesso o del verbale della prima riunione, ed è accompagnata, a pena di nullità , da una dichiarazione nella quale è indicata ogni circostanza rilevante alla loro ricusazione ex art. 815.1 o la relativa insussistenza (cfr. disclosure). L'arbitro deve rinnovare la dichiarazione in presenza di circostanze sopravvenute. o In caso di omessa dichiarazione o di omessa indicazione di circostanze che legittimano la ricusazione, la parte può richiedere, entro 10 giorni dalla accettazione o dalla scoperta delle circostanze, la decadenza dell'arbitro nei modi e con le forme di cui all'articolo 813-bis, ossia con ricorso al presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato. Obblighi, responsabilità e diritti Con l'accettazione della nomina, gli arbitri assumono, verso le parti, il dovere di condurre diligentemente a termine l'incarico ricevuto e di decidere la controversia loro sottoposta. Dall'inosservanza di tale dovere può derivare una responsabilità risarcitoria nei confronti delle parti stesse ed eventualmente, prima ancora, la decadenza dall’incarico. A norma dell’art. 813bis, infatti, salvo le parti abbiano diversamente stabilito, l'arbitro che omette o ritarda di compiere un atto relativo alle proprie funzioni può essere sostituito direttamente dalle parti, se queste si trovano d'accordo a riguardo, oppure dal terzo che ne sia stato incaricato dalla convenzione d’arbitrato.  Qualora non si realizzi nessuna di queste ipotesi, ciascuna delle parti può mettere in mora l'arbitro inadempiente, diffidandolo con raccomandata e, poi, trascorsi 15 giorni, può adire con ricorso il presidente del tribunale competente ex art. 810.2, affinché, quest’ultimo, sentiti gli arbitri e le parti ed accertato l'omissione o il ritardo, dichiari con ordinanza non impugnabile la decadenza dell'arbitro e provveda alla sua sostituzione. L’art. 813ter prevede che l'arbitro è tenuto al risarcimento del dei danni nei confronti delle parti quando:  Con dolo o colpa grave, ha omesso o ritardato il compimento di atti dovuti ed è stato perciò dichiarato decaduto;  Ha rinunciato all'incarico senza giustificato motivo;  Con dolo o colpa grave, ha omesso o impedito la tempestiva pronuncia del lodo, nel rispetto del termine fissatogli;  Nelle stesse fattispecie in cui sarebbe esperibile l'azione risarcitoria per danni causati da magistrati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie per dolo o colpa grave. In questi casi, salvo che la responsabilità dipenda da dolo, il risarcimento non può comunque superare il triplo del compenso convenuto o previsto dalla tariffa applicabile; fermo restando che all'arbitro responsabile non sono neppure dovuti il corrispettivo ed il rimborso delle spese (oppure sono dovuti in misura ridotta, in caso di nullità solamente parziale del lodo). Infine, l’azione risarcitoria può essere proposta solo dopo la conclusione del giudizio arbitrale e, qualora esso sia pervenuto alla pronuncia del lodo, presuppone che l'impugnazione del lodo sia stata accolta con sentenza passata in giudicato, potendo proporsi esclusivamente per i motivi che hanno condotto all'annullamento del lodo.  Considerati, i limiti in cui è impugnabile il lodo, che in particolare non consentono di censurare gli accertamenti di fatto sui quali esso si fonda, appare del tutto improbabile la concreta configurabilità di ipotesi di responsabilità analoghe a quelle che potrebbero discendere dal comportamento di un magistrato (ossia l’ultima ipotesi esposta). Agli arbitri, poi, non compete la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio (cfr. si esclude che l’omissione o il ritardo nel provveder possano integrare il reato di cui all’art 328 c.p.). Quanto ai diritti degli arbitri, essi hanno diritto al rimborso delle spese sostenute e al pagamento dell'onorario maturato per l'opera prestata, salvo che non vi abbiano rinunciato al momento dell'accettazione o con un successivo atto scritto (art. 814). Ricusazione Gli arbitri sono liberi di accettare o meno l'incarico, nonché di rinunciarvi in presenza di un giustificato motivo (art. 813ter). Dunque, rispetto ad essi non è previsto alcun potere-dovere di astensione ed è, infatti, disciplinata solamente la possibilità di ricusazione ad opera delle parti, per uno dei motivi indicati nell’art. 815 (analoghi a quelli che consentirebbero la ricusazione del giudice a norma dell’art. 51 e l’ipotesi in cui l’arbitro non possegga le qualifiche espressamente convenute dalle parti). La Cartabia ha altresì codificato, come motivo di possibile ricusazione, anche l’esistenza di altre gravi ragioni di convenienza, tali da incidere sull’indipendenza o sull’imparzialità dell’arbitro (oltre all’inottemperanza del dovere di disclosure delle circostanze rilevanti per l’eventuale ricusazione). La ricusazione, peraltro, è esclusa di regola per gli arbitri che la parte abbia direttamente nominato o contribuito a nominare, salvo si fondi su motivi conosciuti dopo la nomina, e deve essere proposta con ricorso allo presidente del tribunale competente ex art. 810 entro il termine perentorio di 10 giorni dalla notificazione della nomina ovvero dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione. Il presidente decide con ordinanza non impugnabile, sentiti l'arbitro ricusato e le parti, e dopo aver eventualmente assunto sommarie informazioni, e provvede anche sulle spese. In particolare, in caso di manifesta inammissibilità o manifesta infondatezza dell'istanza di ricusazione, è prevista la condanna dell'istante al pagamento, in favore dell'altra parte, di una somma equitativamente determinata, non superiore al triplo del massimo del compenso spettante all'arbitro singolo in base alla tariffa forense. La proposizione dell'istanza di ricusazione non sospende, di per sé, il procedimento arbitrale, salvo che non siano gli stessi arbitri a voler disporre la sospensione. Se l'istanza viene poi accolta, l'attività (anche meramente istruttoria) compiuta dall'arbitro ricusato o con il suo concorso è inefficace, e deve quindi essere reiterata. Procedimento Sede L’art. 816 stabilisce che le parti devono determinare la sede dell’arbitrato nella convenzione d'arbitrato la sede dell'arbitrato; da intendersi non come un indirizzo o un recapito, bensì come indicazione meramente geografica (riferita, cioè, ad una località). Essa deve trovarsi necessariamente nel territorio della Repubblica ed in quanto tale determina la natura italiana (e non estera) dell’arbitrato, cui è implicitamente subordinata l’applicazione delle disposizioni del codice.  Quando la sede non sia stata indicata dalle parti, sono gli stessi arbitri a sceglierla e, se neanche loro vi provvedono, la sede coincide con il luogo in cui è stata stipulata la convenzione d'arbitrato. Se tale luogo si trova all'estero (e nonostante questo risulti che le parti hanno voluto un arbitrato italiano) la sede è a Roma. La rilevanza della sede è meramente formale: ad essa, infatti, deve aversi riguardo per individuare il presidente del tribunale cui spettano una serie di provvedimenti connessi al procedimento arbitrale (nomina, sostituzione, ricusazione degli arbitri, liquidazione dei relativi onorari e rimborsi spese, ordine di comparizione dei testimoni che rifiutino di comparire spontaneamente), nonché gli uffici giudiziari competenti per l'eventuale dichiarazione di esecutività del lodo e per le relative impugnazioni. In assenza di una diversa previsione delle parti nella convenzione di arbitrato, nulla esclude che tutte le attività degli arbitri (udienze, atti istruttori e finanche la deliberazione e la sottoscrizione del lodo) si svolgano in luoghi diversi dalla sede dell'arbitrato, perfino all’estero. Regole generali
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