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Riassunto completo di Italo Svevo dal libro "I classici nostri contemporanei", Appunti di Italiano

Vita, poetica e opere con approfondimenti.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 30/06/2022

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Scarica Riassunto completo di Italo Svevo dal libro "I classici nostri contemporanei" e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! ITALO SVEVO (1861-1928) LA VITA Nacque il 19 dicembre 1861 a Trieste da un’agiata famiglia borghese. I suoi studi furono indirizzati dal padre verso la carriera commerciale. Nel 1873 fu mandato in collegio in Germania dove studiò materie utili per quel tipo di attività e si impadronì perfettamente del tedesco. Si dedicò ad alcune letture tedesche dimostrando così il suo interesse letterario. A 17 anni ritornò a Trieste e iniziò a comporre testi drammatici e collaborò al giornale “L’Indipendente”. Politicamente era vicino alle posizioni irredentistiche e manifestava anche interesse per il socialismo. Nel 1880, in seguito ad un investimento industriale sbagliato, il padre fallì: Svevo conobbe così l’esperienza della declassazione, passando dall’agio borghese ad una condizione di ristrettezza. Fu costretto a cercar lavoro: il lavoro impiegatizio era per lui opprimente per cui cercava un’evasione nella letteratura. Si dedicò alle prime prove narrative, scrivendo alcune novelle e progettando, Una Vita, il suo primo romanzo che pubblicherà nel 1892 con lo pseudonimo di Italo Svevo. Nel 1895 morì la madre, a cui lo scrittore era molto legato. Incontrò sua cugina, molto più giovane di lui, Livia Veneziani e se ne innamorò, fidanzandosi con lei nel corso dello stesso anno. Le nozze furono poi celebrate nel 1896, e l’anno successivo nacque la figlia Letizia. Il matrimonio segnò una svolta fondamentale nella vita di Svevo. Sul piano psicologico, l’“inetto” trovava finalmente un terreno solido su cui poggiare e poteva arrivare a coincidere con quella figura che era apparsa irraggiungibile, il padre di famiglia, sereno e pacato dominatore del suo mondo domestico. Ma mutava anche la condizione sociale dello scrittore: Svevo abbandonò l’impiego della banca ed entrò nella ditta dei suoi suoceri. Fu un salto di classe sociale: da una modesta condizione piccolo borghese, si trovò proiettato nel mondo dell’alta borghesia; ma soprattutto da intellettuale si trasformò in dirigente d’industria. I suoi orizzonti si allargarono perché per lavoro dovete compiere numerosi viaggi in Francia e in Inghilterra. Lasciò l’attività letteraria, guardandola con sospetto, come qualcosa di malsano, che poteva disturbare la sua nuova vita attiva e produttiva. Il senso di colpa dell’intellettuale, che si sente superfluo, è un dato ricorrente in quest’epoca: ma Svevo compi davvero il passo decisivo, lasciando la letteratura e passando nel campo dell’industria. In realtà l'intenzione di abbandonare la scrittura letteraria non fu da lui osservato con severità. Innanzitutto il bisogno di scrivere riaffiora sotto il pretesto del fine pratico di “capirsi meglio”. Gli interessi culturali in generale, non erano spenti, ma semplicemente in stato di attesa di un’occasione che permettesse loro di ricomparire. Negli anni tra l’ingresso nell’attività industriale e lo scoppio della Prima guerra mondiale si verificarono anche due eventi fondamentali per la formazione intellettuale di Svevo. Il primo fu l’incontro con James Joyce; l’altro evento fu l’incontro con la psicoanalisi, che avvenne verso il 1910: il cognato aveva sostenuto una terapia a Vienna con Freud, e questo fu il tramite attraverso cui Svevo venne a conoscenza delle teorie psicoanalitiche, che erano in accordo con le sue esigenze profonde. L’occasione per riemergere in campo letterario fu offerta dalla guerra. Poiché la fabbrica di vernici fu requisita per ordine dell’autorità austriache, Svevo si trovò libero da ogni incarico pratico e poté riprendere la sua attività intellettuale. L’anno successivo alla fine del conflitto, nel 1919, pose mano al suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno, che venne pubblicato nel 1923. Lo scrittore arrivò a conquistare fama in Francia e su scala europea. Solo in Italia rimase intorno a lui un’atmosfera di disinteresse; l’unica eccezione fu riconosciuta da Eugenio Montale che gli dedicò un ampio saggio sulla rivista “L’esame” nel 1925. Negli anni successivi alla coscienza progettò un quarto romanzo, sempre con protagonista Zeno; inoltre stese una serie di racconti e alcuni testi teatrali. L’11 settembre del 1928, però, ebbe un incidente d’auto a Treviso, e due giorni dopo morì. LA FISIONOMIA DI SVEVO L’aspetto di Svevo appare diversa da quella del tradizionale del letterato italiano. In primo luogo presenta caratteristiche speciali l’ambiente in cui egli si forma: Trieste è una città di confine, in cui convergono tre civiltà, quella italiana, quella tedesca e quella slava; Trieste è anche una città commerciale e Svevo non coincide con la figura tradizionale dello scrittore italiano, il letterato puro. Lo scrittore stesso, adottando lo pseudonimo di Italo Svevo, vuole segnalare come lui vengono a confluire la cultura italiana e quella tedesca. Non va trascurato il fatto che Svevo, pur non essendo religioso, era nato in una famiglia con radici ebraiche. LA CULTURA DI SVEVO Alla base dell’opera letteraria di Svevo vi è una cultura filosofica, arricchita dalle scienze. Il pensatore che ebbe un peso determinante nella sua formazione, fu Schopenauer, il filosofo che opponeva un pensiero a sfondo irrazionalistico al sistema e hegeliano e che affermava un pessimismo radicale, indicando come unica via di salvezza dal dolore la contemplazione e la rinuncia alla volontà di vivere. Più tardi Svevo conobbe anche Nietzsche. Da lui poté trarre l’idea del soggetto non come salda e coerente unità, ma come pluralità di stati in fluido divenire. L’altro punto di riferimento per Svevo fu un pensatore e uno scienziato, Darwin, l’autore della teoria evoluzionistica, fondata sulle nozioni di selezione naturale e di lotta per la vita. Nei suoi romanzi e nei suoi racconti, Svevo mira sempre a smascherare gli autoinganni dei suoi personaggi, a smontare gli alibi che essi si costruiscono per occultare ai propri stessi occhi le vere, motivazioni dei propri atti, per influenza del determinismo positivistico darwiniano, Svevo fu indotto a presentare il comportamento dei suoi eroi come prodotto di leggi naturali immodificabili, non dipendenti dalla volontà. In tal modo arrivava mettere in luce la responsabilità individuale dell’agire, ad un atteggiamento critico. RAPPORTI CON MARXISMO E PSICOANALISI Ad assumere questo atteggiamento critico Svevo fu anche aiutato dal pensiero di Marx. Egli trasse la chiara percezione dei conflitti di classe che percorrono la società moderna. I conflitti e le ambiguità profonde dei suoi eroi non sono i conflitti e le ambiguità dell’uomo in assoluto, ma del borghese di un determinato periodo della storia sociale. Svevo però, a differenza di Marx non condivise le concrete proposte politiche e preferì prospettive di tipo utopistico. Il rapporto con la psicoanalisi fu problematico. Nonostante ebbe un posto così importante nella sua riflessione nella sua scrittura letteraria, a partire dal primo incontro, avvenuto intorno al 1910, Svevo non apprezzò la psicoanalisi come terapia, che pretendeva di portare alla salute il malato di nevrosi anzi come puro strumento conoscitivo, capace di indagare più a fondo la realtà psichica, e, di conseguenza, come strumento narrativo. Anche la psicoanalisi dunque come il marxismo usata da Svevo non tanto per la sua parte costruttiva quanto per la sua parte “critica”. I MAESTRI LETTERATI Sul piano letterario gli autori che ebbero più peso nella formazione di Svevo furono i grandi romanzieri realisti francesi dell’ottocento: Balzac, Flaubert. Il bovarismo È un tratto caratterizzante gli eroi dei suoi primi romanzi, Alfonso Nitti ed Emilio Brentani. Essi in primo luogo sono sognatori, costruendosi con l’immaginazione una realtà fittizia alternativa; in secondo luogo filtrano tutta la loro esperienza attraverso stereotipi ricavati dai libri. Flaubertiano appare l’atteggiamento di irrisione fredda e corrosiva nei confronti di quei personaggi. Non bisogna dimenticare l’influsso di Paul Bourget, il romanziere che, si era posto come capofila del romanzo psicologico. Tra i romanzieri russi Svevo subì il fascino di Turgheniev, che nella sua opera presenta una galleria di personaggi “inetti”, sognatori. il suo punto di vista è inattendibile. Questa inattendibilità viene denunciata da Svevo attraverso tre procedimenti narrativi: gli interventi del narratore, l’ironia oggettiva e il linguaggio di Emilio. La voce del narratore interviene a smentire e a correggere la prospettiva del protagonista; si presentano così due prospettive, quella di Emilio, che mente a sé stesso, e quella del narratore, che è dotato di una lucidità infinitamente superiore a quella del personaggio e lo può giudicare quasi crudelmente. Altre volte i giudizi sono affidati a sfumature ironiche. Poiché questa ironia nasce dall’oggettività stessa della narrazione, può essere definita ironia oggettiva o implicita. il terzo procedimento usato da Svevo è il linguaggio, sia nelle battute del discorso diretto, sia nel discorso indiretto libero. Ma spesso, dinanzi alle menzogne di Emilio, il narratore tace, non interviene direttamente. Il linguaggio di Emilio appare scontato. Attraverso quello che può sembrare un romanzo psicologico, Svevo fornisce l’anatomia critica di una mentalità e di tutta una cultura in un dato momento storico. LA COSCIENZA DI ZENO Erano stati anni non solo cruciali nell’evoluzione interiore dello scrittore, ma anche pieni di trasformazioni radicali nell’assetto materiale della società europea. Si pensi solo al fatto che si era verificata la Prima guerra mondiale, le avanguardie letterarie e artistiche, l’affacciarsi della psicoanalisi e della teoria della relatività. Il romanzo di Svevo non poteva non risentire di questa diversa atmosfera modificando prospettive e soluzioni narrative arricchendosi di temi. Terzo romanzo pubblicato nel 1923 dopo 25 anni dalla stampa di Senilità. Zeno è definito fratello di Emilio e Alfonso ma si distingue da loro sia per età che per il fatto di provenire da una diversa origine sociale. Il narratore non è esterno, quindi non eterodiegetico, ma autodiegetico, nel senso che si identifica con il protagonista Zeno Cosini che scrive un memoriale, cioè una confessione autobiografica a scopo terapeutico, su invito della psicanalista il dottor S. La narrazione non è lineare, ma spezzata, gli eventi non vengono narrati cronologicamente, né inseriti in un tempo oggettivo, ma soggettivo, in cui il tempo della storia si intreccia con il tempo del racconto, tanto che parleremo di tempo misto. Lo scrittore finge che il dottor S abbia pubblicato il manoscritto per vendicarsi di Zeno che ha voluto interrompere la terapia e Zeno l’ha interrotta perché non crede nella psicanalisi come terapia. L'opera si compone di 8 capitoli. 1) La prefazione: il dottor S. che aveva in cura Zeno, gli dice di scrivere un diario che poi pubblica, violando il rispetto della privacy. 2) Il preambolo: Zeno prende la parola per spiegare la sua infanzia, ma ogni volta che si abbandona alla memoria, cade in un sonno profondissimo. 3) Il vizio del fumo: qui inizia la narrazione vera e propria. Zeno ricorda che ha iniziato a fumare per imitare il padre, ma non riesce a smettere, anzi, è diventato per lui un alibi per giustificare le sue incertezze. 4) La morte del padre: è questo il capitolo centrale, Zeno mostra i sensi di colpa per lo schiaffo ricevuto dal padre in punto di morte 5) Storia del matrimonio: Zeno cerca una figura paterna e la trova in Malfenti, un ricco borghese, di cui vorrebbe sposare la figlia più bella Ada, che però è fidanzata con Guido; poi chiede la mano di Alberta che lo rifiuta, infine sposa Augusta, brutta e scialba, ma il matrimonio sarà felice. 6) La moglie e l’amante: la scelta di Augusta si rivelerà felice, moglie e madre gli da quelle sicurezze che non ha e Zeno può addirittura scegliere un’amante (Carla) 7) Il rapporto con Guido: Guido è Il cognato rivale, colui che Zeno ammira perché possiede quelle qualità che lui non ha ma Guido si rivelerà il contrario di ciò che Zeno aveva pensato di lui. Infatti, inizia un'attività ma poiché è incapace di portarla avanti a causa di un investimento sbagliato, si suiciderà. Durante il suo funerale Zeno arriverà tardi perché sbaglia corteo (lapsus freudiano). 8) Psicoanalisi: Zeno vuole porre fine alla terapia ma scrive ancora su un diario in modo sincero. Scoppia la Prima guerra mondiale e lui, a Trieste, immagina un ordigno che distruggerà il mondo. Il narratore della coscienza è un narratore inattendibile, di cui non ci si può fidare. L’autobiografia è tutta un gigantesco tentativo di autogiustificazione di Zeno che vuole dimostrarsi innocente. L’agire di Zeno è sempre manifestamente il prodotto di impulsi inconsci. Per tutto il romanzo ogni gesto rivela motivazioni ambigue. Per cui la coscienza di Zeno appare come una cattiva coscienza, una coscienza falsa. A differenza di Emilio Zeno non è solo oggetto di critica ma anche soggetto. Non vi è solo l’ironia oggettiva ma il romanzo è anche percorso dal distacco ironico con cui Zeno guarda il mondo che lo circonda. La “diversità” di Zeno, la sua “malattia”, funziona da strumento straniante nei confronti dei cosiddetti “sani” e “normali”. Nel protagonista vi è un disperato bisogno di “salute” cioè di normalità. Però non riesce mai a coincidere veramente con quella forma compiuta e definitiva di uomo. Zeno finisce in questo modo per scoprire che la salute atroce degli altri è anch’essa “malattia”, la vera malattia. In Zeno si fondono menzogna e critica. Zeno è un personaggio a più facce, negativo per un verso ma anche positivo. Nel saggio “L’uomo e la teoria darwiniana”, l’inetto vi appare come un “abbozzo”, un essere in divenire, che può ancora evolversi. I sani, invece, sono incapaci di evolversi ulteriormente. L’inettitudine, ormai, non è più considerata un marchio di inferiorità, ma una condizione aperta, disponibile ad ogni forma di sviluppo. La figura di Zeno Zeno è un inetto, un abulico, un vecchio, un nevrotico. Negli anni giovanili vive nell’ ozio, non si laurea e il padre non lo stima e lascia un testamento al suo amministratore, Olivi. Con il padre ha un rapporto di amore odio e il vizio del fumo è dovuto inconsciamente al volersi misurare con il padre prendendogli le sue prerogative virili. Alla morte del padre cerca un'altra figura paterna in Malfenti, o comunque cerca qualcuno da imitare come Guido, ma alla fine capirà che nel contrasto tra normalità e malattia non è lui il malato, ma il Sano. Zeno si rivolge allo psicanalista perché è malato, ma la sua malattia è la nevrosi, cioè la sofferenza psichica che si manifesta con ansia, ossessioni, paure e attraverso la psicanalisi vuole portare alla luce tutti gli atti della vita. Dalle sedute emerge che: non ha mai smesso di fumare, non ha terminato gli studi, non ha mai seriamente lavorato, ha sposato chi non voleva sposare, ha una relazione extraconiugale, la malattia si esprime fisicamente perché zoppica. Dal romanzo è evidente che la sua è una malattia di comodo. Ama il proprio stato di malato e si rifugia in questa condizione perché gli dà una percezione più autentica della realtà. Zeno è un narratore ambiguo e inattendibile, attraverso il diario vuole autogiustificarsi dei suoi inganni e delle sue bugie, come se le sue azioni fossero manifestazioni di impulsi inconsci. La sua più che coscienza, antifrasticamente, si potrebbe chiamare l'incoscienza di Zeno. Non è lui ad essere malato, ma la società e la vita stessa è inquinata dalle radici. I sani, i ben inseriti nella vita sono i veri malati, hanno lottato ma non hanno raggiunto l'obiettivo. Basta vedere Guido che si è suicidato o Ada, che soffre del morbo di Basedow, cioè di uno spreco di energia vitale, non è riuscita a vivere la vita così come vien, si è appassionata troppo a quello che faceva e poi ne è stata travolta. Zeno invece ha quel distacco che gli permette di sorridere di tutto e di tutti, pure di sé stesso. Tutto gli appare relativo, avvolto come in un alone di ironia. Il suo sguardo estraniato, diverso, obliquo vede la banalità altrui, il loro cristallizzarsi in forme rigide e immutabili, mentre lui è inquieto, disponibile alle trasformazioni. Vorrebbe essere normale, In salute, ma la salute atroce degli altri diventa malattia. L'essere in salute significa essere un buon padre, un buon marito, un buon uomo d’ affari, essere normale, ma Zeno rimane un inetto, rievocare la sua vita lo ha reso più consapevole. Ha imparato a guardarsi dentro. Zeno ha capito che è impossibile conoscere l'universo umano, è testimone della crisi di certezze. La tecnica narrativa di questo romanzo è in fieri cioè in divenire. L'opera prende forma poco per volta e cresce su sé stessa. Zeno descrive gli eventi di quando era giovane: c'è uno Zeno di oggi che scrive nel presente uno Zeno di ieri che riprende vita dal passato. Mentre racconta, giudica, passando dalla memoria all'intelligenza critica, guardando con distacco la vita. In definitiva il protagonista di questo romanzo è un uomo mancato che attraverso la confessione tenta, ma invano, di comprendere sé stesso e di liberarsi dalla sua inerzia spirituale. Da ciò il rassegnato guardarsi vivere del protagonista e la sua sterile saggezza, che consiste in una chiara conoscenza della propria malattia immaginaria e di comodo, accompagnata dalla totale sfiducia di poterla superare. Questo declino del personaggio riflette la crisi dell'uomo moderno, ossia la scoperta del vuoto che egli avverte sotto le esteriori certezze e la sua conseguente inquietudine, il suo sentimento di angoscia esistenziale. Quello che Svevo scopre è il romanzo analitico, il romanzo che alla rappresentazione oggettiva dei fatti sostituisce quella di una tortuosa inquietudine interna attraverso la tecnica del monologo interiore: quella tecnica di narrazione diretta e automatica per cui gli avvenimenti sono presenti solo attraverso il riflesso che essi hanno avuto nella coscienza del protagonista. I critici in passato hanno visto una corrispondenza tra il flusso di coscienza di Joyce, il monologo interiore di Svevo, ma in realtà sono due tecniche diverse: il primo procede per associazioni libere e spontanee, il secondo, invece, per rievocazioni razionali che danno vita a sequenze ordinate.
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