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RIASSUNTO COMPLETO E ANALISI CRITICA DELL'IPPIA MINORE DI PLATONE, Sintesi del corso di Storia della filosofia antica

Riassunto completo e analisi critica dell'Ippia Minore di Platone. Il file comprende, oltre al riassunto dell'opera passo per passo, l'analisi dell'Introduzione di Giovanni Reale, messa poi a confronto con quella di Guido Calogero. Si affrontano in particolare i temi dell'ironia e della dialettica socratica.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 21/05/2023

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faith_17 🇮🇹

4.3

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39 documenti

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Scarica RIASSUNTO COMPLETO E ANALISI CRITICA DELL'IPPIA MINORE DI PLATONE e più Sintesi del corso in PDF di Storia della filosofia antica solo su Docsity! INTRODUZIONE ALL’IPPIA MINORE – GIOVANNI REALE GIOVANNI REALE Professore ordinario di Storia della filosofia antica all’università cattolica del Sacro Cuore di Milano. In particolare noto per essere sostenitore della posizione della scuola di Tubinga-Milano su una determinata concezione di Platone. Reale fu un grande studioso di Platone e fu colui che portò in Italia una concezione platonica che dà risalto alle cosiddette dottrine orali (sviluppata appunto a Tubinga e in Italia portata avanti da Reale). Secondo questa interpretazione Platone è colui che oralmente, quindi nei dialoghi, esponeva un tipo di dottrina per tutti, mentre il nucleo originale della sua concezione filosofica sarebbe rimasta nascosta e detta solo ai discepoli interni all’Accademia, cioè la dottrina dei Principi (= sopra le Idee ci sono due Principi trascendenti, l’Uno e la Diade, che uniscono la molteplicità delle tante idee). Quello che è importante sapere è che dietro i dialoghi platonici si cela una dottrina non scritta, un nucleo originario che non è espresso nei dialoghi. I dialoghi socratici invece vengono letti come qualcosa di originariamente socratico, perché Platone ancora non aveva sviluppato le sue dottrine chiave (= Socrate sta nei dialoghi, Platone sta nelle dottrine non scritte). COME LEGGERE L’INTRODUZIONE DI REALE – SPINELLI Reale afferma che la professione di ignoranza di Socrate sia ironica nel senso che Socrate sa di possedere una conoscenza differente da quella che possiede Ippia, ad esempio, ma pur sempre una conoscenza. Ciò significa che l’ironia che sta dietro il sapere di non sapere di Socrate è dissimulazione. Reale ritiene questo perché parte dal fatto che dietro Socrate e Platone ci sia un complesso di dottrine che Platone non avrebbe mai espresso nei dialoghi (dottrine non scritte) che costituirebbero il suo vero pensiero da sempre. Quindi entrambi, secondo Reale, sono pensatori dogmatici e massimamente sistematici, dato che il loro pensiero può essere ridotto non a tante idee ma a soli due principi, l’Uno e la Diade. QUESTIONI ERMENEUTICHE SUI DIALOGHI SOCRATICI WERNER JAEGER  i dialoghi socratici di Platone sono la forma originaria del dialogare di Socrate. Somigliano tutti tra loro e questo si spiega col modello reale a cui cercano di aderire. Per comprendere Socrate è necessario Platone OLOF GIGON  di Socrate non possiamo sapere nulla: abbiamo solo testimonianze indirette e soprattutto con Platone abbiamo la costruzione di un personaggio. - CRITICA DI REALE  non ha tenuto conto del fatto che il messaggio di Socrate sia passato in proporzione alla capacità di accoglierlo (non tutti gli autori l’hanno fatto allo stesso modo, da questo derivano testimonianze diverse) GABRIELE GIANNANTONI  ha eliminato Platone dalla sua raccolta perché “dice troppo” e perché in questo “troppo” è difficilissimo distinguere quello che è socratico e quello che è platonico - SPINELLI  In realtà nell’Introduzione al libro dove Giannantoni raccoglie tutte le testimonianze su Socrate dice di aver escluso quella di Platone per un motivo di carattere pratico (quindi non è una scelta di metodo, non è che rifiuta la sua testimonianza), cioè che sarebbe stato sovrabbondante includere nel volume i dialoghi giovanili socratici di Platone, dal momento che il lettore può reperirli facilmente. VLASTOS  separa i primi dialoghi dai successivi in modo troppo netto DUE POSIZIONI ESTREMISTE DA EVITARE NELL’ANALISI DEI DIALOGHI SOCRATICI 1) trovare troppo poco Platone (Vlastos) 2) trovare troppo Platone > pensare che vi siano già contenute le dottrine successive - REALE  risponde dicendo che nei dialoghi si cerca di ricostruire il pensiero e il metodo del maestro, ma sono comunque presenti degli accenni impliciti di dottrine successive che Platone stava maturando. Questo però non deve far leggere i primi dialoghi alla luce di quelli successivi, perché appunto si trattava di pensieri che comunque Platone non riteneva di comunicare ancora (inoltre i lettori dei primi dialoghi non potevano far riferimento a dialoghi successivi). ASSI PORTANTI DEL PARADIGMA ERMENEUTICO DI REALE  L’IRONIA  LA DIALETTICA ELENCTICA L’IRONIA 1) GREGORY VLASTOS – Socrate, il filosofo dell’ironia complessa (1998) Distingue due forme di ironia - IRONIA SEMPLICE  consiste nel dire qualcosa non nel suo significato ordinario, ma per alludere ad altro (di solito al contrario di ciò che si dice). Ad esempio, se fuori piove è qualcuno dice “che bel tempo”. In questi casi, è chiarissimo che non si sta intendendo quello che si dice e non c’è ambiguità di significato (a patto che ci sia una base comune di conoscenza) - IRONIA COMPLESSA  è quella di Socrate e consiste nel dire qualcosa che allo stesso tempo è e non è quello che si intende (cioè il suo significato è vero in un senso e falso in un altro). per poter comprendere questa ironia, bisogna entrare nel circolo ermeneutico del discorso che Socrate sta facendo e nelle sue implicazioni. Sono due gli esempi che fa Vlastos:  La professione di ignoranza di Socrate  si intende da un lato che non vi è niente che egli affermi con assoluta certezza; dall’altro lato, se per conoscenza intendiamo un’opinione giustificata e giustificabile attraverso il metodo dialettico, Socrate può dire di sapere molte cose o SPINELLI  il “so di non sapere” è comunque una forma di sapere o è la dichiarazione di ignoranza che non conduce a nulla? Ma se non conduce a nulla l’interrogare di Socrate a cosa serve, dove va a parare? Capire cosa c’è dietro l’ironia di Socrate è difficile e cambia in base a come interpretiamo il “sapere di non sapere”: se l’ironia è comunque sostenuta da qualche tesi allora Socrate sta dissimulando perché non è vero che l’ironia si basa sul “sapere di non sapere” perché Socrate sa; se invece crediamo alla professione di ignoranza di Socrate, la sua ironia è sterile, serve solamente alla pars destruens ma non costruisce nulla.  L’insegnamento di Socrate  Socrate intende quello che dice, cioè che non pratica nessun tipo di insegnamento, nel senso classico del trasferire conoscenze dalla mente di un docente a quella di un discente; dall’altro lato, poiché lui impegnava gli uditori nel ragionamento dialettico al fine di renderli consapevoli della loro ignoranza e spingerli così a scoprire la verità, Socrate era forse l’unico insegnante. IL SENSO DELLA TESI DI SOCRATE NELL’OTTICA DELL’IRONIA La tesi dell’Ippia minore, che chi fa il male volontariamente è migliore di chi lo fa involontariamente, rimane del tutto incomprensibile se non si entra nel circolo ermeneutico dell’ironia socratica – tanto più perché nel finale viene addirittura connessa al concetto di giustizia. La giustizia è presentata come una scienza, di conseguenza l’anima che ha più scienza se commette ingiustizia lo fa volontariamente. Viene poi precisato che l’anima giusta è buona, mentre l’anima che non ha conoscenza (è ingiusta) è cattiva. La conclusione assurda è che l’anima buona commette ingiustizie volontariamente mentre l’anima cattiva commette ingiustizie involontariamente. La soluzione all’ambiguità di questa tesi, sta in una frasetta: “Allora, chi sbaglia e commette azioni malvagie e ingiuste volontariamente, Ippia, se mai c’è un uomo come questo, altri non può essere se non il buono.” Evidentemente Socrate sta dicendo in modo ironico che un tale uomo buono che commette azioni malvagie e ingiuste non c’è e non può esserci perché proprio la conoscenza del Bene glielo impedisce. Questa soluzione però il lettore la deve guadagnare autonomamente attraverso la spinta ironico- dialettica che il dialogo offre, e alla fine consiste nel cosiddetto intellettualismo etico, cioè nel fatto che nessuno pecca volontariamente (nemo sua sponte peccat) e che quando un uomo conosce il Bene veramente non può non volerlo. [comunque il discorso si gioca sui due avverbi, volontariamente e involontariamente: per assurdo, la volontarietà anche se abbinata al male è meglio dell’involontarietà.]  SCHEMATICAMENTE - L’uomo che ha conoscenza del giusto e del Bene potrebbe, in teoria, fare anche il male meglio dell’ignorante - Ma chi ha conoscenza del Bene, in realtà non può essere un mentitore - In effetti un uomo che conoscendo il bene fa il male non esiste, perché l’uomo vuole sempre e solo il Bene. IMPORTANTI INTERPRETAZIONI MODERNE DELL’IPPIA MINORE 1) PAUL FRIEDLANDER Insiste sul fatto che la tesi di Socrate è un modo provocatorio per dire in forma di paradosso che il vero bene è la conoscenza (del bene) e chi la possiede non può non volere il bene. Inoltre, nella sua lettura emerge bene la figura che Socrate ha in questo dialogo: il fatto che inganni Ippia apparentemente alla stessa maniera dei sofisti, è la testimonianza vivente del fatto che chi sa la verità può ingannare meglio di chi la ignora. 2) SZLEZAK Secondo Reale fa l’errore di interpretare l’Ippia alla luce del Fedro, “vede troppo” perché presuppone che in Platone vi fosse già un sistema che in realtà è di molto successivo. Inoltre, nella sua lettura l’ironia ha principalmente il ruolo di distaccare Socrate da Ippia 3) ERLER Anche lui legge l’Ippia dando troppo peso ai dialoghi successivi, soprattutto alla Repubblica (ritiene che in questo dialogo vi siano già presenti concetti chiave come quello delle Idee) – il dialogo perde così il suo valore intrinseco e poi questa lettura implica che dentro l’Ippia ci sia Platone e non Socrate. INTRODUZIONE ALL’IPPIA MINORE – GUIDO CALOGERO DATAZIONE Calogero riporta la testimonianza di WILAMÒVITZ, per il quale il dialogo potrebbe addirittura essere antecedente alla morte di Socrate data la spregiudicatezza nell’esporre tesi potenzialmente fraintendibili e dannose per lui – cioè Platone non potrebbe aver messo in bocca a Socrate la tesi paradossale che c’è nell’Ippia minore se non prima del processo, quando non c’era necessità di fare un’apologia del maestro. - SPINELLI: contro questa lettura c’è la VII Lettera di Platone in cui lui dice di prendere in mano la penna dopo la morte di Socrate. Abbiamo un’ipotesi (tra l’altro isolata) contro un testo. Comunque è un dialogo del primo periodo, quindi non si trovano stralci delle dottrine di Platone. DIVISIONE DEL DIALOGO IN TRE PARTI 1) Primo argomento  Socrate afferma che l’uomo veritiero e l’uomo menzognero sono uguali, in quanto chi ha conoscenza può dire sia il vero sia il falso. Quindi la dicotomia Achille-Ulisse impostata da Ippia crolla: i due sono uguali. 2) Secondo argomento  frutto dell’interpretazione di Socrate dei testi omerici, dell’Iliade in particolare. Questo succede anche nel Protagora col “Carme di Simonide”: Platone dipinge un Socrate inabile e incapace, ma che non vuole sentire le argomentazioni di personaggi come Omero, che non possono partecipare in prima persona al dialeghestai 3) Conclusione Questa divisione non è inventata da Calogero, ma esisteva già e aveva un doppio obiettivo - Rendere più sistematico il dialogo - Primo, secondo e terzo argomento fanno subito pensare all’elenchos (= il primo argomento non regge perciò dobbiamo elaborarne un secondo che a sua volta crolla quindi ne serve un terzo ecc..). Sicuramente questo, oltre a mostrare di nuovo che l’elenchos è l’arma fondamentale di questo Socrate, mostra anche che egli non è solo colui che dialoga ma anche colui che sa dialogare, perché nel primo argomento ha già implicito un secondo. L’INTERPRETAZIONE OMERICA Si gioca sulla contrapposizione Achille-Ulisse. Nella tradizione mitica greca il vero eroe è Achille, puro, forte e disinteressato, mentre Omero è un eroe a due facce, sempre pronto ad escogitare un espediente. Dunque, nell’immaginario collettivo (e anche secondo Ippia) vinceva Achille. IL SENSO DEL DIALOGO Per comprendere il dialogo secondo Calogero servono due elementi: 1) Riconoscere il punto del problema secondo lui, cioè la terza parte del dialogo > errare può essere inteso sia in senso teoretico-gnoseologico (quindi nell’astratta possibilità dell’errare, di sbagliare) o sul piano pratico e morale (comportarsi male) 2) Non fare una netta distinzione tra il primo e il secondo argomento, laddove l’uno deriva dall’altro Calogero mostra il punto a cui vuole arrivare, ossia che il succo del testo è una critica alla concezione del sapere dei sofisti e di conseguenza una difesa dell’intellettualismo etico socratico. Deve lavorarci, perché nel testo non c’è qualcosa che faccia concludere questo: leggendo la conclusione paradossale in chiave ironica, emerge che quella non è la reale tesi di Socrate, il quale invece ne sostiene un’altra (che inserisce Calogero) cioè quella dell’intellettualismo etico. Bisogna decodificare l’ironia, capire che la adotta perché in realtà Socrate ce l’ha una posizione, quella dell’intellettualismo, quindi pensare al dialogo come una parte distruttiva che apre la strada alla parte costruttiva (= chi conosce fa il bene, chi fa male lo fa perché non conosce, e di conseguenza lo fa involontariamente > se avesse la conoscenza ne deriverebbe anche la volontà di compiere il bene – e qui già Calogero aggiunge alla ragione anche la facoltà della volontà, che in Socrate non c’è, perché altrimenti ci poteva essere il rischio che pure in presenza di una ragione perfetta, se la volontà non c’è il bene non si fa, variabile che in Socrate non c’è). Per Socrate, secondo Calogero, chi possiede l’episteme sapendo scegliere tra le cose buone e quelle cattive, sceglie sempre le prime – ma questo nel dialogo non c’è. Delle due l’una: o ci fermiamo al piede della lettera (quindi accettiamo che la conclusione che si raggiunge è paradossale) oppure in controluce con Calogero vediamo la tesi socratica. Ma questo significa che attribuiamo a Socrate una tesi, quindi al suo dialeghestai un senso, una direzione. IPPIA MINORE PROLOGO  TESI DEL DIALOGO A PARTIRE DALLA DISCUSSIONE SU ACHILLE E ULISSE 363 A - “Ippia ha presentato una declamazione” (epìdeixis) > diverse cose da considerare: 1) La declamazione era il tipo di discorso usato dai sofisti 2) È uno stile opposto al dialogo socratico. Per questo prima si dice che Socrate tace: lui sa parlare solo se si parla a modo suo 3) È il modo in cui si presenta Ippia: un sofista in grado di tenere una declamazione 4) “presentare” implica che non sia frutto di un dialogo, ma sia già pronta, nella forma e nel contenuto - “ti unisci a noi nel lodare le cose che ha detto o ne confuti qualcuna?”  Platone mostra quali sono le due reazioni verso i discorsi dei sofisti, la lode o la critica (o meglio, la confutazione) 363 B - “informato”  Socrate fa capire subito che non gli interessa cosa dicono i poeti (ammesso che lo si possa sapere, dato che sono morti): vuole sapere cosa ne pensa Ippia (intenzionalità semantica del Tu). Il verbo greco è ancora più forte: significa “entrare dentro qualcosa”, andare al cuore di quello che intende chi mi sta di fronte  Questa frase di Socrate non è banale: lui vuole che l’interlocutore sia presente realmente nel dialogo e si prenda la responsabilità della propria posizione dialogica. Qui Ippia non solo si sta limitando a fare il portavoce di qualcun altro, come fanno i sofisti, ma utilizza il patrimonio mitico tradizionale a proprio vantaggio, il che significa che quella declamazione non è un esercizio retorico, ma un modo per veicolare il proprio pensiero. Qui Socrate colpisce: a lui Ippia: “sono sapienti nell’ingannare” - Alla fine si arriva a dire che i bugiardi sono sapienti e per questo ingannano.  Secolarizzazione del concetto di inganno: da sempre utilizzato nelle tragedie greche come prodotto dell’azione divina, ora viene attribuito all’uomo quand’è sapiente [opposizione alla tradizione] 366 A - Socrate riassume quanto detto finora e ricorda che è stato Ippia a dirlo (tu) - Dopodiché sposta la questione: non gli interessa più definire i bugiardi ma opporli ai veritieri. 366 B - “se vogliono”  introduce l’elemento della volontarietà: non si tratta più solo dell’essere bugiardi o veritieri, ma dell’esserlo volontariamente o involontariamente. Qui inizia lo snodo che porterà alla tesi paradossale, ed è legato alla volontarietà dell’azione morale. 366 C - La distinzione tra il capace e l’incapace passa sempre per l’elemento della conoscenza. 367 A - Socrate porta Ippia ad ammettere che lui essendo capace (sapiente) nei calcoli e nella matematica, quindi sapendo dire il vero, se volesse potrebbe dire anche il falso, stando al nostro ragionamento 367 C - “buono”  cosa centra adesso agatòs? Non solo il capace è colui che sa (e può dire tanto il vero quanto il faso), ma è anche colui che è buono – questa è un’aggiunta di Socrate, che continua a caricare la diùnamis di un valore morale.  Ma com’è possibile che chi è sapiente nell’ingannare sia definito anche buono? Questi piccoli paradossi che si creano già prima della conclusione, potrebbero avere come scopo proprio far capire che quella conclusione va abbandonata - Socrate afferma che è lo stesso uomo ad essere bugiardo e veritiero.  Qui fa uso di un sofisma evidente, confondendo che chi può dire il falso, per questo sia un bugiardo. L’uomo che ha conoscenza potrebbe in astratto dire bugie, ma non per questo è un bugiardo: la conoscenza del vero glielo impedisce! - Socrate ripropone lo stesso argomento in altri campi di indagine: la geometria e l’astronomia 368 B - Socrate riassume le cose a modo suo, facendo un lungo discorso in realtà pieno di frecciatine ad Ippia (ad esempio il paragone con il lusso dei persiani per via della cintura: per un greco era un’offesa già solo essere paragonato ai persiani). Alla fine del discorso, ripassa la palla ad Ippia chiedendogli di condurre lui la ricerca - Ippia afferma di non saperlo fare  questo ci appare strano, ci possono essere tre motivi:  È un modo di Platone per dire che solo il suo Socrate può condurre il dialeghestai  Platone vuole mostrare che in realtà Ippia è incapace, non è onnisciente  Ippia è in difficoltà, sta nell’aporia, ha bisogno di tempo per ragionare, il che per Socrate teoricamente dovrebbe essere una cosa buona (questo se volessimo salvare Ippia, dimenticandoci per un attimo che è Platone che dirige tutto e che voleva probabilmente far passare un messaggio facendo rispondere Ippia così) 369 B - Arte della memoria  viene delegittimata la mnemotecnica di Ippia che non ricorda il ragionamento e ha bisogno che glielo ricordi Socrate (IRONIA)  Qui possiamo o continuare a vedere un tentativo di Platone-Socrate di affondare Ippia mostrando la sua reale ignoranza o un Ippia che genuinamente è in difficoltà e un Socrate che gli va in soccorso per salvare il dialeghestai - Socrate ricorda la tesi iniziale di Ippia: Achille è veritiero mentre Ulisse è un bugiardo ricco di espedienti - Paradosso  seguendo il ragionamento però si era arrivati al fatto che Achille è uguale a Ulisse, perché entrambi sono sia menzogneri che veritieri  Qui non solo abbiamo una contraddizione rispetto alla lettura di Ippia, ma una rilettura dei poemi omerici: Socrate non solo non è un ignorante, ma sa leggere la tradizione meglio dei sofisti 369 C - Ippia accusa Socrate di “attorcigliare i discorsi”, di staccare i pezzi più difficili di un ragionamento (cosa che per Ippia, abituato al macròs logos, è impensabile) e di fissarvisi su  Ippia fa una critica che effettivamente ha senso: Socrate non affronta mai un argomento nella sua interezza - “io ti dimostrerò”  la distanza si fa ancora più forte perché Ippia vuole dimostrare (apodeixo), vuole vincere non convincere (agone)  Ippia vuole che qualsiasi discorso abbia un fine e una fine (che qualcosa venga dimostrato), mentre Socrate non sente questa necessità > da una parte il dogmatismo, dall’altra la skepsis (ricerca). 369 D - Socrate non contrappone subito un nuovo argomento, ma desidera comprendere quello di Ippia, dunque gli fa delle domande - Dopodiché, presenta la sua lettura omerica, portando un brano in cui si vede che Achille mente, non Ulisse. Inoltre, si vede anche che entrambi sono dotati di conoscenza (non si riconosce, dice, quale dei due Omero voglia elogiare e quale no): entrambi gli eroi sono ugualmente eccellenti. 370 E - Per la prima volta Ippia mette in gioco la volontarietà e l’involontarietà. Riconosce che anche Achille dice bugie, ma lo fa involontariamente (è costretto), mentre Ulisse volontariamente; dunque il primo non è colpevole, non ha responsabilità  Poco dopo solleverà il vero problema: come si può considerare migliore chi mente volontariamente? INTERMEZZO  CRISI DEL DIALOGO E INTERVENTO DI EUDICO 372 D - Mi sembra che coloro…non so”  questa affermazione presentata nella forma del “non sapere” indica come vada intesa la tesi portante del dialogo, ossia nell’ottica dell’ironia complessa, secondo la quale ciò che viene detto in un senso è falso, mentre in un altro è giusto - “mi è preso un attacco di malattia”  questa malattia è presentata come causa di questa tesi assurda.  Poco dopo Socrate chiede ad Ippia di curare questa malattia = spera di essere smentito nella tesi. Questa malattia inoltre si colloca nell’anima > curarla sarebbe meglio che curare un corpo da una malattia (superiorità). Socrate però specifica che lo si dovrà fare con il dialeghestai, non con discorsi lunghi L’intermezzo si conclude con l’intervento di Eudico che prega Ippia di continuare il discorso di Socrate. Ippia accetta e il dialogo può proseguire PARTE SECONDA – DISCUSSIONE SULLA TESI DEL DIALOGO - Socrate inizia a fare una serie di esempi per riuscire, con Ippia, a capire se sia migliore chi mente volontariamente o involontariamente. 375 C - Avere l’anima migliore possibile  oltre al riferimento in nota all’Apologia che segna una continuità tra quel Socrate e questo, possiamo ritenere che sia un carattere fondamentale del Socrate storico la preoccupazione per l’anima. Dicendo “l’anima migliore” si va anche oltre, verso una valutazione morale (che è importante dato che tutto il gioco del volontario e dell’involontario andrà a finire nell’ambito del Bene). 375 D - Siamo alla conclusione paradossale  l’anima migliore è quella che commette il male volontariamente - Nella risposta di Ippia vediamo una rottura  non c’è omologhìa, Ippia non è d’accordo. Questo passo è importante perché dimostra che non sempre il dialeghestai va a buon fine, a volte fallisce: del dialeghestai non è importante il contenuto, ma il dialogare stesso. - “dalle cose che abbiamo detto risulta proprio questo”  il verbo fainontai sblocca la situazione perché ci dice due cose: 1) Nulla di tutto quello che è stato detto finora costituisce una dimostrazione vincolante, non più modificabile 2) Avendo fatto tutto il percorso insieme, lo scacco è comune: anche Socrate è convinto che una conclusione del genere sia tremenda Domanda calogeriana  perché il dialogo va avanti? Perché insistendo ed esasperando il carattere paradossale di questa conclusione, Socrate vuole indirettamente indicare ai suoi ascoltatori che non è quello l’approdo, ma che in realtà (ironia complessa) è esattamente l’opposto, cioè che volontariamente si può fare solo il bene e che se si fa il male lo si fa involontariamente (intellettualismo).  Il fatto che il dialogo continui a Calogero “fa comodo” perché se fosse finito qui non avrebbe potuto inserirci l’intellettualismo etico. CONCLUSIONI  NON ESISTE NESSUNO CHE COMMETTA IL MALE VOLONTARIAMENTE - Socrate vuole ricucire: ha interesse nella prosecuzione del dialogo e tenta di riconquistare una omologhìa - Dikaiosyne, giustizia  può essere una capacità, una scienza o entrambe?
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