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Riassunto COMPLETO E DETTAGLIATO del libro "Rifugiati, profughi sfollati" di N. Petrović, Sintesi del corso di Analisi Delle Politiche Pubbliche

Riassunto "Rifugiati, profughi e sfollati. Breve storia del diritto d'asilo in Italia" di Nadan Petrović

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017
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Caricato il 23/12/2017

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Scarica Riassunto COMPLETO E DETTAGLIATO del libro "Rifugiati, profughi sfollati" di N. Petrović e più Sintesi del corso in PDF di Analisi Delle Politiche Pubbliche solo su Docsity! RIFUGIATI, PROFUGHI E SFOLLATI: Breve storia del diritto d’asilo in Italia - PARTE SPECIALE di Politiche Pubbliche CAPITOLO 1: “L’evoluzione legislativa ed il contesto di riferimento: dalla Costituzione (1948) alla legge Martelli (1990)” Introduzione A fondamento dell’intero sistema legislativo riguardante la protezione internazionale vi è l’articolo 10, comma 3 della Costituzione italiana del 1 Gennaio 1948, il quale assume che “lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. L’adozione di tale definizione è il risultato di una scelta matura e consapevole formulata dai Padri costituenti alla fine di un periodo caratterizzato da persecuzioni politiche e razziali sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale. Inoltre, non va dimenticato che molti dei componenti dell’Assemblea costituente godettero del diritto d’asilo in altri Paesi, poiché sfuggiti alle violenze della guerra, ma anche alle persecuzioni del regime fascista. Per questo motivo, essi seppero dar voce alle esigenze di un’immigrazione involontaria, generata da motivazioni di ordine politico. La condizione sufficiente alla protezione consiste nella sola negazione dei diritti di libertà previsti dalla carta costituzionale. Tuttavia, considerando l’eventualità che in futuro avrebbero potuto presentarsi migliaia di profughi politici di altri Paesi e l’Italia sarebbe stata costretta a concedere l’asilo senza alcuna limitazione, i costituenti hanno precisato che tale diritto deve essere riconosciuto “alle condizioni stabilite dalla legge”. La natura giuridica e la condizione dello straniero titolare del diritto d’asilo costituzionale Ai sensi dell’interpretazione condivisa della dottrina e della recente giurisprudenza, la norma dell’art. 10 c. 3 è da ritenersi immediatamente percettiva e non meramente programmatica, ovvero direttamente applicabile anche in mancanza di leggi ordinarie che ne fissino le condizioni di esercizio. Difatti, secondo la Corte di Cassazione, la disposizione costituzionale “delinea con sufficiente chiarezza e precisione la fattispecie che fa sorgere in capo allo straniero il diritto d’asilo, individuando nell’impedimento all’esercizio delle libertà democratiche la causa di giustificazione del diritto ed indicando l’effettività quale criterio di accertamento della situazione ipotizzata”. Lo straniero titolare del diritto d’asilo gode di un trattamento più tutelato rispetto a quello degli altri stranieri, dal momento che il diritto d’asilo, costituzionalmente garantito, prevale sulle norme inerenti la condizione giuridica “ordinaria” dello straniero. Inoltre, la tutela del diritto d’asilo prevale sul potere di estradizione dello Stato e sul potere di allontanamento dello straniero dal territorio statale, salvo condizioni particolari previste all’art. 10 c. 4 della Costituzione. La definizione italiana, dunque, comprende tutti gli stranieri che fuggono dal proprio Paese per salvare la propria vita, per tutelare la propria sicurezza dal pericolo grave ed attuale derivante da situazioni di guerra, conflitti civili, disordini gradi e generalizzati. La Convenzione di Ginevra del 1951 Le dittature e le guerre della prima metà del Novecento esplicarono conseguenze non solo geopolitiche, ma anche giuridiche e sociali rilevanti che fecero maturare l’esigenza di riunire una conferenza internazionale dove si potesse discutere della situazione di quei milioni di sfollati e rifugiati che avevano dato inizio al loro esodo in seguito alla Seconda Guerra Mondiale. La conferenza terminò il 28 Luglio del 1951 con la firma della cosiddetta Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, che rappresenta il primo documento che affronta su scala internazionale e in maniera approfondita la questione dei rifugiati. L’articolo 1, sezione A, comma 2 della Convenzione, stabilisce che “il termine di rifugiato è applicabile a chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi […].” Tale definizione pone due limiti fondamentali nel riconoscimento dello status di rifugiato: - il primo, di carattere temporale, prevede che lo status possa essere attribuito soltanto a quegli individui cui avvenimenti si sono verificati prima del 1 Gennaio 1951. Tale riserva, tuttavia, è stata superata con la sottoscrizione del cosiddetto Protocollo addizionale relativo allo status di rifugiato adottato a New York il 31 Gennaio 1967, il quale stabilisce che la Convenzione di Ginevra deve tutelare tutti quei rifugiati che come singoli individui o gruppi di persone sono minacciati da eventi che spingono loro a ricercare la protezione internazionale; Le dimensioni della presenza di rifugiati in Italia dai primi anni Cinquanta alla legge Martelli Nel periodo intercorso tra il 1952 e il 1989 vennero presentata in Italia circa 188.188 domanda d’asilo. Tale cifra rispecchiava l’esistenza della “riserva geografica”, poiché la maggioranza dei richiedenti proveniva dall’est europeo. Oltre ai rifugiati europei, a quelli “sotto mandato” e ai piccoli gruppi dei rifugiati extraeuropei ai quali era riconosciuto lo status di rifugiato in deroga alla “riserva geografica”, vanno menzionati alcuni specifici casi di “rifugiati in transito”. Si tratta di alcune persone di nazionalità extra-europee, vittime di abusi e persecuzioni che, in casi straordinari di emergenza, venivano prese in carico dall’ACNUR, che si occupava del loro trasferimento in Paesi europei dove potessero essere protette, sino al loro trasferimento nei paesi di c.d. resettlement, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. VEDI CASI SUL LIBRO. I profughi arrivati in Italia ottenevano un visto dal Ministero dell’Interno che aveva la durata di sei mesi, tempo ritenuto necessario al paese di destinazione per verificare la storia personale del profugo. VEDI DATI SUL LIBRO. In ogni caso, all’inizio degli anni Ottanta, su un totale di 298.749 cittadini stranieri presenti in Italia, meno di 20.000 erano rifugiati e circa 10.000 richiedenti asilo. Nonostante l’incessante afflusso di persone bisognose di protezione, l’Italia continuava ad essere considerata dalla comunità internazionale un semplice luogo di smistamento dei rifugiati verso altri Paesi, come l’America, l’Australia e la Nuova Zelanda. VEDI DATI SUL LIBRO. A seguito dell’approvazione della legge Martelli, secondo i dati dell’ACNUR aggiornati al 31 Dicembre 1991, soltanto 12.203 rifugiati riconosciuti dal Governo italiano risultavano “stabiliti in Italia”. Gli aspetti assistenziali e organizzativi Durante le varie fasi della procedura sia i richiedenti asilo europei sia quelli extraeuropei vengono ospitati nei cosiddetti Centri assistenza profughi stranieri, situati a Padriciano, a Latina e a Capua, dove vengono loro offerti alloggio, vitto e assistenza sanitaria. VEDI FUNZIONI CENTRI SUL LIBRO. Dal punto di vista organizzativo, nell’immediato dopoguerra, l’onere dell’assistenza ai rifugiati era prima a carico dell’Amministrazione delle Nazioni Unite per l’assistenza e la riabilitazione ed in seguito a carico dell’Organizzazione internazionale per i rifugiati. In seguito alla cessazione delle attività del’IRO, il compito di assistere i rifugiati fu assegnato direttamente al Governo italiano tramite l’Amministrazione per gli atti internazionali che, nel 1954, mutò la sua denominazione in Amministrazione per le attività assistenziali italiane ed internazionali. Nel 1977, la responsabilità dell’assistenza ai richiedenti asilo e rifugiati fu assunta dal Ministero dell’Interno e, in particolare, dalla Direzione generale dei servizi civili - Divisione assistenza profughi. Per il reinsediamento nei Paesi tersi sono operative e presenti apposite sezioni distaccate delle maggiori Agenzie Volontarie, come il Consiglio mondiale delle chiese, il Comitato internazionale di soccorso e il Comitato intergovernativo per le migrazioni europee, oggi meglio conosciuto come Organizzazione internazionale per le migrazioni. CAPITOLO 2 - “L’evoluzione legislativa e il contesto di riferimento dalla legge Martelli alla fine degli anni ’90: lento recupero del ritardo strutturale” Introduzione La situazione in merito al tema del diritto d’asilo iniziò a mutare, anche se solo parzialmente, con la cosiddetta “legge Martelli”, la quale stabilì le “norme urgenti in materia di asilo politico, ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e apolidi già presenti nel territorio dello Stato”, definendo, all’art. 1, alcuni aspetti rilevanti sul tema dell’asilo quali, ad esempio, la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. Tale legge venne approvata in seguito ad un avvenimento che suscitò grande scalpore - l’uccisione del rifugiato sudafricano Jerry Masslo - e che spinse la società civile a mobilitarsi e chiedere a gran voce l’adozione di una nuova legge sull’immigrazione, capace di fronteggiare i cambiamenti avvenuti sul piano internazionale e nella stessa società italiana, sempre più investita dai flussi migratori. In secondo luogo, l’approvazione della legge avvenne in un contesto comunitario interamente mutato, caratterizzato dal processo di abolizione delle frontiere interne, nonché dall’adozione dei primi strumenti comunitari vincolanti in materia d’asilo. Del resto, la Convenzione di Schengen e la Convenzione di Dublino sulla determinazione dello stato competente per l’esame della domanda d’asilo non potevano applicarsi ad un Paese che continuava a contemplare la “riserva geografica”. Infine, sul piano nazionale, negli anni Ottanta l’Italia divenne una delle economie più importanti al mondo, perciò i programmi di resettlement dei paesi extraeuropei diminuirono fino ad esaurirsi. La procedura d’asilo ex art. 1 della legge Martelli La procedura descritta nella “legge Martelli” può essere suddivisa in due parti: - la prima parte contiene le disposizioni relative all’accesso del richiedente asilo sul territorio italiano, descritte in maniera più ampia e dettagliata rispetto alle disposizioni previste dalla Convenzione di Ginevra; - la seconda parte riguarda, invece, le modalità di presentazione della domanda d’asilo. Tale procedura non si svolse più dinnanzi alla Commissione paritetica di eleggibilità, bensì alla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, istituita con il D.P.R. 136/1990 e divenuta operativa nel Marzo dell’anno seguente. Tale Commissione è presieduta da un prefetto e composta da un funzionario della Presidenza del Consiglio dei Ministri, uno del Ministero degli Affari Esteri e due del Ministero dell’Interno. Un’altra disposizione di importanza rilevante è quella contenuta all’art. 1, c. 1, che ha previsto l’abolizione della riserva geografica e, di conseguenza, ha sancito la possibilità di invocare lo status di rifugiato in Italia anche da parte di persone appartenenti a Stati non europei. La legge n. 39 del 28 Febbraio 1990 regolamentò anche alcuni aspetti relativi ai diritti sociali e civili dei rifugiati, così come definiti dalla Convenzione di Ginevra. Tuttavia, il problema principale di tale normativa riguardava la durata del periodo intercorso fra l’ingresso del richiedente nel territorio nazionale e il provvedimento finale della Commissione, durante il quale il richiedente asilo deve ricevere la tutela e l’assistenza necessarie. Tale aspetto assunse un carattere ancora più rilevante con la chiusura dei centri di Padriciano, Latina e Capua. A tal proposito, l’art. 1, c. 7, della legge Martelli stabilì che ai richiedenti asilo “privi di mezzi di sussistenza o di ospitalità in Italia” si accordava un contributo di prima assistenza erogato dalle Prefetture. Tale contributo, in realtà, si dimostra insufficiente, soprattutto a fronte dei lunghi tempi di attesa che, a seguito delle emergenze umanitarie degli anni Novanta, talvolta raggiungevano anche ventiquattro mesi. Le emergenze dei primi anni ’90: dall’instabilità nei Balcani alla crisi somala Il già precario sistema definito dalla legge Martelli fu ulteriormente destabilizzato dalle forti ondate migratorie dei primi anni Novanta scatenate dal disgregarsi dell’ex Jugoslavia. Di fronte a tali emergenze, i diversi governi, privi di un riferimento normativo organico in materia d’asilo o, più in generale, di un vero e proprio sistema d’accoglienza in Italia, preferirono ricorrere all’emanazione di leggi o decreti ministeriali ad hoc. Tali provvedimenti prevedevano il riconoscimento di uno “status umanitario” di carattere temporaneo che permetteva al cittadino provvedimenti volti all’individuazione delle misure da adottare per favorire una politica comune in materia d’asilo. Nello stesso anno, si formò un gruppo ad hoc dei Ministri responsabili dell’immigrazione che portò alla firma della Convenzione di Dublino. L’Accordo di Schengen del 14 Giugno 1985, confluito successivamente nell’omonima Convenzione del 19 Giugno 1990, era incentrato sulla regolamentazione della libera circolazione delle persone, compresi gli stranieri extracomunitari, attraverso la progressiva abolizione delle frontiere interne ed il contestuale rafforzamento dei controlli alla frontiere esterne. In base allo stesso accordo, anche la politica dell’asilo è riconosciuta come una normativa da trattare in maniera condivisa fra tutti i Paesi membri. La Convenzione di Schengen del 19 Giugno 1990, inizialmente entrata in vigore tra cinque dei paesi fondatori della CE, ossia Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Germania, fu firmata dall’Italia il 27 Novembre 1990, ma essa iniziò ad essere pienamente applicata nel Paese solo a partire dal 1 Aprile 1998. Il motivo di tale ritardo si ritrovava nella necessità del soddisfacimento, da parte dell’Italia, di una serie di requisiti, tra cui l’abolizione della “riserva geografica”, l’introduzione dei visti nei confronti dei cittadini di alcuni paesi che anteriormente alla firma necessitavano di visto d’ingresso in Italia, nonché dell’introduzione di una legislazione in materia di protezione dei dati personali. In realtà, lo strumento che è da considerarsi di maggiore importanza nella prima fase è la Convenzione di Dublino, la quale definisce lo Stato competente per l’esame della richiesta di asilo e regolamenta lo scambio d’informazioni tra gli Stati membri dell’Unione Europea. La normativa ha previsto, cioè, che ogni domanda d’asilo fosse trattata da un solo Stato membro dell’UE, ovverosia lo Stato dello Spazio Schengen dove avviene l’ingresso del richiedente. Un obiettivo importante fissato dalla Convenzione era quello di ostacolare il fenomeno chiamato “asylum shopping”, consistente nella presentazione contemporanea a più Stati della stessa domanda di asilo. L’attribuzione della responsabilità dell’analisi della domanda allo Stato dove è avvenuto l’ingresso del richiedente esplicò effetti non poco rilevanti in un Paese come l’Italia che ha sempre rappresentato una delle principali porte d’accesso all’Europa. Dal Trattato di Maastricht al Trattato di Amsterdam Il Trattato di Maastricht, approvato il 7 Febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993, istituzionalizzò, sebbene su un piano intergovernativo, la cooperazione in materia d’asilo tra gli Stati membri della CE. La politica di asilo, citata nell’art. K1 del Titolo VI, fu concepita, dunque, come un’area di competenza collegiale degli Stati membri, per cui gli Stati avrebbero dovuto accordarsi su posizioni comuni e dar vita ad azioni comuni. Al Trattato fu allegata, inoltre, la Dichiarazione n. 31 sull’asilo, nella quale gli Stati membri si impegnarono a prendere in esame la materia per poter definire ed intraprendere, a partire dal 1993, azioni comuni di armonizzazione di alcuni aspetti. Nonostante tali sforzi normativi, l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht non fu seguita da iniziative dai risultati soddisfacenti, in particolare, lo scarso coinvolgimento degli Stati membri tradì le aspettative dell’art. K1. La svolta fondamentale fu peraltro rappresentata dalla firma, avvenuta il 2 Ottobre 1997, a cui seguì l’entrata in vigore, accaduta il primo Maggio 1999, del Trattato di Amsterdam, il quale ha dedicato il Titolo IV alla tematica dell’asilo, intitolandolo “Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone”. Con tale Trattato si raggiunse una maggiore, seppur non completa, “comunitarizzazione” delle politiche di asilo e dell’immigrazione, che, a partire da quel momento, entrarono a far parte a pieno titolo del diritto comunitario sovranazionale, regolamentati in base a strumenti giuridici comunitari vincolanti, regolati dalle istituzioni comunitarie, quali il Consiglio, la Commissione, il Parlamento e la Corte di giustizia europea. A partire dal Trattato di Amsterdam, dunque, l’Unione Europea si impegnò a raggiungere l’obiettivo di una politica comune nei campi dell’immigrazione e dell’asilo, disciplinando la materia in modo più approfondito. La Conferenza di Tampere (Finlandia) L’importante Conferenza di Tampere, tenutasi il 15 e il 16 Ottobre del 1999 durante la presidenza finlandese alla Commissione Europea, fu convocata per far fronte alle difficoltà incontrate in relazione all’attuazione delle disposizioni previste dal T. di Amsterdam e in connessione all’emergenza rappresentata dall’arrivo in massa di rifugiati provenienti dal Kosovo nei Paesi UE. Durante la Conferenza, fu stabilito che i capi di Stato e/o di Governo degli Stati membri dovessero impegnarsi nell’istituzione un sistema comune europeo dell’asilo all’interno di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” e nella promozione di un’Europa aperta, sicura e integralmente impegnata a rispettare gli obblighi derivanti dalla Convenzione di Ginevra e da altri strumenti internazionali di salvaguardia e tutela dei diritti dell’uomo. Il Consiglio Europeo riaffermò in tale sede “il rispetto assoluto del diritto di chiedere asilo” e richiamò la necessità di garantire un equo trattamento dei ai cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri, auspicando una politica di integrazione più incisiva. La Conferenza si concluse dimostrando di accogliere appieno le necessità di rispondere alle istanze umanitarie sollevate anche da numerose ONG: - piena applicazione della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati; - Garanzie del diritto assoluto di chiedere asilo; - Armonizzazione in un sistema comunitario delle politiche e delle procedure dei singoli Stati membri; - Precise garanzie per coloro che chiedono protezione e accesso all’Unione Europea - Possibilità per gli stranieri, provenienti da Paesi terzi, di usufruire di uno spazio di “libertà, sicurezza, giustizia”, così come garantito per i cittadini dell’Unione. Alla Conferenza di Tampere venne inoltre decisa l’istituzione del cosiddetto Fondo europeo per i rifugiati che fu poi istituito attraverso la decisione del Consiglio dell’Unione Europea n. 596 del 28 Settembre 2000, con l’obiettivo di sostenere ed incoraggiare gli sforzi degli Stati membri nell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati e, poi in generale, di promuovere la costruzione di uno Spazio unico europeo in materia di immigrazione e asilo. CAPITOLO 4 - “L’avvio di alcune sperimentazioni nazionali di accoglienza: politiche di assistenza come laboratorio bottom-up” Introduzione Nel nuovo contesto prese avvio il sistema italiano d’asilo, nato grazie al concorso di tre distinti elementi che permettono di delineare il profilo di tale dispositivo come descritto dalla legge Martelli. La mancanza di un dispositivo nazionale di accoglienza fu sottolineata quando nel 1999 vennero presentate in oltre 33.000 domande d’asilo che intasarono la relativa procedura ordinaria e provocarono il collasso del precario sistema assistenziale nei confronti dei richiedenti asilo e rifugiati. Il consolidamento di iniziative spontanee di accoglienza La mancanza, sul territorio nazionale, di un sistema di accoglienza a favore dei migranti forzati è stata colmata in gran parte dalle organizzazioni del privato sociale e dalle amministrazioni locali che, a livello locale, hanno cercato di colmare i bisogni dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Tuttavia, gli interventi attivati dal terzo settore si sono basati più su un approccio solidaristico che sul riconoscimento di uno specifico diritto alla protezione, in modo spontaneo e non coordinato, in risposta a problemi emergenziali. Nel 1999, il Consorzio italiano di solidarietà, in collaborazione con il Censis e direttamente con l’ACNUR, realizzò il progetto denominato Nausicaa, il quale si proponeva di realizzare reti territoriali più stabili, capaci di instaurare una collaborazione tra pubblico e privato, iniziando da una recensione dei servizi offerti ai richiedenti asilo e ai rifugiati sul territorio nazionale. delle principali città metropolitane - come Roma e Milano - che contavano un numero consistente di richiedenti asilo e rifugiati. Tuttavia, la grande novità fu rappresentata dal coinvolgimento dei comuni medio - piccoli che si dimostrarono funzionali per l’alleggerimento della pressione migratoria sui grandi centri urbani. I progetti presentati non si limitarono a fornire solo vitto e alloggio, ma garantirono assistenza al richiedente nell’intero processo relativo all’ottenimento del diritto d’asilo, sostenendo e orientando all’accesso ai servizi pubblici di base, ai corsi di alfabetizzazione di lingua italiana e ai corsi di formazione e di orientamento al mercato del lavoro. Dal punto di vista organizzativo, la logica decentrata è superata dal fatto che è prevista la realizzazione del rimpatrio assistito, per la prima volta introdotto quale misura stabile nel dispositivo nazionale italiano. L’approccio di tale sistema non si basava più esclusivamente sulla solidarietà ma era orientato alla realizzazione di un sistema integrato di protezione che vedeva nell’accoglienza la prima tappa di un percorso basato sull’introduzione di standard comuni ai diversi progetti e sulla distribuzione dei beneficiari sull’intero territorio nazionale. Il Programma nazionale asilo si dimostro efficace nella realizzazione di un sistema efficiente che si basava su una capillare rete nazionale di enti locali che, congiuntamente al privato sociale, realizzarono risultati di grande rilievo nel periodo di medio termine. Tale programma, che rappresentò un’esperienza con tratti innovativi, sia rispetto alla precedente situazione italiana, sia nei confronti di altri contesti europei, attraversò, in seguito, un percorso di innovazione che sfociò nella creazione del Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati. CAPITOLO 5 - “Il dispositivo nazionale in materia d’asilo: dalla legge Bossi-Fini alla Direttiva sui minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo” Introduzione La legge n. 189 del 30 Luglio 2002 di “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo”, meglio conosciuta come legge Bossi-Fini, ha apportato significative modifiche alla legge Turco-Napolitano, nonché all’art. 1 della legge Martelli, introducendo elementi di novità nell’organizzazione delle procedure per l’esame della domanda d’asilo e nelle modalità di tutela e di accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo. La nuova procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato La legge 189/2002, attuata in gran parte dal D.P.R. 303/2004, istituì sette Commissioni territoriali presso le Prefetture di Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Siracusa, Crotone e Trapani, le quali si componevano di un funzionario di carriera prefettizia con funzioni di presidente, un funzionario della polizia di Stato, un rappresentante territoriale designato dalla “Conferenza Stato-città e autonomie locali”, e un rappresentante dell’ACNUR. La Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato fu trasformata in Commissione nazionale per il diritto di asilo, alla quale furono stati attribuiti compiti di indirizzo e coordinamento delle Commissioni territoriali, di formazione e aggiornamento dei componenti delle medesime e di raccolta dei dati statistici. Inoltre, tale commissione poteva esercitare il potere decisionale in tema di revoche e cessazione degli status concessi. All’art. 1-ter, fu introdotta, in aggiunta alla procedura ordinaria, una procedura semplificata per la definizione dell’istanza di riconoscimento dello status di rifugiato di quei richiedenti asilo obbligatoriamente trattenuti nei Centri di identificazione in due casi particolari: - qualora lo straniero fermato avesse eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o, comunque, in condizione di soggiorno irregolare; - qualora lo straniero fosse già destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento. Ai sensi dell’art.1-bis, c. 1, della legge, invece, i richiedenti asilo potevano facoltativamente essere trattenuti nei Centri quando: - doveva essere verificata o determinata la nazionalità o l’identità dello straniero qualora lo stesso non fosse in possesso dei documenti di viaggio o di identità, oppure avesse, al suo arrivo, presentato documenti risultati falsi; - dovevano essere verificati gli elementi su cui si basava la domanda di asilo, qualora tali elementi non fossero immediatamente disponibili; - lo straniero era sottoposto al procedimento inerente il riconoscimento del diritto di essere ammesso nel territorio italiano. Per quanto riguarda la procedura semplificata, oltre alla possibilità di presentare ricorso ad un’eventuale decisione negativa della Commissione territoriale, fu introdotta l’istanza di riesame, che il richiedente asilo poteva presentare, supportata da adeguate motivazioni, alla Commissione territoriale competente entro cinque giorni dalla comunicazione della decisione negativa sulla concessione dello status di rifugiato. La procedura si svolgeva dinnanzi alla Commissione territoriale che si era pronunciata per la prima volta sulla domanda di asilo, integrata da un membro della Commissione nazionale. Contro l’ulteriore “diniego”, il richiedente poteva presentare il ricorso presso il Tribunale territorialmente competente, ma la legge 189/2002 prevedeva che, anche in presenza di un ricorso giurisdizionale, il richiedente asilo potesse essere allontanato dall’Italia. Per le sole ipotesi di procedura semplificata, il richiedente poteva tuttavia domandare al prefetto l’autorizzazione a restare sul territorio nazionale in attesa di conoscere l’esito del ricorso. In ogni caso, la nuova norma ebbe il merito di semplificare la procedura di esame delle istanze di asilo riducendone i tempi di attesa, ovvero l’esito doveva essere disposto entro un periodo di tempo non superiore ai trenta giorni. Tuttavia, tali procedure furono superate e sostituite dal decreto di recepimento della cosiddetta “Direttiva procedure”. Gli aspetti assistenziali Contestualmente all’istituzione dei Centri di identificazione, l’art. 32-sexies della legge 189/02 di modifica dell’art. 1 della legge 39/90 istituì il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Inoltre, con l’art. 32, 1-septies, venne costituito presso il Ministero dell’Interno il Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell’asilo, da utilizzarsi per la sovvenzione di quegli enti locali che prestavano servizi finalizzati all’accoglienza dei richiedenti asilo e alla tutela dei rifugiati e dei destinatari di altre forme di protezione umana. Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati si configurò come la forma più organica ed istituzionalizzata del precedente Programma nazionale asilo. Rispetto all’approccio sperimentale del PNA, gli standard dei servizi erogati dagli enti locali e dagli enti gestori dei progetti territoriali avevano subito dei notevoli cambiamenti, i quali fecero maturare una tendenza generale a garantire i requisiti minimi nel campo dell’accoglienza e, più precisamente, nel campo dell’integrazione dei beneficiari. Uno dei punti cardine del Sistema si ritrovava nel perseguimento di un equilibrio tra la valorizzazione delle peculiarità locali e la standardizzazione dei servizi. Infatti, i servizi offerti, dalla prima accoglienza all’integrazione sociale, venivano sempre meglio integrati con le risorse territoriali. Le azioni di condivisione e di scambio fra progetti furono funzionali per ridurre le disparità esistenti a livello regionale e locale, trasformando la ricchezza in una risorsa utile per tutti. In tal modo, le specificità locali venivano messe in rilievo caratterizzando e qualificando i singoli progetti. Ai sensi dell’art. 32, “al fine di facilitare il coordinamento, a livello nazionale, dei servizi di accoglienza”, fu prevista anche l’attivazione di un Servizio centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali. Il Servizio centrale fu istituito dal Ministero dell’Interno il 24 Luglio 2003, mentre la gestione fu affidata, attraverso apposita convenzione, all’Associazione nazionale comuni italiani. Il Servizio centrale esercitava diverse funzioni: - monitoraggio delle presenze sul territorio di richiedenti asilo, rifugiati e stranieri con permesso di soggiorno umanitario; - creazione di una banca dati sugli interventi realizzati a livello locali in favore di richiedenti asilo e rifugiati; Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo”. Il Regolamento Dublino sostituisce la precedente Convenzione, la quale subì, tuttavia, una revisione parziale. Infatti, anche il Regolamento, così come la Convenzione, era orientato ad una duplice finalità: - da un lato, quella di garantire ad ogni richiedente che l’esame della propria domanda venga condotto da un Paese membro, evitando il c.d. fenomeno dei “rifugiati in orbita” respinti ad ogni frontiera; - dall’altro lato, quella d’impedire che uno stesso soggetto proponga più domande di asilo in diversi Paesi membri. A tal fine, rispetto alla Convenzione, il Regolamento introdusse delle novità in termini di procedure per il trattamento della domanda stessa e delle garanzie per il mantenimento dell’unità famigliare del richiedente. Nei riguardi della c.d. “clausola umanitaria”, disciplinata all’art. 15, il Regolamento apportò delle modifiche, riformulandola in modo da essere più consona alle finalità del ricongiungimento familiare. Contemporaneamente, tuttavia, vennero inseriti nel Regolamento degli elementi negativi per il richiedente, al quale, tra le altre cose, non era offerta alcuna garanzia che la domanda d’asilo fosse effettivamente esaminata da uno Stato membro. Il Regolamento di Dublino, inoltre, indebolì quei parametri di tutela assicurati dalla Convenzione: da un lato, furono mantenuti e rafforzati quei dubbi di compatibilità con gli obblighi che la Convenzione di Ginevra pose a carico degli Stati membri; dall’altro lato, il Regolamento incoraggiò “l’adozione di misure più restrittive in relazione al riconoscimento dello stesso diritto d’asilo”. I decreti di recepimento delle Direttive CE in materia d’asilo - Il decreto legislativo n. 85/2003 La Direttiva 2001/55/CE, la quale era relativa alle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati, fu recepita in Italia con il decreto legislativo n. 85 del 7 Aprile 2003. Il contenuto di tale legge prevedeva le condizioni e i criteri per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati “provenienti da Paesi non appartenenti all’UE che non possono rientrare nei Paesi d’origine”. Tuttavia, dal momento che tale decreto non è mai stato applicato, il suo impatto sulla realtà non è stato ad oggi significativo. - Il decreto legislativo n. 140/2005 La Direttiva sugli standard minimi di accoglienza fu recepita in Italia con il decreto legislativo n. 140 del 30 Maggio 2005 che introdusse importanti innovazioni in relazione ai diritti dei richiedenti asilo in Italia e sul piano della revisione della prassi di accoglienza. Per ciò che concerne il sistema di accoglienza, il decreto stabilì l’obbligo per lo Stato di dare accoglienza al richiedente asilo in stato di necessità, fino alla definizione della procedura di riconoscimento. Inoltre, l’art. 11 del decreto introdusse la possibilità di svolgere un’attività lavorativa per il richiedente asilo a cui non fosse pervenuta una risposta alla propria domanda entro i primi sei mesi dalla presentazione, salvo che il ritardo non fosse imputabile al richiedente stesso. Inoltre, il decreto di recepimento del 2005 dettagliò i ruoli dei vari attori nazionali coinvolti nella gestione del fenomeno, rivedendo le modalità operative dello SPRAR, mentre alle Prefetture venne assegnato un ruolo attivo in relazione all’accertamento dell’effettivo stato di necessità dei richiedenti e alla segnalazione di particolari esigenze di accoglienza di soggetti vulnerabili. Oltre a regolare le procedure di accesso alle strutture, il decreto n. 140/05 disciplinò anche quali dovessero essere le condizioni materiali di accoglienza, operando una distinzione tra categorie ordinarie e categorie vulnerabili, come i minori, le donne in stato di gravidanza, i disabili e gli anziani. A tal proposito, il decreto stabilì l’obbligo, da parte dei Centri di identificazione e delle strutture del Sistema di protezione, di offrire servizi soprattutto rivolti ai più vulnerabili, in base alle specifiche esigenze che avrebbero presentato. Inoltre, sia i Centri SPRAR che i Centri di identificazione avevano l’obbligo di assicurare: - la tutela della vita e dell’integrità del nucleo familiare; - La possibilità per i richiedenti asilo di comunicare con i parenti, gli avvocati e il personale ACNUR; - la massima riservatezza sui dati e notizie concernenti i richiedenti asilo e i loro familiari; - la presenza di personale adeguatamente formato alle funzioni che esercita. Anche se le misure di accoglienza terminavano al momento della notifica della decisione sull’istanza di richiesta d’asilo, essere potevano essere revocate anche in caso di: - mancata presentazione presso la struttura individuata o abbandono del centro di accoglienza senza preventiva comunicazione alla Prefettura competente; - mancata presentazione all’audizione dinnanzi all’organo di esame della domanda, nonostante la convocazione comunicata presso il centro di accoglienza; - presentazione in Italia di precedente domanda d’asilo; - accertamento della disponibilità del richiedente asilo di mezzi economici sufficienti per garantirsi l’assistenza; - violazione grave o ripetuta delle regole del Centro di accoglienza o adozione di comportamenti particolarmente violenti. Infine, è importante ricordare che le disposizioni attuative della Direttiva previdero lo stanziamento di oltre 17 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 (a metà), 2006 e 2007, contribuendo all’alimentazione delle risorse finanziare che lo Stato doveva indirizzare ai richiedenti asilo e ai rifugiati. - Il decreto legislativo n. 251/2007 Il decreto legislativo n. 251 del 19 Novembre 2007, attuativo della Direttiva 2004/83/CE, conteneva norme relative all’attribuzione della qualifica di rifugiato o di protezione sussidiaria a cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea o ad apolidi, nonché norme specifiche riguardanti il contenuto degli status riconosciuti. La principale novità rispetto alla normativa precedente consistette nell’introduzione, nell’ordinamento italiano, di una nuova forma di protezione internazionale per chi fuggiva da persecuzioni e situazioni di violenza generalizzata. All’art. 2, il decreto riconobbe ai richiedenti protezione internazionale due differenti status, ossia quello di rifugiato e quello denominato di “protezione sussidiaria”, attribuita dalla Commissione competente qualora non sussistessero i requisiti per il riconoscimento della qualifica di rifugiato. Tale protezione veniva attribuita a quei cittadini stranieri nei cui confronti sussistevano fondati motivi di ritenere che, se fosse ritornato nel Paese nel quale aveva precedentemente dimorato, avrebbe corso un rischio effettivo di subire un grave danno. In aggiunta ai requisiti previsti dalla Convenzione di Ginevra del 1951, il decreto stabilì che lo status di rifugiato dovesse essere concesso anche a coloro che, ad esempio, avevano subito violenza sessuale o erano sottoposti ad azioni giudiziarie in conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto. Un ultimo aspetto innovativo riguardò la validità temporale dei documenti: il permesso rilasciato a titolari dello status di rifugiati aveva durata quinquennale con possibilità di rinnovo, mentre per i titolari di protezione sussidiaria veniva rilasciato un permesso valido per tre anni e rinnovabile al termine, ma solo previa verifica di permanenza delle condizioni che avevano consentito il riconoscimento della protezione. - Il decreto legislativo n. 25/2008 La Direttiva 2005/85/CE relativa alle “procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato” fu attuata in Italia dal decreto legislativo n. 25 del 28 Gennaio 2008, il quale modificò radicalmente le procedure per il Allo scadere dei termini per l’accoglienza, il richiedente doveva lasciare il centro e riceveva un permesso di soggiorno di tre mesi rinnovabile fino alla decisione della Commissione in merito al suo status. La c.d. Direttiva “qualifiche” specificò, inoltre, i diritti derivanti dalla situazione di protezione internazionale, equiparando i beneficiari ai cittadini italiani nell’accesso all’occupazione e all’istruzione, alla libera circolazione, all’integrazione e all’alloggio, nonché nel diritto all’assistenza sanitaria e sociale, al rilascio della patente di guida, alla tutela giurisdizionale dei propri diritti e al rimpatrio qualora decidano volontariamente di fruirne. I titolari dello status di protezione sussidiaria inoltre potevano godere del diritto al mantenimento del nucleo familiare, che consentiva allo straniero titolare della protezione sussidiaria la possibilità del ricongiungimento famigliare e ai suoi famigliari, che non avevano diritto a tale status, di ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari. La tutela dei minori nei decreti di recepimento L’articolo 30 della Direttiva “qualifiche” fu dedicato al trattamento dei minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo. Se, da un lato, alcune delle disposizioni contenute garantirono una più effettiva tutela dei minori rispetto alla legislazione italiana vigente al momento dell’approvazione della Direttiva, dall’altro lato, altri aspetti rappresentarono un arretramento rispetto alle garanzie previste dall’ordinamento italiano. Anche la Direttiva “procedure” prevede, all’art. 17, delle garanzie per i minori non accompagnati richiedenti asilo, le quali sono individuabili i relazione a: - la nomina di un rappresentante che seguisse il minore nel procedimento relativo alla domanda di asilo, fornendogli tutte le informazioni necessarie e partecipando all’audizione; - l’obbligo dello Stato di garantire al minore la competenza a trattare i suoi particolari bisogni da parte dell’esaminatore e dell’estensore della decisione sulla sua domanda; - l’obbligo di ottenere il consenso informato del minore nel caso in cui fosse necessario effettuare accertamenti medici circa la sua età. Il decreto legislativo n. 159/2008 in modifica del decreto legislativo n. 25/2008 Il decreto legislativo n 159 del 3 Ottobre 2008 introdusse sostanziali modifiche all’assetto stabilito dal decreto legislativo “procedure”, prevedendo dei cambiamenti importanti rispetto alla normativa vigente in materia d’asilo e in particolare ai decreti di recepimento delle direttive UE. Mediante il ripristino della normativa precedente al decreto legislativo n. 25/08, il decreto dispose che per i richiedenti già destinatari di un provvedimento di espulsione amministrativa fosse nuovamente previsto il trattenimento in una struttura di carattere “chiuso”, a cui si dispose l’appellativo di “Centro di identificazione ed espulsione”. Tra le decisioni che la Commissione territoriale poteva adottare, si aggiunse inoltre la possibilità del “rigetto della domanda per manifesta infondatezza”, qualora risultasse palese che la domanda era stata presentata solo per ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o di respingimento. In merito all’impugnazione di un diniego, il riconoscimento di protezione internazionale rimaneva inalterato per 30 giorni dalla presentazione del ricorso, salvo il caso in cui il richiedente asilo fosse accolto all’interno dei Centri di accoglienza o trattenuto nei Centri di identificazione ed espulsione, situazioni per le quali il termine veniva ridotto a 15 giorni. Allo stesso tempo, però, l’effetto sospensivo del provvedimento impugnato rimaneva inalterato. Il ricorso non aveva un automatico effetto sospensivo nel caso di impugnazione, quando: - il provvedimento dichiarava inammissibile la domanda di protezione internazionale; - in caso di allontanamento dal centro senza giustificato motivo; - la domanda risultava evidentemente infondata. Il ricorso non aveva inoltre effetto sospensivo nelle ipotesi di: - accoglienza nei CARA per aver eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera; - accoglienza nei CARA per aver presentato al domanda dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare; - trattenimento all’interno di un CIE. Il Tribunale, contestualmente al deposito del ricorso, poteva tuttavia sospendere il provvedimento qualora il ricorrente lo avesse richiesto per sussistenza di “gravi e fondati motivi”. Contrariamente a quanto previsto precedentemente, il decreto prevedeva che le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale fossero direttamente nominate con decreto del Ministero dell’Interno, e, nel caso di situazioni urgenti, al nomina del commissario rappresentante degli enti locali poteva essere effettuata dal sindaco del comune in cui aveva sede la Commissione territoriale, con comunicazione successiva alla Conferenza Stato-città e autonomie locali. CAPITOLO 7 - “L’articolazione del sistema nazionale di accoglienza e l’avvio di ulteriori “sperimentazioni istituzionali” a carattere nazionale e comunitario” Introduzione L’evoluzione e la crescita che il fenomeno conobbe a partire dall’inizio del nuovo millennio hanno reso indispensabile la creazione di un sistema d’accoglienza articolato in strutture diverse a seconda del tipo di soggetti ospitati in essi o della particolarità del servizio offerto, portando ad una riorganizzazione generale del sistema. Tuttavia, proprio l’eterogeneità dei flussi migratori ha complicato l’elaborazione di un sistema di accoglienza che rispondesse sia all’obiettivo di favorire la tutela dei diritti e della protezione umanitaria, sia al rispetto delle regole generali di ingresso e di soggiorno. Per far fronte alle emergenze, l’Italia si è vista costretta a potenziare il sistema delle strutture di accoglienza, istituendo e attivando numerosi centri governativi - come quelli di Cassibile (Siracusa), Elmas (Cagliari) e Gradisca d’Isonzo (Gorizia) - che assunsero anche una duplice o triplice funzione, ossia di prima accoglienza, di accoglienza per i richiedenti asilo e/o di trattenimento. Inoltre, in occasione di sbarchi massicci, il governo italiano ha disposto l’apertura di strutture d’accoglienza aggiuntive, alcune delle quali, a fine emergenza, sono state trasformate in CARA, ossia in centri di accoglienza per richiedenti asilo a tutti gli effetti. Il sistema che si è venuto a creare si compone, innanzitutto, dei CDA - Centri di prima accoglienza che talvolta svolgono anche le funzioni dei cosiddetti Centri di primo soccorso ed assistenza, allestiti nelle aree di sbarco e primo arrivo. Nei Centri di prima accoglienza, si effettua una prima rilevazione dei dati personali dei nuovi arrivati. In seguito, se un migrante non richiede protezione internazionale, si dispone la sua espulsione preceduta eventualmente dal trattenimento all’interno di un Centro di identificazione e di espulsione. Al contrario, se un migrante presenta domanda di protezione, viene trasferito in un CARA, attraverso il quale si garantisce l’accoglienza dei richiedenti asilo in Italia. Grazie alla predisposizione del cosiddetto Capitolato di appalto per la gestione dei centri di accoglienza, approvato con il decreto del Ministro dell’Interno del 21 Novembre 2008, l’Italia ha cercato di migliorare le condizioni di accoglienza nelle varie strutture, potenziando i servizi alla persona e organizzando una serie di misure di controllo sulla gestione dei centri. Il decreto si caratterizza per: proveniente dal Nord Africa e diretto verso l’isola di Lampedusa si intensificò al punto da costringere il Governo a decretare lo stato di emergenza. Il peggiorarsi della situazione - dovuta ai frequenti sbarchi e alla consistente permanenza sull’isola di gruppi molto numerosi di migranti - costrinse le autorità a trasferire i cittadini stranieri presso nuove strutture individuate sul territorio nazionale. Dopo un iniziale tentativo di alleggerire la pressione sull’isola attraverso il trasferimento dei migranti in altri centri di prima accoglienza, il Governo, su pressione delle Regioni coinvolte, nella riunione del 5 Aprile 2011 stabilì l’introduzione di risorse umanitarie di protezione temporanea dei migranti provenienti dalla Tunisia giunti in Italia “dal Gennaio 2011 alla mezzanotte dello stesso 5 Aprile”, riconoscendo loro lo status di “protezione temporanea”, previsto dall’art. 20 del Decreto legislativo n. 286/98. Con riguardo ai migranti provenienti dalla Libia, il 6 Aprile 2011 fu definita un ulteriore e comune strategia di interventi di accoglienza sul territorio nazionale che prevedeva il trasferimento in ciascuna regione italiana mediante l’attuazione di un apposito Piano per l’accoglienza dei migranti, adottato il 12 Aprile 2011. Il Piano riguardava l’assistenza di 50.000 migranti, articolata in diverse fasi progressive delle quali avrebbero beneficiato gruppi di 10.000 soggetti a volta, ospitati in apposite strutture. A causa dei tempi lunghi di individuazione delle strutture, vennero predisposti, in alcune Regioni, dei hub, ossia centri in cui venivano accolti i migranti appena sbarcati in attesa di essere trasferiti nelle strutture regionali di accoglienza. Alla fine del mese di Ottobre dell’anno si contavano circa 22.300 richiedenti protezione internazionale nelle strutture di accoglienza regionali. Un aspetto significativo del Piano si ritrovò nella decisione di coinvolgere il Servizio nazionale di protezione civile attraverso la nomina di un nuovo Commissario delegato, individuato nella persona Capo del Dipartimento della Protezione Civile. Quanto agli standard d’accoglienza, con decreto del Commissario delegato del 27 Luglio 2011 venne istituito il c.d. Gruppo di monitoraggio ed assistenza, al quale vennero affidati il monitoraggio delle attività di accoglienza e la vigilanza sull’applicazione degli standard di assistenza previsti dal Piano nazionale di accoglienza dei migranti. Finalmente, a seguito della fine del conflitto in Libia e la relativa riduzione della pressione migratoria sulla coste siciliane, il Ministero dell’Interno, in data del 26 Settembre 2012, predispose “un documento di indirizzo per il superamento dell’emergenza nord Africa”, oggetto di intesa in sede di Conferenza Unificata. Le dimensioni della presenza dei rifugiati in Italia dal 1990 al 2011 … pagg. 117, 119, 120 Capitolo 8 - “Gli ultimi sviluppi nella legislazioni italiana ed europea in materia d’asilo” Introduzione Il forte dinamismo registrato sul piano legislativo durante il decennio 1998-2008 è proseguito, pur con caratteristiche differenti, anche negli ultimi anni. In particolare, se a livello nazionale si è lasciato all’ambito amministrativo il compito di migliorare il dispositivo vigente, per quanto riguarda la dimensione comunitaria, l’intero impianto è stato sottoposto ad una revisione. Dal Programma dell’Aia al Programma di Stoccolma L’inizio della seconda delle due fasi attraverso le quali si sarebbe dovuti giungere alla creazione dei Sistema comune europeo di asilo, fu consacrato nel 2004 con l’adozione da parte del Consiglio europeo del Programma dell’Aia. Le tappe della seconda fase, nel corso della quale avrebbero dovuto trovare attuazione gli strumenti normativi previsti dal Programma dell’Aia, furono definite nel Giugno 2008 nella comunicazione “Piano strategico sull’asilo - Un approccio integrato in materia di protezione nell’UE.” Al fine di completare la creazione del CEAS, il Piano strategico dispose il miglioramento degli strumenti legislativi adottati durante la prima fase, attraverso l’individuazione di norme più flessibili ed efficaci, da perseguire secondo criteri di coerenza con le altre politiche che riguardano la protezione internazionale e con attenzione alle esigenze dei gruppi vulnerabili. Del resto, il Piano strategico sull’asilo aveva seguito una riflessone approfondita ed una consultazione fra le parti interessate ed era stato il frutto dell’ampio dibattito accesosi in seguito alla diffusione del c.d. “Libro verde” che la Commissione Europea aveva pubblicato nel Giugno 2007. Attraverso tale comunicazione, la CE volle evidenziare le criticità del processo, riconducibili a quattro principali aree tematiche, ossia gli strumenti normativi, le misure di accompagnamento e adempimento, la solidarietà e condivisione delle responsabilità e la dimensione esterna dell’asilo. A poco dall’azione del Piano strategico, il 18 Ottobre 2008, i capi di Stato e/o di Governo dei 27 Paesi dell’UE approvarono il “Patto europeo sull’immigrazione e sull’asilo”, contenente cinque impegni fondamentali, la cui realizzazione avrebbe dovuto protrarsi oltre il 2010. Tra i vari impegni, si stabilì la costruzione di una “Europa dell’asilo”. In relazione a questo ultimo impegno, il Consiglio europeo, ritenendo che fosse corretto intraprendere ulteriori iniziative per completare l’istituzione del sistema europeo comune di asilo, convenne di: - pag 124; - “ I nuovi sviluppi accompagnarono l’adozione del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europeo, conosciuto anche come Trattato di Lisbona, firmato il 13 Dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° Dicembre 2009. Tale Trattato faceva riferimento, all’art. 78, non più alle singole misure, bensì ad un’ambiziosa “politica comune” in materia di asilo. Il secondo paragrafo dell’art. 78, invece, elencava le basi giuridiche per l’adozione dei nuovi strumenti in materia di asilo. Attraverso il Programma di Stoccolma - dal titolo “Verso un’Europa dei cittadini in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia” -, approvato dal Consiglio Europeo nel Dicembre 2009, si ribadì l’importanza di creare un’area di solidarietà, basata su alti standard di accoglienza e protezione, nonché su comuni procedure d’asilo. Nello specifico, il Programma prevedeva la revisione di tutta la normativa comunitaria elaborata tra il 2000 e il 2005 attraverso la definizione di regole comuni per gli Stati membri e una diminuzione delle deroghe oggi previste, al fine di garantire un futuro nel quale i richiedenti e i titolari della protezione internazionale avessero potuto trovare condizioni di tutela legale e sociale uguali in tutto il territorio dell’Unione. Sul piano operativo, invece, venne istituito nel 2010 l’Ufficio Europeo di supporto all’Asilo, con sede a Malta, al quale venne assegnato il ruolo centrale nello sviluppo delle politiche comuni in materia d’asilo, a partire dalla raccolta e diffusione delle informazioni sullo stato di attuazione dei programmi di condivisione di responsabilità tra gli Stati membri fino alla trattazione delle tematiche relative alla dimensione esterna delle politiche d’asilo. L’adozione della nuova legislazione comunitaria: dalle nuove direttive al Regolamento Dublino III La principale novità consiste, tuttavia, nell’approvazione di una nuova generazione di normative nonché del nuovo Regolamento Dublino (c.d. Regolamento Dublino III). Tra il 2011 e il 2013, infatti, il Parlamento ed il Consiglio Europeo adottarono un pacchetto legislativo di modifiche alla legislazione precedente, adottando, in particolare: - la Direttiva relativa alle procedure di asilo; - la Direttiva sulle condizioni di accoglienza; - la Direttiva sulle qualifiche di rifugiato.
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