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Riassunto completo GANG GIOVANILI di Franco Prina, Sintesi del corso di Sociologia della devianza

Riassunto completo libro GANG GIOVANILI perché nascono, chi ne fa parte, come intervenire di Franco Prina

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 20/01/2022

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Scarica Riassunto completo GANG GIOVANILI di Franco Prina e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia della devianza solo su Docsity! GANG GIOVANILI perché nascono, chi ne fa parte, come intervenire Pervenire a una definizione unanimemente condivisa di gang o banda è obiettivo a lungo perseguito ma mai pienamente raggiunto. C’è chi parla di un oggetto così indefinito e plurale, da ritenere la nozione di gang o banda come una nozione «pretesto». Nel senso che si tratta non solamente di parole «contenitori», che fanno sintesi eccessiva di cose molto diverse tra di loro, ma di parole volutamente utilizzate, nel discorso pubblico e politico, per indurre determinate reazioni, giudizi, atteggiamenti nei confronti delle tante diverse espressioni delle aggregazioni giovanili che suscitano preoccupazione. In genere impressioni e sentimenti di paura che, di conseguenza, portano a vedere con favore la repressione per sradicare il fenomeno o quantomeno allontanarlo dalla vita dei cittadini comuni. Un ruolo rilevante è ricoperto dai media che trattano il fenomeno e lo rappresentano. Un ruolo rilevante in questa direzione è ricoperto dai media che trattano il fenomeno e lo rappresentano. La rappresentazione non è solo quella giornalistica, ma più estesamente mediatica per il contributo che danno, oltre la cronaca, altri mezzi di comunicazione: le discussioni nei salotti televisivi, le stesse Tv che ospitano documentari, film, serie. Questa rappresentazione, che contribuisce ampiamente a quella che possiamo definire la «costruzione dell’oggetto», presenta alcuni ricorrenti caratteri (quelli tipici della cronaca nera e dei prodotti mediatici che ad essa si ispirano), ma soprattutto utilizza impropriamente molte parole ed espressioni. La più nota è «baby gang». Si tratta di un’espressione evocativa, suggestiva, ambivalente nell’accostamento tra i due termini che la compongono. Se da un lato il termine «gang» rimanda in modo netto a un’organizzazione strutturata che genera pericolo e insicurezza nei territori in cui è insediata e agisce (che dunque va estirpata in quanto «nemico pubblico» per la società), l’accostamento con il termine «baby» rappresenta l’inedito, capace di attrarre il lettore o l’ascoltatore, dal momento che ne sono protagonisti dei bambini. Il richiamo ai bambini sottolinea una precocità che ancor più allarma, desta scandalo, è fuori dell’ordine delle cose, allontanandosi in massimo grado dall’immagine comunemente condivisa di ciò che i bambini dovrebbero essere. Costante è poi la tendenza alla generalizzazione: tutto è banda, qualunque forma di predazione, aggressione o violenza in cui siano coinvolti due o più adolescenti o giovani. Il che induce, nella mente di chi è esposto a questi messaggi, a considerare il fenomeno allarmante, in costante crescita, dilagante, popolato di soggetti precocemente pericolosi. Oggi come in altre epoche le gang o bande di strada sono tra i fenomeni che più si prestano alla costruzione di quello che è stato descritto come l’effetto di moral panic, ovvero l’attribuzione ad esse della responsabilità di un esteso sentimento di paura e di allarme presso la popolazione. Un altro tratto costante della rappresentazione è individuabile nelle «assenze»: della quotidianità, in tutte le sue sfaccettature e differenze; delle vite dei protagonisti e di chi li circonda. Tornando alle difficoltà di definire con precisione una gang o una banda, tra gli stessi «addetti ai lavori» si oscilla tra il considerare il fenomeno come estremamente diffuso e pervasivo e, all’opposto, il negarne addirittura l’esistenza, non riscontrando in molte realtà alcuni dei tratti che più nettamente connotano quelle realtà altrove, in particolare negli Stati Uniti. Evitare questi due estremi implica rifuggire dalle semplificazioni che si nascondono dietro un uso non corretto delle parole, considerando il fenomeno come un qualche cosa di omogeneo, una entità definita, esistente in natura come tale. Definire ed etichettare come membro di una gang un ragazzo che presenta i simboli esteriori (un tatuaggio, un capo di abbigliamento) di un’aggregazione criminale a lui nota pur senza farne parte, determina modi di rapportarsi a quel ragazzo (ad esempio sospettarne responsabilità che non ha, fermarlo o accusarlo e trattarlo da criminale, escluderlo dalle relazioni) che ne cambiano concretamente l’esistenza. Il modo in cui si definisce un fenomeno orienta le reazioni sociali e istituzionali allo stesso. In particolare, usare concetti al tempo stesso imprecisi e suggestivi induce a evocare e perseguire soluzioni semplicistiche, il più delle volte di forte valenza simbolica, ma inefficaci. Se non addirittura controproducenti: l’uso improprio e soprattutto l’enfasi posta sulle parole «gang» o «banda» (ancor più sull’espressione «baby gang») possono avere effetti boomerang nella misura in cui orientano le azioni di chi è definito in un certo modo e lo rafforzano nell’adesione a quella immagine, menil modo in cui si definisce un fenomeno orienta le reazioni sociali e istituzionali allo stesso. In particolare, usare concetti al tempo stesso imprecisi e suggestivi induce a evocare e perseguire soluzioni semplicistiche, il più delle volte di forte valenza simbolica, ma inefficaci. Se non addirittura controproducenti: l’uso improprio e soprattutto l’enfasi posta sulle parole «gang» o «banda» (ancor più sull’espressione «baby gang») possono avere effetti boomerang nella misura in cui orientano le azioni di chi è definito in un certo modo e lo rafforzano nell’adesione a quella immagine, mentre agiscono da fattore attrattivo per altri, soprattutto i meno attrezzati culturalmente e i meno integrati socialmente, alla ricerca di una identità e di un gruppo in cui rifugiarsi. In questo libro, il termine gang sarà riferita alle organizzazioni, soprattutto americane, che presentano strutture, 1 numero di componenti e attività di grande rilievo. Per le situazioni che toccano il nostro paese e altri vicini si useranno le espressioni «banda giovanile», «banda urbana», qualche volta la locuzione inglese street gang. Si parlerà anche di «gruppi giovanili di strada», per segnare l’esigenza di riconoscere ad alcuni di essi valenze diverse da quelle che sono riconducibili alla sfera della devianza pur se presente. La locuzione «baby gang» sarà utilizzata solo in riferimento alle modalità con cui le bande di giovani, spesso giovanissimi, sono definite nei resoconti giornalistici. A volte, quando alcuni ragionamenti valgono per tutte le forme di situazioni trattate, potranno comparire sia gang che bande. Non tutti i minorenni e i giovani adulti che compiono reati insieme ad altri costituiscono una banda. Parimenti non si può parlare di banda ogni volta che si è in presenza di comportamenti aggressivi o violenti da parte di due o più individui. Si tratta spesso di aggregazioni contingenti, occasionali, definite da situazioni o provocazioni specifiche cui si reagisce per comune sentire o per legami di amicizia e di solidarietà. Al massimo agendo in «modalità banda», senza esserlo. I gruppi denominati «di strada» si limitano a occupare un determinato spazio come luogo in cui trascorrere del tempo, incontrare amici e coetanei con cui si condividono alcuni valori e pensieri, esibendo una propria identità culturale e, al più, l’estraneità alle norme sociali o a quelle che proibiscono consumi come alcol e droghe. In queste forme di aggregazione sono visibili elementi che sono richiamati anche come caratterizzanti una banda giovanile: ● relazioni dirette, primarie, quotidiane tra i membri; ● persistenza della frequentazione per un certo periodo di tempo pur se di durata variabile; ● legami reciproci basati su sentimenti di amicizia, solidarietà, lealtà, rispetto; ● strutturazione anche minima di ruoli (leader naturali, frequentatori abituali o saltuari) e condivisione di criteri più o meno definiti di accettazione di nuovi membri, come pure di loro allontanamento o espulsione; ● da parte dei singoli, riconoscimento di sé come appartenenti a quel gruppo e condivisione con gli altri di un nucleo di idee, valori, visioni, gusti (ad esempio musicali), stili di comportamento; ● condivisione ed esibizione di alcuni simboli o segni distintivi, elaborati in proprio o assimilati da altre (magari famose) bande; ● definizione di luoghi di incontro e riunione ritenuti «proprietà» più o meno esclusiva, non accessibili ad altri senza il consenso del gruppo; ● consumo di sostanze sia legali (alcol) che illegali (soprattutto cannabis), con una frequente messa in discussione delle norme che li penalizzano; ● partecipazione corale – anche ricorrendo a forme di violenza – alla difesa del gruppo e dei suoi membri quando attaccati fisicamente o provocati sul piano dell’identità. Per alcuni di questi gruppi, che possiamo inquadrare nella categoria di bande di giovani devianti simili alle classiche street gangs, a queste caratteristiche di base si aggiungono altri ingredienti, presenti in misura diversa e in gradi più o meno intensi: ● la condivisione di orientamenti di azione indirizzati alla predazione di beni utili e/o simbolicamente importanti agli occhi dei membri attraverso l’organizzazione di scippi, rapine in strada, furti in negozi, con obiettivi a volte di mera sopravvivenza, a volte di guadagno di quanto possibile e di minimo arricchimento; ● la messa in atto di agiti connotati da violenza nel compimento di azioni anche strumentali e/o per l’affermazione di un dominio sul territorio o per la regolazione dei conflitti sia interni al gruppo, sia – e più frequentemente – con chi è percepito come nemico o rivale; ● la manifestazione di sentimenti di malignità in agiti e comportamenti, ma ancor più in parole ed espressioni rivolte ad altre persone (ad esempio, chi non si sottomette o anche solo è «diverso» ed estraneo al contesto) considerate meritevoli, per atteggiamenti, condizioni o ruoli, di disprezzo o umiliazione; ● la distruttività nei confronti di cose e simboli, spesso di istituzioni o autorità ostili, o di chi si frappone al raggiungimento di obiettivi considerati importanti; ● l’esibizione di forza e potenza per la coltivazione dell’immagine di sé e del proprio gruppo di appartenenza, per mantenere – incutendo paura in avversari e concorrenti, in primis le altre bande – il potere su un territorio ed eliminare gli ostacoli nel perseguire interessi economici (ad esempio derivanti dall’imposizione di «protezione» ai commercianti); ● la gestione di (segmenti di) attività e servizi illegali e relativi mercati per conto di organizzazioni di criminalità organizzata, nei limiti e sottostando alle regole da esse imposte. Una progressiva strutturazione insieme al maturare, con l’età e l’esperienza, dei loro membri, può far crescere alcuni di questi gruppi fino a garantire loro il pieno dominio dei mercati e delle attività illegali in un determinato territorio nel quale sono tradizionalmente radicati o che hanno conquistato attraverso il conflitto con altre organizzazioni, pervenendo a perseguire le opportunità di arricchimento che discendono da tale dominio. L’espressione evocativa «baby gang» è di solito usata per indicare gruppi di ragazzi poco più che bambini. Una disposizione del 2014 ha innalzato la possibilità di permanenza negli Istituti penali minorili (Ipm, l’equivalente delle carceri per adulti) di giovani (che pure abbiano compiuto un reato da minorenni) fino al compimento dei 25 2 reazione sia immediata che attraverso le denunce alla polizia. Ma le cronache restituiscono anche situazioni in cui l’agire non è semplicemente orientato al compiere furti o rapine. Più diffusa la componente distruttiva (nel caso, ad esempio, di vandalismo nelle stazioni o sui vagoni della metropolitana, nelle scuole o verso altri edifici o strutture pubbliche) o la voglia di manifestare con la violenza il predominio nei confronti di altri coetanei. Un modo in cui si esprime il disagio sociale ed esistenziale e la rabbia verso il mondo, «mixando» i generi: predazione, violenza, vandalismo. O più semplicemente un mezzo per divertirsi dimostrando a sé e agli altri il coraggio di sfidare persone e istituzioni, così da procurarsi sensazioni forti ed eccitazione adrenalinica. Siamo in presenza di comportamenti che mescolano, magari nell’arco della stessa serata, bullismo, violenza sulle persone, sottrazione di beni, distruttività verso le cose (di proprietà privata o, più spesso, pubblica). Si parla spesso di «branco» (espressione che giornalisticamente a volte affianca quella di «baby gang» quando un gruppo si esprime in violenze gratuite e senza motivo) che aggredisce con calci, pugni, spintoni, minacce e insulti vittime spesso giovanissime per poi impossessarsi di quanto possiedono, di solito beni di poco valore, come cellulari, portafogli o accessori. Gruppi la cui composizione vede un mix di età (tra i 14 e i 21-22), di origini (italiani e stranieri), di generi (partecipano alle azioni anche ragazze), di presenze (numero variabile di partecipanti a singoli atti). Non di rado i ragazzi si vantano sui loro profili Facebook e Instagram di quanto fatto, condividendo foto e filmati delle serate passate con gli amici e degli atti di sfida e di affermazione di sé posti in essere. L'accostamento di questi gruppi a bande giovanili è possibile, ma in molti casi si tratta di semplice compartecipazione, in modalità banda, di più individui alla reiterata commissione di reati. Non mancano certo alcuni elementi che sono caratteri essenziali delle bande di strada giovanili: l'essere cresciuti insieme o comunque il conoscersi bene; il frequentarsi assiduamente e il condividere le condizioni della quotidianità; una comune visione di alcuni aspetti della realtà e di alcune aspirazioni da coltivare o obiettivi cui pervenire; l'insofferenza verso le leggi e le regole e l'odio per chi le rappresenta; la decisione di muoversi verso determinati luoghi (in genere quelli frequentati di notte da tanti giovani); La messa in Comune di propositi di compiere alcuni reati; Il rafforzamento reciproco nella determinazione ad agire; La scelta delle vittime sulla base di alcuni criteri implicitamente condivisi; Una certa organizzazione e divisione di compiti; Il portare con sé armi da esibire o usare (coltelli, mazze, pistole, in genere giocattolo, comunque utili a intimidire e minacciare); la violenza sproporzionata se non gratuita; La difesa dell'onore degli amici, se offeso e della loro integrità fisica se attaccata; La solidarietà negli eventuali scontri. Ciò che tuttavia manca, almeno quasi sempre sono: una struttura di ruoli definiti e stabili (Salvo le leadership naturali presenti in tutti i gruppi); Alcuni simboli in cui riconoscersi; La condivisione esplicita e dichiarata da tutti di valori o idee; un’autoidentificazione come banda. Spesso manca anche la continuità nella composizione del gruppo che agisce la violenza o compie le rapine, che si compone di volta in volta di soggetti diversi, facenti parte di un giro allargato di persone che si conoscono e frequentano: quelli che si trovano insieme una certa sera, cui capita l'occasione propizia o lo stimolo per agire (uno sguardo, Un'offesa). Confini dunque labili, tra gruppi di co-offenders (adolescenti e giovani che si associano per commettere reati) e bande giovanili, cosa che rende l’utilizzo dell’espressione baby gang inappropriata e sbrigativa. Tale qualifica risulta ancora più inadatta per i tanti gruppi, ben più numerosi, i cui tratti identitari e i cui comportamenti non sono riconducibili esclusivamente alla dimensione della devianza. Forme di aggregazione di ragazzi e ragazze che si pongono nello spazio pubblico come gruppi almeno relativamente stabili, essenzialmente per ragioni di affiliazione e riconoscimento reciproco e per trascorrere del tempo insieme, senza particolare occupazioni se non quelle consuete di qualsiasi adolescente: ascolto di musica, pratica di alcuni sport di strada, Confronto e scambio, corteggiamento tra i generi. Spazio che può essere, da alcuni gruppi che vi sono insediati stabilmente, rivendicato come proprietà esclusiva. E per questo si possono verificare conflitti con un certo grado di violenza verso altri gruppi o singoli, ma senza le connotazioni di gratuità presenti nei gruppi descritti in precedenza. Un discorso a parte meritano i gruppi di giovani di seconda generazione, più spesso ricongiunti, di origini centro e sudamericane, che si sono avvicinati alla cultura di alcuni movimenti e di alcune gang transnazionali appropriandosi a volte solamente di simboli, discorsi, regole relazionali (per questo riconducibili alla categoria di pseudo-gang), altre volte anche alle pratiche criminali e illegali. Genova e Milano: i gruppi di strada identitari del latinos A Genova e a Milano a partire dagli anni 2000 salgono sulla scena della cronaca le bande di giovani latinos, che rappresentano, almeno per anni, l'esempio più evidente di gruppi connotati dal punto di vista della provenienza (Equador, Perù, El Salvador, altri paesi latinoamericani), che dunque condividono lingua e cultura. La peculiarità di queste forme di aggregazione (In spagnolo Pandillas) sono numerose. Essi si formano dall'incontro di due tipi di adolescenti. Da un lato, quelli ricongiunti in età adolescenziale a genitori (In genere la madre) da anni in Italia e cresciuti in patria in ambienti familiari normali, al riparo da grossi problemi anche per l'aiuto che le rimesse dall’Italia assicuravano. Questi giovani si trovano a sperimentare gravi problemi di adattamento al nuovo contesto, per le incerte prospettive di integrazione e di realizzazione, e di riconoscimento, in sé, di un’identità definita. Dall’altro, ragazzi già problematici in patria, dove hanno sperimentato la strada e la violenza, l’aggregazione in gruppi di 5 marginali, i comportamenti devianti, a volte il carcere. L’incontro (che coinvolge solo una parte minoritaria degli adolescenti di quella origine) da luogo a forme gruppali diverse. Alcuni gruppi informali si aggregano spontaneamente in determinati luoghi, in parte riproducendo le modalità di essere delle pandillas di ragazzi e giovani presenti in molte città dei paesi di origine. A Genova, dove la comunità ecuadoregna è la più estesa, troviamo le espressioni locali Latin Kings e quelle dei Netas, un’associazione nata negli anni ‘70 a Porto Rico nelle carceri dove erano detenuti oppositori politici, con scopi di sostegno e difesa dai soprusi, poi lentamente trasformatasi in organizzazione criminale orientata ai traffici e alle attività illegali, presente, oltre che nelle carceri, in territori di molti paesi. I Latin Kings sono un esempio di organizzazione di strada che esprime resistenza al sistema. Il senso principale è quello dell’appartenenza identitaria a una grande organizzazione, prevalentemente ispirata a ideali di riconoscimento e solidarietà dei popoli latinoamericani dispersi, con una molteplicità di finalità esplicitamente dichiarate e in prevalenza del tutto legali. I giovani migranti la conoscono spesso solo attraverso le immagini, le musiche, le storie veicolate dai social media fino a quando, nel contesto locale, non compare qualcuno che quelle esperienze ha conosciuto direttamente, vi si è accostato e integrato ed è stato investito della missione di diffondere l’associazione nel luogo di approdo della sua migrazione. Così troviamo molti giovani che di quella organizzazione imitano essenzialmente i simboli e le forme esteriori del presentarsi e farsi riconoscere, altri che aderiscono ai principi e alle narrazioni di significato, integrandosi nella struttura e nelle gerarchie stabilite, sviluppando legami, adottando gli atteggiamenti relazionali prescritti e alcune regole conosciute. Infine, ma piuttosto marginalmente, possono comparire comportamenti aggressivi verso altri e si compiono alcuni reati di gruppo. Diversa la storia più recente di gruppi giovanili di strada che -in modo particolare a Milano- hanno come riferimento la cultura e i comportamenti delle maras, tra tutte la MS13-Mara Salvatrucha o il Barrio 18, che in molte parti del mondo (Stati Uniti soprattutto) si sono strutturate come vere e proprie organizzazioni criminali. I gradi di adesione a questo universo sono vari. Per molti si tratta della mera condivisione di alcuni modelli -altrove potenti e altamente violenti - solo nell’immaginario, nella parola e nei racconti, o al più nell’esibizione di alcuni simboli. Per altri, invece, dell’assimilazione di atteggiamenti aggressivi e conflittuali come strumento di affermazione nei confronti della società e di altri gruppi. Altri, infine, possono dedicarsi a pratiche illegali strutturate, ad es di gestione di parte dei traffici di droga che passano attraverso quelle organizzazioni nella loro dimensione internazionale. La provincia italiana: i gruppi della noia e del vuoto Il fenomeno delle piccole bande - di certa composizione e di varia durata nel tempo - non riguarda solamente le grandi città. Le cronache presentano numerosi casi di gruppi di ragazzi e giovani che, nelle piccole città e nei paesi della provincia, si aggregano per compiere reati o agire violenza nei confronti degli altri, in genere dei più deboli o dei “diversi”. Si tratta spesso di figli di famiglie segnate da problemi sociali ed economici, trascurati sul piano relazionale ed educativo, ma non solo: tra i protagonisti compaiono anche figli di famiglie di classe media, quando non agiate, a volte di genitori in vista nelle comunità o comunque ben integrati. I piccoli gruppi di ragazzi che si dedicano al “gioco” del lancio dei sassi dai cavalcavia presentano solo alcuni tratti propri delle bande. Usano un mezzo antico di espressione di vitalità e/o di rabbia giovanile - il lancio di pietre - come mezzo con cui uscire dalle condizioni di invisibilità cui molti ragazzi di provincia si sentono condannati. Un modo di esprimersi e dare voce al loro essere anonimi e, finalmente, manifestarsi sulla scena del mondo. Hanno bersagli altrettanto anonimi, cose e persone sconosciute, verso le quali non hanno alcuna ragione di risentimento o rabbia. Sono spinti da un mix di bisogni e interessi che solo in gruppo e rafforzandosi a vicenda possono perseguire: divertimento, sfida, coraggio,sprezzo del pericolo e del rischio di subire conseguenze. Più recenti sono i casi di gruppi che hanno assimilato e non si trattengono dall’esibire l’ideologia dell’odio per il diverso, l’estraneo, il non conforme agli standard e alla cultura dominante nel contesto. I giovani sembrano qui assorbire l’intolleranza, il razzismo, la xenofobia oggi parecchio diffusi nella società e questo in misura maggiore in contesti di provincia, dove minori sono le opportunità di conoscenza diretta e di contaminazione positiva tra persone e stili di vita differenti. Ne sono espressione i casi di reiterate violenze condotte verso stranieri, rom, omosessuali, avversari politici in nome di parole d’ordine e richiami al fascismo o al nazismo apertamente esibiti. Ben più vaghi riferimenti ideologici, anche se a volte non del tutto assenti, animano i gruppi che si dedicano a violenze reiterate nei confronti di persone deboli e incapaci di difendersi e finanche di denunciare i soprusi subiti. Le vittime sono le ragazze e le donne, con la pratica di stupri di gruppo ripetuti e in qualche modo programmati o almeno non esclusi ogni volta che se ne presenta l'occasione. Gli abusi diventano un’attività che riempie, magari insieme all’alcol e alle droghe, il vuoto e la noia delle serate e delle notti della provincia in cui nessuna proposta di carattere culturale e aggregativo, se non quelle commerciali, è presente. Le violenze si esprimono laddove più forte è la cultura dell’omertà e dove si può ancora contare sull’accoglienza di attenuanti asserendo la corresponsabilità, almeno parziale, delle vittime le quali vivono nel timore delle conseguenze della denuncia se i responsabili sono protetti da adulti dotati di un qualche potere. 6 CAPITOLO 2: CONOSCERE E SPIEGARE La presenza di gang o bande di strada non è un fenomeno recente. La storia sociale delle società europee, laddove cioè si sono sviluppate in primo luogo le città con le caratteristiche di aree popolate da molti e diversi individui, di luoghi attrattivi per persone e affari, di contesti segnati da difficoltà per la sopravvivenza sperimentate da tanti, racconta come, dal ‘500 esse siano ambiti in cui gruppi di appartenenti alle giovani generazioni, spesso bambini, si aggregano per compiere atti illegali, accompagnati frequentemente da violenza. Ma è dall’800 che il fenomeno è posto al centro di una grande e preoccupata attenzione da parte dell’opinione pubblica, soprattutto della classe borghese che si sente presa di mira in quanto responsabile delle condizioni di vita di tanti individui, poveri se non miserabili. Condizioni che generano sentimenti di ribellione allo statu quo e agiti di predazione dei beni dei benestanti, insieme a scontri violenti contro chi deve assicurare l’ordine. La violenza è anche mezzo di regolazione dei conflitti tra appartenenti alle stesse classi sociali subalterne. E’ qui che il territorio (la strada, il quartiere) comincia a diventare una sorta di proprietà da conquistare e difendere per le risorse che assicura (materiali, anche simboliche). Le cronache dei giornali sono piene delle gesta delle bande dei quartieri popolari. L’interesse alla diffusione della stampa che vede nella cronaca nera, nelle vicende che suscitano curiosità e brividi di paura, un mezzo formidabile di attrazione dei lettori, provoca il boom di storie sempre più truci e in gran parte romanzate. Racconti che poi innervano i grandi romanzi francesi e inglesi (es Oliver Twist). In questi romanzi si trovano denunce sulle condizioni sociali e materiali in cui i fenomeni maturano. E’ tuttavia negli Stati Uniti che, dall’inizio dell’800, il fenomeno delle gang di strada assume i contorni sempre più definiti che conosciamo ancora oggi. Nate per ribellarsi al basso status sociale e al pregiudizio che colpisce i diversi gruppi di immigrati, le gang si impegnano progressivamente in comportamenti criminali. Poco dopo, si formano altre bande irlandesi generando rivalità e guerre di territorio. In seguito, durante tutto il corso del XIX secolo, molte altre bande appaiono in diverse parti del paese: ebraiche, italiane, afroamericane, cinesi. Nel ‘900, all’enorme sviluppo delle gang, con aumento della violenza da esse espressa, contribuisce la Grande Depressione, in particolare a Los Angeles, Detroit, Boston e Chicago. E’ a Chicago che i sociologi cominciano a occuparsi del fenomeno e la questione della devianza diventa oggetto di studi, ricerche, riflessioni su come affrontarla. Le gang sono considerate inevitabilmente associate alla vita delle aree naturali in cui è divisa la città e sono radicate nelle caratteristiche della struttura urbana con le zone di transizione per chi approda da altri paesi in cerca di sistemazione e di fortuna, il proliferare degli slums (le aree di baracche ed edifici fatiscenti), la comparsa dei quartieri connotati etnicamente. La storia delle gang prosegue dopo la seconda guerra mondiale con nuovi tipi di bande, comprese le bande di motociclisti e quelle che si formano e dominano nelle prigioni. Gli studi sulle gang pongono in luce l’associazione con la nozione di ghetto, la prevalente correlazione con le diverse identità nazionali ed etniche dei suoi componenti, le forme di azione che conciliano dominio sul territorio e interessi economici. Una particolare svolta si ha nella seconda metà degli anni ’60: nei ghetti afroamericani compare, a connotare le forme che assumono le bande, un’importante componente di ribellione ai valori del sistema dominante e alla discriminazione razziale. Una cultura che nasce in ambienti intellettuali, nelle università, ma si diffonde nelle aree della marginalità nel momento in cui teorizza come le azioni dei proletari esclusi e ghettizzati possano in sé avere valenza politica quando attaccano i beni della borghesia, ne distruggono averi e simboli, si scontrano con violenza con le istituzioni (stato, forze di polizia..) che ne difendono gli interessi. La particolare rilevanza dell’intreccio tra gang e questione razziale caratterizza tuttora la realtà statunitense sia nella minoranza afroamericana, che in quella ispanica. E sono proprio le gang composte da individui di origine latinoamericana a essere oggi in cima alle preoccupazioni pubbliche in molte realtà urbane. Pienamente assimilabili alle grandi organizzazioni criminali per l’ampiezza numerica di affiliati, l’estensione e la pervasività delle presenza in contesti differenti, la strutturazione fortemente gerarchica dell’organizzazione e la sottomissione dei componenti a ferree regole e altrettanto ferree feroci sanzioni in caso di loro violazione. L’enorme volume di affari che gestiscono è garantito dal possesso di cospicui arsenali di armi e dall’uso della violenza come mezzo di affermazione del proprio potere su interi paesi e comunque aree estese, ma anche da pratiche di corruzione dei rappresentanti di istituzioni e dall’influenza sulle rappresentanze politiche. Interessanti sono le caratteristiche delle pandillas, composte dai più giovani che presentano una doppia natura: - quella di gruppi di strada identitari, che si aggregano intorno alla proposta della riscoperta e della rivendicazione orgogliosa dei valori e della cultura nei contesti da cui provengono; - quella di gruppi che presentano i tratti di bande di strada dedite a reati predatori, a scontri e violenze, allo spaccio di droghe, che garantisce opportunità di guadagno e arricchimento. Entrambe le facce hanno grande attrattività sui giovani marginali e in cerca di identità e senso. In quelle esperienze troviamo elementi che persistono ancora oggi: la distinzione affidata a simboli esteriori, la provocazione spinta nei confronti delle persone perbene, gli eccessi nei consumi (ades di alcol), l’esaltazione della virilità. Troviamo scontri tra bande rivali per la difesa del proprio territorio, che hanno spesso come elementi 7 Il secondo approccio proposto da studiosi critici nei confronti delle definizioni istituzionali e da operatori sociali calati nei contesti oggetto di studio e impegno, induce a definire le bande come comunità di persone, in genere giovani, unite da legami e vincoli di solidarietà che si vanno nel tempo strutturando. Va in questo senso il contributo della Scuola di Birmingham che, a partire dagli anni ’60, sposta l’asse della riflessione verso l’analisi del capitale simbolico e ribelle insisto negli stili emergenti fra i giovani, emancipando lo studio sulle bande dal problema della devianza. L’attenzione è rivolta alle bande spettacolari come i rockers e i mods, gli skinheads, che esprimono la loro opposizione al sistema che li vuole subalterni e silenziosi. E che per questo suscita un'ondata di “panico morale”. Questa visione si manifesta anche negli Stati Uniti, dove verso la fine degli anni ’90 Joan Moore contestualizza le bande all’interno dei loro barrios e dell’economia del ghetto e le definisce: “gruppi di pari senza supervisione che sono socializzati dalle strade piuttosto che dalle istituzioni convenzionali. Si definiscono una gang o un gruppo o un termine simile e hanno la capacità di riprodursi, di solito all’interno di un quartiere specifico”. Una definizione che ritorna in qualche modo alla Scuola di Chicago nell’evocare il rapporto tra ambiente e comportamenti anomici e considera le bande come gruppi di pari senza regole, formatisi per le strade e che si definiscono come tali. Allo stesso modo Jim Short per cui le gang sono “gruppi i cui membri si incontrano insieme con una certa regolarità nel tempo, sulla base di criteri di appartenenza definiti dal gruppo stesso e caratteristiche organizzative anch’esse definite dal gruppo, in altre parole, le bande sono gruppi non controllati da adulti, autodeterminati , che mostrano continuità nel tempo”. Per questi autori la criminalità o la violenza non sono necessariamente una caratteristica distintiva delle gang. Piuttosto, uno dei comportamenti possibili il cui verificarsi occorre semmai spiegare. Infatti sottolineano come per gli individui che li compongono questi gruppi rappresentino in termini di risorse e opportunità di sopravvivenza e di realizzazione, con una ricchezza di significati culturali e relazionali non riducibili solamente alla dimensione della violenza e degli illegalismi. Essi vanno compresi e interpretati per quello che rappresentano per chi li agisce: forme di resistenza alle condizioni strutturali date, di marginalizzazione e discriminazione. Agiti che riproducono in maniera circolare la violenza strutturale e culturale di cui gli individui sono vittime da parte del sistema economico e di valori dominante. In questo solco si colloca la proposta di Brotherton di sostituire il termine gang con quello di organizzazioni di strada, che vengono definite come “gruppi formati in gran parte da giovani e adulti, provenienti da classi marginalizzate, che hanno lo scopo di fornire ai propri membri un’identità di resistenza, un’opportunità di empowerment sia a livello individuale che collettivo, una possibilità di voce capace di sfidare la cultura dominante, un rifugio dalle tensioni e sofferenze della vita quotidiana nel ghetto, ed infine una enclave spirituale dove possano essere sviluppati e praticati rituali considerati sacri”. I criteri per comprendere le differenze Per entrare nel merito delle differenze che vanno considerate in qualsiasi analisi non superficiale del fenomeno, possiamo osservare che ricercatori e studiosi hanno proposto categorizzazioni di tipo diverso, a seconda di quale elemento abbiano posto al centro della loro attenzione: da un lato la struttura delle organizzazioni (come sono fatte, chi le compone, dove si collocano), dall’altro la loro ragione di esistenza (cosa le bande fanno, per cosa si aggregano gli individui che le compongono, quali sono le loro motivazioni e i loro interessi). ➔ Struttura delle bande Le classificazioni che hanno come elemento centrale la struttura delle bande sono innanzitutto quelle che si basano sulla composizione dei gruppi dal punto di vista delle categorie anagrafiche come l’età o il genere. Lo spettro delle età dei componenti di bande può essere piuttosto ampio, con la presenza di leader in genere più grandi e via via giovani e ragazzi di età inferiore. Questo vale per quelle gang più strutturate e durature nel tempo in cui è normale il passaggio dei componenti da posizioni subordinate e meno impegnate fino a posizioni di leadership. Nelle forme meno strutturate di bande urbane o gruppi di strada, osserviamo esclusivamente coetanei, o comunque soggetti con età piuttosto vicine. L’elemento centrale è in questo caso la frequentazione assidua e prolungata nelle normali fasi di sviluppo e di crescita in contesti di vita prossimi. La composizione dal punto di vista del genere è l’altro elemento utilizzabile per distinguere i gruppi. La maschilità è tratto che connota da sempre il modo di essere delle gang, sia dal punto di vista della numerosità maggiore dei maschi rispetto alle femmine, sia dal punto di vista della posizioni di potere. Tuttavia, possiamo osservare non poche eccezioni, con ragazze e giovani donne in posizioni di potere all’interno di gruppi prevalentemente maschili, o ancora con bande composte esclusivamente da femmine. Un altro tipo di differenziazione è relativa alla loro composizione sotto il profilo dell’appartenenza etnica o provenienza geografica dei membri. La differenziazione è tra bande omogenee (o quasi) e bande miste, i cui componenti hanno ruoli e presenze senza alcuna distinzione di origini etniche. Un ultimo tipo di classificazione riferibile alla struttura, fortemente intrecciato con la dimensione tempo, è quello relativo alle differenze interne tra i membri in rapporto al potere, ai ruoli, alle mansioni e alla distribuzione degli utili ricavati da reati o dalla gestione di attività illecite. Qui le differenze si possono collocare in un continuum che va dall’assenza pressoché totale di differenziazione, a un estremo, all’articolazione netta di posizioni, all’altro. In una 10 configurazione, anche gerarchica, legata alla storia della gang, all’età degli individui, alla durata della loro partecipazione, alle caratteristiche e alle capacità personali dei singoli. In queste gang le distinzioni sono evidenti per tutti e sono codificate in regole sia scritte che solamente tramandate oralmente. Inoltre sono imposte con la forza e con sanzioni ai trasgressori dell’ordine costituito e spesso e spesso sono oggetto di conflitti che hanno per motivo la conquista di posizioni di potere. La classificazioni che sono state elaborate si propongono sia con riferimento all’immagine dei cerchi concentrici sia con quella della piramide. In genere distinguono le posizioni di leader, membri o aderenti, reclute, aspiranti o semplici ammiratori che costituiscono la platea cui attingere le reclute. In alcuni casi compaiono anche i veterani, membri che hanno mantenuto legami con la gang ma non sono più attivi, se non a volte come consiglieri. ➔ Obiettivi Il secondo criterio di categorizzazione guarda gli obiettivi perseguiti. Il lavoro di Cloward e Ohlin nell’America degli anni ’50, propone una distinzione tra differenti tipi di bande che si configura sotto il profilo di ciò che le occupa, di ciò che fanno prevalentemente: 1. Conquistare e difendere un territorio per definire la propria identità e il proprio potere in assenza di opportunità di affermazione e di successo con altri mezzi; 2. Perseguire l’arricchimento attraverso il compimento di reati strumentali ma soprattutto la gestione degli affari lucrosi prevalentemente illeciti attraverso la fornitura di servizi ai membri perbene della società; 3. Procurarsi i mezzi per coltivare la propria dipendenza dalle droghe o dall’alcol, avendo fallito sia nell’integrazione nella società degli inclusi, sia nell’accesso alle opportunità offerte dalle subculture devianti e criminali. Altre differenziazioni distinguono: ➢ Social gang > gruppi di giovani di strada dediti a varie attività, prevalentemente, espressive. Si tratta di gruppi abbastanza stabili, soliti incontrarsi in luoghi specifici; ➢ Delinquent gang > bande dedite agli affari illegali, dotate di una struttura coesa e organizzata, che coopera per ottenere profitto attraverso attività illecite; ➢ Violent gang > il cui scopo principale è il raggiungimento del potere e del riconoscimento su un determinato territorio e della gratificazione emotiva ottenuta attraverso la prevaricazione e il dominio su altri. La classificazione più conosciuta è quella di Malcom W. Klein e Cheryl L. Maxson, che dividono le gang in cinque tipologie, sulla base di criteri quali la durata nel tempo, l’età dei componenti, le dimensioni, la struttura, il radicamento (o la ramificazione) nel territorio, il tipo di attività illegali gestite. Esse sono: ● traditional gang ● neotraditional gang ● compressed gang ● collecitve gang ● specialty gang. In Europa sono essenzialmente assenti le tradizional e le neotraditional gangs e le uniche diffuse sono le compressed gangs, composte da un numero relativamente esiguo di adolescenti e giovani adulti e caratterizzate da comportamenti versatili, e le specialty gangs, che si orientano verso determinati interessi: furti, rapine, truffe (oggi anche informatiche), estorsioni, spaccio di droga ecc. Tra l’una e l’altra delle categorie ci possono essere dei passaggi evolutivi. Questo in particolare negli anni più recenti, in cui sono cambiate molte delle condizioni che hanno definito i contesti territoriali e le economie legali e illegali nel corso del ‘900. Così le gang più strutturate e quelle più specializzate sono andate perdendo la caratteristica di gruppo locale e la relegazione in esso, per assumere una dimensione translocale e anche transnazionale, se non globale. Diventando gang estremamente potenti, capaci di assolvere funzioni economiche e politiche attraverso un complesso sistema di attività illecite, infiltrazioni nello Stato, uso della corruzione e della violenza omicida, possesso e impiego di armi sempre più sofisticate, arrivando a configurarsi come veri e propri attori non statali. E’ ancora opportuno ricordare che le categorie non sono mai nettamente distinguibili, ma è utile modulare, su una sorta di continuum, le molteplici forme di aggregazione di cui trattiamo. In alcuni studi canadesi troviamo la proposta di considerare a un'estremità la pseudo gang, composte da adolescenti che si identificano con le gang e tentano di imitare i loro comportamenti e, all’estremo opposto, le vere e proprie organizzazioni criminali che coinvolgono adulti e giovani in gruppi strutturati e stabili con attività orientate ai profitti economici. Tra questi due poli altri tipi di gruppi che differiscono a seconda del loro scopo: gruppi di strada, bande territoriali o urbane, bende ideologiche violente, gruppi delinquenti specializzati. 11 Come sappiamo quel che sappiamo delle bande? Come si può fare ricerca sulle bande è stato uno degli oggetti di riflessione dell’Eurogang Research Program che ha prodotto un manuale che indica ai ricercatori che si vogliono misurare con il fenomeno i principi e le metodologie più corrette e produttive di risultati affidabili. Suggerendo una pluralità di metodi: raccolta di dati a livello territoriale, sondaggio di esperti, questionari a giovani, ricerche qualitative di tipo etnografico. Tuttavia, tutti riconoscono che non è facile rispondere agli interrogativi formulati quando si osserva qualsiasi fenomeno sociale, ossia: - qual’è la sua consistenza in un determinato periodo e ambito o contesto (nazione, regione o città); quante sono le le persone implicate? - Qual’è il sua andamento nel tempo? - Quali sono le caratteristiche riscontrabili se si osserva al suo interno il fenomeno? Chi sono i soggetti coinvolti? Quali i comportamenti messi in atto? Non è facile rispondere a queste domande in quanto la maggioranza delle bande ha natura fluida e fortemente mutevole nel tempo, con cambiamenti anche molto ravvicinati. Inoltre siamo in presenza di un fenomeno che ha attinenza con comportamenti devianti, e quindi taciuti. Ne deriva che la quantificazione delle bande presenti in un determinato contesto e delle loro caratteristiche interne è un obiettivo conoscitivo molto complesso. Al massimo, si possono tentare stime che danno un’idea solo approssimativa di alcune caratteristiche dei soggetti e dei loro comportamenti. Non mancano ovviamente i tentativi di costruire le banche dati e censire le gang o le bande presenti sul territorio. Per ovviare a questi limiti, di grande interesse è il ricorso a quelle che sono definite le indagini di autoconfessione o della delinquenza autorivelata. Si tratta di indagini condotte attraverso questionari anonimi autosomministrati, rivolte a un campione casuale e rappresentativo della popolazione intera o di determinati gruppi sociali o specifiche fasce d’età. L’indagine più estesa a livello internazionale è l’International Self- Report Delinquency Study (Isrd), uno studio sulla delinquenza e la vittimizzazione tra i giovani che utilizza strumenti standardizzati e procedure di raccolta dei dati con questionari anonimi. E’ una ricerca ripetuta a distanza di qualche anno, che si svolge anche in Italia e che ha visto crescere il numero di paesi partecipanti. Da questo studio i ricercatori hanno estrapolato dati su chi si può considerare componente di una banda avendo risposto affermativamente a sei domande: 1. avere un gruppo di amici 2. passare il tempo con loro prevalentemente in strada o un spazi pubblici 3. accettare o tollerare che il gruppo ponga in essere attività illegali 4. compiere in gruppo attività illegali 5. considerare il proprio gruppo come una banda o una gang 6. dichiarare che il gruppo esiste da più di tre mesi. I dati ricavati in Italia mostrano una percentuale di potenziali appartenenti a bande pari al 5,7 dei giovani interpellati. Spesso però si tratta di risposte trasgressive, spesso provocatorie e non rispondenti al vero. Inoltre, per raggiungere un consistente numero di soggetti, i questionari sono somministrati nelle scuole dove proprio i ragazzi più problematici e potenzialmente coinvolti in situazioni di devianza spesso non ci sono per abbandoni ed esclusione. A fianco di questi tentativi, difficili e poco soddisfacenti, di quantificare il fenomeno, molte sono le ricerche volte a produrre descrizioni puntuali, essenzialmente di carattere qualitativo, delle diverse espressioni di aggregazione giovanili assimilabili a bande. Si possono usare classici metodi della ricerca empirica: interviste, focus group, raccolta di resoconti e altre forme di espressione dei protagonisti. Tutti strumenti che possono consentire di conoscere aspetti del fenomeno, ma soprattutto di comprendere e valorizzare il punto di vista delle persone implicate. Molto interessanti sono alcune ricerche condotte da studiosi che si sono integrati nelle stesse bande. Si tratta di indagini di tipo etnografico, basate sull’osservazione partecipante, rese possibili dalla conquista della fiducia degli individui osservati. Cosa più facile per i ricercatori nati negli stessi quartieri e appartenenti agli stessi gruppi etnici, così come per i ricercatori che non hanno rotto i legami di amicizia con chi ha intrapreso attività illegali (sono considerati meritevoli di fiducia). Di notevole interesse, infine, sono i tentativi di mappatura delle presenze sui territori attraverso tecniche di osservazione di ricognizione sulle dinamiche di incontro, stazionamento e movimento di persone e gruppi. Esse sono correlate il più delle volte a impegni di operatori sociali (soprattutto educatori di strada) presenti nei luoghi naturali frequentati dai giovani con cui si cerca di instaurare un rapporto educativo. La complessità delle spiegazioni e delle interpretazioni Se queste sono le difficoltà della ricerca sul fenomeno, si può comprendere come non sia facile pervenire a spiegazioni certe del suo verificarsi ed evolvere. Senza una buona descrizione quantitativa e qualitativa dei suoi tratti, delle persone che vi sono coinvolte e di quanto vi sta intorno e può influenzarlo, l’obiettivo di individuarne le cause appare problematico. Nel corso dei secoli le spiegazioni sull'esistenza delle gang o delle bande hanno visto succedersi numerosi e 12 nel panorama della commissione dei reati. Questo elemento rende più complesso ragionare sulla questione dell’abbassamento dell’età degli autori e delle autrici di reati. La ripartizione per fasce d’età degli autori di delitti vede in effetti un deciso aumento del numero di infraquattordicenni denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria minorile. Se da un lato l’aumento sembra testimoniare una certa maggiore precocità nella commissione di reati, coerente peraltro con quella riscontrabile in molti altri campi, non si deve sottovalutare un elemento importante nella costruzione dello stesso dato: la maggiore propensione, negli anni più recenti, alla denuncia anche dei giovanissimi da parte delle vittime altri interessati o da parte delle forze dell’ordine. E’ noto che gli infraquattordicenni raramente erano denunciati sia dalle vittime che dai responsabili di istituzioni come la scuola. Negli ultimi anni le cose sono cambiate. Effetto in particolare dell’allarme bullismo e cyberbullismo e della percezione che l’intervento delle forze dell’ordine e dell’autorità giudiziaria minorile sia auspicabile. E questo per alcuni orientamenti culturali, anche in segno diverso: da un lato, quelli che vedono la risposta penale, all’insegna della tolleranza zero, come utile e opportuna sempre; dall’altro, quelli che ritengono giusti, sia per le vittime che per la crescita di consapevolezza sul proprio agire da parte degli stessi autori dei reati, un processo di riconoscimento del danno inferto e di responsabilizzazione che passi attraverso le istituzioni giudiziarie (e i servizi sociali connessi). Certo non si può nascondere la più generale tendenza a una maggiore precocità delle ultime generazioni in tutti i comportamenti sociali, compresi ovviamente quelli devianti. Se la cosa colpisce e desta allarme è forse perché oggi tocca in modo particolare le categorie e le fasce sociali tradizionalmente più integrate e conformiste: la borghesia, il ceto medio. Non così i ceti più popolari, soprattutto nel sud, in cui una precoce autonomia dei bambini e dei ragazzi (ad es nella vita fuori dalle mura domestiche, nelle strade e nelle piazze, ma anche nell’avvio a al lavoro, con abbandono della scuola) è da sempre sollecitata o di fatto tollerata. Dunque normale e non propria di questo tempo. Alcuni altri dati possono aiutarci ancora a delineare il quadro delle tendenze. In primo luogo quello relativo ai reati per cui i minorenni sono stati denunciati, che sostanzialmente indica il persistere nel tempo, con variazioni minime e non significative di anno in anno, della distribuzione tra le varie fattispecie. A distanza di 10 anni, a parte un aumento non particolarmente rilevante dei furti, delle lesioni dolose e delle violazioni alla normativa degli stupefacenti, tutti gli altri numeri sono in calo. Un altro dato può essere utile: quello dei minorenni e dei giovani adulti autori di un reato che ogni anno entrano negli Istituti penali minorili. Si tratta di soggetti che hanno, in generale, commesso reati più gravi o hanno reiterato comportamenti criminali. Infine è sicuramente utile il dato sul co-offending, il concorso di due o più soggetti nella commissione dello stesso reato. Poiché l’agire insieme ad altri è tratto normale della condizione adolescenziale e giovanile, ciò vale anche per la commissione di reati. Quelli che dunque vedono due o più coetanei arrivare insieme di fronte alla giustizia minorile rappresentano una quota significativa, anche se non maggioritaria, del totale. Il dato sui ragazzi che compiono reati in concorso non va tuttavia scambiato per il dato sulle bande. Due elementi lo dimostrano. Il primo è relativo alla distinzione, all’interno del quadro del concorso, di reati contestati a 2, 3 o a 4 o più persone, numerosità quest’ultima che può far pensare a un gruppo. Il secondo si desume dal basso numero di imputazioni, ex art. 416 CP, ossia il reato di associazione per delinquere. Su più di 30.000 segnalazioni relative a minorenni l’associazione compare in misura minima. Quasi nessun minorenne sia condannato in via definitiva per il reato associativo, sia perché il capo di accusa può decadere, sia e soprattutto perché la grande maggioranza di processi ai minorenni chiude senza condanne, ma con soluzioni alternative. L’Istat conduce periodicamente un’indagine campionaria (Sicurezza dei cittadini) con lo scopo di rilevare quanto le persone si sentono sicure nel proprio ambiente di vita. Dalla ricerca del 20151-2016 emerge che il 27,6% dei cittadini si ritiene poco o per niente sicuro uscendo da solo di sera, e che per il 38,2% la paura della criminalità influenza molto o abbastanza le proprie abitudini. Il sentimento di insicurezza si trasforma in vero e proprio panico morale quando quando gli episodi violenti si verificano in aree e strade che magari fino a qualche tempo addietro si presupponevano non pericolose. Adolescenti: un universo di costellazioni Chi, in giovane età, adotta comportamenti devianti (non solo compiendo reati) in genere lo fa con altri, con quello che è il suo gruppo di riferimento nella quotidianità o con chi, più o meno coetaneo, più o meno prossimo, occasionalmente o saltuariamente si trova a condividere situazioni, con i loro vincoli e opportunità strutturali o che si presentano in maniera contingente. E’ utile qualche richiamo alle riflessioni che sulla condizione adolescenziale sono proposte da molti esperti. In primo luogo, ci dicono che parlare di ragazzi e di adolescenti significa parlare di individui componenti un insieme, un universo connotato da alcuni elementi che li accomunano, espressione del nostro tempo e delle condizioni materiali, sociali e culturali che vi sono dominanti e coinvolgono tutti, anche gli adulti. Gli appartenenti alle attuali giovani generazioni possono e debbono essere considerati, in questo senso, individui che condividono con tutti i loro coetanei alcuni valori, bisogni, problemi, prospettive. Sarebbe tuttavia un errore dimenticare che si tratta di un insieme articolato e differenziato secondo molte e diverse distinzioni. Le principali sono quelle dettate dalle fasi di 15 sviluppo che si attraversano con il crescere dell’età e le specificità correlate al genere sia sotto il profilo dei diversi tempi di sviluppo dei maschi e delle femmine, sia sotto il profilo delle attribuzioni culturali che ancora ne segnano le esistenze. Al fianco di queste, sono poi indubbie le differenze che discendono, in particolare in Italia, dalle aree geografiche in cui si cresce e si vive e, all’interno di esse, i contesti socioeconomici delle famiglie di appartenenza che in genere definiscono i percorsi scolastici, frequentazioni, le possibilità di futuro per i figli. Infine contano in maniera molto rilevante le specificità che sono correlate all’essere ragazzi italiani oppure di origine straniera. E, per questi ultimi, le differenze delle condizioni e dei vissuti sotto molteplici profili. Tra di essi le origini, ossia da quali paesi e culture provengono e quale aspetto fisico e quale colore della pelle presentano, dato il razzismo, anche istituzionale, l’ essere presenti dalla nascita o per arrivo in differenti età. E attraverso quale specifico percorso migratorio. Tutti elementi importanti perché definiscono diversi gradi di accesso ai diritti di cittadinanza e alle possibilità concrete di integrazione e di realizzazione delle proprie aspirazioni e che influenzano in maniera sostanziale in che modo si è adolescenti e poi giovani adulti. Seppure ogni epoca presenti proprie connotazioni peculiari, per comprendere il nesso tra adolescenza e devianza sono utili due semplici considerazioni. ➔ La prima è che la crescita si compie nell’oscillare tra l’individualizzazione, per distinguersi da altri, con quelli con cui il bambino viveva in simbiosi (genitori, parenti, insegnanti)e l’identificazione con altri, soprattutto i pari o chi appare e viene percepito come meritevole di ammirazione e imitazione. ➔ La seconda è che sempre e per tutte/i, nella fase del passaggio all’età adulta, una qualche trasgressione alle norme sociali (a volte anche giuridiche), accettate fin a quel momento come naturali, è esperienza diffusa, potremmo dire tratto normale dello sviluppo. Le forme assunte dalle devianze più radicali si esprimono in due aree. 1. La prima è quella dei comportamenti di violazione di norme di violenza e aggressività che si esprimono negli spazi pubblici o nelle relazioni interpersonali, anche qui da soli o insieme ad altri (es bullismo). 2. La seconda è rappresentata dalle forme di trasgressione radicali più ripiegate, sulla dimensione dei consumi di beni e di sensazioni - droghe, alcol, oggetti simbolicamente connotati - o sulla propria sofferenza e i propri disagi di cui sono manifestazione l’isolamento dal mondo (il fenomeno degli hikikomori), l’anoressia, i tagli sul corpo, i tentativi di suicidio. Comportamenti e atteggiamenti che appaiono anche mezzi per manifestare il bisogno di attenzione e di riconoscimento ad adulti in genere troppo presi dai propri problemi e dalle proprie difficoltà per offrire ascolto ad adolescenti scostanti e insofferenti. Spesso le due forme di espressione del disagio esistenziale e relazionale si intrecciano o si avvicendano . L’uso di droghe accompagna la vita di molti che esprimono violenza nei confronti degli altri; il ritiro dal mondo può essere conseguenza di un fallimento negli sforzi di aggregazione e di competizione aggressiva. Se per le giovani generazioni il futuro non è più una promessa, ma spesso solo una minaccia o quantomeno una grande incognita, ne consegue l’inevitabile concentrarsi sul presente. Nel vivere il presente, assoluta centralità riveste l’utilizzo costante e a volte totalmente assorbente della rete e dei social, il tratto più specifico delle giovani generazioni di oggi. Attraverso di essi è possibile quel perenne scambio di immagini di sé che sembra essere ragione di vita di molti ragazzi (ma spesso anche quella degli adulti). Immagini che devono corrispondere ai canoni del momento che premiano l’essere giovani, belli, alla moda. Un elemento di enorme rilevanza nella definizione di esistenze diversamente senza senso e senza altre opportunità di apprezzamento, che spiega i vissuti di crisi e disperazione - a volti portati al suicidio - di chi non vede la proria immagine riconosciuta oppure la vede manipolata da altri e usata come mezzo di offesa e ricatto. La banda come risposta ai bisogni profondi Un gruppo (es una banda) può rappresentare una risorsa psicologica e relazionale che risponde ai bisogni normali di qualsiasi adolescente. Che anzi ne previene ripiegamenti autodistruttivi. Centri di ricerca e organizzazioni che operano sul campo hanno individuato alcuni fattori di rischio che, associati ad alcune caratteristiche di personalità, rendono più probabile l’adesione al tipo di gruppo che definiamo banda: difficoltà familiari e scolastiche, carenze relazionali e di opportunità, associate agli stimoli presenti nel contesto di vita, in primis la frequentazione di altri che vivono condizioni simili e già mettono in atto comportamenti devianti. L’adesione a una banda è motivata dal fatto che essa risponde a un insieme complesso di bisogni psicologici, relazionali e sociali, ovvero il bisogno: - di identità > sentirsi dotato di una identità che distingue dagli altri, in modo da porte essere percepito per ciò che la banda è conosciuta, adottando ad es i simboli esteriori; - di rimedio a una solitudine diffusa, profonda, data l’inconsistenza dei rapporti con gli adulti e la comunità, attraverso legami che si esprimono, almeno in parte, in affetto, condivisione di emozioni, solidarietà nel momento del bisogno; - di attaccamento e appartenenza a un insieme di simili a te che ti accettano per come sei, implicitamente riconoscono la tua storia e la tua condizione, non vogliono cambiarti avendoti giudicato negativamente; - di sperimentazione di sé nei rapporti con gli altri: la fedeltà e la lealtà reciproca, la sicurezza di poter 16 contare gli uni per gli altri la possibilità di dimostrare, nei conflitti agiti attraverso la violenza, abilità, forza, coraggio ecc; - di occasione per vivere esperienze forti sotto il profilo delle sensazioni che procurano, in cui è alta la componente del rischio come sfida ai limiti imposti dall’ambiente e come fonte di piacere per l’adrenalina che scatena; - di possibilità di adattamento alla normalità garantita dall’adesione a modelli diffusi di consumi e stili di vita, proposti a tutti come meritevoli di essere adottati ed esibiti; - di ribaltamento combattivo dello stigma sociale di cui ci si appropria e che si esibisce con fierezza, adottando e rendendo progressivamente più estremi proprio quegli atteggiamenti per cui si è definiti negativamente sulla scena pubblica; - di acquisizione di una posizione ia all’interno del gruppo, sia nel contesto che vi sta intorno, che merita rispetto e che va difesa ogni volta che è minacciata la reputazione su cui si fonda e offeso l’onore che ne è corollario; - di “lavoro” in diverse attività illegali per l’acquisizione di risorse economiche non ottenibili per l’acquisizione il più delle volte subordinato e dipendente dalla valutazione di chi gestisce traffici e controlla il territorio, ma che può far intravedere prospettive di “carriera” attraverso esperienze di imprenditorialità autonoma nella commissione di reati e nella gestione di traffici (in primis delle droghe). La banda (o il gruppo di strada) rappresenta un’importante opportunità, a volte l’unica, in assenza di altre possibilità di realizzazione e di futuro. Per questo può essere investita di molte aspettative che possono in tutto o in parte essere deluse nel corso della sperimentazione che i singoli fanno di quel tipo di aggregazione, cosa che determina le frequenti uscite dai gruppi e l’abbandono degli stili di vita condivisi per un certo periodo. Anche l’aggressività e la violenza, componente essenziale nella vita delle bande, risponde a bisogni profondi.Le funzioni che l’aggressività e la violenza assolvono per il suo posizionamento nel contesto sono: 1. rafforzamento della coesione interna al gruppo; 2. affermazione visibile della sua presenza e del potere che sa esercitare; 3. classificazione degli altri, degli esterni al gruppo, a seconda di come sanno reagire alle provocazioni e agli assaggi di scontro; 4. rivalsa sociale nei confronti di chi appartiene ai gruppi dominanti, di chi è dotato di tutto ciò che si desidera e che è ritenuto responsabile dell’esecuzione dalle opportunità (ad es di lavoro); 5. umiliazione, con qualche eco di ideologia ribellistica, nei gruppi di immigrati di seconda e terza generazione, di chi incarna nel presente la dominazione coloniale dei bianchi sofferta dai propri genitori o nonni. Non solo maschi In tutte le analisi sul fenomeno delle gang o bande non mancano mai i riferimenti alla connotazione prevalente delle stesse in termini di maschilità. Con una sorta di naturalismo che in tempi più recenti è stato sottoposto a forti critiche sulla base del riconoscimento delle determinanti culturali che le hanno costruite. Il naturalismo investe in primo luogo la maschilità quando pone come attributi intrinsecamente connessi al genere maschile quelli che caratterizzano la delinquenza, in generale, e i caratteri delle gang o bande, in modo specifico. La maschilità dominante e il legami omosociali, trovano la loro manifestazione più evidente nella vita e nei comportamenti delle bande giovanili di strada, nel disprezzo e nell’odio per quanto li mette in discussione: l’omosessualità. L’offesa più atroce che si può rivolgere a un membro di una banda, così come l’esclusione più radicale che può colpire qualcuno che vi appartenga o aspiri a farne parte, sono legate al sospetto o all’aperta accusa di essere gay. Così come appaiono normali le violenze verso chi è ritenuto, o, peggio ostenta la propria condizione di gay nello spazio pubblico frequentato dal gruppo. Quasi che la sua sola presenza contamini il territorio rivendicato come proprietà, da preservare e omologare alle proprie regole. Lo stesso naturalismo ispira la visione delle ragazze e delle donne presenti sulla scena, che appaiono come gregarie, subordinate, a servizio e in adorazione dei maschi. Ancora oggi, nei contesti in cui le posizioni che hanno messo in discussione il ruolo tradizionale della donna sono del tutto minoritarie o assenti, forte è la persistenza di posizioni e modelli relazionali che trovano naturale quella collocazione. Tuttavia, anche in questi contesti qualcosa è cambiato o sta cambiando, come esito ed effetto dei profondi mutamenti che hanno investito le connotazioni fino a poco tempo fa considerate naturalmente correlate all'uno o all’altro genere e ai rapporti tra di essi. L’autonomizzazione e l’esercizio della leadership da parte di ragazze e giovani donne ha investito anche i contesti in cui più frequenti compaiono le esperienze di aggregazione in bande. Ciò è avvenuto persino all’interno delle organizzazioni criminali più strutturate. Nel caso delle gang l’immagine più diffusa delle ragazze aggregate è quella di giovani donne che il più delle volte sono tenute fuori dagli affari: sanno e non sanno quanto i maschi fanno, pur nella piena consapevolezza che non si tratti di affari leciti o di comportamenti esenti da rischi. A volte possono contribuire alle attività del gruppo con compiti specifici: informatrici, sentinelle, esche per attirare chi possa essere preso di mira e rapinato, portatrici di comunicazioni, corrieri per traffici vari. Tuttavia, in tempi recenti, come 17 parte i giovani in quanto tali) si concentra l’attenzione anche attraverso meccanismi di controllo mirato, svolto in maniera diffusa in particolare nei contesti di aggregazione e nei quartieri considerati problematici o sensibili. Questi interventi hanno come corollario la ridefinizione della funzione del carcere, che mantiene solo retoricamente la finalità rieducativa, mentre nella realtà è sempre più orientato alla neutralizzazione e all’incapacitazione dei detenuti. La scelta della sola repressione ha spesso effetti di rinforzo delle traiettorie criminali individuali e degli stessi fenomeni che si pretendono contrastare. Per diversi motivi: le relazioni forti nei contesti segnati da presenze di gruppi e bande di strada; l’attrazione che le figure oppositive e perseguite dalla giustizia esercitano su altri; le più generali dinamiche sociali che si manifestano - sui territori - con la crescita della conflittualità nei confronti delle istituzioni e dei loro rappresentati (in primis la polizia). Le politiche oggi prevalenti danno l’impressione di incapacità o di non volontà di affrontare i nodi di fondo e le contraddizioni sociali da cui traggono alimento le presenze di quelle aggregazioni di giovani così problematiche. In particolare di rispondere in modo adeguato a domande di senso e di futuro, considerando che parliamo di ragazzi e giovani adulti, e di garantire loro diritti e opportunità di realizzazione. Questo porta a concentrarsi sul presente, sulle paure che il fenomeno suscita nelle persone integrate, con azioni di contenimento che diano alla popolazione l’impressione di ristabilire l’ordine e di risolvere il problema. In questo scenario resistono e cercano di svilupparsi programmi e servizi impegnati nella prevenzione dalle forme di aggregazione problematiche nel dialogo e nella ricerca di soluzione ai conflitti nella comunità di sostegno a chi vuole trovare opportunità di realizzazione diverse da quelle della strada e della devianza e nuovi equilibri personali. Programmi e servizi che faticosamente cercano e realizzano alternative alle risposte penali. L'ossessione: identificare, punire, escludere Ogni paese si confronta con le differenti caratteristiche, la diversa rilevanza, la maggiore o minore gravità di comportamenti e delle azioni di gang, bande, gruppi di strada presenti nel proprio contesto. E ogni paese ha tradizioni e sistemi penali che presentano peculiarità sotto il profilo dei codici penali sostanziali e di quelli procedurali e sotto quello delle politiche sociali ed educative. Risulta così difficile tracciare un quadro analitico di come si sia affrontato il fenomeno delle gang o delle bande nei vari contesti nazionali. Si possono tuttavia evidenziare alcuni approcci e orientamenti. Sul piano delle politiche penali, la prima grande distinzione da farsi è quella tra i paesi che hanno definito leggi, procedure o dispositivi speciali per contrastare in modo specifico il fenomeno delle gang e paesi che hanno continuato a trattare i reati compiuti in gruppo come reati ascrivibili sempre a singoli, in base al principio della responsabilità individuale, semmai aggravati dalla partecipazione al compimento dello stesso di più persone. Con una strada intermedia costituita dal punire l’associazione tra più persone che compartecipano in modo continuativo nel tempo alla progettazione, definizione e compimento di reati, così costituendo un gruppo organizzato. Esempi di paesi che puniscono le gang in quanto tali si possono trovare soprattutto oltreoceano, laddove esse hanno i contorni di organizzazioni criminali fortemente strutturate, ampiamente ramificate e con interessi enormi nelle economie illegali. (Canada, Stati Uniti). Ad es in California far parte di una street gang o anche solo assistere a quanto essa fa è punito come reato (1 anno di carcerazione); compiere un reato in banda comporta un aggravamento molto rilevante della pena. A differenza della Francia, che fornisce una definizione di banda, ovvero l’esistenza di una struttura permanente, di una gerarchia e la premeditazione nella definizione, preparazione e nel compimento di una lista di reati espressamente indicati (sono reati), per l’Italia non è così. In Italia non troviamo nessuna definizione giuridica del termine banda. Vi è solo l’art.416 CP che prevede il reato di associazione per delinquere. Mentre è consolidata la configurazione del reato associativo per le vere e proprie organizzazioni criminali, più controverso è il suo riconoscimento in caso piu o meno strutturati - soprattutto giovanili - che commettono reati. Questo perché tale imputazione richiede che si dimostri di essere in presenza di un’aggregazione di persone caratterizzata da una continuità e sistematicità di propositi criminali, una struttura che definisca ruoli e compiti e la disponibilità nel tempo di mezzi atti alla commissione di reati. Si può constatare che le decisioni politiche operate per il contrasto al fenomeno mediante controlli e maggiore repressione non di rado si sono limitate a enunciazioni e proclami che hanno ottenuto effetti solamente sul piano del consenso per il decisore, essendo le misure previste poco applicabili e presto abbandonate una volta passata la più o meno momentanea emergenza. Altre volte all’effettività dell’implementazione di nuovi dispositivi normativi o del rafforzamento di quelli esistenti non ha corrisposto un risultato apprezzabile in termini di efficacia. Ovvero di attenuazione, se non soluzione, dei problemi che l’impianto legislativo e la sua messa in opera pretendeva affrontare. In Europa, nei contesti più contrassegnati dalla presenza di gruppi giovanili di strada, le risposte stigmatizzanti, che partono dalle pratiche di identificazione su basi dell’aspetto o della razza e dal trattamento rude e offensivo cui spesso sono sottoposti i ragazzi e i giovani segnati dall’etichetta di essere membri di bande, hanno effetti di 20 rinforzo, nella misura in cui essi si sentono vittime di trattamenti ingiusti e discriminatori, quando non apertamente violenti. L’effetto perverso può essere quello di accrescere le pratiche devianti e la messa in atto di reazioni di ribellione che assumono i tratti della rivolta e delle vendette nei confronti delle istituzioni e dei loro rappresentanti, in una spirale di violenze difficili da arrestare e che a loro volta rinforzano la segregazione, dimostrando come interventi, che vogliono essere risolutivi, risolutivi non sono. Nonostante questi esiti, le politiche perseverano in genere sull’unico tasto che per il senso comune dovrebbero funzionare, quello della repressione. I cui effetti paradossali sono ancora più evidenti se poi aggiungiamo una considerazione sul ruolo che, nel rafforzamento delle identità devianti e dei legami con gruppi specifici, svolge l’ambiente carcerario in cui si vengono a trovare tanti, una vera e propria scuola per giovani neofiti incarcerati. Oltre a formare le nuove leve che vi incorrono, il carcere contribuisce anche a rafforzare la reputazione dei leader che possono esibire le esperienze di carcerazione come forma di resistenza. Potendo mostrare agli altri che la stessa esperienza del carcere non ha avuto effetti di deterrenza e men che meno di rieducazione, ma anzi ha fatto uscire dalle sue mura un individuo più determinato di prima a perseguire i propri obiettivi insieme ai compagni di cui è leader. Non solo repressione Nel mondo non mancano riflessioni e pratiche su altre possibili strategie e altri tipi di interventi che possano affrontare seriamente ed efficacemente il problema, soprattutto in chiave preventiva. Le principali strategie si sviluppano su due piani: quello dell’attivazione di servizi specializzati e quello del coinvolgimento delle comunità locali e delle loro associazioni etniche, religiose, culturali ecc. Attivare servizi specializzati significa sviluppare il lavoro di strada di contatto con le persone coinvolte per creare relazioni che consentano di attivare verso progetti di diversa occupazione del tempo soprattutto i più giovani affascinati dalle bande o in fase di inserimento di esse. In secondo luogo consente di offrire a quanti vi siano più seriamente coinvolti opportunità di cambiamento e di costruzione di alternative di vita. Cosa possibile se gli operatori di strada lavorano alla definizione di programmi individuali di reinserimento dei membri delle bande che intendano lasciarle, con l’obiettivo di rinforzare e mantenere nel tempo quelli che sono definiti i fattori favorevoli alla disaffiliazione. Questi fattori sono diversi e complicati e dunque possono essere raggiunti solo se operatori in contatto con i giovani integrano il loro lavoro con quello dei servizi sociali, dei servizi di sostegno psicologico, delle agenzie di orientamento professionale e lavorativo. Il coinvolgimento delle comunità è concepito e praticato con due diversi tipi di programmi: ➔ da un lato la mobilitazione per la denuncia e la difesa delle aggressioni e dai reati compiuti sul territorio e per il sostegno alle vittime; ➔ dall’altro la sollecitazione a farne attori di iniziative e progetti volti al miglioramento delle condizioni dello stesso contesto sociale e di attenzione ai giovani che vi crescono. Cosa possibile solo se le comunità sono innanzitutto seriamente ascoltate sulle preoccupazioni e le paure che la presenza di bande suscitano e sono messe in condizione di comprendere i contorni reali del problema e i fattori che le generano. A questo sforzo si sensibilizzazione delle comunità possono contribuire in modo importante i media impegnandosi a veicolare un’immagine corretta delle bande e dei gruppi di strada giovanili, con le dovute distinzioni e con modalità di costruzione delle inchieste e di presentazione dei protagonisti in grado di evitare quegli effetti di rinforzo. Queste strategie si fondano su una maggiore e puntuale conoscenza del fenomeno, con ricerche appropriate in ogni specifico contesto; un costante scambio di informazioni tra tutti gli attori presenti sul territorio (polizie, magistrature, servizi sociali ed educativi, associazioni giovanili); un’adeguata formazione degli stessi attori per entrare in relazione con chi è coinvolto e adottare comportamenti professionalmente corretti. In alcuni contesti si sono sviluppati programmi per far comprendere che, al di là delle apparenze, le bande sono conseguenza di carenze strutturali che concernono tutti e che occorre colmare, non limitandosi alla mera repressione. Cosa non facile da far recepire, ma unica utile premessa per un cambiamento delle condizioni che sono all’origine dei problemi sociali di cui tutti sono vittime. Ad es la storia della città di New York sembra indicare che molto più della tanto pubblicizzata “tolleranza zero”, della severità delle forze dell’ordine, dell’incarcerazione di massa delle minoranze considerate pericolose, i tassi di criminalità e dei crimini commessi dalle gang sono diminuiti, soprattutto in conseguenza di cambiamenti di tipo economico e sociale. Ad es quando le parti più problematiche della città hanno subito processi di risanamento e di riqualificazione, quando si è valorizzato il ruolo delle istituzioni educative e rivitalizzato il tessuto associativo nei quartieri, quando soprattutto si sono determinate le condizioni di riduzione della disoccupazione giovanile. Incontrare, dialogare e costruire alternative Il programma Strade sicure, seppure non specificatamente mirato alle bande di strada, ha voluto segnare una presenza e un’attenzione accentuata dello Stato proprio in certi contesti in cui si manifesta anche quel fenomeno. A garantire un clima di maggiore sicurezza si è poi favorita la discesa in campo dei sindaci, cui lo Stato ha delegato parte dei compiti di garanzia della sicurezza dei cittadini attraverso il potere di ordinanza. La legge 21 n.48 del 2017 ha infatti ampliato l’ambito di intervento del sindaco a misure volte a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche con interventi in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Il potere di adottare ordinanze urgenti, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, è anche rivolto a prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, lìillecita occupazione di spazi pubblici, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti. L’esperienza di questi anni mostra che tali interventi si sono concentrati su alcuni fenomeni che attengono principalmente al decoro e alla percezione di disordine che la presenza di alcune categorie di persone suscita nei cittadini “perbene”. Questo attraverso la definizione di regole e divieti che prendono di mira i giovani che si incontrano in spazi pubblici proibendo determinate forme di assembramento o il consumo di alcolici. Se confrontiamo il nostro paese con altri anche vicini, possiamo parlare di una sorte di eccezione virtuosa dell’impostazione prevalente delle politiche. Se guardiamo alle politiche minorili, in Italia, diversamente che altrove, permane un tratto distintivo: la ricerca, per i minorenni autori di reato, di soluzioni diverse dalla sola sanzione penale, il ricorso al carcere, e l’utilizzo della messa alla prova. Con l'impegno di valutazione della personalità del minore e del suo contesto relazionale e sociale ai fini di una personalizzazione della risposta penale. I dati consentono di parlare di un bilancio certamente positivo e di risultati sul lungo periodo incoraggianti. Certo non mancano suggerimenti nella direzione di quella che è stata denominata “prevenzione situazionale”, ovvero di misure che rendano più difficile la commissione dei crimini intervenendo ad es sull’arredo urbano per ostacolare alcune scorribande e certi reati predatori, così come gli auspici di una più diffusa presenza nelle strade delle agenzie di controllo. Al pari si definisce essenziale una maggiore collaborazione tra uffici giudiziari minorili e ordinari che trattano gli adulti che sono in relazione con i minorenni; arrivando fino al punto di auspicare nuove norme che sanzionino penalmente le omissioni educative dei genitori per richiamarli alle loro responsabilità. Prevenire è possibile Sul piano della prevenzione primaria (o universale), rivolta a tutti i ragazzi di un determinato territorio, i programmi vedono interventi di miglioramento delle loro condizioni di vita, il sostegno alle famiglie e alle istituzioni scolastiche perché svolgano al meglio i loro compiti educativi, una informazione e sensibilizzazione sui rischi di incorrere in comportamenti criminali e sulle loro conseguenze. La prevenzione secondaria (o selettiva) si concentra sui giovani considerati a rischio e prevede: lotta all’abbandono scolastico, proposte di attività nel tempo libero che incontrino i loro interessi, aggancio dei gruppi di strada e loro coinvolgimento in progetti e iniziative valorizzanti. Le iniziative di prevenzione terziaria (o indicata) si propongono di agganciare e offrire alternative a ragazzi e giovani soprattutto nelle fasi iniziali del loro coinvolgimento nelle bande o anche di rafforzare le motivazioni e le opportunità di abbandono delle stesse da parte di chi ne ha fatto esperienza: creazione di legami significativi, sostegno psicologico, offerta di alternative interessanti e utili sul piano delle prospettive di vita. Tutto questo può essere proposto anche come contenuti di progetti individualizzanti nel contesto della definizione di misure giudiziarie alternative alla carcerazione o nell’ambito di istituzioni educative (ad es comunità o centri di rieducazione). Azioni puntuali dotate di senso e potenzialmente efficaci paiono essere in molte esperienze: - la messa a disposizione dei ragazzi, in condizioni facilitanti, di possibilità di confronto e di sperimentazione di una relazione aperta con adulti solidi; - il parallelo sostegno offerto da parte di operatori qualificati, a genitori e insegnanti affrontando le loro incertezze, fragilità e contraddizioni, per sostenerli nei compiti educativi che si trovano a svolgere; - la valorizzazione di legami, risorse e opportunità, presenti nei territori ma spesso poco conosciuti, per favorire esperienze interessanti, capaci di far sperimentare agli adolescenti sensazioni positivamente radicali e di far scoprire loro il senso del vivere con rispetto di sé e degli altri e coltivando valori positivi. Certamente non è semplice proporre, a chi presenta i bisogni e i desideri che sono alla base del fascino e dell’attrattività delle bande, esperienze che li soddisfino e che offrano, almeno in parte, quanto in esse sembrano trovare: senso di appartenenza; possibilità di identificazione in un gruppo; riconoscimento e valorizzazione delle individualità; solidarietà e lealtà nei confronti degli altri; opportunità di sperimentare avventure; discorsi di senso del futuro. Insieme a un legame con il territorio percepito come ambiente conosciuto e identitario. Alcune esperienze provano a rappresentare tutto questo, come quella degli scout. Tutte le esperienze, se si vogliono efficaci, debbono necessariamente fondarsi sull’impegno di persone (operatori professionali\ volontari) che vivano almeno in parte nel contesto e lo conoscano a fondo, premessa indispensabile per dialogare e acquisire la fiducia dei ragazzi. Valorizzare le possibilità invece che sempre solo stigmatizzarne le 22
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