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Riassunto completo Geografia umana, Geografia fisica e Questione calabrese, Appunti di Geografia

Riassunto completo dei manuali "Geografia umana. Un approccio visuale" (di A. L. Greiner, G. Dematteis, C. Lanza), "Il globo terrestre e la sua evoluzione" (di E. Lupia Palmieri, M. Parotto) e "Mezzogiorno urbano e 'questione calabrese'" integrato con gli appunti presi durante le lezioni della prof.ssa Nicoletti per la preparazione dell'esame di Geografia umana.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 08/04/2024

federicarollo
federicarollo 🇮🇹

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Scarica Riassunto completo Geografia umana, Geografia fisica e Questione calabrese e più Appunti in PDF di Geografia solo su Docsity! GEOGRAFIA UMANA CHE COS’È LA GEOGRAFIA UMANA? INTRODUZIONE ALLA GEOGRAFIA UMANA Il termine geografia proviene da due parole greche: geo + graphia, che affiancate significano scrittura della Terra. Si suole distinguere tra: • Geografia fisica: studia gli ambienti e le componenti naturali e si rifà alle scienze naturali • Geografia umana: si occupa degli esseri umani sulla Terra e si rifà alle scienze umane e sociali. NATURA E CULTURA Se con il termine natura indichiamo tutto ciò che è estraneo alla creatività umana, il concetto di cultura è più difficile da definire. Possiamo indicare la cultura come una costruzione sociale fatta di pratiche e credenze condivise, che funziona come un sistema dinamico complesso, plasmato dalle persone e dalle collettività, che ne vengono a loro volta plasmate. Storicamente, le culture si presentano differenziate su base geografica (culture locali, nazionali e sovranazionali), ma nel corso dell’ultimo secolo si sono verificate delle ibridazioni orizzontali tra culture diverse, che hanno portato alla globalizzazione. Determinismo ambientale e possibilismo geografico A lungo si è pensato che natura e cultura fossero due elementi opposti e addirittura che la cultura permettesse all’uomo di dominare la natura, ma oggi questa netta contrapposizione è ormai superata. Dunque, sono stati elaborati diversi approcci interpretativi del rapporto uomo-ambiente: • Determinismo ambientale: fa derivare direttamente dall’ambiente le differenze fisiche e culturali degli esseri umani. È una teoria avanzata già dagli antichi Greci e poi diffusasi nuovamente tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo sotto l’influenza del geografo tedesco Friedrich Ratzel, salvo poi essere definitivamente abbandonata a causa di alcune critiche fondamentali: o La relazione causa-effetto alla base della teoria non è dimostrabile scientificamente o Fattori ambientali identici non necessariamente danno luogo a pratiche culturali o comportamenti umani simili o È un’ideologia travestita da teoria scientifica per giustificare il colonialismo • Possibilismo geografico: ritiene che ogni ambiente naturale offra una gamma di alternative più o meno vasta e che la società e le culture si modellino in modi diversi a seconda delle loro scelte, basate sulle conoscenze e sulle capacità tecniche di cui dispongono. È una teoria nata all’inizio del XX secolo ad opera del geografo francese Vidal de la Blache. La Terra modificata dall’azione umana Le teorie del possibilismo geografico hanno contribuito a diffondere la consapevolezza del ruolo dell’azione umana nei cambiamenti dell’ambiente, a partire dall’osservazione di come nel tempo tale azione ha modificato i paesaggi naturali, trasformandoli in paesaggi culturali. Tuttavia, troppo spesso nel corso degli ultimi secoli l’azione umana ha finito per modificare la natura a proprio piacimento, finendo talvolta per distruggerla. Possiamo dire che esiste un rapporto dualistico uomo-natura, che al tempo stesso la violenta e la idealizza, generando grandi rischi che possono essere superati solo attraverso una visione più realistica, che consideri gli umani intrinsecamente legati alla natura. PAESAGGI CULTURALI E REGIONI Il concetto di paesaggio geografico è stato introdotto dal geografo e naturalista tedesco Alexander von Humboldt all’inizio del XIX secolo, quasi come un espediente per indurre i suoi contemporanei ad osservare e a studiare i fenomeni geografici immaginandoli come una galleria di quadri. Chiaramente, questo tipo di approccio al paesaggio riconosce ad esso il duplice significato di percezioni soggettive e realtà oggettive, una concezione che si ritrova anche all’articolo 1 della Convenzione Europea del Paesaggio (2000). Le espressioni della cultura leggibili nel paesaggio, come le tipologie di costruzioni e le modalità di utilizzo del suolo, sono indizi riguardanti i valori delle popolazioni, la loro identità e più in generale le loro culture. In questo senso, il paesaggio fa parte del patrimonio di un territorio e va preservato. A tale scopo, in molti Paesi vengono elaborati dei piani paesaggistici, che stabiliscono regole dette invarianti strutturali. L’analisi regionale è in parte diversa dalla lettura del paesaggio e va oltre la semplice osservazione della superficie per indagare i fattori che determinano le diversità dei territori. Tipi di regioni Le regioni sono delle costruzioni mentali, ovvero una forma di classificazione dei luoghi per raggruppamenti contigui, che si basa su fatti esistenti e significativi. Una prima grande distinzione può essere fatta tra: • Regione formale: è un’area definita in base a una o più caratteristiche fisiche o culturali omogenee, cioè distribuite uniformemente nella regione e non in quella confinante: o Regioni storiche: presentano una certa omogeneità socio-culturale dovuta al fatto che in passato sono state a lungo unite politicamente (es. la Provenza in Francia) • Regione funzionale: è un’area i cui luoghi sono connessi tra loro da relazioni più intense di quelle che questi stessi luoghi intrattengono con l’esterno: o Ecoregioni: corrispondono a un ecosistema o Regioni funzionali urbane: sono formate da una grande città e dai centri minori che gravitano attorno ad essa per lavoro e per servizi o Distretti economici: caratterizzati da forti relazioni economiche che legano le imprese presenti al loro interno o Regioni istituzionali o politiche: sono gli Stati e le unità politico-amministrative in cui si divide il territorio. PENSARE COME UN GEOGRAFO Pensare come un geografo significa connettere tra loro i fatti che si osservano sulla superficie terrestre e sviluppare una prospettiva d’analisi che includa alcuni concetti fondamentali: luogo, spazio, diffusione spaziale, interazione spaziale, territorio e scala. LUOGO In geografia, con il termine luogo si fa riferimento ad una località contraddistinta da specifiche caratteristiche fisiche, culturali e sociali. Ciascun luogo può essere identificato tramite: • La sua ubicazione assoluta (o posizione geometrica) misurata per mezzo della sua latitudine, longitudine e altitudine • La sua posizione con riferimento agli elementi dell’ambiente circostante. Si parla in tal senso di sito, in riferimento alle caratteristiche fisiche di un luogo, e di posizione geografica, in riferimento alla posizione che un luogo occupa in un contesto regionale più ampio con riferimento alla rete delle comunicazioni e alle relazioni del luogo con tale contesto. A seconda della porzione di superficie terrestre che si vuole rappresentare, esistono diverse carte: • Mappamondi (o planisferi): rappresentano il mondo intero • Carte geografiche: rappresentano un continente, un Paese o una vasta regione • Carte topografiche: rappresentano molto dettagliatamente una porzione di territorio limitata • Mappa: è il tipo di carta più dettagliata e si definisce pianta quando rappresenta una città. Le carte generali si distinguono in: • Fisiche: rappresentano i tratti naturali fondamentali (mari, monti, fiumi, laghi etc.) • Politiche: oltre a pochi tratti fisici, riportano i confini degli Stati, le vie di comunicazione, le città e tutto ciò che è opera dell’uomo • Tematiche: rappresentano singoli fenomeni e le loro variazioni spaziali • Cartogrammi: rappresentano dati numerici opportunamente elaborati riportandoli su carta mediante colori diversi o figure geometriche proporzionali a quelle del fenomeno. IL TELERILEVAMENTO Il telerilevamento viene usato dai geografi attraverso strumenti capaci di rilevare alcuni fenomeni relativi alla superficie terrestre e di raccogliere informazioni su di essi, attraverso sensori ed altri strumenti posti lontano dal soggetto studiato. Affidandosi a sensori montati sui satelliti, la distanza tra il soggetto studiato e i sensori che lo rilevano può essere anche di diverse migliaia di chilometri. Le prime applicazioni del telerilevamento hanno riguardato soprattutto la meteorologia, ma oggi interessano anche fenomeni diversi. IL GPS: GLOBAL POSITIONING SYSTEM Un sistema GPS utilizza una costellazione di satelliti artificiali e i segnali radio da essi trasmessi per determinare la posizione assoluta di persone, luoghi o elementi della superficie terrestre. Il GPS ha semplificato molto il processo di acquisizione di dati relativi alla Terra. Le informazioni relative alla localizzazione possono essere raccolte ed inviate a dei computer per creare o modificare delle mappe, per stabilire i confini legali delle proprietà, per tracciare e censire le diverse specie di piante e animali o per monitorare le condizioni delle coltivazioni. IL GIS: GEOGRAPHIC INFORMATION SYSTEM I GIS nascono dalla necessità di migliorare la funzionalità delle carte e delle analisi spaziali di dati georeferenziati, cioè dati a cui è attribuita una precisa localizzazione sulla superficie terrestre. La georeferenziazione dei dati può avvenire in modo: • Diretto: fa riferimento alla latitudine e alla longitudine • Indiretto: deriva le coordinate geografiche da altre informazioni di tipo spaziale, come un indirizzo, un codice postale, un distretto scolastico etc. Il GIS è costituito da una combinazione di hardware e software, che permette di sovrapporre in più layers i dati georeferenziati ottenuti da diverse fonti, tra cui le carte geografiche, le immagini satellitari, le fotografie aeree o gli strumenti GPS. Benché il GIS abbia grandi potenzialità nel facilitare la risoluzione dei problemi, nel costruire modelli relativi alle condizioni sociali e ambientali e nel contribuire alle decisioni nel campo della pianificazione, esso ha anche degli importanti punti deboli. Innanzitutto, i sistemi GIS non sono accessibili a tutti e ciò rafforza le divisioni di potere all’interno della società. peraltro, la visione del mondo proposta dal GIS risulta il più delle volte parziale, acritica e fortemente centrata sull’Occidente. AMBIENTE, SOCIETÀ E TERRITORIO GLI ECOSISTEMI Con il termine ambiente si fa riferimento a ciò che circonda un soggetto, cioè a tutti quei fattori biotici (viventi) e abiotici (non viventi) con i quali persone, animali e altri organismi coesistono e interagiscono. Le interazioni tra le diverse componenti dell’ambiente definiscono un ecosistema, la cui complessità deriva dalla sua biodiversità, cioè dalla varietà delle specie in esso contenute. Tutti gli ecosistemi sono interconnessi e la totalità delle loro relazioni costituisce la biosfera. Per mettere in evidenza i complessi rapporti che intercorrono tra l’ambiente naturale e le società umane è stato introdotto il concetto di capitale naturale, che comprende i beni offerti dalla natura ed è composto da quattro elementi fondamentali: le risorse rinnovabili, le risorse non rinnovabili, la biodiversità terrestre e i “servizi” resi dagli ecosistemi. IL DEGRADO AMBIENTALE Il degrado ambientale può essere di tipo naturale (es. il drenaggio di minerali nel suolo causato dalla pioggia) o di tipo antropogenico, cioè causato dall’uomo. Il degrado ambientale dovuto alle attività umane si verifica quando sussistono una o più delle seguenti condizioni: 1. Una risorsa viene sfruttata a ritmi più rapidi di quelli della sua rigenerazione 2. Le attività umane danneggiano la produttività o la biodiversità di un luogo 3. Le concentrazioni di sostanze inquinanti superano il massimo livello consentito dalla legge. Inoltre, il degrado ambientale dovuto alle attività umane può essere: • Diretto (es. l’estrazione del petrolio potrebbe rilasciare sostanze tossiche) • Indiretto (es. le politiche governative che promuovono la costruzione di strade in zone montuose o collinari senza considerare che ciò può causare instabilità dei versanti). LE RISORSE ENERGETICHE NON RINNOVABILI Le risorse energetiche non rinnovabili sono così definite dal momento che si esauriscono quando vengono meno le condizioni per la loro rigenerazione. Costituiscono oltre l’80% dell’energia consumata in tutto il mondo e sono la principale energia commerciale, dal momento che vengono acquistate dai consumatori spesso in luoghi molto lontani da quelli della produzione. Ne fanno parte i combustibili fossili e l’uranio. I COMBUSTIBILI FOSSILI I combustibili fossili derivano dai residui sepolti di piante e animali, vissuti migliaia di anni fa, che il calore e la pressione hanno gradualmente trasformato in: • Petrolio: altamente versatile, può essere bruciato come carburante per il riscaldamento di edifici o per generare elettricità, può essere raffinato e trasformato in benzina, cherosene o gasolio, oppure può essere usato per la costruzione di materie plastiche, cosmetici e farmaci. Nonostante gli avanzamenti in campo tecnologico, è impossibile calcolare con certezza le riserve di petrolio disponibili, ma si può effettuare una stima di quanto dureranno ancora le riserve attuali attraverso il rapporto riserve/produzione (o rapporto R/P). L’ecologista Hubbert ha descritto il processo di produzione del petrolio come una curva a campana, in base alla quale la produzione si alza fino a raggiungere un picco (il cosiddetto picco di produzione), salvo poi declinare rapidamente a causa dell’aumento dei costi dell’estrazione. Benché ancora non sia chiaro quando si raggiungerà il picco di produzione, la teoria di Hubbert ha posto per la prima volta il problema della transizione energetica. Attualmente, il maggiore produttore di petrolio a livello mondiale è l’Arabia Saudita, ma più in generale giocano un ruolo fondamentale tutti i Paesi dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio), mentre i maggiori consumatori sono gli Stati Uniti, seguiti da Cina, India e Giappone • Carbone: è il combustibile fossile più abbondante e più diffuso nel mondo, con riserve concentrate negli Stati Uniti, in Russia e in Cina e usufruibili ancora per circa 133 anni. A differenza del petrolio e del gas naturale, ha una storia più antica, tanto da essere stata la prima fonte di energia usata durante la Rivoluzione industriale nel Settecento. Tuttavia, presenta una serie di gravi problemi ambientali e sociali: o Problemi nell’estrazione: l’estrazione del carbone avviene nelle cosiddette “miniere a cielo aperto”, dove i minatori liberano la superficie dalla vegetazione, rimuovono la roccia con potenti esplosivi ed estraggono i minerali dai giacimenti sottostanti mediante escavatori. Anche se in molti Paesi esistono leggi per un ripristino del territorio, spesso per motivi di costi queste regole vengono ignorate o applicate solo parzialmente o Problemi nell’utilizzo: il carbone brucia in maniera meno pulita rispetto ad altri combustibili fossili, contribuendo all’inquinamento atmosferico. Tra i principali prodotti della combustione del carbone vi sono l’anidride solforosa e l’ossido di azoto, che, venendo a contatto con l’acqua e l’ossigeno nell’atmosfera, formano sostanze acide che cadono sulla Terra con la pioggia e la neve (piogge acide) • Gas naturale. L’URANIO E L’ENERGIA NUCLEARE L’uranio è un elemento naturalmente radioattivo che si trova in alcuni minerali. Non è un combustibile fossile, ma si tratta comunque di una risorsa non rinnovabile e costituisce la principale fonte per la produzione di energia nucleare ed armi atomiche, con riserve usufruibili ancora per circa un secolo. Se da un lato l’energia nucleare presenta alcuni vantaggi, come il basso livello di emissioni di anidride carbonica o l’estrazione più semplice, d’altra parte si tratta di una forma d’energia dai costi elevatissimi e soggetta a rischi catastrofici (es. Chernobyl). LE RISORSE ENERGETICHE RINNOVABILI Se le risorse energetiche non rinnovabili sono la principale energia commerciale, esiste poi anche un’energia non commerciale, che risponde al fabbisogno quotidiano di milioni di persone che abitano le aree rurali dei Paesi in via di sviluppo e che non hanno accesso all’energia commerciale. Le energie rinnovabili sono la principale energia non commerciale e comprendono: • Energia da biomassa: la biomassa è l’insieme del materiale organico non fossile di un ecosistema, come il legno, i residui delle colture, il letame bovino o gli scarti vegetali. L’energia da biomassa può essere ottenuta in maniera diretta, bruciando il materiale per il riscaldamento, o in maniera indiretta, convertendo la biomassa in gas (biogas) o in combustibile liquido (biocarburante). È il principale tipo di risorsa rinnovabile usato nel mondo, anche se un suo eccessivo utilizzo potrebbe causare la dipendenza dalla legna e lo sfruttamento intensivo delle foreste • Energia idroelettrica: è sfruttata a livello globale per meno di un terzo del suo potenziale, concentrato prevalentemente in aree come la Cina, la Russia e l’America meridionale. Il mancato sfruttamento dell’energia idroelettrica deriva dal fatto che la Commissione Mondiale sulle Dighe ha accertato che le grandi dighe interrompono il corso dei fiumi e alterano l’ecosistema dei fondali. Per questo motivo, oggi si preferisce utilizzare piccole strutture idroelettriche piuttosto che grandi impianti LA COMPOSIZIONE DELLA POPOLAZIONE E I SUOI CAMBIAMENTI Ogni popolazione è caratterizzata da una specifica composizione, data dalle caratteristiche dei gruppi da cui è formata. L’analisi della composizione di una popolazione fornisce strumenti utili per prevedere in che modo essa potrà variare nel futuro. Uno degli strumenti più diffusi per rappresentare la composizione di una popolazione è la piramide delle età. LA PIRAMIDE DELLE ETÀ La piramide delle età è un istogramma che rappresenta la composizione di una popolazione divisa per classi di età e per genere. L’asse verticale di una piramide delle età raffigura le classi d’età (o coorti) della popolazione rappresentata, mentre l’asse orizzontale indica la percentuale con la quale ciascuna classe d’età contribuisce al totale della popolazione. La piramide suddivide la componente maschile e quella femminile, collocando solitamente la prima sulla sinistra e la seconda sulla destra. Se ne possono individuare tre principali categorie: popolazioni a forte crescita, popolazioni a crescita lenta e popolazioni in declino. I demografi osservano con particolare attenzione la popolazione di età inferiore ai 15 anni o superiore ai 65, composta da persone che vengono definite dipendenti, in quanto la maggior parte di esse, non essendo in età lavorativa, non è in grado di procurarsi i mezzi di sussistenza. In tal senso, si definisce indice di dipendenza il rapporto percentuale tra la popolazione in età non attiva e la popolazione in età attiva (tra i 15 e i 65 anni). IL TASSO DI CRESCITA NATURALE Spesso i demografi si servono dei tassi di crescita naturale per calcolare il tempo di raddoppio della popolazione, ovvero il numero di anni necessario affinché questa duplichi le proprie dimensioni. Il tasso di crescita naturale è la percentuale annua di crescita di una popolazione e si ottiene sottraendo il tasso di mortalità al tasso di natalità e convertendo il risultato in percentuale. Il tasso di crescita naturale può essere pari a zero, quando natalità e mortalità hanno tassi uguali, o anche negativo, quando la mortalità e superiore alla natalità. IL MODELLO DELLA TRANSIZIONE DEMOGRAFICA Sulla base di numerosi studi sulle dinamiche demografiche in Europa è stato ideato il modello della transizione demografica, che mette in relazione i cambiamenti nel tasso di crescita naturale della popolazione con i cambiamenti sociali. Sono state individuate cinque fasi: • Prima del 1750: alti tassi di natalità e mortalità • 1750-1880: i tassi di natalità rimangono alti, mentre quelli di mortalità calano drasticamente grazie all’introduzione di misure igienico-sanitarie • 1880-1970: i tassi di natalità decrescono a causa dei cambiamenti nei bisogni sociali (es. famiglie meno numerose) e delle opportunità (es. aumento della forza lavoro femminile) causati dall’industrializzazione e dall’urbanizzazione • 1970-oggi: bassi tassi di natalità e mortalità e invecchiamento della popolazione. LE DIFFERENZE DI SESSO E DI GENERE Convenzionalmente, la società viene divisa in due generi sessuali: quello maschile e quello femminile. Dal punto di vista biologico, però, la sessualità umana non può essere sempre ridotta a categorie rigide e separate. Questo elemento è importante per ricordare che l’identità di una persona non può essere determinata soltanto da un punto di vista biologico, né considerata come fissa o invariabile. L’organizzazione e l’uso dello spazio tendono a riflettere le idee dominanti in merito al genere e alla sessualità, con importanti implicazioni, soprattutto per quanto riguarda quest’ultima, dal punto di vista geografico e politico. I ruoli di genere variano da un luogo all’altro e possono condizionare l’organizzazione degli spazi in generale e in particolare l’uso degli spazi pubblici, determinando talvolta disparità di genere nell’accesso alle risorse, oggetto dell’impegno dei movimenti femminili per l’uguaglianza. L’indice di mascolinità è il rapporto percentuale tra il numero di maschi e il numero di femmine di una popolazione e può essere influenzato dalle guerre o da fattori di preferenza culturale. LA CAPACITÀ DI CARICO DI UN TERRITORIO LA TEORIA MALTHUSIANA DELLA POPOLAZIONE Una delle tesi più famose sul rapporto tra la popolazione e le capacità di sostentamento offerte dall’ambiente è quella dell’economista inglese Thomas Malthus. Nel Saggio sul principio della popolazione (1798), Malthus afferma che la principale causa della povertà è l’eccessivo aumento della popolazione, in quanto, mentre le risorse alimentari possono aumentare in modo aritmetico, la popolazione cresce in maniera esponenziale, con il risultato che, di fronte ad una crescita demografica, il numero di persone che vivono in un Paese supera presto la dimensione massima sostenibile dalle risorse alimentari di quel Paese. Per evitare questa situazione, secondo Malthus, che era anche pastore anglicano, le persone avrebbero dovuto mettere in atto degli ostacoli preventivi, come i matrimoni tardivi e l’astinenza sessuale. La teoria di Malthus ha portato all’affermazione dell’idea che ogni territorio abbia una certa capacità di carico, dovuta alla limitatezza delle sue risorse e quindi del numero di persone che possono viverci in condizioni accettabili. LA POVERTÀ E L’INSICUREZZA ALIMENTARE Uno dei principali problemi legati all’aumento della popolazione è quello dell’insicurezza alimentare, ovvero l’impossibilità, fisica o economica, di alcune persone di accedere al cibo, a causa di fattori come povertà, sovrappopolazione, guerre, scarsità di risorse, degrado ambientale e disastri naturali. La principale conseguenza dell’insicurezza alimentare e della povertà è la fame, che può essere legata a forme di denutrizione, ovvero un’alimentazione insufficiente, o di malnutrizione, ovvero un’alimentazione carente di alcuni alimenti indispensabili. LE MIGRAZIONI Oltre alla natalità e alla mortalità, un altro fondamentale fattore di cambiamento demografico sono le migrazioni. La migrazione è uno spostamento permanente o di lungo termine di un individuo o di un gruppo di persone dal proprio luogo d’origine a un altro luogo e va distinto dalla circolazione, che invece è uno spostamento temporaneo e spesso ciclico (es. movimenti pendolari). Ogni migrazione prevede un’emigrazione, la partenza da un luogo, e un’immigrazione, l’arrivo in un altro luogo. Il calcolo del saldo migratorio netto considera i cambiamenti nella popolazione di un determinato luogo in seguito alle immigrazioni e alle emigrazioni (saldo migratorio netto = numero di immigrati - numero di emigrati). Il cambiamento demografico di un territorio, quindi, può essere calcolato attraverso l’equazione demografica, che considera la crescita naturale di una popolazione e il suo saldo migratorio in un determinato periodo di tempo. MIGRAZIONI VOLONTARIE E MIGRAZIONI FORZATE Le migrazioni possono essere di due tipi: • Migrazioni forzate: una persona, un gruppo sociale, un governo o altro costringono un altro individuo o un gruppo di persone a cambiare luogo di residenza, senza che questi ultimi abbiano alcuna voce in capitolo relativamente alla destinazione, ai tempi della migrazione o a qualunque sua altra caratteristica (es. tratta degli schiavi) • Migrazioni volontarie: trasferimenti di lunga durata, o permanenti, effettuati in seguito ad una scelta, anche se spesso questa è dovuta a situazioni particolarmente difficili in patria, che offrono una possibilità di scelta molto limitata. La maggior parte delle migrazioni appartiene a questa categoria e possiede alcune caratteristiche comuni, come il movimento da Paesi poveri e soggetti a guerre e a regimi dispotici verso Paesi ricchi e sicuri. MIGRAZIONI INTERNE La migrazione interna consiste nel movimento di persone tra regioni di uno stesso Paese. Tre sono i fattori che incidono sulla scelta migratoria interna: • Età: migrano i giovani tra i 20 e i 34 anni, seguiti dalle persone nell’età della pensione • Ricerca di un’occupazione: è il più rilevante fattore di spinta • Ricerca di migliori caratteristiche naturali e ambientali: si preferiscono luoghi caratterizzati da un clima mite, un paesaggio variegato e vicino ai corsi d’acqua. I PROFUGHI AMBIENTALI Vengono definiti profughi ambientali quanti lasciano i loro Paesi perché eventi legati ai cambiamenti climatici del pianeta, quali siccità e desertificazione, innalzamento del livello marino, inondazioni e cicloni, hanno reso invivibili le loro terre. Le migrazioni ambientali si presentano problematiche perché comportano lo sradicamento definitivo di milioni di persone dalle loro terre. Peraltro, si tratta non soltanto di persone in età lavorativa, ma di intere famiglie con bambini e anziani non autosufficienti. L’Italia, per la sua posizione a cavallo tra l’Africa e l’Europa mediterranea, è particolarmente coinvolta nel problema. IL TRANSNAZIONALISMO Tra gli effetti delle migrazioni c’è il transnazionalismo, ovvero il processo mediante il quale i migranti costruiscono reti di interazioni che legano tra loro il Paese d’origine e quello d’insediamento. Un esempio di questo fenomeno è rappresentato dalle rimesse degli emigranti, ovvero denaro, beni e servizi che questi inviano nei Paesi d’origine. LINGUE, GRUPPI UMANI, ETNIE E RELIGIONI LE LINGUE DEL MONDO L’interconnessione e l’interazione tra chi vive in una stessa regione o in diverse regioni del mondo dipende in buona parte dalla capacità di comunicare attraverso un linguaggio comune, basato su simboli ai quali vengono attribuiti significati condivisi. In ogni area più o meno vasta del pianeta si è imposta nel corso della storia una lingua, ovvero un idioma che consente agli abitanti di quella regione di comunicare tra loro. Ogni lingua presenta al suo interno delle varianti geografiche dette dialetti, anche se, in genere, le lingue stesse sono dei dialetti che hanno finito per imporsi in un’area più vasta di quella originaria. Diverse dai dialetti sono le lingue minoritarie, ovvero lingue tradizionalmente usate nel territorio di una nazione da un gruppo più o meno numeroso di persone che parlano una lingua diversa da quella ufficiale dello Stato. Un’ulteriore distinzione è quella tra lingue naturali, che sono nate e si sono evolute nel corso della storia delle comunità umane, e lingue artificiali, che sono state inventate intenzionalmente dall’uomo per la comunicazione nazionale (es. Indonesia), internazionale o anche per mondi di finzione (es. lingua degli elfi nel libro del Signore degli anelli). INTERAZIONI ETNICHE Le interazioni etniche possono portare a diversi risultati: • Assimilazione: descrive il risultato dell’interazione tra i membri di un gruppo etnico e i soggetti esterni come una graduale perdita dei tratti culturali, delle credenze e delle pratiche che caratterizzavano la comunità di partenza • Multiculturalismo: ritiene che i componenti di un gruppo etnico di immigrati tendano a resistere all’assimilazione e possano mantenere i propri tratti culturali, le proprie credenze e le proprie pratiche distintive. L’Italia alterna l’uso di assimilazione e multiculturalismo • Eterolocalismo: ritiene che i componenti di un gruppo etnico disperso in luoghi diversi e talvolta molto lontani possano mantenere la propria identità comune. GLI INSEDIAMENTI ETNICI I geografi hanno individuato numerosi tipi differenti di insediamenti etnici: • Isole etniche: caratterizzano le aree rurali e hanno dimensioni che variano da quelle di un comune a quelle di un’area estesa anche su più Stati • Quartieri etnici: sono tipici delle aree urbane e hanno dimensioni variabili, da pochi isolati a interi distretti cittadini (es. Chinatown e Little Italy) • Ghetti: quartieri in cui si concentrano immigrati di una stessa etnia, solitamente poveri e discriminati socialmente. Con il tempo possono diventare forme di segregazione obbligata, poiché, quando i componenti di un’etnia discriminata diventano numerosi, il resto della popolazione si sposta altrove e l’ambiente e i servizi subiscono un degrado. Questi quartieri diventano così gli unici a poter ospitare quel gruppo etnico, che ne rimane prigioniero. Per confrontare il peso di un gruppo etnico in un’area ristretta con quella della stessa etnia sull’intero territorio nazionale si usa il quoziente di localizzazione. LE RELIGIONI NEL MONDO Le religioni sono sistemi di idee, di regole e di pratiche che rispondono alle esigenze delle persone di dare un senso al mondo e al proprio ruolo al suo interno, solitamente attraverso la devozione nei confronti di una o più entità divine o comunque di entità che si pongono al di là della nostra esperienza del mondo sensibile. Nel tratteggiare una geografia delle religioni, gli studiosi analizzano fenomeni come la distribuzione delle fedi nel mondo, le differenti modalità attraverso le quali le persone danno significato allo spazio in base alla loro credenza, i conflitti e le trasformazioni sociali che esse determinano, gli edifici, i paesaggi e i patrimoni materiali e immateriali modellati dalle religioni. Per quanto riguarda la classificazione delle religioni, si distinguono: • Religioni monoteistiche: venerano un solo dio o una sola divinità • Religioni politeistiche: venerano più di una divinità • Religioni animiste: credono nella presenza di divinità e di entità spirituali che si manifestano nella natura • Religioni sincretiche: mescolanza di credi e pratiche religiose dovuta al prolungato contatto fra fedi diverse in una certa area. Possiamo inoltre distinguere le religioni universali (es. Cristianesimo, Islam, Buddismo), caratterizzate dalla presenza di un fondatore che rappresenta un riferimento spirituale per i fedeli, dalle religioni etniche (es. Ebraismo, Induismo, Shintoismo), caratterizzate da un’appartenenza determinata per nascita. L’EBRAISMO Nel mondo si contano 13 milioni di ebrei, la maggior parte dei quali sono distribuiti tra gli Stati Uniti e Israele. L’ebraismo è una religione monoteista di origine mediorientale, che riconosce in Abramo il profeta di Dio. Il testo sacro è la Torah, che descrive due degli episodi più importanti della tradizione ebraica: l’esodo, ovvero la fuga del popolo ebraico dalla schiavitù in Egitto sotto la guida di Mosè, e l’accordo tra Dio e Abramo, in base al quale gli ebrei sono il popolo scelto per custodire e mettere in atto la legge di Dio, rivelata a Mosè presso il monte Sinai durante la lunga fuga attraverso il deserto che porterà poi il popolo ebraico ad insediarsi a Canaan, la terra promessa, in corrispondenza dell’attuale Israele. IL CRISTIANESIMO Il cristianesimo è la religione più diffusa nel mondo con oltre 2,3 miliardi di fedeli. I libri sacri sono l’Antico Testamento, i quattro Vangeli e gli Atti degli Apostoli. Nel corso della storia, il cristianesimo si è diviso in due fedi distinte: • Cattolicesimo romano: riconosce l’autorità del Papa • Cristianesimo ortodosso: ha la propria città di riferimento a Costantinopoli, suddividendosi in seguito in oltre 15 chiese indipendenti, tra le quali la chiesa ortodossa greca e la chiesa ortodossa russa. La spaccatura più importante all’interno del Cristianesimo occidentale è avvenuta invece nel XVI secolo in seguito alla Riforma protestante, che ha rifiutato alcuni dogmi e alcune pratiche del Cattolicesimo. L’ISLAM L’Islam è la seconda religione più diffusa al mondo, nonché quella che cresce con maggiore velocità. Dal punto di vista geografico, l’Islam è la religione dominante in un’area che si estende dal Nord Africa attraverso il Medio Oriente fino all’Asia meridionale. L’Islam è stato fondato attorno al 570 d.C. da Maometto a La Mecca, nell’attuale Arabia Saudita. Durante le proprie meditazioni avrebbe ricevuto diverse volte rivelazioni provenienti direttamente da Dio, che i musulmani chiamano Allah. Il libro sacro per i musulmani è il Corano, che contiene la parola di Dio rivelata. Gli islamici si suddividono tra: • Sunniti: rappresentano l’orientamento più numeroso e diffuso geograficamente, che comprende circa l’80% dei musulmani • Sciiti: rappresentano solo il 15% dei fedeli di questa religione. L’INDUISMO Gli induisti chiamano la propria religione Sanatama Dharma, che significa verità o legge eterna, mentre il termine induismo è usato da chi non è induista. In tutto il mondo sono circa 900 milioni le persone che si dichiarano induiste, facendone la più grande religione etnica del mondo, diffusa soprattutto in India e nel sud dell’Asia. L’induismo non ha un fondatore, non forma una chiesa e non ha autorità centrale. Storicamente si rifà ai testi sacri dell’antichissima tradizione Veda. Gli induisti hanno una visione ciclica dell’esistenza e ritengono che essa sia regolata dal Karma, ovvero la forza mentale e fisica che modifica noi stessi e ha effetto sul resto del mondo. L’obiettivo degli induisti è quello di raggiungere il moksha, ovvero la liberazione dal ciclo di nascite e morti, rappresentato come uno stato di completa libertà. IL BUDDHISMO La religione buddhista è legata soprattutto alle culture dell’Asia orientale e sudorientale ed è la religione prevalente di Stati come la Cina, il Giappone, Hong Kong, Taiwan e Singapore, dove si mescola con altre tradizioni locali come il confucianesimo. Il fondatore del buddhismo, Siddharta Gautama, era un principe induista che durante la meditazione venne raggiunto dall’illuminazione, in seguito alla quale divenne il Buddha illuminato. Per i buddhisti, la sofferenza è dovuta al ciclo di reincarnazioni al quale tutti noi siamo obbligati e da cui è necessario sottrarsi raggiungendo il Nirvana attraverso gli insegnamenti del Buddha. IL SIKHISMO I suoi 23 milioni di adepti fanno del sikhismo la più piccola delle religioni universali del mondo. il termine sikh significa discepolo, ovvero seguace di un maestro, detto guru in onore del fondatore della religione Guru Nanak, il quale dopo una rivelazione divina, iniziò a diffondere i propri insegnamenti e a fondare le prime comunità Sikh. Nata nel Nord dell’India, questa religione mostra influenze sia dell’Islam che dell’Induismo. RELIGIONE, SOCIETÀ E MODERNIZZAZIONE I LUOGHI SACRI Un luogo sacro è un luogo al quale viene attribuito un particolare significato religioso e che, per questo, merita, agli occhi dei fedeli, devozione e rispetto. Un pellegrinaggio è un viaggio compiuto da un fedele verso un luogo sacro per motivi religiosi. Alcuni pellegrinaggi, come l’haji per i musulmani, sono precetti obbligatori, mentre la maggior parte rappresentano gesti volontari. I geografi studiano i pellegrinaggi distinguendo destinazioni principali e secondarie in base al grado di sacralità che viene loro attribuiti, al numero di pellegrini che attraggono e all’estensione della loro area di provenienza. Quando diverse religioni ambiscono a venerare uno stesso luogo sacro si possono generare conflitti di difficile risoluzione. Ancora più gravi sono i conflitti relativi alle terre sante, com’è il caso del conflitto tra Palestina e Israele. TRADIZIONE E MODERNISMO La tensione tra tradizione e cambiamento contribuisce a determinare le pratiche e le idee religiose. Il modernismo viene visto da alcuni come una sfida all’autorità religiosa, alla quale può contribuire la globalizzazione. L’abolizione del sistema delle caste, elemento di grande importanza per la religione induista, evidenzia la tensione tra tradizione e cambiamento, che talvolta può dare luogo al fondamentalismo religioso, come avviene nel caso del Cristianesimo e dell’Islam. Dopo gli eventi dell’11 settembre 2001, l’opinione pubblica si è incentrata soprattutto sul tradizionalismo islamico, ma in realtà il fondamentalismo è presente in tutte le religioni. LA GEOGRAFIA CULTURALE E LA GLOBALIZZAZIONE LA GLOBALIZZAZIONE OGGI Come abbiamo visto, si definisce globalizzazione l’interconnessione tra le persone in tutto il mondo. Sebbene la globalizzazione di cui si parla oggi sia il frutto, relativamente recente, della diffusione del capitalismo e del commercio internazionale, la tendenza all’interconnessione spaziale su lunghe distanze è in atto da tempo. Di fatto, la globalizzazione contemporanea ha iniziato a manifestarsi IL SAPERE LOCALE Con l’espressione sapere locale si indica la conoscenza collettiva di una comunità, che deriva dalle attività e dalle esperienze quotidiane di ciascuno dei suoi membri con il contesto territoriale in cui è inserito. Il sapere locale possiede tre caratteristiche fondamentali: • Di solito viene tramandato oralmente • È dinamico e in continua evoluzione • Non è un’entità unica e monolitica. Nel passato, i pensatori occidentali ritenevano che i saperi locali fossero antiquati ed inferiori rispetto alla conoscenza moderna. Questa visione contribuì alla nascita del diffusionismo, una teoria secondo cui la diffusione della scienza, della tecnologia e delle pratiche occidentali avrebbe aiutato gli altri popoli ad evolversi. Oggi, invece, gli studiosi riconoscono l’importanza del sapere locale, anche perché esso offre spesso strumenti di risoluzione dei problemi basati su un modello di sviluppo sostenibile, ovvero di uso e gestione delle risorse in maniera tale da non compromettere le possibilità delle generazioni future. MEDICINA TRADIZIONALE, ACQUA E ARCHITETTURA TRADIZIONALE La medicina tradizionale rappresenta una tipologia di sapere locale che viene spesso messa in discussione dai fautori della medicina occidentale (o medicina allopatica), quando in realtà essa possiede diverse caratteristiche positive, oltre ad essere anche del tutto convenzionale in alcuni casi, tanto da costituire la base del Sistema Sanitario di alcune nazioni. Il sapere locale spesso rivela anche una grande consapevolezza ed una profonda comprensione del funzionamento dell’ambiente naturale. Un esempio tipico sono i qanat persiani, ovvero sistemi idraulici che usano condotti e tunnel per estrarre l’acqua dal sottosuolo e portarla dove serve, evitando che evapori. Un altro ambito di grande interesse per i geografi è quello dell’architettura tradizionale, che si realizza con una straordinaria varietà di tecniche, stili e materiali. GEOGRAFIA DELLO SVILUPPO CHE COS’È LO SVILUPPO La biologia ci insegna che lo sviluppo ha un limite ed è diversificato. Sebbene il modello biologico dello sviluppo sia molto utile, se applicato allo sviluppo umano esso rischia di impedirci di progettare un futuro migliore. Con l’espressione sviluppo umano, dunque, facciamo riferimento ai processi che determinano miglioramenti nel benessere economico e sociale degli individui. I geografi umani studiano le differenze di sviluppo da un luogo all’altro, nonché le conseguenze sociali e ambientali dello sviluppo. Gli indicatori riconosciuti dagli studiosi per valutare lo sviluppo sono di diverso tipo e vengono rappresentati in tre categorie: economici, socio-demografici e ambientali. GLI INDICATORI ECONOMICI L’indicatore più comune dello sviluppo economico è il Prodotto Interno Lordo (PIL), che consiste nel valore monetario complessivo dei beni e dei servizi prodotti all’interno dei confini geografici di un Paese. Il rapporto tra il PIL di un dato anno ed il totale della popolazione di un Paese nello stesso anno determina il PIL pro-capite, che riflette la produzione media per persona. Benché gli economisti facciano spesso riferimento al PIL come misura di crescita o declino economico, in realtà questo indicatore ha diversi limiti: • Riflette soltanto il valore monetario delle entrate ufficiali generate dall’economia formale, mentre non riesce ad intercettare il valore dei beni e dei servizi prodotti attraverso l’economia informale (o economia sommersa), tipica dell’economia dei Paesi del Sud globale • Non fornisce informazioni sull’uniformità o sulla disuguaglianza di distribuzione della ricchezza all’interno del Paese. Un’altra questione legata allo sviluppo economico è quella della povertà. Il tasso di povertà indica il numero di persone povere sul totale della popolazione, ma, data la complessità del fenomeno, tale tasso viene calcolato per due livelli di povertà: • Povertà assoluta: quella di chi non riesce ad accedere a beni e servizi essenziali per conseguire uno standard di vita accettabile • Povertà relativa: quella di chi non riesce a raggiungere il livello di risorse necessario per soddisfare gli standard minimi della società in cui vive. GLI INDICATORI SOCIO-DEMOGRAFICI Gli indicatori socio-demografici forniscono informazioni sullo stato sociale di una popolazione: ne fanno parte, ad esempio, i dati sulla diffusione delle malattie o i livelli di istruzione ed educazione. Il tasso di alfabetizzazione è la percentuale di popolazione sopra i 15 anni di un Paese in grado di leggere e scrivere. I valori di questo tasso superano il 90% nel Nord del mondo, ma calano al 60% nei Paesi poveri. Per quanto riguarda la malnutrizione, essa colpisce quasi un quarto dei bambini sotto i cinque anni nei Paesi al Sud del mondo. Altri indicatori socio-demografici includono l'aspettativa di vita e il tasso di mortalità infantile. GLI INDICATORI AMBIENTALI, LA VULNERABILITÀ E LO SVILUPPO Rispetto agli indicatori economici e socio-demografici, l'uso di indicatori ambientali è relativamente recente. Il loro sviluppo e impiego deriva principalmente dalla Conferenza ONU di Rio de Janeiro su Ambiente e Sviluppo (1992), nata dalla diffusa preoccupazione sull'impatto globale dei problemi ambientali. L'Agenda 21, il piano d'azione derivato dal Summit, ha incoraggiato governi e altri enti a sviluppare indicatori ambientali che potessero essere utilizzati per valutare lo sviluppo sostenibile. Da allora, sono stati definiti centinaia di differenti indicatori, tra i quali la frequenza di rischi ambientali, la riduzione della biodiversità e l'accesso all'acqua potabile. Le differenze nello sviluppo sono il risultato di condizioni variegate e interconnesse, che comprendono anche le condizioni geografiche, oltre a quelle economico-strutturali e istituzionali. Si parla a questo proposito della dotazione geografica di un paese. In alcuni casi, un processo di sviluppo mal governato può condurre ad una maggiore vulnerabilità nei confronti dei disastri naturali: la rapida organizzazione può favorire la costruzione di abitazioni sui versanti stabili o pianure alluvionali inondabili. Oggi, un altro aspetto dello sviluppo sostenibile riguarda l'esame della vulnerabilità, ovvero quanto un paese o un gruppo sia incline a subire shock economici, ambientali o di altra natura. La resilienza si riferisce alla capacità di resistere o opporsi a questi shock. L’INDICE DI SVILUPPO UMANO ISU, IL BES E IL GII Molti esperti sostengono che gli indicatori da soli non siano sufficienti a valutare i reali cambiamenti nello sviluppo. Per questa ragione, i geografi tendono a combinare una serie di diversi indicatori economici, socio-demografici e ambientali per creare nuovi indici in grado di fornire una valutazione più ampia dello sviluppo di un Paese. Il risultato di questa combinazione è dato da: • ISU (Indice di Sviluppo Umano): introdotto nel 1990 dalle Nazioni Unite, è il primo indice dello sviluppo che include anche informazioni sul benessere, sulla salute e sull’istruzione della popolazione di un Paese. Si compone di quattro indicatori: il PIL, la speranza di vita, il tasso di scolarizzazione tra gli adulti e il tasso lordo di partecipazione scolastica • BES (Benessere Equo e Sostenibile): introdotto in Italia dal Cnel e dall’Istat, integra indicatori economici, sociali e ambientali con misure di diseguaglianza e sostenibilità • GII (Gender Inequality Index): introdotto nel 2010 dalle Nazioni Unite, è composto da vari indicatori riguardanti la salute riproduttiva, l’empowerment delle donne e la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Secondo i dati più recenti, i Paesi caratterizzati da una maggiore parità di genere sono Norvegia, Svizzera, Australia, Irlanda, Germania e Islanda. SVILUPPO E DISUGUAGLIANZA DI REDDITO Tra gli altri ambiti d’interesse dei geografi dello sviluppo c’è l’esame della distribuzione del reddito e della disuguaglianza di reddito a vari livelli e tra diversi raggruppamenti di Paesi. A livello globale, la disuguaglianza di reddito è molto alta e la distribuzione del reddito mostra la presenza di un numero ristretto di individui ricchissimi e diversi miliardi di persone che vivono in totale povertà. Per misurare la disuguaglianza di reddito spesso si ricorre in statistica al coefficiente di Gini. Si tratta di un indicatore i cui valori variano da 0 a 100: più sono vicini a 100, maggiori sono le disuguaglianze. LA GLOBALIZZAZIONE E LA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO Esistono due teorie circa l’impatto della globalizzazione sulla distribuzione della ricchezza: • Teoria del neoliberista: ritiene che il mercato globale determini una convergenza e un’uguaglianza del reddito. Secondo questa teoria, il commercio è essenziale, poiché genera un aumento della concorrenza e della prosperità • Teoria dell’ampliamento del divario tra ricchi e poveri: ritiene che la globalizzazione agisca contro le condizioni di parità. Ciò avviene soprattutto poiché essa genera domanda di lavoratori qualificati, escludendo coloro che restano privi di competenze e istruzione. LE TEORIE DELLO SVILUPPO Lo studio della geografia dello sviluppo rende abbastanza evidente che gran parte delle opportunità nella vita di un individuo dipendono dal Paese in cui è nato. Esistono numerose teorie che si pongono l’obiettivo di spiegare le differenze nei livelli di sviluppo delle varie aree della Terra: • Modello dello sviluppo classico: ideato dallo storico dell’economia Walt Rostow nel 1960, è un modello suddiviso in cinque fasi, dette stadi dello sviluppo, e si basa sull’idea che i Paesi meno sviluppati sono quelli fondati su economie agricole e che lo sviluppo può avvenire solo introducendo attività manifatturiere e servizi. Questo modello ha ricevuto tre critiche: o Il modello presuppone che ogni Paese cominci il processo di sviluppo dallo stesso punto di partenza o Il modello funziona a partire da una comprensione molto ristretta dello sviluppo, fondata su uno schema di crescita economica lineare o Il modello è fortemente eurocentrico, in quanto presuppone che ciò che ha funzionato in passato per l’Occidente debba necessariamente funzionare oggi anche per i Paesi non occidentali • Teoria della dipendenza: ideata negli anni Sessanta e Settanta, vede lo sviluppo come un processo relazionale più che come una serie di fasi e sostiene che questo processo è fortemente connesso al commercio internazionale tra Stati dominanti e Stati dipendenti, ovvero tra i Paesi sviluppati dell’Europa e i Paesi sottosviluppati dell’Africa e dell’America latina. Questa teoria è stata criticata poiché incoraggia una visione troppo semplicistica delle relazioni internazionali, considerando la dipendenza come una loro naturale conseguenza Tra la rivoluzione verde e la rivoluzione genetica esiste una differenza fondamentale. Le innovazioni portate dalla rivoluzione verde furono condivise con i governi e le istituzioni dei paesi del Sud globale, mentre le specie geneticamente modificate prodotte nel corso della rivoluzione genetica sono protette da brevetti internazionali posseduti e sfruttati da imprese multinazionali secondo le logiche del mercato globale. Sulla rivoluzione genetica sugli organismi geneticamente modificati (OGM) è tuttora in corso un dibattito molto acceso, concentrato soprattutto sulle cause e le conseguenze di questa rivoluzione. Uno degli aspetti più controversi di queste operazioni dell'ingegneria genetica riguarda il possibile utilizzo di disegni di animali o di virus per modificare il patrimonio genetico delle specie vegetali, andando contro i processi naturali della riproduzione. I SISTEMI AGRICOLI I sistemi agricoli sono formati da un insieme di elementi (terreni, macchinari, prodotti agricoli e consumatori) che interagiscono, comportandosi come un’unica entità. Anche se esistono molte classificazioni diverse dei sistemi agricoli, la maggior parte degli esperti è concorde nel distinguere innanzitutto tra agricoltura di sussistenza e agricoltura commerciale. L’AGRICOLTURA DI SUSSISTENZA L’agricoltura di sussistenza è un sistema agricolo indipendente dalle richieste del mercato globale, i cui prodotti vengono in gran parte consumati dai produttori e dalle loro famiglie e in piccola parte scambiati o venduti nei mercati locali. Nel mondo sono milioni le persone che sopravvivono grazie all’agricoltura di sussistenza, soprattutto in Africa, Asia ed alcune zone dell’America Latina. Esistono numerose tipologie di agricoltura di sussistenza: • Agricoltura itinerante: usa il fuoco per ripulire i terreni dalla vegetazione spontanea, rendendoli adatti ad essere coltivati per un certo periodo, al termine del quale si passa a fare lo stesso con un altro terreno. In alcuni casi prevede che vengano coltivati più prodotti contemporaneamente nello stesso campo, praticando cioè la coltura promiscua. Dal momento che l’aumento della popolazione e la diminuzione dei terreni disponibili possono causare il mancato rispetto del periodo di riposo necessario per recuperare la fertilità del terreno, questo problema viene risolto attraverso la pratica dell’agroforestazione, ovvero un sistema di coltura promiscua che prevede la piantagione di alberi utili per controllare i livelli di fertilità del suolo • Coltivazione del riso: nelle regioni in cui costituisce il primo prodotto agricolo ed una delle principali fonti di amido, il riso viene coltivato con tecniche di coltivazione irrigua, ovvero basate su sistemi di derivazione di acque superficiali o sotterranee. Si tratta di uno dei primi esempi di agricoltura intensiva, in quanto per garantire il sostentamento della popolazione è spesso necessario ricorrere alla tecnica del doppio raccolto, che prevede due cicli di semina del raccolto sullo stesso campo nel giro di un anno. Tra i maggiori esportatori di riso al mondo ricordiamo Thailandia, India e Stati Uniti • Piccole aziende agricole e allevamento: nelle zone dell’Asia che non offrono condizioni adatte alla coltivazione del riso prevale un sistema agricolo basato sull’allevamento e su aziende agricole di piccole dimensioni. Contrariamente a quanto avviene per la coltivazione irrigua del riso, questi sistemi agricoli prevedono un limitato utilizzo dell’irrigazione e dei fertilizzanti e non contemplano la possibilità di effettuare più di un raccolto durante l’anno • Pastorizia: diffusa soprattutto nelle regioni aride e semiaride e nelle zone montane, si fonda sull’allevamento di bestiame domestico. Tradizionalmente i pastori praticano forme di commercio e di scambio locale con gli agricoltori, dai quali ottengono cereali, frutta e ortaggi in cambio di latte, formaggi e pelli. La mobilità è un aspetto fondamentale della pastorizia, dal momento che i pascoli non sono in grado di nutrire gli animali per tutto l’anno, costringendo gli allevatori alla transumanza, ovvero a spostamenti stagionali in cerca di nuovi pascoli e fonti d’acqua. L’AGRICOLTURA DI MERCATO L’agricoltura commerciale (o di mercato) è un sistema agricolo basato sulle richieste del mercato, i cui prodotti vengono venduti per un consumo che spesso avviene lontano dai luoghi di coltivazione. Per questa ragione, si parla anche di agribusiness in riferimento al sistema di interconnessione tra i contadini che producono, le industrie di lavorazione dei prodotti agricoli e la loro distribuzione commerciale. Esistono numerose tipologie di agricoltura commerciale: • Piantagione: è una grande coltivazione tipica dell’area tropicale o subtropicale, specializzata in produzioni destinate all’esportazione sui mercati nazionali. Storicamente, le grandi piantagioni di materie prime essenziali sono alla base dell’economia nazionale di molti Paesi economicamente fragili (es. il caffè per il Brasile o la canna da zucchero per Cuba). Ancora oggi le piantagioni sono spesso di proprietà di grandi società multinazionali europee o nordamericane, che ne affidano la lavorazione ad una manodopera scarsamente qualificata • Orticoltura commerciale, agricoltura specializzata e agricoltura mediterranea: storicamente sviluppatasi attorno alle aree urbanizzate per rifornire di prodotti freschi le città, l’orticoltura commerciale è la produzione intensiva di frutta non tropicale, ortaggi e fiori, che oggi riescono ad essere consegnati freschi anche a centinaia di chilometri di distanza grazie allo sviluppo delle reti infrastrutturali e al potenziamento del settore degli autotrasporti. Dopo la Seconda guerra mondiale, negli Stati Uniti si è sviluppata una forma di agricoltura di mercato nota come truck farming e caratterizzata da grandi aziende agricole solitamente specializzate in un solo prodotto e spesso distanti dai propri mercati di riferimento, che fanno affidamento su manodopera stagionale. Una varietà di agroforestazione può essere considerata invece l’agricoltura mediterranea. Tipica delle regioni che si affacciano sul Mar Mediterraneo, essa si basa sull’integrazione tra l’allevamento di bestiame, la coltivazione di un cereale e quella di alberi da frutto, viti e ulivi. L’alta richiesta di lavoro stagionale attira lavoratori immigrati, provenienti soprattutto dall’Africa • Allevamento commerciale di animali da latte: è un’attività agricola intensiva e altamente meccanizzata, poiché gli attuali metodi per la produzione di latte si fondano sull’utilizzo di attrezzature come le macchine mungitrici automatiche. È un allevamento stabulare, cioè praticato di regola nella stalla, con animali nutriti con mangimi, anche se in certi casi viene anche utilizzato il pascolo. Nonostante l’alto livello di meccanizzazione, è previsto anche un lavoro costante da parte della manodopera umana, che deve controllare l’alimentazione degli animali e la qualità del latte prodotto • Aziende agricole miste con produzione di foraggio e allevamento: a lungo diffusa in tutta l’Europa e nel Corn Belt (Stati Uniti) nel corso della storia, oggi è cambiata molto. Mentre in Europa la coltivazione di foraggio per l’allevamento è stata sostituita dalla produzione di granoturco e di specie oleose come la colza, nel Corn Belt sono nate delle factory-farms, ovvero aziende agricole intensive caratterizzate da un’altissima concentrazione di bovini, suini o pollame • Cerealicoltura commerciale e allevamento estensivo di bestiame: mentre la cerealicoltura è associata ad ambienti caratterizzati da climi temperati e da grandi estensioni di terreni pianeggianti, l’allevamento estensivo del bestiame è tipico delle regioni aride e semiaride. LE VARIAZIONI SPAZIALI DELL’AGRICOLTURA Uno dei primi studiosi a dedicarsi allo studio della distribuzione e delle caratteristiche dei diversi tipi di agricoltura nel mondo è stato Johann Heinrich von Thünen. In anni di spostamenti tra la propria fattoria e le città dove vendeva i propri prodotti, egli si rese conto che il tipo di coltivazione variava in base alla distanza dai centri di mercato. Da queste osservazioni lo studioso tedesco dedusse un modello, il modello di Von Thünen, con il quale intendeva descrivere le variazioni spaziali dell'agricoltura di mercato. Assumendo che la qualità dei terreni fosse la stessa ovunque, egli ipotizzò che i costi di trasporto verso i centri di mercato rappresentassero una variabile fondamentale nel definire quanto possa essere redditizio l'utilizzo di un terreno agricolo, in base al principio economico secondo cui le decisioni relative all'uso dei terreni sono improntate al perseguimento del maggior profitto possibile. Anche se questo modello si fonda su una rappresentazione molto semplificata della realtà, i princìpi che propone hanno una certa rilevanza ancora oggi. AGRICOLTURA, AMBIENTE E GLOBALIZZAZIONE L’agricoltura e l’ambiente sono sfere della realtà interconnesse. Le caratteristiche del suolo e le condizioni climatiche di un’area possono influenzare le decisioni relative all’utilizzo dei terreni o alla scelta delle coltivazioni e allo stesso tempo l’agricoltura ha un forte impatto sull’ambiente. LA DESERTIFICAZIONE La desertificazione consiste in un isterilimento dei terreni in zone non naturalmente desertiche, a causa delle attività umane o per motivi naturali. Tra le attività agricole che possono causare la desertificazione vi sono l’eccesso di sfruttamento dei pascoli, che danneggia la vegetazione, la cattiva gestione dei cicli colturali e l’irrigazione eccessiva. Peraltro, nelle regioni aride e semiaride può verificarsi una salinizzazione dei territori, che porta ad una diminuzione della loro produttività. L’AGRICOLTURA SOSTENIBILE I pesanti impatti ambientali dell'agricoltura hanno portato ad un aumento dell'interesse nei confronti dell'agricoltura sostenibile, che ricorre a metodi e tecniche che consentono di conservare le risorse idriche ed il suolo (es. l’aratura secondo le curve di livello, la coltivazione a strisce e la rotazione delle colture). L'agricoltura tecnologicamente avanzata fa anche uso di tecnologie come il GPS e le immagini aeree per misurare e mappare le variazioni spaziali delle condizioni ambientali all'interno di un'area coltivata. Mappare le condizioni del suolo permette di definire una geografia della fertilità, che può essere utilizzata per programmare l'applicazione dei pesticidi, per determinare la densità di sementi ideale per ciascuna parte di un campo e per prevedere con maggiore precisione la consistenza del raccolto. Un altro segnale della sempre più diffusa preoccupazione per gli impatti ambientali dell'agricoltura è rappresentato dalla crescente richiesta di prodotti provenienti dall'agricoltura biologica, che costituisce il settore agricolo con i maggiori tassi di crescita. LA GLOBALIZZAZIONE DELL’AGRICOLTURA SOSTENIBILE: SLOW FOOD E TERRA MADRE L’agricoltura sostenibile sotto l’aspetto ambientale, sociale e culturale si è organizzata su scala globale in vari modi, tra cui ricordiamo principalmente due importanti associazioni: • Slow Food: associazione no profit nata in Italia nel 1986 nella città piemontese di Bra con lo scopo di promuovere un nuovo modello alimentare rispettoso dell'ambiente, delle tradizioni e dell'identità culturale, al fine di salvaguardare la biodiversità e le produzioni alimentari tradizionali ed essa collegate, le colture del cibo che rispettano gli ecosistemi, il piacere del cibo e la qualità della vita per gli uomini. In particolare, quest’associazione si pone in contrasto con il modello del fast food, che vede nel cibo soltanto la soddisfazione di un bisogno, senza curarsi degli ingredienti, di dove e come siano stati prodotti, dei rapporti della loro produzione con l'ambiente • Terra Madre: riunisce tutti coloro che fanno parte della filiera alimentare e vogliono difendere l'agricoltura, la pesca e l'allevamento sostenibili per preservare, incoraggiare e promuovere metodi di produzione alimentare sostenibili, in armonia con la natura. • Servizi per l’impresa: sono i servizi regolati dal mercato e, a differenza dei servizi per le famiglie, non dipendono dalla domanda, ma, al contrario, è la loro presenza in una regione ad essere un fattore d’attrazione (es. consulenze legali e fiscali, marketing, pubblicità) • Attività quaternarie: vanno oltre il normale terziario, perché hanno funzioni di comando, direzione, programmazione e indirizzo politico e culturale (es. governo politico, borse e grandi istituzioni finanziarie, apparati direttivi di giornali, tv ed editori) • Terzo settore (o no-profit): attività svolte da privati che perseguono scopi sociali nel campo dell’assistenza e della cultura (es. associazioni di volontariato). L’EVOLUZIONE DELL’INDUSTRIA NEL NORD DEL MONDO LA LOCALIZZAZIONE DELLE ATTIVITÀ MANIFATTURIERE La scelta del luogo in cui localizzare gli stabilimenti delle attività manifatturiere è influenzata da numerosi fattori, tra cui la possibilità di reperire manodopera, quella di accedere al mercato e quella di operare a contatto con altre imprese (economie di agglomerazione). Tutti questi fattori hanno fatto sì che le prime grandi agglomerazioni urbano-industriali si concentrassero nelle regioni al Nord del mondo, in particolare in America del Nord e in Europa occidentale. IL FORDISMO Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta del Novecento, le grandi imprese dell’America del Nord e dell’Europa occidentale vivono un enorme boom economico dovuto alla diffusione di due ideologie: • Taylorismo: ideato dall’ingegnere F. W. Taylor, si basa su una “gestione scientifica” (scientific management) dei sistemi di produzione, promuovendo la suddivisione del lavoro in compiti il più elementari possibile • Fordismo: ideato dal produttore di auto Henry Ford sulla base delle idee di Taylor, consiste nell’introduzione nelle fabbriche della catena di montaggio, che consente una divisione chiara del lavoro e la standardizzazione del prodotto. Chiaramente, entrambe queste ideologie, e in particolare il fordismo, sono sistemi progettati per la produzione di massa e hanno modificato drasticamente il mondo dell’industria fino a oggi, diventando una delle cause del consumismo. Infatti, se da un lato la catena di montaggio consente di dimezzare i tempi di produzione, d’altra parte essa ha contribuito alla dequalificazione del lavoro e alla separazione tra lavoratori e dirigenti. Peraltro, il fordismo è stato determinante nella nascita delle imprese multinazionali e delle città industriali, che hanno modificato drasticamente il paesaggio. IL POST FORDISMO: LA PRODUZIONE FLESSIBILE A partire dagli anni Settanta si assiste ad una crisi del fordismo, causata innanzitutto dalla crisi energetica, che genera l’aumento dei costi di produzione e di trasporto, ma anche dai cambiamenti nei gusti dei consumatori, che non si accontentano più di una gamma ristretta di modelli dei prodotti. Una prima risposta alla crisi del fordismo arriva dal Giappone, dove l’industria automobilistica della Toyota sperimenta la cosiddetta produzione flessibile, che utilizza le tecnologie informatiche per rendere la produzione dei beni più varia. La produzione flessibile si basa su: • Catena produttiva dettata dal consumatore: è la domanda a determinare la quantità e il tipo di prodotti da realizzare • Pronta consegna: le forniture vengono ordinate in piccole quantità, in base alla necessità del momento, consentendo all’impresa di far combaciare la quantità di prodotto con la domanda effettiva dei consumatori, evitando così di mantenere ampi magazzini di scorte • Esternalizzazione: l’impresa subappalta alcune attività ad un’altra azienda (es. il servizio clienti o il packaging) in modo da non doverle realizzare internamente. Questo processo richiede sempre la presenza di un’altra azienda, detta subfornitrice, che può trovarsi nello stesso Paese dell’impresa principale o all’estero. In quest’ultimo caso, si parla di rilocalizzazione (o più impropriamente di delocalizzazione), che consiste nel trasferimento di un’attività d’impresa, interna o esternalizzata, dal territorio in cui ha sede l’imprese ad un Paese straniero, contribuendo alla globalizzazione dell’industria. L’EVOLUZIONE DELL’INDUSTRIA NEL RESTO DEL MONDO LE NUOVE ECONOMIE INDUSTRIALIZZATE DELL’ASIA Negli anni Settanta comincia a manifestarsi un importante mutamento nella geografia della produzione, che ha inizio dal rapido sviluppo della potenza industriale del Giappone, che arriva addirittura a competere con i centri di produzione industriale europei e statunitensi. In breve tempo il Giappone diventa un modello da imitare per altri quattro produttori dell’Asia orientale, le cosiddette quattro tigri asiatiche, ovvero Hong Kong, Singapore, Corea del Sud e Taiwan, a cui seguono poi nel corso degli anni Ottanta anche Indonesia, Malesia, Filippine e Thailandia. La trasformazione economica di queste nuove potenze deriva da tre fattori principali: • Iniziative promosse dai governi per incrementare la produttività industriale e migliorare il commercio • Passaggio graduale da una produzione caratterizzata dal lavoro intensivo e ripetitivo ad una a più alto valore aggiunto tecnologico (es. realizzazione di componenti per computer e strumenti scientifici) • Presenza di forza lavoro scolarizzata e qualificata, spesso a basso costo e poco socialmente protetta. LE ZONE ECONOMICHE SPECIALI Una parte della crescita nella produzione in aree periferiche e semi-periferiche è attribuibile all’espansione delle zone industriali economiche speciali. Una Zona Economica Speciale (ZES) è un’area industriale in cui le imprese possono disporre di un’adeguata dotazione di terreni, infrastrutture e servizi a regime fiscale agevolato e con una forza lavoro non sindacalizzata. Se da un lato queste aree sono una strategia spesso messa in atto per incentivare l’industrializzazione di alcuni Paesi, esse prevedono comunque non pochi aspetti negativi, dal momento che al loro interno la manodopera viene spesso gravemente sfruttata: bassi salari, lunghi turni di lavoro e l’assenza di protezione sindacale hanno contribuito alle proteste dei lavoratori in molte ZES nel mondo. LE MAQUILADORAS Un altro sistema utile per consentire la crescita nella produzione delle aree periferiche sono le maquiladoras. Una maquiladora (o maquila) è un impianto manifatturiero, spesso di proprietà straniera, che importa materiali esenti da dazi doganali, li assembla, li tratta e infine li esporta. LE TRASFORMAZIONI STRUTTURALI DEI SISTEMI PRODUTTIVI Quando i geografi e gli economisti parlano di composizione strutturale di un’economia si riferiscono all’importanza relativa dei settori primario, secondario e terziario nel generare valore e nel creare posti di lavoro. Tra i Paesi ricchi, il percorso più comune dell’evoluzione strutturale di un’economia prevede che inizialmente sia il settore primario ad essere il più importante, seguito dalla crescita dell’industria e dal progressivo ampliamento del settore terziario. DEINDUSTRIALIZZAZIONE E GLOBALIZZAZIONE Benché ancora oggi i Paesi del Nord globale ricoprano un ruolo fondamentale nell’economia, la crisi del fordismo ha segnato in queste regioni un periodo di cambiamento strutturale, che ha portato ad un calo dei posti di lavoro nelle attività manifatturiere. Il processo di deindustrializzazione può essere ricondotto a tre cause generali: • Maggiore incremento della produttività del lavoro nell’attività manifatturiera rispetto a quella dei servizi: l’adozione di nuove tecnologie che svolgono in maniera automatizzata compiti un tempo affidati ai lavoratori nelle fabbriche genera un aumento di produttività dell’attività manifatturiera che innesca processi di deindustrializzazione • Cambiamento nella disponibilità delle risorse: quando le risorse primarie non sono disponibili nelle vicinanze, le imprese si spostano in un altro Paese con minori costi di trasporto e di produzione • Globalizzazione economica: il trasferimento dei posti di lavoro delle attività produttive nei Paesi caratterizzati da costi inferiori, tipicamente nel Sud globale, ha contribuito a disperdere la produzione. SERVIZI, GENERE E SOCIETÀ POST-INDUSTRIALE La rapida crescita dei servizi ha determinato un cambiamento significativo nella struttura economica globale. La percentuale di persone impiegate nel terziario, a livello mondiale, è quasi raddoppiata dal 1970 e questo settore oggi dà lavoro ad una percentuale di popolazione maggiore rispetto a quella impiegata in agricoltura. La crescita del settore dei servizi ha avuto un grosso impatto sull’impiego femminile: sebbene le donne costituiscano una parte consistente della forza lavoro nelle zone industriali di esportazione e nelle maquiladoras, su scala globale né l’agricoltura né l’industria hanno una forza lavoro ad alta percentuale femminile quanto il settore terziario. La crescita del settore terziario non solo indica importanti cambiamenti nei modelli occupazionali, ma è anche associata all’emergere delle società post-industriali, caratterizzate da: • Alti livelli di urbanizzazione • Prevalenza del settore dei servizi e delle attività d’ufficio • Prevalenza dei “colletti bianchi” (professionisti, funzionari, impiegati) nella forza lavoro • Infrastrutture fortemente basate sull’informatica e le comunicazioni (ICT) • Economia della conoscenza: uno dei migliori indicatori di un’economia basata sulla conoscenza è la quantità di denaro spesa in ricerca e sviluppo, che si traduce sul piano paesaggistico nello sviluppo del tecnopolo (o tecnòpoli), ovvero un’area nella quale si concentrano imprese che si occupano di ricerca e progettazione in settori ad alta tecnologia. LA CIRCOLAZIONE: FLUSSI, RETI E NODI I TRASPORTI E LE TELECOMUNICAZIONI RIDUCONO LE DISTANZE Un tempo la circolazione delle persone, delle notizie e delle idee si svolgeva prevalentemente entro ambiti geografici limitati, mentre su lunghe distanze circolavano solo pochi beni rari. A partire dall’età moderna, in seguito all’esplorazione e alla conquista dell’intero pianeta da parte degli europei, gli scambi a scala planetaria si sono accresciuti sempre di più e le nuove tecnologie hanno velocizzato i mezzi di trasporto. Infine, la telematica, ovvero l’applicazione dell’informatica alle telecomunicazioni, ha reso possibile trasmettere dati, notizie e immagini in tempo reale su scala planetaria, superando ogni confine fisico, culturale e politico. e le cosiddette Tigri). Mentre per l’Europa e gli Stati Uniti i valori d’importazione prevalgono nettamente sulle esportazioni, i Paesi dell’Asia orientale presentano flussi d’esportazioni decisamente superiori alle importazioni, determinando un avanzo commerciale. IL TURISMO Il turismo, cioè lo spostamento dal luogo di residenza in altre località per svago, interessi culturali, salute, riposo o desiderio di conoscere nuovi luoghi, è esistito fin dall’antichità. Con la Rivoluzione industriale e il formarsi di una ricca classe borghese il turismo ebbe un forte sviluppo, rendendo uso comune quello di trascorrere periodi di riposo in stazioni termali, in località balneari, sui laghi e in montagna. Si trattava ancora di un turismo d’élite, mentre il turismo di massa ha cominciato a diffondersi solo nel secondo dopoguerra. I FLUSSI TURISTICI E L’IMPATTO SUL TERRITORIO Tra le attività del settore terziario il turismo è quella con il maggior numero di addetti a livello mondiale, che continua a crescere anche in periodo di crisi. I flussi turistici principali sono quelli tra Paesi ricchi, in particolare tra l’Europa e gli Stati Uniti, ma sta crescendo esponenzialmente anche il turismo verso l’Asia. In Europa, l’Italia si situa tra i primi Paesi per numero di visitatori stranieri, soprattutto grazie alle spiagge, al suo patrimonio artistico e alle sue città d’arte. IL TURISMO E IL VIAGGIO Oggi il turismo si lega sempre di più al viaggio, che consiste nel visitare per proprio piacere un luogo diverso da quello di residenza abituale. Il viaggio risponde a stimoli di diverso tipo, sempre legati all’immagine del Paese che si sceglie di visitare. Particolarmente importante è l’immagine globale, che comprende quella paesaggistica e culturale, ma che spesso deriva da un cliché stereotipato e dunque è solo parziale. IL TURISMO CULTURALE Nell’attuale mondo globalizzato cresce l’interessa per la diversità e la specificità che ancora restano nei singoli Paesi. Tale interesse dà origine al turismo culturale, che ricerca tutto ciò che riguarda l’identità di luoghi e Paesi, dai monumenti allo stile di vita, fino alla cucina e al folklore. Il turista culturalmente motivato si dedica, oltre che alla visita dei monumenti celebri, anche alla visita dei centri minori, alla ricerca di un’esperienza completa. L’immagine dell’Italia è legata al concetto di cultura inteso non solo come patrimonio artistico-culturale-paesaggistico, ma anche di quello che è stato definito l’Italian Style of Life, con un’attenzione alle tradizioni e al patrimonio enogastronomico. GEOGRAFIA URBANA CITTÀ E URBANIZZAZIONE Le città sono i luoghi principali dell’interazione sociale, dello scambio e della produzione culturale, oltre ad essere il motore dell’economia globale. Negli ultimi sessant’anni, in particolare, le città sono cresciute a ritmo accelerato e oggi più della metà dei cittadini del mondo vive in un’area urbana. Ogni città svolge, a suo modo, la funzione di località centrale al servizio di un proprio hinterland (o area di gravitazione). Nonostante la loro grande varietà, tutte le città condividono alcune caratteristiche di base: un’elevata densità di popolazione; una certa dimensione demografica; una complessità di funzioni culturali, sociali ed economiche; una connessione con altri luoghi urbani. COME SI DEFINISCE UNA CITTÀ La definizione di una città viene effettuata in base alle dimensioni, ovvero al numero di abitanti. Un tempo esistevano solo le città nucleari, ovvero addensamenti urbani spesso circondati da mura e i cui confini coincidevano con quelli municipali (es. i Comuni italiani nel Rinascimento). Con l’industrializzazione, invece, le città nucleari si sono dilatate nella campagna circostante, diventando delle città estese, ovvero sistemi territoriali per lo più multicentrici, che uniscono anche più municipalità vicine. Oggi esistono diversi tipi di città estese: • Agglomerato urbano: è la zona urbanizzata formata dall’espansione a macchia d’olio di un centro urbano (se ha più di 10 milioni di abitanti si definisce mega-città) • Conurbazione: espansione a macchia d’olio di più agglomerati urbani vicini che si sono fusi tra loro • Aree urbane e aree metropolitane: più agglomerati vicini, separati da spazi non urbanizzati, che hanno intense relazioni tra loro • Megalopoli: insieme di aree urbane e metropolitane prossime e collegate tra loro. RETI URBANE E AREE METROPOLITANE Le città intrattengono con l’esterno scambi di materia, energia, popolazione, beni, servizi, denaro e informazioni. I flussi determinati da tali interscambi formano sul territorio delle reti, dette reti urbane (o città-rete) nelle quali le città costituiscono i nodi. Tali reti possono avere forme e dimensioni diverse, con maglie larghe nei Paesi con un’economia prevalentemente agricola e maglie molto fitte nelle regioni industrializzate. CRESCITA E DECRESCITA DELLA POPOLAZIONE URBANA Il termine urbanizzazione può indicare sia il processo che porta imprese e popolazioni a concentrarsi nelle aree urbane sia l’estendersi a sempre più vasti territori delle caratteristiche e dei modi di vita delle città. Quando si parla del grado di urbanizzazione di una regione ci si riferisce alla percentuale della popolazione residente nelle città (popolazione urbana), mentre il tasso di crescita urbana indica l’incremento annuo percentuale della popolazione urbana. Mentre nelle economie emergenti la popolazione continua ad accentrarsi, negli ultimi decenni del secolo scorso nei Paesi già economicamente sviluppati ha cominciato a manifestarsi il fenomeno della contro-urbanizzazione, che alcuni studiosi ritengono strettamente connesso alle nuove tendenze localizzative dell’industria tipiche della fase post-fordista, che privilegia i centri minori dove la vita è meno costosa. In alcuni casi la contro-urbanizzazione può sfociare in una vera e propria disurbanizzazione, segnando una decrescita demografica. In Italia, per esempio, negli anni Settanta e Ottanta si assistette ad una crescita demografica di molti centri urbani minori, mentre i maggiori comuni urbani, che avevano già vissuto la propria crescita negli anni Cinquanta e Sessanta, registrarono sensibili cali demografici. URBANO, RURALE E CITTÀ DIFFUSA Tradizionalmente, il termine urbano indica gli spazi limitati in cui la popolazione si concentra, mentre il termine rurale si riferisce a spazi dalla bassa densità abitativa, ovvero le campagne. Nei Paesi a economia avanzata, l’urbano tende ad espandersi nei territori rurali dando vita a una nuova tipologia di territorio, che si definisce rurbano. Un processo determinante nel trasformare i paesaggi rurali è quello della dispersione edilizia (urban sprawl), che si verifica quando il tasso di consumo di suolo dovuto all’espansione dell’area urbanizzata supera quello della crescita della popolazione. Si forma allora un tipo di urbanizzazione dispersa detto città diffusa, caratterizzato da una bassa densità di popolazione e dalla presenza di capannoni, allineamenti commerciali e villette unifamiliari intervallati da spazi liberi destinati all’agricoltura o alla ricreazione. FUNZIONI, GERARCHIE E SVILUPPO ECONOMICO LE FUNZIONE DELLA CITTÀ L’esistenza di una città è giustificata dal fatto che essa svolge delle funzioni, ossia delle attività che rispondono sia alle esigenze interne che a quelle esterne alla città stessa. Il raggio d’azione (detto anche portata) di tali funzioni può avere diversa ampiezza territoriale e ciò concorre a determinare l’importanza della città. A seconda delle funzioni esercitate si individuano diversi tipi di città: città commerciali, città-capitali (funzione politica), città-fortezze (funzione militare o religiosa), città produttive (città minerarie, della pesca o industriali), città universitarie, città d’arte, città del turismo. IL MODELLO DELLE LOCALITÀ CENTRALI La relazione tra una località centrale e la propria area di gravitazione è molto importante, in quanto dimostra l’esistenza di una gerarchia delle località centrali. Nel corso degli anni Trenta il geografo Walter Christaller ha formulato la cosiddetta teoria delle località centrali, basata su due concetti fondamentali: quello di portata, con cui si intende la distanza massima che un consumatore è disposto a percorrere per fruire di un bene o di un servizio, e quello di soglia, con cui ci si riferisce al numero minimo di utenti necessari per rendere vantaggiosa per i privati o non troppo onerosa per l’amministrazione pubblica l’offerta di un determinato bene o servizio. Dunque, affinché una località centrale sia in grado di offrire un certo servizio, essa deve avere una soglia minima, mentre se si supera la portata si crea una nuova località centrale e così via. Secondo il modello di Christaller, mentre all’inizio questo sviluppo è circolare, esso diventa esagonale qualora vi siano altre località centrali dello stesso rango nella stessa area, in modo da evitare di lasciare zone scoperte. I “MOTORI” ECONOMICI DELLA CRESCITA URBANA I “motori” della crescita urbana sono le attività economiche, che possono essere distinte in due grandi categorie: le attività locali, il cui raggio d’azione non va oltre l’immediato intorno territoriale della città, e le attività esportatrici, che hanno un raggio d’azione da regionale a internazionale e sono il vero fattore di crescita di una città, tanto da essere definite anche attività di base. Le città globali La globalizzazione ha trasformato il sistema mondiale della città, determinando l’ascesa e l’affermazione delle cosiddette città globali, ovvero città di grandi dimensioni in grado di influenzare in maniera determinante i flussi di informazioni, beni e capitali che circolano in tutto il mondo. La dimensione demografica non è un fattore determinante nella definizione di una città globale, tanto che sono relativamente poche le mega-città che sono anche città globali. Al contrario, è necessario che esse possiedano una certa centralità di rete ed un’eterogeneità di funzioni. LA STRUTTURA URBANA LA MORFOLOGIA URBANA La morfologia urbana è la forma fisica della città, che viene rivelata in una prima approssimazione dalla sua planimetria. Negli agglomerati tradizionali si individuano diversi tipi morfologici: le città lineari, tipiche di quei centri urbani che si sono sviluppati lungo una strada o lungo la costa, le piante a scacchiera e le piante radiocentriche. Spesso le città non presentano una morfologia omogenea, ma morfologie diverse che si sono giustapposte e talvolta sovrapporte nel corso della storia, dando luogo a cesure e discontinuità nel tessuto urbano. Inoltre, un esame morfologico completo deve tener conto del fatto che la città è uno spazio tridimensionale, per cui è necessario analizzare anche le volumetrie degli edifici e i passaggi sotterranei (es. metropolitane, stazioni e gallerie commerciali). ottiene solo se il gruppo umano è in grado di esercitare, anche con la forza, l’esclusiva sovranità sul suo territorio. In base ai principi del diritto internazionale che si sono affermati in seguito alla Pace di Westfalia (1648) e oggi universalmente accettati, gli Stati sono gli unici organismi a cui è riconosciuto il diritto di esercitare la completa sovranità sul territorio, sui cittadini e sui propri affari interni. Ciò, tuttavia, vale solo sul piano formale, sia poiché esistono Stati più forti in grado di imporre il loro controllo su Stati più deboli, sia perché negli anni si è affermato il principio che le organizzazioni sovranazionali possano limitare la sovranità degli Stati che violano i diritti umani o che minacciano gli interessi generali dell’organizzazione. STATO E NAZIONE Uno Stato è un’unità politica riconosciuta internazionalmente, caratterizzata da una popolazione stabile, confini definiti e un governo con la completa sovranità sul territorio, sugli affari interni e sulle relazioni internazionali. I cittadini che vivono all’interno di uno Stato costituiscono la nazione, in quanto sono dotati di un’identità collettiva che richiama una storia e un patrimonio culturale comuni e l’attaccamento allo stesso territorio. Dunque, anche se generalmente i termini Stato e nazione vengono considerati sinonimi, è importante invece sottolinearne le differenze (es. la nazione palestinese non è uno Stato). La maggior parte degli Stati nel mondo sono Stati multinazionali, al cui interno cioè vive una popolazione appartenente a due o più nazioni, mentre si parla invece di Stato-nazione quando i confini dell’entità statale coincidono con quelli della nazione. IMPERIALISMO E COLONIALISMO L'imperialismo e il colonialismo sono processi legati l'uno all'altro, ma non sono la stessa cosa. Mentre l’imperialismo è il controllo diretto o indiretto esercitato da uno Stato su un altro Stato o su un’altra entità politica territoriale, il colonialismo è una forma di imperialismo in cui lo Stato dominante prende possesso di un territorio straniero, occupandolo e governandolo direttamente. Molti stati hanno usato l'imperialismo e il colonialismo come strategia per espandere il proprio potere su terre e popoli lontani. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i popoli della maggior parte delle colonie si sollevarono per ottenere l'indipendenza e l'autodeterminazione, ovvero la possibilità di scegliere autonomamente il proprio stato politico. Tuttavia, esiste tuttora una certa dipendenza dei nuovi stati africani da quelli ex coloniali europei. LE CARATTERISTICHE GEOGRAFICHE DEGLI STATI I CONFINI Ogni Stato è costituito da un territorio ben definito, i cui limiti sono rappresentati da almeno un confine. I confini degli Stati che si affacciano sul mare non coincidono con la linea di costa, bensì vengono tracciati al largo per dividere le acque territoriali di uno Stato, considerate a tutti gli effetti parte del suo territorio, da quelle internazionali, accessibili a tutti. Negli ultimi decenni molti stati costieri o insulari hanno rivendicato il proprio diritto esclusivo di sfruttare le risorse marine di fronte alle proprie coste, spingendo per la creazione di zone economiche esclusive (ZEE). Per convenzione, i confini vengono sia descritti attraverso documenti legali sia tracciati sulle carte geografiche, oltre ad essere spesso senati anche fisicamente sul terreno. Esistono diversi tipi di confini: • Confini fisiografici: sfruttano le caratteristiche fisiche del terreno, come il corso di un fiume o una catena montuosa (es. il confine delle Alpi) • Confini geometrici: sono tracciati lungo linee rette che spesso seguono il percorso dei meridiani o dei paralleli (es. il confine tra Stati Uniti e Canada o quelli tra gli Stati africani) • Confini etnografici: vengono tracciati a partire da uno o più tratti culturali, come la religione, la lingua o l’etnia (es. il confine tra India e Pakistan) • Confini relitti: sono le tracce di un’antica linea di separazione di due entità territoriali oggi non più riconosciuta ufficialmente a causa di un’evoluzione delle divisioni politiche e territoriali in una certa area (es. la Grande Muraglia Cinese). ESTENSIONE E FORMA DEGLI STATI Gli Stati del mondo hanno una grande varietà di forme e dimensioni. Il più piccolo è la Città del Vaticano, che rientra nella categoria dei cosiddetti microstati, mentre il più grande è la Russia. L’Antartide è l’unica terra che, non essendo stata abitata in modo permanente, non appartiene a nessuno Stato. In base alla propria forma, gli Stati possono essere classificati in cinque categorie: • Compatti: configurazione territoriale di forma circolare • Allungati: configurazione territoriale lunga e stretta • Articolati: configurazione territoriale con una o più proiezioni verso l’esterno • Frammentati: configurazione territoriale divisa in due o più parti • Perforati: configurazione territoriale interrotta o penetrata da parte del territorio di un altro Stato. La frammentazione del territorio di uno Stato può generare delle enclave o delle exclave. Un’enclave è un territorio completamente circondato da uno Stato ma non controllato da esso (es. Città del Vaticano), mentre un’exclave è un territorio separato dallo Stato al quale appartiene da uno o più altri Stati (es. l’Alaska è separata dagli Stati Uniti dal Canada). FORZE CENTRIPETE E FORZE CENTRIFUGHE Tutti gli Stati devono confrontarsi con forze che possono mettere in discussione il loro assetto unitario e che si possono dividere in: • Forze centripete (o coesive): rafforzano il sentimento unitario di uno Stato (es. il crollo delle Torri Gemelle negli Stati Uniti) • Forze centrifughe (o disgregatrici): indeboliscono il sentimento unitario di uno Stato e possono causarne la disgregazione (es. i tentativi della Lega di effettuare una secessione della Padania nell’Italia del Nord). SEPARATISMO E DECENTRAMENTO Una tipologia di forza centrifuga è il separatismo, ovvero il desiderio di una nazione di staccarsi dallo Stato al quale appartiene, seguendo il proprio senso di identità. Il separatismo può essere evitato concedendo una maggiore autonomia o l’autogoverno regionale, che si realizza quando lo Stato centrale trasferisce una parte dei propri poteri a una comunità o a un territorio presenti al proprio interno, attuando un processo di decentramento. LE DIVISIONI TERRITORIALI INTERNE. CENTRALISMO, FEDERALISMO, SUSSIDIARIETÀ La maggior parte degli Stati è a sua volta suddivisa internamente, dal punto di vista politico- amministrativo, in territori più piccoli (stati, regioni, province, contee, cantoni etc.), che a loro volta possono dividersi in circoscrizioni minori fino alle singole municipalità. A grandi linee si hanno nel mondo due sistemi di governo prevalenti: • Federale: lo Stato delega parte del proprio potere alle entità politico-amministrative di scala subnazionale, che possono dotarsi di proprie leggi e attuare politiche in ambiti definiti dalla Costituzione dello Stato. Il riconoscimento delle autonomie alle comunità territoriali delle scale inferiori risponde al principio di solidarietà, secondo cui se un ente sotto-ordinato è in grado di svolgere certe funzioni, l’ente sovraordinato deve lasciargli questi compiti • Centralista: il potere è concentrato esclusivamente nelle mani del governo nazionale, che si occupa della produzione e dell’applicazione delle leggi e delle politiche in ogni parte del territorio, lasciando alle autorità locali competenze puramente amministrative. LA GEOGRAFIA ELETTORALE La geografia elettorale studia gli aspetti spaziali dei sistemi elettorali, le caratteristiche della divisione del territorio in distretti elettorali e le variazioni spaziali del voto. Nei sistemi maggioritari, nei quali in ogni circoscrizione viene eletto un solo candidato, i distretti elettorali devono avere più o meno la stessa popolazione e ciò rende talvolta necessario ridefinirne i confini, seguendo i cambiamenti demografici. Fa parte della geografia elettorale anche lo studio della distribuzione spaziale del voto tra i diversi partiti politici, in quanto generalmente esiste una correlazione tra il voto politico e le caratteristiche dei contesti regionali. LE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI E SOVRANAZIONALI A partire dal secolo scorso, l’internazionalismo ha generato lo sviluppo di strette relazioni politiche ed economiche tra gli Stati, fino a determinare la nascita delle istituzioni sovranazionali. Un’organizzazione (o istituzione) sovranazionale consiste nell’unione di più Stati che decidono di lavorare insieme per raggiungere specifici obiettivi economici, militari, culturali o politici. L’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) fu istituita nel 1945, dopo la Seconda guerra mondiale, con lo scopo di promuovere la pace nel mondo attraverso la costruzione di relazioni cooperative e l’uso della diplomazia per negoziare soluzioni pacifiche, qualora si presenti il rischio di conflitti internazionali. Oggi 193 Stati sui 205 presenti in tutto il mondo fanno parte dell’ONU, con l’eccezione della Città del Vaticano, presente solo con il ruolo di osservatore permanente ma di fatto neutrale. Una delle componenti più importanti dell’ONU è il Consiglio di sicurezza, che, a seconda dei casi, può proporre delle sanzioni contro un Paese oppure può ordinare l’invio di truppe di peacekeeping in un’area calda del mondo. L’UNIONE EUROPEA A differenza dell’ONU, che opera su scala globale, l’Unione Europea (UE) opera su scala regionale con lo scopo di favorire la cooperazione economica e la coesione territoriale e sociale tra i Paesi del continente europeo. A essa hanno aderito negli anni 28 Paesi, che hanno così accettato di abbandonare parte della propria sovranità in ambito economico, amministrativo e giudiziario. Essa esercita le proprie funzioni mediante diverse istituzioni: la Commissione europea, che detiene il potere esecutivo; il Parlamento europeo, che esercita il potere legislativo; il Consiglio dell’Unione Europea, formato dai ministri dei vari Stati; il Consiglio europeo, formato dai capi di governo dei vari Stati. Altre istituzioni fondamentali sono poi la Corte di giustizia dell’Unione Europea, la Corte dei conti europea e la Banca centrale europea. IL RESCALING Uno degli effetti della pressione competitiva esercitata dalla globalizzazione è il rescaling, ovvero la modifica delle aggregazioni politiche alle diverse scale territoriali. Un esempio è costituito dalla formazione di aggregazioni politico-amministrative sovracomunali, come le unioni di comuni o le unioni montane. LE TIPOLOGIE DI PRODOTTI CARTOGRAFICI CLASSIFICAZIONE DELLE CARTE GEOGRAFICHE Le carte geografiche possono essere classificate in base a diversi elementi: • Scala di riduzione: distinguiamo generalmente le carte a piccola scala, che hanno il denominatore più grande (maggiore di 150.000) e sono poco dettagliate, dalle carte a grande scala, che hanno il denominatore più piccolo (minore di 150.000) e sono più precise. A seconda della scala possiamo distinguere anche: o Piante e mappe (scala maggiore di 1:10.000): sono molto dettagliate e utilizzate per scopi pratici (es. rappresentazioni di proprietà rurali) o Carte topografiche (scala compresa fra 1:10.000 e 1:150.000): sono molto particolareggiate e utilizzate per scopi riguardanti l’uso e l’organizzazione del territorio (es. rappresentazioni di comuni e province) o Carte corografiche (scala compresa fra 1:150.000 e 1:1.000.000): sono più adatte alla conoscenza generale del territorio che non a scopi applicativi in quanto raffigurano aree abbastanza estese (es. rappresentazioni di regioni o Stati) o Carte geografiche (scala minore di 1:1.000.000): rappresentano aree molto estese come uno o più Stati o addirittura un continente. A tale gruppo appartengono anche i mappamondi (o più propriamente globi) e i planisferi • Contenuto: o Carte generali: sono a loro volta distinguibili in carte fisiche, carte politiche e carte fisico-politiche o Carte speciali: sono costruite per uno scopo preciso (es. carte idrografiche, carte aeronautiche, carte turistiche e carte geologiche) o Carte tematiche: mettono in risalto particolari aspetti fisici, biologici o antropici al fine di descrivere la distribuzione di un particolare fenomeno sul territorio (es. carte geomorfologiche, carte della vegetazione, carte antropologiche, carte economiche) • Metodo di costruzione: o Carte rilevate: sono costruite e disegnate basandosi su misure e osservazioni dirette eseguite sul terreno o Carte derivate: si ottengono dalle precedenti tramite semplificazioni e riduzioni. ALTRI PRODOTTI ATTINENTI ALLA CARTOGRAFIA Tra gli altri prodotti attinenti alla cartografia ma non propriamente classificabili come carte geografiche ricordiamo: le aerofotografie (o immagini da satellite), ovvero fotografie di ampie zone della superficie terrestre che però si differenziano dalle carte perché non rappresentano i fenomeni tramite simboli; i cartogrammi, ossia i grafici in cui su una base cartografica viene rappresentata mediante simboli, linee e colori la distribuzione di un fenomeno (es. distribuzione delle lingue); l’atlante, ovvero una raccolta sistematica di carte generali a piccola scala. UN CASO PARTICOLARE: I GIS Un caso a parte nella rappresentazione delle carte geografiche è costituito dai cosiddetti GIS (Geographical Information System) o SIT (Sistemi Informativi Territoriali). Si tratta di nuove tecnologie informatiche che semplificano il processo di rappresentazione della realtà e consentono di cogliere aspetti che prima non si riuscivano a gestire. Il loro successo è dovuto alla capacità di gestire dati geografici georeferenziati, cioè oggetti che possono essere univocamente identificati sulla superficie terrestre (es. fiumi, strade, città etc.) e la cui posizione è definita da coordinate geografiche. Gli oggetti geografici possono essere trattati da un GIS sotto forma di dati vettoriali o dati raster: il modello vettoriale è una struttura basata su un sistema di coordinate dai valori x, y in cui gli elementi geografici possono essere definiti come punti, linee o aree; il modello raster, invece, è una matrice di dati a celle in cui il valore di ogni cella rappresenta il valore dell’oggetto geografico. I GIS, inoltre, consentono la sovrapposizione di informazioni tra loro collegate in strati informativi (layers). I FENOMENI VULCANICI IL VULCANISMO Il vulcanismo è uno dei segni più evidenti dell’irrequietezza del nostro pianeta. Sulla Terra sono presenti quasi 600 vulcani attivi, ma se all’attività visibile in superficie si aggiungono le continue emissioni di lave sul fondo degli oceani (le cosiddette “dorsali oceaniche”) il numero cresce esponenzialmente, confermando il vulcanismo come un fenomeno di dimensioni planetarie. L’ATTIVITÀ VULCANICA Sebbene l’attività vulcanica possa manifestarsi in modi diversi, il vulcanismo è un fenomeno unitario e la sua distribuzione non è casuale, ma è direttamente collegata alle caratteristiche della crosta terrestre. Nel corso dei secoli, l’attività vulcanica ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione della crosta solida del pianeta (rocce ignee), dell’atmosfera e dell’idrosfera (gas e vapori dispersi). Dal punto di vista tecnico, il vulcanismo consiste nella risalita, dagli strati più interni della Terra, di materiali rocciosi allo stato fuso mescolati a gas e vapori ad altissime temperature e ad altissima pressione, che, giunti in superficie, si raffreddano rapidamente e si solidificano oppure si disperdono nell’atmosfera. Tali masse fuse si definiscono magma quando si trovano all’interno della Terra, mentre diventano lava quando, una volta fuoriusciti dal cratere vulcanico, perdono i gas. I MAGMI I magmi si originano all’interno della crosta terrestre e nella parte alta del mantello (tra i 15 e i 100 km di profondità), dove la fusione è consentita dalla presenza di particolari condizioni chimiche e fisiche, come l’aumento di temperatura, la diminuzione di pressione e l’arrivo di fluidi. Il processo di fusione avviene gradualmente: materiale in origine molto caldo, ma ancora solido, si trasforma in una massa di consistenza pastosa, al cui interno sono presenti minuscole gocce di magma che si separano da un residuo refrattario (cioè in grado di resistere ad alte temperature senza fondere o subire alterazioni). Quando un volume pari al 5-20% del materiale originario è fuso, le singole gocce trovano spazi sufficienti per muoversi e fondersi tra loro, creando una massa fusa che si muove verso l’alto per la sua minore densità rispetto ai materiali circostanti. A questo punto, la velocità di risalita della massa di magma dipende dalla sua viscosità, dal volume, dalla profondità della zona in cui si è originata e dalla temperatura delle rocce circostanti, per cui può essere rapida oppure rallentata. EDIFICI VULCANICI, ERUZIONI E PRODOTTI DELL’ATTIVITÀ VULCANICA LA FORMA DEGLI EDIFICI VULCANICI L’attività vulcanica sulla superficie terrestre dà origine a edifici vulcanici, che sono formati da: • Bacino magmatico (o camera magmatica): è posto all’interno della crosta terrestre ed è il luogo in cui si raccoglie il magma in risalita (fra 2 e 10 km) • Condotto (o camino): mette in comunicazione il bacino magmatico con l’esterno • Cratere: è lo sbocco del camino sulla superficie terrestre. La forma di un edificio vulcanico dipende dal tipo di materiale eruttato e rappresenta un’importante informazione sulla natura del vulcano stesso. Distinguiamo fondamentalmente due tipi di vulcani: • Vulcani-strato: sono caratterizzati da un’attività mista, che alterna fasi di effusioni laviche con periodi di emissioni esplosive di frammenti di lava, che si depositano intorno al cratere dando origine alle piroclastiti (ceneri, lapilli e bombe vulcaniche) e generando edifici, i cosiddetti vulcani composti, che assumono una tipica forma a cono. Parte della lava può solidificare nelle fratture del cono in collegamento con il condotto centrale, creando delle nervature che rafforzano l’edificio, i cosiddetti dicchi (o filoni radiali) • Vulcani a scudo: sono caratterizzati da eruzioni effusive con lave molto fluide e in grado di scorrere per molti kilometri in larghe colate basaltiche prima di solidificarsi, generando così edifici dalla forma appiattita. Alla sommità si può formare, per collasso, una caldera, all’interno della quale il condotto può aprirsi con un cratere a pozzo dalle pareti verticali. I DIVERSI TIPI DI ERUZIONE I fattori che influenzano il tipo di eruzione sono: la viscosità del magma, che è alta nei magmi acidi, da cui hanno origine lave riolitiche, mentre è bassa nei magmi basici, da cui hanno origine lave basaltiche; il contenuto in aeriformi, soprattutto acqua. La combinazione di questi fattori determina: • Attività effusiva dominante (magma fluido e contenuto in acqua variabile): o Eruzioni di tipo hawaiano: tipiche dei vulcani a scudo, sono caratterizzate da abbondanti effusioni di lava molto fluida e spesso portano alla formazione di caldere sulle sommità degli edifici vulcanici o Eruzioni di tipo islandese: sono caratterizzate da lava molto fluida, che fuoriesce da lunghe fessure invece che da un edificio centrale e porta alla formazione di vasti espandimenti lavici basaltici quasi orizzontali (plateaux basaltici) • Attività effusiva prevalente (magma meno fluido): o Eruzioni di tipo stromboliano: sono caratterizzate da lava meno fluida, che ristagna periodicamente nel cratere, dove forma una crosta solida al di sotto della quale si accumulano i gas che si liberano dal magma. Nel giro di un’ora o anche solo di pochi minuti, la pressione dei gas aumenta e distrugge la crosta, provocando modeste esplosioni che lanciano in aria brandelli di lava fusa • Attività mista o effusiva-esplosiva (magma viscoso e contenuto in aeriformi elevato): o Eruzioni di tipo vulcanico: sono simili a quelle di tipo stromboliano, ma sono caratterizzate da lava più viscosa, che si solidifica nella parte alta del condotto formando un tappo di grosso spessore. I gas si liberano più lentamente a causa di questa difficoltà e lo fanno con un’esplosione violentissima o Eruzioni di tipo pliniano (o vesuviano): sono caratterizzate da un’esplosione iniziale estremamente violenta, che svuota un gran tratto del condotto superiore con lava molto viscosa consentendo al magma di risalire con grande velocità e di uscire dal cratere, dissolvendosi in una gigantesca nube o Eruzioni di tipo peléeano: sono caratterizzate da lava ad altissima viscosità e a temperatura relativamente bassa, che esce dal condotto già quasi solida formando cupole o torri. Dalla base escono anche grandi nuvole di gas e vapori, roventi e molto dense (nubi ardenti discendenti), che scendono come valanghe lungo le pendici del vulcano e si espandono su vaste aree con grande velocità • Attività solo esplosiva (interazione tra magma e acqua): o Eruzioni di tipo idromagmatico: sono caratterizzate dall’interazione tra il magma e l’acqua che permea le rocce. Il brusco passaggio dell’acqua allo stato di vapore genera enormi pressioni che possono far saltare l’intera colonna di rocce sovrastanti. o Superficiali: con profondità tra 0 e 70 km o Intermedi: con profondità tra 70 e 300 km o Profondi: con profondità oltre 300 km. • Epicentro: è la zona di superficie che viene raggiunta per prima dalle onde sismiche e corrisponde verticalmente all’ipocentro. IL MODELLO DEL RIMBALZO ELASTICO Nel 1906 si verifica il terremoto di San Francisco, che, oltre a provocare effetti disastrosi, viene accompagnato da vistosi movimenti del territorio lungo la faglia di San Andreas, una profonda lacerazione nella crosta terrestre che attraversa per quasi 1.000 km la California meridionale. Dopo aver studiato nello specifico il terremoto di San Francisco, il sismologo Harry F. Reid ha elaborato il modello del rimbalzo elastico. Secondo questa teoria, nell’interno della Terra volumi più o meno grandi di rocce subiscono una deformazione elastica, finché le rocce non si rompono generando una faglia. Lungo la superficie della faglia, le rocce ritornano bruscamente al loro equilibrio con un rimbalzo elastico caratterizzato da violente oscillazioni. Tale perturbazione si propaga nelle aree circostanti e l’energia elastica accumulata si libera in parte sotto forma di calore, per l’attrito lungo la faglia, e in parte sotto forma di vibrazioni, che generano il terremoto. IL CICLO SISMICO In base alla teoria del rimbalzo elastico, una zona in cui si è appena manifestato un terremoto ha raggiunto un nuovo equilibrio, un periodo di tranquillità, ma il perdurare delle forze tettoniche che deformano la crosta accumulerà nel tempo nuova energia fino alla manifestazione di una nuova crisi sismica. Questo processo viene definito ciclo sismico e si divide in più stadi: 1. Stadio inter-sismico: le rocce si caricano di energia 2. Stadio pre-sismico: le rocce subiscono leggere deformazioni con scosse di preallarme di piccola entità 3. Stadio co-sismico: l’energia si libera sotto forma di scossa 4. Stadio post-sismico: l’area colpita si avvia verso un nuovo equilibrio attraverso scosse di assestamento meno intense. PROPAGAZIONE E REGISTRAZIONE DELLE ONDE SISMICHE DIFFERENTI TIPI DI ONDE SISMICHE I movimenti all’ipocentro producono differenti tipi di deformazioni, cui corrispondono differenti tipi di onde. Inoltre, la struttura della Terra, con l’alternarsi di materiali diversi, provoca, nelle onde che si propagano, fenomeni di rifrazione e riflessione. Ne consegue che in superficie arrivano diversi tipi di onde, ciascuna caratterizzata da determinate frequenze: • Onde profonde (o interne o di volume): o Onde longitudinali o di compressione (P): al loro passaggio, la roccia si contrae e si dilata in senso orizzontale nella stessa direzione di propagazione dell’onda e subisce variazioni di volume. Si propagano in ogni mezzo e sono le onde più veloci (4-8 km/s), per cui sono dette anche onde prime (o onde P) o Onde trasversali o di taglio (S): al loro passaggio, la roccia oscilla in senso trasversale alla direzione di propagazione dell’onda e subisce variazioni di forma ma non di volume. Non si propagano nei fluidi e sono meno veloci (2,3-4,6 km/s), per cui sono dette anche onde seconde (o onde S) • Onde superficiali: si generano quando le onde interne giungono in superficie e si propagano a partire dall’epicentro smorzandosi rapidamente con la profondità. Sono più lunghe e più lente delle onde interne e se ne distinguono due tipi: o Onde di Rayleigh (R – movimento sussultorio): le particelle compiono orbite ellittiche in un piano verticale lungo la direzione di propagazione o Onde di Love (L – movimento ondulatorio): le particelle oscillano trasversalmente alla direzione di propagazione solo sul piano orizzontale. Le interferenze In superficie non arrivano solo le onde che hanno effettuato un percorso diretto, ma anche le onde che hanno seguito percorsi più complessi, rimbalzando più volte all’interno della Terra. È possibile che si manifestino anche effetti di interferenza in cui due onde distinte, ma di uguale forma e periodo, si sommano producendo un’onda più ampia. Le interferenze sono dovute a due fenomeni: • Riflessione: l’onda rimbalza e torna a propagarsi nello stesso materiale alla stessa intensità e allo stesso angolo, ma con diversa direzione • Rifrazione: l’onda subisce una deviazione nel passaggio da un mezzo all’altro, per cui l’angolo varia e si accentua quanto più è diversa la densità dei due mezzi (es. acqua→aria). COME SI REGISTRANO LE ONDE SISMICHE I movimenti del suolo durante un terremoto vengono raccolti dai sismologi e registrati in grafici chiamati sismogrammi, grazie ai quali è possibile ricavare informazioni sulla durata e la forza del terremoto, sulla posizione dell’epicentro e dell’ipocentro e sulla struttura interna della Terra. LA “FORZA” DI UN TERREMOTO La sismologia ha fornito un primo strumento per valutare la forza di un terremoto con la proposta delle scale d’intensità, basate sullo studio degli effetti del terremoto. In seguito, con l’introduzione delle registrazioni strumentali, a tali tipi di scale è stata affiancata la valutazione della magnitudo, che meglio può definire la forza del terremoto, indipendentemente dagli effetti con cui si manifesta in superficie. Intensità e magnitudo non sono in competizione, in quanto vengono impiegate contemporaneamente per fornire informazioni diverse. L’INTENSITÀ DI UN TERREMOTO: LA SCALA MCS L’intensità è la valutazione degli effetti prodotti da un sisma sulle persone, sui manufatti e sul territorio. Questi dati, che vengono definiti dati macrosismici, vengono rilevati attraverso opportuni questionari, che registrano i danni e le reazioni delle persone nelle aree soggette al sisma. Ne deriva che ad ogni area viene assegnato un grado d’intensità che risulta massimo nell’area epicentrale e via via decrescente in località sempre più lontane. I valori d’intensità, inoltre, possono essere usati per ottenere rappresentazioni cartografiche degli effetti di un terremoto attraverso il tracciamento delle cosiddette isosisme, ovvero delle linee di confine che delimitano le zone in cui il terremoto si è manifestato con intensità diverse. Attualmente, la scala d’intensità più usata in Europa e in America è la scala MCS (Mercalli-Càncani-Sieberg), divisa in 12 gradi, in cui l’intensità viene stabilita esclusivamente in base alla valutazione degli effetti prodotti dal terremoto su persone, su manufatti e sul terreno. LA MAGNITUDO DI UN TERREMOTO: LA SCALA RICHTER La magnitudo è la valutazione della “grandezza” di un terremoto rispetto ad un terremoto standard preso come riferimento. Si calcola a partire dai sismogrammi confrontando l’ampiezza massima delle onde registrate da un sismogramma relativo a quel terremoto con l’ampiezza massima delle onde fatte registrare da un terremoto scelto come riferimento. Come riferimento si è scelto un terremoto che produce su un sismografo posto a 100 km dall’epicentro un sismogramma con oscillazioni massime uguali a 0,001 mm. La scala della magnitudo, anche detta scala Richter dal nome del sismologo che l’ha introdotta, è logaritmica: a un aumento di una unità della magnitudo corrisponde un aumento di un fattore 10 nell’ampiezza del movimento del terreno: M = log₁₀ ! !₀ . GLI EFFETTI DEL TERREMOTO L’arrivo delle onde sismiche in superficie determina un’oscillazione complessa del suolo, che viene trasmessa agli oggetti sovrastanti. In particolare, i danni agli edifici sono provocati soprattutto dai movimenti orizzontali del suolo, ma anche da numerosi altri fattori, come la durata delle oscillazioni (generalmente da 20 secondi a 1 minuto), il tipo di costruzioni (la presenza o meno di edifici antisismici) e la natura geologica del terreno su cui poggiano (può modificare il comportamento di propagazione delle onde sismiche). Altre volte sono le caratteristiche di certi terreni a modificarsi: alcuni di essi, a causa delle vibrazioni, subiscono un fenomeno detto liquefazione e perdono ogni consistenza, per cui gli edifici sovrastanti affondano in essi. Tra gli altri effetti del terremoto considerati primari ricordiamo poi la formazione di fratture nel terreno e il sollevamento o l’abbassamento del suolo, che provocano dislivelli lungo strade e ferrovie e possono deviare il corso dei fiumi. GLI TSUNAMI Se il terremoto si verifica sotto il fondo del mare, nelle zone costiere si possono risentire gli effetti di un maremoto, chiamato anche tsunami. Quando il movimento della faglia che provoca il terremoto fa sollevare o abbassare bruscamente un tratto del fondo del mare, l’oscillazione di quest’ultimo provoca nella massa d’acqua sovrastante onde molto lunghe, che si propagano a velocità elevatissime (500-900 km/h). Giunte in prossimità della costa, le onde possono raggiungere i 30 m di altezza, travolgendo ogni ostacolo e trascinandolo poi in mare con l’onda di ritorno. LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI TERREMOTI Così come per i vulcani, anche la distribuzione dei terremoti sulla superficie del pianeta non è casuale e gli epicentri risultano allineati secondo fasce ben definite dal punto di vista geografico e geologico, che coincidono con: le dorsali oceaniche, caratterizzate da terremoti con ipocentri superficiali; le fosse oceaniche, con ipocentri da superficiali a profondi allineati lungo la superficie di Benioff; le catene montuose di recente formazione, con ipocentri da superficiali a intermedi. Esiste inoltre una sismicità legata a vulcanismo. I terremoti vulcanici (tremori) sono vibrazioni del terreno prodotte dal movimento del magma in risalita entro la crosta e nel condotto vulcanico. LA DIFESA DAI TERREMOTI La conoscenza dei fenomeni sismici è il presupposto per la difesa dal rischio sismico. Le vie seguite per la previsione dei sismi includono: • Previsione deterministica: analisi dei fenomeni precursori, cioè gli eventi che si ritiene precedano un terremoto, come la dilatanza delle rocce o un brusco aumento del gas radon disciolto nelle falde • Previsione statistica: studio e individuazione delle zone sismiche e della frequenza con cui i terremoti si presentano in queste aree soprattutto grazie allo strumento fondamentale dei cataloghi sismici, che contengono dati caratteristici di tutti i terremoti di cui si è avuta notizia o di cui è disponibile la registrazione strumentale • Crosta continentale: o Spessore: è più spessa della crosta oceanica (in media 35 km, ma arriva anche a 60- 70 km in corrispondenza delle catene montuose) o Quote medie della superficie: è più alta di oltre 4.000 m rispetto alla crosta oceanica o Età delle rocce: compaiono rocce di ogni età, fino a 4 miliardi di anni fa o Natura delle rocce e loro giacitura: ha una composizione eterogenea, con profonde deformazioni in cui si affiancano diversi tipi di rocce (sedimentarie, magmatiche e metamorfiche). Sebbene più antica rispetto alla costa oceanica, la crosta continentale non è una struttura permanente ed ha avuto una complessa evoluzione dominata dall’orogenesi, ovvero il processo di formazione delle grandi catene montuose ancora in atto. Ricostruendo la storia della Terra si è giunti alla conclusione che la crosta continentale si divide in: • Aree cratoniche (o cratoni): più antiche e stabili da molto tempo, non sono interessate da processi di orogenesi e si distinguono in: o Scudi: più antichi, sono ampie pianure debolmente bombate verso l’alto e non sono mai state ricoperte dal mare nell’ultimo miliardo di anni o Tavolati: circondano gli scudi e sono ampie aree pianeggianti con rocce sedimentarie, testimonianze di lunghi periodi di sommersione marina alternati a fasi di emersione • Fasce orogeniche (o orogeni): hanno subìto processi di orogenesi in tempi recenti (negli ultimi 500 milioni di anni) e con effetti vistosi, come l’ispessimento della crosta. L’ISOSTASIA Come abbiamo visto, la crosta “galleggia” sul mantello sottostante grazie alla sua minore densità media, affondando più o meno in esso a seconda del suo spessore. La tendenza della crosta a raggiungere una posizione di equilibrio attraverso il fenomeno del galleggiamento viene definita isostasia. In base ad essa, ogni variazione dello spessore della crosta si traduce in movimenti verticali verso l’alto e verso il basso, chiamati aggiustamenti isostatici. L’ESPANSIONE DEI FONDI OCEANICI LA TEORIA DI WEGENER: LA DERIVA DEI CONTINENTI All’inizio del secolo scorso si sono diffuse numerose teorie “mobiliste”, secondo le quali i continenti sarebbero in grado di muoversi lungo la superficie, creando spazi per nuovi oceani e facendone scomparire di vecchi. Tra queste teorie la più affermata è quella dello scienziato Alfred Wegener (1912), secondo cui, circa 200 milioni di anni fa, vari lembi di crosta oggi separati si trovavano uniti in un unico grande continente, detto Pangèa, circondato da un unico grande oceano, detto Pantàlassa. A partire da allora, la Pangèa si sarebbe smembrata in più parti (Americhe, Africa, Eurasia, India, Australia, Antartide) che si sarebbero allontanate sempre più tra loro secondo un meccanismo noto come deriva dei continenti. Questa teoria è stata a lungo contestata, ma negli anni Sessanta la diffusione di mezzi e tecniche più avanzate ha portato a scoprire che la crosta oceanica è in continua evoluzione, si rinnova e si consuma attraverso il meccanismo dell’espansione dei fondali oceanici. LE DORSALI OCEANICHE Sul fondo degli oceani è presente un sistema di dorsali sommerse lungo complessivamente 60.000 km. Le dorsali oceaniche sono una lunghissima fascia di crosta oceanica, ampia da 1.000 a 4.000 km, inarcata verso l’alto, con una sommità che raggiunge i 2-3.000 m di altezza rispetto al fondo oceanico. Si tratta, dunque, di una specie di cicatrice in rilievo che dal Mar Glaciale Artico serpeggia attraverso l’Atlantico, l’Indiano e il Pacifico meridionale e orientale con alcune diramazioni. La cresta delle dorsali è percorsa da un profondo solco longitudinale, detto rift valley, che in qualche punto arriva persino ad emergere dalla superficie del mare. Peraltro, esiste un altro sistema di fratture, trasversale rispetto all’asse della rift valley, che disarticola le dorsali in segmenti, ciascuno dei quali risulta spostato rispetto a quelli contigui. Tali fratture vengono chiamate faglie trasformi e uno degli esempi più famosi è la faglia di San Andreas, che collega due tratti di dorsale oceanica in California. Lungo le spaccature che delimitano la rift valley risale continuamente dal mantello magma che fuoriesce da numerosi punti sul fondo del mare e solidifica come roccia basaltica, formando una nuova crosta con la tipica struttura “a cuscino” a causa del brusco raffreddamento a contatto con l’acqua. Sul fondo della rift valley si possono trovare spesso anche sorgenti idrotermali che sgorgano con getti caldissimi: si tratta dei cosiddetti fumaioli neri, così chiamati per il colore del getto dovuto alla presenza di solfuri disciolti. LE FOSSE ABISSALI I fondali oceanici presentano anche un altro tipo di struttura, caratterizzata da un’intensa attività: sono le fosse oceaniche, ovvero depressioni del fondo oceanico lunghe migliaia di km e profonde più di 10.000 m. Questi sistemi arco-fossa sono accompagnati da fenomeni di sismicità e vulcanismo. Mentre l’attività vulcanica è localizzata ad una certa distanza dalla fossa, nel cosiddetto arco vulcanico, ed è di tipo altamente esplosivo, l’attività sismica vede gli ipocentri distribuiti su una superficie inclinata, detta piano di Benioff. ESPANSIONE E SUBDUZIONE Sulla base di quanto detto finora, l’ipotesi dell’espansione dei fondi oceanici (1960) prevede che lungo la rift valley delle dorsali si formi continuamente nuova litosfera e che i due fianchi delle dorsali si allontanino reciprocamente. Contemporaneamente, nelle fosse oceaniche altra litosfera, ormai fredda e densa, sprofonda del mantello per mezzo di un meccanismo detto subduzione e viene riciclata. Globalmente, la nuova litosfera che viene prodotta in corrispondenza delle dorsali bilancia la vecchia, che viene riciclata nelle fosse. LE ANOMALIE MAGNETICHE SUI FONDI OCEANICI Una conferma dell’espansione dei fondi oceanici e della loro progressiva consunzione è rappresentata dalla distribuzione a fasce alternativamente positive e negative delle anomalie magnetiche registrate sui fondi oceanici. La presenza di due tipi di anomalie evidenzia che la crosta oceanica non si sia formata tutta insieme, ma in tempi diversi. LA TETTONICA DELLE PLACCHE LE PLACCHE LITOSFERICHE Tutti i dati presi in esame finora hanno portato, alla fine degli anni Sessanta, alla formulazione di una teoria globale sull’evoluzione del pianeta, la Tettonica delle placche, che prende in esame il comportamento della litosfera. Secondo questo modello, la litosfera è suddivisa in una ventina di placche di varie dimensioni, tra cui ne spiccano sei molto vaste. Le placche possono essere formate da sola litosfera oceanica (come la placca del Pacifico), da sola litosfera continentale (come la placca euroasiatica) o da entrambe (come la placca africana). Ogni placca viene divisa dalle altre attraverso dei margini, che possono essere di tre tipi: • Margini costruttivi: sono le dorsali oceaniche, lungo le quali si costruisce nuova litosfera oceanica • Margini distruttivi: sono le fosse oceaniche, lungo le quali la litosfera viene distrutta nel processo di subduzione • Margini conservativi: sono alcune grandi faglie trasformi, lungo le quali due placche scorrono l’una a fianco all’altra in direzioni opposte senza causare variazioni di volume nella litosfera. L’OROGENESI Il movimento delle placche provoca la profonda deformazione di interi settori di crosta, causando l’innesco di fenomeni di orogenesi. Il processo di orogenesi può avvenire secondo tre meccanismi: • Consunzione di crosta oceanica in subduzione: se un continente, nel suo galleggiare, finisce per trovarsi a ridosso di una fossa oceanica, esso non entra in subduzione come farebbe la litosfera oceanica, in quanto la litosfera continentale è meno densa e riesce a galleggiare sul mantello. In tal caso, è la crosta oceanica della placca antistante a infilarsi sotto la placca continentale accrescendo lo spessore della crosta continentale e innescando il processo di orogenesi (es. Catena delle Ande in Sudamerica) • Collisione continentale: dopo che la crosta oceanica della placca antistante si è infilata sotto la placca continentale formando una catena montuosa, se la placca che sta sprofondando comprende anche un continente, esso finisce inevitabilmente per arrivare alla fossa causando una collisione continentale. I due continenti si saldano facendo aumentare lo spessore della crosta e creando un’altra catena montuosa (es. Catena dell’Himalaya in Asia) • Accrescimento crostale: se una placca oceanica ricca di frammenti di crosta di varia natura (isole, vulcani sottomarini estinti) finisce per trovarsi a ridosso di una fossa oceanica, mentre la placca oceanica va in subduzione, i frammenti finiscono per accavallarsi al margine del continente antistante formando una catena montuosa che amplia le dimensioni del continente (es. Catene montuose costiere dell’Alaska in America). IL CICLO DI WILSON Fosse e dorsali possono distruggersi nel tempo a causa di mutamenti nei moti del mantello. Tuttavia, questi stessi mutamenti possono far nascere una nuova dorsale e un nuovo oceano in tre stadi: 1. Stadio embrionale: grandi volumi di materiale caldo in risalita nel mantello arrivano al di sotto di un punto della litosfera, che si inarca fino a fratturarsi, facendo fuoriuscire dalle spaccature il magma proveniente dall’interno della Terra (es. Great Rift Valley in Africa) 2. Stadio giovanile: i due margini continentali si allontanano e la lava che continua a risalire forma una prima striscia di nuova crosta oceanica, mentre le acque dei mari vicini cominciano ad invadere la depressione che si apre formando un nuovo oceano (Es. Mar Rosso tra Africa e Arabia) 3. Stadio di maturità: l’oceano di amplia e i due frammenti di continente si allontanano (es. Oceano Atlantico, nato dal distacco progressivo delle Americhe dall’Europa e dall’Africa). L’incessante movimento delle placche, che costringe ciclicamente i lembi di crosta continentale a saldarsi fino a formare un supercontinente, che ben presto gli stessi movimenti frammentano in nuovi continenti in separazione e in movimento verso nuove collisioni viene definito ciclo di Wilson. LA VERIFICA DEL MODELLO Come abbiamo già accennato, i fenomeni vulcanici e sismici sono strettamente connessi alla Tettonica delle placche: il vulcanismo effusivo e i terremoti superficiali sono associati alle dorsali oceaniche, dove si verifica la fusione parziale del mantello in risalita e l’attivazione di faglie lungo la rift valley; mare, alla latitudine di 45° e alla temperatura di 0°C, la pressione atmosferica fa equilibrio ad una colonnina verticale di mercurio alta 760 mm e con sezione uniforme di 1 cm². Questo valore rappresenta l’unità di pressione (o pressione normale) e prende il nome di atmosfera. L’unità di misura più usata in meteorologia per misurare la pressione atmosferica è il millibar (mb), mentre nel Sistema Internazionale l’unità di misura è il pascal (Pa), ossia la pressione esercitata dalla forza di 1 newton sulla superficie di 1 m². COME VARIA LA PRESSIONE ATMOSFERICA La pressione atmosferica varia da luogo a luogo in funzione di fattori geografici e fattori meteorologici: l’altitudine, che riduce lo spessore della colonna d’aria sovrastante la superficie causando una diminuzione della pressione; la temperatura, in quanto l’aria calda si dilata diminuendo il proprio peso per unità di superficie, mentre l’aria fredda si contrae aumentando il proprio peso; la quantità di vapore acqueo contenuta nell’aria, al cui aumentare si verifica una diminuzione della temperatura. La distribuzione della pressione sulla superficie terrestre viene riportata sulle carte geografiche per mezzo delle isobare, cioè linee che uniscono i punti di egual pressione riportata a livello del mare, alla temperatura di 0°C e alla gravità normale. Le isobare delimitano due tipi di zone: le aree ad alta pressione (i cosiddetti anticicloni) in cui l’aria, densa e pesante, si sposta verso il basso e tende a divergere con moto vorticoso verso le aree di bassa pressione; e le aree a bassa pressione (i cosiddetti cicloni) in cui l’aria, più leggera, si sposta verso l’alto e converge vorticosamente al centro. LE DIVERSITÀ DI PRESSIONE E I FLUSSI DEI VENTI Le differenze nella distribuzione orizzontale della pressione producono i venti, ossia flussi d’aria che si verificano per ristabilire l’equilibrio barico. Infatti, l’aria cerca di giungere spontaneamente ad avere una pressione uguale a quella che la circonda, con spostamenti dalle zone di alta pressione alle zone di bassa pressione. I venti sono tanto più veloci quanto maggiore è il gradiente barico orizzontale, ossia il rapporto tra la differenza di pressione esistente tra due punti e la distanza che li separa. Esistono venti che, a causa di squilibri barici causati dal differente comportamento termico delle terre e delle acque, possono spirare alternativamente in direzioni opposte. È il caso di: • Brezze: venti con ritmo diurno e notturno, spirano dal mare verso la terra di giorno (brezza di mare) e dalla terra verso il mare di sera (brezza di terra) • Monsoni: venti con ritmo stagionale, spirano dal mare verso il continente nel semestre estivo, portando piogge copiosissime, e dal continente verso il mare nel semestre invernale, durante il quale sono freddi e secchi (es. Oceano Indiano). CIRCOLAZIONE GENERALE DELL’ATMOSFERA Nell’esaminare l’andamento generale delle pressioni e dei venti su tutta la superficie terrestre, occorre fare una distinzione fra quanto avviene nella bassa troposfera, dove la circolazione delle masse d’aria è fortemente influenzata dalla presenza di mari, terre emerse e rilievi montuosi, e quanto si verifica invece nelle parti più alte della troposfera, dove queste influenze sono trascurabili. La circolazione generale nella bassa troposfera è caratterizzata, in ciascun emisfero, da tre sistemi di venti: • Alisei: spirano dalle alte pressioni subtropicali e convergono alle basse pressioni equatoriali • Venti occidentali: spirano dalle alte pressioni subtropicali alle basse pressioni subpolari • Venti orientali polari: spirano dalle alte pressioni polari alle basse pressioni subpolari. La circolazione nell’alta troposfera, a partire da quote di 3.000-5.000 km, è zonale e caratterizzata da correnti occidentali che scorrono nei due emisferi, separate da una ristretta zona intertropicale di correnti orientali. Mentre le correnti occidentali sono masse d’aria che si muovono dalle alte pressioni equatoriali alle basse pressioni polari, subendo una totale deviazione verso Ovest a causa delle alte quote (5.000 m), le correnti orientali sono considerate riflesso ad alta quota degli alisei. L’UMIDITÀ DELL’ARIA E LE PRECIPITAZIONI Il vapore acqueo presente nell’atmosfera proviene prevalentemente dall’evaporazione del mare e dalla traspirazione delle piante, due processi i cui effetti determinano l’umidità atmosferica. L’umidità assoluta è la quantità (in grammi) di vapore acqueo nell’unità di volume di aria (1 m³) in un dato momento e punto dell’atmosfera. Essa aumenta con la temperatura e tende a diminuire con l’altitudine, ma non può mai superare il limite di saturazione, ovvero la quantità massima di vapore acqueo che l’aria è in grado di contenere ad una determinata temperatura. L’umidità relativa (in percentuale) è invece il rapporto tra l’umidità assoluta dell’aria a una certa temperatura e il suo limite di saturazione alla stessa temperatura. IL RITORNO DELL’ACQUA AL MARE E ALLE TERRE: PIOGGE, NEVE E GRANDINE Quando l’aria è satura, ogni eccesso di vapore provoca la condensazione (passaggio dell’acqua dallo stato aeriforme allo stato liquido) o la sublimazione (passaggio dell’acqua dallo stato aeriforme allo stato solido) di quest’ultimo e la formazione di goccioline d’acqua o di ghiaccio, che originano: • Nubi: si formano ad altezze elevate, fino ai limiti della troposfera, assumendo forme e dimensioni differenti e sono soggette a continui processi di movimento e disfacimento • Nebbie: si formano in prossimità del suolo quando l’aria umida si trova a contatto con superfici fredde. Quando le gocce d’acqua o di ghiaccio raggiungono dimensioni cospicue, che non possono più essere trattenute dall’aria, esse danno origine alle precipitazioni, che però non vengono generate da tutte le nubi, ma solo da quelle con un notevole spessore verticale, come i cumulonembi. La distribuzione delle precipitazioni sulla superficie terrestre viene rappresentata sulle carte geografiche mediante le isoiete, cioè linee che congiungono tutti i luoghi con uguali precipitazioni medie (annue, mensili o stagionali). La distribuzione delle precipitazioni nell’arco dell’anno viene definita regime pluviometrico e se ne distinguono diversi tipi: • Equatoriale: con precipitazioni distribuite nell’anno • Subequatoriale: con stagioni asciutte e stagioni umide • Tropicale: con un periodo piovoso solstiziale e uno asciutto • Monsonico: con un periodo piovoso estivo e uno asciutto invernale • Mediterraneo: con un’estate asciutta e un inverno piovoso • Marittimo: con piogge in tutte le stagioni e concentrazioni invernali • Continentale: con piogge in tutte le stagioni e concentrazioni estive • Polare: con scarse precipitazioni, per lo più solide e concentrate in estate e in autunno. TEMPO ATMOSFERICO E PERTURBAZIONI CICLONICHE Il tempo atmosferico è il complesso delle condizioni fisiche che caratterizzano l’atmosfera in un dato momento e in un determinato luogo. È regolato da cicloni temporanei e anticicloni temporanei, che producono perturbazioni del meteo, a differenza di quelli permanenti, che determinano condizioni stabili. Tra le più importanti perturbazioni ricordiamo: • Cicloni tropicali: sono i più violenti fenomeni meteorologici che si verificano sulla Terra. Hanno origine in prossimità dell’Equatore e si spostano da Est a Ovest. Sono accompagnati da intense precipitazioni e da venti velocissimi. Le regioni più colpite sono l’Oceano Pacifico occidentale (Cina e Giappone) e l’Atlantico settentrionale (Golfo del Messico) • Cicloni extratropicali: interessano le medie latitudini e sono dovuti all’incontro di masse d’aria calda tropicale con masse d’aria fredda polare. Ad essi è legato l’andamento generale del tempo nelle nostre regioni. L’importanza dello studio dell’atmosfera è oggi soprattutto legata al problema dell’inquinamento atmosferico, causato dall’emissione nell’aria di alcuni gas inquinanti come l’anidride solforosa (piogge acide), il monossido di carbonio, il protossido di azoto (buco nell’ozono) e l’anidride carbonica. IL CLIMA E LA BIOSFERA DAL TEMPO ATMOSFERICO AL CLIMA Gli elementi del tempo e del clima sono gli stessi (temperatura, pressione e venti, umidità e precipitazioni), ma, mentre il tempo consiste in una combinazione momentanea di questi elementi, il clima rappresenta il loro stato medio. Dunque, il clima può essere definito come l’insieme delle varietà quotidiane del tempo atmosferico. Gli elementi climatici possono combinarsi tra loro in molti modi, variando in funzione di numerosi fattori (latitudine, altitudine, distribuzione delle terre e dei mari, correnti marine, vegetazione, attività umane). La scienza che si occupa delle caratteristiche, della distribuzione e dei diversi tipi climatici nelle varie zone della Terra e dei loro mutamenti nel tempo è la Climatologia. I CLIMI, LE ROCCE, GLI ORGANISMI E L’ESISTENZA DEI SUOLI LA NATURA E IL COLORE DEL SUOLO Il clima è uno dei principali responsabili della formazione del suolo, che è la parte più esterna e sottile della crosta terrestre, costituita sia da sostanze minerali che da residui organici. A seconda della durata e dell’intensità dei processi di decomposizione subiti dalle rocce, il suolo presenta un diverso spessore. È un elemento importante del paesaggio, in quanto contribuisce a determinare la distribuzione della vegetazione naturale, delle coltivazioni e della localizzazione antropica. Una delle principali caratteristiche di un suolo è il suo colore, espressione della sua costituzione e genesi. Una sequenza di colorazione dal bianco al bruno è connessa alla presenza via via maggiore di humus. L’humus si genera a causa della decomposizione della frazione organica del suolo e la sua presenza è connessa alla vegetazione e alla vita microbica, a loro volta dipendenti dal clima. La scienza che studia il suolo è la Pedologia. I FATTORI DELLA PEDOGENESI E LA DINAMICA DEL “SISTEMA SUOLO” La formazione del suolo (o pedogenesi) dipende da diversi fattori, detti fattori pedogenetici, tra cui ricordiamo principalmente: la natura della roccia madre, ovvero il materiale di origine del suolo; la configurazione del rilievo; il tempo di esposizione ai processi pedogenetici; l’attività degli organismi che vivono sul terreno e dentro di esso; il clima. Mentre i primi tre sono fattori passivi, gli ultimi due sono fattori attivi della pedogenesi. Il clima è il principale fattore di formazione del suolo e gli elementi climatici più coinvolti nei processi pedogenetici sono: • Precipitazioni: fornendo acqua, consentono l’esistenza di una soluzione complessa, ricca di sostanze assimilabili da parte delle piante. Penetrando nel suolo, l’acqua scioglie parte dei L’AMBIENTE MARINO UNA COMPONENTE FONDAMENTALE DEL SISTEMA TERRA L’idrosfera marina (oceano globale) è una componente caratteristica del nostro pianeta, di enorme importanza geografica e ambientale. Oceani e mari contribuiscono a soddisfare i bisogni dell’umanità come riserva alimentare, come giacimento di materie prime, come riserva d’acqua e come fonte di energia. L’idrosfera marina copre circa il 71% della superficie terrestre e comprende il 96% dell’acqua disponibile sulla Terra. Le caratteristiche delle acque marine sono oggetto di studio dell’Oceanografia. LE CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE E GEOLOGICHE DEL FONDO MARINO Oceani e mari differiscono sia per aspetti geografici che per caratteristiche geologiche. Gli oceani sono bacini principali di maggiori dimensioni (Oceano Atlantico, Oceano Pacifico e Oceano Indiano) e hanno fondali movimentati da rilievi imponenti. Invece, i mari sono bacini secondari (mari mediterranei, mari adiacenti) e spesso giacciono su un basamento di tipo continentale. La curva ipsografica della superficie terrestre, ovvero il dato che evidenzia l’estensione delle terre emerse e quella dei fondali marini, indica che la profondità media dei fondali si aggira attorno ai 3.800 m. PENDII VARI E COMPOSITI La curva ipsografica della superficie terrestre indica che, partendo dalle terre emerse e procedendo verso il mare, si susseguono tratti con andamenti diversi: • Piattaforma continentale (7% dei fondali): con pendenza media del 2%₀ e modesta profondità (fino a 200 m), la sua estensione è variabile ed è maggiore in corrispondenza delle aree continentali piatte, mentre è ridotta in prossimità delle grandi catene montuose • Scarpata continentale (9% dei fondali): più ripida, raggiunge mediamente i 2.000 m di profondità ed è più estesa della piattaforma continentale. Il suo bordo inferiore è costituito dal rialzo continentale, che segna il passaggio al dominio oceanico vero e proprio • Fondi oceanici (83% dei fondali): raggiungono una profondità di 6.000 m • Fosse (o abissi, 1% dei fondali): comprendono le depressioni oltre i 6.000 m e si trovano vicino al margine dei rilievi sia emersi che sottomarini. DEPOSITI SEDIMENTARI E DISTESE DI MINERALI UTILI I sedimenti dei fondi marini hanno caratteristiche che variano procedendo dalla costa verso il mare aperto. Nella piattaforma continentale troviamo: nella zona litorale, contigua alla costa, i materiali grossolani; nella zona sublitorale i silt e le argille, materiali più leggeri che vengono trasportati dal moto ondoso in questa parte più lontana dalla costa; nella zona batiale, in corrispondenza della scarpata e del rialzo continentali, alternanze di sabbie, silt e argille con fanghi grigio-azzurri; sui fondi oceanici i fanghi a globigerine, i fanghi silicei e i fanghi abissali. RILIEVI VULCANICI E SCOGLIERE ORGANOGENE Nei fondali oceanici sono presenti anche forme particolari, come: i canyon, attribuiti all’azione di ammassi di sedimenti costieri già situati su pendii troppo ripidi per rimanere in quiete e che quindi sono discesi lungo la linea di massima pendenza incidendo ampi solchi nella scarpata continentale; gli edifici vulcanici, attivi o estinti, che possono raggiungere i 4.000-5.000 m e sugli orli dei quali possono svilupparsi scogliere organogene dovute all’impianto di colonie di coralli che formano atolli e barriere coralline. LE CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE DELLE ACQUE E LA VITA NEL MARE LA COMPOSIZIONE CHIMICA L’acqua del mare contiene in soluzione quasi tutti gli elementi noti in natura: sali di notevole quantità, detti costituenti principali; sali di quantità modesta, detti costituenti minori; molti elementi in tracce, ovvero in bassissima concentrazione. Tra le caratteristiche chimiche è molto importante la salinità, cioè il contenuto di sali (g/l). La salinità media delle acque di oceani e mari è intorno a 35 grammi per litro (35%₀) e varia soprattutto in funzione della temperatura. I rapporti tra i costituenti principali (NaCl, MgCl₂, MgSO₄, CaSO₄, CaCO₃, MgBr₂) restano invariati anche al variare della salinità, mentre i costituenti minori e gli elementi in tracce sono presenti in proporzioni variabili, perché sono spesso influenzati da fenomeni biologici, come avviene per il fosforo, l’azoto e il silicio. Questi ultimi elementi, indispensabili per la vita, vengono detti nutrienti. Nell’acqua di mare sono presenti anche gas disciolti, che in genere provengono dall’atmosfera. LE CARATTERISTICHE FISICHE IN RAPPORTO CON L’INSOLAZIONE Tra le caratteristiche fisiche delle acque marine, le più importanti sono: la densità, che aumenta all’aumentare della salinità e della profondità, e la temperatura, che è più costante rispetto a quella delle terre emerse e mai troppo alta in profondità a causa della presenza di correnti fredde provenienti dalle zone polari, che, scorrendo verso l’Equatore, rimescolano le acque con una temperatura media intorno a 0°C. La penetrazione della luce solare nelle acque marine dipende dalla latitudine, dalla stagione, dall’ora del giorno e dalla trasparenza dell’acqua. L’ECOSISTEMA MARINO L’ecosistema marino comprende: i benthos, ovvero un insieme di organismi che vivono a contatto con il fondale; il necton, formato dagli organismi dotati di movimento proprio; il plancton, rappresentato dagli organismi animali o vegetali che si lasciano trasportare dalle acque. Tuttavia, l’ecosistema marino è minacciato sempre più dall’inquinamento delle acque, che crea danni alle risorse biologiche, pericoli alla salute dell’uomo e diminuzione della qualità dell’acqua. I MOVIMENTI DEL MARE IL MOTO ONDOSO Il moto ondoso è un movimento irregolare, dovuto principalmente allo spirare dei venti. La pressione che i venti esercitano sull’acqua genera onde forzate, mentre le onde che agitano il mare anche dopo che è cessato il vento sono le onde libere. In un’onda si distinguono: • Cresta e ventre: la parte più rilevata e la parte più depressa • Altezza: la distanza verticale tra la cresta e il ventre • Lunghezza: la distanza orizzontale tra due creste o due ventri successivi • Velocità di propagazione: lo spazio percorso nell’unità di tempo da una cresta in km/h • Periodo: l’intervallo di tempo tra due passaggi di una cresta per lo stesso punto fisso • Direzione: dell’orizzonte da cui l’onda sembra provenire. Il comportamento e le caratteristiche del moto ondoso variano in funzione del vento e della distanza dalla costa: mentre in mare aperto le onde non provocano il moto degli oggetti, ma trasportano soltanto energia (onde di oscillazione); in prossimità della costa, invece, oltre ad un trasporto di energia si assiste anche ad un trasporto di materia (onde di traslazione). Pertanto, in prossimità della costa l’onda si rovescerà in avanti, precipitando sotto forma di frangente di spiaggia, mentre il flutto di ritorno, che quasi sempre si muove sotto l’onda d’arrivo, prenderà il nome di risacca. In prossimità della costa, a seconda della profondità del fondale si verifica: • Riflessione delle onde: quando le onde battono contro una costa alta con fondali profondi, l’onda riflessa può conservare buona parte dell’energia che aveva in arrivo e comporsi con la successiva onda incidente dando luogo all’onda stazionaria, che consiste in un’oscillazione verticale del livello marino (es. barche ormeggiate nei moli) • Rifrazione delle onde: in acque basse l’andamento del fondale produce uno spostamento orizzontale dell’acqua e fa incurvare le onde, rendendole quasi parallele alla linea di riva (es. ai piedi dei promontori). LE MAREE Le maree sono oscillazioni ritmiche con innalzamenti (flussi) e abbassamenti (riflussi) del livello marino. A differenza del moto ondoso, che si manifesta in maniera irregolare e imprevedibile, le maree sono movimenti periodici e prevedibili. Si verificano due volte al giorno e sono provocate dall’attrazione gravitazionale che la Luna e, in misura minore, il Sole esercitano sulla Terra e dalla forza centrifuga dovuta alla rivoluzione del sistema Terra-Luna intorno al baricentro comune. La fase di massimo sollevamento delle acque si definisce alta marea, mentre quella di massimo abbassamento prende il nome di bassa marea. La differenza tra questi due valori determina l’ampiezza della marea. Quando Sole, Terra e Luna sono allineati (Luna piena o Luna nuova) le due forze attrattive (gravitazionale e centrifuga) si sommano e l’ampiezza di marea raggiunge i valori massimi (maree vive). Quando, invece, le congiungenti Sole-Terra e Terra-Luna formano un angolo retto, gli effetti attrattivi in parte si annullano e le oscillazioni di marea sono minori (maree morte). A seconda delle zone della Terra in un giorno lunare (24 h e 50 min) possono verificarsi: • Due flussi e due riflussi di uguale ampiezza (maree semidiurne) • Due flussi e due riflussi di ampiezza diversa (maree miste) • Un solo flusso e un solo riflusso (maree diurne). LE CORRENTI MARINE Mentre i moti ondosi e le maree sono movimenti del mare che avvengono senza trasporto di acque, le correnti consistono in spostamenti orizzontali di masse d’acqua. Hanno velocità propria e si distinguono dalle acque circostanti per salinità e temperatura. Ne esistono due tipi: • Correnti superficiali: o Correnti calde: si spostano dall’Equatore ai poli e causano umidità o Correnti fredde: si spostando dalle alte latitudini all’Equatore e causano aridità • Correnti profonde: sono acque fredde che scorrono rasenti al fondo dalle alte latitudini verso l’Equatore, garantendo uno scambio globale di acqua tra le zone equatoriali e le zone polari. I GHIACCIAI E LE ACQUE CONTINENTALI UNA MODESTA MA ESSENZIALE PORZIONE DELL’IDROSFERA TERRESTRE L’idrosfera continentale comprende i ghiacciai, le nevi, il ghiaccio nel terreno, le acque sotterranee, i laghi e i corsi d’acqua. Essa rappresenta soltanto il 4% delle risorse idriche globali del sistema Terra. Tuttavia, si tratta di acqua “dolce”, essenziale per tutti gli organismi. Il complesso delle acque allo stato solido prende il nome di criosfera, mentre allo stato liquido si parla di acque continentali. CARATTERISTICHE DEI SISTEMI FLUVIALI Nello schema tipico di un fiume, l’acqua scorre da monte a valle lungo un tracciato che essa stessa ha scavato, raccoglie il contributo di altri fiumi, detti affluenti, e giunge fino alla foce immettendosi in altre masse d’acqua come il mare o il lago. La porzione di terra emersa che alimenta un corso d’acqua ne costituisce il bacino idrografico, delimitato da una linea spartiacque che lo separa dai bacini adiacenti e racchiude al suo interno un sistema fluviale (o reticolo idrografico). Qualora il corso d’acqua sia alimentato anche da acque sotterranee si parla allora il bacino idrogeologico, che comprende sia la porzione di terra emersa sia la porzione sotterranea. Altre caratteristiche fondamentali di un corso d’acqua sono: la lunghezza; la pendenza; la velocità; la portata, ovvero il volume di acqua che passa nell’unità di tempo attraverso una sezione trasversale di un corso d’acqua. RAPPORTI FRA GLI AFFLUSSI METEORICI E I DEFLUSSI FLUVIALI La variazione della portata nell’arco dell’anno costituisce il regime di un corso d’acqua, che è strettamente legato alle condizioni climatiche, alla struttura geologica, alla topografia, alla copertura vegetale e alle opere umane. Il deflusso è la quantità di acqua che un fiume porta in mare in un anno. L’afflusso meteorico è la quantità di acqua che cade nel bacino idrografico del fiume in un anno. Il rapporto tra il deflusso e l’afflusso meteorico è il coefficiente di deflusso. I LAGHI E LE CONCHE D’ACQUA MINORI L’ORIGINE E LA CLASSIFICAZIONE DEI LAGHI I laghi sono masse d’acqua, per lo più dolce, raccolte in depressioni naturali senza comunicazione diretta con il mare. In base alla loro origine si distinguono in: • Laghi di escavazione glaciale: o Laghi di circo: occupano le conche scavate dai grandi ghiacciai durante le epoche glaciali del Quaternario (es. laghi alpini sopra i 2.000 m di quota) o Laghi vallivi: sono dovuti all’escavazione profonda di un tratto terminale di valle ad opera delle parti più basse di ghiacciai oggi spariti (es. laghi prealpini) • Laghi di sbarramento: si originano per ostruzione di un tratto di valle a causa di una frana, di accumulo di materiale o di una colata di lava (es. Lago Scanno in Abruzzo) • Laghi carsici: occupano depressioni causate dall’azione chimica delle acque meteoriche sulle rocce calcaree (es. Lago del Matese in Campania) • Laghi craterici: occupano i crateri dei vulcani spenti o vaste depressioni vulcaniche formate da gruppi di crateri di esplosione (es. Lago Albano nel Lazio) • Laghi di cavità tettonica: causati da acque raccolte in depressioni causate da abbassamenti di porzioni di crosta terrestre a causa di movimenti tettonici (es. laghi dell’Africa orientale) • Laghi relitti: masse d’acqua d’origine marina rimaste isolate da movimenti tettonici o da addossamenti del livello del mare, sono dunque salati (es. Mar Caspio) • Laghi costieri: si formano per accumulo, verso il mare, di cordoni di sabbia che in alcuni casi sbarrano le acque provenienti dalle terre emerse (es. Laghi delle Landes in Francia) • Laghi di sbarramento artificiale: formatisi per la costruzione di dighe. CARATTERISTICHE IDROLOGICHE DEI LAGHI I laghi sono alimentati dalle acque meteoriche, da quelle di falda e da quelle degli immissari, mentre parte della loro acqua viene rimossa per evaporazione e mediante eventuali emissari. Il bilancio tra l’acqua ricevuta e quella persa viene definito bilancio idrico del lago. Le principali caratteristiche delle acque lacustri sono: • Trasparenza: solitamente inferiore a quella del mare, in quanto gli immissari generalmente disperdono una discreta quantità di detriti in sospensione • Colore: dipende da numerosi fattori, tra cui il tempo atmosferico (scala cromatica di Forel) • Salinità: dipende dalla genesi del lago • Temperatura: dipende dalla latitudine, dall’altitudine, dalla profondità del lago, dalle caratteristiche climatiche locali e dalle temperature degli immissari. Nelle zone temperate e in laghi con una profondità di almeno 10 m, la distribuzione del calore determina una stratificazione termica verticale delle acque in: o Epilimnio (strato superiore): le acque sono continuamente rimescolate dal vento con temperature elevate e omogeneamente distribuite o Metalimnio (intermedio): con elevato gradiente termico verticale o Ipolimnio (profondo): dove l’acqua ha temperature inferiori e densità maggiore. AMBIENTI NON DUREVOLI E VULNERABILI Accanto ai laghi occorre considerare le conche d’acqua più piccole o meno profonde, ovvero: le paludi e gli stagni, che sono distese di acque basse ospitate in leggere depressioni spesso sotto il livello del mare, e le maremme, ovvero distese piane acquitrinose e prossime al mare. IL MODELLAMENTO DEL RILIEVO TERRESTRE LE FORZE GEODINAMICHE Tutte le forme del rilievo terrestre sono il prodotto di due grandi categorie di forze geodinamiche: • Forze endogene: si generano all’interno della Terra, ma si manifestano in superficie provocando il sollevamento delle montagne, gli innalzamenti e gli abbassamenti delle aree continentali e marine e il vulcanismo • Forze esogene: si generano e si manifestano sulla superficie della Terra identificandosi con l’azione degli elementi atmosferici, delle acque correnti, dei ghiacciai e del mare, tutti agenti esogeni che esplicano azioni di erosione, trasporto e deposizione. La scienza che studia la genesi, l’evoluzione e le forme del rilievo terrestre è la Geomorfologia. LA DEGRADAZIONE METEORICA DISGREGAZIONE, ALTERAZIONE E DISSOLUZIONE DELLE ROCCE La degradazione meteorica è un complesso di fenomeni che porta al disfacimento delle rocce ad opera degli agenti atmosferici. In genere si distinguono: • Degradazione fisica: o Disgregazione delle rocce: gli agenti responsabili sono principalmente le oscillazioni di temperatura (termoclastismo), il gelo e il disgelo (crioclastismo) e gli organismi viventi (bioclastismo) • Degradazione chimica: o Alterazione delle rocce allo stato solido: è operata principalmente dall’ossigeno (ossidazione) e dall’acqua (idratazione, idrolisi e dissoluzione) o Dissoluzione delle rocce: è operata principalmente dall’acqua resa leggermente acida dall’anidride carbonica in essa disciolta. Questi due gruppi di fenomeni si verificano contemporaneamente, rafforzandosi a vicenda. Tuttavia, i processi fisici prevalgono nelle regioni aride o fredde, mentre i processi chimici dominano nelle regioni calde e umide. I PRODOTTI DELLA DEGRADAZIONE METEORICA I materiali che derivano dalla disgregazione e dall’alterazione chimica delle rocce vanno incontro a differenti destini a seconda della pendenza del terreno: • Superfici rocciose orizzontali o poco inclinate: i prodotti della degradazione rimangono in posto e formano un mantello detritico (regolite) • Superfici rocciose molto inclinate: i frammenti cadono, si accumulano alla base dei versanti e originano coni di detrito o falde di detrito. I FENOMENI FRANOSI I movimenti di cospicue masse rocciose generati dalla forza di gravità sono detti frane. In una frana si distinguono: la nicchia di distacco, ovvero l’intaccatura del pendio che segna il limite tra la roccia rimasta in posto e quella franata; il pendio di frana, cioè il tratto di versante sul quale si sono spostati i materiali franati; l’accumulo di frana, costituito dai detriti rocciosi che si sono arrestati formando una massa caotica. Nell’innesco delle frane svolgono un ruolo determinante tutte quelle attività umane che alterano l’equilibrio dei versanti. L’AZIONE MORFOLOGICA DEL VENTO Il vento è il principale agente atmosferico dell’erosione. L’azione meccanica del vento consiste nella spinta che esso imprime agli oggetti che si oppongono al suo movimento. Tale azione, indipendente dalla gravità, è particolarmente accentuata nelle zone di alta montagna e nelle regioni aride, dove la copertura vegetale è ridotta o assente. L’azione morfologica del vento si esplica mediante: • Deflazione: consiste nel prelievo e nel trasporto di detriti • Corrasione: cioè l’abrasione delle rocce operata dai granuli trasportati • Deposizione: i depositi eolici sono formati da sabbie e polveri, che possono costruire ampie distese sabbiose o piccoli rilievi (dune). L’AZIONE MORFOLOGICA DELLE ACQUE CORRENTI SUPERFICIALI EROSIONE AREALE ED EROSIONE LINEARE Nei casi in cui una pioggia è prolungata e cade su superfici inclinate, all’azione dell’acqua cadente si associa quella delle acque dilavanti, che non hanno un corso ben definito e tendono a scorrere in rivoli lungo le linee di massima pendenza, formando a volte un velo quasi continuo. Quando le acque dilavanti, continuando a scorrere, vanno via via a formare dei ruscelli, dei torrenti e infine dei fiumi, in essi le acque incanalate esercitano un’azione modellante diversa da quella delle acque dilavanti originarie. Dunque, mentre le acque dilavanti esercitano un’erosione areale, le acque incanalate nei letti dei fiumi, invece, esercitano prevalentemente un’erosione lineare, producendo dei solchi vallivi. COME AGISCE L’EROSIONE FLUVIALE Il profilo longitudinale di un corso d’acqua è una curva la cui pendenza è variabile, pur tendendo a diminuire dal corso superiore al corso inferiore fino al livello di base. Con un meccanismo di erosione regressiva, il profilo longitudinale con il tempo assume la forma di una curva parabolica tangente MEZZOGIORNO URBANO E “QUESTIONE CALABRESE” di L. Nicoletti QUESTIONE URBANA E QUESTIONE MERIDIONALE Un tema che è stato a lungo dibattuto è quello della cosiddetta “questione meridionale”, ovvero della storica condizione di arretratezza del Mezzogiorno rispetto al Nord Italia. Nel corso dei secoli, l’economia del Sud è stata a lungo basata su un’agricoltura di sussistenza controllata da un’aristocrazia terriera spesso assenteista, che ha favorito la dominazione straniera del Mezzogiorno. Nell’XI secolo i Normanni hanno introdotto nel Sud Italia il feudalesimo, che ha definitivamente stabilizzato la realtà sociale delle campagne meridionali in netto contrasto con il dinamismo di quelle settentrionali. Così, mentre al Nord nascono i Comuni, al Sud l’approccio parassitario dei latifondisti, che non investono nei miglioramenti agricoli, causa una rottura del legame tra città e campagna e impedisce la formazione di una classe borghese. La situazione peggiora dopo l’Unità d’Italia, che causa una piemontesizzazione del nuovo Stato unitario, causando gravi danni alla crescita economica e civile del Mezzogiorno. Possiamo dire che l’Unità d’Italia segna il passaggio da uno stato di sottosviluppo latente ad una situazione di cronico sottosviluppo economico, politico e sociale del Sud. Ne derivano una serie di problematiche: il drenaggio dei capitali meridionali al Nord, l’alleanza tra la borghesia industriale del Nord e l’aristocrazia terriera del Sud, l’abbandono dell’agricoltura, l’indebolimento dell’armatura urbana, l’emigrazione, il brigantaggio e la frattura tra lo Stato e le masse contadine. La politica protezionistica postunitaria e quella giolittiana accentuano questi problemi, contribuendo al decollo delle attività industriali nel Nord e alla crisi dell'agricoltura meridionale. Solo nel corso del secondo dopoguerra, le tensioni sociali e le agitazioni causate dai gravi problemi di sottoccupazione e disoccupazione portano all’introduzione della Riforma fondiaria e della Cassa del Mezzogiorno, che però non portano i risultati sperati. DALLA CITTÀ AL SISTEMA URBANO Lo sviluppo urbano in Italia mostra un persistente squilibrio tra le regioni del Nord, con trame equilibrate e fortemente collegate al resto d’Europa, e quelle del resto del Paese, dove le strutture urbane sono deboli e frammentate. Un fenomeno tipico del Sud è l’iperurbanizzazione, ovvero la concentrazione della popolazione in pochi centri, che crea uno squilibrio tra le campagne vuote e le città fragili e sovrappopolate. Si tratta di un’urbanizzazione avvenuta senza crescita industriale, che dunque ha trasformato le città da città contadine a città parassitarie, dal momento che al loro interno accolgono una massa di popolazione in larga parte inattiva o con una forte sottoccupazione nei servizi e nella pubblica amministrazione. L'analisi della rete urbana nel Mezzogiorno rivela una struttura debole, con città sparse, connessioni limitate e scarsa vitalità. QUADRI URBANI REGIONALI • Campania: è la maggiore realtà urbana del Mezzogiorno, con l’area metropolitana di Napoli che domina la regione. È caratterizzata da un’elevata densità abitativa, in quanto la città di Napoli ha attirato negli anni persone provenienti da zone meno sviluppate, creando una densa conurbazione. Nell’area interna della regione timidi processi di ammodernamento interessano solo le città di Benevento e Avellino • Abruzzo: il sistema urbano si sviluppa lungo la costa adriatica e le colline retrostanti, due aree che sono ben collegate da buone reti infrastrutturali. Le città principali sono L’Aquila, collegata a centri come Avezzano e Sulmona, e Pescara, che rappresenta il caposaldo del modello di “sviluppo adriatico” • Molise: i centri principali sono Campobasso, Isernia e Termoli, che sono collegati all’area metropolitana di Napoli e all’asse Napoli-Roma • Puglia: presenta un quadro urbano policentrico, che vede nell’area settentrionale il tessuto industriale e amministrativo costruito dalle tre città della BAT (Barletta-Andria-Trani) e poi la città di Bari, che ha ormai consolidato il suo ruolo di città centrale in tutto il contesto regionale, meridionale e nazionale. Nell’area meridionale spiccano Taranto, città portuale e industriale con il maggior impianto siderurgico d’Europa, e Lecce, città dalla forte identità culturale grazie all’architettura barocca e alla presenza della seconda Università della regione • Basilicata: tradizionalmente periferica, si divide nei due poli di Potenza, che ricopre funzioni amministrative e industriali, e di Matera, centro turistico • Sicilia: l’area metropolitana di Palermo si distingue come centro delle funzioni regionali e direzionali, mentre Catania è un nodo strategico con significativa presenza industriale, logistica e commerciale. Messina svolge un ruolo chiave come nodo di traffico e collegamento con la penisola italiana. LA QUESTIONE CALABRESE La Calabria, regione complessa e articolata, riflette sia le contraddizioni della sua natura che lo storico isolamento fisico e culturale. Il territorio è per il 42% montuoso, per il 49% collinare e solo per il 9% pianeggiante, il che causa numerose difficoltà negli insediamenti urbani. Il PIL pro-capite è inferiore alla media nazionale e del Mezzogiorno e i tassi di disoccupazione sono molto alti. L’indice di industrializzazione è basso (20 addetti su 1000 abitanti) e le iniziative industriali sono limitate, creando un settore industriale fragile e poco competitivo. A partire dagli anni Cinquanta si è verificato in Calabria un processo di urbanizzazione terziaria, che ha messo in crisi l’economia agricolo- artigianale dei piccoli centri di montagna e di collina. Attorno alla metà degli anni Settanta, invece, i problemi finanziari pubblici, la crisi del settore delle costruzioni e la diminuzione dell’attrattiva turistica hanno causato un aumento dei tassi di emigrazione e delle attività criminali. AMBIENTE FISICO E MODELLO INSEDIATIVO La distribuzione dei centri urbani in Calabria trova le sue origini più nelle vicende della storia sociale ed economica che nella natura geografica del territorio. Infatti, la storia ha costretto in particolari periodi gli uomini ad insediarsi lungo i versanti pedecollinari per difendersi e per avere terreni da coltivare. Solo verso la fine del Settecento si verifica la cosiddetta “crisi dei presepi”, ovvero la discesa degli insediamenti urbani dalle montagne alle pianure, che causa lo svuotamento delle aree interne della regione e la formazione a valle di comuni a bassissima densità di popolazione. Nonostante l'urbanizzazione, la regione non ha raggiunto i livelli delle regioni settentrionali e centrali, evidenziando un processo di trasformazione da agricola ad agricolo-terziaria, saltando la fase industriale. Ad oggi, la distribuzione della popolazione nella regione è fortemente disomogenea, con solo 45 comuni ad alta densità, corrispondenti al 3,64% del totale dei comuni calabresi. Concentrazioni significative si trovano nelle aree intorno alla piana di Sibari, nella Valle del Crati, nell'agglomerato urbano Cosenza-Rende, intorno a Crotone, Lamezia Terme, Catanzaro, Tropea, nella piana di Gioia Tauro, nella Locride e nell'area di Villa San Giovanni e Reggio Calabria. CARATTERI ECONOMICI E SOCIALI DELLA RETE Nonostante la morfologia accidentata, nell’economia calabrese l’agricoltura è significativa, con il 16% degli occupati rispetto alla media nazionale del 5,5%. Le colture dominanti sono seminativi (cereali, patate, ortaggi) e colture legnose (oliveti, vigneti, agrumeti). Per quanto riguarda il settore secondario, invece, le iniziative di sviluppo industriale sono limitate e le aziende presenti nella regione sono prevalentemente piccole imprese di produzioni tradizionali (abbigliamento, alimentari) e non innovative. La terziarizzazione economica è avvenuta in modo anomalo e il terziario ha costituito una sorta di “rifugio” per la manodopera non qualificata espulsa dalle altre attività economiche, ma senza una crescita parallela nell’industria. SCENARI POSSIBILI DI UN’ULTERIORE MODERNIZZAZIONE • La strutturazione del “quadrilatero” a Nord: il “quadrilatero” è uno spazio formato dalla città centrale di Cosenza, centro culturale grazie alla presenza dell’Università, e dalla sua conurbazione (Castrovillari, Rossano e Corigliano), cioè le potenziali micropoli di apertura verso il Vallo del Crati e la piana di Sibari. Separato dalla costa, il “quadrilatero” può ricollegarsi ad essa grazie alla città di Paola, che funge da micropoli di raccordo • La riaggregazione del “semicerchio” centrale: nell’area centrale della regione, mentre Catanzaro ormai non si mostra più in grado di svolgere un ruolo centrale, si può individuare invece un “semicerchio” che va da Crotone a Vibo Valentia e che comprende anche le città di Catanzaro e Lamezia Terme • Il “triangolo” dello Stretto: nella zona dello Stretto si forma un “triangolo” che ha come vertici l’area metropolitana di Reggio Calabria e le due micropoli di Palmi e Locri. In quest’area rientra anche il porto di Gioia Tauro. LA MODERNIZZAZIONE DELLO SPAZIO La rete urbana calabrese dovrebbe essere rafforzata con un’armatura di servizi e attività per consolidare le città medie e le micropoli. Ciò va fatto sia attraverso lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto che attraverso la valorizzazione del capitale culturale della regione, in grado di facilitare la connessione delle città nella rete nazionale non solo per mezzo di infrastrutture materiali come strade, porti e aeroporti, ma anche per mezzo di "infrastrutture immateriali" come le attività culturali, la conoscenza e l'innovazione. In sostanza, si promuove l'idea che la cultura può diventare un motore importante per lo sviluppo economico e l'identità urbana, influenzando sia gli aspetti materiali che quelli immateriali delle città.
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