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Riassunto completo il fu mattia pascal, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

breve sintesi del libro

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 23/08/2016

garenasus
garenasus 🇮🇹

4.6

(16)

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto completo il fu mattia pascal e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Riassunto completo Il Fu Mattia Pascal, Luigi Pirandello Trama: Mattia Pascal, il protagonista è un povero bibliotecario di Miragno, un paesino della Liguria. Egli si sente come fuori della vita (capitolo IV); travolto da rovesci economici, afflitto da continue angustie familiari, ma con il gusto di ridere di tutte le sue sciagure (capitolo V), decide allora di fuggire. La sua meta ideale è l'America. Ma raggiunta la città di Montecarlo, gioca alla roulette del famoso casinò e vince un'ingente somma. Divenuto ricco decide, in un primo tempo, di tornare in paese; rimane tuttavia sbalordito leggendo su un giornale la notizia del proprio suicidio: moglie e suocera quasi felici di sbarazzarsi in tal modo di lui, lo hanno erroneamente riconosciuto nel cadavere di un uomo annegato in un canale presso Miragno. Gli si offre così, inaspettata, l'occasione per cambiare identità e vita: visto che tutti, al paese, lo credono morto, può costruirsi, con il finto nome da lui inventato Adriano Meis, una nuova esistenza. Dunque si attribuisce un passato ricco di fantastici ricordi, muta il proprio aspetto fisico (si fa tagliare la barba, si fa correggere lo strabismo dell'occhio ecc.), prende residenza in una grande città, Roma, dove vive a pensione nella casa di Anselmo Paleari, uno strambo personaggio. In casa Paleari vivono anche la signorina Caporale, una maestra di pianoforte fallita, che annega le proprie delusioni nel bere e che pratica lo spiritismo come medium, e l'ambiguo Terenzio Papiano, con il fratello epilettico. Mattia, alias Adriano Meis, s'innamora della figlia del proprietario, Adriana. Tuttavia il protagonista non è appagato, e sente crescere in sé la coscienza del vuoto che gli sta intorno, certo, per lui era alienante la precedente condizione, con una vita familiare infelice e un lavoro insoddisfacente; essa però gli offriva perlomeno, nella trama abituale delle relazioni sociali, la sicurezza di esistere. Questa nuova condizione, sotto le mentite spoglie di Andriano Meis, gli ha consegnato una libertà solo apparente. Derubato da Papiano, non può denunciare il furto; privo di documenti, non può sposare Adriana. Dopo oltre due anni, Mattia decide di suicidare Adriano Meis. Torna così al paese, dove scopre che tutti l'hanno dimenticato; la moglie si è risposata con Pomino, un vecchio amico di Mattia, da cui ha avuto una figlia. Mattia non può reinserirsi nella vita normale; non gli rimane altra possibilità che guardare da lontano gli altri, scrivere le sue memorie, chiacchiere con l'unico amico che gli è rimasto, don Eligio, rifugiarsi nella vecchia biblioteca del paese. Da lì esce di tanto in tanto per portare fiori sulla tomba che reca il suo nome. Analisi del testo Il più famoso romanzo di Pirandello uscì a puntate nel 1904 sulle pagine della rivista La Nuova Antologia. L'anno seguente fu tradotto con buon successo in tedesco. Nel 1910 uscì quindi in volume presso l'importante casa editrice Treves di Milano; in quello stesso anno il romanzo fu pubblicato in francese, a Ginevra e a Parigi. Era il primo libro di Pirandello a godere di una discreta fortuna. L'edizione definitiva del Fu Mattia Pascal uscì nel 1921 presso l'editore Bemporad di Firenze. Il racconto è svolto in prima persona: l'io narrante è lo stesso protagonista, Mattia Pascal, che riepiloga, alla fine della propria straordinaria avventura, quanto gli è accaduto. Bibliotecario in un piccolo paese ligure, Miragno, ha trovato l'occasione di fuggire dalla famiglia opprimente e da un lavoro monotono: giocando al casinò di Montecarlo vince infatti una cospicua somma, grazie a cui può conquistare finalmente la libertà negatagli dall'esistenza quotidiana. Assume così il nuovo nome, da lui inventato di Adriano Meis e cambia vita. Mattia deve però dolorosamente constatare che nemmeno questa nuova condizione gli consente di raggiungere la felicità anzi , la sua solitudine si è fatta ancora più inesorabile. Non possiede infatti documenti che comprovino formalmente la sua identità: di fatto non esiste e lo constata amaramente al momento in cui vorrebbe sposare la donna di cui si è innamorato, Adriana, ma non può farlo. La sua evasione si conclude con un deludente fallimento. Il protagonista decide allora di recuperare la vecchia identità di Mattia Pascal e torna al paese natale, ansioso di mostrarsi vivo agli antichi compaesani, ma scopre di essere stato del tutto o quasi dimenticato da loro.. Di lui rimane solo la tomba, dove, dopo la sua improvvisa scomparsa, è stato erroneamente sepolto il cadavere di uno sconosciuto suicida. Mattia Pascal è dunque ormai solo il fu Mattia Pascal, un redivivo sopravvissuto a se stesso, un essere alienato ed emarginato, un individuo che non ha e non è più nulla nemmeno il proprio nome. Commento Il fu Mattia Pascal è un romanzo pubblicato da uno scrittore siciliano, Luigi Pirandello nel 1904 in cui la sua amara filosofia della vita si incarna più efficacemente in una felice invenzione narrativa. Seguendo la fallimentare esperienza del suo personaggio, Pirandello ritrae il sogno di un'evasione impossibile, il desiderio irrealizzabile di afferrare per sé un'identità che non sia quella imposta dal destino. L'esistenza di ogni persona è infatti governata da vicende che non possono essere controllate o mutate, è in balia di convenzioni sociali, rigide, e anonime, capaci di privarti della libertà. La fuga non serve poiché riscattare la vita che abbiamo ricevuto non ci sono sblocchi o alternative difatti quello di Mattia è un tentativo fallito in partenza. RIASSUNTO PER CAPITOLI Capitolo I (Riassunto Alternativo) Il protagonista del libro dice che una delle poche cose che sapeva era che si chiamava Mattia Pascal, e se ne vantava con gli amici che venivano a chiedergli dei consigli. A quel tempo non si sarebbe mai immaginato che un giorno non avrebbe potuto più rispondere questo. Ed è per questo che ha scritto il libro per raccontarcelo. Dice che era stato per due anni guardiano di libri (per due lire al dì) che un monsignore Boccamazza alla sua morte lasciò al Comune, il quale prima li depositò in uno squallido magazzino e poi li depose in una chiesa sconosciuta. Lui odiava i libri, m,a nonostante ciò ha scritto un libro che nessuno doveva aprire prima di 50, cioè dopo la terza e l'ultima morte. Capitolo II Premessa seconda (filosofica) a mò di scusa. (Riassunto alternativo) L'idea o il consiglio di scrivere gli era stato dato dal suo reverendo amico don Eligio Pellegrinotto che ha in custodia i libri del Boccamazza, e a cui affida il manoscritto dopo averlo terminato. Quei libri erano tutti in disordine e polverosi, trattavano per la maggior parte di cose di chiesa. Il reverendo sostiene che Copernico è un maledetto perché con le nuove teorie, tutti quei secoli di idee erano cambiati, perché prima si pensava che era il sole a girare intorno alla terra e inoltre si sofferma sulla piccolezza dell'uomo rispetto all'universo e che siamo fatti dagli stessi atomi per amarci di più, ma invece ci ammazziamo per un pezzo di terra. Ora l'autore vuole raccontare la sua storia nel modo più breve possibile, anche di cose che faranno male al suo amore, ma lo fa senza scrupoli perché si considera ormai fuori dalla vita. Capitolo III (Riassunto alternativo) Mattia Pascal dice di non aver conosciuto bene il padre perché era morto quando aveva 4 anni, lasciando nell'agiatezza la moglie e di due figli (Mattia cioè lui) e Roberto due anni più di lui. Si dice che si era arricchito giocando a carte e facendo il commerciante con il suo trabaccolo si era guadagnato molto denaro e lo investì acquistando buone terre ricche di olivi e vigneti e anche due case. La sua morte causò la rovina e la moglie per governare l'eredità l'affidò a un uomo di fiducia il Malagna, chiamato da lui talpa perché stava scavando la fossa sotto i loro piedi. La madre di Mattia stava sempre in casa e usciva solo per andare a messa e veniva torturata dalla cognata per convincerla a risposarsi con un pover uomo Gerolamo Pomino, che aveva già un figlio. Zia Scolastica invece non si era mai voluta sposare con nessuno perché aveva paura che gli uomini la tradissero. Egli quando era grande gran parte degli averi se ne erano andati ma continuava insieme al fratello con quel tenore di vita, a cui la madre li aveva abituati da piccoli. La madre non li aveva mandati a scuola e il precettore era un tal Pinzane, un buon vecchietto di cui ne facevano quel che vedevano e se ne approfittavano ma ogni tanto li castigava. Per farli studiare ricorreva a mille espedienti per richiamare la loro attenzione. La mamma credeva che quello che insegnava loro Pinzane gli bastasse, ma la zia Scolastica che non era riuscita a convincere la madre a risposarsi li perseguitava. Però loro non le davano retta perché godevano della protezione della madre. Mattia aveva dovuto mettersi gli occhiali per raddrizzare l'occhio e scoppiava di salute. A trascorso la notte lì, nella Stia. Egli approfittò della morte di quel poveraccio per rifarsi un'altra vita, poi della moglie e della suocera non gliene importava nulla perché se lo avessero guardato meglio si sarebbero accorti che non era lui. Comunque infine fece un respiro di sollievo. Capitolo VIII - Adriano Meis Mattia Pascal resosi conto che gli altri lo credevano morto, ormai era un uomo libero da ogni obbligo e padrone di se stesso. Voleva cambiare totalmente in modo che così avrebbe vissuto due vite. Per cambiare aspetto ad Alenga si fece accorciare la barba, si sentiva un po' a disagio perché si vedeva spuntare un piccolo mento. C'era il naso piccolo e l'occhio storto. Pensò di comprarsi un paio di cchiali e farsi crescere i capelli in modo da sembrare un filosofo tedesco. Il nome se lo cercò mentre viaggiava in treno, infatti ascoltando la discussione di due signori, molto eruditi che discutevano di iconografia cristiana gli piacque il nome dell'imperatore Adriano e se lo ripeté più volte. Quando questi scesero dal treno Mattia si affacciò dal finestrino e sentì che i due parlavano di un certo Camillo de Meis, quindi tolse il "da" e prese il Meis. Cosìsi battezzò tra sé Adriano Meis. Ora Mattia o meglio dire Adriano Meis era felice di essere libero e tutto gli sembrava buffo. Ad un certo punto si vide nel dito l'anello del matrimonio dove era incisa la data del suo matrimonio e lo intombò facendo un bel gesto. Ora Adriano Meis si doveva creare un passato, pensò che non era opportuno dire il luogo quindi decise che era nato su un piroscafo in viaggio verso l'America, suo padre si chiamava Paolo, poi ci ripensò e riassumendo la sua vita: a) figlio unico di Paolo Meis b) Nato in Argentina, senz'altra designazione c) Venuto in Italia di pochi mesi d) senza memoria ne quasi notizia dei genitori (padre morto in America e madre quando aveva tre anni) vissuto col nonno un po' dappertutto a Nizza, a Torino ecc. Mentre viaggiava per le città d'Italia non pensava solo al presente ma anche al passato che si doveva costruire osservando i ragazzini e s'immaginò il nonno. Lui si vedeva un po' buffo coi capelli lunghi e con gli occhiali. Parlava poco con la gente ed essa credeva che fosse straniero. Mentre viaggiava rifletteva su tantissime cose senza rendersene conto. Aveva provato di essere analfabeta. Fece un tuffo nel passato e si chiedeva se la moglie fosse vestita in lutto, ma era sicuro di no. Si mise a viaggiare per qualche tempo, poi pensò che il denaro doveva bastargli per tutta la vita e doveva trovarsi un lavoro ma senza documenti non poteva, quindi doveva adattarsi a vivere con 200 lire al mese. Dopo quel lungo girovagare senza nessuno con cui parlare cominciò a sentirsi solo, e un triste giorno di novembre un vecchietto con un cane gli si mostrò davanti. Adriano pensava di comprarlo così avrebbe avuto un amico fedele, gli domandò il prezzo che era 25 lire, voleva acquistarlo ma pensò che non poteva perché avrebbe dovuto pagare la tassa, così non lo comprò. Questa è la prima volta che quella vita che gli era sembrata bella con una libertà sconfinata, era tiranna perché non gli consentiva di tenere un cagnolino. Capitolo IX Il primo inverno passò tra gli svaghi dei viaggi e nell'ebrezza della nuova libertà e non importava se c'era nebbia o sole, freddo o caldo. ora doveva cercarsi una dimora stabile ma poi gli veniva il pensiero delle tasse dei documenti ecc. L'inverno ispirava in lui queste riflessioni malinconiche, era Natale e desiderava il tepore, d'un cantuccio caro, una casa. Quindi rimpiange la sua prima casa e immagina di andare a casa della moglie e dirle che dai superiori aveva avuto il permesso di passare le feste in famiglia. Un giorno alla trattoria fece amicizia con il Cavalier Tito Lenzi che gli diede un biglietto da visita. Adriano Meis ci restò male perché non ne aveva. L'uomo faceva bei discorsi e conosceva il latino e faceva delle domande all'altro che rispondeva con poche parole. Quando seppe che era nato in Argentina gli fece i complimenti. Gli disse che lui abitava da solo, ma precedentemente aveva avuto storie amorose. Adriano si accorse presto che mentiva, e si sentiva rattristato dal fatto che lui odiava le bugie, ma doveva dirle, inoltre non poteva avere dei veri amici con cui confidarsi e raccontare la sua assurda storia. Si stava rendendo conto degli inconvenienti della fortuna, si era conciato in quel modo per piacere agli altri e la solitudine lo assaliva, quando voleva prendere decisioni usciva dall'albergo e passeggiava per Milano, la vita gli sembrava inutile e si sentiva sperduto. Il giorno dopo salì sul tram elettrico e incontrò un uomo che parlava di tutto e con tutti e non si era accorto di tornare in albergo e si mise a parlare anche con un canarino, poi nella sua stanza gli veniva voglia di prendersi a schiaffi per la sua condotta. Bisognava che lui prendesse ad ogni costo una risoluzione insomma, doveva vivere. Capitolo X Pochi gironi dopo si recò a Roma per prendervi dimora, scegliendola fra le tante perché gli sembrava più adatta ad ospitare forestieri. La scelta della casa, cioè d'una cameretta decente preso una famiglia discreta, gli costò molta fatica. Sulla porta del 4° piano c'erano due targhette Paleari e Papaino. Venne ad aprirgli un vecchio di 60 anni in mutande di tela (forse si stava lavando) gli sembrava fosse la serva, chiamò la figlia e le disse che c'era qualcuno che cercava la camera. La figlia Adriana disse al padre che il Terenzio si trovava a Napoli e gli fece notare com'era combinato. Adriana era una bella donna, vestiva di mezzo lutto, parlava piano, ella lo condusse nella sua stanza che era apprezzabile e si godeva un bel panorama. Adriano seppe che in quella casa oltre alla signora, Adriana, il babbo Paleari e il cognato Terenzio Papiano, viveva una donna che dà lezioni di pianoforte non in casa. Seppe anche che la sorella di Adriana era morta 6 mesi fa. Gli diede il nome, aveva paura che ella non gradisse. Si accorse che il padre Anselmo Paleari aveva spuma nel cervello, si scusò del modo decente in cui era apparso la prima volta, poi capì che egli era iscritto alla scuola teosofica e in seguito era stato rovinato finanziariamente. Adesso viveva con la misera pensione, quella vita astratta che si era creato studiando continuamente e spendeva molto denaro per i libri e si era fatta una piccola biblioteca. Il vecchio ora aveva letto cose spiritiche e aveva scoperto che la coinquilina Silvia Caporale, la pianista se ne intendeva di queste cose. Quest'ultima era una donna sopra i 40, era arrabbiata d'amore, in quanto era brutta e per non pensarci si ubriacava, si gettava sul letto e piangeva e Adriana la andava a consolare per pietà. Non veniva cacciata via perché il vecchio aveva bisogno di lei e perché dopo della morte della madre la signora aveva venduto la sa e affidato parte del denaro a loro, ma era scomparso. Adriana era invece religiosa e con il fatto dell'acquasantiera pensò che lui non era andato a messa da quando era andato via Pinzane e non aveva una vera fede. Quando leggeva vari libri di Palearu rifletteva sulla vita ma il vecchio gli metteva innanzi l'ombra della morte. Il modo di pensare di Paleari tutto filosofico, tutto strano su qualsiasi cosa e Adriano era stufo del suo modo di fare e pensava sempre alla morte. Un giorno mentre passeggiavano per Roma il vecchio disse che se un tempo era una città bella e viva adesso e una città morta. Capitolo XI Man mano che il padrone gli dava più familiarità egli si chiudeva in se stesso col rimorso di stare lì sotto falso nome e di dire bugie a se stesso e agli altri. SI diceva da solo che voleva rimanere libero ma ogni sera si affacciava alla finestra e guardava il fiume. Qualche sera vedeva la mammina in veste da camera, Adriana , intenta a innaffiare i fiori "Ecco la vita" pensava Adriano, ma ella per vari motivi parlava poco di lui. Spesso andava in luoghi deserti o in luoghi solitari, come era di moda. Una notte in piazza S. Pietro gli sembrava di sognare, ritornando per via Borgo Nuovo, s'imbatté in un ubriaco che lo fermò e gli dissi di star allegro e non pensare a nulla; Adriano pensò molto alle sue parole, non poteva certo andare ad ubriacarsi in una taverna e si diceva tra sé che il male che lo affligge è la democrazia, perché se governa uno sa che deve contentare molti; ma quando i governatori pensano solo a se stessi si ha una tirannia mascherata da libertà. Mentre tornava a casa c'erano 4 miserabili armati addosso ad una donna. Prese un bastone di ferro e cacciò quegli uomini per liberare la donna ma si ferì alla fronte e gli uscì sangue, la donna cominciò a gridare per chiedere aiuto, poi Adriano si lavò la fronte alla fontana, c'erano due guardie e la donna raccontò tutto ma egli non volle spargere denunzia. Silvia Caporale s'impicciò dei fatti di Adriano vedendolo stropicciarsi il dito perché era convinta che fosse vedovo. Adriana ne soffrì perché si ricordò della povera sorella. Adriano Meis si rese conto che conducendo una vita misteriosa e silenziosa aumentava la curiosità degli altri. Un giorno Silvia gli domandò da parte di Adriana perché non si faceva crescere i baffi, ma Adriana non voleva questo e si mise a piangere. Ci furono altre domande un po' indiscrete poi cominciò a parlare tranquillamente sempre raccontando molte bugie. Le due donne approvavano quel che diceva. Si era accorto che la Caporale si era innamorata di lui, ma a egli gli interessava Adriana ma il loro non andava più di pochi sguardi. Gli raccontò che quell'anellino glielo aveva regalato il nonno quando aveva 12 anni, mentre si trovava a Firenze. Le dice che lui si sente brutto e per questo non ha delle donne, e poi con quell'occhio, insomma si era accorto che la donna lo amava anche se non era bello. Mattia rifiutò felice, quello che diceva il signor Anselmo non gli sembrava più noioso, senza volerlo era crudele verso la donna invece Adriano arrossiva. Adriano e Adriana comunicavano con le voci dell'animo senza comuni parole. Un giorno Meis disse alla Caporale che si voleva fare operare da un'oculista e così fece. Dopo alcuni giorni di sera sentì due persone parlare, erano la Caporale e un'altro che parlavano di lui che forse era ricco, inoltre quest'uomo voleva parlare con Adriana. Mentre spiava si accorse che quell'uomo misterioso era rimasto solo, poi venne a parlargli Adriana (era suo cognato Papiano). Mentre spiava si aprì la persiana e Adriano lo invitò e gli presentò il cognato venuto da Napoli. Il cognato era segretario presso i Borbonici e non la finì più di parlare. Quindi disse che era tardi ed era ora di andare a dormire e Adriana lo condusse per mano come non lo aveva fatto mai. Adriano si era reso conto che non era accettato e c'era qualcosa di misterioso che non andava. Capitolo XII Un giorno Paleari disse a Meis se doveva andare a vedere la tragedia di Oreste in un teatrino di marionette e gettò lì una valanga di suoi pensieri che rimanevano tra le nuvole e chi lo ascoltava difficilmente seguitò a pensare che un protorico di quelle era Papiano, il cognato di Adriana, che considerava la vita come un gioco e si cacciava, in ogni intrigo. Papiano aveva circa 50 anni, alto robusto, calvo, occhi e mani irrequiete in quanto ogni sua domanda nascondeva un'insidia, pensava di andarsene ma rimaneva perché sentiva qualcosa per Adriana, inoltre c'era qualcosa di sospettoso in quell'uomo, la donna era diventata più triste invece la Caporale gli dava del lei, ma quando parlavano in segreto gli dava del tu. Una sera, sul terrazzino, dove ora non si riunivano più perché c'era Papiano e andò a vedere (sul baule c'era il fratello di Papiano, (soffriva di convulsioni epilettiche). Lì trovò la signorina Caporale che piangeva e Adriano approfittando della sua voglia di sfogarsi scoprì che ella rimaneva lì per via di 6 mila lire, che gli aveva dimostrato che aveva capito. Gli dice che aveva fatto molto per Rita, la sorella di Adriana e aveva venduto il pianoforte, il suo oggetto più caro. Gli disse che prima componeva melodie stupende, poi gli diede quelle 6 mila lire e aspettava da molto la restituzione che sarebbe avvenuta se avrebbe convinto Adriana a sposarsi col Papiani, non per amore, ma perché lei aveva 15.000 lire di dote, quelle della sorella che il marito alla morte della moglie dovette restituire ad Anselmo Paleari. Venne Adriana e i due smisero di parlare, poi venne il fratello di Papiano e Adriano (Scipione) tornò dentro. La signorina Caporale gli disse che se poteva fare qualcosa l'unico era lui. Adriano era stanco di avere uno dietro la porta e inoltre cercava di spronare Adriana, aveva aperto una sfida col Papiani. Questi non fece niente di particolare ma disse al fratello di non stare dietro la porta di Meis e rinfacciava alla cognato che era molto timida in sua presenza. Una sera Papiano arrivò in casa con un uomo dicendo che si chiamava Francesco Meis di Torino ed era cugino di Adriano. Disse che suo padre si chiamava Francesco come lui, ed era fratello di Antonio, cioè di Paolo il padre di Adriano. Adriano capì come già aveva capito che era una falsa e quando licenziò quell'ubriaco, cioè quel parente, si rivolse a Papiano e in discussione seppe che aveva conosciuto quell'uomo all'agenzia delle imposta dove lavorava. Una sera giunse la voce dal corridoio di una spagnolo, ora di andare a casa del marchese e partirono tutti. La casa del marchese Giglio d'Auletta era a Roma, di solito era affollata, ma quel giorno c'era solo il pittore che abbozzava il ritratto di Minerva, la cagnetta di Pepita. Quando scese ella con la governante Candita, si accorse che era una bella ragazza e accanto a,ei la bellezza di Adriana impallidiva, invece vide che la governante portava in testa una parrucca. Meis osserva la vecchia cagnetta e la descrive. Venne il marchese, un vecchietto che si dimostrò cordiale con loro e gli fece visitare la casa, lesse loro una lettera e si ricordò guardando un giglio di legno della mattina del 5 settembre 1960, una delle ultime passeggiate del sovrano. Per attuare il suo disegno Adriano si accostò a Pepita e cominciarono a discutere. Ella era impaziente e aspettava che il pittore le portasse il quadro di Minerva, non era pronto e dovette continuarlo e per punirlo del ritardo si mise a parlare con Meis. Minerva non stava ferma e il pittore si spazientiva e cominciò a sgridarla. Pepita si offese, pianse e svenne. Adriano e il pittore si scontrarono ma Meis venne fermato e gli altri gli avevano detto che ci pensavano loro che erano i testimoni, ma ci ripensarono e dissero che era meglio se si rivolgeva a due ufficiali dell'esercito. Ormai non aveva nulla da perdere, si presentò davanti gli ufficiali e disse che aveva avuto un affronto, un ufficiale lesse il codice cavalleresco e aveva detto che c'era stato un caso simile al suo a Pavia. Stanco di ascoltarlo gli disse che voleva battersi subito senza fare tutte quelle cose, ma lo scoppio di risa degli ufficiali lo fece vergognare e scappò via. Guardò le vetrine e a notte fonda si trovò sul Ponte Margherita e ripensò che questi due anni si era aggirato come u'ombra con l'illusione di vivere dopo la morte, aveva pensato di ritornare a casa a Miragno. Ma prima però decise di far morire Adriano Meis affogato, scelse un posto meno illuminato, si tolse il cappello, il bastone, il biglietto col nome, indirizzo e data e li posò sul parapetto del ponte e se ne andò portando con sé il denaro cercando la sua ombra. Capitolo XVII Arivò alla stazione in tempo per prendere il treno delle 12 e 10 per Pisa, quando il treno partì si fece un sospiro di sollievo come se si fosse tolto un macigno ed era felice di essere di nuovo Mattia Pascal. Sapeva che doveva ritornare in quell'inferno di casa ma si era reso conto che quella libertà era solo apparente ed era stato incosciente quando era fuori da ogni legge; in quei due anni era rimasto solo e aveva detto molte menzogne. Pensava a quello che sarebbe successo se i giornali avessero pubblicato del suicidio di Adriano Meis, quindi aspettò alcuni giorni a Pisa per leggere i giornali poi voleva sperimentare la resurrezione prima con il fratello e la cognata. Si fece tagliare i capelli e comprò il cappello di quelli che usava Mattia Pascal. Comprò una valigia e delal biancheria perché pensava che la moglie aveva buttato via tutto. Il giorno dopo quando lesse i giornali vide che c'erano poche parole per lui, molto confusionarie e alcuni dissero per amore di Pepita Pontegoda. Partì per Oneglia e trovò Roberto in villa per la vendemmia. Era felice di aver visto la bella riviera. Il servo lo fece entrare dicendo che era amico del padrone. Mentre aspettava nel salotto c'era un bambino che doveva esser e il figlio di Berto. Berto quando lo vide impallidì ma Mattia gli disse che era vivo, entrambi si abbracciarono e piansero. Mattia gli racconta della sua storia e voleva ritornare a Miragno, ma Berto gli disse che la moglie si era sposata con Pomino, ma se voleva poteva riprendersela e il secondo matrimonio si annullava. Berto lo lasciò solo e dopo fece venire il cognato che era avvocato, anche la moglie di Berto e la madre di lei gioirono a vederlo. L'avvocato gli disse che poteva riprendersi la moglie e il 2° matrimonio si annullava, poi l'avvocato gli disse che era meglio che non tornava visto che l'avevano trattato così ma egli replicò che non voleva fare più la parte del morto e voleva vendicarsi. Mangiò insieme a loro, il fratello gli disse che voleva accompagnarli l'indomani, ma Mattia insistette e se ne andò da solo quella sera. Partì col treno e alle 8 fu a Mragno. Capitolo VIII Mattia salì su un vagone di prima classe, voleva vendicarsi e provava odio, si era dimenticato di domandare a Berto del Malagna, della zia Scolastica, del podere della Stia ecc. Egli pensava che poteva trovare Pomino nel suo Palazzo e caso mai avrebbe avuto l'indirizzo dalla portinaia. Giunse lì e ci doveva essere aria di funerale, forse era morto il padre di Pomino. La portinaia lo fece aspettare davanti a una porta, forse stavano cenando. Bussò e la vedova Pescatore domandò chi fosse e Mattia disse che era lui, si stupirono ed ebbero tutti paura. Pomino cadde per terra, la vedova Pescatore fece un forte urlo. Mattia cercava Romilde ma Pomino era di là insieme alla figlioletta perché doveva darle il latte. Romilda con la bambina andò nella sala quando lo vide e lo fece calmare. Andò da Romilde la quale piange e gli disse dove era stato. Egli rispose che loro lo avevano creduto morto e ora doveva riprendersela ma non volle perché non voleva lasciare la bambina senza mamma e avevano fatto pari, lui aveva un figlio, figlio del Malagna e lui una figlia che è figlia di Pomino e se la voleva Dio un giorno si sarebbero sposati. La bambina era addormentata, Romilda la posò nella culla e andarono di là a discutere. Mattia si mise a guardare Romilda, mentre Pomino diventava geloso, Mattia capì che le voleva bene e le disse che li lasciava in pace e la lasciava a Pomino anche per amore della bambina e voleva passare di lì per fare delle chiacchierate. Pomino s'infurio e gli disse quasi che era meglio che fosse morto davvero, Mattia controbatté e dice che già era stato da suo fratello. Mattia gli domandò se c'era una lapide e se avevano portato fiori al cimitero e chiese come mai si erano sposati così presto. Pomino disse che dopo la sciagura avevano affidato una personcina alla donna e poi si era sposato con ella ed avevano avuto la bambina e fu gioia per tutti anche per il nonno che era morto da due mesi. Per quanto riguarda la zia Scolastica era viva ma non lo vedeva da due anni. SI misero a conversare aspettando l'alba del giorno in cui sarebbe pubblicamente risorto. Lasciò lì la valigia, scese a passeggiare per le strade, però nessuno lo riconosceva. Voleva ritornare indietro e cancellare tutto il patto, invece di andare al Municipio a farsi cancellare dal registro dei morti, andò in biblioteca dove trovò don Eligio Pellegrinotto che dopo avergli sentito pronunciare il nome gli fece una festa, lo portò in paese e lo fece riconoscere a tutti i quali lo tempestavano di domande ma egli rispondeva che aveva fatto il morto ed era venuto dell'altro mondo, il giornalista Lodetta, quello del foglietto gli portò il giornale di due anni fa dove c'era la notizia della sciagura, ma egli disse che il contenuto lo sapeva a memoria perché si leggeva all'inferno, poi nel giornale della domenica scrisse che era vivo a grosse lettere. Tra i pochi che non vollero farsi vedere furono i creditori e Batta Malagna, La domenica incontrò Oliva con il figlio di cinque anni, lei lo guardò negli occhi e gli disse tante cose. Ora vive con la zia Scolastica, dorme nel letto dove è morta la madre e passa molto tempo della sua giornata in biblioteca insieme a don Eligio e da sei mesi che aiutato da lui sta scrivendo questa storia anche se non sa a che fine gioverà agli altri. Comunque gli disse che il succo e che non si può vivere fuori dalla legge per bella o triste che sia. A volte va al cimitero del povero ignoto a portargli i fiori e se qualcuno lo segue e gli domanda chi fosse gli rispondeva io sono... Il fu Mattia Pascal!
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