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Riassunto completo - Introduzione alla storia moderna - Bellabarba, Lavenia, Schemi e mappe concettuali di Storia Moderna

Riassunto completo ed esaustivo (prima e seconda parte) del manuale "Introduzione alla storia moderna" di Bellabarba, Lavenia. Testo adottato per il corso di Storia moderna del prof.re Barbierato. Voto esame: 30 e lode.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

In vendita dal 04/07/2023

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Scarica Riassunto completo - Introduzione alla storia moderna - Bellabarba, Lavenia e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! INTRODUZIONE ALLA STORIA MODERNA PARTE PRIMA 1. IL PENSIERO DEL PASSATO E L’IDEA DI MODERNO – Marco Meriggi L’idea di moderno è nata in ambito europeo tra la fine del 1600 e il cuore del 1700. Una delle sue formulazioni più paradigmatiche è stata formulata da Voltaire, che suggeriva di cominciare uno studio serio della storia solo a partire dal momento in cui essa diventa realmente interessante per i suoi coevi. Secondo Voltaire, tale momento inaugurale coinciderebbe con l’invenzione della stampa alla fine del 1400, dopodiché la storia proseguirebbe lungo un percorso progressivo segnato da tappe significative, che in linea con le periodizzazioni più condivise, Voltaire individua nella nascita dell’Umanesimo in Italia e nel suo successivo dispiegarsi nel resto d’Europa, nella scoperta del Nuovo Mondo e delle nuove rotte commerciali asiatiche, nella Riforma Protestante e nei successivi successi artistici e scientifici. È evidente che tale periodizzazione è costruita attraverso delle esemplificazioni che servono a giustificare il punto di approdo del progresso umano, ovvero il trionfo della ragione e la conquista di una visione secolarizzata del mondo, in cui l’umanità si fa padrona del proprio destino. L’idea di moderno, infatti, non rimanda solo a una netta discontinuità qualitativa con il passato, il cui ruolo normativo (historia magistra vitae) viene totalmente sminuito, ma anche e soprattutto a un progetto aperto e potenzialmente infinito verso il futuro. Secondo questa prospettiva, il dispiegamento della storia si verifica attraverso sequenze ed episodi successivi, tanto più moderni quanto più danno prova della centralità della ragione e dell’ambizione umana di trasformare il mondo e dominare la natura. Il punto di approdo di questa evoluzione lineare e progressiva è sicuramente rappresentato dalla Rivoluzione francese. È proprio da questo momento, infatti, che si afferma il nuovo significato del termine “rivoluzione”, così come lo intendiamo ancora oggi, ovvero di un evento che sconvolge la società umana, segnando una frattura radicale rispetto al passato e, contestualmente, un’apertura verso il futuro. D’altro canto, questa visione ottimista e progressiva fu osteggiata da un fronte reazionario – confluito in parte nel Romanticismo ottocentesco – che criticava aspramente l’azzeramento del tempo e il rifiuto della saggezza del passato. A cavallo tra Settecento e Ottocento si verificano nuovi eventi travolgenti, che si aggiungono alle tappe significative della storia moderna già individuate da Voltaire: innanzitutto le rivoluzioni politiche (americana, oltre che francese) con la radicale messa in discussione dell’autorità del passato; in secondo luogo, la rivoluzione industriale, che in modo ancora più preminente diede prova delle straordinarie potenzialità della scienza e della tecnica nel processo di conoscenza e controllo della natura. Una prima concettualizzazione di questi nuovi fenomeni fu elaborata nell’800 dalle fi losofie della storia, un genere nato simultaneamente all’avvento dell’idea di moderno. È in quest’ambito di saperi che si afferma l’idea della scala del tempo di Hegel, che si fa portavoce di una percezione eurocentrica del mondo, fondata sul concetto di «contemporaneità del non contemporaneo», ovvero di simultaneità storica di epoche diverse a seconda dei luoghi e delle culture. In realtà, tale concezione aveva già ricevuto una prima formulazione implicita nei dibattiti cinquecenteschi sulla natura degli amerindi, giudicati come popoli senza storia, espressione di un’umanità bambina da accudire e guidare verso la maturità da parte di un’umanità adulta, quale quella cristiana. Tale concezione, che trova per l’appunto in Hegel uno dei suoi massimi ideatori, viene poi riconfermata da Weber in pieno 1900, quando ormai l’idea di moderno si è completamente dispiegata nella supremazia della razionalità, nell’ affermazione del capitalismo e dello Stato di diritto legale- razionale, nel trionfo della scienza e del dominio dell’uomo sulla natura, nonché nel declino del predominio della religione. Secondo Weber, infatti, il progresso moderno culmina proprio nella sintesi dello Stato di diritto ottocentesco, in cui si fondono, da un lato, la protorazionalità burocratica come fonte del disciplinamento sociale, e d’altro lato, la protodemocrazia come garanzia di libertà. Da quest’analisi evolutiva dell’idea di moderno, si può notare quindi come essa sia il frutto di un processo costruttivo concettuale e necessiti pertanto di essere contestualizzata, in quanto frutto di un’epoca storica precisa, compresa tra il 1400 e il 1800, e di un’area del mondo specifica, ovvero l’Occidente cristiano. Secondo l’autore, tale origine spazio-temporale sarebbe in buona parte dovuta al contributo determinante apportato dall’etica religiosa cristiana, che ha indotto gli esseri umani all’attivismo e all’individualismo, al contrario delle etiche religiose proprie di altre culture e civiltà. Un’analisi attenta e approfondita dell’idea di moderno rivela dunque la persistenza di un’operazione consapevole di retroproiezione storica di alcuni tratti caratteristici del presente per evidenziarne le origini genetiche: l’età moderna, infatti, è coincisa con la massima espansione europea proprio sulla base della presunta superiorità intrinseca di questa civiltà. Gli studi storici, tuttavia, hanno evidenziato che in realtà il mondo tra il 1400 e il 1800 era decisamente più policentrico e privo di quei dislivelli gerarchici che si sono manifestati successivamente. A questo proposito, risultano particolarmente interessanti alcune tesi storiche che mettono in discussione l’idea lineare e europea di modernità, tra cui la teoria delle modernità multiple di Bayly e l’ipotesi dell’estensione di un lungo medioevo, caratterizzato da un mondo patriarcale, signorile e contadino, protrattosi fino alla Rivoluzione francese o addirittura fino alla Prima guerra mondiale. Infine, la rapida circolazione di espressioni quali «post-modernità» o «modernità liquida», coniate da Bauman, rivelano lo smarrimento della visione progressista e positivista della storia nel nostro presente. 2. MISURARE IL TEMPO – Antonio Trampus Il problema della misurazione del tempo è ormai da secoli al centro dell’attenzione umana. Benché sia stato trattato perlopiù come oggetto di storia della scienza e della tecnica, si tratta in realtà di un problema complesso che attiene, più in profondità, alla capacità dell’uomo di esprimere la sua volontà, di esercitare un dominio sulle cose, di organizzare e manipolare il tempo. È per questo motivo, infatti, che l’indagine storica si è estesa dallo studio delle tecniche di misurazione all’analisi delle spinte culturali e sociali. In questo senso, una delle trasformazioni più significative nella concezione del tempo si verifica tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età moderna, quando si assiste al passaggio da una visione di tipo qualitativo del tempo, dettata dalla ciclicità della vita e delle stagioni e dall’alternarsi del giorno e della notte, a una concezione quantitativa del ritmo della vita. Basata sull’adozione di un’unità astratta, tale visione diventa gradualmente comprensibile alla popolazione attraverso l’introduzione del mese, il cui significato viene appreso grazie alla 2. Nell’ambito delle rivoluzioni geografiche, il 1402 può essere considerato l’anno di nascita dell’imperialismo ecologico europeo. A partire da questo momento, infatti, le flotte spagnole, francesi e portoghesi iniziarono a esplorare l’Oceano Atlantico. Le isole Azzorre, le Canarie e Madeira divennero così avamposti dell’espansione europea, nonché luoghi di sperimentazione ecologica della successiva colonizzazione del Nuovo Mondo. Una seconda fase dell’espansione biologica si aprì a partire dal 1620, quando le principali civiltà europee tentarono la colonizzazione della regione caraibica, mettendo in atto dei processi di radicale modificazione ecologica del territorio. La produzione agricola intensiva, infatti, determinò un processo di deforestazione ed erosione, che alterò la composizione demografica e l’equilibrio delle fonti energetiche nella regione dei Caraibi. Nell’ambito degli studi storici sull’ambiente, il tema dello scontro tra ecologie indigene e coloniali è oggetto d’analisi di due testi fondamentali degli anni ‘80: il primo, scritto da Cronon, si occupa – tra l’altro – di sfatare il topos delle “terre vergini”: in realtà, anche le popolazioni native avevano modificato il territorio, ma fu l’arrivo degli esploratori e dei missionari a cambiare radicalmente l’interazione uomo- natura. Il secondo, scritto da Merchant, propone un’estensione del periodo delle rivoluzioni ecologiche, che va dal 1600 al 1860, in cui si verificano due cambi di paradigma fondamentali: quello coloniale nel 1620 e quello capitalistico nel 1750. In seguito a tali trasformazioni, l’ecosistema integrato di cui gli esseri umani erano parte venne diviso in rigide categorie antitetiche, natura/cultura o selvaggio/civile, lo spazio ambientale venne privatizzato e l’economica di raccolta e caccia venne sostituita da un’economia di scambio basata sulle piantagioni e sullo sfruttamento intensivo. A questo proposito, la prima lettura «ecologica» del colonialismo europeo risale agli studi di Crosby, che nel 1972 coniò l’espressione «scambio coloniale», con cui si intende lo scambio reciproco tra indigeni e europei in termini di malattie, flora e fauna. 3. Nell’età moderna si assiste a una profonda trasformazione nell’immaginario, ovvero nei modi di percepire e classificare la realtà: la prospettiva utilitaristica delle scienze naturali si afferma sulla base dell’idea di progresso, che implica la conquista della natura. Nelle pratiche quotidiane il mondo vegetale era stato ridotto a cibo e combustile e gli animali a strumenti di lavoro, mezzi di trasporto, materia prima per la confezione di indumenti. Tuttavia, proprio in concomitanza a questo fenomeno, si affermano anche nuove forme di relazioni tra umani e natura. Lo sviluppo della tecnologica, infatti, ha contribuito a stimolare il rispetto per gli animali e già dalla metà del 1600 iniziano a circolare le prime idee di vegetarianesimo. Analogamente, nuove sensibilità si sviluppano nella riscoperta del legame tra umani e paesaggi, di cui le foreste, i fiumi e le montagne rappresentano luoghi topici. In età moderna, infatti, i boschi e i corsi d’acqua diventano veicolo di identità nazionale, oltre che materia prima del capitalismo, mentre le montagne diventano luoghi di epifanie e purificazione. È in questo contesto che emerge quello che Thomas ha definito «the human dilemma», ovvero la tensione tra le esigenze materiali del progresso e una nuova attenzione per la natura. In conclusione, le origini della capacità umana di plasmare la natura a proprio vantaggio vanno ricercate non tanto nella Rivoluzione industriale come processo a sé stante, ma nell’intera complessità dell’età moderna e, in particolare, nella nascita dei grandi imperi coloniali. La centralità di tale fenomeno costituisce un punto di svolta essenziale nella narrazione celebrativa e naturalizzante del predominio europeo. 4. CARTOGRAFARE LO SPAZIO – Massimo Donattini Dal punto di vista della storia della cartografia, la tesi convenzionale che fa coincidere la nascita dell’età moderna con la scoperta del Nuovo Mondo è del tutto priva di valore, in quanto già i secoli del basso medioevo hanno fornito un contributo essenziale a quella «rivoluzione cartografica» che gli storici sono soliti attribuire alla modernità. D’altro canto, è solo nel pieno del 1700 che tale processo raggiunse la sua piena affermazione, in virtù delle conoscenze teoriche e delle tecniche sviluppate. Una prima significativa svolta si verifica a partire dal 1200 (fino ad allora la cartografia si era affermata solo su base religiosa), quando le nuove esigenze commerciali diedero vita a importanti trasformazioni nel mondo della navigazione: oltre ai mutamenti nella struttura delle imbarcazioni e negli strumenti di bordo, si diffusero anche nuove concezioni nautiche di base, in particolare il passaggio dalla tradizione del cabotaggio a quella del pileggio. Fu in questo periodo che nacque una forma di cartografia nautica, utile a stabilire la distanza tra due punti e la rotta che li unisce. Tale cartografia presentava limiti notevoli, ma poteva vantare anche importanti pregi, quali la rappresentazione in scala e la precisione nella delineazione dei profili costieri. Tuttavia, le carte nautiche venivano utilizzate poco dai marini sulle navi, che preferivano continuare a adottare i testi descrittivi come i portolani, ma furono oggetto di ammirazione e scambio tra mercanti, studiosi e uomini di Stato. È grazie a questo interesse, infatti, che le carte nautiche continuarono a essere disegnate, dando un contributo importante alla cartografia tra il 1400 e il 1500. La svolta decisiva per la storia della cartografia moderna si verificò tra il 1300 e il 1400, quando un dotto bizantino portò a Firenze una copia completa della Geografia o Cosmografia di Tolomeo. Il metodo tolemaico per disegnare carte geografiche si ispirava ai principi della geografia astronomica e si fondava sul sistema delle coordinate, ovvero sull’assegnazione ad ogni punto di un valore di latitudine e longitudine. La discussione sul metodo tolemaico interessò l’Europa per tutto il 1400 e buona parte del 1500, dando vita a ben 32 edizioni della Geografia, a cui di volta in volta si aggiungevano carte moderne accanto a quelle originarie. Nonostante i forti limiti della cartografia in questa fase storica, dovuti all’insuffi cienza di dati in termini sia quantitativi sia qualitativi, una tale diffusione del metodo tolemaico comportò mutamenti notevoli nella concezione dello spazio, sostanziatisi nell’idea di spazio omogeneo, costituito da punti con valori e proprietà analoghi, e nella nozione di co-sincronicità della carta geografica, che escludeva la compresenza di realtà appartenenti a epoche differenti nella medesima mappa. Al di là degli aspetti teorici, le carte della Geografia di Tolomeo non esaurirono il panorama cartografico della prima età moderna: accanto ad esse, infatti, si diffondevano centinaia di carte diverse, soprattutto in Italia e in area germanica. Un ulteriore sviluppo si verificò alla fine del 1500, con la comparsa del primo atlante moderno: il Theatrum di Ortelius del 1570, seguito dall’Atlas di Mercator del 1595, che presentavano però un carattere più commerciale che scientifico. La matematizzazione dello spazio implicita nel metodo tolemaico ebbe conseguenze anche sull’esercizio della sovranità, intesa come potere esercitato non più solo sulle persone ma anche sul territorio. Tale relazione tra cartografia e potere politico si manifestò innanzitutto in Italia, dove si può individuare un esempio paradigmatico nella Galleria delle Carte Geografiche realizzata da Danti per volontà di Gregorio XII, e poi si propagò nel resto d’Europa. Un aspetto emblematico di tale fenomeno è rappresentato dall’uffi cio di geografo o cosmografo regio, che si diffuse in tutte le principali corti europee a partire dal 1500. A questo proposito, le conoscenze e competenze dei cartografi potevano risultare particolarmente utili nel settore militare e diplomatico, ma una svolta significativa in questo senso si verificò solo a partire dal 1700. Fino a questo momento, infatti, nell’ambito della cartografia le conoscenze teoriche furono più avanzate delle pratiche, ovvero delle tecniche e delle strumentazioni adottate dai cartografi. Infine, una conseguenza significativa degli sviluppi della cartografia moderna si verificò sul piano simbolico: con ciò si intende che la possibilità di adottare i concetti della geografia per pensare l’intero mondo allora conosciuto rappresenta l’operazione culturale precedente e necessaria alla concreta conquista del pianeta. Anche in questo senso, quindi, la cartografia si presenta come importante strumento di imposizione del potere: la formazione del topos della supremazia europea si accompagna, non a caso, alla diffusione di una classica immagine cartografica giunta fino a noi, quella che vede cioè nella piccola Europa il centro del mondo. In questo contesto va tenuto conto del fatto che, per immagi luoghi ancora ignoti, il cartografo della prima età moderna fece ricorso a rappresentazioni ipotetiche e tale cartografia congetturale non può essere tracciata a partire dalle sue ideologie, dalla sua cultura, dalle sue convinzioni religiose, nonché dagli interessi dello Stato per cui lavora. Un esempio di questo fenomeno è rintracciabile nelle prime rappresentazioni dell’America come grande appendice dell’Asia piuttosto che come terra indipendente, poiché una tale idea di autonomia si presentava in aperta contraddizione con la Bibbia. 5. LAVORO, SCHIAVITÙ, MIGRAZIONI – Federica Morelli I recenti studi sulla schiavitù hanno messo in discussione la prospettiva tradizionale della storiografia secondo cui il lavoro rappresenterebbe un oggetto di analisi contemporaneo, ovvero un fenomeno emerso nell’età moderna in virtù dell’espansione capitalistica, che ha prodotto il lavoro salariato e i processi di proletarizzazione. Tale prospettiva ha marginalizzato la schiavitù e altre forme di lavoro coatto, perché considerate arretrate, non capitaliste e pertanto tipiche delle società premoderne, poste in contrapposizione alle conquiste di democrazia e libertà della modernità. Il consolidamento degli studi sulla schiavitù, invece, ha svelato la compatibilità del capitalismo con il lavoro non salariato e ha smentito la direzione progressiva e teleologica che avrebbe caratterizzato la storia del lavoro: da un lato, infatti, il lavoro libero ha rappresentato per tutta l’età moderna un fattore eccezionale e, dall’altro lato, oggi stiamo assistendo a fenomeni diffusi di precarizzazione. Di conseguenza, si è verificata una profonda riconcettualizzazione in quest’ambito di studi, attraverso un’espansione dell’oggetto di analisi, del suo spazio e della sua cronologia. All’interno di queste nuove direzioni di ricerca, si è mostrato che Tuttavia, il capitalismo non costituisce un fenomeno proprio della sola età industriale: alcune sue caratteristiche fondamentali, come il decentramento, la mercificazione e l’accumulazione, sono rintracciabili anche in periodi precedenti. Esempi significativi di tale aspetto si ritrovano nelle botteghe artigiane, che prevedevano già la separazione della contabilità da quella familiare; nelle manifatture tessili, in cui il lavoro veniva dislocato in varie unità esterne; nei grandi arsenali, nelle imprese per l’estrazione dei minerali o nei canteri per la costruzione di cattedrali, che accentravano la produzione in un unico luogo con ampie concentrazioni di manodopera. Tale analisi smentisce il pregiudizio storiografico che attribuisce all’economia artigiana caratteristiche di chiusura e staticità: in realtà, le stesse corporazioni non devono essere intese come il retaggio di un passato lontano, ma come corpi complessi e non privi di contraddizioni. Secondo l’autore, inoltre, alcuni elementi tipici del sistema capitalistico, come l’estrazione del plus- lavoro dal consumatore oltre che dal lavoratore (attraverso la creazione di un mercato di lusso), sono presenti anche nelle economie asiatiche, che hanno fornito infatti un contribuito non irrilevante al processo di industrializzazione. L’industrializzazione costituisce un fenomeno complesso, in cui le cause economiche si intrecciano alle conseguenze sociali, ai valori culturali, ai rapporti di genere. Contrariamente a quanto si può ritenere, tuttavia, questo processo non fu né repentino né uniforme: in primo luogo, infatti, le trasformazioni industriali – quali ad esempio la centralizzazione del lavoro in un’unica unità, lo sfruttamento della manodopera e, di conseguenza, la nascita di una nuova coscienza di classe – non cancellarono definitivamente le società precedenti. In secondo luogo, tali trasformazioni non coinvolsero in modo omogeneo tutte le economie europee, dando vita a una variegata geografia delle rivoluzioni. Infine, come accennato, un contributo fondamentale alle trasformazioni industriali in Inghilterra provenne dal mondo extraeuropeo, tramite processi di import- substitution e di importazione di tecnologie esterne. In conclusione, la rivoluzione industriale e la conseguente affermazione del modello capitalista si verificarono, in un arco temporale lungo tre secoli, nella forma di una riconfigurazione dell’economia globale, dovuta a fattori complessi e non del tutto interni. 7. STATI, IMPERI, COLONIE – Marco Bellabarba Nell’Europa dell’età moderna i termini «impero» e «Stato» presentavano numerose similitudini e ambiguità, mostrando come la realtà sottostante non rendesse possibile operare nette distinzioni tra le due concezioni. Il primo termine, infatti, venivano adottato nel lessico quattro-cinquecentesco per esprimere in senso generico la sovranità politica e il suo utilizzo diffuso – basti pensare all’atto parlamentare con cui Enrico VIII Tudor dichiarava pubblicamente «questo Regno d’Inghilterra è un impero» – non contraddice pertanto l’esistenza in Europa di un solo legittimo imperatore. Ciò dimostra quanto l’uso del termine fosse più vicino al significato di Stato che a quello di potere universale, tipico del medioevo cristiano. Il termine «stato» inizia a designare una condizione politica, di un regno o di una repubblica, solo a partire dal 1300, grazie alla riscoperta del diritto romano. Nonostante le profonde differenze, in termini di estensione e di forme istituzionali, che caratterizzavano la variopinta geografia dell’Europa dell’età moderna, l’utilizzo di questo termine conferiva un carattere unitario, identificando tutti i territori come «stati o domini». Tali aspetti di similitudine e reciproco sconfinamento sono stati a lungo ignorati nella storiografia, che a partire dal 1800 ha avanzato invece la celebre ipotesi dell’origine tardomedievale degli Stati moderni. Per giustificare il carattere coloniale degli imperi otto-novecenteschi, infatti, si individuò un nucleo stabile, etnicamente di origine europea, che differenziava nettamente l’Occidente dal resto del mondo. Tale divario rendeva necessaria un’ampia cornice storica e una soluzione coerente fu appunto trovata nella collocazione dell’origine degli Stati nazionali alla fine del medioevo. Tale concettualizzazione storica contribuì alla diffusione dell’idea secondo cui tali formazioni statali rappresentavano la piena realizzazione di un destino già definito in partenza, giustificando così la missione civilizzatrice degli imperi nuovi e dinamici su quelli vecchi e in declino. In realtà, gli studi storici recenti hanno mostrano la totale infondatezza di tale connessione tra gli imperi ottocenteschi e gli stati predecessori risalenti a quattro secoli prima. Un fenomeno che ha invece concretamente contribuito alla nascita degli imperi coloniali fu l’affermazione dei nuovi imperi di matrice musulmana, che a partire dal 1500 rappresentarono una profonda minaccia per il Vecchio Mondo, non solo dal punto di vista dell’autonomia, politico-territoriale, culturale o religiosa, da difendere contro l’avanzata nemica. L’ascesa degli imperi islamici, infatti, compromise in modo significativo le rotte commerciali medievali con il mondo asiatico, che ricoprivano un ruolo cruciale nelle economie europee. Furono queste problematiche a spingere gli europei verso la ricerca di nuove rotte di commercio e di nuove fonti di ricchezze. Quel periodo comunemente definito «età delle scoperte», quindi, fu in realtà il frutto di uno sforzo di adattamento ai nuovi assetti geopolitici che si erano venuti a creare nel vecchio continente. I processi di conquista, inoltre, avvennero lungo direttive temporalmente variegate e si configurarono attraverso forme istituzionali anch’esse differenti da luogo a luogo. Le terre conquistate dalla corona spagnola, ad esempio, erano considerate parte integrante del patrimonio reale, mentre la corona inglese non attribuiva agli insediamenti americani o indiani lo status di contee inglesi e ne affi dava il controllo a compagnie e investitori. Le diversità d’approccio si riflettevano anche nel modo in cui si cercava di giustificare le conquiste: l’esperienza spagnola diede da subito vita alla contrapposizione tra imperi giusti e sbagliati che giustificò un colonialismo cattolico e autoritario, mentre quella inglese si pose come obiettivo prioritario il controllo commerciale e poté così giustificare, almeno idealmente, l’immagine di un impero della libertà. Quest’ultimo aspetto va inoltre interpretato come il sintomo del ruolo sempre più invadente che i fattori economici occupavano nella gestione dei domini coloniali. L’espansione commerciale del 1700, infatti, portò alla formazione di un solido rapporto di influenza e interesse reciproco tra gli apparati statali-militari e il mercato finanziario. Con la svolta settecentesca, i conflitti dinastici poterono dunque essere combattuti su un vasto scenario territoriale, che ormai coinvolgeva l’intero globo. Le spese belliche di questi conflitti ricaddero in gran parte sui territori coloniali, innescando una crisi che avrebbe portato gradualmente alla fine degli imperi di conquista. È in questo contesto di crisi che il termine «impero» acquisì il significato, che ancora oggi persiste, di territorio composto da una madrepatria e dalle sue appendici coloniali, separate le une dalle altre e affi date al dominio di gruppi ristretti di occidentali su popolazioni locali incivili ed arretrate. 8. VIOLENZA E GUERRA – Marco Bellabarba Lo studio della violenza e dei mutamenti storici che essa ha subito in età moderna, sia nel pensiero sia nelle pratiche, non può procedere secondo una prospettiva lineare, ma necessita di un’analisi composita. La violenza, infatti, non rappresenta un gesto a sé stante, ma si radica in un preciso contesto storico-culturale che traccia, di volta in volta, il confine tra comportamenti leciti e altri ritenuti illegittimi, dunque da condannare. Ne consegue che lo studio della violenza si deve occupare di indagare le relazioni tra sensibilità individuali e autorità politica, i modi in cui alcune consuetudini e codici culturali comuni vengono incasellati in precise categorie giuridiche e, nondimeno, le evoluzioni etimologiche dei termini che le persone comuni adottano per riferirsi a fenomeni riconducibili alla violenza e alla guerra. Un approccio di questo tipo mostra che in tutte le lingue europee la parola “violenza” ha una radice comune al sostantivo latino “vis”, che significa “forza” ma anche “ostilità, prepotenza”. La doppia valenza di “vis” – evidenziata già nel diritto romano dalla separazione della violenza nelle due forme di “vis pubblica” e “vis privata” – è ben espressa dai termini tedeschi “Gewalt” e “Macht”, che a partire dal tardomedioevo tenderanno a identificare azioni differenti: il primo individua atti ostili o illegittimi, il secondo indica l’uso legittimo della forza a opera dell’autorità politica. È solo con il dispiegarsi dell’età moderna, però, che tali termini cominciano a trovare collocazione in categorie giuridiche antitetiche: fino ad allora, infatti, il confine tra le due accezioni era molto labile e spesso le parole si sovrapponevano, rendendo indistinguibili i loro significati. Il lessico relativo alla guerra era dominato poi da analoghe incertezze lessicali: fino al tardo medioevo, la categoria di guerra nel diritto canonico del ‘4-500 includeva diverse tipologie di conflitto, anche molto diverse tra loro (guerra difensiva, punitiva, offensiva). Le distinzioni tra uso pubblico – legittimo e aggregatore – e uso privato – illegittimo e disgregatore – dei termini “violenza” e “guerra” si producono a partire dalla svolta cinquecentesca: gli eventi politici che attraverso l’Europa e il Mediterraneo generano un aumento del tasso di conflittualità, con conseguenze significative nell’organizzazione della guerra. La diffusione delle armi da fuoco, l’evoluzione delle imbarcazioni marittime e delle tattiche belliche, la costruzione di eserciti semipermanenti, rappresentano fenomeni fondamentali nel processo storico di spostamento del conflitto da un ambito privato alla sfera pubblica dell’autorità statale. In questo senso, gli stati del ‘500 e del ‘600 attuano diverse operazioni per ridurre il numero di persone autorizzate a esercitare la violenza. In primis, si procedette a eliminare l’ambiguità di significato dei termini che la identificano, attraverso specifici provvedimenti: in questo modo si produsse la distinzione tra le due categorie giuridiche di cui sopra e si sottrasse qualsiasi forma di legittimità all’uso privato della violenza. Un esempio è rappresentato dai divieti che rendevano il duello un atto punibile con il bando, emanati a Napoli, Venezia, Mantova e numerosi altri territori. Tuttavia, fino all’inizio dell’età moderna, la violenza aveva rappresentato anche un utile strumento di controllo sociale: per questo motivo, l’affermazione di una giustizia esclusivamente pubblica doveva controbilanciare il rischio di disgregazione sociale. A questo scopo, la nobiltà si inserì gradualmente nei ranghi del potere pubblico. Un caso emblematico di tale fenomeno è rappresentano dal Giappone: il duplice processo di disciplinamento dei daimyo e di riconoscimento del potere dei samurai garantì la lunga pace del periodo Edo. Al di là di forzate analogie, si può riconoscere che questa duplicità caratterizzò gli interventi intrapresi da molti apparati statali europei, con la differenza che i nobili occidentali preferirono ricorrere sempre più anche dalla sua presunta virtù domestica, utile a garantire la stabilità della famiglia e, di conseguenza, dello Stato stesso. 10. CULTI E RELIGIONE: CONTATTI, CONFLITTI, TRASFORMAZIONI – Vincenzo Lavenia All’inizio del 1400 i territori dell’Asia attraversano un periodo di notevoli trasformazioni religiose. In particolare, nel Sud-est asiatico si diffondono i culti hindu e il monachesimo buddista, nella Penisola malese, in Indonesia e negli arcipelaghi, invece, si afferma e propaga rapidamente l’islam. Il processo di islamizzazione coinvolge anche le tribù turkumene, che si dichiaravano sunnite, ma negli anni compresi tra il 1300 e il 1400 l’instabilità politico-militare dell’area asiatica favorì la proliferazione di sette mistiche dalle spiccate tendenze messianiche e millenaristiche. Una di queste sette fu l’ordine dello sceicco Safi-al-Din, che diede vita nell’area curda alla dottrina dello sciismo (secondo cui: ‘Ali è l’unico erede del profeta, la vera interpretazione del Corano è trasmessa per via esoterica e l’imam rappresenta la guida dei fedeli). Lo sciismo mira a una compenetrazione tra religione e politica e si suddivide in diverse sette, tra cui quella dei settimani e dei duodecimani. Fu all’interno di quest’ultima che emerse la figura di Ismail, un guerriero discendente dal clan di Safi-al-Din, il quale nel 1501 fondò l’impero safavide, durato fino al 1722. Dopo l’impero Safavide, nacque anche l’Impero mughal nel Nord del subcontinente indiano, dove l’islam sunnita si era già impiantato dal 1200. I sultani erano di fede sunnita, ma per un lungo periodo adottarono una politica di alleanza con l’élite hindu e, in particolare sotto il regno di Akbar, si diffuse un atteggiamento di tolleranza. Tuttavia, lo sforzo di Akbar di fondare un culto sincretico dai forti connotati politici si esaurì con la sua morte e il mondo indiano continuò a essere caratterizzato da una pluralità di culti. Da tale resoconto generale è possibile notare come la formazione dei grandi imperi islamici nel 1500 si legò fortemente all’espansione della religione musulmana come fede universale. Nel terzo grande impero islamico dell’età moderna, l’impero ottomano, si verificò una sorta di convergenza tra la fede sunnita e il cristianesimo ortodosso, esemplificata dalla figura di Mehmet II che, oltre a dichiararsi califfo, rivendicò per sé il titolo di protettore del patriarcato ortodosso dopo la presa di Costantinopoli. Nel mondo cristiano, l’elezione a pontefice di Leone X de’ Medici nel 1513 rafforzò il sentimento di attesa di una renovatio, in cui occupavano una posizione preminente la sconfitta dell’islam e la conversione degli ebrei. Proprio la presenza degli ebrei in Europa aveva rappresentato, sin dall’età medievale, una questione spinosa per il mondo cristiano: espulsi dall’Inghilterra e dalla Francia, sopravvissero in Italia, nell’Impero germanico e nella Penisola iberica. Quest’ultima rappresenta un luogo di particolare interesse per l’analisi dei rapporti tra giudaesimo e cristianesimo. In Spagna e Portogallo, infatti, si adottarono diverse pratiche per limitare la presenza degli ebrei, tra cui l’imposizione forzata del battesimo, che andava a ingrossare le fi la degli ebrei convertiti, le leggi razziali che impedivano ai conversos di assumere numerose cariche pubbliche. Tali provvedimenti diedero vita a una delle diaspore più importanti dell’età moderna e molti ebrei cercarono rifugio nell’impero ottomano. Il nodo iberico, pertanto, costituisce un terreno molto fertile per l’analisi storica dell’idea di “missione”, che si estese in modo alquanto analogo anche in Asia, Africa e nel Nuovo Mondo. È in particolare nelle terre dell’America latina che si verificò la convergenza tra la violenza nei confronti dei non cristiani e la volontà di convertire. I primi a occuparsi di tale operazioni di conversione furono gli Ordini regolari (domenicani e francescani) e più tardi la missione fu guidata perlopiù dai gesuiti. Il fenomeno della conversione rappresenta una tappa fondamentale nel processo di colonizzazione, violenta ma anche assimilante. A differenza di quanto accadde in America latina, nelle terre del Nord America raggiunte dalle Chiese riformate l’impulso alla conversione degli indigeni fu decisamente meno vigoroso e ciò comportò la formazione di una pluralità di denominazioni cristiane – puritani, ugonotti, quaccheri, cattolici, battisti, luterani – in una medesima comunità politica. Le differenze evidenziate nel Nuovo Mondo tra cattolici e riformati furono ovviamente ancora più preminenti in Europa, dove il cristianesimo aveva ormai perso le connotazioni tipiche dell’epoca medievale per lasciare spazio a una fede comunitaria. Se da un lato essa escludeva i nemici, dall’altro garantiva la protezione dei fedeli, la partecipazione alla vita urbana attraverso le confraternite, l’assistenza in istituti di carità, la solennità dei riti di passaggio. Il nuovo legame tra opere e fede permise al laicato di conquistare uno spazio di intervento all’interno della Chiesa ed è in questo fenomeno che trovò posto anche la soggettività femminile. Recentemente, tuttavia, gli studi storici tendono a porre l’accento più sui processi comuni che sulle divisioni. In questo senso, il fenomeno della “confessionalizzazione”, (unificazione del credo e dell’appartenenza territoriale) riguardò l’intera Europa moderna e accomunò il mondo cattolico e quello protestante. Entrambi, inoltre, avviarono processi di conquista delle campagne, di lotta alle superstizioni, di catechesi, di disciplinamento delle coscienze e dei comportamenti morali e sessuali. In Africa e in Asia, i progetti di conversione furono sostenuti soprattutto dai gesuiti, che attraverso l’adattamento (nel linguaggio, nelle vesti, nei tempi), trovarono il modo per entrare in dialogo con i popoli. Tuttavia, nella tarda età moderna, quest’iniziale apertura ripiegò in chiusura e i successi furono molto limitati. Nonostante ciò, il confronto dei cristiani occidentali con il mondo innescò uno sforzo comparativo e descrittivo e una circolazione di saperi di vario genere. Opere diverse, spesso illustrate, oltre che relazioni di missionari e viaggiatori, diedero vita a una prima forma di etnografia, di riflessione sui costumi e soprattutto sulle religioni, sulla loro storia e funzione all’interno delle diverse civiltà. Alla fine del 1700, la diffusione degli studi critici sulla religione generò una crisi della teologia cristiana tradizionale. Altri fenomeni, inoltre, come il distacco tra la cultura illuministica e quella ecclesiastica o il dirottamento dei nobili verso carriere più appetitose – nel commercio, negli eserciti –, spinsero la Chiesa a definire l’idea stessa di modernità come un complotto. Tale periodo rappresenta, quindi, un momento cruciale di passaggio per il cristianesimo europeo, segnato dalla nascita della secolarizzazione. Al di là delle differenti accezioni di significato attribuite al termine, tale fenomeno diede vita, di contrasto, a un pensiero reazionario che fece del cristianesimo un fatto di civiltà e ordine sociale, oltre che di fede. 11. EMOZIONI TRA INDIVIDUO E COLLETTIVITÀ – Fernanda Alfieri A partire da un’analisi etimologica del termine «emozione», è possibile osservare le evoluzioni e i cambiamenti che hanno interessato la vita emotiva nel corso dei secoli. In età moderna, infatti, il lemma è praticamente assente e compare per la prima volta in forma codificata solo nella seconda metà dell’Ottocento, nel Dizionario di Tommaseo, per indicare una ribellione di popoli o stati. In età moderna, quindi, il termine emozione si riferisce perlopiù alla sfera politica, dove sta a significare un’agitazione dai tratti esplosivi e pertanto dannosi. Solo a partire dal 1600, in Francia, comincia a verificarsi un graduale spostamento di significato, dall’esperienza collettiva della rivolta a un movimento interiore dell’animo, anche in questo caso all’origine di turbamento e squilibrio. Tale ricostruzione etimologica, dunque, mostra che anche la capacità stessa dell’essere umano di produrre le emozioni, in risposta a stimoli ambientali e culturali, si evolve e cambia nel tempo. Questa tesi è inoltre supportata dagli studi neuroscientifici, che gli storici delle emozioni hanno recentemente preso in considerazione, contro l’idea storicamente dominante che la dimensione biologica dell’uomo, in quanto naturale, sia stabile e immutabile. Per rendere conto di tali trasformazioni è possibile innanzitutto analizzare i modi in cui in età moderna le persone spiegassero le emozioni. Una prima formulazione è rintracciabile nel primo dizionario di spagnolo moderno, in cui compare il termine «affetto», definito come qualcosa di immateriale, che nasce nell’anima dell’individuo ma si manifesta attraverso segni esteriori e può suscitare effetti anche nelle altre persone. Da questa prima definizione emerge dunque il carattere sociale delle emozioni, che si prestano per costituzione a un’influenza reciproca. Un’altra caratteristica tipica della considerazione moderna è la classificazione delle emozioni secondo categorie opposte. Il contesto sociale delle emozioni è evidente anche nell’utilizzo predicativo che ne facevano le Chiese, sia cattoliche sia riformate, come strumento di conquista delle anime. Erano proprio gli ecclesiastici, insieme ai medici, a occuparsi inizialmente delle trattazioni relative alle emozioni, che venivano indagate non perché interessanti di per sé, ma in funzione del loro governo o uso per la salvezza delle anime. In età moderna, una delle teorie più accreditate circa l’origine delle emozioni risaliva ad Aristotele e alla rilettura che ne aveva dato la teologia medievale, secondo cui le emozioni assumevano tratti positivi o negativi a seconda del ruolo svolto nel compimento di azioni, virtuose o malvagie. La teoria aristotelica della tripartizione dell’anima collocava le passioni nell’anima sensitiva, guidata da due appetiti primordiali, irascibile e concupiscibile. Sia l’anima vegetativa sia quella sensitiva affondano le proprie radici nel corpo, che di esso si servono per agire. La centralità del corpo nella formazione e nell’espressione delle emozioni è evidente anche in un’altra celebre teoria emotiva dell’età moderna, risalente agli studi di Ippocrate e di Galeno, che individuavano la loro origine negli «umori». Trattandosi di una causa fisica dello stato emotivo, le terapie che si ispiravano a tali teorie prevedevano interventi soprattutto sul corpo, ma anche sui comportamenti, al fine di ristabilire una situazione complessiva di equilibrio. Tale visione delle emozioni si colloca in una prospettiva olistica, che considera il vissuto emotivo come parte fondamentale dell’essere umano, ascritti non soltanto alla sua individualità – spirituale e corporea – ma all’intero cosmo in cui vive. Secondo le teorie circolanti in età moderna, un altro fattore fondamentale nella formazione delle emozioni è rappresentato dagli «spiriti», sostanze generate dalla trasformazione che il sangue subisce nel passare attraverso i diversi organi. Secondo Galeno, le emozioni sono accompagnate dal loro movimento. Uno sguardo su queste teorie, quindi, mostra la considerazione moderna delle emozioni come forze particolarmente potenti, capaci di influenzare anche le sostanze organiche degli altri corpi, nonché di superare i confini tra mondo dei vivi e dei morti o mondo naturale e soprannaturale. Alla morte di Genghis Khan, l’impero fu diviso tra i suoi figli e i nipoti in quattro diverse unità territoriali: 1. Il grande khanato in Cina, dominato dalla dinastia Yuan (fino al 1368) 2. Il khanato dell’Orda d’Oro, esteso dal Caucaso fino alla Siberia a Nord e alla Bulgaria a ovest (diviso in quattro regni dopo il 1440 e poi ridimensionato) 3. Il khanato di Chagatai in Transoxiana (a partire dal 1300 diviso in principati territoriali retti da amir in competizione tra loro) 4. L’ilkhanato di Hulegu, nell’area persiana intorno a Baghdad (i sovrani mongoli si convertirono all’Islam ma a partire dal 1300 la loro potenza si indebolì a favore di clan familiari) Impero di Timur-i-Lang (conosciuto come Tamerlano), originario della tribù dei Barlas (ismalizzata sotto il khanato Chagatai) a partire dal 1360: territori molto vasti ma potere debole, basato sulla guerra di cavalleria e sulla razzia, si frammentò nuovamente alla sua morte (1405), conteso tra gli eredi. Tesi di alcuni storici: differenze tra gli Imperi islamici di lunga durata (imperi ottomano, savafide, mughal) definiti come “imperi della polvere da sparo” e le precedenti entità politiche territoriali definite come “stati militari clientelari”  tesi incompleta: ci furono altri fattori che resero possibile il potenziamento delle dinastie islamiche Cina  unità dell’area cinese già a partire dal III secolo a.C. con la dinastia Han, frammentazione nel III secolo d.C. e poi nuova unificazione con la dinastia Tang e Song (fino al 1279)  sconvolgimenti dovuti all’arrivo dei mongoli (debolezza del potere già preesistente): il nipote di Genghis Khan Kubilai sconfisse i Song e diede avvvio alla dinastia Yuan  connessione della Cina con altri territori mongoli, arrivo di missionari e viaggiatori ebrei, ismalici e cristiani, impoverimento dell’impero con forti tributi  grandi rivolte e nascita di sette politico-religiose alla morte di Kubilai, emerse la figura di Zhu che fondò la dinastia Ming e in pochi anni riunificò l’impero cinese (1368-1644): programma di ripristino del potere imperiale (tra cui catasto per la tassazione dell’élite agraria), restaurazione della burocrazia centrale e dei rapporti tributari, spostamento della capitale a Pechino, nuove aperture ai mercati marittimi (finanziamento di spedizioni navali poi interrotte)  conflitti interni e nuovi pericoli tra il 1500 e il 1600 fino al rovesciamento della famiglia Ming nel 1644 a opera di Taiji, khan dell’impero Jin (popolo manciù) nella Cina settentrionale e Manciuria meridionale: nuova dinastia Qing. 1434-1512. La fondazione dell’«Estado da India» e l’inizio del colonialismo Attività commerciali di importazione (metalli preziosi, tessuti, porcellane, profumi) e traffi co di schiavi come attività più redditizie tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna  tra il 1200 e il 1400 genovesi e veneziani costruirono ramificati imperi marittimi sulla base di questi commerci, grazie a basi fortificate sulle coste del Mediterraneo e del Mar Nero Coinvolgimento di numerosi attori nello scenario commerciale (soprattutto spagnoli e portoghesi): trattato di Alcáçovas-Toledo mise fine alle guerre civili in Spagna e avviò la regolazione dei confini dell’espansione extra-europea  grandi vantaggi del Portogallo: autorizzati dalle bolle papali a sottomettere popolazioni e territori sulle coste africane Missione e guerra come strumenti di conquista della Corona portoghese che si fece promotrice di un grande progetto di espansione  Estado da India a partire da Giovanni I (1385-1433) e poi Enrico il Navigatore, Giovanni II, Emanuele I: numerose spedizioni alla conquista delle coste africane fino in India (Cochin come sede dell’impero coloniale, sottomissione della città di Goa e Calicut) e alla Penisola malese Conquista del Brasile avviata con l’arrivo di Cabral a Bahia: divisione del territorio in diversi capitanati (due erano più importanti: quello di Pernambuco a Nord e quello di Sao Vicente a Sud), interesse sempre maggiore per queste zone e i materiali (soprattutto zucchero e tabacco) Alla morte del Sebastiano I (1578) succede al trono Filippo II di Spagna, che riunifica per 70 anni i domini spagnoli e portoghesi (malcontento della popolazione): l’impero coloniale si indebolisce a causa delle espansioni nemiche (francesi e soprattutto olandesi) sia in Brasile sia nell’Estado da India fino alla ripresa a partire dal 1640 con la nuova dinastia dei Braganca  i portoghesi riguadagnarono diversi porti e cacciarono gli olandesi dal Brasile: con la scoperta dei giacimenti d’oro di Minas Gerais alla fine del Seicento, il Brasile acquistò il primato sull’Estado da India come bacino di risorse per la Corona (prototipo del colonialismo moderno). 1453-1526. Istanbul, la Persia e Agra: gli imperi islamici Affermazione ed espansione di grandi imperi asiatici tra il 1400 e il 1500 lungo le vie commerciali  contro l’idea eurocentrica di un mondo asiatico in declino all’ombra dell’Occidente, questi imperi furono promotori di arte, commercio, cultura e ricchezze, nonché di scambi tra le popolazioni (asiatiche, europee e africane): 1. Impero ottomano in Turchia: costituito nei primi decenni del 1300, affonda le radici nelle tribù turcomanne che nell’anno 1000 avevano dato vita all’Impero selgiuchide, poi frammentato in una serie di stati  nel 1300 tra queste bande di nomadi emerge la dinastia Osmanli (ottomani) che entra in contatto con l’impero bizantino e a partire dalla conquista di Costantinopoli (1453) da avvio a una grande attività di espansione, arrivando a controllare la maggior parte delle vie di traffi co che congiungevano Mediterraneo e Asia  gloria ottomana raggiunge l’apice con Solimano il Magnifico (oltre alle conquiste territoriali, si occupò della definizioni di nuove leggi e fece costruire un’imponente moschea). Impero complesso ed eterogeneo: maggioranza musulmana, numerose altre confessioni (cristiani-ortodossi, copti, ebre), schiavi da ogni luogo, diplomatici, militari e mercanti stranieri. 2. Impero dei safavidi in Iran: origine nelle tribù turcomanne giunte in Asia nell’anno 1000, ma il vero punto di partenza fu la confraternita sufi Safawiyya, fondata da Safì-al-Din, devota al quarto califfo ‘Ali  l’ordine divenne un’organizzazione politica e poi militare molto gerarchizzata fino a quando Iasma’il prese il titolo di re dei re e conquistò l’impero che corrisponde territorialmente all’attuale Iran (terra d’elezione dello sciismo)  necessità di un governo stabile e accentrato: lo shah Abbas I portò solidità all’Iran, contrastando i poteri locali, stimolando i commerci (fiorirono le attività artigianali) e dando vita al progetto urbanistico di Isfahan  crisi successiva alla morte di Abbas: sovrani deboli e pressioni di forze esterne (impero russo e India mughal). 3. Impero mughal in India: condottiero turco Babur sconfisse nel 1526 il sultano di Delhi e gettò le basi di un nuovo impero dalla forte eredità passata (si definivano discendenti di Tamerlano: il termine mughal deriva da mongolo)  i successori di Babur, soprattutto Akbar, consolidarono l’impero, conquistando l’India settentrionale, garantendo uno sbocco sulla costa occidentale e promuovendo una nuova organizzazione militare e amministrativa con capitale Agra  fiorente città, luogo di arti, commercio e fede. Fine della stagione fortunata con la morte di Akbar. 1492. Da Granada ai Caraibi: la Spagna unita tra «conversos» e vecchi cristiani Unione dinastica Ferdinando II d’Aragona e Isabella I di Castiglia per risolvere crisi politiche parallele  l’Aragona comprendeva diversi territori (Aragona vera e propria, principato di Catalogna con capitale Barcellona, regno di Valencia, Baleari, Sicilia, Sardegna e successivamente anche il regno di Napoli) e visse un periodo di guerra civile tra il 1462 e il 1472 che spinse il re Giovanni II a favorire le nozze di suo figlio con la sorella del re di Castiglia per fronteggiare la debolezza della corona; il regno di Castiglia-Leon era molto più popolato dell’Aragona ma più povero e conobbe una lenta ascesa dopo la reconquista  l’unione dinastica non comportò una fusione giuridica (i regni continuarono ad avere corti e leggi differenti) ma comportò una radicale trasformazione della Spagna, divenuta potenza internazionale grazie all’affermazione di un’ortodossia religiosa che ne fece il modello dello Stato confessionale Ortodossia cattolica si affermò attraverso la cancellazione della presenza musulmana ed ebrea nella penisola: attraverso numerosi decreti e l’istituzione dell’Inquisizione generale, ebrei e musulmani furono costretti a espatriare o a convertirsi alla religione cattolica, ma anche i cosiddetti conversos non godevano di vita facile (furono oggetto di persecuzione religiosa e diffi denza)  la conquista di Granada (fine della reconquista spagnola) rappresenta un momento emblematico di questo processo di riunificazione e territoriale Nello stesso anno, Isabella diede a Colombo i finanziamenti necessari alle spedizioni marittime: inizialmente il controllo della Corona sui possedimenti del Nuovo Mondo (dove le pandemie e le violenze sterminarono le popolazioni locali) fu molto debole e gli indios furono oggetto del ripartimento tra i nobili castigliani (che estromisero gli aragonesi, facendo di queste terra una propria conquista esclusiva)  nacque il sistema delle encomiendas: affi damento di singole comunità indigene a un colono che ne favoriva la conversione e civilizzazione in cambio del lavoro (nelle miniere e ne campi)  sistema divenuto perpetuo, generò la servitù indigena. 1517. Wittenberg, Ginevra, Londra e Roma: la crisi religiosa in Europa fonti occidentali, in realtà il potere del sultano venne plasmato praticamente dalle trasformazioni geografiche e istituzionali dell’impero (ad esempio, per governare le lontane province africane si affi dò a militari o signori locali con ambio margine di manovra)  struttura organizzativa ereditata da Maometto II: intorno a Costantinopoli si ergeva una rete di comunità territoriali e religiose governate da un’élite ottomanizzata che fruiva di forti autonomie provinciali pur essendo dipendente dalla capitale. 1521-1534. Tenochtitlàn e Cuzco: come finirono gli «imperi» del Nuovo Mondo Conquistadores, appartenenti alla piccola nobiltà spagnola alla ricerca di ricchezza e affermazione sociale, furono protagonisti della stagione di conquiste: avevano forgiato la loro mentalità di lotta contro l’infedele nella guerra di Granada e avevano acquisito strumenti operativi utili che trasferirono poi sul suo americano, come la forma giuridica della capitulaciòn  conquiste come esito di iniziative individuali (alle volte in concorrenza tra loro e fallimentari) più che di una programmazione organica da parte dello Stato spagnolo. Spedizioni che portarono alla conquista dei principali Stati americani come due eccezioni: 1. Spedizione di Cortés in Messico, a partire dallo sbarco a Cuba nel 1519 fino al lungo assedio della capitale Tenochtitlàn e alla cattura del sovrano Cuauhtemoc; 2. Spedizione dei fratelli Pizarro e Diego Almagro in Perù, a partire da una prima fase esplorativa nel 1524 fino alla spedizione decisiva nel 1531 guidata da Pizarro e conclusasi con la presa della capitale Cuzco nel 1533 (a cui seguì una guerra civile tra almagristi e pizarristi e una lunga resistenza inca, sconfitta definitivamente nel 1573 con la decapitazione dell’ultimo inca). I territori meciva e inca divennero due vicereami sotto il dominio spagnolo, definiti Nuova Spagna e Perù: introduzione dell’encomienda (ripartizione degli indios tra gli ex-conquistadores) che portò all’espropriazione delle terre e allo sfruttamento della popolazione  lavoro forzato, guerre ed epidemie comportarono una crisi demografica con esiti da genocidio Caratteristiche dello Stato mexica: gruppo nomade dei mexica proveniente dal Nord si stanziarono verso il 1325 su un’isola del lago Texcoco e da lì avviarono un’attività di espansione fino alle vittorie del 1426 (necessità religiose più che di potere). Società composta da pipiltin (nobili e guerrieri) e macehualtin (poveri, perlopiù contadini ma anche mercanti). Organizzazione complessa fondata sulla comunità territoriale del calpulli (membri uniti da vincoli di parentela, solidarietà e culto). Caratteristiche dello Stato inca: storia più frammentata dell’area messicana, organizzazione complessa basata sulla cellula sociale di base ayllu (comunità di villaggio guidata dal curaca)  relazione dialettica tra i tre livelli della società (inca, curaca e membri dell’ayllu) basata sui principi di reciprocità (rete di scambi tra i gruppi che si occupano delle attività necessarie al funzionamento del sistema) e redistribuzione (duplice movimento dei beni economici, dall’alto verso il basso e viceversa). 1527. Il sacco di Roma e le guerre d’Italia Nel 1454 la Pace di Lodi pose fine delle continue lotte tra gli “Stati” italiani, fino alla morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492 (considerato l’ago della bilancia della politica italiana) che ribaltò la situazione: nel 1494 Carlo VIII scese in Italia con un esercito composto da 10000 cavalieri e altrettanti fanti. Il Re attraversò la penisola senza troppe diffi coltà e nel 1495 entrò a Napoli (dove voleva rivendicare l’eredità angioina). A questo punto, dopo le numerose vittorie, si costituì una lega antifrancese che comprendeva Milano, lo Stato pontificio, Venezia e Firenze: nel 1495 A Fornovo sul Taro, l’esercito di Carlo VIII si scontrò con quello della Lega italiana, che nonostante la netta superiorità numerica non riuscì a infliggergli una sconfitta decisiva. Nel 1497 Alessandro VI scomunicò Girolamo Savonarola e l’anno successivo fu condotto al rogo. Nel 1499 il nuovo Re di Francia Luigi XII d’Orleans (1498-1515) tenta la stessa impresa del re precedente, e alle rivendicazioni su Napoli aggiunse anche quelle su Milano. Nel 1499 Luigi XII occupò Milano e successivamente si accordò coi sovrani spagnoli per cacciare dal trono gli Aragonesi di Napoli e spartire con la Spagna il loro regno. La loro alleanza durò poco e le due potenze entrarono in guerra, che terminò nel 1504 con il passaggio del regno di Napoli nelle mani di Ferdinando d’Aragona. Nel frattempo era sceso al soglio pontificio il cardinale Giulio II (1503-1513), il quale conseguì una serie di successi temporali che fecero dello Stato della Chiesa un principato dominatore del Centro Italia (Romagna e zone dell’Emilia) e del papa l’arbitro degli affari italiani: Giulio II durante il suo pontificato mantenne raccordate a sé sia la Spagna sia la Francia, che scagliò contro Venezia (accusata di aver occupato la Romagna)  Lega di Cambrai nel 1508 inflisse una pesante sconfitta ai veneziani ad Agnadello nel 1509. Successivamente, nel 1510 Giulio II creò la cosiddetta Lega santa per sconfiggere i francesi, a cui aderirono Venezia, la confederazione Svizzera, la Spagna e l’imperatore. Nel 1512, dopo un sanguinoso scontro a Ravenna, Luigi XII dovette sgomberare Milano, che fu occupata dagli svizzeri e da loro riconsegnata agli Sforza. Nel 1513 gli spagnoli penetrarono in Toscana e ridettero il potere ai Medici nella persona di Giuliano, il terzo dei figli di Lorenzo il Magnifico. Nel 1513 Morì Giulio II e gli successe Giovani de’ Medici col nome di Leone X, ma non fu capace di tenere testa ai sovrani europei come il suo predecessore e l’Italia si trovò nuovamente al centro della contesa europea: nel 1515, infatti, morì anche Luigi XII e il trono di Francia passò al ventenne nipote Francesco I, che strinse un’alleanza con Venezia, entrò di nuovo in Italia e il 13 settembre sconfisse gli svizzeri a Marignano. A Milano tornò dunque a governare la signoria francese. Con l’ascesa di Carlo V al trono imperiale asburgico e al regno di Spagna, nel 1521 si apre una nuova fase di conflitti in Italia tra l’impero e il regno di Francia, in cui il papato giocò nuovamente un ruolo centrale: Carlo V occupa il ducato di Milano, rivendicato come feudo imperiale usurpato, dando vita a un concentrazione di potere molto pericolosa per il papato  Adriano di Utrecht sale al soglio pontificio con il nome di Adriano VI, ma non muore poco dopo e lascia il pontificato a Clemente VII (1523-1534). Nel 1525 i francesi vengono sconfitti nella battaglia di Pavia e il re Francesco I viene catturato e portato in Spagna. Nel 1526 viene firmato trattato di Madrid, Francesco cede Milano e la Borgogna, ma appena tornato libero rigetta il trattato e anima una nuova alleanza antiasburgica, la Lega di Cognac, che ottiene l’appoggio del papa. Carlo V si scaglia contro Clemente VII definendolo un traditore e nel 1527 si verifica il celebre Sacco di Roma (situazione che si protrasse per circa un anno nella capitale): la situazione si risolse temporaneamente nel 1530 con la pace di Cambrai (o delle due dame). 1533-1613. La Russia e l’Eurasia: Ivan il Terribile e il «periodo dei torbidi» Alla morte di Basilio III, il figlio Ivan aveva solo tre anni e viene affi dato alla tutela della madre Elena, che però muore qualche anno dopo, lasciando il trono al centro di una dura lotta per la reggenza tra le grandi famiglie aristocratiche  fino al 1547, quando Ivan viene incoronato con il titolo di “zar”, inaugurando una nuova tradizione che sottolineava l’estensione illimitata del suo potere  riuscì a integrare i boiari (proprietari terrieri) in un potere assolutistico fortemente militarizzato, attraverso una serie di riforme dell’apparato statale: i proprietari terrieri (sia ereditari sia di nuova acquisizione, come i nobili di servizio che dipendevano da benefici terrieri per affermarsi socialmente) erano legati allo zar dall’obbligo del servizio militare  politica di conquista capace di assicurare nuove terre da assegnare: conquista del khanato di Kazan nel 1552 e del khanato di Astrachan’ nel 1556 (annessione di territori con etnie eterogenee e inglobamento dei cavalieri tartari nell’esercito moscovita). Crisi del regno di Ivan si apre con la guerra di Livonia nel 1558: dopo una serie di vittorie iniziali, l’esercito russo comincia a perdere condottieri e statisti  sconfitte sul fronte livone e discordie con i consiglieri indussero Ivan ad adottare misure straordinarie: istituzione dell’opricnina (territorio speciale sottoposto al controllo diretto dello zar) e del corpo degli opricniki (cavalieri vestiti di nero usati dallo zar per contrastare i nemici interni ed esterni)  regime del terrore (persecuzioni, esecuzioni a morte, confisca dei beni, massacro di Novgorod) fino alla morte di Ivan nel 1584. Segue il “periodo dei torbidi”: reggenza di Godunov, poi diventato zar nel 1598  dovette affrontare il malcontento della popolazione (soprattutto dei contadini) e alla sua morte improvvisa gli successe al trono un pretendente che sosteneva di essere il figlio Demetrio di Ivan  subito dopo l’impostore fu ucciso dal principe Suiskij, candidato della fazione aristocratica di Mosca  la Russia visse un periodo molto diffi cile sotto il controllo degli aristocratici e fu minacciata dall’esercito polacco, che giunse fino a Mosca per poi essere respinto dall’esercito russo (riunito solo grazie all’intervento del patriarca)  nel 1613 fu eletto zar Michele, il primo sovrano della dinastia Romanov. 1559-1648. Da Parigi a Vestfalia: i conflitti di religione Seconda metà del 1500 e prima metà del 1600 come epoca di guerre religiose: - Spagna: Filippo II è costretto a fronteggiare una crisi economica, il fallimento della politica marittima (sconfitta dell’Invincibile armata contro Elisabetta I), la ribellione in Catalogna e soprattutto la ribellione nelle Fiandre  rivolta calvinista supportata da inglesi e ugonotti, spinse il re a inviare il duca d’Alba a reprimere la rivolta con la violenza ma ebbe l’effetto opposto di rafforzate il fronte ribelle: le province di Olanda e Zalanda, seguite da altre cinque province guidate da Guglielmo d’Orange, costituiscono la Lega di Utrecht nel 1581 contrapposta alla lega di Arras che riuniva le province nel Sud fedeli al re: di martora e di ginseng: attività molto redditizie): alla fine del 1500 emerge la figura di Nurhaci, che riunifica la maggior parte dei gruppi del suo popolo e viene proclamato khan degli jurchen nel 1616, rinominando lo Stato come Jin posteriore (simbolo dell’unificazione di popoli jurchen e mongoli). Sistema militare e amministrativo-sociale delle Otto Bandiere: corpi armati posti sotto il comando di membri della casa reale  alla base delle bandiere vi era la compagnia/niru, composta da un centinaio di uomini, cinque compagni formavano un reggimento/ jalan e cinque reggimenti una bandiera/gùsa. Vittoria di Nurhaci nel 1619 contro l’esercito di Ming per il controllo di alcune città al confine settentrionale: politica espansionista proseguita dal figlio Huang Taiji, che guidò le truppe contro l’impero cinese da un lato e le tribù mongole dall’altro  nel 1635 sale al trono imperiale, adottando il nome di manciù per gli jurchen e dando avvio alla dinastia Qing (chiaro/puro: contro il pregiudizio dei popoli cinesi che ritenevano gli jurchen un popolo incivile)  spinta verso la centralizzazione dello Stato e diminuzione delle autonomie delle Bandiere, che furono poste direttamente solo il controllo dell’imperatore  impero multietnico che univa popoli molto diversi (han, manciù, mongoli, coreani), raggiunge l’apogeo sotto Qianlong, poi inizio del declino con l’arrivo degli inglesi e collasso nel 1911. Impero giapponese vive un periodo di grande fioritura culturale ma anche di frammentazione politica dopo l’anno Mille  costituzione degli shoen (tenute appartenenti a signori, santuari e monasteri): entità autonome poste sotto la protezione di un ryoshu e dei suoi corpi armati  emerge la figura dello shogun, detentore effettivo del potere politico e militare, mentre la figura dell’imperatore è perlopiù simbolica. Periodo di crisi a partire dal 1500: emergono i daimyo (cioè capi militari) con maggiori risorse politiche ed economiche e i conflitti interni si esasperano: emerge il signore della guerra Oda, ma qualche anno dopo viene assassinato lasciando spazio a Toyotomi Hideyoshi, che conquista il potere nel 1587 e riorganizza l’assetto del potere (permette ai daimyo di mantenere un raggio di potere ma chiede in cambio un atto di sottomissione, ovvero recarsi e risiedere periodicamente presso la corte imperiale). Alla morte di Hideyoshi emerge il rivale Tokugawa Ieyasu, che nella battaglia di Sekigahara del 1600 sconfigge i sostenitori della casata Toyotomi (l’erede al trono era piccolo): Ieyasu fonda un nuovo shogunato nel 1603 e avvia una riforma del potere politico e militare con lo scopo di integrare due aspetti istituzionali contraddittori (forte concentrazione dei poteri da un alto e ampia autonomia ai daimyo dall’altro): simbiosi tra centro e autonomie  strumento della residenza alternata effi cace per controllare i daimyo. Successive riforme degli organi di governo attuate dai successori: sei uffi ciali più funzionari di governo, tutti dipendenti direttamente dallo shogun. Rapporti con l’esterno molto selettivi, per quanto riguarda sia le relazioni commerciali (si ruppero i rapporti prima con gli spagnoli, poi con i portoghesi) sia le relazioni religiose (possibilità ristrette di contatto con il cristianesimo): emerge una nuova ideologia dell’ordine nel mondo asiatico con il Giappone al centro. 1609. Espellere i «moriscos» Stato musulmano nella Penisola iberica: origine nel 711, con lo sbarco e l’avanzata delle truppe arabe; proclamazione dell’emiro al-Andalus nel 756 (comunità unita dall’appartenenza religiosa e culturale all’islam ma etnicamente variegata), stabilità politica e grande stagione di fioritura economica e culturale fino alla crisi seguita all’anno 1000  dopo la conquista di Tolosa ad opera di Alfonso VI di Castiglia e Leòn, si contrappongo in Andalusia le dinastie degli Almoravidi e degli Almohadi: dalla metà del 1200 sopravvive solo il Regno di Granada sotto la dinastia dei Nasridi, fino alla caduta del 1492 Società andalusa caratterizzata da convivenze religiose relativamente pacifiche, ma la nuova società cristiana esigeva l’uniformità religiosa: espulsione di 80 mila ebrei nel marzo 1492, poi azioni di conversione/evangelizzazione dei musulmani spagnoli (che divennero quindi moriscos): inizialmente l’evangelizzazione fu dolce, ma in seguito a diverse rivolte scoppiate prima a Granada e poi a Valencia, si adottò la strategia delle “conversioni forzate”: scelta tra esilio/morte e conversione  fino alla metà del 1500 le campagne di evangelizzazione si combinarono con una politica blanda di repressione (inasprimenti alternati a compromessi), ma dalla seconda metà del secolo si affermò un atteggiamento di maggiore chiusura e diffi denza, fino alla soluzione finale dell’espulsione  primo decreto promulgato nel 1609 coinvolse gli abitanti di Valencia, decreti successivi di Filippo III fino al 1614 riguardarono il Regno di Granada, Aragona, Catalogna e Murcia: 300 mila moriscos furono costretti a lasciare la Spagna, la maggior parte si diresse verso le coste del Nord Africa dove si ricongiunsero con le comunità morische già presenti sul territorio (o divennero oggetto di scorrerie piratesche, saccheggi e catture), altri si diressero verso la Francia e una piccola parte in Italia (presenze anche nello Stato pontificio e nei regni meridionali). In Spagna l’espulsione ebbe conseguenze molto negative: villaggi spopolati, terre incolte, attività commerciali interrotte contribuirono al declino economico vissuto a partire dal 1620. Alcune migliaia di moriscos continuarono a vivere lì. 1649. Una repubblica puritana e le origini della potenza britannica Sviluppo impetuoso dell’Inghilterra a partire dalla metà del Seicento: prima rivoluzione moderna interpretabile come guerra di religione ritardata  da un lato il più ampio contesto europeo richiedeva uno schieramento, dall’altro sul piano interno monarchia e Parlamento dovevano giungere a un nuovo compromesso per rispondere a una società connotata dal pluralismo religioso e dallo sviluppo mercantile: rivoluzione inglese come momento di passaggio, inserita all’interno di un contesto di crisi generale (Spagna e Francia). Radici del conflitto: - dinamiche sociali e politiche: distribuzione delle proprietà ecclesiastiche dopo lo scisma di Enrico VIII aveva favorito l’ascesa di nuovi gruppi, la politica di recinzione aveva accelerato la crisi del sistema feudale rendendo nobili e facoltosi uomini liberi proprietari di terre, selve e miniere, il passaggio della corona agli Stuart aveva determinato una svolta accentratrice nella gestione del potere; - dinamiche religiose: esigenze dei puritani di una rottura definitiva della Chiesa inglese con il papato e una trasformazione significativa in direzione protestante (in termini organizzativi: non più vescovi ma pastori eletti, e evangelici)  lotte interne si acuiscono con l’ascesa al trono di Carlo I, costretto a fronteggiare il conflitto con gli scozzesi, le ostilità del Parlamento (a causa dell’inasprimento fiscale e del ruolo marginale), la ribellione in Irlanda: scoppio della prima guerra civile nel 1642  divisione del paese in due fazioni: da un lato il re Carlo, appoggiato da una parte dei lord e della gentry, da ampi settori del clero e dalle regioni del Nord-Ovest; dall’altro il Parlamento, con roccaforte nel Sud-est, appoggiato dalla Scozia calvinista e dal municipio di Londra, costituì un esercito capeggiato da comandanti puritani  tra questi spicca la figura di Oliver Cromwell, che sconfigge in due battaglie il re, decretando la vittoria del Parlamento: seguono numerose divisioni interne, di ordine politico e religioso, con il proliferarsi di gruppi radicali  Cromwell li mette a tacere, sconfigge definitivamente Carlo nella battaglia di Preston del 1648 (il re viene catturato e successivamente decapitato), elimina dal Parlamento i personaggi ostili, abolisce la Camera dei Lord e nel 1649 proclama il Commonwealth  fine con la sua morte nel 1658 e nuova fase di Restaurazione della monarchia con Carlo II: svolta nella politica marittima, l’Inghilterra diventa una potenza grazie a diverse vittorie contro i Paesi Bassi. Definitiva affermazione dell’Inghilterra a seguito di una nuova crisi monarchica, apertasi con l’ascesa al trono di Giacomo II, che si converte al cattolicesimo: viene deposto dal Parlamento, che trasmette la corona a Guglielmo III d’Orange (Gloriosa Rivoluzione)  si ridefiniscono i rapporti tra monarchia e parlamento attraverso il Bill of Rights e il Triennal Act  nel 1707 si riuniscono le corone di Scozia, Galles e Inghilterra nel Regno Unito di Gran Bretagna. 1660. Lo Stato sono io: la Francia e l’Europa del tardo Seicento Ridimensionamento del successo dei tentativi assolutistici nell’Europa del Seicento: governo confessionale e Stato fiscale attuato in Spagna prima che in Francia  anche qui l’assolutismo fu una tendenza e un’ideologia più che una realtà concreta ed effi cace: insubordinazioni sempre più rare alla fine del Seicento e affermazione di una nuova idea di sovranità «assoluta», incarnata in Francia da Luigi XIV tramite un ampio progetto di riforme: - riforma fiscale guidata da Colbert per risanare il debito finanziario francese, - nuova politica economica ispirata ai principi del mercantilismo (dazi contro importazione e sovvenzioni alla produzione interna), - espansionismo coloniale, - riorganizzazione amministrativa attraverso la figura degli intendenti (diventano il perno della burocrazia francese) che reggevano i distretti fiscali con funzioni sempre più ampie, - controllo delle coscienze e della cultura (mecenatismo e censura), - controllo della nobiltà grazia alla corte di Versailles, - politica religiosa intollerante nei confronti dei protestanti e in particolare della corrente del giansenismo (persecuzioni nei primi anni del Settecento fino alla bolla Unigenitus del 1711 che pose fine al movimento) - riforma dell’esercito e politica estera (breve parentesi di egemonia in Europa) 1682-1796. Baltico, Mar Nero, Siberia: la Russia dei Romanov in guerra Trasformazione della Russia in impero con Pietro il Grande (1862-1725): politica di modernizzazione tecnica e riforma dell’organizzazione militare per allineare l’esercito russo agli eserciti europei  perdita di Azov e fine delle speranze russe di stabilire un avamposto sul Mar Nero e sul fronte meridionali, ma dopo la pace con la Turchia si riaccendono le mire espansionistiche russe verso il Mar Baltico (tentativo di acquisire un altro sbocco): alleandosi con la Polonia e la Danimarca, si apre la guerra con la Svezia. Dopo una prima fase di umilianti governato dalla famiglia Savoia, l’unico in grado di competere nelle contese internazionali: Vittorio Amedeo II estende i confini, riforma l’esercito portandolo al livello delle grandi armate europee, potenzia il ruolo dei rappresentanti del potere centrale (intendenti sul modello francese), introduce una nuova spartizione delle imposte, riforma l’istruzione superiore e universitaria. 1740-1763. Guerre europee e guerre globali Dalla fine del Seicento molte guerre europee vengono combattute sul mare e il controllo delle tratte commerciali oceaniche diventa uno degli obiettivi: si diffonde la convinzione che i traffici marittimi sarebbero valsi come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali  l’Inghilterra si contende il controllo dei traffici e le aree coloniali prima con l’Olanda e poi con la Francia: riesce a uscire vittoriosa in entrambi i conflitti grazie alla combinazione di interesse commerciali e fondiari (la nobiltà appoggia le mire espansionistiche della Corona), espressa dall’assistenza reciproca tra Banca d’Inghilterra e Parlamento, che permette di stanziare ingenti finanziamenti per il potenziamento della flotta commerciale e militare  diventa uno Stato fiscale-militare (alto livello di tassazione e sistema bancario idoneo a finanziare imprese commerciali su larga scala). Guerra di Successione austriaca (definita anche “imperiale”): il re di Prussia Federico II teme un accerchiamento della Prussia a oriente dopo la morte di Carlo VI, che aveva lasciato come unico erede l’a figlia Maria Teresa  l’esercito prussiano invade la Slesia e ottiene l’appoggio di Francia, Spagna e Baviera. Successivamente avvia una strategia di patteggiamenti con l’Austria che gli vedono riconosciuto il possesso della Slesia, mentre gli Asburgo portano avanti il conflitto nelle Fiandre e nell’Italia centro-settentrionale, finché Maria Teresa non ottiene l’appoggio di Gran Bretagna e Olanda: è la potenza marittima inglese a rappresentare l’ago della bilancia del conflitto, sconfiggendo la flotta francese  Luigi XV, temendo anche l’ingresso della Russia a fianco dell’Austria, esce dal conflitto: viene firmata la pace di Aquisgrana nel 1748: ristabilisce l’assetto geografico vigente ma lascia l’Europa in uno stato di instabilità. Francia e Inghilterra impegnate nella Guerra dei Sette Anni: il conflitto ha inizio nelle zone di confine nord-americane (conquiste dall’esercito coloniale inglese appoggiato dalla madrepatria) e prosegue in India sud-orientale dove scoppia la Terza guerra del Carnatico (l’esercito inglese attacca e conquista senza difficoltà i porti francesi, alleandosi con principi locali ostili all’Impero mughal). Nel conflitto viene coinvolto anche il teatro austro-prussiano. Risoluzione del conflitto con il trattato di Parigi del 1763: l’Inghilterra conquista il Canada francese, molte isole nei Caraibi, il Senegal e l’isola di Minorca nel Mediterraneo, la Spagna perde la Florida ma riottiene Cuba, la Francia ne esce sconfitta ma riesce a conservare possedimenti coloniali. Prussia e Austria negoziano separatamente a Hubertusburg: la Prussia conserva la Slesia e Federico II in cambio accetta di appoggiare Giuseppe II (figlio di Maria Teresa) nella futura elezione imperiale. 1776-1833. Le Rivoluzioni Atlantiche Espressione «Rivoluzione Atlantica» elaborata da Palmer nel 1957 per indicare l’esistenza di una civiltà atlantica con radici ed esperienze comuni (culturali, religiose, giuridiche, filosofiche), è stata poi messa in discussione e rielaborata: Atlantico come costruzione interdipendente, fatta di connessioni tra le società intorno all’oceano  caratteri comuni delle rivoluzioni atlantiche: inserite nel contesto di politica internazionale e dei conflitti imperiali del Settecento, non furono predeterminate e assunsero il carattere di guerre civili, che coinvolsero ampi strati della popolazione, con l’obiettivo principale di ottenere la sovranità (più che la democrazia) - Rivoluzione Americana (1765-1783): il conflitto tra madrepatria e colonie non riguardava l’imposizione di nuovi dazi (dopo la Guerra dei Sette Anni la pressione fiscale pesò soprattutto sulle colonie) ma il soggetto politico legittimato ad approvarli: Parlamento inglese o assemblee coloniali  primo (1774) e secondo Congresso continentale (1775) riunito a Philadelphia non riguardavano la separazione dall’impero ma la ridistribuzione della sovranità: il boicottaggio delle merci e l’intransigenza di Londra portarono alla guerra: non coinvolse tutti territori inglesi e anche nelle tredici colonie il 20% rimase fedele all’impero (una parte di lealisti emigrarono in altri territori di dominazione inglese)  con la Dichiarazione di indipendenza la guerra civile si trasformò in conflitto internazionale: Francia e Spagna conclusero trattati di alleanza con gli Stati Uniti, permettendo all’alleanza franco-americana di conseguire la vittoria finale a Yorktown nel 1781: Gran Bretagna costretta a firmare i trattati di pace a Parigi nel 1783, con cui riconosceva l’indipendenza degli Stati Uniti, a cui furono ceduti diversi territori. - Rivoluzione Haitiana (1791-1804): le rivolte di Santo Domingo iniziarono quando il re francese convocò gli Stati Generali nel 1789, ponendo il problema della rappresentanza delle colonie nelle istituzioni rappresentative metropolitane: i proprietari terrieri e mercanti bianchi risposero istituendo una propria assemblea coloniale (sul modello inglese), mentre i liberi di colore si ribellarono ai bianchi nel 1790 e l’anno successivo iniziò la ribellione degli schiavi nel Nord dell’isola  nel 1792 i bianchi furono costretti ad accettate la decisione del governo di Parigi di decretare l’uguaglianza razziale, così i liberi di colore e gli schiavi si unirono in un fronte comune: uccisero centinaia di bianchi e bruciarono le piantagioni finché il leader degli schiavi ribelli non fu nominato governatore dell’isola nel 1796  lo scenario cambiò quando nel 1802 Bonaparte sbarcò sull’isola con una spedizione militare finalizzata a riconquistare il controllo e restaurare la schiavitù (abolita dalla Convenzione nel 1794): guerra di indipedenza molto brutale, i soldati francesi vengono sconfitti e abbandonano l’isola, il nuovo governatore proclama l’indipendenza di Haiti nel 1804. Conseguenze della Rivoluzione all’estero: comportò fenomeni migratori nello spazio caraibico, impedì a Cuba di ottenere l’indipendenza (le élite dell’isola rinsaldarono i legami con la Spagna per paura delle rivolte), favorì l’abolizione della tratta di schiavi da parte dell’Inghilterra nel 1807. - Rivoluzioni iberoamericane: anche in questo caso le rivoluzioni furono strettamente connesse alle vicende metropolitane, ovvero all’invasione del Portogallo ad opera di Bonaparte e all’elezione di suo fratello Giuseppe come re di Spagna (non riconosciuto né in Spagna né nelle colonie)  nelle colonie spagnole si mise in discussione la legittimità del sistema politico, poiché l’autorità dei funzionari di nomina regia non fu più riconosciuta, e si formarono dei governi autonomi, che diedero avvio alle guerre civili: la giunta di Buenos Aires, ad esempio, organizzò un esercito autonomo e impose l’autorità sulle province ribelli  conflitti brutali in tutte le province, con mobilitazione di settori popolari: la madrepatria si rifiutò di accogliere la proposta di assemblee rappresentative ispanoamericane e così perse la maggior parte dei territori, vinti dagli eserciti americani (grazie a una forte partecipazione politica popolare e all’arruolamento di un numero elevato di schiavi che così conquistarono la libertà)  si formarono delle grandi confederazioni più che degli Stati nazionali. 1789. Parigi insorge: la Rivoluzione Francese Diverse opinioni degli storici sulla Rivoluzione francese. Cambiamenti culturali nell’Europa del Settecento con il fenomeno dell’Illuminismo: sul piano politico aprì la stagione di riforme operate dai sovrani europei, definita “dispotismo illuminato” (Prussia, Russia, Italia, Austria). In Francia convocazione degli Stati Generali per avviare le riforme e risolvere la crisi finanziaria (guerra, cattivi raccolti, spese di corte): si riuniscono nel 1789, la maggioranza dei deputai, in particolare del Terzo stato, si separa e proclama l’Assemblea nazionale (17 giugno) poi divenuta costituente (9 luglio)  a Parigi scoppia una rivolta popolare (assalto alla Bastiglia del 14 luglio) che spinge l’Assemblea ad abolire i diritti feudali e emanare la Dichiarazione dei diritti (26 agosto)  Luigi XVI viene portato da Versailles a Parigi mentre l’Assemblea comincia a dividersi in fazioni con orientamenti diversi (giacobini, cordiglieri, girondini)  riforme: divisione della Francia in 83 dipartimenti (divisi in distretti e assemblee elettive), riforma della giustizia e del diritto penale, Costituzione civile del clero (diocesi in numero pari ai dipartimenti e arruolamento di vescovi e parroci come ministri stipendiati dallo Stato  clero refrattario: coloro che si opposero alle riforme obbedendo alla condanna di Pio VI)  1° Costituzione del 1791: Francia monarchia costituzionale  il re non accetta il compromesso e prova a scappare, per allearsi con le potenze europee preoccupate del dilagarsi della Costituzione: vittoria dei rivoluzionari sulla Prussia nella battaglia di Valmy nel settembre 1992 e cattura del re, che fu decapitato con la moglie nel 1793  elezione della Convenzione votata a suffragio universale maschile e proclamazione della Repubblica con la 2° Costituzione del 1793  Convenzione introduce misure eccezionali per fronteggiare le difficoltà economiche e la minaccia di una rivolta controrivoluzionaria calmiere per il prezzo del pane, formazione di un Comitato di Salute Pubblica e di un Tribunale rivoluzionario contro i nemici  comincia a funzionare come una dittatura, dando avvio alla politica del Terrore  reazione dei deputati della Convenzione, che tra l’8 e il 9 del mese di Termidoro misero in stato d’accusa Robespierre e Saint-Just, poi ghigliottinati  inizia il governo dei termidoriani, che vara la 3° Costituzione (1795): ripristino della distinzione tra elettorato attivo e passivo, restrizione del voto per censo, istituzione di una Camera Alta accanto a quella bassa, potere esecutivo a un Direttorio di 5 membri. Apertura di un fronte di guerra minore in Italia guidato dal giovane militare Bonaparte: invade il Piemonte e marcia verso Milano, firma il trattato di Campoformio nel 1797 (passaggio di Venezia all’Austria in cambio della Lombardia), invade lo Stato pontificio obbligando il papa a cedere i domini emiliano-romagnoli con il trattato di Tolentino (1797), nascono la Repubblica romana e la Repubblica partenopea  si forma un nuovo fronte controrivoluzionario che infligge una dura sconfitta a Napoleone in Egitto e cancella le esperienze italiane, mentre a Parigi Sieyès promosse un colpo di Stato nel 1799 varando la 4° Costituzione: tre consoli di governo, tra cui Bonaparte, che riprese la guerra e sconfisse l’Austria a Marengo nel 1800. 1804-1815. Il nuovo ordine in Europa
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