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L’ARCHEOLOGIA CLASSICA. UN’INTRODUZIONE di TONIO HOLSCHER, riassunto completo, Appunti di Archeologia

Riassunto dettagliato riguardante ARCHEOLOGIA E STORIA DELL'ARTE GRECA E ROMANA (voto 30) - Introduzione all'archeologia e alla storia dell'arte antica - Lo scavo archeologico - Urbanistica greca e romana - Gli ordini architettonici in Grecia e a Roma - La città romana - Edifici e vita pubblica e privata - Domus, villae, insulae - Decorazione scultorea e pittorica - Instrumentum e ceramica - Ambienti destinati al commercio e alla produzione - Strade e monumenti funerari

Tipologia: Appunti

2021/2022

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Scarica L’ARCHEOLOGIA CLASSICA. UN’INTRODUZIONE di TONIO HOLSCHER, riassunto completo e più Appunti in PDF di Archeologia solo su Docsity! 1 L’ARCHEOLOGIA CLASSICA. UN’INTRODUZIONE di TONIO HOLSCHER CAP. 1 L’ARCHEOLOGIA CLASSICA NELL’AMBITO DELLE SCIENZE UMANISTICHE Con il termine di “ARCHEOLOGIA CLASSICA” si intende l’archeologia della cultura greca e romana, mentre in greco tale termine indica la conoscenza dei fatti antichi. La gamma delle competenze dell’archeologia classica si estende: dalla comprensione, lo scavo e all’analisi dei reperti (attraverso la raccolta e lo studio delle testimonianze dei Greci e dei Romani), sino alla storia dell’arte antica. L’archeologia classica è la scienza delle testimonianze concrete e visivamente osservabili della cultura greca e romana, che presenta però dei confini aperti in quanto i greci e i romani hanno avuto relazioni con diverse culture del Mediterraneo. Gli ambiti della materia sono: Grecia, l’Asia minore, l’Italia e le province dell’impero romano. Con l’aumento del grado di specializzazione della ricerca, si sono formate diverse discipline archeologiche: - l’epigrafia (relativa allo studio delle iscrizioni) e la numismatica (studio delle monete antiche), sono in connessione con lo studio della storia antica. - La papirologia (studio delle testimonianze scritte su papiro) è in connessione con la filologia classica; - l’archeologia egea (concernente le culture minoica e micenea dell’età del Bronzo), l’etruscologia (studio della cultura etrusca) e l’archeologia delle province romane, sono materie specialistiche sviluppate in senso cronologico e per ambiti geografici e sono in connessione con la preistoria. N.B: le “scienze dell’antichità classica” comprendono: filologia classica (testimonianze linguistiche), archeologia classica (testimonianze figurate e materiali) e storia antica (contesto politico e sociale). Ciò che caratterizza la disciplina archeologica è avere come oggetto della sua ricerca il patrimonio materiale. L’obiettivo dell’archeologica classica in quanto disciplina scientifica che studia le testimonianze materiali di una cultura, è la ricostruzione e la conoscenza della realtà storica. Ciò comprende gli ambiti della vita pubblica, dell’abitare e del produrre: città e villaggi, strade, ponti, necropoli, templi, piazze, edifici pubblici e privati, utensili, vasellame, vestiario, oggetti di culto e opere d’arte. Nel concetto di archeologia le testimonianze materiali comprendono: 1) la cultura materiale in generale e 2) le opere d’arte figurativa. Quindi gli oggetti di studio dell’archeologia classica sono, non solo le opere artistiche, ma anche gli oggetti d’uso comune, legati a tutti gli aspetti della vita degli individui. Le opere d’arte dell’antichità non erano concepite per il godimento artistico, ma avevano funzioni precise: es le immagini nei templi per i riti religiosi e immagini portatrici di messaggi politici e sociali nei monumenti pubblici o funerari. Queste funzioni furono adempiute anche da oggetti che non rientrano oggi nell’accezione di arte (nell’antichità non vi era distinzione tra opera d’arte e prodotto artigianale). Poi durante l’età moderna, è stata fatta una netta distinzione tra “storia dell’arte dell’antichità” e “archeologia classica” (più vicina alla cultura materiale). Il XX secolo ha poi sbiadito la distinzione fra opere d’arte e oggetti d’uso comune, riconoscendo così la giusta importanza ad ogni reperto archeologico rinvenuto. Nell’umanesimo il termine “classico” era qualcosa di superiore a cui far riferimento: le culture greca e romana valevano come valori eterni e universali, in base ai quali tutte le altre culture storiche dovevano essere valutate. Oggi invece per “ANTICHITÀ CLASSICA” (chiamata anche età classica)si intende la denominazione temporale di un’epoca: indica un lungo periodo di storia riguardante le civiltà greco- romana. N.B: Questo periodo inizia nel VIII-VII secolo a.C. e termina nel Medioevo (600-1000 d.C.). Però l’espressione greco-romano è una denominazione scomoda in quanto non include le culture che dovrebbero farne parte come quella degli etruschi. La denominazione riassuntiva “classico” sottolinea l’unità di tale sfera culturale. Comunque la cultura greca e romana sono in un rapporto reciproco=> la cultura greca si è tramandata attraverso Roma; la cultura romana è fondata su quella greca. 2 Ambiti scientifici: Il campo dell’archeologia classica si estende in 3 dimensioni: 1- sincronica rivolta verso le altre scienze dell’antichità classica che hanno la cultura greco-romana come oggetto: filologia classica; storia dell’arte antica; epigrafia; numismatica; papirologia e storia dell’architettura. 2- diacronica rivolta verso le rimanenti archeologie e scienze artistiche che trattano le testimonianze materiali ed artistiche: preistoria e protostoria; archeologia extraeuropea; archeologia cristiana e storia dell’arte bizantina; storia dell’arte. 3- sistematicain relazione ad altre scienze culturali: scienze storiche e sociali; etnologia e l’antropologia; filosofia. ANTICHITA’ CLASSICHE: - Filologia classica è la scienza che studia i documenti scritti in lingua greca o latina. Nell’archeologia classica il coinvolgimento delle testimonianze scritte è un fatto costitutivo; solo attraverso di esse l’archeologia si distingue dalla preistoria. - Storia antica prima era rivolta ad una storia di eventi ed allo studio delle condizioni e delle istituzioni politiche; dopo si è orientata verso la storia sociale ed economica. Essa è la cornice indispensabile per la cultura materiale e artistica. L’archeologia è parte della storia antica. - Epigrafia è lo studio delle iscrizioni. Ciò è importante per l’archeologia poiché le iscrizioni sono apposte su supporti scritti materiali (edifici, sculture) e rappresentano un oggetto archeologico. Le iscrizioni contengono testimonianze in merito alla società e allo Stato, spesso completandosi con il messaggio artistico dei monumenti sui quali sono apposte. - Numismatica studia la storia della moneta. Ciò riguarda l’economia; i tipi figurativi servivano all’autorappresentazione politica degli Stati e dei loro rappresentanti. - Papirologia lo studio delle testimonianze scritte su papiro, conservatesi grazie alla situazione climatica del deserto egiziano, fornisce informazioni importanti. - Storia dell’Architettural’architettura (singole costruzioni o interi insediamenti) rappresenta la cornice della vita culturale del mondo antico e l’oggetto principale degli scavi archeologici. ARCHEOLOGIE E DISCIPLINE STORICO-ARTISTICHE: - Preistoria e Protostoria oggetto di studio sono tutte quelle culture del mondo non conosciute attraverso fonti scritte. La “preistoria” è il periodo della storia umana che precede la scrittura e la “protostoria” è l'ultimo periodo della preistoria (La protostoria comprende: Età del bronzo e Età del ferro). La “storia” ha inizio con l’avvento della scrittura e perciò il passaggio dalla Preistoria alle epoche storiche successive, si verifica in ciascuna regione in momenti diversi: nel Vicino Oriente ed in Egitto tra il IV-III millennio a.C., in Grecia nel II millennio e nell’Europa centrale e settentrionale, in parte solo in epoca medievale. La scrittura è stata introdotta in modo progressivo e solo per funzioni specifiche. In Grecia ed in Italia il campo disciplinare preistorico si estende sino all’età del Ferro (tra VIII e VII sec. a.C.), laddove l’archeologia classica inizia: in Grecia con le culture minoica e micenea del II millennio, ed in Italia con i primordi delle culture etrusca e laziale al principio del I millennio a.C. - Archeologia extraeuropea le culture periferiche a quella classica, in particolare le culture dei popoli del vicino Oriente e dell’Egitto, sono importanti in quanto partner sia dei Greci che dei Romani. - Archeologia cristiana e storia dell’arte bizantinada un punto di vista cronologico si tratta della disciplina che si occupa del periodo successivo a quello dell’archeologia classica e che comprende le culture dominate dal cristianesimo a partire da Costantino il Grande (312 d.C.) sino alla caduta di Bisanzio (Istanbul) nel 1453 d.C. - Storia dell’arte ha confini più netti rispetto all’archeologia, concentrandosi sull’arte e sull’artigianato ed escludendo dall’ambito delle ricerche la cultura materiale. L’arte del Medioevo sino ad oggi rappresenta l’ambito all’interno del quale si è strutturato il concetto di arte. 5 I maggiori esponenti della scuola viennese furono: Riegl revisionò l’architettura, la scultura e la pittura romana per giungere a una nuova valutazione dell’arte romana. Egli superò il concetto di decadenza introducendo il concetto del “volontà d’arte”: secondo tale teoria ogni epoca determina un proprio gusto e lo esprime con recise manifestazioni artistiche (non è lecito confrontare e giudicare il gusto di un’epoca in base al gusto di un’età stabilita a priori come “classica”). Wickhoff fu il primo a considerare come un valore autonomo l’arte romana: i Romani, secondo lui, sono stati gli eredi del patrimonio artistico ellenistico, ma hanno comunque prodotto elementi artistici nuovi ed originali. XX secolo ed epoca attuale: Analisi stilistica e strutturale Temi fondamentali dell’archeologia classica furono, da un lato, l’evoluzione stilistica intesa in senso cronologico, dall’altro gli stili locali e la produzione dei grandi artisti. Nel campo degli studi della pittura vascolare greca, Sir John Beazley istituì un articolato sistema di classificazione dei vasi attici ed etruschi, basato su pittori, botteghe e sui raggruppamenti di botteghe. Le conquiste più importanti di quest’epoca furono la scoperta dell’arte arcaica (da intendere come la prima valutazione adeguata di questo stile) e dell’arte ellenistica. Per l’analisi è stata operata una distinzione tra “carattere stilistico esteriore” (es: la stilizzazione delle vesti e della capigliatura o la modellazione dei corpi) e il “principio stilistico intrinseco”, cioè la struttura formale. Attraverso questa distinzione si è cercato, al di là dell’apparenza esteriore, di cogliere la connessione tra le forme. Esempi: - “il Kouros di New York” (arcaico, pag.192, fig. 43): le parti del corpo sono giustapposte e l’accento viene posto su singoli dettagli significativi come la capigliatura a perle distinte; la figura viene concepita in quattro vedute distinte, secondo i quattro lati del blocco di pietra. - “il Doriforo (portatore di lancia) di Policleto” (piena classicità, pag.203, fig.59): le parti del corpo si rapportano tra loro in modo dinamico attraverso la postura di una gamba stante e dell’altra flessa, la tensione ed il rilassamento della massa muscolare; le forme sono integrate all’interno di un unico organismo. - “l’Apoxyomenos, atleta che si deterge, di Lisippo” (tarda classicità, pag.221, fig.83): il corpo, gli arti e lo sguardo, non più imprigionati entro un ritmo serrato, si aprono verso lo spazio circostante. Interpretazione storico sociale e politica, Iconologia una prima reazione contraria a questo tipo di analisi artistica si ebbe a partire degli anni ’60 grazie a Ranuccio Bianchi Bandinelli: è lui a superare il limite specialistico, organizzando l’arte come visione unitaria nell’incontro di altre discipline storiche. Egli si avvia verso uno storicismo integrale, non ritenendo l’opera d’arte il frutto di un raptus irrazionale dell’artista, ma un procedimento determinato dalla struttura sociale, storia e politica dalla quale proviene. Quindi per comprendere l’opera d’arte è necessario valutarla entro il suo contesto di origine con l’aiuto di altre discipline (non più solo archeologia e storia dell’arte). N.B: L’arte e l’architettura sono valutate in relazione al contesto politico e storico-sociale. In Germania gli studi si sono concentrati sul tema della rappresentazione del sovrano e degli strati sociali più elevati nella ritrattistica e nei monumenti pubblici: si tratta di lavori nei quali le opere dell’arte scultorea vengono esaminate nei loro contesti di appartenenza (piazze, santuari, abitazioni private, necropoli). Inoltre lo storico dell’arte Erwin Panofsky istituì una nuova disciplina scientifica, l’‘iconologia’: contrariamente all’iconografia tradizionale volta a fornire il significato oggettivo dei temi figurativi, l’iconologia dovrebbe occuparsi dello studio dei significati ideali ed essenziali delle immagini. Semiotica e scienze della comunicazione l’approccio della semiotica (=teoria dei segni) è utilizzato come metodo di analisi dei messaggi visuali. In base ad essa testi ed immagini vengono interpretati come sistemi di segni inviati da un’emittente ad un destinatario dal quale debbono venir decodificati. 6 Approccio antropologico Orientamenti innovativi si sono manifestati negli ultimi tempi in Francia e nell’ambiente anglosassone. Le opere d’arte figurativa, tra cui le pitture vascolari, non vengono considerate come rappresentazioni fedeli della realtà ma come costruzioni delle strutture sociali e religiose, di disposizioni mentali e di proiezioni mistiche. Un ruolo nella ricerca rivestono i fenomeni di carattere antropologico come le età della vita con i suoi rituali di passaggio (nascita, pubertà, matrimonio, morte); vengono presi in considerazione gli eventi significativi della vita culturale come l’agricoltura, la guerra, la caccia, le strutture familiari. In contrasto con la tradizionale attenzione della ricerca verso le opere d’arte figurativa e architettoniche, è la cultura materiale nella complessità delle proprie espressioni a rivestire un ruolo primario. Ciò comporta un ampliamento del campo di osservazione con inevitabili conseguenze metodologiche. L’archeologia tradizionale era orientata verso le grandi “opere scritte” come quelle di Omero e i “monumenti” come il Partenone (creazioni destinate a veicolare un messaggio e intese come forme di rappresentazione della società). Per le opere e i monumenti la ricerca riguarda l’interpretazione del singolo oggetto dapprima analizzato in base alla sua forma e alle sue funzioni, poi inserito in classi tipologiche definite, solo alla fine indagato ai fini della ricostruzione di un quadro più generale. Al contrario, in quella parte dell’archeologia che si occupa della cultura materiale rivestono un ruolo importante i contesti culturali ed antropologici (tipi di insediamento, problematiche demografiche, economia), i quali sono aspetti ricostruiti in base testimonianze materiali. Nella pratica archeologica si inizia a far uso del “metodo della survey”, il quale, intervenendo su vasta scala, permette di comprendere spazi vitali più ampi intesi come rete della vita sociale; mentre sul versante tradizionale la pratica archeologica consisteva in uno scavo puntuale di un singolo sito, inteso come unità naturale della ricerca. Il primo passo decisivo risale all’istituzione negli Stati Uniti della New Archaeology da parte di Lewis Binford e alla contemporanea affermazione in Inghilterra della Processual Archaeology ad opera di David Clarke e Colin Renfrew. Questi indirizzi di ricerca hanno riconosciuto nella capacità crescente dell’uomo di adattarsi al proprio ambiente naturale e sociale, l’impulso più significativo verso i processi di mutamento culturale. Di conseguenza, i quesiti scientifici si rivolgono alle leggi che regolano l’agire umano e alle strutture dello sviluppo culturale delle società: per mezzo di esse si cerca di ricostruire le culture del mondo antico. Lo scopo è quello non solo di descrivere il passato, ma anche di spiegarlo. Qui c’è la volontà di sviluppare metodi oggettivi di raccolte di dati. N.B: I processualisti sostenevano che i resti archeologici della cultura erano il risultato dell'adattamento di una popolazione a specifiche condizioni ambientali. La Nuova Archeologia doveva sfruttare il metodo scientifico per chiarire le leggi generali della crescita culturale nel modo in cui le società rispondevano al loro ambiente. Gli obiettivi della New Archaeology: evitare ricostruzioni soggettive e non verificabili e favorire un più forte ruolo delle scienze; procedure più controllabili; osservazioni più oggettive. Lo scopo era quello di avvicinare l'archeologia alle scienze esatte con la pretesa di spiegare il funzionamento e lo sviluppo delle società umane. La posizione opposta, la Post-Processual Archaelogy, comprende approcci differenti fra loro. L'archeologia post-processuale, chiamata anche archeologia interpretativa, è un movimento nella teoria archeologica che enfatizza la soggettività delle interpretazioni archeologiche. Contrariamente all’impostazione della Processual Archaeology, la Post-Processual Archaeology (sviluppatasi successivamente) si rivolge con attenzione all’individuo, che essa prende in considerazione nella sua attività culturale e che vede non solo determinato dal proprio ambiente, ma anche come elemento attivo nel processo di formazione delle civiltà. Questi sono tutti indirizzi di ricerca metodologici. N.B: “L’Antropologia («studio dell'uomo») è una branca scientifica che studia l'essere umano sotto diverse prospettive (sociale, culturale, morfologica, sociologica, artistico-espressiva, filosofico-religiosa), indagando i suoi vari comportamenti all'interno della società. 7 CAP. 3 ARCHEOLOGIA E STORIA DELL’ARTE GRECA E ROMANA: INSEGNAMENTO UNIVERSIT. IN ITALIA Nella maggior parte delle università italiane, lo studio della cultura greca e romana è inserito all’interno dello stesso insegnamento, che prende il nome di “Archeologica e Storia dell’Arte Greca e Romana”. A cavallo fra 1800 e 1900, vi furono eventi e personaggi importanti Giacomo Boni, che diresse gli scavi nel Foro Romano, fu il pioniere del metodo stratigrafico, caratterizzato dalla cura minuziosa per i dati materiali e per gli aspetti geologici e botanici del lavoro archeologico. Rodolfo Lanciani, docente di topografia romana, è rinomato per due opere: la “Forma Urbis Romae”, una rappresentazione cartografica di Roma e la “Storia degli scavi di Roma”, una raccolta in ordine cronologico delle principali scoperte dal 1000 al 1870. In questo periodo si assiste all’affermarsi: da un lato dell’archeologia di scavo, sensibile all’innovazioni metodologiche nell’analisi sul terreno; dall’altro della storia dell’arte. L’unione dell’Archeologia con la Storia dell’Arte in un unico insegnamento (archeologica classica), creò però tensioni e competitività fra eruditi. C’era chi rivendicava l’autonomia dell’archeologia e chi no. La storia dell’arte antica italiana del 1900 si indirizzava: 1) sulla recensione critica delle copie romane al fine di ricostruire gli originali greci perduti, sia scultorei che pittorici; 2) sull’assegnazione a un determinato artista noto dalle fonti letterarie di un’opera d’arte. Nel campo della metodologia cronologica si apprezza l’operato di Nino Lamboglia, al quale si deve il miglioramento ed il perfezionamento del metodo stratigrafico: quest’ultimo fu elogiato per il fatto che “quanto più la storia dipende dallo scavo, tanto più diventa evidente che uno scavo fatto male può falsare le interpretazioni e distruggere documentazioni storiche importanti”. Nonostante questo, il metodo stratigrafico continuò ad essere a lungo criticato perché l’eccessiva meticolosità entrava in contrasto con la rapida pubblicazione. Esso si affermò solo negli anni ’70. Fu Ranuccio Bianchi Bandinelli che maturò, a partire dagli anni ‘60 e ‘70, il rifiuto dell’archeologia come storia dell’arte di derivazione winckelmanniana. Bandinelli andò contro il pensiero di Winckelmann affermando che “l’archeologia non è più solo storia dell’arte. La storia dell’arte è un suo aspetto non primario, che tende a inserirsi entro un più ampio quadro storico”. Ciò ha fatto sì che l’archeologia diventasse una vera scienza storica, non più vista come una sua scienza ausiliaria. Verso la fine degli anni ’60 venne creata la rivista “Dialoghi di Archeologia” (1967) che si dedicò alla promozione dell’archeologia concepita come ricerca storica e all’apertura di un dialogo con le altre discipline. Enorme impulso allo studio dell’arte romana hanno dato in Italia gli studi di Paul Zanker sull’arte come autorappresentazione e rappresentazione, sul potere delle immagini emanato dall’alto (classi dirigenti) e dal basso (popolo), sui luoghi di esposizione o sulle esperienze visive dei loro molteplici fruitori, variabili a seconda dei loro contesti; e gli studi di Tonio Holscher sul linguaggio figurativo tipologico dell’arte romana come sistema semantico. Il convincimento che, senza un adeguato aiuto derivante da un rigoroso scavo archeologico, non si arriverebbe ad una ricostruzione esaustiva di un determinato quadro storico, diede nuovo impulso per l’affermazione di precise e scientifiche metodologie di scavo. Un momento cruciale viene fatto coincidere con la missione italiana a Cartagine e con l’incontro di altre équipes straniere, in particolare con quella inglese, che favorì lo sviluppo di innovative procedure analitiche di lettura della stratificazione; inoltre negli anni ‘70-80 venne pubblicato il primo manuale di scavo italiano (Carandini 1981). In aggiunta la traduzione in italiano di libri inglesi, facilitò l’introduzione dell’insegnamento della tecnica dell’archeologia stratigrafica. Andrea Carandini, animato dalla volontà di riscoperta dell’inesplorato e del mondo dei più umili manufatti, recentemente ha ribadito la riflessione polemica sui rapporti tra archeologia e storia dell’arte e sulla loro non equivalenza: “è meglio evitare di confondere la storia dell’arte con l’archeologia riservando a quest’ultima tutti i campi che la storia dell’arte non affronta”. 10 allestimento dei grandi santuari urbani (Atene, Samo). I limiti dell’epoca sono da connettere ad Atene, da un punto di vista politico, con la fine della tirannide dei Pisistratidi (510 a.C.) e con le riforme di Clistene (508 a.C.): si trattò di modifiche apportate da Clistene alle istituzioni della polis di Atene; ciò contribuì a un avvicinamento della politica ateniese alla democrazia, il quale venne poi consolidato da Pericle. Sotto il profilo storico culturale, il limite che segna il passaggio all’epoca “Classica” è tra il 490-480 a.C. EPOCA CLASSICA (490/80-323 a.C.) Il fattore decisivo per quest’epoca è lo sviluppo di una vera e propria democrazia ad Atene a partire dalle riforme di Clistene (508/07 a.C.). Nelle città si assiste ad un radicale mutamento del sistema dei valori della società. Un punto di svolta per l’epoca è rappresentato dalle Guerre Persiane, con le battaglie vittoriose di Atene e degli alleati Greci: esse contribuirono alla nascita di una nuova consapevolezza dell’identità greca (contro la minaccia dei nemici barbari). Nei decenni successivi la cultura politica, sociale ed artistica di Atene si basa sullo strumento di potere della Lega Delio-Attica (dal 478 a.C.), il cui obiettivo è la prosecuzione del conflitto con i Persiani (importanti generali furono Cimone e Pericle). Poco dopo la sempre più radicale politica di potere di Atene inasprirà il conflitto con Sparta, fino a sfociare nella guerra del Peloponneso (431- 404 a.C.), conclusasi con la vittoria di Sparta. Il IV sec. a.C. appare caratterizzato dalla rivalità tra Atene, Sparta e Tebe. Successivamente l’impero persiano riprese ad esercitare un forte influsso sulle vicende greche; poi i re macedoni Filippo II ed Alessandro Magno otterranno il dominio della Grecia nella battaglia di nel 338 a.C. Però quest’epoca non va percepita come un decadimento politico; al contrario nel corso del IV sec a.C. si registra nelle città un processo di stabilizzazione politica e istituzionale. Sotto il profilo culturale la tragedia rappresenta il genere letterario più importante (con Eschilo, Sofocle ed Euripide); nasce poi il genere del racconto storico grazie alle opere di Erodoto (con le sue ‘Guerre Persiane’) e Tucidide; in campo filosofico la scena è occupata da Platone e Aristotele. In questo periodo l’arte figurativa si pone al servizio della politica: sorgono i primi monumenti politici come il “gruppo statuario dei Tirannicidi” nell’Agorà di Atene (pag.200) e le prime immagini degli uomini di stato come quella di Temistocle (pag.250). L’erezione del “Partenone” costituisce uno dei momenti più alti dell’arte ‘classica’ e un simbolo dell’auto-rappresentazione politica della città di Atene. Nella scultura è significativa la scoperta della ‘ponderazione’ tra il 490/80 (presente nell’Efebo di Kritios, pag.198). La suddivisione dell’Epoca Classica in stile Severo (490-450), classico maturo (450-430), stile Ricco (430-400) e tardo-classico (400-320), fa riferimento ad una serie di fasi della storia dello stile che trovano connessioni con altri fenomeni culturali minori. EPOCA ELLENISTICA (323-30 a.C.) L’Ellenismo si basa sulla figura di Alessandro Magno, autore di una vasta campagna bellica attraverso la quale arrivò a sottomettere l’impero persiano e l’Egitto. Alla sua morte l’impero da lui conquistato venne suddiviso fra più ‘Diadochi’: - la Macedonia con capitale Pella sotto gli Antigonidi; - la Siria, la Mesopotamia e tutto il resto dell’Oriente con capitale Antiochia sotto i Seleucidi; - l’Egitto con capitale Alessandria sotto i Tolomei; - il settore costiero dell’Asia minore, con capitale Pergamo, sotto il dominio degli Attalidi. - In Grecia, le città antiche rimasero per gran parte libere, ma si costituirono grandi leghe (lega Achea, lega Etolica). A partire dalla fine del III sec. a.C., Roma fece sentire la propria presenza in modo crescente tra gli stati ellenistici, sancendone gradualmente la fine. In questo periodo l’arte e la cultura materiale di epoca ellenistica vengono determinate da sedi di potere (si realizzano ai fini della rappresentazione politica opere di architettura monumentale, monumenti di Stato e statue) e la borghesia cittadina da vita a nuove forme di auto-rappresentazione, sia con statue pubbliche e tombe, che con sculture nei santuari e nelle abitazioni private. Il termine ‘Ellenismo’ venne coniato per indicare il periodo compreso fra la morte di Alessandro (323 a.C.) e la fine del regno tolemaico (ultimo discendente dell’impero macedone) nel 30 a.C. con la caduta di Alessandria. 11 Le suddivisioni tra Primo, Medio e Tardo Ellenismo vennero elaborate in base all’evoluzione dei caratteri stilistici della plastica. La fine dell’epoca fu a volte fatta coincidere con la presenza di Roma. LE EPOCHE DELLA CIVILTÀ ROMANA (pag. 42-43) La suddivisione in epoche dell’archeologica romana è, a differenza di quella greca, quasi esclusivamente basata sui dati della storia politica. PRIMA ETÀ DEL FERRO (1000-620 a.C.) Roma solo più tardi diventerà un grande centro politico e culturale. Un’occupazione ininterrotta del sito della futura città di Roma è rintracciabile nel X sec. a.C.: le prime forme di insediamento sorsero sul Palatino e poi sugli altri colli, i cui insediamenti, fondendosi fra loro, diedero vita a un centro urbano unico. La leggendaria fondazione di Roma da parte di Romolo si data al 753 a.C. Tra il X e il VIII sec a.C. Roma appartiene alla cultura laziale della prima età del Ferro. A partire dal tardo VIII e nel VII sec. a.C., i crescenti contatti con l’Etruria e con i mercanti greci provenienti dall’Italia meridionale ebbero come conseguenza una prima ellenizzazione della città. EPOCA DEI RE ETRUSCHI (620-509 a.C.) A partire dalla fine del VII sec. a.C. Roma fu governata da re etruschi: Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo; la fine del potere regale fu nel 509 a.C. Al di là che questi re incarnino o meno personaggi storicamente reali, chiaro è che in quest’epoca Roma vide crescere la propria importanza, divenendo una città influenzata dalla cultura greco-etrusca con il culto centrale della triade divina: Giove, Giunone e Minerva, sul Campidoglio. Repubblica (509-31 a.C.) All’indomani della cacciata di Tarquinio il Superbo, si istituì un tipo di governo repubblicano, sotto la guida dell’aristocrazia, caratterizzato da un’articolata gerarchia di cariche: due consoli (comando militare e civile), pretori, edili, questori. Vi erano poi i tribuni della plebe come rappresentanti dei diritti del popolo; l’assemblea del Senato (composta da coloro che avevano già rivestito cariche pubbliche) e l’assemblea del Popolo (potere di decidere sulla pace e sulla guerra, di varare leggi). PRIMA REPUBBLICA (509-367 a.C.) la prima fase dell’epoca repubblicana romana, che portò alla formazione della società e dello Stato, è caratterizzata dal conflitto tra patrizi e plebei, dovuto alla spinta di quest’ultimi verso l’uguaglianza politica. Alla fine la conclusione del conflitto venne raggiunta con le leggi Licinie-Sestie nel 367 a.C. Così le famiglie plebee emergenti ottennero l’accesso alle cariche ed al Senato, venendo in tal modo a costituire, assieme a quelle patrizie, una nuova classe politica emergente, cioè l’aristocrazia senatoriale, al cui interno si manifestò una più stretta élite, la nobiltà. Sul versante della politica estera, la sconfitta degli Etruschi contro Ierone di Siracusa nella battaglia di Cuma del 474 a.C., ebbe come conseguenza una diminuzione dei rapporti fra l’Italia centrale e i centri di cultura greca; l’isolamento culturale che ne conseguì coinvolse anche Roma. A ciò si aggiunse da nord un’invasione dei Galli che nel 387 a.C., per un breve periodo, conquistarono la città. Roma ebbe però una grande capacità di resistenza: la cinta muraria (cinta serviana), di 11 km, era la più importante realizzata a Nord. MEDIA REPUBBLICA (367-202 a.C.) ad una prima fase di consolidamento interno seguì una fase di espansione in Italia centrale (nel III sec. la sottomissione del Lazio, del Sannio e dell’Etruria era completata). Poi ci fu anche il conflitto che vide Roma contrapposta a Cartagine per la supremazia economica del Mediterraneo occidentale. Le vittorie conseguite durante la 1° e la 2° guerra punica (246 al 201 a.C.) consentirono a Roma di raggiungere una posizione di potere che si estendeva fino alla Sicilia, alla Sardegna ed alla Spagna. Il successo delle campagne militari consentì nel versante interno alla nobiltà di consolidare il proprio potere. A ciò si aggiunsero nuovi contatti con il mondo culturale dell’Italia meridionale, della Sicilia e della Grecia: ad introdurli a Roma furono le famiglie dominanti attraverso i monumenti pubblici (con ritratti onorari e per mezzo di sepolture a carattere familiare come la tomba degli Scipioni). 12 TARDA REPUBBLICA (202-31 a.C.) A partire dal tardo III sec. a.C., Roma interviene nello scenario politico del Mediterraneo orientale, sottomettendo una dopo l’altra le maggiori potenze del regno ellenistico. N.B: Cronologia del II e I sec. a.C. Tappe fondamentali: conquista di Corinto ed istituzione della provincia dell’Acaia (146 a.C.); conquista di Cartagine e fine dell’impero cartaginese (146 a.C.); l’ultimo re di Pergamo lascia il regno in eredità a Roma e istituzione della Provincia d’Asia; presa di Alessandria da parte di Ottaviano Augusto e fine del regno Tolemaico (30 a.C.). Poi iniziano i movimenti espansionistici e di difesa verso Nord: Cesare conquista la Gallia, all’indomani dell’istituzione (nel II sec. a.C.) della provincia della Narbonense nella Francia meridionale. A questa espansione esterna fece seguito rivalità interne: ci fu una crisi politica e sociale, conseguenza dell’impossibilità di poter far fronte al processo di trasformazione della città-Stato in un impero. I ceti emergenti avevano, grazie alle conquiste, acquisito grandi ricchezze; accanto all’aristocrazia senatoria, la classe dei cavalieri acquisì maggiore importanza: i suoi membri avevano raggiunto la ricchezza grazie al commercio e per mezzo di uno sfruttamento delle province. In Italia la classe degli agricoltori, impoveritasi, fu costretta ad abbandonare le proprie terre in direzione dei centri urbani. Questa è l’epoca in cui i grandi generali (Mario e Silla, Pompeo e Cesare, Ottaviano e Antonio) rivolgono il proprio potere, acquisito grazie alle campagne militari vittoriose, contro i propri rivali politici nel corso di guerre civili. La soluzione a ciò venne raggiunta con il principato di Ottaviano Augusto. Sotto il profilo culturale, la tarda Repubblica, fu un periodo contrassegnato da un’intensa e rapida ellenizzazione, conseguenza dei contatti con le terre conquistate ad Oriente. In tutto ciò emerge l’oratore, filosofo e letterato Cicerone, il quale dal punto di vista politico, fu importante per la morente Repubblica. I ceti dominanti in questo periodo sono quelli che più mutarono il proprio stile di vita=> il bottino conquistato era in parte obbligatoriamente destinato all’abbellimento della città di Roma; sorsero templi e santuari in stile greco (nel Foro vennero edificate grandi basiliche); le dimore private e le ville extraurbane vennero realizzate in base al modello dalle residenze dei dinasti ellenistici ed arredate con oggetti del lusso: numerose opere d’arte greche vennero portate a Roma per abbellire edifici pubblici e privati. Anche le statue onorarie pubbliche della classe dirigente vennero realizzate su modello della ritrattistica ellenistica. Infine a Roma molte botteghe cominciarono a produrre grandi quantità di statue, rilievi ed altri oggetti destinati all’arredo di lussuose dimore e volti a suggerire uno stile di vita greco. Ottaviano Augusto e la dinastia Giulio-Claudia (31 a.C.- 68 d.C.) All’indomani dell’uccisione di Cesare nel 44 a.C., venne istituito un triumvirato da Ottaviano (figlio adottivo di Cesare e suo erede), Antonio e Lepido, finalizzato alla ricostruzione dell’ordine dello Stato. Al suo interno tuttavia, emerse un conflitto tra Ottaviano (in Occidente) e Antonio (in Oriente dove si era alleato con la regina d’Egitto Cleopatra). Dopo la conquista di Alessandria d’Egitto nel 30 a.C. (tra le forze di Ottaviano e quelle di Marco Antonio e Cleopatra nel corso della Guerra civile romana. Fu Ottaviano a vincere) e la battaglia di Azio nel 31 a.C. (battaglia navale che concluse la guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio), Ottaviano con l’aiuto del suo generale Agrippa, conquistò il potere celebrando nel 29 a.C. un grande trionfo. Dopo avere, in modo premeditato, riconsegnato al Senato i propri poteri straordinari di triumviro, Ottaviano fu abile da ottenere l’intero controllo dello Stato su richiesta espressa dal Senato stesso. Così Ottaviano istituì un nuovo tipo di potere personale stabile, il ‘Principato’. Non ci fu nessuna critica a ciò perché il nuovo principe aveva mantenuto la tradizionale gerarchia delle magistrature statali e l’organo del Senato. Lo stesso Augusto rivestì le principali cariche come il consolato e il tribunato della plebe. Nel frattempo assunse il governo della parte più importante delle province, quelle ‘imperiali’, contrapposte a quelle ‘senatorie’: questo gli consentì di avere sotto il proprio controllo la totalità dell’esercito romano. Tutto ciò contribuì ad assicurargli consenso e un potere maggiore, il cui fondamento si basava sulla sua 15 - Il metodo del Carbonio 14, che misura il decadimento radioattivo delle sostanze organiche, ha uno spettro di applicazione più ampio, ma che presenta margini di incertezza. Questo metodo è rilevante in modo particolare per l’ambito preistorico e protostorico. - Negli studi sulla ceramica si applica il metodo della termoluminescenza: esso si basa sul fatto che la ceramica, dopo la cottura, assorbe in modo continuato radioattività che, attraverso un riscaldamento artificiale, può nuovamente essere emessa e misurata sotto forma di luce. Però dato che non fornisce risultati molto attendibili, di solito i vasi dipinti possono essere datati con maggiore precisione in base allo stile della loro decorazione (= questi sono tuti metodi per arrivare a una datazione assoluta). Spesso gli oggetti dei ritrovamenti non sono autonomamente databili, ma il loro inquadramento cronologico è legato al rapporto con una datazione fissa. Si parla di “‘termini post e ante quem” nel caso in cui gli oggetti si collochino in una fase successiva o antecedente rispetto ad una datazione nota. Si tratta di concetti che non riguardano solo gli scavi stratigrafici ma anche oggetti isolati, privi cioè di contesto cronologico. Es: la data di fondazione di una città rappresenta il terminus post quem per tutti i ritrovamenti rinvenuti nella città stessa. Un terminus ante quem si ha quando gli oggetti sono più antichi rispetto ad una data nota: la data di una distruzione è il ‘terminus ante quem’ per quegli oggetti rinvenuti al di sotto delle rovine. In generale si può affermare che pochi sono quei ritrovamenti dai quali sia possibile trarre una datazione assoluta; pertanto il processo di definizione del tempo deve essere integrato basandosi sulla cronologia relativa. CRONOLOGIA RELATIVA è l’inquadramento cronologico di manufatti e contesti archeologici, definiti ‘anteriori/più antichi’ o ‘posteriori /più recenti’, senza la determinazione di una data assoluta. Così possono essere elaborate delle sequenze storico-cronologiche i cui fondamenti scientifici possono essere di diversi. N.B: La cronologia relativa risponde alla domanda, se un determinato oggetto è più antico o recente di un altro; essa individua relazioni fra eventi di cui però non è nota la data in cui sono avvenuti. Uno dei metodi di riferimento tradizionale è quello dell’analisi stratigrafica, intesa come la sequenza degli strati nei contesti archeologici (nello scavo): di norma gli strati inferiori sono più antichi e quelli superiori più recenti; quindi attraverso di essi non si ottengono datazioni assolute ma sequenze relative. Recentemente ha acquisito importanza il metodo dell’analisi delle corrispondenze, applicato in particolare a quelle necropoli ove siano presenti contesti tombali inviolati. Si tratta di un’analisi seriale dei corredi, che inserisce le sepolture all’interno di una sequenza cronologica relativa. I metodi di definizione cronologica più diffusi si basano sui mutamenti morfologici dei manufatti:  mutamento dei tipi: ad es nel VI sec a.C. le stele funerarie si presentano di forma allungata e decorate da una figura stante; successivamente compare il tipo più largo con due o più figure collocate una di fronte all’altra.  mutamenti della tecnica: i vasi attici vennero prima decorati con figure nere su sfondo chiaro; poi lo sfondo venne dipinto in nero e la figure erano rosse.  Mutamenti dello stile: ad es riguardo ai mutamenti stilistici delle statue maschili arcaiche (kouroi=kuroi) si parte dalla stilizzazione in ampie superfici, passando per un modello più dettagliato dell’immagine per giungere poi alle forme più morbide. Il processo di identificazione cronologica derivata dallo studio dello stile (analisi stilistica), come strumento dell’archeologia classica, si è perfezionato (però è necessario utilizzarla con cautela). Alcuni principi sono: a) Il metodo dell’analisi comparata è finalizzato a stabilire le somiglianze e le differenze. Qui è necessario scegliere quali manufatti mettere in relazione fra loro, il cui confronto risulta sensato. E’ necessario quindi la creazione di sequenze stilistiche composte da una serie di oggetti e bisogna considerare fenomeni diversi come il modellato, l’abbigliamento, la struttura del corpo. Solo la convergenza di numerosi criteri comporta un grado di maggiore certezza. 16 b) Le datazioni elaborate in base allo stile presuppongono l’ipotesi di un cambiamento omogeneo in grado di interessare tutte le opere allo stesso modo. In generale si possono distinguere più o meno nettamente fra loro le opere dell’epoca geometrica, arcaica, classica, ellenistica ed imperiale; ciononostante sarebbe meglio non attribuire troppa certezza a tale metodo. Si è infatti compreso che: - per generi diversi di opere d’arte erano impiegate in parte forme diverse (es. le metope del Partenone sono caratterizzate dalla tecnica dell’altorilievo e da figure poste l’una accanto all’altra; il fregio dello stesso tempio venne decorato con bassorilievi con una sovrapposizione di figure). - Soggetti diversi hanno spesso comportato l’impiego di differenti forme stilistiche (es: la statua di Eracle mostra i tratti idealizzati di un eroe, mentre il contemporaneo ritratto di un uomo politico è caratterizzato da un forte realismo). Quindi se si facesse appello al metodo basato su una rigida evoluzione stilistica, le opere realizzate nello steso momento vorrebbero attribuite a periodi diversi. Se poi in una stessa opera si riscontrano tratti più antichi e più moderni, si deve proporre una datazione che faccia riferimento agli elementi più recenti. N.B: La cronologia relativa si limita a stabilire la successione temporale di due fatti storici: quale è avvenuto prima, quale dopo oppure se entrambi sono contemporanei. La cronologia assoluta si occupa di stabilire in modo preciso la data di un avvenimento storico. Per avere una visione immediata di come i fatti storici si sono successi nel tempo si usa la linea del tempo, sulla quale vengono indicati i fatti storici in successione cronologica. GRIGLIA CRONOLOGICA una solida collocazione cronologica è il risultato di un collegamento tra cronologia assoluta e cronologia relativa, vale a dire tra singoli monumenti con una datazione consolidata (punti fissi di riferimento che possono essere di tipo eterogeneo) e sequenze stilistiche relative. A seconda della scelta del punto di partenza due sono le possibilità di procedere:  Punti di riferimento fissi di carattere assoluto vengono collegati fra loro per mezzo di sequenze relative;  Sequenze relative vengono allacciate a singoli punti fissi di riferimento di carattere assoluto. Però visto che i punti fissi sono di solito eterogenei (possono essere rappresentati da rilievi, vasi o monete), difficilmente si prestano ad essere inseriti all’interno di una sequenza; inoltre per alcuni generi artistici, la quantità degli oggetti a disposizione che siano dotati di una collocazione cronologica assoluta risulta troppo scarsa per l’elaborazione di una griglia. Pertanto bisogna in un primo momento istituire collegamenti trasversali tra diversi generi della produzione artistica. Questo procedimento può essere illustrato attraverso la produzione scultorea e la pittura vascolare. Es: il fregio del Tesoro dei Sifni a Delfi (530 a.C.) mostra somiglianze con la pittura vascolare del Pittore di Andokides (fu un ceramografo attico). Un’ulteriore possibilità per restituire collegamenti trasversali tra generi diversi della produzione artistica è offerta dal metodo stratigrafico dello scavo. Gli oggetti rinvenuti all’interno dello stesso strato di uno scavo sono stati interpretati più o meno contemporaneamente. Di conseguenza, oggetti facilmente databili rinvenuti all’interno di uno strato forniscono indizi anche ai fini della collocazione cronologica di tutti gli altri oggetti appartenenti allo stesso strato. La classe di materiale più importante per la problematica in questione è la ceramica, per le cui forme e tipi di decorazione pittorica si è potuta elaborare una griglia cronologica puntuale per molte epoche storiche. Inoltre visto che la ceramica costituisce il reperto più frequente in uno scavo, essa è fondamentale per la datazione di contesti stratigrafici. In secondo luogo sono importanti le monete, la cui cronologia assoluta e precisa costituisce un utile mezzo per la datazione degli strati di uno scavo; tuttavia va tenuto conto del lungo periodo d’uso di una moneta. Infine per quanto riguarda la datazione di edifici viene attribuita grande importanza alla decorazione ornamentale, per la quale sono elaborate sequenze stilistiche puntuali. 17 Contesti archeologici e monumenti con datazione assoluta La base di ogni cronologia è costituita da contesti archeologici e monumenti contraddistinti da una “datazione assoluta”, che di regola deriva da testimonianze scritte. Per quanto riguarda i “secoli bui”, non disponiamo di fonti scritte con affidabili indicazioni cronologiche; pertanto è importante istituire collegamenti tra la Grecia e la civiltà del Vicino Oriente e dell’Egitto, che sono dotate di un più solido sistema di riferimento cronologico. Le prime date, attestate da fonti scritte, della storia greca si riferiscono alla fondazione di città ‘coloniali’ in Sicilia ed in Italia Meridionale. Per questo sono importanti per la ricerca archeologica città come Naxos (fondata nel 734 a.C.), Siracusa (733), Taranto (706) e Gela. L’interpretazione cronologica dei contesti archeologici rinvenuti in queste città comporta alcuni problemi, visto che la sua premessa è costituita dal collegamento tra i rinvenimenti più antichi (per gran parte tombe) e le date di fondazione. Però non si può mai affermare con certezza di aver scoperto le tombe più antiche di una città, dal momento che esse potrebbero risalire ad un’epoca posteriore alla fondazione. Le varie incertezze possono essere attenute solo attraverso l’analisi del maggior numero di reperti al fine di collegarli tra loro. Per l’interpretazione di tali contesti archeologici, gioca un ruolo fondamentale “l’aryballos” (=ariballo), cioè una particolare forma vascolare: a partire dal VIII sec. a.C. subisce un’evoluzione da una forma panciuta verso una sagoma piriforme e appuntita, fino a raggiungere nel VII sec. a.C. una forma sferica. A partire dal VI sec a.C. sono soprattutto i seguenti punti fissi di riferimento ad avere un’importanza particolare: - Anfore panatenaiche: Quando nel 566 a.C. ad Atene le feste panatenaiche vennero riorganizzate, da allora venne prodotto un nuovo tipo di anfora destinata a contenere l’olio distribuito ai vincitori dell’agone (competizione). Le più antiche anfore conservatesi dovettero essere fabbricate in questo periodo o subito dopo. A partire dal IV sec a.C. sui vasi fu incluso il nome dell’arconte (magistrato), che permette di datarli con precisione. - Tempio di Artemide ad Efeso (Turchia): I rocchi delle colonne del tempio, decorati con figure in rilievo, furono donati da Creso (re dei Lidi), che conquistò Efeso nel 560 a.C. e morì nel 547: di conseguenza la donazione dovette essere effettuata in un periodo compreso tra queste due date. - Tesoro dei Sifni a Delfi: quando gli abitanti dell’isola di Sifno fecero costruire un tesoro a Delfi, venne loro rivelato un oracolo in cui si prevedeva l’avvento di un attacco navale e un incendio alla città. L’attacco contro Sifno si verificò nel 525 a.C. e quindi il tesoro deve essere stato realizzato non molto tempo prima. Da tali informazioni si deduce una datazione intorno al 530 a.C. - Il tempio di Apollo a Delfi: La famiglia ateniese degli Alcmeonidi si assunse nel 513 a.C. l’onere della ricostruzione di parte del tempio di Apollo a Delfi. Il lato orientale venne realizzato in forme più dispendiose rispetto al progetto originario, cioè venne realizzato in marmo. - ‘Colmata persiana’ dell’Acropoli di Atene: Quando i Persiani presero Atene nel 480 a.C., l’acropoli, con i suoi monumenti architettonici e le sue sculture venne distrutta. Le macerie vennero poi interrate come parte dello strato di riempimento per la ricostruzione del santuario. Ciò costituisce un terminus ante quem per tutti i reperti trovati all’interno di questa “colmata”. - Il gruppo statuario dei Tirannicidi: Dopo le riforme clisteniche, nell’agorà di Atene fu eretto un gruppo statuario in onore dei tirannicidi Aristogitone ed Armodio (pag.200). Il gruppo venne sottratto dai Persiani nel 480 a.C.; nel 476 gli scultori Crizio e Nesiote realizzarono un monumento sostitutivo, conservato oggi in copie di epoca romana. - Il tempio di Zeus a Olimpia fu terminato nel 456 a.C.; mentre riguardo il Partenone ad Atene, la ricostruzione venne iniziata nel 447 a.C. e portata a termine nel 432 a.C. Per la cronologia del IV sec. a.C., un ruolo particolare hanno giocato i decreti incisi su marmo con le decisioni dell’assemblea e del popolo di Atene, la cui cronologia è assicurata in base ai nomi dei magistrati. 20  La Macedonia appartiene alla sfera culturale greca già nell’epoca arcaica, dato che i sovrani cercavano contatti con questa cultura. Più avanti con Filippo II e Alessandro Magno diverrà la potenza egemone in Grecia (la capitale fu Pella).  La Tracia, sebbene abitata da stirpi non greche, a causa della presenza di ricchi giacimenti metalliferi divenne per i Greci una meta commerciale, nonché mira per ambizioni espansionistiche. Sulle coste nacquero città greche come Abdera, Sestos (situata nello stretto di Dardanelli, cioè un punto strategico per i contatti con l’Asia Minore) e Byzantion (sul Bosforo). ISOLE EGEE:  Le isole Cicladi, così chiamate per la loro disposizione a cerchio intorno a Delo, sono un gruppo di isole greche del Mar Egeo. Delo è sede di un importante santuario di Apollo. Nel periodo arcaico Nasso, Paro e Thera diedero vita ad una fiorente civiltà caratterizzata da ricchi edifici e sculture in marmo. In epoca tardo-ellenistica Delo, in quanto porto franco posto sotto la protezione di Roma, divenne uno dei centri più importanti del commercio nel Mediterraneo orientale.  A Creta nel III e II millennio a.C. vi si sviluppò la civiltà minoica, con il centro principale di Cnosso e poi di Festo. Al I millennio a.C. risale l’importante santuario rupestre di Zeus in una caverna del monte Ida.  Le isole della Grecia orientale, situate dinanzi alla costa dell’Asia Minore erano legate alla terraferma dal punto di vista politico e culturale. I siti più importanti furono: Lesbo, Samo, Kos, Rodi e Lindos. ASIA MINORE: la TERRAFERMA: A nord presso l’Ellesponto (stretto di Dardanelli), fino al tardo II millennio a.C., Troia costituì un potente centro: la città era destinata a diventare un punto di riferimento mitologico importante per la cultura greca anche per le epoche successive. Dopo le migrazioni avvenute nel “periodo buio”, Efeso con il santuario di Artemide e Mileto con il tempio di Apollo di Didyma, insieme a Samo, furono centri fiorenti dal periodo arcaico fino all’età ellenistica. Altre famose città furono Pergamo e Alicarnasso con il mausoleo (monumento sepolcrale del dinasta cario Mausolo: una delle sette meraviglie del mondo). L’area culturale greca: il periodo arcaico A partire dalla metà dell’VIII sec. a.C. rivestirono grande importanza in quanto centri di cultura greca, le “città coloniali greche”. Esse vennero fondate:  nell’Italia meridionale (Magna Grecia): i centri maggiori furono Taranto, Metaponto, Eraclea, Posidonia-Paestum (con i noti templi ben conservati).  in Sicilia: Naxos (fondata nel 734 a.C. è la città colonia più antica), Siracusa, Gela, Agrigento (templi).  Marsiglia (Francia del sud), Ampurias (Spagna), Cirene (Libia), Cartagine (Tunisia)  nel Mar Nero: Olbia Le colonie avevano due funzioni: 1) fungevano da stazioni del commercio verso i grandi giacimenti di ferro, argento, piombo, rame; 2) i territori caratterizzati da una vocazione agricola, dovevano accogliere parte degli abitanti di territori della Grecia, spesso soggetti a sovrappopolamento. ETRURIA ED ITALIA CENTRALE: Nella prima parte del I millennio a.C., si sviluppò in Italia centrale la civiltà degli Etruschi, un popolo di lingua non indoeuropea. I loro giacimenti di ferro, rame, argento, piombo furono il presupposto per un intenso commercio con i Fenici e con i Greci. Di conseguenza il modo di vivere degli etruschi fu influenzato dalla Grecia (dalle tombe etrusche proviene gran parte della ceramica dipinta realizzata da botteghe greche). Le città etrusche più importanti furono: Veio, Cerveteri, Tarquinia, Vulci, Chiusi, Volterra. Volterra nel periodo tardo-etrusco (II e I sec. a.C.), alleata con Roma, emerse come centro di una ricca produzione di urne funerarie con decorazioni a rilievo. Le altre regioni dell’Italia centrale si svilupparono all’inizio con aspetti culturali di forte impronta locale; poi durante la fase dell’espansionismo di Roma nell’oriente ellenistico, nel corso del II e I sec. a.C, in diversi luoghi d’Italia sorsero imponenti santuari costruiti su alture e articolati su terrazze degradanti. 21 L’area culturale greca: i nuovi regni dell’Ellenismo: Negli ampi territori conquistati da Alessandro Magno e suddivisi dai suoi successori in singoli regni, la cultura greca s’instaurò e si diffuse nelle città di nuova fondazione. In Egitto fu fondata da Alessandro Magno Alessandria, che divenne poi la capitale del regno tolemaico; mentre Antiochia divenne la capitale del regno seleucide. L’IMPERO ROMANO: la geografia culturale dell’Impero Romano è caratterizzata dal dominio di Roma che partendo da una città- Stato divenne un impero che comprendeva l’intero mondo Mediterraneo e dei paesi confinanti. ITALIA con la graduale conquista dell’Italia da parte di Roma, la penisola appenninica divenne il perno della cultura romana. Solo nel periodo della tarda repubblica e del primo impero si giunse a una diffusione capillare del modello culturale romano, con un’unificazione culturale delle città italiane (“romanizzazione” dell’Italia). Inizialmente l’Italia comprendeva solo la parte centrale e meridionale; l’Italia del nord era all’inizio distaccata come provincia romana e venne assegnata all’area italica solo con la nuova organizzazione della penisola sotto Augusto. La situazione geografica dell’Italia centro-meridionale è caratterizzata dalla presenza di tratti montagnosi che la attraversano da nord a sud. Tra il II e il I millennio a.C, nel corso di varie ondate migratorie, stirpi provenienti dall’area danubiana e illirica (Balcani) penetrarono l’Italia e si sovrapposero alle popolazioni autoctone. Le stirpi importanti furono: Umbri, Piceni, Sabini, Falisci, Latini, Sanniti, Osci, Lucani, Bruzi, Dauni, Peuceti, Messapi, Etruschi (di lingua non indeuropea, nell’attuale Toscana e Lazio settentrionale) e i Greci nelle città coloniali lungo le coste dell’Italia Meridionale. La coesistenza di molteplici gruppi etnicamente e culturalmente differenti è una caratteristica dell’Italia pre-romana; solo con la romanizzazione dell’Italia si raggiunse un’unificazione culturale della popolazione (pag.64). Durante il V ed il IV sec. a.C., Roma ottenne gradualmente la supremazia su tutto il Lazio. Importanti città latine erano: Alba Longa, Tivoli, Tusculum, Gabii, Palestrina, Nemi, Lanuvium e Lavinium. Vi fu un’ulteriore espansione di Roma nel corso del IV e del III sec. a.C., sia a sud (in Campania con Capua, Puglia e Calabria e Sicilia, con le loro antiche città greche) che a nord (il dominio di Roma si estese all’Etruria, Umbria e al Piceno). Di importanza fondamentale per lo sfruttamento dei territori conquistati e per la diffusione della cultura romana fu la costruzione di grandi arterie di comunicazione (come la Via Appia, datata al 312 a.C., che da Roma conduceva verso sud, cioè a Capua e successivamente fino a Brindisi) e la fondazione di città ‘colonie’ con la funzione di avamposti militari e con l’insediamento di cittadini romani. Ad es venne fondata Ostia (IV sec. a.C.) alla foce del Tevere, la quale divenne il porto di Roma: essa fu realizzata con la forma di un castrum fortificato e caratterizzata da un limitato sviluppo degli spazi pubblici. Le colonie che si trovano lontano da Roma presentano insediamenti urbani di tipo completo come Cosa e Alba Fucens: documentano la diffusione del sistema romano di ordinamento dello spazio pubblico e dei nuovi metodi di strutturazione urbanistica ad impianto ortogonale. La trasformazione dell’antica città greca Paestum in una città-colonia romana mostra l’atteggiamento radicale di Roma nei confronti delle città sottomesse: pesanti interventi nel centro pubblico portarono all’eliminazione delle strutture precedenti. N.B: Lo schema urbanistico ortogonale era l’impianto più diffuso nelle città ellenistiche nel III sec a.C.; esso fu adottato dai Romani per la progettazione delle loro colonie, anche perché perfettamente analogo alla struttura dell'accampamento militare romano, il Castrum. Così la tipica città romana è costruita attorno a un cardo e un decumano massimi, che si incontrano al centro della città dove si trova il Forum. L’incremento dell’istituzione di colonie di cittadini romani o di veterani in tutta l’Italia, soprattutto nel II e I sec. a.C, fu importante per la “romanizzazione” del territorio italiano. A ciò si aggiunse la concorrenza tra questi centri, nonché tra le antiche città italiche, nell’ambito dell’ampliamento urbanistico: tali città 22 cercarono di adeguare il proprio centro pubblico a quello delle città romane. L’orgogliosa pretesa delle città italiche di raggiungere il livello delle altre città romane, manifestata anche nell’ampliamento urbano, portò tra il 91 e l’89 a.C. alla “guerra sociale” che si concluse con il conferimento a quest’ultime del diritto di cittadinanza romana. In questo modo l’Italia divenne un’area politicamente unitaria. Una significativa espressione della nuova concezione dell’Italia come un’area culturale compatta è costituita dalla riorganizzazione della penisola, da parte di Augusto, in 11 regioni (Campania et Latium; Apulia et Calabria; Lucania et Brutium; Samnium; Picenum; Umbria; Etruria; Gallia Cispadana; Liguria; Venetia e Istria; Gallia Transpadana). Le diverse città dell’Italia sono importanti testimonianze per lo studio della cultura urbana e del modo di vivere romano; ad es oggi le città di Pompei, Ercolano, Stabia si sono trasformate in contesti archeologici unici, a causa del loro interramento avvenuto durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. PROVINCE ROMANE riguardo lo studio delle province romane, 2 sono i fenomeni su cui si discute: 1- Il confronto-scontro con la cultura romana condusse tutte le province ad un processo di trasformazioni culturali. Assistiamo sia al mantenimento delle proprie antiche tradizioni locali, sia all’assorbimento della cultura romana. Questi processi si realizzarono in modo diversificato a seconda della tradizione culturale della provincia: la cultura locale poteva conservarsi ed essere influenzata limitatamente della cultura romana, ma poteva anche essere soppiantata. Queste forme di diffusione della cultura romana sono definite con il termine “romanizzazione”. I centri militari e le colonie romane istituiti nelle province ebbero un ruolo centrale nella trasmissione della cultura romana. 2- Lo studio delle province romane è fondamentale per capire le singole epoche della cultura romana. Infatti molti fenomeni che caratterizzano la cultura romana sono meglio visibili nelle province rispetto che a Roma ed in Italia. Importanti campi d’indagine sono offerti dalla struttura delle città, dei luoghi pubblici, santuari e dei luoghi della cultura del tempo libero (teatro, circo, terme), delle abitazioni, etc. N.B: La suddivisione delle province e la loro denominazione è cambiata nel corso del tempo e ampie modifiche furono messe in atto in seguito alla riforma dell’impero voluta da Diocleziano. Province Occidentali: Italia settentrionale. Francia meridionale, penisola iberica Da un punto di vista storico-culturale le province cisalpine, ispaniche e della Gallia meridionale (ovvero nord Italia, sud della Francia e penisola iberica), possono essere considerate un’unità: il loro inserimento nell’Impero romano iniziò nella repubblica (III-II sec. a.C.); tutte mostrano una rapida ed estesa romanizzazione che le distingue dalle altre province. Inoltre le tre regioni offrono, grazie alla loro ricca conservazione di strutture urbane tra I sec a.C. e I sec, d.C., una base per lo studio della cultura urbana tardo-repubblicana e proto-imperiale. ITALIA SETTENTRIONALE (provincia della Gallia Cisalpina fino al 42 a.C.): l’area situata tra gli Appennini e le Alpi, dominata da popolazioni galliche, venne annessa nel III sec. a.C. come nuova provincia: essa assunse prima il nome di Gallia e poi di Gallia Cisalpina (“al di qua delle Alpi”, in contrapposizione alla Gallia transalpina). L’opera di romanizzazione è documentata dall’aspirazione delle città cisalpine ad essere equiparate alle città italiche. Così nel 42 a.C. Ottaviano (Augusto) abolì lo status di provincia e la Cisalpina divenne parte dell’Italia. Questo portò allo sviluppo della cultura urbana dell’Italia settentrionale, come mostra l’abbellimento delle città nel periodo augusteo. Importanti risultati per lo studio dell’urbanistica dalla tarda repubblica alla prima età imperiale sono a: Pola/Pula in Istria, Verona, Rimini, Brescia, Aosta. FRANCIA MERIDIONALE (Gallia Narbonensis o G. meridionale): la fondazione della colonia greca di Marsiglia nel 600 a.C. esercitò un’importante influenza culturale (greca) nella regione della Gallia meridionale. La minaccia crescente delle popolazioni galliche condusse la città nel II sec. a.C. a chiedere più volte aiuto dell’alleata Roma. Roma vinse le popolazioni galliche ed nel 121 a.C. la nuova provincia della Gallia Transalpina. Importanti colonie romane con resti archeologici significativi (=monumenti pubblici 25 Province nord-orientali: i BALCANI e le PROVINCE DEL DANUBIO le province nord-orientali dell’Impero furono istituite durante il principato di Augusto e Claudio. Le province del nord, caratterizzate da popolazioni celtiche e illiriche, erano: Norico, la Pannonia e la Dalmazia. Queste regioni appartenevano linguisticamente all’occidente latino e saranno nel II sec. d.C. teatro delle guerre di Marco Aurelio contro i Marcomanni. Al contrario, le terre dei Balcani orientali si trovavano nell’area influenzata dalle antiche città greche e appartenevano all’oriente di lingua greca. Qui si trovavano le province della Mesia, Tracia e Dacia. In confronto ad altre province, le regioni nordorientali rivelano una romanizzazione che fu episodica, concentrata e differenziata. Importanti promotori della civilizzazione romana furono i castra e le colonie dei veterani presso il confine del Danubio. Si ebbe una romanizzazione intensa nel Norico e in Dalmazia, mentre fu ridotta in Tracia e in Mesia. Province nord-occidentali: furono inseritene nell’impero romano tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.  La GALLIA, conquistata da Cesare, venne suddivisa da Augusto in 3 province: Gallia Lugdunensis (capitale Lyon), Gallia Aquitania (Bordeaux), Gallia Belgica (capitale Reims).  I territori germanici conquistati sotto Augusto e Tiberio ad occidente e oriente del Reno rimasero all’inizio distretti militari di confine senza lo status di provincia. Inseguito, sotto Domiziano, la GERMANIA venne suddivisa in province autonome: Germania Inferior (capitale Colonia) e Germania Superior (capitale Magonza).  La RAEZIA venne anch’essa conquistata sotto Augusto ed elevata a provincia dai suoi successori (la capitale fu Augusta/Augsburg). In generale si arrivò, con alcune oscillazioni, ad una profonda romanizzazione delle popolazioni celtiche e germaniche in molti ambiti della vita culturale; ma gli abitanti mantennero anche alcune tradizioni locali come nell’ambito della religione e del culto. Città importanti furono: Parigi, Amiens, Colonia, etc.  La romanizzazione della BRITANNIA (con le capitali: Londra e York), invece, non raggiunse mai la vitalità delle province gallo-romane. La diffusione della civilizzazione e dello stile di vita romano si limitò al sud dell’isola. La Britannia divenne provincia romana sotto Claudio. CAP. 7 FONTI SCRITTE DELL’ARCHEOLOGIA GRECA E ROMANA L’archeologia classica si distingue da altre discipline archeologiche, come la preistoria, in quanto la cultura greca e romana è stata tramandata oltre che attraverso i reperti materiali e le opere d’arte figurativa, anche attraverso fonti scritte (testi di letteratura antica, iscrizioni). Molti aspetti della cultura greca e romana si conoscono solo attraverso le descrizioni fornite dalle fonti. Allo stesso tempo le testimonianze archeologiche acquistano un valore diverso quando sono riferibili ad una cultura documentata anche attraverso le testimonianze scritte. Inoltre la conoscenza delle fonti letterarie permette di interrogarci in merito al contesto culturale delle testimonianze archeologiche. Tutti i generi delle fonti scritte sono importanti per l’archeologia: la storiografia (fornisce un contesto storico utile alla collocazione dei monumenti e reperti); la poesia, l’epica, la tragedia e la commedia (per la trasmissione di miti e per la conoscenza della società); la filosofia (per la comprensione del pensiero). Riguardo la ricerca, il rapporto tra fonti scritte e testimonianze archeologiche è stato utilizzato per una reciproca spiegazione e conferma: grazie a ciò è stato possibile chiarire numerosi interrogativi. Rapporto tra testi e immagini: i testi scritti si sviluppano in modo narrativo/discorsivo in una dimensione temporale e si prestano a raccontare processi; le opere d’arte figurativa riproducono visivamente gli oggetti e si sviluppano nello spazio. Quindi testi scritti e immagini da un lato, reperti della cultura materiale dall’altro, costituiscono “classi di testimonianze storiche”, le cui differenze sono state messe in evidenza 26 dalla ricerca archeologica. Si tratta di operare una distinzione tra “messaggi “di carattere intenzionale e “tracce” lasciate in modo non intenzionale da civiltà:  i messaggi contenuti nei testi e nelle opere d’arte costituiscono affermazioni (di tipo autoreferenziale o inerenti al proprio universo culturale), intenzionalmente elaborate da autori o società;  le tracce della cultura materiale, come le fondamenta di case e strade e ceramiche di uso domestico, rappresentano testimonianze depositate senza volontà e per le quali non è in gioco un esplicito processo auto-interpretativo. Per la ricostruzione delle civiltà antiche è perciò fondamentale comprendere la natura testimoniale dei testi scritti, delle opere d’arte e dei reperti della cultura materiale, mettendoli poi in relazione fra loro. Alcuni autori antichi possiedono un’importanza fondamentale per l’archeologia.  Pausania Autore proveniente dall’Asia Minore, è famoso per averci tramandato la descrizione di un viaggio fatto da lui stesso tra il 155 e il 180 d.C. in Grecia (Attica, Peloponneso e Grecia centrale). L’opera appartiene al genere della “periegesi” (cioè la descrizione dei paesi) ed è suddivisa in 10 libri, regione per regione, luogo per luogo, in base all’itinerario dell’autore. “Periegesi della Grecia o Guida della Grecia” è un trattato geo-storiografico da lui scritto nel II sec d.C. Il tema principale sono i monumenti celebri, gli edifici pubblici, i monumenti architettonici e le opere d’arte; la descrizione di viaggio è stata arricchita con numerose introduzioni ed excursus su fatti storici, tradizioni di carattere mitologico, costumi religiosi. N.B: Pausania non fu in grado di ottenere sempre informazioni corrette dai monumenti da lui esaminati, però è vero che egli vide cose che poi sono andate perdute. Quindi le descrizioni di Pausania rappresentano una fonte per conoscere la geografia antica della Grecia.  Plinio il Vecchio Autore di epoca flavia, morì durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Scrisse la “Naturalis Historia”, ovvero un’enciclopedia delle scienze naturali che comprende 37 libri dedicati a: metalli e pietre (Plinio presenta saggi dettagliati sui prodotti artigianali e artistici realizzati con questi materiali); oro e argento (dedicati ad anelli e monete); bronzo (storia sulla scultura realizzata con questo materiale); Plinio parla sia dei colori minerali (storia della pittura), sia dei vari tipi di argilla (sviluppo della scultura in terracotta); marmo (storia delle sculture prodotte con questo materiale). Il giudizio di Plinio sull’arte è caratterizzato da un atteggiamento classicistico, tenuto conto del fatto che egli si concentra sugli artisti greci del V e del IV sec a.C. e che a suo parere l’arte cessa di esistere all’epoca del primo Ellenismo, per poi rinascere in coincidenza con le tendenze di stampo classicistico intorno al II secolo a.C. L’opera di Plinio costituisce la fonte unitaria più importante per quanto riguarda la storia dell’arte e degli artisti dell’antichità.  Vitruvio Fu architetto romano e scrisse negli anni ‘20 del I secolo a.C. l’opera “De architectura”, che è un trattato latino sull'architettura che divenne il fondamento teorico dell'architettura occidentale. L’intento dell’opera era di fornire i parametri per un’edilizia di qualità. L’opera è composta da 10 libri: 1) Formazione dell’architetto, pianificazione di città; 2) Materiali; 3) Forme e tipi di templi; 4) Ordini architettonici ed elementi dei templi; 5) Edilizia pubblica; 6) Abitazioni private; 7) Rivestimento delle pareti; 8) Approvvigionamento idrico; 9) Orologi solari ed astronomici; 10) Macchine). Iscrizioni (Epigrafia) sono importanti per l’archeologia dal momento che ogni iscrizione si avvale di un supporto scrittorio che è esso stesso un reperto archeologico (studio del supporto). Attraverso le iscrizioni molti monumenti guadagnano un significato storico perché ci informano su artista, datazione, etc. 27 CAP. 8 METODI DELL’ESPLORAZIONE ARCHEOLOGICA SUL CAMPO: SCAVO E RICOGNIZIONE L’attività di scavo non è l’occupazione più importante dell’archeologo: il suo compito principale risiede nell’interpretazione storico-artistica dei contesti e dei reperti dello scavo. Comunque lo scavatore ha una grande responsabilità dal momento che ogni analisi del suolo comporta la distruzione di un documento storico che non potrà mai più essere ricostruito. Quindi il suo dovere consiste nel condurre lo scavo il più accuratamente possibile, nel documentare i dati raccolti e nel pubblicare i risultati dello scavo. Storia e obiettivi degli scavi: pochissimi scavi eseguiti nel corso della storia rispondono a questi criteri. I primi scavi erano illegali, dettati dalla ricerca del profitto: gli scavatori disturbavano le tombe per impadronirsi degli oggetti del corredo dei defunti. Quando poi a partire dal Rinascimento ci si interessò nuovamente alle antichità, si iniziò ad eseguire scavi per la ricerca di opere d’arte che avevano valore estetico e commerciale. Quindi ad interessare non era il contesto dei rinvenimenti ma le opere d’arte. Esse erano collezionate in Italia da papi ed aristocratici e anche da monarchi e nobili di altri paesi europei. Persino gli scavi eseguiti nel XVIII sec nelle città romane di Ercolano e Pompei (sepolte dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.), servirono alla ricerca di opere d’arte. Nonostante Winckelmann riconoscesse la dipendenza dell’arte da fattori esterni quali le condizioni climatiche e le situazioni sociali e politiche, egli considerò le opere d’arte isolate dal loro contesto. L’influenza che la sua visione esercitò nel periodo successivo provocò dei danni. Infatti nel XIX sec la caccia all’antichità continuò: sculture e vasi furono strappati ai loro originari contesti di ritrovamento e portati nei musei. Allo stesso tempo in Grecia, i predatori di antichità nel XIX sec. salvarono dalla distruzione gli oggetti da loro sottratti. Infatti nella Grecia di quel tempo, dominata dall’impero Ottomano, non vi era interesse all’eredità dell’antico: i templi di marmo venivano sfruttati come cave di pietra. Oggi la situazione è diversa; tuttavia alcuni musei di antichità individuano il proprio compito nell’acquisizione di opere d’arte (hanno lo stesso interesse dei collezionisti privati, interessati alla qualità artistica degli oggetti e non al contesto archeologico). Peggiore oggi è l’interesse dei collezionisti privati per le opere, il quale ha portato ad una vera industria dello scavo clandestino. In questo caso, se si tratta di oggetti il cui contesto di ritrovamento non sia noto, informazioni scientifiche di valore sono andate perdute. Es: i ritrovamenti nelle necropoli che siano accuratamente documentati, consentono di trarre conclusioni sulla struttura sociale della popolazione che vi seppelliva i defunti; i reperti da santuari danno invece informazioni sull’identità delle divinità venerate e sul tipo di culto. Quindi le condizioni per giungere a conclusioni che abbiano un valore storico-culturale sono: l’identificazione, lo scavo accurato e la documentazione di un determinato luogo di ritrovamento. Ricognizione archeologica sul terreno (=SURVEY): anche se diversi luoghi sono stati scoperti per caso, molti altri sono stati identificati dagli archeologici durante ricognizioni sistematiche sul terreno, in base all’evidenza di elementi appariscenti in superficie (es: mura emergenti dal suolo o cocci ceramici). Questo metodo è stato però nel XIX sec. dimenticato, per poi conoscere a partire dagli anni ’60 del XX sec. una fase di rinascita dovuta all’attività di ricercatori britannici e americani: per questo tale indagine è chiamata “survey”. All’inizio si parlò di un’indagine detta “Survey estensiva”, dove piccole squadre percorrevano il territorio preso in esame in lungo ed in largo, andando alla ricerca di aree che risultassero significative. Negli anni ’70 questo metodo venne sostituito da quello della “Survey intensiva”, la quale ha permesso di analizzare a livello regionale il rapporto tra insediamenti e territorio nel corso del tempo. In questo tipo di indagine una porzione limitata di territorio viene percorsa gradualmente da squadre i cui membri si muovono parallelamente sul terreno ad una distanza dai 5 ai 15 m gli uni dagli altri, descrivendo poi su carta tutti i fenomeni osservati (la condizione del terreno, ritrovamenti ceramici, resti murari visibili). Con la survey intensiva vengono anche identificati i siti di insediamenti di piccole dimensioni, che altrimenti 30 comprensione di un aryballos (utilizzato per contenere oli) è imprescindibile la conoscenza del costume greco legato alla pratica dello sport esercitato a corpo nudo, da ungere con l’olio. Le testimonianze materiali possono avere anche dei significati ideologici che travalicano la funzione pratica. Es: un aryballos non è solo un unguentario ma anche un elemento distintivo dell’appartenenza ad uno strato sociale elevato, di colui che può permettersi di andare in palestra. Anche le opere d’arte figurativa avevano funzioni ben precise. Es: gli oggetti votivi venivano offerti nei santuari come doni per le divinità. Monumenti politici furono eretti nell’agorà come espressione di potere; mentre statue-ritratto di uomini politici, filosofi e atleti erano impiegati al fine di rendere pubblicamente onore a questi personaggi. Nel processo di riconoscimento e di interpretazione degli oggetti e delle opere d’arte figurativa, il contesto topografico e culturale gioca un ruolo decisivo. ICONOGRAFIA: riguardo alle opere d’arte figurativa, il soggetto ed il contenuto rappresentano l’aspetto più importante al quale si rivolge l’interesse dell’osservatore. Nell’antichità essi rappresentavano l’intento prioritario dell’opera d’arte, intesa come rappresentazione di forme, oggetti ed eventi.  Soggetto e motivo iconografico (Bildthema und Bildmotiv) con il termine “soggetto (o tema) figurativo” si indica il contenuto di una singola opera intesa nella sua totalità. Es: l’uccisione dei figli di Niobe per mano di Apollo ed Artemide. Al contrario il concetto di “motivo” è utile per definire azioni e comportamenti di tipo comune (il gesto di appoggiarsi; tirare con l’arco; il suicidio). In quest’ultimo caso è irrilevante il ‘chi’ compie l’azione, cioè il soggetto specifico: infatti lo stesso motivo di una figura che si appoggia ad un pilastro può essere impiegato per soggetti diversi (es: per un’amazzone ferita o per Narciso che ammira la propria immagine). Al contrario, lo stesso soggetto può essere rappresentato con motivi diversi (es: per il soggetto dell’amazzone ferita si può applicare sia il motivo della figura appoggiata ad un pilastro, sia il motivo dello svelamento della ferita).  Iconografiaquesto è il metodo utilizzato per l’interpretazione dei soggetti figurativi, il quale riguarda l’interpretazione oggettiva del contenuto dell’immagine. L’interpretazione iconografica si basa sulla: - Conoscenza dell’oggetto: non si tratta solo di riconoscere aspetti generalmente noti della realtà (il corpo umano, gli alberi), ma di cogliere anche gli elementi specifici di una civiltà. Es: si deve sapere che un uomo adagiato su un letto non è un malato, bensì un partecipante al simposio (pratica che faceva seguito al banchetto, durante la quale si beveva) sdraiato su una kline (lettino); che un bastone con 3 punte è il tridente di Poseidone; che quel indumento è una toga romana. Per ciascuna civiltà si possono individuare nozioni utili al fini dell’interpretazione iconografica, la quale è in parte desumibile da oggetti della cultura materiale e in parte da fonti scritte. - Conoscenza delle convenzioni adottate nella rappresentazione figurativa. Es: una convenzione spesso impiegata è quella della ‘corsa in ginocchio’, utilizzata in età arcaica per la Gorgone o per la dea Nike allo scopo di rappresentare il loro rapido volo nell’aria; un genere di convenzione è l’impiego nella pittura vascolare arcaica del colore bianco per la pelle dei personaggi femminili. La comprensione di tali convenzioni si sviluppa attraverso il confronto fra le testimonianze dell’arte figurativa di epoche e civiltà diverse.  Iconologia oltre alla spiegazione oggettiva delle immagini (scopo dell’iconografia) è importante la loro interpretazione. Es: la kline ed il simposio non sono solo oggetto di un evento, ma rappresentano la vita aristocratica; la toga non è solo un indumento ma anche un simbolo della cittadinanza romana. In tale senso i sarcofagi romani mostrano 4 scene della vita di generali romani, intese non solo come tappe della biografia individuale, ma anche come testimonianza di virtù astratte: una battaglia contro i barbari indica la virtus, una scena di sottomissione dei nemici che implorano protezione mostra la clementia, una scena di sacrificio simboleggia la pietas; la coppia maritale rivela la concordia. L’analisi delle immagini non descrive solo i soggetti figurativi in maniera obiettiva, ma mira alla comprensione dei modi di rappresentazione di valori e visioni del mondo. Questo approccio può essere 31 definito come un livello superiore all’iconografia: si tratta dell’”iconologia”. I significati ‘iconologici’ delle immagini non sono recuperabili in modo obiettivo, ma derivano dalla conoscenza dei fondamenti ideologici e degli specifici contesti riguardanti la cultura oggetto di studio (l’apporto delle fonti scritte è fondamentale per cogliere il significato del simposio greco). N.B: l’iconografia si occupa della descrizione e classificazione di quanto raffigurato nelle opere d'arte; l’iconologia si occupa di ricercare la spiegazione di immagini, simboli e figure allegoriche dell'arte. Sintesi storica. Si basa sull’analisi formale B. ANALISI FORMALE. Gli oggetti non solo assolvono a determinate funzioni, ma assumono una forma ben determinata. La realizzazione di oggetti, determinata da concezioni formali intenzionali, rappresenta un momento estetico attraverso il quale si distinguono tra loro le sfere culturali, le regioni e le epoche. In queste forme trovano espressione il pensiero, atteggiamenti collettivi ideologici, mentali e abituali delle società. COSTRUZIONE E COMPOSIZIONE indicano il modo in cui un determinato soggetto abbia preso forma nella singola opera. Ciascuna opera possiede una sua forma specifica:  per quanto riguarda la singola statua si parla di “costruzione”. Es: il Doriforo di Policleto (pag.203) è “costruito” con una ponderazione equilibrata (posizione.  Nel caso di scene più complesse è si parla di “composizione”. Es: nel fregio del Mausoleo di Alicarnasso, la lotta fra Greci e Amazzoni è rappresentata in scene di combattimento (più soggetti in relazione tra loro). STILE: Con il concetto di stile non si indicano le forme delle singole opere, ma i mezzi formali complessivi con i quali le forme vengono realizzate. Es: il corpo di Armodio del gruppo dei Tirannicidi (pag.200) ha una somiglianza con quello del Efebo di Kritios (pag.198) e nonostante si tratti di soggetti e motivi differenti fra loro, le due figure sono accomunate da uno ‘stile’ affine. Secondo la ricerca archeologica ciò non è dovuto alla mano di un medesimo scultore, ma da un analogo contesto cronologico per ambedue le opere. N.B: artefici dello stile sono determinati soggetti, individuali o collettivi: si parla dello stile di un artista, una bottega, una città, regione o epoca. Nell’ambito della ricerca si fa uso del concetto di stile soprattutto allo scopo di attribuire singole opere a determinati individui o gruppi, regioni o epoche. Ai fini della determinazione della cronologia di un’opera, sono stati elaborati metodi volti alla creazione di serie informate al principio ordinatore dello stile (cronologia stilistica); però il metodo storico-stilistico non è più considerato molto affidabile: ci si è accorti che lo stile di epoche e regioni appare spesso meno unitario di quanto si pensasse; ciononostante lo stile resta un importante strumento di analisi formale. STRUTTURA: il concetto di “struttura” (categoria fondamentale dell’analisi formale) è l’insieme dei principali fenomeni del sistema formale pertinente a epoche, popoli e civiltà. Sono state individuate differenze strutturali fra arte arcaica e classica (e fra epoche greche e romane).  Arcaica è: la giustapposizione additiva delle singole parti del corpo il cui peso poggia in egual misura su entrambi gli arti; la concezione del corpo umano a mo’ di blocco (con 4 lati autonomi; la staticità.  Classica è: la ponderazione delle statue; la concezione del corpo umano in cui i lati sono raccordati fra loro mediante volumi ammorbiditi; la funzionalità di movimenti del corpo. Sulla base della “ricerca strutturale”, lo “stile” è stato definito come un fenomeno riguardante il modo di trattazione della superficie dei panneggi, dei muscoli e dei capelli, mentre sotto la definizione di “struttura” sono stati inclusi i concetti fondanti della rappresentazione formale. Questo orientamento della ricerca è stato avviato dalla Scuola di Vienna. Oggi la ‘ricerca strutturale’ gioca un ruolo di secondo piano. 32 N.B: il concetto di struttura si configura in senso alla ricerca come un sistema chiuso, autonomo e privo della dimensione del mutamento. Es: tutto ciò che è arcaico è considerato additivo-statico, mentre ciò che è classico organico-dinamico. All’interno di questi sistemi, i fenomeni controcorrente non trovano spazio. TIPO: Il termine ‘tipo’ rappresenta una differente categoria formale.  Soggetto e motivo sono concetti utilizzati per descrivere contenuti figurativi oggettivi;  Stile (e struttura) indicano mezzi generali di tipo formale finalizzati alla creazione, e sui quali si basa la realizzazione di un’opera.  Il concetto di “tipo”, invece, riguarda uno schema formale strutturato in modo specifico. Es: un guerriero che colpisce un nemico con un’arma è un motivo figurativo oggettivo, così come una figura che brandisce l’ascia presente su un rilievo. Se quest’ultima figura ricompare con un analogo schema nella rappresentazione di un guerriero sul Sarcofago di Alessandro Magno, si tratta allora dello stesso tipo figurativo. Quì non è rappresentata solo la stessa cosa (o lo stesso motivo), ma essa viene anche riprodotta nella medesima forma già creata in precedenza (ripetere più volte lo stesso tipo, dipende dalla scelta dello scultore che attinge ad uno schema formale a lui noto). Rappresentazioni diverse dello stesso ‘tipo’ dipendono in modo più o meno consapevole da un’opera più antica, una sorta di archetipo. Una volta inventato, lo schema è recepito più o meno esattamente, ovvero copiato o imitato con modifiche (il tipo resta lo stesso). Il concetto di tipo coinvolge trasversalmente le categorie di ‘soggetto’, ‘motivo’, ‘stile’, ‘genere’. Ciò è evidente se si osserva il tipo dell’Afrodite di Capua (pag.222), che si specchia: la statua della Venere di Milo mantiene il ‘soggetto’ dell’Afrodite, di cui però varia il ‘motivo’ dello specchiarsi, e ne modifica le ‘forme stilistiche’ secondo lo spirito ellenistico. In questo modo i tipi figurativi sono spesso tramandati per secoli: essi rappresentano i fattori più stabili dell’arte figurativa antica, tale da esercitare un influsso duraturo fino al Medioevo ed all’età moderna. GENERE: Il concetto di “genere” non ha ancora ricevuto, nella storia dell’arte antica, una degna attenzione. Il suo significato è poco chiaro e solitamente il termine è utilizzato per una classificazione sommaria di gruppi di monumenti, soprattutto in base a due criteri: 1) Forma e materiale (si distinguono scultura a tutto tondo; piccola plastica; rilievo; pittura parietale; ceramica dipinta; opere in metallo fuso) e 2) Funzioni (statue di culto in edifici templari; statue onorarie pubbliche; vasellame da cerimonia, ecc). CAP. 10 ETÀ DEL BRONZO NEL MONDO EGEO Storia delle ricerche: Il pioniere dello studio dell’epoca eroica in Grecia (cioè l’età del Bronzo nel mondo egeo) fu Heinrich Schliemann. Il suo obiettivo fu quello di dimostrare la storicità dei racconti omerici e per tale motivo, nel 1871 avviò gli scavi su una collina nell’Asia Minore, già identificata dagli studiosi come sito della Troia omerica. Quando in una nicchia situata negli strati del terreno rinvenne un prezioso tesoro fu convinto di aver scoperto la Troia omerica ed il tesoro di Priamo; però presto apprese che si trattava della Troia II risalente al III millennio a.C., più di 1000 anni prima della guerra di Troia raccontata da Omero. Nel 1876 Schliemann diede avvio agli scavi di Micene allo scopo di trovare le tombe descritte da Pausania di Agamennone (ucciso dopo il suo ritorno dalla guerra di Troia) e dei suoi compagni. Egli trovò sei tombe a fossa scavate nella roccia e così si convinse di aver trovato ciò che stava cercando; in realtà si trattò di un errore visto che le tombe erano state realizzate quattro secoli prima dell’ipotetica datazione della guerra di Troia. Comunque Schliemann scoprì una civiltà che aveva preceduto l’epoca classica greca e che venne denominata “civiltà micenea”. Ad Arthur Evans, agli inizi del 1900, si dove la scoperta del “Palazzo di Minosse” a Cnosso, dove rinvenne numerose tavolette in terracotta con testi di carattere amministrativo redatti nella scrittura Lineare B. Le sue scoperte influenzarono le successive ricerche sull’età del Bronzo in Grecia. 35 E’ Creta a compiere in questo periodo il passo decisivo verso una fase di sviluppo (grazie anche all’elaborazione degli elementi derivati dalle più antiche culture del Vicino Oriente e dell’Egitto): a Cnosso, Festo e Mallia iniziarono a sorgere i primi edifici monumentali a pianta centrale, denominati “Palazzi”. Oggi è difficile conoscere l’aspetto originario dei “Primi palazzi”, a causa delle successive costruzioni su di essi dei “nuovi palazzi”. Contemporaneamente ai primi palazzi, si svilupparono ai loro bordi vere città. I “Palazzi” erano centri amministrativi che svolgevano una molteplicità di funzioni (ciò si deduce dal rinvenimento di sigilli in terracotta impressi, che servivano ad esercitare un controllo sui beni in entrata e in uscita dal palazzo). Una novità per la cultura dei primi palazzi cretesi è l’introduzione di una propria scrittura, oltre che per il normale uso amministrativo, anche per gli scopi culturali e religiosi: si tratta della “scrittura geroglifica cretese” e della più semplice “scrittura Lineare A”, conosciuta attraverso testi incisi su tavolette di terracotta. A differenza della successiva scrittura micenea “Lineare B”, le due precedenti scritture non sono state ancora decifrate. Entro il sistema degli antichi palazzi operavano artigiani che realizzavano capolavori. A Creta in questo contesto nasce la “ceramica di Kamares” con una ricca ornamentazione in bianco e rosso su fondo scuro. I MINOICI, pur avendo preso in prestito elementi ed influssi dalle antiche culture dell’Egitto e del Vicino Oriente (es: architettura palaziale, urbanistica e scrittura), divennero importanti partner commerciali. I cretesi importavano i metalli come lo stango (necessario per la lega del bronzo) ed esportavano oggetti di lusso e la ceramica di Kamares. Nel periodo dei Primi Palazzi i Minoici, intensificando il commercio nell’area egea, stabilirono una serie di ‘colonie’ (es: a Rodi). TARDO BRONZO L’epoca dei nuovi palazzi cretesi La distruzione dei primi palazzi cretesi alla fine del MM II (1750 a.C.) a causa di un sisma e anche a dei conflitti, non rappresenta una chiusura nello sviluppo culturale, visto l’ininterrotto processo di ricostruzione che si registra nella medesima area. La fase dei “Nuovi Palazzi” cretesi comprende il MM III sino a TM III (A1), ovvero il periodo compreso tra il 1750 ad il 1380 a.C. La ceramica che caratterizza la fase del MM III prosegue secondo il tipo a vernice bianca su sfondo scuro, ma compare anche un tipo di decorazione nero-lucida su fondo chiaro. Sulla ceramica si impongono poi motivi ornamentali vegetali. Però la ceramica a vernice scura e lucida ha un ciclo vitale più lungo, risorgendo nella tradizione attica dei vasi a figure nere e rosse dal VI al IV sec a.C. Nel TM fanno la loro comparsa motivi desunti dal repertorio marino che decorano la ceramica, accanto ai quali si trovano motivi vegetali e rappresentazioni di oggetti e simboli cultuali. Compaiono poi a Cnosso anfore in “stile palaziale”. I “nuovi palazzi” di Cnosso (pag.104) e in generale quelli minoici, sono meglio noti rispetto alle strutture della fase precedente. Numerose soluzioni progettuali e tecniche costruttive che compaiono in questi palazzi sono derivati dai prototipi egizi e vicino-asiatici, come l’orientamento nord-sud e le facciate a ortostati (l'ortostato è una lastra in pietra, legno o terracotta con funzione di sostegno o di abbellimento; può essere infisso nel terreno o addossato a una parete). Il palazzo presenta ali disposte ai lati di una grande corte centrale e con un altro grande piazzale posto davanti alla facciata occidentale. I palazzi minoici, oltre a svolgere funzioni amministrative, erano anche centri culturali e religiosi dotati delle funzioni di tempio (come mostrano gli oggetti di culto rinvenuti in essi). Un’ulteriore funzione dei palazzi era quella di depositi per le provviste (vi erano magazzini) che poi venivano redistribuite alla popolazione. I palazzi, e con essi i centri urbani che li circondavano, erano centri di un’organizzazione politica come se fossero uno Stato effettivo. È possibile individuare un modello insediativo caratterizzato da circa sei centri urbani e palaziali: i singoli centri erano distinti 40 km gli uni dagli altri ed esercitavano la propria competenza su un territorio preciso. Pertanto l’organizzazione politica della Creta minoica si basava su piccole unità statali politicamente indipendenti le une dalle altre. 36 Il raggio d’azione della politica cretese superò i confini della stessa Creta: nell’epoca dei “primi palazzi” si ha l’espansione minoica nell’Egeo; poi nel periodo dei “nuovi palazzi”, vari insediamenti sia nelle isole dell’Egeo sia lungo le coste dell’Asia Minore, erano posti sotto l’influenza minoica. In questi luoghi ciò è evidente nell’architettura, nella pittura parietale, nella religione e nell’amministrazione, caratterizzata dall’uso della scrittura Lineare A. Nell’epoca neo-palaziale, Creta estese le proprie relazioni con il Vicino Oriente e con l’Egitto. Le connessioni esistenti tra Creta e il Levante, in particolare con l’Egitto, sono rese evidenti dalla diffusione nel Mediterraneo orientale di una ceramica fine del TM e dalle rappresentazioni dei Cretesi nelle tombe dei funzionari in Egitto. Alla fine della fase del TM IB (1490 a.C.), una serie di eventi di carattere distruttivo investì l’intera isola di Creta, portando alla distruzione delle ville, della maggior parte degli insediamenti e di tutti i palazzi, con l’eccezione di quello di Cnosso (rimase l’unico centro palaziale). L’epoca dei piccoli regni micenei: tombe a fossa e prime Tholoi  Sulla terraferma greca, la lunga fase di stagnazione culturale terminò alla fine del Medio Elladico. Nel corso del ME III e nel TE I si svilupparono insediamenti di tipo gerarchicamente differenziato: le sepolture mostrano un processo di differenziazione sociale. Si tratta di un cambiamento percepibile nei 2 “circoli di tombe a fossa” di Micene (circolo di tombe A e circolo B), nei quali è possibile riconoscere dei tumuli (tombe ricoperte da un accumulo di terra), contenenti al proprio interno tombe a fossa. In entrambi i circoli di sepolture, sia nel più antico B, che in quello più recente A, la presenza di ricchi corredi permettono di riconoscere lo sviluppo dell’élite aristocratica micenea (vasi in metallo, opere d’intarsio in oro e argento che decorano i pugnali e anelli). Un’evoluzione analoga è riconoscibile anche al centro e al sud della Grecia (in particolare in Messenia e nel Peloponneso). Qui compare come sepoltura della classe egemone la “tomba a tholos” (a pianta circolare dotata di volta), forse influenzata dalle tombe cretesi di tipo circolare. A differenza delle tombe a fossa rinvenute a Micene, la maggior parte di quelle proto-micenee a tholos furono saccheggiate in epoca antica. I regni proto-micenei (=i MICENEI) rappresentarono per Creta un mercato di sbocco per oggetti di lusso; infatti l’influenza esercitata dalla Creta minoica sulla civiltà micenea si coglie nella produzione di ceramica. Nell’artigianato si manifesta una koinè (unione) artistica tra la Creta minoica e la Grecia micenea. Un ruolo fondamentale nel processo di ascesa della civiltà micenea furono le nuove relazioni commerciali con l’Europa, divenendo così la mediatrice tra due sistemi commerciali diversi:  da un lato il commercio marittimo minoico nel Mediterraneo orientale, organizzato dai palazzi cretesi e dai loro partners nel Levante e in Egitto;  dall’altro quello in Europa legato al trasporto lungo le vie terrestri di beni, primi fra tutti i metalli. Riguardo al commercio marittimo nel Mediterraneo, mentre le rotte commerciali verso il Mediterraneo orientale erano predominio dei Minoici, i Micenei si spinsero ad ovest: essi importarono rame dall’Etruria e ampliarono le rotte commerciali in direzione della Sicilia e Sardegna (ricca di giacimenti metalliferi); si spinsero poi verso Inghilterra, dove importarono l’ambra del Baltico (rinvenuta nelle tombe micenee). Il mondo egeo: dalla supremazia MINOICA a quella MICENEA gli eventi distruttivi verificatisi alla fine del TM IB (1490 a.C.) avevano interessato a Creta, fatta eccezione di Cnosso, tutti i palazzi e insediamenti; una parte di essi venne inseguito ricostruita. Quale fu la causa di tali devastazioni? All’inizio si credette che la causa fosse dovuta all’eruzione del vulcano posto nell’isola di Thera/Santorini; l’eruzione avrebbe scatenato onde di maremoto e una pioggia di ceneri. Discrepanze cronologiche acquisite dagli scavi hanno portato gli studiosi a scartare tale ipotesi. Inseguito si è pensato che la causa delle distruzioni furono conflitti interni o un’invasione di Greci micenei (dato che a Creta sono state rinvenute tavolette in terracotta contenenti iscrizioni in Lineare B, la scrittura micenea). Alla fine si concluse che a Creta le distruzioni furono causate da sconvolgimenti interni. Sebbene Cnosso dovette sopravvivere come unico centro palaziale, Creta stessa fu talmente indebolita da dover cedere la propria egemonia in ambito egeo alla Grecia micenea. 37 La fase dei PALAZZI MICENEI Le prime strutture palaziali micenee risalgono al Tardo Elladico III A (1400 a.C.) e l’epoca palaziale micenea terminerà nel 1200 a.C. (Tardo Elladico III B): la base per la cronologia relativa è rappresentata dalla ceramica. A partire dal Tardo Elladico II B (1490-1420 a.C.), i vasai micenei iniziarono a svincolarsi dagli esempi minoici, sviluppando forme e motivi decorativi autonomi (es: si svilupperà la kylix, una coppa da vino in ceramica). Sia la standardizzazione delle forme, sia l’omogeneità stilistica della decorazione della ceramica, rivelano la presenza di un centro di produzione capace di esercitare una forte influenza su tutti gli altri. Tale centro è Micene (nel Peloponneso): da qui i prodotti ceramici vennero esportati nel Mediterraneo orientale. Solo nel Tardo Elladico III B2 si svilupperanno nella produzione ceramica varianti locali e regionali. Nel corso del Tardo Elladico III A (1380 a.C.), si assistette ad un’espansione dei Micenei nel mondo egeo. A Creta è in questo periodo il Palazzo di Cnosso fu distrutto (inizia così la fase post-palaziale), ma le tavolette in Lineare B qui rinvenute, indicano come il palazzo fosse stato poi riedificato, diventando il centro amministrativo dei nuovi dominatori micenei. Creta entrava a far parte della civiltà micenea che si estendeva dalla terraferma greca attraverso le isole dell’Egeo sino alla costa microasiatica, subentrando ai minoici anche nei rapporti commerciali con il Vicino Oriente e l’Egitto. L’edilizia palaziale di Micene (pag.109), Tirinto e Pilo, si differenzia da quella minoica in maniera sostanziale. Contrariamente ai palazzi minoici, ciascuno di questi centri presenta una fortificazione (quelli minoici non avevano mura). Il centro è costituito da megaron, cioè un edificio a pianta rettangolare con un vestibolo antistante: assolveva nel palazzo a funzioni rappresentative e di culto proprie del sovrano e aveva un focolare rotondo al centro circondato da quattro colonne che sorreggevano la copertura. Come i palazzi minoici prima di essi, anche quelli micenei furono decorati con affreschi. La Grecia micenea si articolava in 11 regni, suddivisi a loro volta in province. L’ordinamento della società dei singoli regni era di tipo gerarchico: all’apice di ogni regno vi era un wanax (=capo). Le tombe monumentali a tholos del XIII sec debbono essere considerate come sepolture di wanakes. Al di sotto del wanax si trovava il lawagetas, un viceré con funzioni di supremo capo militare, cui seguivano la nobiltà, i koreter (amministravano le entità territoriali), i telestai (proprietari terrieri) ed i basileis (capi dei gruppi gentilizi). Negli strati più bassi si trovavano gli artigiani, i liberi lavoratori e gli schiavi. Il crollo del sistema palaziale miceneo e la fine della cultura micenea Una delle cause principali del declino della realtà palaziale micenea, avvenuta nel 1200 a.C., fu rappresentata dal sistema stesso. Esso infatti, concepito in base a quello delle città del Vicino Oriente (con un’organizzazione economica centralistica e specializzata), non era destinato a durare in un contesto paesaggistico come quello greco, caratterizzato da piccoli spazi. Si giunse al crollo dell’intero sistema nel momento in cui (nel XIII sec. a.C., nel Tardo Elladico III B2) non si riuscì ad affrontare la crisi imminente: al principio di questo periodo, alcuni centri di potere furono distrutti assieme ad altri insediamenti (non è chiaro se il fenomeno fosse stato causato da veri conflitti o terremoti); da questo momento in poi la civiltà micenea dell’epoca dei palazzi si avviò a conclusione, mentre insorgevano processi a carattere regionale; vi sono in aggiunta indizi di invasioni di popolazioni straniere provenienti da nord e nord-est, che avrebbero contribuito ad un collasso definitivo. In quest’epoca fece la propria comparsa in Grecia una classe di ceramica grossolana, chiamata “Barbarian Ware”. La fine del sistema palaziale miceneo è da porre in relazione al crollo pressoché contemporaneo della quasi totalità dei sistemi statali del Mediterraneo orientale, nel quale gli attacchi dei “Popoli del mare” ebbero un ruolo decisivo. In Grecia, la fase del Tardo Elladico III C, fu contraddistinta dall’assenza di palazzi e di scrittura; ci fu ancora una volta un periodo di pace e benessere e si costituirono piccole unità statali. Questa fioritura tardiva della cultura micenea terminerà a causa di distruzioni. Alla fine del Tardo Elladico III C è documentato un generale impoverimento e un diradarsi degli insediamenti. 40 della Pnice; fu costruito uno stadio per i giochi atletici. L’agorà divenne così il centro pubblico-politico della città, con gli edifici amministrativi dei funzionari pubblici, le corti di giustizia e i grandi portici: “stoà Poikile”. Questi portici, con i loro colonnati, conferivano alla piazza un aspetto/cornice più scenografica. In epoca più recente si assistette allo sviluppo del foro a Roma: nel IV sec. a.C. il foro fu privato delle proprie funzioni di mercato alimentare che furono trasferite in edifici ad hoc. Pertanto in molte città, in particolare in età imperiale, i fora subirono un’evoluzione che li portò ad assumere l’aspetto di luoghi solenni di rappresentanza. Nelle città pianificate ortogonalmente, era lasciata sin da principio un’area libera per l’agorà, mentre spesso la sua monumentalizzazione architettonica avveniva più tardi. Così in città pianificate del tipo di Priene e Mileto (pag.115), in molti casi furono progettate piazze di forma rettangolare concluse in se stesse che, a causa della prevalenza di attestazioni nell’oriente greco, furono denominate “agorai ioniche”. Gli impianti dei fora di nuova pianificazione nelle città romane, come il Foro di Augusto (pag.177), furono concepiti come piazze porticate a carattere unitario. Inoltre un tempio monumentale (quasi sempre dedicato a Giove Ottimo Massimo) fu inserito come fulcro visivo nell’asse del lato corto (= le agorà e i fori furono impostati secondo la logica della piazza chiusa con tempio). ACROPOLI. Le antiche città greche avevano di solito un’acropoli, cioè un’altura rocciosa facilmente difendibile. Essa serviva come baluardo per trovarvi rifugio in caso di pericolo, ed era perciò, nella maggior parte dei casi, a sua volta recintata, sebbene collocata all’interno dell’area circoscritta dalle mura. La forma dell’acropoli e il suo rapporto con l’area urbana mostrano delle variazioni, dipendenti dalle condizioni geografiche. Ad Atene l’acropoli si trova in mezzo alla città: non è eccessivamente alta ma è dotata di ripidi pendii, di facile accesso da ovest. A Corinto il monte è molto alto, a notevole distanza dall’area pianeggiante dell’insediamento ed incluso nel circuito murario con grande dispendio di mezzi. A Priene la rocca s’innalza sopra la città ed è quasi inaccessibile. Altre città, soprattutto in Italia meridionale e in Sicilia, essendo su un terreno pianeggiante sono prive di un’acropoli vera e propria. SANTUARI. Le poleis greche sono caratterizzate, all’interno e all’esterno della città, dalla presenza di una moltitudine di luoghi di culto. Tra questi si distingue il santuario “poliadico”, sotto la cui protezione è posta la comunità nel suo insieme. In molte città il culto principale ha sede sull’acropoli: ad Atene sull’acropoli vi si trovano i templi dedicati ad Atena, dea della città e sull’Acropoli di Corinto vi si trova il tempio di Afrodite. Invece Priene, visto il massiccio roccioso pressoché inaccessibile, ha un’acropoli priva di luoghi di culto. Quindi l’acropoli è innanzitutto una fortezza; essa può, anche se non obbligatoriamente, essere utilizzata come “montagna sacra”. I santuari “poliadici” si trovano spesso nel centro dell’area urbana: in alcuni casi sull’acropoli (ad Atene) e in altri casi in posizioni centrali (i due templi di Era a Paestum o il tempio di Atena a Priene). Tuttavia sono possibili anche collocazioni marginali come ad Agrigento, dove una corona di templi si trova presso la cinta muraria. Spesso il santuario principale si trova al di fuori della città, al margine della chora (come i santuari di Era ad Argo e Samos). Di norma, comunque, il santuario principale è separato dall’agorà: l’unione del centro politico con quello religioso fu istituita solo nelle città romane, mediante l’accorpamento di capitolium (tempio) e foro. LUOGHI DI CULTURA COMUNITARIA. Accanto ai centri politici e religiosi, la vita cittadini si svolge anche in altre istituzioni pubbliche che si sviluppano come ambiti della “cultura comunitaria”. In epoca più antica, gli agoni atletici e musicali nell’ambito di feste in onore di divinità si svolgevano nell’agorà, dove una piazza per la festa (orchestra) serviva anche per le riunioni politiche e gli eventi religiosi. Con l’evoluzione della qualità della vita, a partire dal VI sec. a.C., ci fu una progressiva dislocazione delle varie funzioni urbane: per gli esercizi atletici furono fondati ginnasi e palestre; per le gare stadi e ippodromi quasi sempre ai margini della città; per i giochi teatrali furono creati edifici teatrali con palcoscenici a file di sedili per gli spettatori 41 (addossate a un pendio collinare). Nelle città romane edifici circensi, anfiteatri e terme, spesso ubicate nell’area urbana, si trasformano in centri frequentati dalla cultura del tempo libero di età imperiale. ZONE ABITATIVE. Con la crescente differenziazione del lavoro, emerse da un lato la tendenza verso una concentrazione dei singoli mestieri in determinati ambiti della città (es: quartieri dei vasai), mentre dall’altro i vari ceti sociali vivevano l’uno a fianco all’altro. Le zone abitative delle città della Grecia che erano accresciute progressivamente, erano suddivise in appezzamenti di terreno di taglio irregolare. Invece nelle città di nuova pianificazione, furono definite all’atto di fondazione parcelle di terreno omogenee (=idea di uguaglianza sociale per le comunità cittadine). Nel corso del tempo si manifestarono però alcune differenziazioni, a causa delle vendite di terreni o di loro modificazioni lungo i bordi. In età arcaica e classica prevalse l’uso di case ad una sola unità abitativa, dove la struttura delle case ancora non aveva forti differenziazioni: il rango sociale trovava espressione più nelle forme rappresentative pubbliche che nella dimensione abitativa privata. Solo a partire dal V sec. a.C. ed in particolare dall’epoca ellenistica, il maggior benessere delle classi superiori si manifestò nella realizzazione di ricche dimore, distinte dalle semplici abitazioni. Il culmine dell’architettura abitativa è rappresentato dai quartieri palaziali delle città regie, destinati ad ospitare i sovrani e la loro corte. Gli sviluppi successivi sono documentati da alcune città romane, fra le quali Pompei, che a causa dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. si è conservata. Qui sono ben documentati sia gli edifici pubblici che quelli residenziali come: la grande abitazione monofamiliare (domus), che poteva essere arricchita con sale destinate al ricevimento, cortili, giardini e fontane, e ville cittadine (simili ai palazzi dei sovrani). Entrambe erano destinate a famiglie illustri. Poi vi era il piccolo appartamento in affitto (cenaculum) e la taberna monolocale. MURA CITTADINE. Le fortificazioni non erano mai state un elemento costitutivo delle città greche. Antiche mura cittadine furono costruite nel IX-VIII sec. a.C. sulle coste asiatiche e sulle isole dell’Egeo contro i pirati. Nel VII-VI sec. a.C. la maggior parte delle città ricevette un circuito fortificato: esso racchiudeva un’area maggiore rispetto allo spazio abitato in quanto le superfici libere venivano destinate agli orti, pascoli, come rifugio per la popolazione in guerra e per il successivo ampliamento dell’insediamento. Le mura segnavano poi il confine tra lo spazio interno alla città e l’esterno, dove potevano essere sepolti i defunti. Le porte, che segnavano il passaggio tra l’interno e l’esterno, erano spesso poste sotto la protezione di culti religiosi. Nelle città romane il confine murario era ulteriormente rimarcato dal pomerium: il pomerio era il confine sacro della città, posto all’interno delle mura urbiche. SUBURBIO. Al di fuori dei confini della città, soprattutto lungo le strade, si estendevano le necropoli, in parte con edifici sepolcrali monumentali; ad esse si aggiungevano santuari destinati a culti di speciale importanza. Nel corso del tempo, nella maggior parte delle città, l’insediamento abitativo si ingrandì oltre i vecchi confini marcati dalle mura e dal pomerio. Si generò così, in molti casi, una cintura suburbana più o meno ampia (=suburbium), contraddistinta dalla presenza di siti funerari, luoghi di culto, officine, abitazioni, orti. A partire dalla tarda Repubblica, a Roma e in altre città romane, queste zone suburbane erano spesso costellate da ricche ville con ampi giardini e parchi. CAP. 12 SANTUARI Dato che la vita dei Greci, Etruschi e Romani era legata alla religione, i SANTUARI ebbero importanza. I santuari (=luoghi di culto di dei ed eroi) erano centri culturali nei quali, accanto al culto religioso, si manifestavano gli interessi sociali, politici ed economici. La religione antica è caratterizzata da una moltitudine di divinità che, anche se collegate genealogicamente tra loro, conservavano nel culto un grado di indipendenza. Inoltre non esisteva una suprema istituzione o un sacerdozio religioso che avesse fissato ed imposto un “insegnamento” comune. Per questo i rituali dei 42 loro culti erano diversi dà luogo a luogo e quindi di conseguenza, i santuari erano spesso legati al loro ambiente locale. Inoltre i luoghi di culto potevano avere ubicazioni, forme e funzioni diverse (grandi strutture architettoniche o ambienti poco appariscenti, nella città o nella campagna). Oggi la ricerca archeologica ha trasformato i santuari in luoghi di scavo, perché da essi si può ottenere esempi di architettura, capolavori di scultura e grandi quantità di artigianato artistico, offerti come doni votivi. a. Luoghi e funzioni I luoghi sacri sorsero in ambiti diversi: in molti casi si trattava di aree ed elementi della natura presso i quali gli uomini percepivano la presenza di forze divine (alberi, caverne, rocce, montagne); altri luoghi di culto vennero fondati in sedi idonee allo svolgimento di funzioni legate all’esistenza degli uomini. All’interno delle città alcuni santuari erano gestiti dallo Stato e in parte dai suoi sacerdoti. Venne inoltre a consolidarsi, anche se non ovunque, la presenza di un santuario principale in cui gli abitanti della polis accorrevano in occasioni delle feste e gareggiavano nell’offrire i doni votivi; in esso erano anche pubblicati sotto forma di iscrizioni monumentali i testi legislativi e spesso vi era conservato il tesoro di Stato. Tali santuari erano spesso ubicati in posizione centrale sull’acropoli, come ad Atene, o vicino all’agorà,. Vi erano inoltre nelle città “santuari privati” che, posti all’interno delle abitazioni, erano curati da singole famiglie. Ad es nella casa romana il larario (=luogo di culto delle divinità domestiche= lares) era un luogo centrale per la famiglia. Un’altra zona ritenuta adatta per i santuari era i dintorni immediati dalle città (=aree periurbane). Anche i santuari dotati di ginnasi e palestre erano spesso costruiti al di fuori delle città. La chora, cioè la zona di terreno coltivabile, fu anch’essa occupata da luoghi sacri extraurbani: in parte si trattava di grandi santuari della polis e in parte di numerosi piccoli luoghi di culto, spesso di carattere rurale, dedicati ad esempio a Demetra o a Dioniso in quanto divinità dell’agricoltura e del vino. Gli incroci viari (tra più vie) furono in parte segnati con le “erme”: un’erma è una scultura su pilastro rappresentante una testa umana e parte del busto del dio Ermes (immagini del dio Ermes), posta nei crocevia (punti di incontro) tra più strade. Presso queste erme si poteva praticare il culto e pregare. Vennero poi marcate con santuari le zone selvagge al margine dei settori insediativi (i territori di confine). Tra i pascoli montani si trovavano santuari dedicati a Pan ed alle Ninfe; nei boschi erano posti luoghi di culto per la divinità della caccia Artemide e Apollo; su promontori affacciati sul mare era venerato Poseidone; sulle cime di montagna vi era il culto di Zeus come dio del cielo e del clima. Alcuni santuari avevano una funzione anche al di là della singola polis: le Isole Cicladi avevano il loro centro religioso nel santuario di Apollo a Delo. Ad alcuni dei santuari della Grecia era attribuita una valenza «panellenica», cioè gli veniva riconosciuto uno status sovranazionale. Quattro erano i santuari panellenici verso cui confluivano visitatori da tutto il mondo greco: 1) Santuario di Apollo a Delfi (il cui oracolo e il cui clero godevano di grande considerazione, in funzione di consiglieri politici internazionali); 2) Santuario di Zeus a Olimpia, 3) Santuario di Poseidone a Istmia e 4) Santuario di Zeus a Nemea. N.B: a differenza del santuario poliadico, il contesto panellenico non si configura come il luogo di culto di riferimento di una polis, ma bensì come un’area aperta alla frequentazione privata e pubblica da parte dell’intera grecità. Roma e l’impero romano erano invece caratterizzati da una più forte gerarchia nei culti religiosi. A Roma, fin dal VI sec. a.C., dominava su tutti il culto della Triade Capitolina (costituita da Giove, Giunone e Minerva). Mentre nella capitale il santuario si trovava sulla sacra altura del Campidoglio, in città più recenti di nuova fondazione il capitolium (santuario/tempio) era collocato in pianura e collegato al foro, al fine di formare un nuovo tipo di centro politico-religioso. Fin dall’inizio dell’età imperiale romana i luoghi di culto imperiale assunsero un ruolo di rilievo nella religione pubblica; i relativi santuari erano ubicati in zone centrali della città. Vi erano poi santuari del culto imperiale destinati ad intere province (santuari provinciali). 45 santuario ricevette un primo tempio monumentale dedicato ad Era e inseguito venne costruito il tempio di Zeus (con la famosa statua di Zeus realizzata da Fidia, ora scomparsa). In età arcaica diverse città iniziarono ad erigere thesauroi, statue e gruppi statuari, tra i quali spicca la statua della dea della vittoria Nike posta su un pilastro. In età classica, in onore dei giochi olimpici saranno erette statue di atleti vittoriosi, impianti sportivi, terme e luoghi di accoglienza per il pubblico (la fama dei giochi olimpici provocò un ampliamento del santuario). Il più significativo santuario cittadino è quello di Atena sull’acropoli di Atene (pag.165). Invece un luogo di culto extraurbano di piccole dimensioni è il santuario di Artemide a Brauron in Attica (pag.131). Si tratta di un piccolo tempio con altare antistante, circondati da una struttura porticata su tre lati. Forme architettoniche nuove si svilupparono in epoca ellenistica per i grandi santuari con posizione panoramica. Ad esempio il santuario di Atena a Lindos sull’isola di Rodi e il santuario di Asclepio a Kos, situati ad una certa altezza, furono impiantati su diverse terrazze sulle quali portici e templi si riunivano a formare prospetti grandiosi. In forte contrasto vi erano i santuari rurali dove vi scorreva un torrente, c’erano grotte e alberi. Il santuario della Triade Capitolina a Roma (Capitolium) si trovava in una posizione dominante sul colle del Campidoglio. Il tempio si presentava come un edificio monumentale con tre celle per Giove, Giunone e Minerva. A partire dalla tarda Repubblica, per i capitolia (templi) si ricorse al tipo di tempio con piazza circondata da portici, collegato direttamente al foro in modo da formare un’unità urbanistica. CAP. 13 TOMBE La maggior parte dei rinvenimenti archeologici provengono da contesti sepolcrali. Si tratta di oggetti che fungevano da elementi contraddistintivi esterni alla tomba, come decorazione dei monumenti sepolcrali, o che venivano deposti come corredo all’interno. Oggi la prevalenza dei corredi sepolcrali presenti nei musei proviene da scavi illegali, condotti in modo non scientifico (le tombe sono una facile prenda per il commercio illegale di antichità). Per l’archeologia questo è un problema dal momento che, essendo il contesto di provenienza degli oggetti esposto a distruzioni, esso è mal documentato e studiato. Inoltre l’archeologia classica, interessandosi per molto tempo più al singolo oggetto che ai ritrovamenti funerari e alle necropoli (cimiteri), ha fatto si che solo poche di esse siano state studiate: la necropoli del Ceramico di Atene e la necropoli dell’isola Lipari (vicino alla costa della Sicilia) e quelle dell’isola di Ischia (nel golfo di Napoli). Presso le culture antiche del Mediterraneo il rapporto con la morte è stato ritualizzato. Il luogo di sepoltura. A partire dal consolidamento delle polis in età arcaica, vigeva la norma che le sepolture (in particolare quelle degli adulti) dovevano essere collocate all’esterno delle mura urbiche: spesso le necropoli si trovavano dinnanzi alle porte, al confine tra la città e il territorio circostante. L’esempio greco più noto è la necropoli del Ceramico. Invece a Sparta, in assenza di una cinta urbica e di un quartiere abitativo ben delimitato, i contesti insediativi e quelli sepolcrali erano mescolati fra loro. Solo le tombe degli eroi erano esenti dalla prescrizione in base alla quale le sepolture degli adulti dovevano essere collocate extra muros: spesso si trattava di sepolture di carattere simbolico, prive del cadavere (è il cenotafio, presso il quale venivano regolarmente svolti sacrifici funerari in onore dell’eroe). Rispetto al mondo greco, la prescrizione in base alla quale si doveva tenere libera dalle sepolture l’area dell’insediamento, delimitato dal confine sacro (pomerium) rispetto al territorio circostante, aveva un grande rilievo per gli Etruschi (es: le necropoli di Tarquinia, Cerveteri ed Orvieto) e i Romani (es. le vie sepolcrali che si dispiegavano dinanzi alle porte di Pompei, pag.140). Rituali funerari. Sappiamo poco riguardo agli antichi rituali di sepoltura ed alle consuetudini funerarie. Ci vengono in aiuto le rappresentazioni parietali delle tombe e quelle rinvenute sugli oggetti. Elemento 46 comune ai differenti rituali funerari è l’idea della contaminazione che i vivi subiscono nell’entrare in contatto con il defunto: per poter superare questa condizione era necessario eseguire un rituale di passaggio articolato in più stadi. La salma veniva lavata, cosparsa di oli ed esposta nell’abitazione; anche la famiglia, l’abitazione del defunto e i partecipanti erano sottoposti a cerimonie di purificazione. Trascorso il tempo consueto per l’esposizione della salma il defunto era condotto in processione su un carro sino al luogo della sepoltura. Per i clan aristocratici, la sepoltura di uno dei propri membri era un’occasione per la rappresentazione del proprio rango e ricchezza in pubblico. A Roma, per la classe aristocratica, nel corso della processione funebre si portavano maschere di cera dotate delle fattezze degli avi dei defunti ed i loro simboli del rango. Nell’epica omerica e forse anche nella società proto-greca, i giochi funebri sotto forma di gare sportive erano parte del rituale funerario aristocratico; presso gli Etruschi e i Romani si organizzavano combattimenti gladiatori in onore del defunto. Dal punto di vista archeologico, la sontuosità di tali cerimonie funebri si riflette nelle “fosse rituali”: un esempio è quella rinvenuta nella necropoli del Ceramico di Atene, nella quale sono stati rinvenuti vasi di lusso. Oltre alla cerimonia funebre, le offerte sacrificali presso la sepoltura erano una parte importante del rituale. All’inizio erano sacrificati animali, poi prevalsero le libagioni (cerimonie dello spargimento rituale delle bevande, come il vino, per terra o su particolari siti o oggetti come un altare. Era un offerta sacrificale). Ad Atene ed a Roma si attuavano una serie di sacrifici e cerimonie di carattere ‘post-funerario’, che avevano luogo il nono giorno dopo la sepoltura. Vi era poi una serie di feste in onore dei morti che ricorrevano annualmente, durante le quali la tomba era decorata e si istituivano sacrifici. N.B: l’importanza di svolgere sacrifici regolarmente come le libagioni, lo rivela il fatto che le sepolture romane presentavano un assetto grazie al quale le offerte liquide potevano raggiungere direttamente l’urna del defunto. Sepolture e comunità. In epoca arcaica ad Atene, le tensioni nella società comportarono l’emanazione di leggi destinate ad impedire l’ostentazione della ricchezza da parte delle famiglie aristocratiche in occasione delle loro cerimonie funebri (=leggi sul lusso funerario). Ciò non valse per le sepolture pubbliche che, a partire dal V sec. a.C., furono allestite ad Atene specialmente per i caduti in guerra. Queste tombe erano venerate con culti ufficiali, come ad esempio nel caso del grande tumulo sepolcrale di Maratona destinato ai defunti nella vittoriosa battaglia del 490 a.C. contro i Persiani. A Roma e nelle città italiche la sepoltura pubblica era destinata a quei cittadini che si erano adoperati per il bene comune. In età imperiale questo tipo di cerimonie venne riservato ai membri della casa imperiale. Inumazione (=sepoltura) ed incinerazione (=cremazione). Vi era una varietà di tipi di sepolture in uso nel Mediterraneo dall’età del Bronzo fino alla tarda antichità. Essa è la conseguenza di un alternarsi di incinerazione ed inumazione del corpo. Per la cremazione della salma sono necessarie grandi quantità di legna; pertanto i gruppi al margine della società venivano inumati. Va operata una distinzione tra la cremazione “primaria” e quella “secondaria”: nel 1° caso la salma subisce un’immediata incinerazione al di sopra della fossa sepolcrale; nel 2° la cremazione avviene su un rogo posto separatamente, e ad essa segue la sepoltura dei resti nell’urna. Nelle necropoli del mondo antico prevalse quella primaria. Solo nella fase di passaggio dall’epoca submicenea a quella protogeometrica si assiste in Attica e nelle altre regioni della Grecia ad un cambiamento radicale: la cremazione divenne la forma di sepoltura abituale per i soggetti adulti. All’inizio dell’epoca geometrica, la pratica inumatoria acquisì nuovamente importanza, senza sostituirsi del tutto alla cremazione. In Etruria si assiste ad una bipartizione geografica: mentre nelle città meridionali si praticava l’inumazione, a settentrione l’incinerazione e la deposizione dei resti nell’urna era abituale, così come a Roma (impiegato in epoca repubblicana e nella prima età imperiale); solo poche famiglie aristocratiche mantennero la pratica dell’inumazione. A partire dall’epoca adrianea, nella sfera culturale romana si ritorna al rito dell’inumazione: coloro che potevano permetterselo si facevano inumare insieme ai propri familiari all’interno di sarcofagi di marmo decorati a rilievo. 47 Tipi di tombe. Fondamentale è distinguere tra sepolture plurime e sepolture singole. Ad es in epoca micenea, la sepoltura all’interno di grandi tombe collettive svolse un ruolo rilevante (=le monumentali tombe a tholos, ovvero a falsa cupola). Una delle tipologie sepolcrali rinvenute in numerose aree del Mediterraneo è quella della camera sotterranea scavata nella roccia o realizzata in blocchi, dotata di un accesso a forma di scala o di rampa (dromos), e utilizzata per sepolture plurime. Si tratta di monumenti sepolcrali spesso dotati di lussuose facciate, sfarzose architetture interne e di pitture parietali che erano riservati ai clan aristocratici. I defunti giacevano all’interno delle camere sepolcrali. Le sepolture singole utilizzavano forme diverse tra loro, che comprendevano fosse, casse, sarcofagi, scavati nella terra o nella roccia. Meno dispendiosa era la pratica di seppellire la salma con tegole e terra, diffusa in epoca romana. I bambini erano spesso sepolti all’interno di anfore o di altri vasi di grandi dimensioni. Segnacoli funerari. In epoca geometrica e proto-arcaica, prima dell’inizio della scultura litica monumentale (=di pietra), semplici segnacoli di pietra e vasi fungevano in superficie da contrassegno per le sepolture. È stato possibile operare una distinzione tra sepolture maschili, contrassegnate da crateri, e femminili, contrassegnate da anfore. Nel VI sec. a.C. le sculture in pietra si affermano come la forma più ambiziosa di segnacolo funerario. A tale scopo furono utilizzate sia statue (kouroi per la sepoltura di giovani e korai per le giovani fanciulle) e sia stele decorate a rilievo e dotate di coronamento. Nel IV secolo a.C., in Attica quest’uso si interruppe, forse in relazione all’emanazione delle leggi sul lusso funerario. Nel 430 a.C. riprende ad Atene la consuetudine di contrassegnare le sepolture con sculture in pietra. In contrasto con le stele arcaiche, in questa fase l’opzione più fastosa è rappresentata dal rilievo funerario in marmo, caratterizzato da più ampie proporzioni e lavorato con plasticità. La stele funerarie rappresentano la forma più ambiziosa di delimitazione funeraria e forse indicano le sepolture di uomini e donne non sposati, morti nel fiore dell’età. N.B: Stele=> lastra di marmo o pietra con decorazioni, bassorilievi, iscrizioni, piantata ritta nel terreno o su base, per ricordare un seppellimento (stele funeraria), Ad altri gruppi erano riservate forme diverse di segnacoli come: i vasi in marmo di dimensioni monumentali (si trattava di “lekythoi” o “loutrophoroi”) o semplici stele a palmette decorate con iscrizioni. Nel tardo IV sec. a.C., le figure in rilievo furono lavorate quasi a tutto tondo e gli elementi architettonici di contorno furono resi nella forma di templi di piccole dimensioni (naiskoi= piccolo tempio utilizzato nelle necropoli dell’Attica). Questo sviluppo si interruppe ad Atene con l’emanazione delle leggi sul lusso funerario; al contrario in altre aree la realizzazione di segnacoli sotto forma di naiskoi riccamente decorati proseguì. Edifici funerari. L’edificio funerario era l’equivalente monumentalizzato del segnacolo (es: le piramidi). Sin dall’età del Bronzo, le sepolture di rilievo furono contrassegnate da imponenti accumuli di terreno di forma circolare (tumuli). L’esempio più celebre è quello della “necropoli regale” di Verghina, dove si rinvenne sotto un tumulo gigantesco una delle tombe a camera più ricche dell’antichità. A Roma, a partire dal I sec. a.C. furono costruite tombe a tumulo al di sopra di strutture in pietra di forma cilindrica (es: la tomba di Cecilia Metella lungo la via Appia). Nel mondo romano questo tipo di sepoltura raggiunse la sua massima espressione monumentale in 2 giganteschi Mausolei: quello di Augusto e quello di Adriano (quest’ultimo trasformato poi nell’attuale Castel Sant’Angelo). Alle 7 meraviglie del Mondo appartiene l’edificio funerario a pianta quadrata, alto più di 40 m, del satrapo/governatore Mausolo, situato ad Alicarnasso sulla costa occidentale dell’Asia Minore: il “Mausoleo di Alicarnasso” è stato realizzato nel 350 a.C. da architetti e scultori greci. Esso fu un modello per molti edifici funerari di epoca ellenistica e romana: era formato da una camera funeraria sotterranea, un alto zoccolo (basamento), una cella circondata da colonne, era poi coronato da una piramide a gradini ed era decorato con sculture e rilievi. Considerando gli edifici funerari ancora esistenti nella città di Roma, dalla piramide di Cestio sino alle costruzioni funerarie lungo la via Appia, si riesce ad avere un’idea della ricchezza tipologica dell’architettura funeraria romana. 50  Colonnato: esso è formato da fusto e capitello. Le colonne doriche poggiano direttamente senza base sullo stilobate; il fusto è spesso caratterizzato da un leggero rigonfiamento (entasis) nella parte mediana e reca scanalature verticali che si uniscono a spigolo vivo. Di solito i fusti non consistono in un unico blocco ma sono costituiti più rocchi: su quello superiore, appena sotto il capitello, si trovano una serie di anelli (anuli). Il capitello è costituito da un elemento circolare a forma di cuscino (echino) e da una lastra di copertura quadrata (abaco). La distanza tra gli assi delle colonne è detta “interasse”, mentre lo spazio libero tra di esse è “l’intercolumnio”.  Trabeazione: è posta sopra il capitello ed è formata da un architrave portante, un fregio ornamentale e una cornice di protezione. Architrave: le travi al di sopra dei capitelli non sono decorate; il coronamento dell’architrave è costituito da una lunga fascia (=taenia), mentre al di sotto ed in corrispondenza dei triglifi, si trovano dei piccoli listelli (regulae), ciascuno dotato di 6 gocce (guttae); Fregio: è la parte compresa tra architrave e cornice ed è costituito nell’ordine dorico da una successione di metope (=spazi rettangolari che potevano essere lisci, scolpiti o dipinti) e triglifi (=rettangoli solcati verticalmente). Il fregio dorico deve sempre iniziare con un triglifo. Geison: cornice di coronamento (al di sopra del frontone si trova un ulteriore geison di forma obliqua). La parte inferiore della cornice è decorata con lastre piatte (mutuli) alternate a brevi spazi (viae) in modo che ogni mutulus venga a trovarsi in corrispondenza di ogni metopa e ogni triglifo. Sul lato inferiore di ciascun mutulus si trovano 6 guttae (gocce).  Frontone è un elemento architettonico di forma triangolare posto a coronamento della facciata di un edificio e che racchiude il timpano. Il timpano è lo spazio triangolare posto sopra il geison orizzontale e sotto lo spiovente del tetto con il geison obliquo, spesso decorato con sculture e/o pitture. Più in particolare Il timpano è lo spazio triangolare racchiuso nella cornice del frontone. Sima: margine rialzato del tetto sopra il geison, che serve a raccogliere e far defluire l’acqua piovana. Sui lati lunghi la sima è dotata di gocciolatoi che presentano spesso la forma di teste leonine. Antefisse: elementi decorativi che ornavano le testate terminali dei coppi (tegole) posti sul margine esterno del tetto. Le antefisse sono utilizzate al posto della sima e degli acroteri. Acroterio= coronamento al vertice e agli angoli del frontone. Gli acroteri sono sculture figurative o ornamenti vegetali. L’ordine dorico costituisce un sistema che segue regole severe: tale ordine nei suoi elementi base rimase invariato attraverso i secoli, pur mutando le proporzioni (della pianta) e le singole forme (delle colonne e dei capitelli). Infatti mentre in età arcaica le piante erano sviluppate in lunghezza, col tempo le proporzioni si fecero più compatte. Nel VI sec a.C. le colonne sono massicce con una pronunciata entasis (rigonfiamento), mentre in età ellenistica esse sono caratterizzate da un fusto slanciato. Mentre in età arcaica l’edificio appare come un corpo costituito da singole parti, con il tempo le singole componenti dell’edificio si compenetreranno secondo ritmi più slanciati, per dare vita ad un effetto unitario. Il Partenone è un tempio greco di ordine dorico. N.B: “il conflitto d’angolo” dell’ordine dorico è una questione architettonica scaturita durante la trasformazione dell’architettura lignea in quella litica. L’inevitabile spostamento dei triglifi angolari dall’asse delle colonne al margine del tempio, viene compensato in età arcaica dall’allargamento delle componenti della trabeazione (la prima metopa), mentre in età classica dalla diminuzione degli interassi delle colonne angolari (mantenendo il frego regolare). 51 ORDINE IONICO Si è sviluppato in età arcaica nell’Asia Minore greca e nelle isole dell’Egeo, in principio, nell’architettura lignea. La struttura del tempio ionico corrisponde a quella del tempio dorico, anche se le forme si differenziano per quanto riguarda i dettagli. Gli elementi caratteristici sono (pag.149):  Fondazioni, Euthynteria , crepidoma, stilobate = come nell’ordine dorico;  Colonnato. La colonna ionica è formata da base, fusto e capitello. La colonna poggia su una base circolare composta da una successione di profili concavi e convessi, la quale è costituita da 2 parti: quella inferiore che è di forma cilindrica (spira) ed è articolata in una o più gole (trochiloi); e quella superiore rigonfia (toro). Inoltre spesso le basi poggiano su una lastra rettangolare (plinto). Le colonne ioniche hanno proporzioni più slanciate, le scanalature sono profonde e separate da listelli. I capitelli presentano 2 volute che poggiano su echini a forma di cuscino che sono spesso decorati. Il capitello ionico è anch’esso coronato da un abaco, talvolta dotato di decorazioni ornamentali.  Trabeazione. L’Architrave ionico è diviso in 3 fasce sovrapposte. I Dentelli sono “cubetti” sporgenti in fila regolare e disposti al di sopra dell’architrave. Fregio= fascia liscia sopra l’architrave, a volte decorata a rilievo e/o dipinta. Geison= cornice liscia di coronamento con profilo concavo;  Frontone, sima, antefisse, acroterio= come nell’ordine dorico. L’architettura dell’ordine ionico, essendo meno rigida, offrì agli architetti un più ampio raggio di sperimentazione rispetto all’ordine dorico. L’Eretteo di Atene è un tempio di ordine ionico. ORDINE CORINZIOVariante successiva dell’ordine ionico, che si distingue da quest’ultimo solo per una differenza della forma del capitello (pag.149). Il capitello corinzio è formato da un corpo cilindrico a tronco di cono (kalathos), attorno al quale sono disposte due corone di otto foglie d'acanto. Da queste scaturiscono due steli dai quali spuntano “calici” a due foglie che generano a loro volta due nastri a spirale (che si arrotolano verso l’interno) e due volute di dimensioni maggiori. Al di sopra è posto l’abaco. Comunque nell’orine corinzio il fusto della colonna è scanalato e presenta una base. Il capitello corinzio, rispetto a quello ionico, è più ricco e colmo di effetti decorativi (presenta su tutti e 4 i lati lo stesso aspetto decorativo). La sua origine si colloca alla fine del V sec. a.C.: mentre inizialmente questo tipo di capitello fu impiegato per gli ambienti interni, dal tardo IV sec. a.C. e nell’età imperiale, fu impiegato anche per le facciate esterne. Ad Atene il Tempio di Zeus Olimpo presenta colonne corinzie. Le differenze dell’effetto esteriore degli ordini (quello dorico è più semplice, severo e pesante; quello corinzio più slanciato e ricco) comportano la creazione di combinazioni degli ordini; nel caso di portici a più navate la successione dei tipi di capitelli corrispondeva (dall’esterno all’interno) a dorico, ionico e corinzio. Si riscontrano anche altre forme di capitelli come quello eolico (proveniente dall’ambito microasiatico) o quello tuscanico, creato per la più antica architettura templare italica: l’ordine tuscanico si definì in ambiente etrusco ed italico come variante locale dell’ordine dorico; venne impiegato anche nell’architettura romana. Inoltre in età imperiale si sperimentano altre forme di capitelli che combinavano elementi dei diversi ordini tra loro e/o con nuove forme (= capitelli compositi), oppure si arricchirono di motivi figurativi (=capitelli figurati). b. Decorazione architettonica: Templi dei vari ordini, altri edifici, altari e basi di statue potevano essere decorati con ornamenti. Specialmente nell’ordine ionico, le parti dell’architettura potevano presentare decorazioni ornamentali o essere divise da kymatia (singolare: kyma o kymation), cioè fasce piatte, o a gola diritta (se aggetta la parte concava) o rovescia (se sporge quella convessa), che potevano presentare forme ornamentali. Tra queste forme ornamentali ci sono le seguenti (pag.150):  Kyma dorico= si tratta di una fascia a profilo curvilineo con movimento ad onda sulla quale sono dipinte foglie a forma di lingua allineate una accanto all’altra; 52  Kyma ionico= a ovoli (gola dritta), caratterizzato da un profilo con foglie in rilievo ad ovoli, alternate a punte di freccia ed incorniciate da un bordo rialzato;  Kyma lesbio (gola rovescia)= si tratta di una fascia dove piccole foglie a cuore ed elementi appuntiti interposti determinano un profilo concavo-convesso;  Astragalo (stecca decorata a perline)= fascia che alterna perline e forme appiattite a disco;  Anthemion= fregio di elementi vegetali e tralci, in cui si alternano palmette e fiori di loto. c. Tecniche e materiali da costruzione: Gli edifici dell’età geometrica e arcaica, costruiti con murature “a graticcio” (di argilla tra supporti lignei) o in mattoncini, erano spesso appoggiati su un basso zoccolo di pietra ed erano dotati di tetti in legno. N.B: lo “zoccolo o basamento” è un blocco di pietra che è la parte inferiore di un edificio (sinonimo di plinto). La pietra era inizialmente impiegata solo per gli edifici di culto (templi), mentre il marmo, apprezzato per il suo colore e la lucentezza, era utilizzato quando erano disponibili cave nelle vicinanze o se ci si poteva permettere di affrontare i costi di trasporto. Perciò spesso i templi e gli edifici pubblici erano realizzati in pietra e poi un successivo rivestimento in stucco permetteva di proteggerli dai fenomeni atmosferici e conferiva ai muri l’aspetto del marmo. Altri materiali da costruzione erano: la pietra calcarea, la breccia (frammenti di roccia frantumati grossolanamente e cementati), il conglomerato (simile alla breccia) e il tufo (cenere vulcanica consolidata). A partire dall’età classica la maggior parte dei templi fu costruita interamente in pietra: le colonne erano costituite da singoli “rocchi”, mentre i capitelli e le basi erano lavorate a parte. I muri e le colonne erano poi assemblati senza l’utilizzo della malta ed erano fissati perni. Le coperture erano costituite da un tetto ligneo a capriate ricoperto con tegole; dal 600 a.C. entrò in uso la copertura in marmo (es: il Partenone). Un’innovazione tecnica dell’architettura italica fu l’opera cementizia, cioè una sorta di cemento antico (opus caementicium, pag.151). L’uso di tale tecnica costruttiva si diffuse nella tarda età repubblicana (I sec. a.C.) e poi nell’età imperiale, sia per le fondazioni e sia per la coperture, permettendo la realizzazione di coperture autoportanti di grandi ambienti grazie all’utilizzo della volta (es: Pantheon di Roma). N.B: L'opera cementizia è una tecnica edilizia inventata dai Romani, caratterizzata dall'utilizzo del cementizio (materiale costituito da una mescolanza di malta e di caementa, ossia pietre grezze o frammenti di pietra spezzati). Suoi lati esterni il nucleo cementizio veniva rivestito con paramenti in pietra o laterizi (mattoni). N.B: Il muro ha una parte interna e due facce esterne realizzate in mattoncini o in pietra; i muri sono i paramenti. All’inizio i conci (= il concio è un blocco di pietra che fa parte di una struttura muraria) avevano una forma piramidale: le loro parti a punta venivano inserite nel nucleo cementizio e la base piatta costituiva la faccia a vista esterna. In un primo momento i conci vennero posti in opera in modo irregolare (opus incertum), mentre in seguito in modo sempre più regolare (opus reticulatum). A partire dalla fine dell’età repubblicana si realizzarono rivestimenti con laterizi di forma rettangolare e allungata (opus testaceum), i quali a partire dal I sec. d.C. erano spesso dotati del timbro delle fabbriche (ciò fornisce elementi per la datazione). Le pareti degli edifici venivano poi intonacate o rivestite di stucco e/o dipinte con la tecnica ad affresco. Infine potevano essere anche rivestite di preziose lastre in pietra (a questo scopo in età imperiale si importarono marmi colorati da tutte le parti dell’impero). 55 La tipologia dell’anfiteatro si sviluppò nel II sec. a.C. in territorio campano: esso è caratterizzato da una forma ellittica e da un’arena ovale situata al centro dell’edificio (es: il Colosseo). Gli anfiteatri servivano per rappresentazioni di lotte gladiatorie, cacce con animali feroci (venationes) e battaglie navali. Al di sotto dell’arena si trovano celle e gabbie per i prigionieri e gli animali. Inoltre come nel caso dei teatri, anche per quanto riguarda gli anfiteatri gli spettatori erano protetti dal sole dai vela. Il circo romano era destinato soprattutto alle corse dei carri, ma talvolta vi si svolgevano anche le venationes (=caccia e uccisioni di animali selvaggi) e manifestazioni di carattere pubblico. Entrambi i lati lunghi ed uno dei lati corti di forma curvilinea erano dotati di sedili per gli spettatori, mentre sul quarto lato si trovavano i dispositivi per la partenza (carceres). Al centro la ‘spina’ divideva il circo in due piste per la corsa e offriva la possibilità di un ricco arredo con fontane, statue degli imperatori e divinità, obelischi, ecc. GINNASIa partire dal IV sec a.C. le fonti scritte parlano di luoghi dove si potevano praticare gli esercizi ginnici: la tipologia architettonica destinata a queste attività è il ginnasio. Nell'antica Grecia era il luogo dove i giovani si allenavano per le gare atletiche e si esercitavano nudi nei giochi ginnici (=il ginnasio non ebbe grande successo presso i romani). Il nucleo del complesso ginnico è un cortile aperto circondato da portici colonnati, presso il quale sono disposti ambienti coperti su uno o più lati: gli spogliatoi, gli ambienti dove cospargersi di sabbia o di olio ed i diversi vani per l’insegnamento. Per detergere il corpo dopo l’attività sportiva esistevano ambienti dotati di bacini per l’acqua, sostituiti poi da impianti termali. TERME a partire dal V sec a.C. sorsero edifici termali greci con vasche a sedile e/o bagni a vapore di forma circolare (riscaldati da un formo a carbone). In seguito si disposero i pavimenti al di sopra di piccoli pilastri o di laterizio, tra i quali poteva circolare l’aria calda e riscaldare il pavimento. L’acqua era trasportata da condutture. In Italia, nell’epoca della tarda Repubblica si sviluppò una tipologia standardizzata dell’edificio termale che prevedeva il susseguirsi dello spogliatoio (apodyterium), dell’ambiente con acqua fredda (frigidarium), dell’ambiente con acqua calda (tepidarium) e un ambiente con acqua molto calda (calidarium), percorsi dall’utente proprio in questo ordine (pag.158). Spesso ad uno di questi ambienti si accostava anche un bagno a vapore (sudatorium). Le grandi terme dell’epoca imperiale rappresentavano per il popolo vasti luoghi di divertimento: oltre alle grosse piscine, esse comprendevano palestre e giardini destinati ad attività sportive e ludiche ed ai momenti d’ozio. ABITAZIONI le abitazioni greche sono caratterizzate da un aspetto esterno semplice e chiuso, dal momento che esse vengono illuminate solo per mezzo di piccole finestre poste in posizione elevata. Attraverso una porta si accedeva dalla strada ad un cortile aperto, intorno al quale si disponevano gli ambienti destinati alle attività economiche e quelli con funzione abitativa (pag.160 fig.30). L’ambiente più importante per la famiglia era l’oikos, che ospitava il focolare. Al pianoterra erano situati altri ambienti destinati alle attività economiche, dispense, magazzini, stalle e botteghe; c’era anche un ambiente per banchetti destinato al padrone di casa e ai suoi ospiti (andron). A causa delle crescenti esigenze di abitazioni lussuose, cui si lega la necessità di mostrare il proprio status sociale, le case a partire dal IV sec. a.C. e in età ellenistica, vennero realizzate in modo più imponente (pag.160 fig. 31). Intorno ai cortili si innalzarono portici colonnati, sui quali si aprivano vani arredati. La casa romana (domus) si presenta chiusa verso l’esterno come quella greca: qui il fulcro della vita familiare della c.d. ‘casa ad atrio’ era l’atrium, un grande ambiente con una cisterna per l’acqua (impluvium) al centro, al quale corrispondeva un’apertura nel tetto (compluvium). A differenza del cortile della casa greca l’atrium era quasi completamente coperto (solo il compluvium garantiva l’illuminazione ed aerazione). Attorno all’atrio, al quale si accedeva dalla strada attraverso le fauces ed il vestibulum (sala 56 d'ingresso), si disponevano piccoli ambienti in parte di tipo abitativo ed in parte destinati alle attività economiche (es: cubiculum= camera). Nella parte posteriore si trovavano 2 ambienti simmetrici (alae=ambienti laterali), che si aprivano sull’atrio. Sul lato situato di fronte all’ingresso erano collocati gli ambienti più importanti della casa funzionali all’accoglienza dei clientes e di amici: tablinum (locale principale della domus, salotto/studio) e triclinium (sala da pranzo). Dietro la casa si trovava un giardino (hortus), mentre la parte frontale verso la strada presentava delle botteghe artigiane (tabernae). Influenzati dal lusso dei palazzi ellenistici i romani abbienti, a partire dalla tarda età repubblicana, ripresero elementi dell’architettura greca per la realizzazione delle loro domus: l’hortus venne sostituito da un peristilio, la cui parte aperta venne sistemata come giardino e decorata in modo sfarzoso con fontane e sculture. Il peristilio era il portico colonnato che cingeva il giardino o cortile interno posto al centro della casa. Attorno al peristilio vennero organizzati ampi locali arredati lussuosamente: oecus (ambiente usato anche per banchetti), il triclinium (dove gli ospiti potevano mangiare sdraiati sui letti tricliniari=triclinio); exedra (spazio aperto sul cortile che serviva da sala di ritrovo e di conversazione). Tali ambienti erano destinati al ricevimento di ospiti. Il tablinum (luogo in cui il padrone di casa trattava i suoi affari e riceveva i clientes) costituiva l’elemento di collegamento tra i settori della casa, aprendosi sia verso l’atrio che verso il peristilio. N.B: Le domus più prestigiose erano più ampie ed erano composte di due parti principali: la prima gravitava attorno all'atrio, la seconda attorno al peristylium, un giardino porticato su cui si affacciano altre stanze. Il termine villa definisce le abitazioni situate fuori dalle mura della città. Spesso erano di dimensioni maggiori rispetto alle domus urbane e venivano circondate da vasti appezzamenti di terreno. L’origine delle ville risale al periodo dell’ellenizzazione del ceto elevato romano. Acanto alle aree destinate all’utilizzo agricolo (pars rustica) vennero realizzate parti della villa che corrispondevano nella propria disposizione spaziale alle domus cittadine (pars urbana). Queste ville vennero utilizzate come luoghi di riposo e ozio e vennero allestite con portici, peristili, uccelliere per animali esotici, fontane, santuari, terme, biblioteche e ambienti arredati in modo lussuoso (pag.162). Le varie tipologie di ambienti sono tutte polifunzionali (vale per la casa greca e romana). Le stanze non erano vincolate a una sola funzione e le dimensioni, la forma, l’arredo e la posizione di un ambiente nella casa dipendevano dall’importanza delle attività che vi si svolgevano o dalle persone che le svolgevano: gli ambienti destinati agli schiavi erano scelti in base alla funzionalità e alla necessità di non essere a vista; gli ambienti di carattere pubblico (destinati all’accoglienza) erano situati in settori più accessibili dall’ingresso; gli ambienti di carattere privato si trovavano nella parte posteriore della casa. La casa ebbe, soprattutto in età ellenistica e romana, un ruolo importante per la vita sociale: le case dei nobili romani accoglievano molti visitatori e i ricevimenti costituivano eventi di rilevanza sociale e politica. 57 CAP. 15 TOPOGRAFIA STORICA ATENE: La città è situata al margine della pianura del fiume Cefiso, circondata dai monti. Al centro si erge l’acropoli, un’altura non elevata ma ripida, accessibile solo da ovest. La distanza dal mare è di circa 5 km. Età Micenea (XV-XIII sec. a.C.). La prima forma insediativa di tipo urbano risale all’età micenea ed ebbe il proprio centro in un importante palazzo di carattere regale sull’acropoli, nel sito del futuro Eretteo (tempio). La cinta muraria della cittadella venne realizzata con pietre poligonali nella tecnica detta “ciclopica” e fu chiamata “muro pelasgico” (il nome deriva dai Pelasgi, mitici avi degli abitanti di Atene). A nord-ovest, nell’area della successiva agorà, si sono ritrovate tombe (fra le quali sepolcri a camera di tipo principesco) che confermano l’elevato livello culturale di Atene in questo periodo. N.B: Le mura poligonali (dette ciclopiche o pelasgiche) sono mura innalzate tramite la posa di grandi massi (tipiche micenee). Età post-palaziale, “Dark ages” (XII-IX sec. a.C.). Con la fine della civiltà micenea il potere regale venne meno in tutta la Grecia (compresa Atene). Il palazzo fu abbandonato nel 1200 a.C., ma continuò ad esistere la figura del sovrano anche se con poteri limitati. Egli non risedette più nella cittadella (fortezza) ma tra i cittadini. In questa fase si hanno agglomerati abitativi di tipo sparso, privi di una struttura chiusa urbana. Nascita della polis ateniese (VIII- inizio VI sec. a.C.). La nascita della polis di Atene, sembra collocarsi nell’VIII e VII sec. a.C. Dopo la privazione dell’autorità del re il compito di guida politica venne ripartito: si istituì un sistema basato su 9 funzionari eletti annualmente (arconti). Il potere politico vero era concentrato nelle mani dell’aristocrazia e del consiglio, mentre l’assemblea popolare aveva poteri limitati. Dal VIII sec. a.C. Atene da un agglomerato di insediamenti sparsi venne a formare un unico centro urbano unitario; l’Acropoli fu destinata al culto degli Dei e divenne sede del santuario di Atena. Nel VII sec. a.C. lo Stato ateniese cadde in una crisi sociale, determinata dall’arricchimento dei proprietari terrieri a scapito dei piccoli agricoltori. Questa situazione venne risolta grazie alle riforme di Solone nel 593 a.C: dopo le riforme il ceto cittadino diede vita ad un ricco assetto dell’Acropoli con edifici e sculture (in specie le korai); questo processo fu portato avanti durante la successiva età dei Tiranni. Il centro urbano con le sedi dei funzionari si sviluppò all’inizio ad est dell’Acropoli ma, nel 600 a.C. ed in epoca successiva, nell’area nordoccidentale di Atene fu fondata una grande agorà, spostando così il fulcro della città. Al fine di creare uno spazio destinato allo svolgimento di affari pubblici, furono demoliti sepolcri e abitazioni. Il dominio dei Tiranni (561-510 a.C.). Pisistrato consolidò il suo potere tirannico ad Atene insieme ai suoi figli Ippia e Ipparco. Durante il dominio dei Tiranni venne iniziata l’erezione di un nuovo tempio dedicato a Zeus, il cosiddetto Olympieion, nell’area sud orientale della città (inaugurato sotto l’imperatore Adriano). Sotto i Pisistratidi (discendenti di Pisistrato) venne realizzato un complesso di approvvigionamento idrico: si trattò di una conduttura sotterranea che portava l’acqua in città. Fuori città sorsero diversi ginnasi destinati agli esercizi ginnici del ceto abbiente e il più famoso è l’Accademia. Il benessere economico di questo periodo è testimoniato dalle ricche strutture sepolcrali della necropoli del Ceramico. Epoca delle Democrazia I (508-404 a.C.). Grazie alle riforme di Clistene (cioè modifiche apportate da Clistene alle istituzioni della polis di Atene nel 508-507 a.C. che contribuirono a un avvicinamento della politica ateniese alla democrazia, consolidata da Pericle) ed alle vittorie contro i Persiani, si instaurarono presupposti nuovi per lo sviluppo urbanistico di Atene: da una parte lo sviluppo delle istituzioni democratiche e culturali; dall’altra la necessità di realizzare opere di ricostruzione, a seguito della distruzione della città da parte dei Persiani nel 480 a.C., ed infine la disponibilità di notevoli mezzi finanziari grazie alla supremazia esercitata da Atene a partire dal 478 a.C., nella lega navale attica. 60 L’età dei re etruschi (620-509 a.C.). nel VII sec. a.C. Roma era influenzata dalla cultura degli Etruschi. In base alla tradizione, gli ultimi tre re di Roma (Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo) erano etruschi: forse si trattava di condottieri che conquistarono Roma. In quest’epoca Roma manifesta una forte etruschizzazione culturale, documentata anche dalla transazione di singoli villaggi ad una struttura urbana complessa, articolata in base ai principi della pianificazione urbanistica etrusca e dotata di edifici pubblici. In questa fase fu portata a termine l’unificazione della “città delle 4 regioni” (Palatino, Quirinale, Esquilino, Celio, oltre al Campidoglio come sacro) e la costruzione di un’imponente cinta muraria. Un importante culto di Stato fu istituito sul Campidoglio attraverso la realizzazione del tempio di Giove Ottimo Massimo, Giunone Regina e Minerva (la “Triade Capitolina”): i lavori furono avviati da Tarquinio Prisco e terminati sotto Tarquinio Superbo. L’edificio aveva una forma etrusca: era un periptero sine postico, costruito su un podio. Un tempio simile, dedicato alla due della Fortuna fu realizzato presso il Foro Boario. Nel 600 a.C. si dà vita al primo foro nella valle a nord del Palatino: la storia del FORO ROMANO inizia con la bonifica dell'area paludosa grazie a un sistema di canali e con la successiva costruzione della “Cloaca maxima”, un sistema di drenaggio delle acque (condotte fognarie). Il Foro era sede del Volcanal (santuario dedicato a Vulcano), del comitium (area destinata all’assemblea popolare) e della curia (sede del Senato). Su entrambi i lati lunghi il Foro fu delimitato da file di tabernae (botteghe). N.B: Il Foro Romano è stato per secoli il centro politico e commerciale di Roma in quanto la piazza ospitava i principali edifici governativi. Secoli dopo, il Foro cominciò a diventare piccolo come centro di quella che era la capitale di un impero. Età della prima e media Repubblica (509-367; 367-201 a.C.). Dopo che i re di Roma furono destituiti nel 509 a.C., in città ebbe inizio il “dominio repubblicano” da parte del ceto aristocratico (i patrizi). Solo dopo le guerre civili del V e IV sec. a.C. le famiglie plebee emergenti ottennero l’uguaglianza politica, dando vita ad una nuova classe dirigente patrizio-plebea (la nobiltà) che ricopriva cariche politiche e controllava il Senato. Gli eventi legati all’inizio della Repubblica esercitarono un nuovo impulso sullo sviluppo urbanistico. Nel Foro Romano (pag.175) fu realizzato un tempio dedicato a Saturno, destinato alla custodia del tesoro di Stato, e furono costruiti templi dedicati alle divinità protettrici delle componenti sociali opposte nel corso delle guerre civili: il tempio dei Castori (protettori del ceto patrizio dei cavalieri) e un tempio dedicato a Cerere, Libero e Libera (divinità protettrici della classe plebea). Dopo questa fioritura iniziò un secolo di scarsa attività culturale a causa di 2 eventi bellici: 1) la sconfitta degli Etruschi contro Siracusa nella battaglia navale di Cuma (474 a.C.), che comportò un ristagno del commercio con il mondo greco; 2) l’invasione dei Galli in Italia (387 a.C.), che riuscirono a conquistare per un breve periodo Roma. Ciò nonostante il legame culturale con la Grecia non si spezzò. Nel IV sec. a.C. si assiste a Roma ad una ripresa. Grazie all’espansione militare in atto durante la media età repubblicana, si riprese a costruire (es: rinnovamento dell’area sacra di S. Omobono presso il Foro Boario). Anche il Foro Romano fu soggetto ad importanti trasformazioni: presso il comitium/Comizio (centro politico di Roma dove si svolgevano le assemblee dei cittadini, fu edificata la “Tribuna degli oratori”: essa era la tribuna dove i magistrati tenevano le orazioni e venne denominata “Rostra” dopo che fu ornata con i rostri delle navi (prue metalliche delle navi nemiche) catturate nella battaglia di Anzio del 338 a.C.; ciò ne fece il primo monumento politico dedicato alle vittorie di Roma. Inseguito le tabernae furono spostate in aree destinate al mercato. Di conseguenza il Foro rimase riservato allo svolgimento di atti politici, all’amministrazione della giustizia ed alle transazioni finanziarie; inoltre monumenti onorari dedicati a generali e uomini di Stato resero il Foro uno spazio politico. Infine alle accresciute esigenze della popolazione soggetta ad un incremento demografico, si rispose con la realizzazione di grandi acquedotti (Aqua Appia) e di grandi arterie di comunicazione (Via Appia), destinate agli spostamenti della truppe e alle attività commerciali. 61 Tarda Repubblica (201-31 a.C.). Con la sconfitta di Cartagine Roma divenne la maggiore potenza del Mediterraneo occidentale; la successiva sottomissione delle potenze ellenistiche in oriente contribuì a consolidare il potere politico di Roma ed a entrare in contatto con la cultura del mondo greco. Nel II-I sec. a.C. ci si avvia verso una forte ellenizzazione della città di Roma, attraverso una progressiva appropriazione della cultura, architettura, scultura, modus vivendi greco. Il Foro fu adeguato al nuovo ruolo di Roma come centro politico e commerciale. Nuovi importanti edifici furono le grandi basiliche come: la basilica Sempronia (ovvero la futura Basilica Iulia), la Emilia, la Porcia. Si trattava di grandi edifici destinati allo svolgimento di affari commerciali e all’amministrazione della giustizia. Un altro cambiamento fu l’edificazione di edifici templari, commissionati da generali vittoriosi e finanziati con il bottino di guerra=> i progetti architettonici e le statue di culto si ispiravano ai modelli e allo stile dei greci; le statue e i templi furono eseguiti in marmo greco; infine era prassi comune che gli architetti e gli scultori greci venissero a Roma al seguito dei generali romani. I potenti generali che, facendo leva sul potere che proveniva loro dagli eserciti, aspiravano ad una posizione maggiore, lasciarono traccia di sé anche attraverso la realizzazione di progetti edilizi e di monumenti. Ad es nel 55 a.C. Pompeo Magno fece costruire nel Campo Marzio il primo teatro in pietra di Roma: il teatro di Pompeo aveva non solo un’alta cavea coronata da un tempio dedicato a Venere Vincitrice, ma anche un esteso giardino circondato da portici; vi era anche una sala adibita alle assemblee dei Senatori, che vi si riunivano al cospetto di una statua di Pompeo (ai piedi della statua Giulio Cesare fu assassinato). Nel 51 a.C., come risposta al programma edilizio di Pompeo, Giulio Cesare utilizzò parte del bottino di guerra della Gallia per realizzare un nuovo Foro (Forum Iulium), al fine di decongestionare il vecchio Foro Romano. Al suo interno vi fa costruire un tempio di Venere Genitrice (pag.177), proponendola come propria antenata. Cesare assunse un atteggiamento irriverente nei confronti delle tradizioni di Roma: oltre a sovrapporre una nuova struttura al comitium e spostare la tribuna degli oratori, per realizzare il suo Foro fece demolire la curia del Senato per poi ricostruirla ex novo in un’altra posizione. N.B: I più antichi Rostra facevano parte del Comizio (piazza delle assemblee): i rostri repubblicani rimasero in uso finché non vennero demoliti per far spazio al Foro di Cesare. Dopo averli demoliti, Cesare fece ricostruire i Rostra in un'altra zona del Foro. Il Foro di Cesare fu il primo dei Fori Imperiali di Roma a essere realizzato con lo scopo di ampliare il Foro Romano, cioè per ampliare gli spazi del centro politico, amministrativo e religioso della città. Il foro venne terminato da Augusto. Ottaviano Augusto (31 a.C.- 14 d.C.). Dopo la vittoria nella battaglia di Azio contro Antonio e Cleopatra, il nipote e figlio adottivo di Giulio Cesare, cioè Ottaviano, assunse il potere supremo dello Stato: un potere che nel 27 a.C. fu ridefinito attraverso la costituzione del principato e l’introduzione dell’epiteto Augusto. Egli avviò un rinnovamento che coinvolse gli edifici e spazi pubblici di Roma: trasformò Roma da “città di pietra/mattoni in città di marmo”, grazie allo sfruttamento a partire dal I sec. a.C. delle cave di marmo a Luni (odierne cave di Carrara in Liguria). Inoltre Augusto fece restaurare 82 templi. Programma edilizio:  Augusto riformò la struttura amministrativa di Roma, suddividendo la città in 14 regioni e 265 vici (distretti); in ogni distretto fu istituito al principale incrocio stradale un luogo di culto dedicato ai Lari (divinità dei sentieri) e al Genius Augusti (il genius è uno spirito protettore dell’individuo; in epoca imperiale la personificazione dello spirito protettore dell’imperatore, il Genius Augusti, ebbe un culto pubblico). Ciò consentì ad Augusto di creare un forte vincolo con i ceti sociali inferiori). 62  Il Foro Romano (fig. 38) fu ristrutturato e venne costruito nel 29 a.C. per volere di Ottaviano il tempio dedicato al divo Cesare (divinizzato dopo la morte). Ai lati del tempio furono realizzati due archi onorari dedicati ad Augusto in occasione dei vari successi militari e politici. Nel 29 a.C. fu inaugurata la nuova sede del Senato, cioè la Curia Iulia: qui i senatori vi si riunivano dinnanzi ad una statua della dea Vittoria e proprio qui venne dedicato al principe un clipeo onorario d’oro (scudo) sul quale furono iscritte le 4 virtù politiche di Augusto: virtus, clementia, iustitia, pietas.  Il Foro di Augusto (inaugurato il 2 a.C.) era un nuovo impianto composto da piazzale e tempio (dedicato a Marte Ultore= vendicatore), circondati da portici, in base al modello del Foro di Cesare.  Grazie ad Augusto, primo imperatore, il Campo Marzio fu trasformato nel quartiere più moderno di Roma. Qui Augusto volle costruire il proprio mausoleo che doveva indicare ai Romani che egli, al contrario di Antonio, desiderava farsi seppellire a Roma. Per completare il programma edilizio il Senato e il Popolo Romano dedicarono ad Augusto l’altare alla dea Pace (Ara Pacis); il suo generale Agrippa fece erigere il Pantheon, il luogo di culto dedicato a tutti gli dei (compreso il Divo Giulio e Augusto). Infine il resto il Campo Marzio offriva strutture destinate al tempo libero come il Teatro Marcello, situato nella parte meridionale del Campo Marzio (detta Circo Flaminio), e le prime terme pubbliche.  La casa di Augusto sul Palatino non fu un vero ‘palazzo’, come si vedranno in epoche successive, ma rispondeva ad un’ideologia risalente all’età repubblicana, secondo la quale, mentre gli edifici pubblici potevano essere sfarzosi, i luoghi della vita privata non dovevano mostrare un lusso esagerato. L’importanza assunta dalla casa di Augusto deriva dalla sua posizione presso i principali luoghi di culto (come il tempio di Apollo) nonché di essere adiacente ai resti della presunta capanna di Romolo, il fondatore di Roma. Grazie a ciò la dimora conserva una aurea religiosa. L’età imperiale dopo Augusto. Dopo Cesare ed Augusto, anche altri imperatori fecero costruire grandi fori, i c.d. Fori Imperiali (pag.177), i quali rendono evidente la presenza di elementi tradizionali e innovativi posti gli uni accanto agli altri. Vespasiano ampliò gli spazi imperiali a nord del Foro Romano con il “tempio della pace”. Lo spazio tra il tempio della pace e il Foro di Augusto fu trasformato da Domiziano in un foro (Foro di Nerva o Foro Transitorio), con un tempio dedicato alla sua divinità protettrice Minerva. Nella parte nord dell’area dei Fori, Traiano realizzò il Foro di Traiano=> è il più esteso e monumentale dei fori imperiali e l’ultimo in ordine cronologico. Esso presenta la gigantesca Basilica Ulpia e la Colonna Traiana, dedicata dal Senato e dal Popolo Romano: essa è un monumento innalzato per celebrare la conquista della Dacia (Romania) da parte dell'imperatore Traiano (rievoca i momenti di quella espansione territoriale); nel basamento della colonna furono collocate le ceneri dell’imperatore e di sua moglie. Per quanto riguarda i templi realizzati ex novo in epoca imperiale, importanti furono quelli dedicati alla glorificazione di Roma, capitale dell’impero. Ad es Adriano realizzò il “Tempio di Venere e di Roma”, cioè un tempio doppio volto a creare un nuovo centro religioso in città. Egli fece ricostruire il Pantheon nella forma di un’aula rotonda coperta da una cupola ed accessibile attraverso un vestibolo con una facciata templare. Adriano realizzò anche il tempio Divus Hadrianus e il suo Mausoleo (=Mausoleo di Adriano): quest’ultimo fu poi trasformato in fortezza dai papi con il nome di Castel Sant’Angelo. N.B: Furono realizzati molti edifici di culto per gli imperatori divinizzati come il tempio Divus Hadrianus e la colonna onoraria di Marco Aurelio, costruita nel 181 d.C. per celebrare le vittorie dell’imperatore sulle popolazioni dei Marcomanni (la colonna è decorata con rilievi raffiguranti le guerre contro i Marcomanni). Elementi di esaltazione imperiale erano i grandi archi onorari, eretti lungo importanti vie di comunicazione: l’arco di Tito, l’arco di Settimio Severo, di Costantino. Resta emblematico per l’età imperiale l’ampliamento dei grandi impianti destinati alle necessità di svago della capitale: l’antico Circo Massimo, destinato alle corse di carri e ad altri giochi, fu ampliato; Vespasiano fece realizzare il Colosseo, il primo anfiteatro in pietra destinato allo svolgimento di giochi gladiatori ed alle venationes; numerose furono le terme (es. quelle di Traiano, Caracalla e Diocleziano). Il consolidamento del potere imperiale comportò la necessità di 65 Numerose modifiche effettuate sulla copia rispetto all’originale riguardano il soggetto dell’immagine, la forma artistica e l’esecuzione scultorea. Rielaborazione, variante, stile di bottega:  modifiche del motivo rappresentato da una scultura sono le “rielaborazioni”. L’intenzione non è quella di riprodurre l’originale ma, con l’aiuto del ben conosciuto originale, si voleva creare un’opera nuova.  modifiche formali dovute ad un nuovo gusto d’epoca sono denominate “varianti”.  Le specifiche modalità di lavorazione nell’ambito di una bottega provocano, talvolta inconsapevolmente, modifiche rispetto all’originale, in quanto esse si adeguano al gusto e ai metodi tecnologici della propria epoca= “stile di bottega”. Quindi il metodo adottato per valutare le copie, le rielaborazioni e le varianti nel loro rapporto con l’originale (spesso perduto) è quello del confronto ragionato fra copie (Kopienkritik). Tale metodo è destinato ad accertare le differenze tra le varie repliche, a stabilire le caratteristiche dei copisti e a collocare cronologicamente le stesse repliche nell’epoca della loro esecuzione. Su questa base diventa poi possibile definire, attraversò il confronto tra le repliche, i tratti di concordanza riconducibili all’originale. Gli scultori: nell’antichità non esistevano artisti autonomi che trasformavano le proprie idee in libere creazioni per poi metterle in vendita. La produzione artistica di sculture a grandi dimensioni era realizzata su commissione e destinata subito alla vendita, limitando la creatività dell’artista. Gli scultori famosi sono conosciuti in primo luogo grazie alle fonti letterarie, come le opere di Plinio e di Pausania. Esistono due modi per attribuire determinate opere a determinati scultori (=le attribuzioni): - stabilire un collegamento tra le opere di uno scultore menzionate nelle fonti scritte con le sculture conservatisi (nella maggior parte dei casi copie); - accostare le opere in base ad affinità stilistiche (attraverso il metodo dell’analisi stilistica) con altre opere attribuite (con maggiore o minore certezza) ad uno scultore. Visto che l’identificazione sicura delle sculture conservate con testimonianze riportate nelle fonti è un fatto raro, di conseguenza il metodo dell’attribuzione in base alle forme stilistiche è il più adottato dalla ricerca. In aggiunta va sottolineato che il carattere soggettivo delle attribuzioni ha concotto a risultati divergenti: ad es l’attribuzione di due opere allo stesso scultore in base allo stile si basa sul fatto che le forme stilistiche siano riconosciute così affini da poterne desumere l’identità dell’artista. Quindi avendo un ruolo decisivo il giudizio soggettivo dello studioso, in molti casi le attribuzioni possono risultare errate. N.B si riconduce l’inizio dell’arte greca alla fine dell’età micenea, cioè nel 1200 a.C., per inaugurare un percorso artistico che si snoda lungo 12 secoli di storia. Questi 1200 anni sono stati suddivisi in 4 periodi: Periodo geometrico (1200-700 a.C.), Periodo arcaico (700-480 a.C.), Periodo classico (480-323 a.C.) e Periodo ellenistico (323-30 a.C.). EPOCA GEOMETRICA E ARCAICA EPOCA GEOMETRICA dell’arte greca (900-700 a.C.)  tipica è la piccola scultura figurativa realizzata in terracotta ed in bronzo, trattandosi di doni votivi per santuari o oggetti per corredi funebri. Nel santuario di Olimpia sono state rinvenute statuette in terracotta caratterizzate da motivi ricorrenti: rappresentazioni di uomini, per lo più raffigurati con le braccia alzate (forse un gesto di preghiera), cui si aggiungono alcune rappresentazioni di animali come cavalli e bovini (pag. 189). Però solo lo studio delle statuette in bronzo permette di riconoscere la struttura formale in modo dettagliato: gli uomini sono rappresentati nudi e spesso caratterizzati come guerrieri per la presenza di un elmo sul capo o di una lancia inserita in un foro nella mano. Le figure sembrano il risultato di un assemblaggio delle singole parti (=schema additivo) e quest’ultime sono così rappresentate: il petto nella sua massima estensione ma senza volume; i glutei sono rappresentati nella loro plasticità estesa in profondità. Di conseguenza nella visione di profilo c’è una contrapposizione tra busto piatto e parte inferiore del corpo con volume plastico. 66 Tra le figure in bronzo di animali spiccano quelle dei cavalli=> il carattere dell’assemblaggio additivo di alcune parti è sottolineato dalla rappresentazione del tronco come un elemento filiforme di collegamento, privo di spessore. L’immagine dei cavalli (status symbol del ceto elevato) permette di osservare la distinzione stilistica tra i diversi centri artistici regionali di produzione. In molti casi i piccoli bronzi di età geometrica non erano sculture a sé stanti, ma servivan0 come decorazioni di utensili ed erano applicati soprattutto ai bordi laterali dei tripodi (sostegno a tre piedi spesso di bronzo, usato per sostenere un recipiente). Il tipico tripode in bronzo che in origine era un utensile utilizzato per i banchetti dell’aristocrazia, in età geometrica raggiunse dimensioni monumentali e divenne prezioso. EPOCA PROTO-ARCAICA (orientalizzante) L’influsso culturale proveniente dall’oriente verso la Grecia si riflette nel 700 a.C. nella ricezione di una nuova forma di calderone, di forma convessa (all’infuori) su supporto conico, che sostituì i tripodi di età geometrica. Questi calderoni furono decorati con protomi di grifone (pag.190), un animale mitologico con il corpo di un leone e la testa d’uccello, e con appliques raffiguranti uomini o donne alati. I modi di rappresentazione del corpo umano e degli animali subirono una trasformazione: non più un eterogeneo assemblamento di singole membra, ma la progressiva acquisizione di un loro rapporto coerente per la costruzione di un insieme più organico. Nel VII sec. a.C. in Grecia furono realizzati i primi esempi di scultura monumentale in pietra (i centri artistici principali furono dapprima Creta e le Cicladi). Questo periodo artistico è chiamato ‘dedalico’, prendendo il nome dal mitico scultore cretese Dedalo. La tendenza artistica verso formati maggiori e monumentali e la nascita di un’architettura templare monumentale, risponde al desiderio di nuove forme di rappresentanza di forze politiche e personalità dominanti. La base del nuovo sviluppo è la formazione delle polis e la nuova fioritura dell’economia e del commercio estero (gli artisti si riallacciavano all’arte figurativa dell’Egitto e dell’Oriente). EPOCA MEDIO-ARCAICA e TARDO-ARCAICA la scultura dell’epoca arcaica è caratterizzata da un numero ristretto di tipi figurativi standardizzati, che ebbero un’ampia diffusione e una lunga durata di vita. Kouros (plurale: kouroi) e Kore (Korai): la realizzazione dei “Kouroi”, cioè statue di giovani uomini nudi, seguì un tipo standardizzato (pag.192). Le caratteristiche di questo tipo statuario sono la posizione stante con la gamba sinistra avanzata; la staticità delle braccia pendenti con pugni chiusi e affiancate al corpo; la testa alta; la costruzione della figura simmetrica. Nei kouroi greci (che riprendono il motivo statuario delle sculture egiziane, le quali erano però addossate ad un pilastro), il peso poggia su entrambe le gambe, come se stesso in piedi grazie alle proprie forze. Su questa base, i kouroi hanno poi sviluppato trasformazioni stilistiche: il tipo statuario è rimasto costante, mentre la trattazione stilistica ha subito continue modifiche nel tempo (ci sono differenze anche a livello regionale, a secondo delle botteghe). Kouroi attici posti in sequenza cronologica: il “kouros di New York” (fig.43) del VI sec a.C. è caratterizzato da una stilizzazione ornamentale dei dettagli (capelli, muscoli); il “kouros di Anavyssos” del 530 a.C. (fig.44), da collegare ad una base su cui è inciso il nome del defunto Kroisos, è caratterizzato da una resa più dettagliata delle forme del corpo e da una maggiore tensione muscolare; il “kouros di Aristodikos” del 500 a.C. (fig.45) ha un modellato del corpo più organico e un maggior dinamismo delle braccia. Nel V sec. a.C. l’evoluzione del tipo del kouros ebbe termine. Intorno al 490 a.C. per la rappresentazione del corpo iniziava il suo sviluppo uno schema strutturale nuovo che, nell’abbandonare lo schema strutturale simmetrico, trasferiva il peso del corpo su una gamba sola (la “gamba portante”, contrapposta alla “gamba flessa”, per la ponderazione). Le statue di “korai”, cioè rappresentazioni di giovani donne, si distinguono per una gamma più ampia di variazioni. Le prime korai, realizzate nel VII sec. a.C. come la “Dama di Auxerre” (fig. 46), lasciano intuire nelle loro forme la struttura del blocco dal quale sono state estratte. La “statua funeraria di Phrasikleia” (550 a.C. fig. 48) è ha un viso più modellato e una capigliatura articolata in una trattazione perlinata. 67 La “kore di Antenore” (520 a.C., fig. 49) si contraddistingue per una maggiore attenzione e precisione al trattamento delle vesti e dei particolari (porta un indumento quasi trasparente, al di sopra del quale è posto un mantello con un abile gioco di pieghe) e per una maggiore armonia. Le differenze dall’ambiente artistico sono più evidenti nelle korai rispetto che nei kouroi. Soprattutto a Samo con la “kore di Cheramyes” (560 a.C. fig. 47) e negli altri centri della Grecia orientale, fu creato un tipo statuario con il corpo arrotondato, simile ad una colonna, e con un trattamento delicato e lineare delle pieghe delle vesti, che si distingue in modo marcato dalle coeve statue attiche. Riguardo la funzione e il significato dei kouroi e delle korai, spesso si tratta di statue votive offerte nei santuari: non raffiguravano i donatori, ma si trattava di rappresentanti della gioventù cittadina o potevano essere riferite, per mezzo di iscrizioni, a rappresentanti del più elevato ceto sociale. Un’altra funzione delle statue è funeraria: i kouroi (più raramente le korai) erano collocati sulle tombe. Quindi riguardo la scultura dell’età arcaica vediamo che: le sculture di grande formato erano collocate o nei santuari (svolgevano la funzione di immagini di culto e di statue votive) o su tombe (intese come immagini dei defunti). In generale le statue rappresentano gli ideali sociali dell’epoca: nel caso dei giovani uomini rappresentano la bellezza, la forza e l’agilità del corpo atletico nudo; nel caso delle fanciulle la grazia del movimento del corpo, del portamento e dell’eleganza. In entrambi i casi il “sorriso arcaico” è espressione della grazia. Altri tipi figurativi: statue equestri mostrano il cavallo come simbolo del ceto più ricco (in alcune poleis le classi sociali superiori erano chiamate cavalieri): il c.d. “Cavaliere Rampin” (ad Atene) fu la prima statua equestre della storia dell’arte (è una statua arcaica). Un tipo figurativo particolare è quello della figura in posizione recumbente (posizione semi seduta tipica degli antichi romani durante il pasto), che raffigura uomini durante il simposio (parte del banchetto greco e romano destinato alla degustazione dei vini), come espressione del modo di vivere del ceto nobile. Oltre alle statue funerarie a tutto tondo (=tecnica scultorea che consiste nello scolpire una figura tridimensionale isolata nello spazio e che non presenta alcun piano di fondo, e che possa essere vista da tutti i lati), la memoria dei defunti era attivata con rilievi funerari figurati: il tipo più importante è costituito da stele sottili, sormontate da sfingi o da palmette. Un es è il “Guerriero di Aristion”(=Aristione, 510 a.C., fig. 50): si tratta di una stele che raffigura un guerriero armato; l'opera si caratterizza per una lavorazione raffinata ed accurata in tutti i dettagli; l’opera è firmata da uno scultore di nome Aristocle. La categoria artistica dei monumenti funerari ha conosciuto uno sviluppo in epoca arcaica ad Atene (Attica). Scultura architettonica: insieme alla nascita della scultura di grande formato, nacque l’architettura templare monumentale, nella quale anche la scultura ebbe un ruolo. Infatti da un lato il tempio e i culti religiosi necessitavano di una statua di culto della divinità, mentre dall’altro lato le forme architettoniche offrirono molte opportunità alla decorazione scultorea (metope, fregi, frontoni e acroteri). Il più antico es di decorazione frontonale a rilievo è costituito dal “frontone del Tempio di Artemide a Corfù” (VI sec. a.C., fig. 51): al centro del frontone fu raffigurata la Gorgone (che doveva proteggere il tempio con il suo terrificante volto) affiancata da due pantere, mentre ai lati sono raffigurati episodi mitologici. Nella maggior parte dei casi non era possibile stabilire un nesso tematico tra le scene mitologiche. Si è perciò dedotto che, in epoca arcaica, i soggetti mitologici erano affiancati l’uno accanto all’altro senza alcuna aspirazione verso un ‘programma figurativo’ coerente (manca l’unità tematica e formale). Solo nella decorazione scultorea del “Tesoro degli Ateniesi a Delfi” (edificio costruito nel santuario di Delfi), le metope propongono da un punto di vista tematico un programma unitario che, nel rappresentare in 2 grandi cicli le fatiche dell’eroe attico Teseo e dell’eroe panellenico Eracle, li contrappone volutamente. Si tratta di un manifesto ideologico ‘patriottico’ che identifica la città Atene con il suo eroe. 70 Lo “Zeus del Capo Artemisio” (460 a.C.) è una statua originale in bronzo conservato ad Atene: la scultura, raffigurante Zeus nudo nell’atto di scagliare un fulmine, mostra le nuove capacità di rappresentazione del corpo in movimento, dove si accentua l’azione di scagliare il fulmine nel momento di massima tensione; la testa ha ciocche fluide; il peso del corpo è sulla gamba sx e con quella dx, invece, cerca di darsi la spinta. Nel V secolo a.C. si distinguono per la prima volta singoli scultori greci per il loro stile personale. Una serie di scultori dello Stile Severo è attestata solo da fonti scritte e non attraverso opere attribuibili con certezza. MIRONE è uno scultore collocabile nel momento del passaggio verso lo Stile Classico Maturo. La sua attività è documentata da due opere a lui attribuibili di cui si sono conservate copie: - “il Discobolo” (fig. 58, 450 a.C.): la statua originale in bronzo è oggi nota solo da copie marmoree romane. L’opera rappresenta un atleta vittorioso nel lancio del disco, raffigurato in una posizione di fragile equilibrio nel contrasto tra il braccio con disco sollevato indietro ed il movimento in avanti. L'atleta venne raffigurato nel momento in cui il suo corpo, dopo essersi rannicchiato per prendere slancio, sta per aprirsi e liberare la tensione imprimendo al lancio maggiore energia. - “Atena e Marsia” (450 a.C.): il gruppo scultoreo originale, in bronzo, era collocato sull'acropoli di Atene (è noto solo da copie marmoree romane). Esso rappresenta il mito di Atena e Marsia: la dea getta a terra il flauto, colpevole di deformare il viso del suonatore; Marsia si avvicina a passo furtivo per raccogliere lo strumento musicale. La scena è raffigurata mediante un drammatico movimento contrastante tra le due figure. STILE CLASSICO MATURO E STILE RICCO POLICLETO Il modo di rappresentare l’uomo del V sec a.C. è stato influenzato dall’ideale dell’atleta: si rendeva onore ai vincitori di agoni con la realizzazione di statue quando essi erano ancora in vita o dopo la loro morte. Modelli efficaci di tale ideale erano la statue di eroi mitici. Il modello esemplare di rappresentazione dell’immagine classica dell’atleta fu creato dallo scultore Policleto di Argo, il quale ottenne i suoi incarichi dal ceto elevato della città del Peloponneso. Egli realizzò molte statue per i vincitori degli agoni atletici ad Olimpia ed in altri santuari. - La sua opera più celebre è il “Doriforo” (“portatore di lancia”,fig. 59-61, 440 a.C.): la scultura, che in origine doveva essere di bronzo, ci è giunta tramite una copia marmorea romana. Essa è forse una rappresentazione dell’eroe Achille. Un confronto con l’Apollo dell’Omphalos (fig.54) permette di osservare come nel Doriforo il sistema della ponderazione raggiunga il suo livello più alto: il piede della gamba flessa è spostato all’indietro e appoggiato per terra solo con la punta; di conseguenza la posizione stante della figura acquisisce una certa instabilità, mentre gli spostamenti dell’anca sono accentuati. Il peso del corpo è sostenuto interamente dalla gamba dx portante, mentre la gamba sx flessa scarica tale peso. La ponderazione è ottenuta per opposti rilassamenti o adattamenti delle braccia, delle spalle, della testa e si traduce in una posa di equilibrio, capace di smorzare la tensione: la gamba dx è portante come il braccio sx che teneva la lancia, mentre la gamba sx è in riposo come il braccio dx. La posizione obliqua del bacino è compensata dalla posizione obliqua delle spalle. La testa, a conclusione dell’elegante oscillazione dinamica del corpo, è rivolta verso la gamba d’appoggio. Quindi forze contrapposto appaiono bilanciate da una tensione armonica. N.B: Chiasmo=> formula usata in scultura volta a risolvere il problema di equilibrio della figura eretta. Significa "disposizione a forma di χ” e indica la corrispondenza incrociata tra arti in riposo e in azione. - Un’opera anteriore di Policleto è il “Discoforo” (450 a.C., copia, l’interpretazione non è certa): la figura è stata attribuita a Policleto solo in base alle sue caratteristiche stilistiche. La gamba flessa della figura mostra il motivo del piede appoggiato sull’intera pianta (secondo lo Stile Severo); ciò indicherebbe che 71 si tratta di un’opera giovanile di Policleto, realizzata prima della rivoluzione formale nel sistema di ponderazione. - Un’opera posteriore attribuibile a Policleto è costituita dal “Diadoumenos” (=Diadumeno, fig.60, copia, 420 a.C.): giovane atleta che si cinge il capo con la benda del vincitore; anche se la costruzione corrisponde a quella del Doriforo, l’immagine appare più instabile, mentre le ciocche sono state rese in modo più ricco e voluminoso. - Il problema dell’attribuzione si ripropone nel caso dell’”Efebo Westmacott” (450 a.C., copia): la statua mostra un giovane atleta vincitore, che probabilmente era in procinto di porsi una corona sul capo. La testa, che è assai affine a quella del Doriforo, si volge verso il lato della gamba flessa Policleto scrisse un trattato nel 450 a.C. sulla propria arte, intitolato Kanon (‘Il canone’). I principi esposti sono stati applicati in una figura modello che viene identificata con il Doriforo. Il trattato è andato perduto e gli unici riferimenti disponibili per ricostruirne il contenuto sono citazioni conservate negli scritti di autori posteriori. Il trattato di Policleto parlava di un sistema di proporzioni del corpo umano su cui poi si basava l’armonia dell’opera: la sua finalità doveva essere la costruzione razionale di un’immagine ideale, che fosse un modello guida per i valori fisici ed etici. N.B: Il Canone di Policleto (“regola”) è un trattato perduto sulle proporzioni specifiche riguardanti l’anatomia umana. E’ il primo trattato che introduce importanti temi estetici: la bellezza e l’armonia del corpo umano. Grazie all’opera di Policleto l’arte greca ha raggiunto la massima espressione armonica, identificata poi con il termine “arte classica”. FIDIA (ed i suoi successori) Lo scultore più importante di Atene, nel periodo dello Stile Classico Maturo, è Fidia. Egli è stato l’esponente artistico di quella politica di espansione dell’Atene democratica che manifestò la sua egemonia politica e culturale attraverso monumenti architettonici e opere d’arte figurativa. Inoltre l’artista, entro la cerchia di consiglieri di Pericle, aveva una grande influenza; nonostante ciò Fidia venne esiliato a causa di un processo intentato contro di lui per l’appropriazione di denaro pubblico. I più importanti incarichi offerti a Fidia furono costituiti dalla realizzazione di immagini rappresentative di divinità, come statue di culto nei templi o come statue votive nei santuari, le quali rappresentavano i valori base politici e sociali della comunità e della polis di Atene. - Di Fidia era la statua colossale in bronzo dell’“Atena Promachos” (cioè “Atena che combatte in prima linea”), eretta sull’Acropoli di Atene. La statua, alta 9 m, è andata perduta. - Un monumento a carattere politico era la statua dell’“Atena Lemnia” (fig. 62, copia romana, 449 a.C.), la quale fu commissionata a Fidia dai colonizzatori ateniesi giunti sull’isola di Lemno, dalla quale la statua eredita il nome (è stata realizzata per la riuscita fondazione di una colonia militare nell’isola di Lemno). La statua era collocata in origine presso l’ingresso dell’Acropoli di Atene, all’interno dei Propilei. Atena in questa statua non è raffigurata come di convenzione con l’elmo indossato (simbolo della guerra); la dea è con il capo scoperto in quanto si è tolta l’elmo per mostrarsi ai suoi veneratori. - La statua di “Atena Parthenos” (“la vergine”), collocata nel Partenone, fu scolpita da Fidia nel 438 a.C. Era alta 12 m e consisteva in una struttura di legno con un rivestimento d’oro per le vesti e d’avorio per le parti nude. Della statua rimangono solo repliche in marmo di dimensione ridotta, come l’“Atena del Varvakeion” (fig.63). La statua di Atena era in piedi e vestita come una guerriera: indossava un elmo, una corazza ed era dotata di lancia e scudo. Sul braccio dx della dea, sostenuto da una colonnetta, si trovava la dea Nike che simboleggiava le vittorie conseguite; il sx reggeva una lancia e poggiava su uno scudo. Il lato esterno dello scudo era decorato con la raffigurazione della lotta tra gli Ateniesi e le Amazzoni, modello mitico per la reale guerra difensiva contro i Persiani. 72 - L’ultima opera a carattere monumentale di Fidia è stata la statua di “Zeus a Olimpia”, realizzata nel 436 a.C. in dimensioni colossali in oro ed avorio (scultura crisoelefantina=fatto d’oro e avorio) e situata nel Tempio di Zeus a Olimpia. Una descrizione di Pausania ci fornisce un’idea di come fosse raffigurato il dio: era seduto sul trono riccamente decorato, con la dea Nike nella mano. Oggi contribuiscono alla ricostruzione della statua alcune monete di epoca romana. Tra i numerosi scultori cui fu commissionata la realizzazione delle opere pubbliche più importanti ad Atene, c’è ALCAMENE egli è stato un allievo di Fidia che è diventato famoso per la realizzazione di statue di divinità, sia per i templi costruiti ex novo sia per santuari già esistenti.  Un originale giunto a noi e dedicato dallo stesso Alcamene sull’Acropoli è “il gruppo scultoreo di Procne e Iti” (fig. 65, 430 a.C.): Procne, figlia del re attico, per gelosia e per vendetta nei confronti del proprio consorte Tereo, re di Tracia, uccide il loro figlio Iti per poi darglielo in pasto. La rappresentazione che coglie il momento immediatamente antecedente all’uccisione, con il figlio che impaurito si stringe alle vesti della madre e con la madre che sembra riflettere, esprime una drammaticità psicologica carica di tensione. Alcamene dedicò l’opera come propria offerta votiva.  Ad Alcamene appartiene anche lo “Hermes Propylaios” (fig. 66, 450 a.C., copia), realizzato nella forma tradizionale di erma con la testa barbuta del dio. Questa statua esercitava la funzione di divinità protettrice dell’ingresso dell’Acropoli: Ermes è rappresentato come guardiano della porta, applicato su di un pilastro. L’opera combina elementi stilistici coevi nel volto e nella barba, mentre la corona stilizzata di ciocche sulla fronte sono realizzate in maniera arcaica. N.B: Per definire la cosciente rielaborazione di forme arcaiche si usa il termine “arcaismo”.  Per il tempio di Efeso, Alcamene realizzò le statue di Efesto e di Atena (copie).  Il c.d. “Ares Borghese” (430 a.C., copia romana) deriva probabilmente dall’originale da lui realizzato per il tempio di Ares nell’agorà di Atene. Il dio è rappresentato in un atteggiamento chiuso in se, con il capo chino.  Un’opera diversa rispetto alle altre è costituita dall’“Afrodite” appoggiata ad un pilastrino (fig.67, 420 a.C, copia): attraverso il motivo dell’appoggio è stata modellata la figura della dea dell’amore, in cui la sensualità delle forme è accentuata dalle vesti aderenti. La scultura sembra voler compensare le esperienze dolorose del presente politico attraverso gli ideali di un piacere di vivere sotto l’egida della dea dell’amore. Alcamene ha impiegato il dinamismo della figura in ponderazione allo scopo di accentuare gli elementi caratteriali e l’espressione delle sue statue. Pertanto, rispetto agli dei di Stato di Fidia coscienti di sè e rappresentativi, egli introduce verso un’epoca di esperienze di vita più personali ed ambivalenti. AGORACRITO anche lui allievo di Fidia, ha realizzato importanti statue di divinità. Il suo capolavoro fu la “statua di culto di Nemesi”, dea della vendetta (fig. 68, 430 a.C.): questa statua è stata realizzata per il tempio di Nemesi a Ramnunte (Attica). Dell’originale si sono conservati solo pochi frammenti; la figura della dea è vestita con un panneggio tipo ‘bagnato’. Forme evolute dello Stile Ricco mostra la “statua di Nike”(fig.69, originale), realizzata nel 425 a.C. dallo scultore PAIONIOS di Mende come monumento per la vittoria degli alleati di Atene, Messeni e Naupatti, in una campagna militare contro Sparta. La statua venne collocata ad Olimpia su un pilastro a sezione triangolare alto 9 m. Le vesti trasparenti ed aderenti del corpo, le pieghe del panneggio fluttuante con forte chiaroscuro dietro le gambe ed il mantello gonfiato alle sue spalle, sono elementi caratteristici di una resa scultorea virtuosa tipica dello Stile Ricco. 75 - Prassitele ha più volte realizzato statue di satiri; un’opera che appartiene alle sue prime opere giovanili è “Il satiro che versa da bere”, il quale è rappresentato nell’atto di versare il vino da una brocca sollevata in alto in una coppa. Forme caratteristiche del IV sec. a.C.: il corpo non è più articolato nei suoi elementi funzionali (gambe, ventre, petto), ma le singole parti del corpo si fondono con morbidi passaggi di piano a formare un’immagine d’insieme pervasa da una leggera oscillazione armonica. Viso, bocca e occhi sono ravvicinati in modo da ottenere una forma più arrotondata della testa. La figura è vista come un’”apparizione visuale”. - Queste caratteristiche sono evidenti nel “satiro che si appoggia ad un tronco d’albero” di Prassitele (fig. 76, 330 a.C., copia), il quale è colto in un atteggiamento elegante e disinvolto (ha un effetto sensuale). La superficie della scultura è stata trattata in modo diverso: la pelle del satiro appare liscia e morbida, al contrario del tronco dell’albero. - Prassitele cambiò anche il modo di rappresentare Apollo con la statua dell’“Apollo Sauroctono” (fig.77, copia): Apollo è rappresentato nell’atto di uccidere una lucertola. Il giovane dio si appoggia ad un tronco d’albero ed osserva la piccola vittima. - Un artista anonimo sotto l’influenza di Prassitele ha realizzato la statua dell’“Apollo Liceo” (fig.79, copia), la quale proviene dal ginnasio “Liceo” di Atene. Questa statua si presenta all’osservatore con un braccio rilassato posto sulla testa, nella bellezza del corpo giovanile nudo; il dio è inteso come protettore e modello dei giovani attici che si radunavano nel ginnasio. - Prassitele suscitò scalpore e raggiunse grande fama con la realizzazione della statua di “Afrodite” collocata nel santuario della dea a Cnido (fig. 78, 350-30 a.C. copia). Per la prima volta la dea appare nuda, accanto ad un contenitore d’acqua sul quale ha appoggiato le sue vesti. Il motivo corrisponde alla nuova concezione degli dei, intesi ora come protettori della personale sfera del vivere quotidiano e delle nuove concezioni di vita. Le copie romane non riescono a restituire il fascino sensuale della dea. Quindi nel IV sec. a.C. le statue sono concepite con un minore interesse per la costruzione relazionale del corpo come un insieme organico e con un risalto della sensualità. LEOCHARES (Leocare) Tra gli scultori che, grazie agli incarichi loro commissionati da Alessandro Magno e dai suoi successori (i Diadochi), sperimentano nuove forme figurative per la rappresentazione del sovrano, c’è l’ateniese Leochares. In base alle forme stilistiche, a Leochares è stato attribuito il famoso “Apollo del Belvedere” (fig. 80, 330 a.C., copia). Il dio appare come una figura giovanile, impostata secondo un movimento dinamico che si estende nello spazio (la sua immagine forse si ispira ad Alessandro Magno). L’originale della statua fu forse collocato nel Tempio di Apollo ricostruito ex novo nell’Agorà di Atene. Rilievi funerari: accanto alle opere d’arte realizzate per i santuari ed i luoghi a carattere politico, nel tardo V e nel IV sec. a.C., principalmente ad Atene ebbe ampia diffusione una ricca produzione artistica destinata alla raffigurazione dei cittadini, soprattutto stele funerarie con decorazione figurata. Le rappresentazioni dei defunti sono spesso completate da epigrammi funerari (es: “rilievo di Lysistrate”= fig.17 pag.138). Sculture architettoniche: Oltre ad Atene, dal IV secolo a.C. si sviluppò un importante centro religioso, il “santuario di Asclepio di Epidauro”, una città sede di un culto dedicato alla salute dei singoli individui. Per il tempio di Asclepio varie botteghe realizzarono sculture architettoniche. SKOPAS Tra tutti gli scultori del IV secolo a.C., Skopas di Paro si contraddistingue per un’attività artistica estesa su quasi tutta la Grecia. Solo poche delle sue molteplici opere sono riconoscibili con certezza, offrendoci un’idea dei suoi valori espressivi trai i quali vi sono l’eroismo di tipo atletico e la forza emozionale. Il prototipo dell’eroe atletico era costituito da Eracle, che nel IV sec fu apprezzato come 76 modello di affermazione individuale. Un’espressione caratteristica di questo nuovo ideale eroico è il c.d. “Eracle Lansdowne” (copia), il quale può essere ricondotto alla scuola di Skopas per le sue forme vigorose. L’ideale del cacciatore eroico costituisce il soggetto di una famosa rappresentazione di “Meleagro” (fig.81, copia), attribuibile dal punto di vista stilistico alla cerchia di Skopas o a lui stesso. Il corpo muscoloso e dinamico e la testa dallo sguardo intenso e dalla capigliatura scompigliata, entrambi girati in modo energico nello spazio, conferiscono alla scultura quel dinamismo tipico dell’epoca di Alessandro Magno. Anche i soggetti riguardanti Dionisio, Afrodite e la loro cerchia, di grande attualità nel IV sec. a.C., sono stati elaborati da Skopas secondo nuovi aspetti. Es: la “Menade danzante” (fig. 82, copia) è una statua di Skopas che rappresenta una delle menadi, le fanciulle seguaci del dio Dioniso di cui celebravano il culto con danze. Un’altra scultura di Skopas è “Pothos” (copia): Pothos, una divinità minore che rappresentava il desiderio amoroso, ha trovato un’espressione efficace nella figura di un efebo (giovane) dal corpo morbido e sensuale, con lo sguardo rivolto verso un lontano orizzonte. L’importanza delle dimensioni emozionali e psichiche delle azioni e delle esperienze umane, percepita in un modo nuovo nel IV sec., è stata trasformata da Skopas con estrosa energia in tema figurativo. I sovrani ed i loro scultori: Mausoleo di Alicarnasso: nella metà del IV sec. a.C. il satrapo del re di Persia, Mausolo di Caria (Asia Minore), culturalmente orientato verso la Grecia, incaricò 4 celebri scultori greci di realizzare la decorazione del suo gigantesco monumento sepolcrale (tra cui Skopas e Leochares). Oggi delle sculture e dei fregi si hanno solo frammenti. LISIPPO Come scultore alla corte dei sovrani macedoni era rinomato Lisippo di Sicione, che realizzò ritratti di Alessandro Magno fin dall’età giovanile. La sua arte dimostra come la rappresentazione dei nuovi sovrani potesse riallacciarsi agli ideali di eroismo agonale (diffusi in epoca classica). Egli seguì la tradizione delle botteghe del Peloponneso, che nella scia di Policleto avevano sviluppato la rappresentazione ideale dell’atleta con forme sempre nuove. Il capolavoro di Lisippo è “l’Apoxyómenos”, cioè “colui che si deterge” (fig. 83, 330 a.C., copia): esso rappresenta un atleta vittorioso che, dopo la gara, si deterge con lo strigile (strumento in metallo) dall’unguento e dalla polvere. Mentre la struttura del corpo muscoloso segue la tradizione policletea, è nuova la concezione strutturale nel suo complesso, dal momento che la costruzione non è più caratterizzata dalla contrapposizione tra membra che portano e membra che scaricano il peso del corpo, distribuito invece su entrambe le gambe attraverso un dinamismo elastico. A ciò corrisponde un originale sistema di proporzioni caratterizzato da un busto corto ed una testa piccola. L’effetto di agilità in tensione è sottolineato dal modellato del corpo, caratterizzato non dall’organizzazione in singole parti funzionali, ma dal gioco dei muscoli che risaltano in un comune movimento organico. Il volto si arrotonda; la capigliatura non è realizzata a strati ma le ciocche si sovrappongono. Quindi si ha: dinamismo e organicità elastica. Tale concezione risponde all’idea di Alessandro Magno circa la propria auto-rappresentazione. Rispetto ai ritratti dei sovrani precedenti con la barba, Alessandro propose un’immagine di sovrano nuova intesa come rappresentazione di un eroe giovanile: il “ritratto di Alessandro Magno” (fig.113, 330 a.C., copia) di Lisippo mostra il sovrano con i capelli lunghi; le ciocche dei capelli che corrono secondo movenze serpeggianti, sottolineano il movimento; ha uno sguardo intenso e fa un movimento della testa verso sinistra (= ciò crea un dinamismo che penetra lo spazio). Tra gli eroi mitologici venerati da Alessandro vi era Eracle: l’eroe greco incarnava virtù ed esperienze che il sovrano macedone riferiva a se stesso (forza del conquistatore del mondo e le fatiche connesse alle 77 vittorie). Il c.d. “Eracle Farnese” (copia, 320 a.C.) rappresenta la concezione tipica dell’eroe: la statua rappresenta Ercole, stanco al termine delle fatiche, che si riposa appoggiandosi alla clava, tenendo con la mano destra, dietro la schiena, i pomi d'oro dell’immortalità provenienti dal giardino delle Esperedi. L’eroe sembra riflettere in uno stato di profonda spossatezza, sulla fatica dell’impresa appena compiuta. Statua di “Eros che incorda l’arco” (fig.84, 330 a.C., copia): Eros è il dio dell’amore (in latino Cupido). La rappresentazione di un Eros che incorda l’arco dimostra elasticità e libertà nell’inserimento spaziale. Il sistema di proporzioni, caratterizzato da gambe lunghe, un busto corto e da una testa piccola, articolata in piccole ciocche serpeggianti, corrisponde ad altre opere di Lisippo. La resa di tensione e di movimento consentì a Lisippo di raggiungere nelle proprie opere un grande dinamismo: il nuovo realismo sarebbe diventato l’impulso per l’arte dell’Ellenismo. L’influenza delle composizioni lisippee è palese nell’“Afrodite di Capua” (fig.85, copia), che specchia il suo corpo seminudo nello scudo del suo amante Ares. ELLENISMO A partire dall’espansione della cultura greca come conseguenza delle campagne militari di Alessandro Magno, l’arte greca si trovo davanti a problemi nuovi. Da un lato l’area geografica della sua diffusione si era estesa, dall’altro l’ambiente sociale della cultura greca si era sfaldato: accanto alle antiche città greche (cateterizzate da un élite tradizionalista), subentrarono nuove città lontane dalla Grecia. Nelle nuove aree conquistate grazie ad Alessandro Magno, la cultura greca ivi trapiantata dovette confrontarsi con le tradizioni locali, molto eterogenee, delle maggiori città orientali. Il nuovo quadro globale ha comportato che l’arte figurativa perdesse quella sorta di omogeneità tipica dell’arte delle poleis di età arcaica e classica: singoli centri svilupparono funzioni, temi e stili personali. Questa situazione ha creato difficoltà alla ricerca archeologica e per questo la cronologia dell’arte ellenistica risulta meno certa rispetto ad altre epoche (in epoca ellenistica poche opere hanno una datazione certa). Centri dell’arte figurativa ellenistica:  Alessandria è descritta nelle fonti come centro culturale egemone. Sul suo sito, che finora non è stato scavato in modo esaustivo, si è sovrapposta la metropoli moderna.  Non sappiano quasi nulla sulla cultura artistica di Antiochia e dell’area del regno Seleucidico; lo stesso si può dire per la Macedonia degli Antigonidi.  Ricche sono le testimonianze rinvenute nel sito di Pergamo, molto scavato e cui non si è mai sovrapposto un insediamento moderno.  Conosciamo poi pochi altri centri artistici come Rodi, prosperosa grazie al suo ruolo di potenza commerciale, e Delo, divenuta porto franco e centro mercantile Questa realtà ha comportato un forte squilibrio nello studio dell’arte ellenistica, visto che si è dato a Pergamo un peso maggiore rispetto ad altre importanti città ellenistiche. Un’ulteriore difficoltà è costituita dal giudizio dei Romani sulla cultura dell’Ellenismo: l’arte figurativa ellenistica non fu molto apprezzata e, pertanto, non è stata descritta dagli scrittori latini. Rispetto agli ideali classici, le opere ellenistiche erano considerate troppo realistiche e patetiche; ne consegue che l’arte di questo periodo storico è attestata in misura minore dalle copie romane rispetto alle opere d’arte classica (solo alcuni satiri e ninfe dell’Ellenismo ci sono giunti riprodotti in copie romane, mentre molte opere ellenistiche sono andate perdute). Il giudizio antico di tipo classicistico sull’arte dell’Ellenismo ha condizionato anche il pensiero moderno: Wnckelmann considerava l’arte successiva a quella di Alessandro Magno un’epoca di decadenza; ma nel XIX sec alcune opere ellenistiche sono state meglio apprezzate propria a causa del loro realismo. Cronologia: L’unico schema cronologico ancora attuale della scultura ellenistica è stato elaborato da Krahmer, che ha distinto 3 fasi principali: Primo Ellenismo (300-230 a.C.), Medio Ellenismo (230-150 a.C.) e Tardo Ellenismo (150-30 a.C.). Si tratta di una suddivisione in epoche stilistiche determinate in base a criteri 80 Opera d’arte di questo genere erano collocate in santuari rurali (tra alberi, rocce e all’interno di grotte) ed offrivano agli abitanti un’immagine di felicità legata alla natura, contrapposta all’ambiente urbano. I MITI. L’esistenza in epoca ellenistica di gruppi scultorei di dimensioni monumentali attesta la nuova attualità dei miti panellenici (ciò era forse dovuto alla diffusione della cultura letteraria). I temi raffigurati sul GRANDE ALTARE DI PERGAMO (fig.93), realizzato sull’Acropoli della città di Pergamo in onore di Zeus nel 166 a.C., rappresentavano/veicolavano significati di carattere politico. Il monumento, fatto edificare per celebrare la vittoria sui Galati, era decorato con due fregi: - nel fregio monumentale che correva intorno al basamento è stata raffigurata la battaglia tra dei e giganti (=Gigantomachia), in riferimento alle vittorie di Pergamo contro i nemici del Regno, i Celti o Galati (fig.94). Gli dei sono distribuiti sui 4 lati dell’altare in base alla loro importanza (alle divinità di Pergamo fu attribuita un’importanza maggiore). Nel fregio della Gigantomachia ciò che colpisce è il caos creato dalle figure che occupano tutto lo spazio e che sono ravvicinate le une alle altre; ciò mette in evidenza la crudeltà dello scontro. Tra le scene c’è la rappresentazione di Zeus e Atena che lottano contro il gigante Porfirione, il quale è inginocchiato a terra e tenta invano di proteggersi. - nel fregio di dimensioni minori realizzato sulle pareti interne del porticato/cortile, era raffigurato il mito e le imprese dell’eroe locale Telefo (fig.95), figlio di Eracle e progenitore della stirpe degli Attalidi, signori di Pergamo. Il fregio è un es della “narrazione continua”, cioè una sequenza di scene non delimitate da cornici, in cui appaiono sempre gli stessi personaggi. In questo fregio le figure sono disposte su diversi piani e non occupano tutto lo spazio in modo fa conferire alle scene più tranquillità. Nei due miti rappresentati sul Grande Altare di Pergamo c’è da un lato l’integrazione della città nel cosmo panellenico e dall’altro la celebrazione dell’identità patriottica tramite tradizioni mitiche locali. In generale la rappresentazione di miti non doveva per forza veicolare messaggi politici; infatti durante l’Ellenismo ebbero importanza anche i significati etici dei miti. Il mito di Marsia è stato reso in età ellenistica attraverso una nuova versione più drammatica. Il “gruppo scultoreo di Marsia” (II sec. a.C., copia, fig. 96 a-b): Marsia, che aveva osato sfidare Apollo, è appeso ad un albero e per punizione sta per essere scuoiato vivo da uno schiavo scita (che sta affilando il coltello) per ordine del dio Apollo (esso non è presente nell’opera). La brutalità del carnefice ed il supplizio della vittima sono stati resi con realismo. Il gruppo scultoreo vuole simboleggiare il concetto della sofferenza subita dagli uomini, intesa come una condizione degli esseri umani in balia di poteri divini astratti ed invisibili. La situazione di vittime inermi contrassegna anche il gruppo scultoreo di “Niobe e i suoi figli”: i giovani cercano rifugio presso la madre ma crollano colpiti a morte delle frecce delle divinità vendicatrici Apollo ed Artemide (quest’ultimi restano invisibili). N.B: Secondo il mito greco Niobe aveva 14 figli, sette femmine e sette maschi. La donna era talmente orgogliosa della sua prole che osò ridere della dea Latona, che aveva solo due figli, le divinità Apollo e Artemide. Per punire la sua superbia, Latona mandò proprio i suoi due figli, incaricati di uccidere quelli di Niobe. “Il gruppo del Pasquino” (fig.97, II sec. a.C., copia) si basa su un soggetto desunto dalla guerra di Troia: rappresenterebbe Menelao con il corpo di Patroclo, ma più probabilmente si tratta di Aiace che regge il corpo morente di Achille, ucciso dalla freccia di Paride al tallone. Nell’opera emerge il contrasto tra l’anziano eroe che regge il corpo inerte e bellissimo del giovane Apollo. Una drammaticità fatale domina il “gruppo del Laocoonte” (fig.98, probabile copia marmorea eseguita tra il I sec a.C. e il I sec. d.C.): l’opera rappresenta la morte del sacerdote troiano, il quale aveva avvertito i suoi concittadini di non introdurre il cavallo ligneo in città; egli verrà ucciso assieme ai suoi figli da mostruosi 81 serpenti venuti dal mare. Nell’opera c’è un’enfatizzazione del realismo drammatico, espresso grazie ad una composizione concepita per essere vista da un solo lato (veduta unica)= elementi patetici dell’opera. Notevoli sono anche i gruppi scultore di Sperlonga ritrovati in una grotta naturale pertinente ad una villa romana: il corredo figurativo comprendeva anche rappresentazioni pertinenti all’Odissea. Uno dei temi qui raffigurati è l’episodio di Scilla che rapisce i compagni di Ulisse dalla poppa della nave; il racconto mitico rappresenta in modo drammatico il noto Leitmotiv di età ellenistica, dell’uomo in balia di un destino onnipotente e inevitabile. Un altro gruppo da Sperlonga raffigura “l’accecamento di Polifemo” per opera di Ulisse e dei suoi compagni (fig. 99, II sec. a.C. copia). Il soggetto del gruppo scultoreo rappresenta la capacità degli esseri umani di affrontare con le proprie forze un destino minaccioso. ESSERI UMANI. Nei luoghi pubblici e nei santuari delle città ellenistiche era collocato un cospicuo numero di statue in onore di uomini e donne benemeriti, di cui però ci sono pervenute solo le basi con le relative iscrizioni (ciò ci ha fornito informazioni sulla prassi di dedicare statue a membri importanti della comunità cittadina, a benefattori di altri paesi e a rappresentanti del nuovo poter egemone: Roma). Le statue pervenuteci mostrano come esse offrissero un’immagine standardizzata della comunità cittadina. Esempi sono la “sacerdotessa Nikeso” (fig.100), collocata davanti al santuario di Demetra a Priene; la “dama Cleopatra” (fig.101), cioè una cittadina di rango. Sono state ritrovate anche rappresentazioni di personaggi dei ceti sociali più bassi e di gruppi emarginati della società. Un es è la statua di una “Vecchia ebbra” (fig.102, II sec. a.C., copia), che rappresenta una donna che in passato doveva essere stata una dama, mentre ora è seduta per terra, abbraccia un recipiente contenente vino e balbetta ubriaca sotto l’effetto dell’alcool. Forse queste statue che rappresentavano ceti sociali bassi erano collocate in santuari simili a parchi, dove caratterizzavano l’ambiente creando un effetto comico e grottesco. Un altro mondo contrapposto era quello degli avversari “barbari” della cultura greca. Nel III sec. a.C. alcuni popoli celtici (detti Galati dai Greci e Galli dai Romani) invasero prima la Grecia e poi l’Asia Minore, dove si stabilirono nell’entroterra, costituendo così un pericolo per il regno di Pergamo. Pergamo sfruttò le proprie vittorie contro i Galati per l’autoaffermazione del proprio potere politico e per essere il baluardo difensore della cultura greca. Dopo la prima vittoria nel 240 a.C., Attalo I si proclamò re di Pergamo. Questi successi militari furono celebrati con la realizzazione di monumenti di grandi dimensioni come il “GRANDE DONARIO ATTALIDE”, del quale ci sono giunte copie. Esso era il monumento dell’antica Pergamo decorato da sculture in bronzo di Epigono (oggi ci è noto in parte grazie a copie marmoree dell’epoca romana). Il donario celebrava la vittoria di Attalo sulla tribù celtica dei Galati stanziata in Asia minore e vicina al Regno di Pergamo. A ricordo di quest’impresa venne fatto erigere, sull’Acropoli di Pergamo, un donario, che si ipotizza essere formato da una base cilindrica sulla quale si trovava un gruppo statuario rappresentante i Galati vinti. Sicuramente del gruppo facevano parte: il Galata suicida e il Galata morente. Si è preservato il gruppo scultoreo del “Galata che uccide se stesso e sua moglie” (fig.103): raffigura un principe gallo che, per non cadere nelle mani del nemico, dopo aver ucciso la moglie, sta per suicidarsi trafiggendosi con la spada. In generale vennero rappresentati nel monumento solo i Galati, mentre i Pergameni vincitori non erano stati inseriti nella composizione. Nelle immagini dei barbari vinti si doveva leggere il dramma della sconfitta e la disperazione, in una commistione caratterizzata da un grande pathos. Il “PICCOLO DONARIO ATTALIDE” fu un monumento di epoca posteriore fatto erigere da re Attalo II sull’Acropoli di Atene per celebrare di nuovo le vittorie contro i Galati. Il monumento, pervenutoci da copie romane, abbracciava temi a carattere mitico e storico: le vittorie degli dei contro i giganti (fig.204), degli Ateniesi contro le Amazzoni, dei Greci contro i Persiani e dei Pergameni contro i Galati. Anche in questo monumento vennero rappresentati solo gli avversari sconfitti e non i vincitori. Il monumento era costituito da 4 gruppi scultorei che rappresentano le guerre contro i Giganti, le Amazzoni, i Galati e i Persiani. 82 Ad Atene il soggetto di questo monumento costituiva idealmente la prosecuzione del programma figurativo del Partenone. La raffigurazione di due grandi lotte mitiche di dei ed eroi greci contro la minaccia barbarica poneva in ideale continuità le storiche guerre contro i Persiani e le recenti vittorie di Pergamo. EPOCA REPUBBLICANA ED IMPERIALE Nel II sec. a.C. l’arte figurativa greca subì una svota che sarebbe stata determinante per l’intero impero romano. Si affermò la tendenza a rifarsi ai concetti e alle conquiste importanti del passato, aggiornandoli al fine di adeguarli alle condizioni del presente. Tale coinvolgimento nelle tradizioni classiche caratterizzò lo stile di vita personale del ceto elevato. Però a partire dal II sec. a.C., a causa del progressivo imporsi di potenze e gruppi stranieri, la cultura greca si rinchiuse in posizione difensiva e in seguito si cominciò ad avere un atteggiamento retrospettivo nei confronti dei valori del passato. Successivamente i Romani, che avevano integrato i paesi ellenici nel loro impero, si appropriarono della cultura greca ormai orientata in modo retrospettivo. Per quanto riguarda l’arte figurativa, si è tratta di un’appropriazione in senso materiale, dal momento che i Romani acquisirono come bottino di guerra una cospicua quantità di opere d’arte dalle città conquistate e dai santuari dell’Oriente greco, trasferendole in Italia ed a Roma, dove furono collocate in parte in spazi pubblici, in templi, e in parte utilizzate per la decorazione di case private. Inoltre i generali vittoriosi condussero con sé scultori e pittori provenienti dal Mediterraneo orientale, ai quali fu dato il compito di abbellire templi ed edifici pubblici con opere di stile greco. Gli artisti furono anche incaricati di decorare ville private del ceto elevato romano. Questi artisti, nell’introdurre a Roma i concetti formali greci e le loro tecniche, vi fondarono anche botteghe che favoriranno la diffusione delle forme stilistiche greche in Italia. N.B: Il linguaggio formale creato nel II e nel I sec a.C. in Grecia, recepito in maniera massiccia da Roma e evolutosi poi durante l’epoca imperiale, non è stato esaminato a fondo poiché l’interesse della ricerca si è rivolto a quei generi tipicamente romani come i ritratti, i rilievi storici e i sarcofagi decorati a rilievo. Temi e forme Un primo protagonista delle forme stilistiche di stampo classicistico è stato lo scultore greco DAMOFONTE di Messene, attivo nel Peloponneso nel II sec. a.C. Emblematica fu la commissione allo scultore del restauro della statua dello Zeus di Olimpia, considerata l’espressione più alta della concezione greca del divino. In quest’epoca molte città fecero costruire nuovi templi dedicati alle loro divinità e commissionarono a Damofonte la realizzazione di statue di culto, nelle quali emerge la loro classicistica serenità grazie all’utilizzo di linee arrotondate e occhi grandi distanti tra loro. Con la realizzazione di queste statue, le città greche cercarono di mantenere la loro identità religiosa e politica di fronte alla minaccia romana. In riferimento a queste tendenze artistiche a carattere retrospettivo, gli scultori iniziarono a realizzare copie di capolavori dell’età classica per la decorazione di edifici pubblici e privati (il gusto artistico si rifà a modelli e soggetti classici). Infatti la statua di “Diadoumenos di Delo” (=Diadumeno, fig.30 pag.203) ne costituisce un esempio precoce del II sec. a.C: la statua riproduce la celebre opera di Policleto ed è statua realizzata per la decorazione di un’abitazione signorile. Tra gli scultori greci giunti a Roma con i generali vittoriosi, a cui furono assegnate importanti commissioni, spicca l’artista ateniese TIMARCHIDES con la sua bottega. La statua di culto monumentale di “Apollo” (fig. 105, 179 a.C.), da lui realizzata per il tempio di Apollo Medico a Roma, rappresenta il dio in un atteggiamento ispirato al celebre Apollo Liceo del IV sec. a.C. (fig. 79). Così, con una statua realizzata su un modello di età classica, la cultura greca ebbe una sua immagine rappresentativa a Roma. 85 numero limitato di “teste modello” destinate a rappresentare le diverse categorie come giovani, adulti o anziani (oggi è difficile stabilire fin dove si tenesse conto delle fattezze del defunto). - il “ritratto di Omero” e il “ritratto di Esiodo”, realizzati in epoca classica ed ellenistica, diversi secoli dopo la loro morte, rappresentano i poeti con fattezze di carattere più o meno individuale (figg.118- 120, pag.254). Si tratta di un ritratto di ricostruzione che non è basato sulla conoscenza dell’effettiva fisionomia dei soggetti raffigurati. La rappresentazione individuale simula una fisionomia al fine di affermare che i poeti si distinguono dagli altri esseri umani attraverso le loro caratteristiche personali. Ritratto tipizzante (tipizzazione) e ritratto individuale (individualizzazione). I confini tra la rappresentazione tipizzante e quella individuale sono sottili e tra questi due estremi possono esserci stadi intermedi. Inoltre la rappresentazione dell’atteggiamento, dell’abbigliamento e del portamento mirava ad esprimere il ruolo pubblico e l’importanza del personaggio raffigurato. La rappresentazione tipizzante e quella individualizzante furono in uso non l’una dopo l’altra, nel senso di una ‘evoluzione’ lineare, ma in contesti storici e per generi artistici diversi (talvolta una accanto all’altra in una stessa opera d’arte) e ciascuna con i propri significati specifici. Dagli esordi dell’arte figurativa greca la rappresentazione tipizzante costituì il fondamento di ogni creazione artistica: l’epoca geometrica e arcaica spiccano per l’assenza di tratti individuali. Dopo la realizzazione dei primi ritratti di carattere individuale nel V e nel IV sec. a.C. prevalse una forma di rappresentazione tipizzante. Spesso, nel caso di ritratti realizzati in epoche posteriori, una rappresentazione non-individuale si definisce idealizzazione=> evoca l’immagine di un qualcosa che sia più bello del reale. Di solito le rappresentazioni tipizzanti si addicevano a contesti entro i quali la singola persona svolgeva un ruolo di rappresentante di norme e modelli comportamentali di carattere collettivo (es: l’atleta, il defunto, il cittadino della polis, il giovane, l’anziano). La rappresentazione di carattere individuale dell’essere umano si distaccò solo a mano a mano da quella dei tipi collettivi. Forse la rappresentazione individuale è stata ideata nel V e IV sec. a.C. in funzione della nuova categoria di statue onorarie pubbliche: infatti la realizzazione di ritratti destinati a celebrare meriti di carattere pubblico comportò la necessità di esprimere le particolarità della persona anche attraverso la sua fisionomia individuale (eppure ci sono state statue che si attennero a tipi collettivi). Le statue onorarie pubbliche realizzate a Roma e nell’Impero esibirono fattezze individuali; inoltre visto il carattere pubblico distintivo dei monumenti funerari romani, anche per la decorazione di edifici sepolcrali si fecero ritratti individuali. Comunque l’atto di erigere una statua onoraria rappresentava un grande riconoscimento. In generale la rappresentazione individuale, nel senso di un “ritratto realistico” fu intesa come un’operazione tesa a mettere in risalto un individuo rispetto ad un contesto collettivo. Messaggio e interpretazione. Per molto tempo i ritratti antichi sono stati considerati riproduzioni realistiche della fisionomia degli individui rappresentati. I ritratti servivano a trasmettere un messaggio e a visualizzare l’importanza dell’individuo raffigurato; per questo i ritratti non sono solo un oggetto di iconografia (=definizione dell’immagine) ma anche dell’iconologia (=interpretazione dell’idea veicolata dall’immagine). Comunque i limiti delle possibili interpretazioni devono essere determinati dalle funzioni del ritratto. Tutti i ritratti antichi furono collocati in luoghi pubblici e misero in risalo il prestigio, le azioni e la posizione nella vita pubblica dell’individuo rappresentato; quindi rispetto al ritratto moderno, il ritratto antico non volle mai fornire una descrizione psicologica dell’individuo. Es: il “ritratto di Pompeo” (fig.127) con un naso non certo signorile, gli occhi piccoli e la fronte piatta, potrebbe farci pensare alla sua mediocrità politica; il “ritratto di Cesare” con la fronte alta e convessa, il volto delicato e nobile e la distanza pronunciata tra occhi e bocca sono stati interpretati come espressione della superiorità della persona. Tali interpretazioni corrispondono spesso ad un’“impressione spontanea” e si basano su concetti e giudizi moderni; inoltre la funzione pubblica e celebrativa tipica di tutti i ritratti romani esclude a priori un’intenzione di tipo critico così come ipotizzato per il ritratto di Pompeo. 86 Il “ritratto di Alessandro Mango” (fig.113): Alessandro fu rappresentato come un adolescente senza barba, distaccandosi dall’immagine del sovrano paterno e barbato in vigore. Il suo ritratto, che adotta un ideale di bellezza giovanile, presenta lunghi capelli. Le ciocche rivolte verso l’alto sopra la fonte (anastolé), rappresentano il coraggio leonino, mentre lo sguardo, attraverso la torsione del capo, si rivolge dinamicamente in lontananza. Alessandro appare come giovane, eroico e vigoroso, cioè come il conquistatore del mondo. Il “filosofo Zenone” (fig.124) ha invece una lunga barba che lo distingue dall’ideale cittadino della polis; la fronte corrugata trasmette la serietà della concentrazione filosofica. = Entrambi i ritratti esprimono nelle loro sembianze un’identità di carattere programmatico mediante motivi costruiti ed impiegati con un’intenzione precisa come: determinati tipi di capigliatura e barba, di portamento, di gesti e di mimica (atteggiamenti del corpo), cioè il loro “habitus”(=aspetto, immagine, caratteristiche). Tali “caratteristiche variabili” costruiscono un linguaggio dei segni. Bisogna però considerare che i segni di questo habitus non hanno un significato valido allo stesso modo per tutte le epoche e civiltà: i lunghi capelli possono non solo rappresentare un eroismo, ma anche la giovinezza o l’effeminatezza; la fronte corrugata non esprimere solo concentrazione intellettuale, ma può indicare anche uno stato di preoccupazione o un dolore. Per comprendere quale sia il significato fra i tanti ipotizzabili, è necessario analizzare il linguaggio semiotico (dei segni) ed i valori ideali delle civiltà. A tal scopo si può ricorrere da un lato al confronto con altre opere d’arte e dall’altro all’analisi delle testimonianze scritte. N.B: i ‘ritratti antichi’ rappresentano ruoli, modelli comportamentali ed ideali riconosciuti nell’ambito della vita pubblica e si differenziano in base al contesto e all’epoca di appartenenza. RITRATTI GRECI La nascita della statua onoraria greca risale al V sec. a.C. , cioè all’epoca dello Stile Severo. Presto si eressero statue di generali, poeti e filosofi e grazie alle possibilità offerte dal linguaggio formale di stampo realistico dello Stile Severo, nell’arte figurativa poté introdursi la caratterizzazione individuale della fisionomia. Ritratti di Uomini di Stato essi erano un tipo di monumento onorario che trovarono una collocazione nell’agorà e di rado nei santuari. Il “gruppo dei Tirannicidi” (pag.200) ad Atene costituì uno dei primi ritratti onorari destinati a celebrare uomini politici, i quali furono realizzati senza fattezze individuali in quanto erano destinati a personificare i prototipi del cittadino adulto e del giovane efebo. Il “ritratto di Temistocle” (fig.111, copia), comandante supremo a Salamina nel 480 a.C., è caratterizzato da un’individualità innovativa, espressa in una testa ampia di forma sferica, con la parte inferiore della fronte convessa e con occhi piccoli. Egli è descritto come un uomo di Stato che modificò le norme tradizionali a misura della propria persona. Temistocle diede avvio al processo di rappresentazione individuale, sebbene non è dimostrabile che quella riprodotta fosse la fisionomia reale (però egli fu rappresentato con una fisionomia propria distinta dalla tipologia stereotipata). Il ritratto di Temistocle però non inaugurò una tendenza generale in direzione del tipo del ritratto individuale, poiché il “ritratto di Pericle” (fig.112, copia), innalzato sull’acropoli di Atene dopo la sua morte nel 429 a.C. (successivo a quello di Temistocle), appare di nuovo tipizzato. L’elmo lo caratterizza come stratega: Pericle interpretò il proprio ruolo di uomo di Stato rispettando le norme tradizionali; la rappresentazione impersonale divenne così l’espressione di tali concezioni e, ad Atene, lo stesso habitus rimase vincolante anche in seguito per la realizzazione di ritratti di uomini di Stato. Ritratti di Sovrani e cittadini dell’epoca Ellenistica Nelle nuove monarchie si svilupparono forme innovative di rappresentazione del carisma del sovrano. - In epoca ellenistica i numerosi “ritratti di Alessandro Magno” (fig.113, 330 a.C.) esprimono un’immagine ideale del sovrano, distinta da quella di epoca classica: con i lunghi capelli, l’anastolé 87 sollevata in alto, il viso senza barba e la torsione del capo rivolto in lontananza, Alessandro incarna un giovane ideale e appare come un conquistatore. Forse vari artisti realizzarono versioni differenti dei suoi ritratti, ma si dice che egli avrebbe considerato alla sua altezza solo i ritratti si Lisippo. - I c.d. Diadochi, i successori di Alessandro nelle singole parti del suo regno dopo la suddivisione, modificarono questa immagine del sovrano ideale. Tolomeo I e “Seleuco I” (fig.114, copia) sono rappresentati senza barba, di età più avanzata e con una fisionomia di tipo realistico ed individuale. Questa concezione conteneva un messaggio: i regni di nuova fondazione non erano più governati da un conquistatore del mondo, bensì da un sovrano che dei propri sudditi si occupava attraverso una presenza ed aiuti concreti. I fondatori dei regni come Tolomeo I e Seleuco I si effigiarono come uomini di Stato dotati di una mimica ricca di dinamismo e di uno sguardo intenso. - Le élite delle città ellenistiche svilupparono una prassi variegata della rappresentazione pubblica, manifestatasi in statue onorarie (innalzate in luoghi pubblici) e votive (destinate nei santuari): gli uomini investiti di cariche pubbliche esibivano un habitus di rappresentanza standardizzato; le donne, incaricate di funzioni sacerdotali, apparivano in vesti preziose dal drappeggio elaborato (fig. 100-101). Ritratti di PoetiIl grande rilievo attribuito all’arte poetica nelle feste di carattere religioso determinò la prassi di dedicare ai poeti statue-ritratto pubbliche. - il “ritratto di Pindaro” (fig. 115, copia): Pindaro era diventato celebre presso le corti principesche e le famiglie aristocratiche come autore di odi dedicate ai vincitori degli agoni panellenici. Nel ritratto la resa della barba formante un nodo potrebbe riferissi al raffinato stile di vita dell’aristocrazia; con la mimica contratta e la torsione del capo si volle esprimere l’ethos (comportamento, abitudini di vita). - Negli anni ’30 del IV secolo a.C. si eressero nel teatro di Dionisio ad Atene le statue-ritratto tipizzate dei tre grandi tragediografi del V secolo a.C., Eschilo, Sofocle ed Euripide, su iniziativa di Licurgo, intenzionato a celebrare i fasti di Atene mediante il richiamo alle grandi prestazioni culturali dell’età classica. Tutti e tre i ritratti sono posteriori alla morte dei soggetti rappresentati e dunque ignorano la loro fisionomia reale (la rappresentazione dei poeti coniugò tipizzazione ed individualità). Il “ritratto di Sofocle” (fig.116, copia) si è conservato con l’intera statua: la testa, caratterizzata da un atteggiamento sicuro di sé, tipico di un uomo che aveva rivestito un ruolo politico, segue la tipologia standardizzata delle statue dei cittadini attici. - “Menandro” (fig.117, copia): il poeta ricevette una statua nel teatro di Dionisio ad Atene ma, contrariamente alle rappresentazioni dei tre suddetti tragediografi, la raffigurazione di Menandro risale a un momento in cui le fattezze del poeta erano ancora ben note. Appare come un uomo senza barba, in base alla moda di stampo ellenistico introdotta da Alessandro Magno, con un’acconciatura elegante e indumenti dal drappeggio raffinato. Accanto ai poeti più recenti della polis si celebrarono anche gli importanti archegeti della lirica greca, come Omero e Esiodo (ritratti immaginari). - il “ritratto di Omero” ci è giunto in due ritratti importanti: 1)al 450 a.C. è riferibile un ritratto di Omero (fig.118) caratterizzato da una capigliatura elegantemente annodata: la fronte solcata da rughe e le guance scavate esprimono la saggezza degli anziani; gli occhi chiusi alludono alla cecità, che consentì al poeta di guardare indietro sino all’epoca degli eroi. 2) una seconda versione più recente del ritratto di Omero, pervasa dallo stile realistico del tardo Ellenismo (fig.119, copia, II sec. a.C.), instaura una contrapposizione tra l’apparente decadenza della pelle e la forza visionaria delle immaginazioni della mente del poeta. - Diverso è il “ritratto di Esiodo” (fig.120, copia, II sec. a.C.) dell’alto Ellenismo: il ritratto si distingue per un forte realismo e riproduce un uomo vecchio e rude, con capelli arruffati e barba incolta. 90 I tipi di ritratto di Augusto. I ritratti dell’imperatore Augusto permettono di riconoscere l’elaborazione di tipi costanti del ritratto e la diffusione di molteplici varianti di essi. I più di 250 ritratti di Augusto conservatisi si possono attribuire a 3 tipi. Il criterio migliore di attribuzione ad un tipo è basato sull’osservazione della disposizione delle ciocche di capelli al di sopra della fronte (=”calcolo delle ciocche”). I ritratti di Augusto: 1- Il ‘tipo Ottaviano’: una sua replica è a Firenze e si chiama “ritratto di Ottaviano” (fig. 128). Il tipo Ottaviano è caratterizzato da una capigliatura che presenta 3 ciocche oblique in mezzo alla fronte formanti con i ciuffi una tenaglia a dx e una forchetta a sx. Le fattezze del volto appaiono giovanili e animate e gli elementi della testa tondeggianti. Il prototipo del tipo Ottaviano è stato creato intorno al 40 a.C. Questa prima rappresentazione mostra il giovane Ottaviano all’inizio della propria carriera politica come un condottiero dall’atteggiamento energico e trionfante, sulla scia dei dinasti ellenistici. 2- Il ‘tipo di Prima Porta’ è il tipo principale: una replica di questo tipo è la “statua loricata di Prima Porta” (fig. 129). Questo tipo è caratterizzato da un’unica ciocca arcuata posta in mezzo alla fronte, che forma con le ciocche attigue una tenaglia ed una forchetta. Il viso è più ampio e la mimica appare meno animata, mentre la fronte e le guance formano convessità più pronunciate; le sopracciglia e la bocca mostrano una modellatura spigolosa. Tale tipo di rappresentazione richiama forme stilistica della classicità greca in particolare quelle del Doriforo. Questo nuovo tipo venne elaborato dopo la vittoria di Azio nel 31 a.C., forse in occasione dell’istituzione del principato e del conferimento del titolo di Augusto nel 27 a.C. Dal ritratto trapela una concezione nuova dell’imperatore destinata a restare in uso anche sotto i suoi successori per quasi un secolo: Augusto appare in una solennità sospesa dai canoni temporali, per cui questo tipo iconografico fu utilizzato, immutato, fino alla sua morte. Le forme classiche ispirate a Policleto emanano dignità (gravitas) e inviolabilità (sanctitas), cioè tratti che l’imperatore ostentò pubblicamente. 3- Il ‘tipo Forbes’ ha la caratteristica di avere ciocche che, schiacciate sulla fronte dall’angolo sinistro verso quello destro, si ripiegano lievemente verso il basso; le fattezze del volto appaiono più sottili e lievemente animate. La datazione della realizzazione del prototipo è discussa, forse 20-17 a.C. I tratti dolci di questo tipo di ritratto dovevano conformarsi all’espressione dell’ideologia della pace. I 3 tipi del ritratto di Augusto, creati in momenti diversi, permettono di riconoscere i cambiamenti ideologici della concezione del potere imperiale. Essi tuttavia non si succedettero in senso diacronico (cioè l’avvento di un nuovo tipo avrebbe soppiantato i precedenti), ma coesistettero fino alla morte di Augusto e oltre, fino alla conclusione della dinastia giulio-claudia. Copie e varianti: Nessuna copia è perfettamente identica al modello, dal momento che anche quando s’intenda riprodurre un oggetto, emergono involontariamente delle differenze legate sia all’habitus stilistico che ai mezzi ed alle capacità artigianali degli scultori che seguono la copia. Divergenze intenzionali scaturivano da cambiamenti del formato, del materiale utilizzato e della funzione del ritratto. Talvolta i tipi servivano come riferimento per creazioni nuove dell’imperatore: ad esempio il “ritratto di Augusto proveniente da Pergamo” (fig. 131), attribuibile al tipo di Prima Porte in base allo schema delle ciocche. Tipi statuari ed attributi. Abbigliamento dei ritratti imperiali=> solo di rado l’imperatore si rappresenta con una semplice toga, simbolo del cittadino romano; più spesso appare con la toga ed il capo coperto: si tratta dell’habitus rituale tipico del sacrificio, che mostra l’imperatore nelle sue funzioni sacerdotali (es: vesti di Pontefice massimo) e come modello di pietas (=adempimento degli obblighi religiosi). Altre volte, come nel caso della “statua di Prima Porta” (fig.129), Augusto ha un mantello militare con una lorica decorata a rilievo (=corazza), secondo l’ideale della virtus (coraggio) militare. A questi tipi caratterizzati da un abbigliamento realistico si affiancano, poi, tipi ideali, caratterizzati dalla presenza di attributi divini (es: il corpo nudo rappresenta un’esaltazione della virtù virile; la rappresentazione del fulmine e dello scettro di Giove, o dello scettro e il globo, non implicano una 91 divinizzazione dell’imperatore, ma simboleggiano che l’imperatore regnava sulla terra con una pienezza di potere paragonabile a quella di Giove nel cosmo) in grado di richiamare modelli greci. Tra gli altri attributi caratteristici dei ritratti imperiali c’è la corona civica, fatta di foglie di quercia: anche se in origine spettava a chi avesse salvato la vita a un cittadino romano, inseguito venne attribuita agli uomini posti alla guida dello Stato, visti come salvatori dei cittadini e della patria. Il conferimento della corona civica ad Augusto all’inizio del principato, nel 27 a.C., ne fece una decorazione quasi esclusiva degli imperatori. I ritratti degli imperatori. Nel corso dei secoli il ritratto ufficiale degli imperatori romani conobbe modifiche rilevanti riguardanti lo stile artigianale, i messaggi ed i contenuti da esso espressi. Inoltre i ritratti privati si ispirarono a quelli dell’imperatore sia nell’acconciatura che nell’habitus. Evoluzione ritratto imperiale: - Augusto Nel tipo di Prima Porta egli è raffigurato con forme serene, di stampo classicista, che esprimono solennità: nel suo essere senza età egli emana un’aura religiosa. In questo caso le forme classiche sono funzionali all’espressione di uno stile politico. I ritratti dei suoi successori, Tiberio e Caligola, si rifaranno a quello augusteo. - Claudio egli (fig.133, 41-54 d.C.) è rappresentato, in quanto membro della dinastia giulio-claudia, secondo lo schema creato per Augusto. Il volto è animato in modo più morbido e realistico con alcuni segni della vecchiaia, riflesso di un cambiamento della concezione del potere dell’imperatore: egli abbandonò la fredda stilizzazione del ritratto di Augusto al fine di esibire i propri tratti caratteriali. - Nerone egli nei primi ritratti si riallacciò al tipo base della dinastia giulio-claudia. I tipi più recenti (fig. 134) offrono una tipologia nuova di impronta realistica caratterizzata da un volto largo e tratti carnosi, con una fronte incorniciata da una corona di ciocche ad arco acconciate. Nerone si fece rappresentare con le proprie fattezze piene, in un aspetto alla moda, come sovrano dall’esuberante stile di vita, sulla scia dei re ellenistici. - Vespasiano (fig.135) primo imperatore flavio, è improntato a un realismo e presenta: calvizie, rughe, labbra serrate ed un sobrio sguardo indagatore. Esso costituisce l’estremo opposto dell’immagine stilizzata di Augusto. Egli è un imperatore che per la prima volta non proveniva dal ceto elevato dell’Urbe, bensì da un’anonima famiglia della Sabina: di conseguenza egli volle raffigurarsi come uomo tra gli uomini (cercò la vicinanza dei cittadini). - TraianoI ritratti di Traiano si distinguono per un modellato essenziale e privo di una stilizzazione di tipo classicista (fig. 136).Lo sguardo deciso, le sopracciglia ravvicinate e le labbra serrate conferiscono al volto teso un’espressione di durezza ed un aspetto energico, mentre la capigliatura delle ciocche semplici caratterizza il comandate sotto cui l’impero romano raggiunse la massima espansione. - Adriano egli dette vita ad un’immagine nuova del sovrano che rimarrà in vigore durante tutta l’età degli Antonini fino a Settimio Severo (fig.137). Le caratteristiche principali sono la presenza della barba, la capigliatura a ciocche ricciolute (ripresa di un habitus greco dell’Ellenismo, impiegato per la realizzazione dei filosofi e personaggi colti) e per la prima volta, vi è una resa dalle pupille e dell’iride mediante incisione. L’imperatore scelse questo aspetto in quanto orientato verso il mondo greco. - Marco Aureliograzie alla barba lunga si mette ancora più in risalto la saggezza alla greca, mentre il ciuffo sulla fronte rivolto verso l’alto (anastolé) sottolinea la sovranità dell’effigiato; ha uno sguardo incisivo e un animato chiaroscuro. - Settimo Severo (fig.138) anche alcuni tipi di ritratti di Settimo Severo si riallacciarono alla concezione antonina della rappresentazione dell’imperatore. - Caracalla (fig.139) rappresentato con corti capelli, la fronte energicamente contratta e con una risoluta rotazione del capo, prende avvio la serie di ritratti dei c.d. ‘imperatori-soldati’. In chiave stilistica la testa recupera sostanza plastica. 92 - Massimino il Trace (fig.140) il suo ritratto mostra la fisionomia tipica di un imperatore-soldato, cioè cortissimi capelli a incisioni superficiali e fattezze duramente intagliate. L’atteggiamento del comandante dell’esercito si associa ad una mimica facciale che esprime l’impegno verso lo Stato. - Gallieno I ritratti di Gallieno si rifanno di nuovo alle tradizioni più antiche della rappresentazione imperiale. Un primo tipo riprende nella capigliatura i motivi a tenaglia ed a forchetta presenti nel ritratto di Augusto; in un secondo momento richiamandosi al ritratto di Alessandro Magno, egli si fece rappresentare con lunghe ciocche. Il modellato è più disteso e morbido rispetto a quello degli imperatori-soldati (questo fenomeno è chiamato “rinascenza gallienica”). - Diocleziano e gli altri Tetrarchi (Tetrarchia=governo di quattro) essi nell’arte figurativa segnano un momento di decisiva rinuncia alla rappresentazione individuale. Se i volti realizzati in quest’epoca sono riconoscibili come ritratti di imperatori grazie alla presenza di elementi distintivi, risulta però impossibile distinguer ei singoli tetrarchia l’uno dall’altro. - Costantino al contrario dei Tetrarchi, Costantino con i propri ritratti contraddistinti dalle guance rasate e dalle ciocche ad arco, si volle ricollegare a quelli della prima età imperiale e ai tipi Traiano. Una testa più grande del naturale, facente parte di una statua-ritratto colossale collocata nella Basilica di Costantino a Roma (fig.141), mostra fattezze caratterizzate da ampie convessità, dalla mancanza di tratti individuali, da uno sguardo dilatato in modo innaturale e da forme astrattamente stilizzate delle sopracciglia e dei capelli. Ciò gli conferisce un effetto maestoso e sovra-individuale CAP. 18 RILIEVO STATALE ROMANO I rilievi, perlopiù di grande formato, con soggetti a carattere politico, sono un genere caratteristico dell’arte romana: essi sono inseriti entro edifici e monumenti pubblici che, per mezzo del loro apparato figurativo, presentano talvolta un programma politico. Già nella Grecia d’epoca classica ed ellenistica esistevano monumenti pubblici la cui decorazione figurata presentava temi a carattere politico e storico: ad es il “Tempio di Atena Nike” ad Atene (425 a.C.) è decorato con un fregio sul quale sono esaltate le gloriose imprese militari di Atene contro i Persiani. Un altro genere utilizzato ai fini della rappresentazione di temi politici è stato quello della grande pittura storica. L’esempio più importante è conservato nel “mosaico di Alessandro a Pompei”, che riproduce una vittoriosa battaglia di Alessandro Magno contro i Persiani di re Dario (fig.162, pag.308). Da queste opere d’arte figurativa, che già in Grecia erano funzionali alla celebrazione politica di fatti e imprese gloriose, si è poi sviluppato nella tarda repubblica e nell’età imperiale il genere del rilievo statale romano (monumento politico). Fino a poco fa questi rilievi erano considerati come la raffigurazione di concreti eventi storici (le rappresentazioni figurate sono considerate alla pari della documentazione storiografica). La storiografia ha come oggetto la descrizione di avvenimenti passati, mentre i rilievi sono parte integrante di monumenti pubblici e sono funzionali all’esaltazione di personaggi politici. Il compito del rilievo non è informativo ma celebrativo, dal momento che celebra imprese e virtù. Le scene raffigurate (cerimonie religiose e politiche) possiedono una valenza più rappresentativa e simbolica che reale. Funzioni I rilievi statali non costituiscono opere autonome; essendo pertinenti a monumenti politici assolvono la loro funzione in connessione con essi. I tipi di monumenti a essere decorati con rilievi di tipo statale sono: TEMPLI la forma tradizionale del fregio architettonico è stata raramente utilizzata per temi figurativi di carattere politico, forse a causa del formato poco adatto e dalla posizione troppo elevata. Es: fregio del tempio di Apollo nel Circo Flaminio a Roma, di età augustea, che decorava le pareti interne della cella. 95 protettore dell’imperatore, ebbe un culto pubblico. Nell'Urbe l'inizio del culto dell'imperatore si ebbe con l'introduzione del genius Augusti, cioè dello spirito di Augusto o, meglio, del suo nume tutelare.  Attività amministrative Le scene che riguardano le attività di governo sono rappresentate raramente. I c.d. “Anaglypha Traiani”, due lastre provenienti dal Foro Romano, mostrano due atti di governo di Traiano: da un lato l’annuncio della distribuzione di denaro alla popolazione bisognosa e dall’altro la distruzione sul rogo dei registri contenenti i debiti (=cancellazione dei debiti contratti dai cittadini romani nei confronti dello Stato). Entrambe costituiscono misure a favore di ampi strati della popolazione. N.B: La “liberalitas” era destinata a diventare una virtù importante, simbolo dell’interessamento dell’imperatore nei confronti del popolo.  Campagne Militari Erano il tema centrale della politica romana. Nell’età repubblicana i generali esaltavano le proprie vittorie con monumenti; sotto Augusto l’entusiasmo per l’eroismo bellico, dopo le guerre civili della tarda Repubblica, andò scemando, anche per il suo desiderio di autorappresentarsi come colui che aveva ricondotto la pace nell’impero. Però dopo di lui, le campagne militari ritornarono di nuovo in primo piano nell’ideologia imperiale. I temi figurativi rappresentativi della guerra ci sono noti grazie a un ciclo di “rilievi dell’età di Marco Aurelio”: otto di questi rilievi furono riutilizzati sull’arco dedicato dal senato a Costantino; in tale occasione le teste di Marco Aurelio furono sostituite con quelle di Costantino (queste a loro volta furono sostituite con teste di Traiano). La serie completa era in origine costituita da 12 rilievi e doveva appartenere ad un arco onorario dedicato nel 176 d.C. a Marco Aurelio, dopo la guerra contro i Marcomanni. Tali rilievi non raffigurano la guerra secondo una narrazione continua, ma in singole scene emblematiche del messaggio politico e storico che l’imperatore intendeva divulgare. I temi descritti qui sotto, sulla base dei rilievi antoniniani di Marco Aurelio (=dinastia degli Antonini), appartengono alle forme standardizzate dei modi di rappresentazione ideologica della guerra.  Profectio (=partenza)=> è la partenza dell’imperatore per la guerra. Questa era celebrata con una cerimonia solenne ed in tal modo era rappresentata nell’arte di Stato.  Lustratio (=sacrificio)=> all’inizio della guerra era celebrata una purificazione a carattere religioso secondo un antico rito. 3 animali sacrificali (un maiale, una pecora e un toro=suovetaurilia) erano condotti lungo un percorso che circoscriveva le truppe radunate, per poi essere sacrificati (fig. 144). L’imperatore appare nella scena nelle sue vesti della più alta carica sacerdotale, durante la fase preparatoria del sacrificio, davanti all’altare: la sua devozione (pietas) e prudenza (providentia) sono celebrate in quanto presupposto per il successo bellico.  Adlocutio (=discorso)=> nell’arte del comando i discorsi rivolti dall’imperatore all’esercito costituivano un’importante componente psicologica (momento che simboleggiala “fides” = rapporto di fiducia e di lealtà istaurato tra l’esercito e l’imperatore): prima della battaglia per incoraggiare gli uomini, dopo la vittoria come dovuto riconoscimento per il loro valore.  Submissio (= sottomissione)=> la sottomissione dei nemici all’imperatore appare nell’arte statale in due modi distintiti, a seconda se sia volontaria o forzata. Uno dei rilievi antoniniani mostra una sottomissione volontaria davanti all’imperatore a cavallo, al cui cospetto i suoi soldati conducono due nemici: la scena mostra la virtù imperiale della “clementia”, la quale viene esercitata nei confronti di coloro che si arrendono volontariamente. La clemenza costituiva un sistema strategico per l’integrazione delle popolazioni stranieri nell’impero romano. In contrapposizione con queste scene sono le rappresentazioni di sottomissione forzata: qui i nemici sono trascinati con violenza davanti all’imperatore; ad essi non è però riservata la clementia bensì la “iustitia”, ovvero la giusta punizione.  Battaglia=> Nei rilievi di Marco Aurelio manca una scena di battaglia. La più significativa è conservata in un monumentale fregio a rilievo, il “Grande Fregio di Traiano”, che però fu sezionato in varie parti 96 per essere riutilizzato nell’Arco di Costantino. La scena rappresenta una battaglia di massa che culmina con la vittoria di Traiano contro i Daci nel 101-106 d.C. Non si tratta però della rappresentazione di un autentico combattimento, in quanto l’imperatore si scaglia a cavallo contro i nemici in testa all’esercito. Qui emerge l’ideale greco dell’eroico combattente in prima linea: Alessandro Magno nel “mosaico di Alessandro” si scagliava a capo del suo esercito contro il re persiano (fig.162, pag.308).  Adventus (=ritorno)=> il ritorno dell’imperatore in città e i modi in cui viene accolto, appartengono alle cerimonie più importanti. Su uno dei rilievi di Marco Aurelio (fig.145), provenienti da un arco onorario, è rappresentata la scena del “ritorno dell’imperatore a Roma”: avviene in presenza di figure ideali di divinità: Marte come rappresentante dell’esercito segue l’imperatore; la Virtus (=valore militare) come fondamento della sua gloria lo precede; sullo sfondo si trovano l’eternità (aeternitas) e la buona sorte dell’impero (felicitas), che l’imperatore ha garantito attraverso le sue vittorie, a loro volta celebrate dall’immagine di Victoria collocata al di sopra del gruppo.  Trionfo=> Le grandi vittorie degli imperatori erano celebrate con una processione trionfale di antica tradizione che, superata la Porta Triumphalis presso il Foro Boario, dopo aver girato attorno al Palatino ed attraversato il Foro Romano, conduceva fino al Campidoglio. Su uno dei rilievi antoniniani, Marco Aurelio compare su un carro trionfale trainato da 4 cavalli. Questa scena era già stata imposta in maniera simile sul rilievo collocato nell’Arco di Tito raffigurante “il corteo trionfale di Tito” (fig. 146). Il trionfo è la più tradizionale forma di rappresentazione della virtus (valore militare).  Sacrificio per la vittoria=> a conclusione di ogni trionfo si celebrava un sacrificio di ringraziamento sul Campidoglio davanti al tempio di Giove Ottimo Massimo. L’immagine del sacrificio è simbolo della pietas imperiale.+  La congiarium=> (=donazione) dopo la vittoria segue un’elargizione al popolo. Infatti dopo la pietas dimostrata nei confronti degli dei con il sacrificio, l’imperatore rivela la sua liberalitas verso i sudditi. In generale i rilievi statali romani hanno come tema le cerimonie solenni e la persona dell’imperatore. Atti e rituali di Stato sono la rappresentazione simbolica delle virtù dell’imperatore e di concetti a carattere ideologico: il sacrificio indica la pietas; il trionfo la virtus; l’adlocutio indica la fides e la concordia; e il congiarium la liberalitas. Questi concetti ideologici avevano acquisito già con Augusto importanza: all’inizio del suo principato egli aveva ricevuto dal Senato e dal Popolo uno scudo onorario d’oro sul quale erano celebrate le sue 4 principali virtù: virtus, clementia, iustitia e pietas. Durante l’età imperiale questi principi generali non costituirono un canone fisso, consentendo ai singoli imperatori di svilupparne nuovi aspetti. CAP. 19 SARCOFAGI ROMANI A partire dal II sec. d.C. i sarcofagi con decorazione a rilievo hanno costituito uno dei generi più importanti dell’arte figurativa romana. Un nesso stretto unisce i sarcofagi di età imperiale all’arte paleocristiana (primi secoli dell'era cristiana). In questo ambito c’è da chiedersi in che misura le immagini a rilievo del sarcofago siano da interpretare come espressione di concezioni religiose (simbolismo funerario) o se sono un tramite per la rappresentazione dello status sociale. Cronologia e tipologia Sarcofagi con decorazione a rilievo: inizi della produzione. L’intensa produzione di sarcofagi inizia a Roma in età traianea ed adrianea, affiancandosi al tipo di sepoltura sino a quel momento dominante (ovvero l’urna per la deposizione delle ceneri) e ponendo la questione del rapporto tra pratica incineratoria e inumatoria. L’incinerazione ed inumazione si sono alternate nell’antichità a seconda dei contesti cronologici e degli ambiti geografici, ma sono spesso attestate contemporaneamente. ES: mentre nella tradizione culturale greca prevale il rito incineratorio, in Italia a seconda degli ambiti regionali gli Etruschi adottarono 97 urne per la deposizione delle ceneri, ovvero sarcofagi (N.B: in questo periodo il sarcofago era un contenitore di prestigio dove veniva riposta l'urna con le ceneri del defunto). A Roma prevalgono sin dall’età repubblicana attestazioni relative ad urne di diverse forme. A partire dall’epoca proto-imperiale si sviluppa una ricca produzione in marmo il cui apparato decorativo a rilievo è connesso all’ambito funerario. Nell’impero le attestazioni della prima età imperiale presentano decorazioni sobrie; poi all’inizio del II sec. d.C. si inaugura la produzione di una serie di sarcofagi caratterizzati da una ricca ornamentazione a rilievo, in specie nelle botteghe dell’Asia Minore e ad Atene. Al contempo la pratica dell’incinerazione in urne continuava ad essere impiegata. La progressiva diffusione dell’uso del sarcofago deriva da una scelta determinata dalla dismissione dei rituali funebri concepiti in forma pubblica a favore dell’adozione di cerimonie più intime celebrate dal gruppo ristretto di parenti; di conseguenza il significato delle decorazioni in facciata degli edifici sepolcrali subisce un ridimensionamento, a cui si associa un più sontuoso allestimento degli spazi funerari all’interno. In tal senso il sarcofago fornisce lo strumento più idoneo a rappresentare le pretenziose esigenze delle nuove forme di sepoltura; accanto al sarcofago continuano ad essere usate anche semplici urne destinati alle sepolture più modeste. Produzione e tipologia. In età imperiale il sarcofago non rappresenta l’esito di una creazione artistica individuale, ma un prodotto destinato ad un impiego sempre maggiore; infatti sono attestate numerose botteghe specializzate nella produzione di quantità elevate di casse litiche (in pietra) meno preziose. Roma, Atene e Dokimeion (in Asia Minore) sono stati i principali centri di produzione di pregiati sarcofagi a rilievo. Da questi e da altri centri minori si è sviluppato un intenso commercio anche su grandi distanze: i sarcofagi erano portati a destinazione in parte come pezzi grezzi o semilavorati per essere terminati in loco, oppure messi in uso ancora incompleti. In ciascuna bottega si elaboravano altrettante tradizioni tipologiche, sia per le forme e sia per la decorazione dei sarcofagi: - i sarcofagi realizzati a Roma, a partire dal II sec. d.C., presentano nella maggior parte dei casi una cassa di forma rettangolare, raramente con i lati arrotondati. La decorazione a rilievo si concentra sul lato lungo anteriore, mentre le 2 facce laterali sono lavorate con meno cura e quella posteriore rimane solitamente priva di decorazione. - Ad Atene si sviluppò nel 140-260 d.C. una produzione di sarcofagi caratterizzata da temi e forme stilistiche di tipo ‘classico’: si trattava di un tipo decorato su tutti e 4 i lati a rilievo, incorniciato da listelli orizzontali di tipo ornamentale. - A Dokimeion il sarcofago è caratterizzato dalla presenza di un fitto ordine architettonico che correva su tutti i lati: si tratta del c.d. ‘sarcofago a colonne’. Per i soggetti delle composizioni a rilievo si sono sviluppati modelli più o meno standardizzati e modificati di volta in volta in relazione alle necessità, al contesto cui apparteneva il defunto, ed al gusto. Ad esempio ci è pervenuto un gruppo di sarcofagi a soggetto mitologico realizzati a Roma, rappresentanti il mito di Medea: ella fu abbandonata dal marito Giasone per sposare Creusa, la figlia del re di Corinto. In un esemplare conservato a Berlino (fig.148=> “sarcofago di Medea”) quattro scene vengono illustrate in sequenza: le nozze di Giasone con Creusa, alle quali Medea ha inviato i suoi figli con il compito di consegnare alla sposa una stoffa intrisa di veleno; i tormenti di Creusa; la vendetta di Medea che progetta l’uccisione dei figli avuti da Giasone; la fuga drammatica di Medea nell’aria su di un carro trainato da serpenti. Questa sequenza di scene compare anche in altri sarcofagi, come: in un esemplare conservato a Roma, dove la scena è ripetuta in modo identico e in esemplare conservato a Basilea (fig. 149): quest’ultimo mostra la medesima successione di quattro episodi, tuttavia ci sono delle differenze: ciascuna scena presenta l’inserimento di ulteriori figure e la disposizione non è la stessa; anche lo stile è differente (le
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