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Riassunto completo "le città invisibili" di Italo Calvino, Sintesi del corso di Pedagogia

Riassunto completo "le città invisibili"

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 18/04/2020

StefiM
StefiM 🇮🇹

4.4

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Scarica Riassunto completo "le città invisibili" di Italo Calvino e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! LE CITTÀ INVISIBILI, 1972 (riassunto) S’immagina un racconto composto dalla descrizione di città fantastiche, fatta da Marco Polo e Kublai Khan durante i loro dialoghi. Marco Polo descrive città reali o immaginarie, che colpiscono sempre più il Gran Khan. I racconti di Marco Polo costituiscono per il Gran Khan il miglior mezzo per avere un quadro dettagliato di ciò che accade all’interno dello sconfinato territorio del quale è sovrano. Polo sa bene che le sue città possono non esistere, ovvero essere proiezioni di desideri o di ricordi, ma è comunque capace di trovare sempre nuovi stimoli per interpretare il reale, per superare il nulla di Kublai. Kublai è l’imperatore dei Tartari e Marco Polo è l’esploratore veneziano che descrive ciò che vedeva dell’impero all’imperatore. L’impero conquistato da Khan è troppo grande, non riesce a gestirlo, senso di vuoto e vertigine. Dopo l’introduzione troviamo le rubriche e di fianco un numero (es. la città e la memoria 1.) schema geometrico. Per sapere di che città si tratta dobbiamo leggere il testo. I nomi delle città sono inventati, nomi orientali o provenienti da miti, tutti al femminile. Nel descrivere le 55 città – tutte con nomi di donna, da Diomira a Fedora, passando per Cloe e Smeraldina – Marco Polo guarda a quei dettagli che agli occhi degli altri ambasciatori dell’imperatore Kublai Khan appaiono, per l’appunto, invisibili. Città reali e immaginarie, architetture da sogno e paesaggi da brividi, anche frutto dell’immaginazione: tutto si mescola nei racconti del viaggiatore veneziano, dando come risultato uno spaccato della complessità e del disordine della realtà. «Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un'altra», spiega Marco Polo al Gran Khan. Non si tratta solo di fantasia: i resoconti del navigatore veneziano racchiudono in sé delle profonde verità sull’andamento della società. La statura di Calvino si misura anche tenendo conto della sua grande efficacia come saggista e critico. Alcuni saggi degli anni ’50 e ’60 esaminano questioni fondamentali della narrativa coeva: sul rapporto letteratura/storia, sulla necessità di riuscire a demistificare letterariamente la visione del mondo piatta proposta dai modelli capitalistici, si ipotizza che la letteratura debba sperimentare “tutti i linguaggi possibili” per rispondere al labirinto della contemporaneità. Calvino è uno degli scrittori più consapevoli del nostro tempo. Consapevole del ruolo dell’autore e del mondo contemporaneo. Nonostante ciò è riuscito a creare anche un clima fantastico nei suoi racconti. Le descrizioni di città visitate da Marco Polo avevano questa dote: che ci si poteva girare in mezzo col pensiero. Dove la leggerezza non può nascondere la pesantezza "Che cos'è oggi la città per noi? Penso di aver scritto qualcosa come un ultimo poema d'amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città. Forse stiamo avvicinandoci a un momento di crisi della vita urbana, e Le città invisibili sono un sogno che nasce dalle città invivibili". (da una conferenza di Calvino tenuta a New York nel 1983) Pensavo, riprendendo in mano il libro Le città invisibili di Italo Calvino di scegliere, tra le città raccontate da Marco Polo al Grande Kan, imperatore dei Tartari, solo quelle città o quegli aspetti racchiusi in ciascuna di esse che sprigionavano sensazioni di leggerezza, di benessere. Poi ho pensato di dare un po' di spazio a quasi tutte le città, perché in ognuna ho trovato un insegnamento, una morale, uno stimolo alla riflessione. Inoltre, mi sembrava che tutte mi chiedessero di non essere messe da parte, che mi avrebbero aiutata a capire il loro messaggio. Hanno tutte affascinanti nomi di donna e sono tutte pure invenzioni fantastiche, atemporali, ma ci serviranno a cogliere la complessità del mondo e a capire che non possiamo non reagire di fronte alle trasformazioni profonde delle città moderne, sempre più invivibili. Perciò leggerezza e pesantezza, bellezza e brutture si fronteggiano spesso: riprendere solo voli di rondine e passare sotto silenzio le corse degli uomini-topo che si contendono quanto è lasciato cadere da altri uomini-topo più violenti, sarebbe stato molto parziale e inverosimile. Il libro è formato da nove parti e in ognuna alle città sono associate parole chiave come memoria, desiderio, occhi, segni e altro. Marco Polo, messo di Kublai Kan, ripeteva spesso che le città sono luoghi in cui ci si sente protetti, porti in cui si arriva dopo aver attraversato mari o deserti. Il suo destinatario e interlocutore era ormai giunto all'apice del potere: a conquiste facevano seguito altre conquiste, ma esse non apportavano più, come in gioventù, sollievo, gioia, eccitazione dell'orgoglio: il Grande Kan era consapevole dell'impossibilità di governare tale immensità, in cui, tra l'altro, si diffondeva la corruzione e lo sfacelo. Solo nei racconti di Marco riusciva a trovare un filo che sembrava dare ordine alle cose, come la filigrana di un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti. I Diomira, bella per le cupole d'argento, le statue in bronzo, un teatro di cristallo. Ma la cosa che la rendeva degna di restare impressa nella memoria era la sua bellezza nelle giornate di settembre, quando calavano le prime ombre e si accendevano tante luci multicolori che esaltavano la perfezione delle forme, attraverso un gioco di riflessi. Ascoltare allora lo stupore di una ragazza di fronte a un simile spettacolo induceva nel viaggiatore una sensazione di benessere, ridestando momenti di stupore e felicità passati. Bello che riaffiorino momenti passati, creduti morti per sempre, stimolati da sensazioni già provate, come delle piccole madeleines. Isidora è la destinazione che si vuole raggiungere dopo un lungo viaggio. Vi si fabbricano cannocchiali, violini a regola d'arte e s'incontrano belle ragazze. Questo era il sogno e nel sogno il viaggiatore alla ricerca di un porto era giovane. Ora invece era vecchio e le ragazze non poteva certo avvicinarle, solo ammirarle seduto su un muretto con altri vecchi. Come afferrare Isidora nel sogno? Ci si risveglia prima che ciò avvenga. Comunque, sognare è sempre bello anche se al risveglio tutto appare nella sua vera luce. Dorotea può essere descritta così com'è, allora è una città come tante altre, con le sue strade, i suoi fumaioli, i commerci che vi si svolgono, oppure come era apparsa al cammelliere che faceva ora da guida a Marco Polo: un'oasi in cui ogni cosa desiderata si sarebbe verificata. Il cammelliere era allora nella prima giovinezza e Dorotea sembrava offrire tutto. Poi aveva ripreso i suoi lunghi viaggi nel deserto, sempre in solitudine; gli anni erano passati, portandolo alla consapevolezza che la Dorotea della prima volta non era che una delle vie che avrebbe, forse, potuto scegliere. Dorotea per il cammelliere: una piccola madeleine non assaporata. Pensa Marco che ogni racconto sarebbe vuoto, senza sorprese, se ci si limitasse a raccontare una città restandone alla superficie, allora anche Zaira non offrirebbe sorprese. Ma se s'intravedono le relazioni con il passato in ogni parte della città di oggi, Zaira torna a vivere, perché i ricordi, la sua storia li custodisce gelosamente, ne è imbevuta... Ma dare corpo alla memoria non è semplice, la città contiene sì il suo passato ma leggerlo è come leggere le linee di una mano. È l'invisibile che Marco racconta a Kublai Kan, forse perché sa, come la volpe del piccolo principe che si vede bene solo con il cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi. Ad Anastasia vi si arriva andando verso mezzodì. Marco potrebbe raccontarla soffermandosi su ogni dettaglio invitante che la città offre: voli di aquiloni, cibi prelibati, donne che volteggiano nelle acque di una vasca e invitano i visitatori a unirsi a loro. Tutto questo stimolerebbe desideri diversi che, per dare spazio l'uno all'altro, finirebbero per essere soffocati. Invece la vera essenza di Anastasia la si coglie immaginandosi là, nel suo cuore: così sarebbe un'esplosione di desideri contenuti nel tutto che è la città. Saper cogliere l'essenza delle cose è una vera epifania e, in questo, Marco Polo non è solo il messo del Grande Kan, è anche la preziosa guida che Calvino ci offre per relegare il mondo di pietra da qualche altra parte. Tamara è la città densa di segni, insegne, immagini, riproduzioni che servono a indicare altro: ad esempio un boccale la taverna, la stadera l'erbivendola; ma dove si cela la vera Tamara? L'eccesso di segni oscura l'essenza delle cose, impedisce la vista di ciò che conta. Ecco perché, usciti da Tamara, nelle strane forme che le nuvole, leggere, leggere, disegnano nel cielo, appaiono, agli occhi del viandante, velieri, animali e tante altre costruzioni dell'immaginazione che, all'interno della città, non ha spazio. cultura dei posti di mare e di porto, dove chi arriva trova sempre posto per stare, per fermarsi a riposare e ripartire." E poi la presenza dell'acqua, le fontane che danno sollievo nella calura, che aiutano a sentirsi bene: "Fontane. Acqua potabile a ogni angolo di strada, ristoro elementare. Senza bisogno di entrare a comprare la bottiglietta a cifre esose, e poi vuoti da buttare, lattine e plastica. Acqua corrente, di che altro c'è bisogno? Acqua e sedie nel Forum 2004, il forum dei popoli che cambia di nuovo la geografia della città." E ancora spazi per i giochi dei bambini. E, per merito di giovani architetti, ecco una città che offre "un paesaggio di luna: sul mare, fra ponti sospesi, una gigantesca sedia su una piattaforma galleggiante. I ragazzi si tuffano, si siedono e da lì, al largo, ci guardano passare". Basta poco perché le città conservino spazi che facilitano gli incontri, città in cui Kublai Kan, Marco Polo e Italo Calvino, il loro ideatore, sarebbero a loro agio, desidererebbero vivere se, un giorno, ritornassero nel mondo dei vivi... Il racconto di Marco Polo continua: è la volta di Eufemia, la città in cui avvengono in continuazione scambi di ogni sorta. I commercianti arrivano e partono da Eufemia a ogni solstizio e a ogni equinozio. Il commercio è prosperoso, ma non è nel continuo passaggio di mercanzie la vera attrazione della città, ma nelle riunioni che si svolgono attorno ai fuochi, al cader delle ombre della sera: ognuno racconta le tante storie che porta con sé, una grande varietà di storie che parlano di sorelle, di lupi o delle più strane avventure. E quelle storie si confondono con le proprie, durante il viaggio di ritorno... Una breve riflessione: l'uomo è sempre in viaggio sino al suo termine che arriva, prima o poi, per tutti. Ma non sarà la fine di tutto se le storie di ognuno saranno riprese e raccontate da altri e contribuiranno a formare la storia del mondo, che non è solo la storia dei grandi, questo lo capirà bene Kublai Kan, ma la storia di tanti uomini e donne che hanno costruito Eufemia, la città-mondo. In una pausa del racconto il lettore è di nuovo informato sugli espedienti che Marco usava per dare al suo interlocutore il massimo di notizie, non comuni informazioni ma l'essenza delle cose. Una clessidra poteva rappresentare il tempo che scivola via ma anche la sabbia del mare, un turcasso pieno di frecce serviva a parlare di guerre o anche di abbondanza di cacciagione. I simboli a cui ricorreva erano, a volte, oscuri. Poi ai segni si sostituirono le parole, forse l'imperatore aveva imparato la lingua del suo messo o il messo quella dell'imperatore. Entrare in contatto con l'altro richiede tempo, ma, se si vuole comunicare veramente, si può giungere infine a parlare la stessa lingua, a capirsi sino in fondo. Però, c'è un passo ulteriore nei rapporti tra Marco e il Grande Kan: essi percepivano che le parole non producevano più come all'inizio lo stesso effetto di comprensione reciproca. Il veneziano incontrava inoltre sempre più difficoltà a trovare quelle appropriate per raccontare le città visitate. Allora ritornava ai gesti per poi lasciare il posto al silenzio. E i due restavano zitti e immobili. Perché? Forse per fissare meglio le immagini, le città, il racconto? Forse perché l'eccesso di parole può rompere la magia dei racconti? Non è detto, ma ognuno di noi può immaginare un perché e poi arrivare ad apprezzare il silenzio. III Dai tanti racconti ascoltati, l'imperatore pensa ora di poter disegnare lui una città ideale, l'immagina a scale, situata in un golfo a mezzaluna, con una grande vasca di vetro, alta come un duomo per poter seguire il nuoto, quasi un volo, dei pesci-rondine e trarne auspici, ascoltare l'impercettibile suono d'arpa che il vento produce nell'agitare le foglie di una grande palma. Marco lo interrompe dicendo che quella è proprio la città di cui gli parlava, forse Kublai Kan si era distratto, inseguendo i suoi pensieri. Ma esiste veramente una tale città? Il desiderio implicito è partire per raggiungerla. Le città che Marco riprende a dire devono avere un filo interno, un discorso intelligibile per poter essere raccontate. Fa poi un'associazione tra i sogni e le città: come i sogni sono un rebus che nasconde un desiderio o una paura, così le città sono costruite di desideri e di paure. Kublai Kan dice di non avere né desideri né paure e aggiunge che i suoi sogni sono frutto della mente o del caso. Marco ribatte che anche le città possono essere immaginate come frutto della mente o del caso ma né la mente né il caso bastano a capire una città. Ciò che dà piacere in una città è la risposta che riesce a dare a una nostra domanda, così si esprime Marco. E noi, che domanda rivolgiamo alla città in cui abitiamo o a quelle che scegliamo di visitare? Personalmente cerco tracce della mia insignificante storia; ma sbaglio ad usare la parola insignificante, perché per me non lo è: cerco un arco, un albero, un profumo particolare, un sorriso... Zobeide è una città che gira intorno a sé stessa in cerchi concentrici. A edificarla furono degli uomini che, in parti diverse della terra, avevano fatto lo stesso sogno: una bellissima ragazza dalle lunghe chiome al vento, il corpo nudo, che, invano, avevano cercato di raggiungere, continuando a girare, nel tentativo di afferrarla. Per dare vita a questo sogno, tenere desto il desiderio di quella divinità, erano giunti, insieme, nello stesso luogo e in quel luogo avevano costruito Zobeide. La città riproduceva i giri che ognuno aveva percorso, ma, a differenza del sogno, non c'era via di uscita, per bloccare, imprigionare la fuggitiva, se fosse riapparsa. Il miracolo non ebbe più luogo e, col tempo, anche il sogno era stato dimenticato. In seguito altri uomini giunsero là e, con meraviglia degli abitanti, avevano cercato di apportare dei cambiamenti, spinti anche loro da un sogno... Anche il tentativo degli ultimi arrivati di riafferrare quel sogno era fallito. Forse Zobeide può continuare a vivere se chi la abita non crede possibile intrappolare i desideri. I desideri come i sogni in cui si materializzano non possono essere costretti in una prigione. La ragazza del sogno mi riporta al messaggio contenuto in due poesie in cui un io cacciatore insegue le prime luci dell'Alba dalle sembianze di una meravigliosa fanciulla nuda: un'illuminazione, un'apparizione, un sogno... Impossibile imbrigliarlo, trattenerlo. Continuiamo a dare la parola al veneziano. Ora ci parla d'Ipazia, la città, alla prima impressione, attrae il visitatore con la vista di un magnifico giardino di magnolie che si rispecchia in acque cristalline, ma in quelle trasparenze s'intravedono vergini suicide i cui occhi sono rosicchiati da granchi. A queste orribili immagini se ne aggiungono delle altre ancora più opprimenti. Come uscirne? La risposta del filosofo interrogato mentre siede sul prato tra giochi di bambini è che in ogni cosa bisogna saper leggere i segni per arrivare a scoprire l'invisibile. Spesso le cose, le città sono opache anche perché il nostro sguardo non riesce a entrare nel il profondo. Armilla è la città dei giochi d'acqua: contro il cielo lunghi tubi e grandi vasche, tutto è sospeso, non vi sono muri né porte, tutto si anima con bellissime donne che fanno abluzioni, giocano nell'acqua, le lunghe chiome ondeggiano, accarezzano i loro corpi... Sono ninfe e nereidi, senza traccia alcuna di uomini. Armilla è forse è una città votiva, costruita così per chiedere scusa alle divinità per l'offesa arrecata dagli uomini alle acque, manomesse, inquinate; forse le stesse divinità li hanno scacciati per le stesse ragioni. Leggerezza è non imprigionare, cementificare, inquinare mari, fiumi, laghi... l'acqua è vita per il pianeta. Armilla ce lo insegna. Cloe è la città dagli incontri muti: tutti s'incrociano, si sfiorano ma restano come indifferenti gli uni agli altri. Eppure, dentro ogni abitante si agitano sogni senza che nessuno cerchi di dar loro vita. Così Cloe resta immutata, come un luogo dalle vibrazioni trattenute, represse. Forse è meglio così: se ognuno cercasse di dar corpo ai propri sogni potrebbe stringere solo un pugno di mosche: la giostra della fantasia non suonerebbe più la sua musica. Valdrada è due città in una: la vera e la stessa riflessa nel lago. Due città simmetriche che non si amano affatto: perché? Cosa insegna un'immagine riflessa nello specchio? Uno specchio è impietoso, mette a nudo quanto si cerca di mascherare, l'essenza che cerchiamo di camuffare con l'apparenza. Potrebbe Valdrada essere la città che dà risposte alle nostre domande? Se realmente vogliamo liberarci dalle tante maschere, allora sì e questo ci farebbe bene, potrebbe renderci leggeri, felici. Un'interruzione nel racconto di Marco: Kublai Kan racconta lui un suo sogno: ha visto una città particolare e della città il porto esposto a settentrione; si avverte un grande freddo, in fondo a scale scivolose, coperte di alghe è ormeggiata una barca: chi deve imbarcarsi scende lentamente, dopo gli ultimi addii, silenzio e lacrime sui volti di chi resta sulla riva. Perché Marco non parte alla ricerca di quella città? Esiste da qualche parte? E Marco gli risponde che quella città esiste veramente e che anche lui s'imbarcherà per raggiungerla scendendo da quello stesso molo, ma quel viaggio lo separerà per sempre da tutto, non ci sarà ritorno... Si potrebbe chiedere perché abbia scelto questo passaggio del libro se la morte è in scena. Ma, forse, è proprio la consapevolezza che ogni viaggio ha un termine che rende il tratto che si percorre intenso, ricco di sorprese, con ancora tante città da visitare, cose da scoprire, libri da leggere, l'invisibile agli occhi da svelare. IV Il libro ha inizio con questa frase: “Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l'imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo o esploratore.” Arrivati a questo punto del racconto l'imperatore esplicita questi suoi dubbi, Marco continua a parlargli di città che non esistono; che non sono mai esistite, forse; che non esisteranno certo più. Perché cerca allora di raccontare favole consolanti? L'imperatore è consapevole di essere alla testa di un impero in rovina, un'immensa palude in cui tutto marcisce, a che servono le favole? Ma Marco sa come assecondare gli umori neri del suo interlocutore e, in simili occasioni, gli si rivolge così: "Sì, l'impero è malato e, quel che è peggio, cerca di assuefarsi alle sue piaghe. Il fine delle mie esplorazioni è questo: scrutando le tracce di felicità che ancora s'intravedono ne misuro la penuria. Se vuoi saper quanto buio hai intorno, devi aguzzare lo sguardo sulle fioche luci lontane." Tutti noi incorriamo, a volte anche di frequente, in periodi di umore nero, ci lasciamo andare, siamo incapaci di aprirci alla luce... Penso che l'insegnamento di Marco possa esserci di aiuto: Se vuoi saper quanto buio hai intorno, devi aguzzare lo sguardo sulle fioche luci lontane e questo ci aiuterebbe molto. Saremmo ingenui se pensassimo che nel nostro percorso non c'è che luce, leggerezza, felicità, ma la luce, la leggerezza, la felicità bisogna saperle cercare. Come tutti, anche l'imperatore viveva momenti di grande euforia, in questi casi avrebbe voluto mettere al bando le venature di tristezza che affioravano nei racconti di Marco. Perché non vedeva che il suo impero era grande, che stava prendendo la forma di un diamante perfetto? Marco gli rispondeva che forse quella grande unica città perfetta che sarebbe diventato il suo impero avrebbe annullato le tante che erano una ricchezza proprio per la loro varietà. Per questo cercava almeno di raccogliere le ceneri delle tante città possibili. Potremmo aggiungere, che per quanto perfetto possa essere il nuovo, se nasce sulle ceneri del passato, non potrà mai essere perfetto... Olivia è una città di sogno se la si raccontasse così senza cercare di cogliere quanto non si vede: i racconti possono essere altro dalla realtà. Certo lo spirito di Olivia tende a dare spazio alla libertà, alla bellezza, ma ciò serve a ricordare che c'è anche la città fatta di fuliggine, di gente che rientra la sera spossata dal lavoro come tanti sonnambuli. Dovremmo tutti riflettere su una considerazione di Marco: "La menzogna non è nel discorso, ma nelle cose". Il difficile per tutti è vedere bene nelle cose, se non sappiamo farlo le cose appaiono per quello che non sono. Sofronia è di turno; è una città divisa in due: la città circo, con giostre, giochi di bambini e la città seria, quella delle istituzioni, dei commerci. La prima non resta sempre là, accade che il circo sia smontato, il grande tendone venga tirato giù. Resta solo l'altra ma anche questa un giorno viene smontata e ciò che resta è l'involucro della città circo. Quale l'insegnamento di Sofronia? Una città senza giochi di bambini è una città senza vita: impossibile pensare a un luogo in cui tutti corrono senza trovare il tempo per il gioco, che è leggerezza. Eufronia non è una sola città ma tante altre vuote che si somigliano molto. Quando gli abitanti si stancano di vivere nello stesso luogo, con le stesse persone, sentono il peso di un noioso tran-tran, abbandonano la città abitata per trasferirsi in una ancora vuota. Pensano così di cambiare vita, in realtà tutto ricade, prima o poi, in un'analoga, monotona serie di abitudini. Cosa si può dire degli sinora, ne sembra sorpreso. Marco Polo gli risponde che in tutte, proprio in tutte le città di cui gli ha parlato, ha inseguito tracce della sua Venezia. Ma, parlarne direttamente, non può: ha paura di precisarla troppo, finendo per perdere i colori che porta con sé. Le immagini legate alla nostra memoria sbiadiscono, a volte, se portate alla ribalta, trasformate in parole. Smeraldina, bellissimo nome di una città fatta di canali e di ponti. I percorsi da seguire per arrivare da qualche parte sono molto vari e colorati, per cui anche in coloro che seguono abitudini consolidate, la vita non si presenta mai uguale, monotona. I tetti sono ad altezze diverse, i gatti sanno come arrivare dappertutto seguendo itinerari solo a loro noti. Un invito a non perdere la visione del cielo, i percorsi delle rondini, anche se si sa che giù in basso i topi sono di casa... Anche in Smeraldina riconosciamo Venezia. Ed ecco Fillide ricorda anche lei Venezia. Tra le immagini che si materializzano sotto gli occhi di Kublai, ma anche dei nostri, ecco il grande cespo di capperi che sembra ornare il muro di un palazzo con il bel verde delle sue foglie tondeggianti e la leggerezza dei suoi fiori. Ma, precisa Marco, la città è bella se si arriva da viaggiatori e la si ammira nella sua bellezza. Viverci può sbiadirne i colori, perché a viverci, si finisce con il non vedere più la bellezza che ci circonda, si può anche arrivare a deturparla... Prima di vedere Pirra Marco Polo la immaginava come una città chiusa su se stessa: un'immensa coppa, con al centro una piazza con un pozzo centrale, costruzioni alte e torri, quasi una città fortilizio. Un giorno arrivò a Pirra e la trovò molto diversa da come si era configurata nella sua immaginazione: il mare è nascosto da una duna, i commerci sono vari e in aria c'è un pulviscolo prodotto dalle tante segherie che vi operano. Un nome è, molte volte, fuorviante. Dipanando l'intricato gomitolo dei suoi racconti, Marco arriva a parlare di Adelma, dove, in ogni viso su cui ha posato lo sguardo, gli è sembrato di riconoscere un amico, un conoscente non più in vita. Allora Marco si chiede se questi incontri confermino che arriva il momento in cui tra le persone conosciute i morti superano i vivi oppure che sia giunto in quella città da morto. Comunque, Adelma non è una città felice. Il racconto continua con Eudossia, anche qui Marco sottolinea la separazione tra l'immagine parziale che si ha girando per la città e l'immagine ideale della città riprodotta su un grande tappeto. Come spiegare questa grande distanza pur ritrovando nel tappeto l'Eudossia reale? Un oracolo interpellato aveva risposto che l'immagine del tappeto si era ispirata a quella del cielo stellato. Questo non è verificabile, potrebbe anche essere vero che il cielo è informe come lo è la città... Ci è stato insegnato che l'uomo è a immagine e somiglianza di Dio, ma sappiamo tutti che è un'immagine molto imperfetta perciò Eufemia rispecchia l'imperfezione dei suoi costruttori. A volte pause, isole di silenzio sembravano favorire le loro riflessioni, Kublai pensava spesso che nei racconti di Marco ci fossero più stati d'animo, stati di grazia, elegie che racconti circoscritti delle realtà conosciute. Diradandosi il fumo delle loro pipe le immagini che entrambi vedevano erano più nitide: la lontananza rendeva più netti i contorni. Vero, se si è immersi nelle cose: non si distinguono più, non si apprezzano più, la lontananza, invece, dà loro spessore, forza vitale. VII Il dialogo che si svolge ora tra Kublai Kan e Marco potrebbe lasciarci perplessi o forse ci aiuta a capire che cosa si nasconda nei racconti di Marco Polo. Forse tutti i viaggi di cui ha parlato, le città visitate non sono che rappresentazioni della sua mente, tutto sembra apparire nitido Les deux yeux fermés, ad occhi chiusi, come in Pafum exotique di Baudelaire. Forse loro due non sono che due poveri ubriaconi vestiti di stracci che immaginano mondi splendenti, forse... Ma le immagini sono soprattutto belle, nutrimento dello spirito.... È la volta di Moriana, che, come una medaglia, ha il suo rovescio. La duplicità di ogni città ormai non ci sorprende più; Marco vorrebbe guidarci a vedere anche l'invisibile e questo non è semplice. Moriana è trasparente, perfetta fuori, ma, nella sua faccia nascosta, è una distesa di lamiera arrugginita. Realtà e trasfigurazione esistono, forse, tutte e due. Clarice era prima una città di grande splendore con marmi preziosi e capitelli opera di grandi scultori, poi, durante lunghi secoli di degrado, è sorta una nuova Clarice e, a questa, altre ne sono seguite. Alcuni oggetti sono conservati nei musei, altri si sono persi nell'incuria generale. Tutto sembra confuso, la storia stessa della città si è persa, gli oggetti preziosi di un tempo sono ora carabattole. In questa disarmonia la città ha perso la sua identità. Presente, passato si mescolano, si confondono, forse non ci sarà un futuro. La leggerezza non vi abita più. Ora siamo a Eusapia formata anch'essa di due città. La prima è quella di sopra, quella dei vivi; la seconda è quella di sotto, dove sono i morti. Tutto ciò che caratterizzava il sopra è riprodotto sotto, spesso si legge sotto che da morti gli abitanti di sopra sono improvvisamente diventati più importanti, più famosi di quanto non fossero in vita. In Eusapia non c'è leggerezza, i suoi abitanti non accettano la morte, da morti è come se volessero continuare a vivere costruendo tombe che sembrano palazzi, pretendendo da vivi di scrivere storie sul loro conto non vere ma sempre laudative. Così si può pensare che, anche se vivi, è come se fossero già morti. Pur nella consapevolezza della morte, non è la morte che deve permeare di sé la vita. Per vivere bisogna imparare a godere dei doni immediati di ogni giorno che la vita può offrirci, senza lasciarsi schiacciare dal peso della notte che è riservata a tutti. Due diverse credenze riguardano Bersabea: una Bersabea sospesa in cielo, regno delle virtù e dei sentimenti più elevati; una Bersabea terrena che, se sarà capace d'ispirarsi alla prima, le rassomiglierà, sarà una sua immagine riflessa. Perciò gli abitanti non si abbandonano mai ai piaceri effimeri. Essi credono anche che esista una Bersabea sotterranea, ricettacolo del male, perciò cercano di tenersene lontani. In realtà, questa continua ricerca della perfezione finisce con il togliere spessore alla vita e, forse, vivere comporta anche la consapevolezza dell'imperfezione se non l'elogio... Ecco Leonia, la città che si rimette a nuovo tutti i giorni: tutto, proprio tutto deve essere fiammante, appena tirato fuori dall'involucro che lo proteggeva. Così sui marciapiedi continuano ad accumularsi i rifiuti del giorno prima, nell'attesa del passaggio degli spazzaturai. L'opulenza della città si misura più che dalle cose acquistate da quelle che ogni giorno vengono eliminate: solo scarti? Non solo, molti oggetti vengono buttati via perché nuovi modelli sono stati lanciati sul mercato. Leonia, è facile prevederlo, morirà sepolta tra montagne di spazzatura. Il nostro mondo, il mondo dell'usa e getta, dovrebbe imparare molto da Leonia, una Napoli di oggi, una delle tante Napoli del mondo ricco, un mondo che finirà così con il distruggere tutto, anche sé stesso. Altro da aggiungere? Ancora molto, ma lasciamolo implicito. La lezione di Leonia è già molto chiara. Potremmo chiederci se Marco Polo e Kublai Kan ci sono veramente, nel senso che il loro insegnamento non è lettera morta o se tutto quanto è stato sinora ripreso non è che una pura invenzione della mente, mentre il mondo vero è fatto solo di spazzini, di avidi consumatori. Che l'insegnamento dei due non sia vano, ecco il mio, il nostro augurio! VIII Kublai Kan pensava di giocare con Marco una partita a scacchi ma ignorava quale fosse la posta in gioco. E aggiungeva che allo scacco matto non restava che il nulla sotto il piede del re, solo un quadrato vuoto, nero o bianco. Allora Marco iniziava a parlargli del legno prezioso di cui era fatta la scacchiera del re: acero e ebano. E di quei piccoli pezzi di legno raccontava la storia, risalendo agli alberi da cui avevano avuto origine. L'imperatore lo ascoltava stupito non tanto per la ricchezza del linguaggio con cui Marco esponeva i suoi racconti ma per la bellezza delle sue storie. Colgo qui, come altrove, un invito a trovare, saper trovare in ogni cosa la sua insita bellezza. Sappiamo farlo o tutto ci sembra importante solo se risponde alle ultime novità pubblicizzate? Kublai Kan era certo un uomo molto potente, ma aveva perso il senso delle cose. Nei racconti, affermava Marco Polo, ciò che conta non è la voce ma l'orecchio. Ognuno di noi, anche di queste mie pagine, riterrà quello che più l'ha colpito: la soggettività dell'ascolto come della lettura è una ricchezza. Così faceva il Grande Kan, iniziando a trovare il senso della propria vita, attraverso il senso delle cose... Sul grande atlante dell'imperatore Marco Polo continua il suo percorso. Si ha a volte l'impressione che il veneziano legga meglio i segni della carta geografica che le realtà visitate. Se viste, spiega Marco, si perdono le grandi raffigurazioni che nascono da ciò che si è immaginato attraverso i racconti ascoltati in precedenza. Le città reali si uniformano a poco a poco, perdendo la loro specificità. È questa una denuncia del conformismo imperante che toglie spessore alle cose. Visitare una nuova città dà a volte l'impressione di averla già vista nella catena di bar, negozi, cinema, luci che si ripetono dappertutto. Anche gli edifici si somigliano tutti e i quartieri perdono subito la loro originaria fisionomia: sparito il parco che sorgeva là una volta... Ecco Irene dal bellissimo nome: la si scorge in fondo, dalla cima dell'altopiano, all'accendersi delle luci che segnalano l'abitato. Irene è in basso e tutti coloro che la scorgono parlano della città, quasi fosse una calamita che attira ogni sguardo. Ma com'è la città vista dall'interno? È quello che vorrebbe sapere l'imperatore. Marco gli risponde che perché Irene conservi tutta la forza che il nome le dà, non deve essere conosciuta dall'interno, se ci si avvicina tutto cambia. Certo il nome – PACE -, nella sua origine greca, è tale da far nascere molte speranze ma, come tutte le speranze non possono essere che cieche, la realtà ne è molto lontana, come la storia recente, che ripete quella passata, ci insegna. Argia cioè che ha di diverso dalle altre città è che ha la terra (le vie interrate, stanze d’argilla, sopra i tetti ci sono strati di terreno roccioso come i cieli e le nuvole). Di Argia non si vede nulla, i luoghi sono deserti (Argia si trova sottoterra). Della città di Tecla si vede poco. La città è ancora in costruzione, sono presenti gru, soppalchi e al termine della giornata quando cala il tramonto, il progetto di costruzione è terminato. I sobborghi della città di Trude erano uguali agli altri (stesse case, stesse piazze). Il mondo è ricoperto da un’unica Trude, che non comincia e non finisce, cambia solo il nome all’aeroporto. Olinda parte come un piccolo punto che non resta lì ma continua ma continua ad ingrandirsi fino a diventare una città a grandezza naturale, racchiusa dentro la città di prima. Olinda non è la sola città a crescere in cerchi concentrici. Alle altre città resta nel mezzo la vecchia cerchia delle mura stretta stretta, a Olinda no: le vecchie mura si dilatano portandosi con se i quartieri antichi; essi circondando i quartieri un po’ meno vecchi per far posto a quelli più recenti che premono da dentro; e così via fino al cuore della città: un’Olinda tutta nuova che nelle sue dimensioni ridotte conserva i tratti della prima Olinda e di tutte le Olinde che sono spuntate l’una dall’altra. … Il Gran Kan cercava di immedesimarsi nel gioco: ma adesso era il perché del gioco a sfuggirgli. A forza di scorporare le sue conquiste per ridurle all’essenza, Kublai era arrivato all’operazione estremo: la conquista definitiva. Marco Polo disse che la sua scacchiera è un incrocio di due legni: ebano e acero. Il Gran Kan disse che forse è stato il nido di una larva; non di un tarlo, perché appena nato avrebbe continuato a scavare, ma d’un bruco che rosicchiò le foglie e fu la causa dell’abbattitura dell’albero. La quantità di cose che si potessero leggere di un pezzo di legno liscio e vuoto, sommergeva Kublai; già Polo era venuto a parlare dei boschi d’ebano, delle zattere di tronchi che discendono i fiumi, delle donne alle finestre… IX Il Gran Kan sa che dai resoconti dell’atlante di Marco Polo è inutile aspettarsi notizie dei luoghi. Il Gran Kan possiede un atlante i cui disegni figurano la terra; ne sfogliano le carte sotto gli occhi di Marco Polo per mettere alla prova il suo sapere. L’atlante raffigura città di cui né Marco né i
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