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Riassunto completo libro Introduzione alla filosofia di Karl Jaspers, Appunti di Filosofia

Riassunto completo libro Introduzione alla filosofia di Karl Jaspers

Tipologia: Appunti

2018/2019

In vendita dal 11/06/2019

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Riassunti_Universitari 🇮🇹

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Scarica Riassunto completo libro Introduzione alla filosofia di Karl Jaspers e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! 1 PREFAZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA Piero Chiodi Karl Jaspers e Martin Heidegger sono le figure più rappresentative dell'esistenzialismo tedesco. Hanno dominato la cultura tedesca nel periodo tra le due grandi guerre mondiali, influendo in modo decisivo sul pensiero europeo ed extraeuropeo. L'esistenzialismo tedesco fu una Kierkegaard- Renaissance, un irrompere della problematica Kierkegaard nel mondo della fenomenologia husserliana. Le due opere più significative cui mise capo Soren Kierkegaard sono Essere e tempo di Heidegger e i tre volumi di Filosofia di Jaspers. Esse comparvero rispettivamente nel 1927 e nel 1932 Già però nel 1919, Karl Barth (1886-1968), teologo protestante, nel suo Breve commentario all’Epistola ai Romani, aveva introdotto nella teologia protestante motivi kierkegaardiani, destinati a svilupparsi successivamente nella cosiddetta teologia dialettica o teologia della crisi, le cui influenze sul mondo cristiano in genere furono imponenti. L’anno stesso in cui comparve in Germania Essere e tempo, Gabriel Honoré Mercel (1889-1973) pubblicava quel Journal métaphysique che segna la nascita dell'esistenzialismo francese. Dopo la guerra sorge l’astro di Jean-Paul Sartre (1905-1980), la cui opera principale L'essere e il nulla (1943) rivela influenze husserliane e heideggeriane. L'esistenzialismo francese si rifà alla tradizione intimistica della filosofia francese, anche se con esiti contrastanti, come il teocentrismo di Marcel e l'umanismo di Sartre. In Italia l'esistenzialismo è nato nel clima di reazione all'idealismo e di critica dell'esistenzialismo tedesco negativo, al quale ha opposto un esistenzialismo positivo, che ha i suoi esponenti più rappresentativi in Nicola Abbagnano (1901-1990) e in Enzo Paci (1911-1976). Karl Jaspers nacque a Oldenburg il 23 febbraio 1883. Il padre influenzò la scelta universitaria di Jaspers che si iscrisse al corso di laurea in legge. Fu subito chiaro però che la scelta non era congeniale alle inclinazioni del giovane Karl che nel 1902 passò alla facoltà di medicina. Nell'opera filosofica di Karl Jaspers, appartenente al filone esistenzialista del Novecento, si ritrovano i temi trattati dai grandi predecessori dell'Ottocento: da un lato la considerazione profonda per l'esistenza umana nella sua totalità con chiaro riferimento a Kierkegaard e a Nietzsche, dall'altra l'incontro del 1909 con Max Weber, l'influenza di Dilthey e poi la lettura di Husserl e l'influenza della scuola fenomenologica. Secondo Jaspers, la filosofia si inserisce nel filone della riflessione esistenzialista sull'essere e ha senz'altro punti in comune con l'ontologia di Heidegger. Jaspers giunge alla filosofia dalla psicologia, e questo influenza necessariamente il modo in cui viene considerato L'essere, non un ente immutabile che risponde a rigide leggi logiche oggettive e deterministiche, ma un qualcosa che sempre si arricchisce di significati, che si mostra, ma nel mostrarsi comunque si allontana dalla possibilità di una definizione definitiva. Jaspers è stato sovente accusato di liquefare l’esistenza nella situazione, di appiattirla nella temporalità invalicabile del 2 momento. Che l’uomo sia essere-nel-mondo non significa però, per Jaspers e per Heidegger, che l'uomo abbia la stessa essenza delle cose del mondo, che l'uomo si risolva nell’esser dentro il mondo; allo stesso modo di tutti gli esseri naturali. Al contrario, l’uomo, pur essendo nel mondo, vi è in un modo che è suo e assolutamente suo, in un modo che costituisce la sua essenza, e che è racchiuso nel termine esistenza. L'esistenza non è dunque il carattere di tutte le cose che ci sono, uomo compreso, ma il modo di essere nel mondo proprio dell'uomo ed esclusivamente suo, Questo modo consiste nell'essere nel mondo sotto forma di oltrepassamento, di trascendimento del mondo, di esistenza. L'esistenza è nel mondo, ma in modo suo proprio, che non è determinabile rispetto al mondo, ma rispetto alla trascendenza del mando. È questo è l'aspetto tipicamente anti-naturalistico e antipositivistico dell’esistenzialismo. L'esistenza è nel mondo ma sotto forma di oltrepassamento del mondo, l'esistenza è del mondo ma cerca l’essere, l'esistenza è ricerca ed è ricerca dell'essere. La prima forma che questa ricerca assume è quella per cui l’essere è identificato con il molteplice degli oggetti quali sono reperiti e messi in questione dalle scienze. Nasce allora quella che Jaspers definisce l’orientazione scientifica nel mondo. Dal punto di vista di Jaspers è che l'orientazione scientifica nel mondo non può valere come termine ultimo di quella ricerca dell'essere in cui consiste l’esistenza. L'orientazione scientifica nel mondo non può abbracciare l'essere perché essa è oggettivante e l'essere non è oggetto, perché essa presuppone l'uomo come soggettività mentre l’essere si rapporta soltanto all'uomo nella sua integrità, all'esistenza. Soggettività e mondo falliscono, naufragano, nel loro tentativo di abbracciare l'essere; essi cadono dentro l'essere e sono da lui abbracciati. Questo naufragio, una volta che sia divenuto consapevole, segna lo scacco dell’orientazione scientifica nel mondo e la consapevolezza del limite del sapere scientifico. Si apre allora la via all’orientazione filosofica. Il limite del sapere scientifico consiste nel fatto che la rottura soggetto-oggetto che essa implica dal passare da un oggetto all’altro, in un processo di infiniti rimandi in cui si cerca l'essere e non si può che trovare cose che cadono dentro l'essere. Rendersi conto di questo significa rendersi conto dei limiti della scienza e dell’impossibilità dell’orientazione scientifica di incontrare in qualche modo l'essere. Occorre una brusca inversione di marcia, un contraccolpo che rigetti l’uomo in se stesso. Questo nuovo sé-stesso non sarà più il soggetto dell’orientazione scientifica nel mondo. Il soggetto scientifico è un soggetto che è tanto più se stesso quanto più è identico a tutti gli altri soggetti, con i quali finisce per identificarsi in una coscienza in genere. L'orientazione filosofica non esclude quella scientifica; anzi la include necessariamente. La filosofia può nascere solo sul terreno della scienza e dell'analisi metodologica delle sue categorie e dei suoi procedimenti; ma non può e non deve chiudersi dentro quest’analisi, proprio perché, al limite, la scienza si rivela come un sapere limitato e insufficiente, come un non sapere. Nasce la necessità di un oltrepassamento; ma questo 5 comportamento esistenziale risulta più autentico in rapporto alla necessità del divenire? L'essere si rivela solo nel naufragio dell'esserci, ovvero dell'ente, quindi anche nell'uomo. L'uomo può solo giungere al silenzio di fronte alla domanda sulle ragioni dell'essere, l'angoscia che produce in noi il sentimento del percepire l'essere solamente nel naufragio (nel finire) della nostra vita, trova soluzione solo nel silenzio che considera l'essere per ciò che è, senza alcuna possibilità di dire nulla e senza possibilità di trovare un'autentica soluzione a questo scacco. Tuttavia, dopo il silenzio, può anche subentrare la pace della rassegnazione, ma non un rassegnazione passiva. La rassegnazione è quella condizione di pace della coscienza che finalmente abbraccia l'essere per ciò che è, ovvero quella condizione in cui percepiamo che non vi è alcuna soluzione e mai potremmo comprendere l'oscurità dell'essere trascendente da cui tutto deriva come dal fondo di un abisso. Anche la rassegnazione e la pace sono condizioni transitorie per la coscienza inquieta dell'uomo, ma quando vi è questo stato egli è sicuramente nel rapporto più autentico con l'essere. La rassegnazione quieta e pacifica concepisce finalmente l'essere per ciò che è e non si pone alcuna domanda sul senso, vivendo l'esserci e nulla più. Alla luce di tutto questo, per Jaspers la filosofia autentica non è quella che intende matematizzare ed oggettivizzare un qualsiasi aspetto della realtà, sia fisicamente che metafisicamente, ma è la filosofia che si pone nei confronti della realtà come apertura alla possibilità dell'essere trascendente, ovvero apertura al divenire radicale e ad ogni accadimento del mondo, i quali non hanno alcun significato determinato, eterno, immutabile e prevedibile. La scienza, come funzione propria, prepara in definitiva solo la struttura oggettiva entro la quale ogni fenomeno verrà ingabbiato in senso deterministico. La metafisica, dal canto suo, continuerà ad indagare l'eterno come riflesso della volontà propria dell'uomo di eternare la sua vita e allontanare quanto più possibile il suo naufragio, la religione continuerà nel solco della metafisica a concepire Dio come essere immutabile nel quale si cerca la salvezza. Ma, in definitiva e come più volte ribadito, per Jaspers l'essere è pura trascendenza, ovvero il puro essere altro dagli enti e dalle cose, per cui mai l'uomo potrà afferrare nulla di definitivo, ogni oggettivazione dell'essere è, per contro, tentativo fallimentare e inautentico di proporre una qualche forma di anticipazione o di previsione sugli accadimenti del mondo, il quale è, radicalmente e assolutamente, puro divenire, pura imprevedibilità. CAPITOLO I CHE COSA E' LA FILOSOFIA Jaspers in quest’opera, introduce la propria prospettiva psicologica offrendo una definizione di filosofia sottolineando il fatto che quest’ultima non va in cerca delle certezze che soltanto la scienza può garantire. Piuttosto la ricerca filosofica consiste invece in una particolare consapevolezza, il cui 6 raggiungimento coinvolge l’umanità nella sua interezza. Anche se ammette l’esistenza di un legame fra il prodotto della filosofia ed gli sviluppi nel tempo del sapere scientifico. Quale sia la natura e quale il valore della filosofia è questione dibattuta. Alcuni si aspettano dalla filosofia risultati straordinari, altri la considerano un insieme di pensieri privi di contenuto. O è guardata con rispetto, come il degno sforzo di uomini eccezionali, oppure è ridotta a sofisticheria e perditempo. O si vede in essa qualcosa che tocca nel profondo ciascuno di noi, e, come tale, necessariamente dotata di semplicità e comprensibilità, oppure la si considera tanto astrusa da abbandonare ogni speranza di penetrare nel suo profondo. Effettivamente ciò che va sotto il nome di filosofia riconferma piena mente questa tanto grave disparità di valutazioni. Per chi riponga ogni fiducia nella scienza, l'aspetto deteriore della filosofia sta nel fatto che essa non ritenuta in grado di offrire risultati che siano passibili di conoscenza rigorosa, e quindi sicuro possesso. Mentre le scienze, ciascuna nel proprio campo, hanno raggiunto conoscenze rigorosamente certe e universalmente riconosciute, la filosofia non è in grado di offrire nulla di analogo, pur nel suo secolare travaglio. È impossibile nasconderlo: nella filosofia non esiste unanimità alcuna in farro di risultati fuori dubbio. Ogni prodotto della filosofia è certamente connesso al sapere scientifico e ai suoi sviluppi attraverso i secoli. Mail senso della filosofia ha un'origine diversa. Esso sorge prima di ogni scienza, e ogniqualvolta l’uomo si risvegli a se stesso. Il filosofo, procede all’esplicazione di una serie di caratteristiche che distinguono l’attività filosofica da quella scientifica. Innanzitutto mentre nelle dottrine scientifiche sono indispensabili studio, applicazione e metodo, nell’attività filosofica, tutti si sentono in grado di giudicare perché vengono assunti come presupposti sufficienti il fatto di essere uomo, il proprio destino e l’esperienza personale. In secondo luogo, rispetto al pensiero scientifico, quello filosofico richiede sempre un’indispensabile dose di schiettezza personale. Infatti, per Jaspers sta ad ogni uomo di realizzare se stesso. In terzo luogo l’originario filosofare si manifesta oltre che nei bambini anche nei malati mentali: all’inizio non poche malattie mentali fanno seguito a rivelazioni metafisiche di tipo sconvolgente, anche se, in fatto di forma e linguaggio, risultano poi di rango tale che la loro comunicazione non è in grado di assumere un significato oggettivo. In questo senso per Jaspers il detto che i fanciulli e i pazzi dicono la verità nasconde un significato profondo. Un altro aspetto riguarda l’indissolubile legame fra quest’attività e la natura dell’uomo perché è sempre riscontrabile, ad esempio, nei proverbi che vengono tramandati di padre in figlio, nelle convinzioni predominanti, nelle intuizioni politiche, nei miti e nel linguaggio della cultura. Risulta quindi impossibile sfuggire alla filosofia perché lo stesso rifiuto della filosofia è pur sempre un atto filosofico, anche se inconsapevole. La filosofia per il filosofo tedesco è quell’attività concentrante, attraverso la quale l’uomo diviene se stesso, nel mentre si inserisce autenticamente nella realtà. Ma quest’attività non 7 può giustificare se stessa nel senso che non può trovare il proprio significato nella sua utilizzabilità da parte di qualcos’altro come appunto la scienza. Jaspers offre poi particolare attenzione all’idea di Dio: il concetto occidentale di Dio ha storicamente due radici: la Bibbia e la filosofia greca. CAPITOLO II LE ORIGINI DELLA FILOSOFIA La storia della filosofia, come pensiero metodico, ha il suo inizio due millenni e mezzo fa; come pensiero mitico, molto prima ancora. Ma l’inizio è qualcosa di ben diverso dall'origine. L'inizio ha un mero valore storiografico, e importa per i posteri una crescente molteplicità di presupposti, in proporzione con l’attività di pensiero già compiuta. L'origine è invece la durevole sorgente da cui promana la spinta costante verso il filosofare. In virtù sua la filosofia del tempo diviene qualcosa di essenziale, e la passata si fa comprensibile. Il ceppo originario della filosofia è complesso. Dalla meraviglia traggono origine il domandare e il conoscere, dal dubbio intorno al conosciuto traggono origine l'esame critico e la certezza chiara, dall'interno commovimento dell'uomo e dalla consapevolezza della propria perdizione nasce la messa in questione di sé. Cerchiamo di chiarire innanzitutto questi tre punti.  Platone scrisse che l'origine della filosofia è la meraviglia. Il nostro occhio ci ha resi partecipi della vista delle stelle, del sole della volta del cielo. Questa visione ci ha dato la spinta verso la ricerca di ogni altra cosa. È nata così la filosofia, il sommo dei beni concesso dagli dei alla stirpe dei mortali. Il filosofare è come uno sciogliersi dall’imprigionamento nelle necessità semplicemente vitali. Questo scioglimento si realizza in una visione delle cose, del cielo e del mondo, affrancata da ogni progetto di utilizzazione; si attua in una domanda di questo genere: che cos'è il tutto e donde viene? Domandala cui risposta non ci dà alcun utile, trovando in sé stessa la propria soddisfazione.  Appena la meraviglia ha trovato la sua soddisfazione nella conoscenza di che è, subito si fa innanzi il dubbio. È vero che le conoscenze si accumulano, ma davanti al dubbio critico nulla esiste di certo. Le percezioni sensibili sono condizionate dai nostri organi di senso, ingannevoli, e, comunque, non corrispondenti a ciò che esiste in sé fuori di noie indipendentemente dall'essere percepito. Le nostre forme di pensiero sono quelle dell’intelletto umano, Esse si avvolgono in contraddizioni insolubili,  Rimesso alla conoscenza degli oggetti nel mondo e abbandonato al dubbio quale unica possibile via per giungere alla certezza, mi trovo nel mezzo degli eventi mondani; di conseguenza non 10 quali si manifestano nei tre modi della rottura soggetto-oggetto. In primo luogo si ha l'intelletto come coscienza in genere, identica per tutti; in secondo luogo si ha l’esserci vivente come proprio di ogni nostra particolare individualità; in terzo luogo si ha l'esistenza come autentico modo di essere dell'uomo nella sua storicità. Presa consapevolezza dei tutto-abbracciante, diviene per noi più facile anche la comprensione di quelle dottrine dell'essere, o metafisiche, che nei millenni hanno parlato di fuoco, materia, spirito, processo universale, e così via. Esse non si esaurivano infatti in un semplice sapere oggettivo, come esse stesse sovente credettero, e motivo per cui vennero successivamente ritenute false; esse erano in realtà uno scritto cifrato dell'essere, risultante dal progetto di un filosofo, volto a realizzare la chiarificazione di sé e dell’essere, e fondato su un certo momento storico del tutto-abbracciante. L'errore stava nell’assumerle come una determinata oggettivazione, facendole valere come l’autentico essere. Quando ci muoviamo entro i fenomeni del mondo, presto ci rendiamo conto che l’essere stesso non consiste né nell’oggetto singolare che ci sta innanzi, né nell'orizzonte sempre limitato del nostro mondo, eretto a totalità fenomenica, ma sempre solo nel tutto-abbracciante, che oltrepassa ogni oggetto e ogni orizzonte ed è al di là di ogni rottura soggetto-oggetto. Se l'operazione filosofica fondamentale ci ha resi intimi al tutto-abbracciante, cadranno allora le metafisiche che abbiamo elencato e tutte le pretese conoscitive circa l'essere da esse implicate nel loro tentativo di erigere un esistente, al ruolo di essere come tale. Esse sono però l'unico linguaggio a noi possibile se vogliamo gettare lo sguardo sull'essere, al di là di ogni esistente (sia esso oggetto o pensiero o orizzonte) e al di là di ogni fenomeno. La consapevolezza della rottura soggetto-oggetto come fondamentale struttura del nostro pensiero, e del tutto-abbracciante che è in esso presente, porta con sé la libertà del filosofare. Il pensierosi scioglie de ogni ente mondano. Ci costringe a tornare indietro dal vicolo cieco di ogni solidificazione. Diviene per noi, un pensiero che ritorna indietro. La perdita dell'assolutezza delle cose e di ogni forma di gnoseologia implica, per chi si ferma a questo punto, la caduta nel nichilismo. Per tutto ciò che ottiene la propria determinatezza e la propria definitezza solo attraverso il linguaggio. CAPITOLO IV L'IDEA DI DIO Le parole del profeta Geremia dichiarano l’indiscutibile esistenza di Dio: anche se, nel mondo, una vita, sia pure sotto la creduta guida di Dio, cercasse il meglio e tuttavia fallisse, resterebbe pur sempre un’immane realtà: Dio è. La filosofia greca è in accordo con queste parole. Per Senofane, infatti, esiste un unico Dio mentre per Platone la divinità era l’origine del bene e di ogni conoscenza. I filosofi greci hanno infatti capito che esistono molti dei solo per il costume, ma per natura uno solo. I filosofi 11 contemporanei di Jaspers, invece, sono inclini ad aggirare il problema dell’esistenza di Dio perché, né affermano la sua esistenza, né la negano. Oppure chiudendosi nel sapere oggettivamente determinato, cioè nel conoscere scientifico, mette fine al filosofare con la sentenza: di ciò che non può essere oggetto di sapere si deve tacere. Dal punto di vista teologico, le cosiddette prove dell’esistenza di Dio che si sono succedute nei millenni, non sono in origine prove ma vie di consapevolizzazione razionale. Non sono, inoltre delle dimostrazioni scientifiche perché sono auto consapevolizzazioni del pensiero nella sua presa di contatto con lo slancio dell’uomo verso Dio. CAPITOLO V L’ESIGENZA INCONDIZIONATA Azioni incondizionate hanno luogo nel campo dell’amore, della lotta e della realizzazione di compiti superiori. Il segno caratteristico dell'incondizionato è che l'agire si fonda in qualcosa rispetto a cui la vita, nel suo complesso, assume il carattere del condizionato e non ultimato. Nell’attuazione dell’incondizionato l’esserci immediato diviene in certo modo materiale dell'idea, dell'amore, della fedeltà; viene cioè coinvolto in un senso eterna, in certo moda disarticolato e sottratto alle circostanze della vita quotidiana. Al limite, in situazioni eccezionali, l'impostazione in termini di incondizionatezza può portare anche alla perdita della realtà immediata attraverso l'assunzione inevitabile della morte, di contro ai dettami della condizionatezza, volta sempre e in ogni caso alla conservazione dell'immediatezza vitale. Se degli uomini hanno votato la loro vita a una lotta solidale per un esserci comune nel mondo, la solidarietà è stata allora anteposta incondizionatamente alla vita da essa condizionata. Ciò avvenne originariamente nelle società fiduciali, ma spesso anche sotto l’imperio costrittivo di un’autorità creduta, di modo che la fede in quest’autorità divenne sorgente di incondizionatezza. Seneca, Boezio, Bruno sono uomini con le loro debolezze, i loro mancamenti, come lo siamo noi. Hanno però saputo conquistare se stessi. Per questo sono pierre miliari anche per noi. I santi sono invece figure che reggono per noi soltanto nell’indeterminatezza, o nella luce irreale dell'intuizione mistica, ma dileguano di fronte a un esame realistico. Quell'incondizionatezza di cui gli uomini hanno saputo esser capaci in quanto uomini ci comunica un reale coraggio, mentre invece ciò che si radica nell'immaginario produce solo vana edificazione. Sul piano morale l’uomo intende la sua decisione come fondatrice di giustizia. Sul piano etico l'uomo ricostruisce se stesso attraverso una rigenerazione della sua volontà buona. Sul piano metafisico l’uomo diventa consapevole di essere donato a se stesso, nella sua possibilità di amare. Egli sceglie il giusto, raggiunge la purezza dei motivi di azione, vive dell’amore. Soltanto nell’unità di queste tre cose si realizza storicamente l’incondizionato. Una vita fondata nell’amore sembra abbracciare ogni altra cosa. Un autentico amore 12 rende certa del suo agire anche la verità morale. Per questo Agostino disse: Ama e fa quello che vuoi. Ma non è possibile, a noi uomini, vivere unicamente della forza che opera al terzo grado, cioè dell'amore; infatti incappiamo costantemente in sviamenti ed equivoci. Non possiamo pertanto abbandonarci ciecamente e costantemente al nostro amore: siamo invece costretti a tenere gli occhi aperti. E pertanto per noi, esseri finiti, è indispensabile la disciplina della costrizione, attraverso cui ci rendiamo padroni delle nostre emozioni; è indispensabile la diffidenza nei riguardi di noi stessi quanto alla purezza dei motivi che ci spingono ad agire. Spesso cadiamo nell'errore proprio quando ci sentiamo sicuri. CAPITOLO VI L’UOMO Per questo, invece che tentare di costruire inutilmente una scienza intorno a Dio, filosofando è possibile rendersi conto della coscienza divina. Come abbiamo visto quindi se la filosofia è indissolubilmente legata alla natura dell’uomo, il filosofo si chiede che cosa sia l’uomo. Come organismo è oggetto di studio della fisiologia, come anima dalla psicologia, come società dalla sociologia ma tutti queste distinte forme di sapere oggettivo non ci hanno però offerto una conoscenza dell’uomo nella sua totalità. Per Jaspers l’uomo è accessibile a se stesso in due maniere: come oggetto di indagine e come esistenza di una libertà inaccessibile a qualunque indagine scientifica. Solo nel secondo caso l’uomo risulta essere in oggettivabile nel senso che la vera natura dell’uomo non è accessibile ad un sapere oggettivo. L’uomo è fondamentalmente più di quanto egli possa conoscere di se stesso. Non ci sentiamo, infatti, mai sufficienti a noi stessi ma puntiamo sempre a qualcosa che risiede al di là di noi e cresciamo all’aumentare della consapevolezza di Dio. Solo così si può raggiungere una libertà, un’indipendenza dal mondo, vivendo cioè in rapporto con Dio. In questo senso, quindi, essere uomo significa divenire uomo. CAPITOLO VII IL MONDO Dopo aver chiarito il concetto di uomo, Jaspers passa ad analizzare quello di mondo. La conoscenza della realtà attraverso il pensiero scienza crea un’immagine del mondo. Ma la ricerca di un’immagine globale del mondo si fonda su un errore fondamentale. Infatti, la scienza critica ci ha insegnato, da un lato, che le passate immagini del mondo si sono rivelate false, dall’altro, che le unità del conoscere, ovvero le diverse scienze, hanno differenti fondamenti. Quindi ci sarà, ad esempio, il mondo dell’anima (psicologia), o il mondo fisico (fisica). Benché queste unità del conoscere siano in 15 significato oggettivo ai suoi atti, determinazione al suo pensiero, senso al suo procedere, contenuto ontologico al suo filosofare, tutto questo non può fare a meno di essergli dato. CAPITOLO IX LA STORIA DELL’UMANITA’ Niente è più essenziale alla presa di coscienza dell’uomo che la storia. Essa apre all'uomo il più vasto orizzonte, ci offre i dati della tradizione che stanno a fondamento della nostra vita, ci dà l'unità di misura del presente, ci libera dalla schiavitù ottusa verso il nostro tempo, ci insegna a vedere l’uomo nelle sue possibilità estreme e nelle sue creazioni immortali. Non potremmo impiegare meglio il nostro tempo che dedicandolo agli splendori del passato e alla penetrazione dei loro segreti, nonché alla chiara visione della rovina in cui tutto sprofondò. Ciò di cui siamo oggi spettatori diviene più chiaro se rispecchiato nella storia. Ciò che la storia ci tramanda prende vita se rapportato al nostro tempo. Il nostro vivere procede nella reciproca illuminazione di passato e presente. La storia è abbordabile soltanto da vicino, attraverso l’intuizione concreta e l'impegno verso il singolo. La filosofia della storia consiste proprio nella ricerca del senso, dell'unità, della struttura della storia universale. Essa può riguardare soltanto l'umanità intera. Gli uomini vivono da centinaia di migliaia di anni; ciò è dimostrato dal ritrovamento di ossa in strati geologici temporalmente databili. Da decine di migliaia di anni vivono uomini anatomicamente del tutto simili a noi, come è dimostrato da resti di strumenti e da raffigurazioni. Solo da cinque o seimila anni abbiamo una storia organicamente documentata. La vita spirituale dell'umanità è ancora oggi in un rapporto di dipendenza dall’età assiale. In Cina, in India e in Occidente ci furono consapevoli ritorni al passato, o Rinascimenti. Certamente ebbero luogo nuove grandi creazioni, ma risvegliate dalla conoscenza dei contenuti costituitisi nell'età assiale. Il tratto principale della storia s'inizia dunque con il primo costituirsi dell'umanità, attraverso le antiche civiltà primitive, per giungere all’età assiale e ai periodi che le fecero seguito, periodi che giungono creativamente fino a ridosso dei nostri tempi. Dalla fine di questo tratto, a quanto pare, è incominciato un altro periodo. La nostra epoca tecnico-scientifica è come un secondo inizio, paragonabile soltanto alla prima scoperta degli strumenti e dell’accensione del fuoco. Attualmente, però, viviamo nell'epoca delle più terribili catastrofi. Sembra quasi che rutto ciò che è ricevuto debba andare dissolto, mentre in nessun luogo si delineano in modo convincente le fondamenta di una nuova costruzione. Di nuovo c'è il fatto che, per la prima volta nel nostro tempo, la storia sì è fata storia universale. Paragonata con l’attuale unità di comunicazione dell’intera sfera terrestre, la precedente storia sembra soltanto un aggregato di storie locali. Ciò che prese finora il significato di storia è alla fine. Ci fu un momentaneo intervallo di cinquemila anni fra le centinaia di 16 migliaia di anni di preistoria in cui la sfera terrestre venne colonizzata e l’attuale inizio dell’autentica storia universale. Ci furono alcune migliaia di anni che, paragonati al periodo precedentemente vissuto dell'umanità nonché alle possibilità future, costituiscono un lasso di tempo trascurabile. Questa storia significò la preparazione e il raccoglimento degli uomini per l’azione della storia universale, fu la preparazione spirituale e tecnica delle attrezzature necessarie all'edificazione del colossale. Quando si pone la questione del senso della storia, diviene subito chiaro che, se la storia ha un fine, esso non è soltanto alcunché da pensare, ma da progettare e realizzare. Se riponiamo il significato della storia in uno stato di finale felicità, raggiungibile sulla Terra, non potremo identificarlo in alcuna rappresentazione immaginabile, né in alcun segno della storia, Questa infatti, nel suo caotico corso, nei suoi modesti successi e nelle sue totali rovine, depone a sfavore di tale significato. Il problema del senso della storia non può trovare soluzione in una risposta che configuri un fine. Ogni fine è alcunché di particolare, di passeggero, di provvisorio. La costruzione di una storia totale, come unità organica decisa una volta per sempre, è possibile soltanto a prezzo di esclusioni essenziali. Che cosa vuole Dio con l’uomo? Forse è possibile prospettare la seguente ampia e indeterminata visione; la storia è il luogo della rivelazione di ciò che l’uomo è, di ciò che può essere, di ciò che da lui può venire, di ciò di cui egli è capace. Anche la minaccia più grande rappresenta per l'uomo un certo compito. Nella realtà dell'umanità superiore non vale soltanto il criterio della sicurezza. Un fine ultimo della storia è ciò che dobbiamo determinare, bensì un fine che, nella sua natura formale, rappresenti la condizione del raggiungimento delle supreme possibilità dell'essere umano, e questo fine è l'unità dell'umanità. Questa unità non è raggiungibile attraverso l'universalità razionale della scienza. Questa, infatti, porta con sé soltanto l’unità intellettuale, non l’unità dell'intero uomo. L'unità non può neppure essere riposta in una riforma universale, quale potrebbe uscire da congressi religiosi e per deliberazioni unanimi. Essa non può neppure riposare sulle convenzioni di un linguaggio chiaramente organizzato da una sana intelligenza umana. L'unità può essere raggiunta soltanto muovendo dal profondo della storicità, e non come un contenuto collettivamente accertabile, ma soltanto nella illimitata comunicazione di ciò che è storicamente diverso, quale si realizza in un dialogo incessantemente condotto al livello della più pura amorevole lotta. CAPITOLO X L’INDIPENDENZA DELL’UOMO FILOSOFANTE Sin dalla tarda antichità si è costituita un'immagine del filosofo come uomo indipendente, L'immagine presenta molti aspetti. Il filosofo è indipendente, in primo luogo, perché senza bisogni, libero dal mondo dei beni e dal dominio delle passioni, votato a una vita ascetica; in secondo luogo, perché 17 privo di angosce, avendo chiarito nella sua falsità l'idea terrorizzante della religione; in terzo luogo, perché lontano dallo Stato e dalla politica, tranquillo e nascosto, senza legami, da cittadino del mondo. Questo filosofo crede, in ogni caso, di avere raggiunto punto assolutamente indipendente, un punto situato al di fuori di tutte le cose, e quindi l’apatia e l'imperturbabilità. Tale filosofo è divenuto oggetto di ammirazione, ma anche di diffidenza. La filosofia, principalmente come metafisica, realizza un certo gioco del pensiero, per così dire, certe figure di pensiero a cui il filosofo che le produce resta superiore per la sua infinita possibilità produttrice. Ma allora nasce il problema: è l'uomo padrone dei suoi pensieri, perché svincolato da Dio e indipendente da un fondamento, è in grado di condurre un suo gioco creativo, per virtù propria, secondo regole poste da lui, estasiato dalla propria forma, oppure, al contrario, tutto ciò è possibile perché l’uomo è in rapporto con Dio e sopravanza il proprio linguaggio, in cui deve confinare, sotto forma di immagini e figure, ciò che, come essere assoluto, in loro appare soltanto inadeguatamente e, pertanto, in modo infinitamente bisognoso di variazioni? Tn questo caso l'indipendenza del filosofare consiste nel fatto che il filosofo non soggiace ai propri pensieri, presi come dogmi, ma si costituisce a loro padrone. Ma l’erigersi a padrone dei propri pensieri è equivoco: può significare o il disordine dell’arbitrio o l'ordine della trascendenza. Un altro esempio: per raggiungere la nostra indipendenza cerchiamo il punto archimedico fuori del mondo, Questo tentativo è genuino, ma sorge il problema: il punto archimedico è situato in un fuori che pone l’uomo in una così totale indipendenza da assimilarlo a Dio, oppure il punto è situato là dove l’uomo incontra autenticamente Dio, sperimentando così la sua unica completa indipendenza, la sola capace di renderlo indipendente dal mondo? A causa di questa equivocità, l'indipendenza, anziché via all’autentico se stesso nella sua piena realizzazione storica, diviene facilmente la manifestazione di un disancorato potere di automutamento. Le molteplici forme dell’indipendenza ingannevole in cui possiamo incappare rendono sospetta l'indipendenza come tale, Una cosa è certa; perché la vera indipendenza possa essere raggiunta, non basta la chiarificazione di questi equivoci, ma è indispensabile la consapevolezza dei limiti di ogni indipendenza, Un’indipendenza assoluta non è possibile. Quando pensiamo siamo rinviati all’intuizione, che deve essere data; quando viviamo siamo rinviati ad altri, sul cui reciproco aiuto riposa la nostra stessa vita. In quanto noi stessi, siamo rinviati a un altro sé stesso, in comunicazione con il quale giungiamo, noie lui, a realizzare autenticamente noi stessi. Non esiste una libertà isolata. La libertà è presente nella lotta con la non- libertà e nel suo pieno oltrepassamento per effetto della rimozione degli ostacoli che avrebbero sommerso la libertà stessa. Perciò siamo indipendenti solo a condizione di essere impigliati nel mondo. L'indipendenza non può prendere la forma di un abbandono del mondo. Non prestiamo fede a un filosofo che non si lasci tentare, non crediamo nell’apatia degli stoici, non tendiamo 20 paragonabile a quello del cristianesimo sulla parte estrema dell'Occidente. In filosofia non abbiamo certamente libri canonici come quelli posseduti dalle religioni, nessun’autorità che sia semplicemente da seguire, nessuna verità definitiva di cui prendere semplicemente atto. Ma l’insieme della tradizione storica del filosofare, questo deposito inesauribile di verità, indica la via al nuovo filosofare. La tradizione è l’incessante speranza di una profondità sempre riscopribile di verità pensate, è l'imperscrutabilità delle poche grandi opere, è la realtà dei grandi pensatori accolta con rispetto e venerazione. L'essenza di quest’autorità sta nel fatto che non le si può obbedire in modo univoco, Essa consiste nel compito di pervenire a noi stessi attraverso di essa e nella presa di coscienza circa noi stessi, di ritrovare la nostra origine. Soltanto attraverso l'impegno nel filosofare attuale può essere portato a buon fine l’incontro con l'eterna filosofia nelle sue manifestazioni storiche. Il fenomeno storiografico è il mezzo con cui realizzare il legame nel profondo del comune presente. L’indagine storica si svolge pertanto nei gradi della vicinanza e della lontananza. Il filosofare coscienzioso sa bene con che cosa ha a che fare, di volta in volta, quando indaga i suoi testi. Far nostra una filosofia passata è così poco possibile come produrre una seconda volta un’antica opera d’arte. Sì può solo ingannevolmente copiarla. Non abbiamo, come il devoto lettore della Bibbia, un testo in cui leggere la verità assoluta. Perciò amiamogli antichi testi come amiamo le antiche opere d’arte, ci immergiamo nella verità degli uni e delle altre, cerchiamo di afferrarli, ma ce ne separa sempre una certa distanza, qualcosa di irraggiungibile e di inesauribile con cui, tuttavia, costantemente viviamo, qualcosa in cui prendiamolo slancio ver so il nostro attuale filosofare. Infatti, il senso del filosofare è l'attualità. Abbiamo un'unica realtà, qui e ora. Ciò che per negligenza ci lasciamo sfuggire non ritorna mai più; ma anche dissipando noi stessi, anche allora perdiamo l’essere. Ogni giorno è prezioso: un attimo può essere tutto. APPENDICE Se la filosofia investe l’uomo in quanto uomo, deve, per ciò stesso, essere universalmente comprensibile. Alcuni pensieri fondamentali devono poter venire comunicati in via diretta. Se la filosofia investe l’uomo in quanto uomo, deve essere universalmente comprensibile. Alcuni pensieri fondamentali devono poter venire comunicati in via diretta. 1. LO STUDIO DELLA FILOSOFIA Le risposte possono essere trovate soltanto da ciascuno per se stesso. Esse non possono essere fissate in un semplice contenuto, venire determinate una volta per sempre, e avere un carattere puramente esteriore. Principalmente la gioventù deve garantirsi una situazione di possibilità e di ricerca. Occorre 21 perciò: darsi da fare decisamente, ma non precipitosamente; tentare e correggersi, non però casualmente e arbitrariamente, ma con quella ponderazione che nasce quando ogni tentativo è stato messo in atto; e passare poi al lavoro. 2. DELLE LETTURE FILOSOFICHE Quando si legge si vuole prima di tutto comprendere che cosa l'autore intenda dire. Ma per farlo non basta capire il linguaggio, occorre capire la cosa stessa. Questa comprensione dipende a sua volta dalla conoscenza dell'argomento. Nello studio filosofico nascono in tal modo alcune questioni essenziali. Nella comprensione del testo vogliamo innanzitutto ottenere delle informazioni sulla cosa. Perciò dobbiamo pensare alla cosa stessa; però, nello stesso tempo, a ciò che l’autore ha inteso dire, L'uno aspetto senza l'altro rende la lettura inutile. Mentre nello studio del testo si pensa alla cosa, la comprensione subisce un'involontaria deformazione. Per un’esatta comprensione sono perciò necessarie due componenti: approfondimento della cosa e ritorno alla chiara comprensione della visuale dell'autore. Lungo la prima vi si raggiunge la filosofia; lungo la seconda, la penetrazione storica. Nella lettura è prima di tutto necessario un atteggiamento fondamentale: per fiducia nell'autore e per amore della cosa da lui trattata bisogna leggere come se tutto ciò che egli dice fosse vero. Che cosa significhi studiare la storia della filosofia e assimilare la passata filosofia può venire discusso sotto la guida delle tre esigenze kantiane: pensare da sé, pensare al posto di ogni altro, pensare in accordo con se stesso. Queste esigenze sono compiti che vanno all'infinito. Ogni soluzione data una volta per sempre è un semplice inganno. Per queste cose siamo sempre in cammino. La storia aiuta a compiere questo cammino. Il pensare da se stessi non deriva dal nulla. Ciò che noi stessi pensiamo deve, in realtà, esserci mostrato. L'autorità della tradizione risveglia in noi le origini, prese per acquisite, attraverso il contatto can loro negli inizi e nello sviluppo del filosofare storicamente dato. Ogni studio ulteriore presuppone questo abbandono iniziale. Senza di esso non potremmo assumerci le fatiche dello studio di Platone o di Kant. Il nostro filosofare si sviluppa avviticchiandosi alle figure storiche. Nella comprensione dei loro testi diveniamo anche noi filosofi. Ma questa fiduciosa assimilazione non è cieca obbedienza. Procedendo insieme, mettiamo alla prove il nostro stesso essere. Obbedienza significa affidarsi alla guida, incominciare con il tenere per vero; non dobbiamo procedere frapponendo a ogni passo riflessioni critiche, rompendo e paralizzando il procedimento originale e genuino. 22 3. TRATTAZIONE DI STORIA DELLA FILOSOFIA Hegel è il filosofo che per primo, consapevolmente e in un'ampiezza adeguata, fece filosoficamente propria l’intera storia della filosofia. Per questa ragione la sua storia della filosofia è tutt'oggi l’opera di maggiore grandezza. Ma essa dà luogo a un procedimento, implicito nei principi hegeliani stessi, che comporta un decreto di morte. Tutte le filosofie passate risplendono un attimo nella luce hegeliana, come sotto l’azione di un riflettore; bisogna però riconoscere che il pensiero hegeliano in un certo modo si impadronisce del cuore dei passati filosofi, per seppellire il testo, come un cadavere, nell'immenso cimitero della storia. Hegel se la cava sempre con il passato, perché crede di guardarlo dall'alto. La sua penetrazione comprensiva non è mai aprimento genuino, ma squarciamento mortale; non mai autentica interrogazione, ma conquista sottomettente; non convivenza, ma subordinazione. È consigliabile la costante lettura di parecchie esposizioni di storia l'una dopo l'altra per premunirsi sin dal principio dal pericolo di ritenere una di esse come senz'altro valida. Se si legge una sola esposizione involontariamente se ne accetta lo schema inoltre consigliabile di non leggere alcuna trattazione senza fare almeno alcune improvvise verifiche, con la lettura diretta dei testi in questione (vedi pagina 130-131) 4. TESTI Tutti i testi della filosofia occidentale disponibili, le loro edizioni, i commenti e le traduzioni sono elencati nell’Ueberweg; una scelta breve e utile è in Vorlander. Perlo studio personale occorre costituirsi una piccola biblioteca delle opere realmente essenziali. Una lista di queste opere subirà oscillazioni personali. Un certo gruppo è però valido per tutti, Ma anche in esso l’accentuazione sarà diversa, per cui non è possibile dare indicazioni generiche. È bene, dapprincipio, scegliersi un filosofo fondamentale. Che si tratti di uno cli più grandi filosofi è senz'altro desiderabile. È tuttavia possibile aprirsi la strada anche attraverso un filosofo di secondo o terz'ordine, quando si sia incontrato a caso e ci abbia fatto grande impressione. Ogni filosofo, studiato a fondo, conduce gradualmente nell'intera filosofia e nell’intera storia della filosofia. Un elenco completo dei testi principali è per la filosofia antica limitato a quanto ci resta, particolarmente alle poche opere intere conservare. Nei secoli moderni il numero dei testi è tale che la difficoltà consiste, al contrario, nella scelta dei pochi veramente indispensabili (vedi pagina 132-133). La filosofia antica I presocratici posseggono il fascino particolare che è proprio degli inizi. È straordinariamente difficile comprenderli adeguatamente, Bisogna sforzarsi di prescindere da ogni formazione filosofica, per 25 grosso modo, con periecontologia, intende significare il pensiero dell'essere e non dell'ente, cioè lo stesso concetto che Heidegger intende con ontologia. Il tramonto dell'Occidente di Galimberti è stato certamente un libro importante, non solo per i suoi contenuti: sembra, infatti aver goduto di un relativo successo di pubblico, superando di molto l'attenzione del ristretto gruppo degli addetti ai lavori, senza scadere mai in quella volgarizzazione delle tematiche filosofiche che tutti quanti aborriamo. Galimberti ha così contribuito a chiarire, in Italia, il senso ed i termini della critica alla tradizione occidentale da parte della riflessione filosofica più significativa del secolo trascorso. L'esposizione completa della filosofia jaspersiana si ha nel grande trattato Filosofia in tre volumi, il primo dei quali era intitolato Orientamento filosofico nel mondo, il secondo Chiarificazione dell'esistenza, e il terzo Metafisica. Mondo, esistenza e trascendenza sono i tre concetti fondamentali attorno ai quali ruota la riflessione di Jaspers. La filosofia procede dal mondo, quindi dagli oggetti, andando all'esistenza ed in essa trova la possibilità della trascendenza, riconoscendola come fondamento dell'essere. Il mondo è costituito dagli oggetti che vengono indagati dalle scienze. Il sapere scientifico non può superare il suo limite, cioè il fatto che si può conoscere solo un determinato aspetto del mondo, ma mai la sua interezza. Il positivismo vorrebbe realizzare e trasmettere un'immagine unitaria, ma l'impresa è destinata al fallimento. Se diventiamo coscienti di questo limite, ci accorgiamo che anche l'esistenza sfugge alle pretese del sapere oggettivo. E' quindi compito dell'orientamento filosofico del mondo, mostrare come, passando per l'inevitabile e necessaria conoscenza scientifica degli oggetti che lo compongono, si arriva alla questione dell'esistenza, ma in una luce nuova. Occorre la chiarificazione dell'esistenza. Ogni esistenza è una situazione, nella quale l'uomo può diventare sé stesso. Sottraendosi alla propria oggettivazione, e a ogni relativizzazione, l'uomo si coglie nella sua originarietà che sostiene e penetra tutte le cose. «Ciò è possibile - scrive Umberto Galimberti - perché l'uomo non è solo realtà empirica, coscienza generale, spirito, ma è innanzi tutto Umgreifende, cioè orizzonte omnicomprensivo, apertura incondizionata, luogo dell'apparire dell'essere.» L'esistenza è quel poter essere tipico dell'uomo perché egli può pensare, decidere ed agire. La sua essenza sta qui. Ma l'esistenza non è solo libertà, è anche colpa. Perché? L'uomo è colpevole perché non può non assumere i limiti della situazione in cui si trova ad essere. Non può, dunque che scontare questi limiti come una condanna. D'altro canto, però, mantiene una libertà proprio nel momento in cui accetta e non rifiuta tali limiti. Ciò porta ad evidenziare uno dei problemi tipici di Jaspers, quello della comunicazione. Problema che viene dopo il grande approccio al rapporto tra verità ed esistenza. C'è una verità, che è propria dell'esistenza, dice Jaspers, che non può essere verificata, coi metodi delle scienze empiriche, facendo esperimenti, e nemmeno si può ritrovare in quella evidenza necessitante, aristotelica, che è propria di ogni conoscenza razionale. Nemmeno possiamo sperare di trovarla sul 26 terreno della persuasione, che è tipica della vita spirituale. Nessuna di queste tre forma della verità, che pure si dispongono in forma ascendente, ed entrano nella vita di ognuno come esperienze fondamentali, riesce poi a tradursi, a esprimersi, a parlare, e quindi a comunicarsi, in modo assoluto e totale. Prima di rivelarsi impossibile, tuttavia, essa diviene un nostro obiettivo costante, un nostro modo di esistere. Ciò potrebbe portarci a commettere un errore, ed a sbagliare nuovamente, qualora ci prefiggessimo di evitare l'errore stesso in modo inadeguato. Quando, come nel cattolicesimo, crediamo di essere arrivati a possedere la verità, diventa inevitabile il nostro cadere in forme di dogmatismo che non rendono alcuna giustizia alle verità di altri percorsi religiosi o filosofici o semplicemente esistenziali. Ma, se proprio per evitare la presunzione dogmatica, ci ritirassimo in un pensiero per il quale esistono molte verità, molti linguaggi, molti modi di intendere la Trascendenza, tutti ugualmente validi, rischieremmo di cadere in un relativismo, che Jaspers vorrebbe appunto evitare. Insistendo troppo, dice sostanzialmente Jaspers, sulla indissolubilità del rapporto tra verità ed esistenza singola, la quale è comunque vera solo se autentica, abbandoniamo la pretesa dell'intelletto oggettivante, ma ci ritroviamo poi a combattere con scetticismi di ogni genere e relativismi solo formali, sostanzialmente estranei a quella tensione alla comprensione che è invece insita nell'uomo, oltre che nel filosofo. Sarebbe un pluralismo passivo, che si limita a sopportare, ma che non instaura alcun dialogo. Il che non evita, per giunta, che anche in questo caso si eviti l'oggettivazione. Abbiamo dinnanzi tante verità? Ecco che ci sorprendiamo a guardarle dall'esterno. Ma, atteggiarsi in tal modo significa tradire la filosofia, la quale non può mai ridursi ad essere un punto di vista tra i tanti, e nemmeno un punto di vista panoramico su tutti i possibili punti di vista, ma la tensione a superare tutti i punti di vista, a oltrepassarli.
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