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Riassunto completo Manuale di letteratura greca (sostituibile al libro) - prima parte, Sintesi del corso di Letteratura Greca

D. Del Corno, Letteratura Greca, Milano, Principato 1995, pp. 37-78 (poesia epica), 90-147 (poesia lirica), 165-179 (introduzione alla tragedia), 183-197 (Eschilo), 199-214 (Sofocle), 217-239 (Euripide), 255-270 (introduzione alla commedia), 275-290 (Aristofane), 317-329 (storiografia. Erodoto), 331-342 (Tucidide), 345-350 (inizi dell'oratoria. Lisia), 359-364 (Senofonte)

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 03/04/2023

AnnamariaMerenda
AnnamariaMerenda 🇮🇹

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Scarica Riassunto completo Manuale di letteratura greca (sostituibile al libro) - prima parte e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Greca solo su Docsity! LETTERATURA GRECA – Dario Del Corno LA LETTERATURA DELL’ETÀ ANTICA I POEMI OMERICI 1. Premessa La letteratura greca ha inizio con l’Iliade e l'Odissea, ma il percorso che, dai primi tentativi di dare espressione poetica all'interiorità dell'uomo, condusse alla loro eccelsa qualità artistica dovette essere lunga; tuttavia, il ricordo di queste forme primitive di poesia andò presto perduto e sopravvissero solo i poemi omerici, frutto maturo della scoperta della parola poetica. Fu solo la Grecia che individuò nella poesia la natura specifica dell'esperienza artistica; tempi, luoghi e motivi di questa rivelazione non ci è dato sapere. È lecito rintracciare all'interno dell’Odissea un'attività rivolta alla poesia, che testimonia la presenza degli aedi Femio e Demodoco, i quali cantano gli eventi della guerra di Troia alla Corte di Itaca e in quella dei Feaci, documentando già la consapevolezza di un fenomeno artistico. I due sono cantori di professione, ciò ne conferma la specifica competenza e fa dei canti dei due aedi il precedente diretto dei poemi omerici: la loro materia è il ricordo di un passato visto secondo la prospettiva della gloria che gli uomini si sono meritati, il luogo deputato al canto è la corte e l'occasione è il banchetto. 2. L’Iliade (VIII-VI secolo a.C., 24 libri, esametri dattilici) L’Iliade è il poema di Ilio, ossia Troia, città a nord dell'Asia minore, che combatte con i greci in un'epoca che l'opera stessa ascrive a un passato indefinito. Il motivo della guerra era stato il rapimento di Elena, moglie del re di Sparta Menelao, da parte del principe troiano Paride, figlio del re Priamo. Per vendicare questa offesa parte contro Troia una spedizione confederata di tutti gli Stati della Grecia condotta da Agamennone, re di Micene, insieme a Menelao, Nestore re di Pilo, Odisseo re di Itaca, Aiace re di Salamina, Diomede re dell’Etolia, Achille figlio della dea Teti. Dopo un assedio durato 10 anni, Troia venne rasa al suolo e conquistata. L’Iliade isola un solo episodio che ha luogo all'inizio del decimo anno e il periodo raccontato dura circa 50 giorni. Tre sono i motivi conduttori: I. Il primo è esposto nel proemio: l'ira di Achille contro Agamennone, reo di avergli sottratto la prigioniera Briseide che gli è cara. Egli decide di astenersi dal combattimento e chiede alla madre di pregare Zeus affinché dia la vittoria ai troiani. Così accade e il disastro dell'armata greca si fa sempre più grave. Patroclo, amico di Achille, lo implora di concedergli l'armatura, ma cade per mano di Ettore. Achille uccide Ettore e fa scempio del suo cadavere e lo restituisce al padre Priamo solo dopo che egli si presenta alla sua tenda. II. Il secondo è la morte di Ettore, che presagisce la caduta inevitabile della città di Troia; altro presagio della sua imminente morte è l’addio alla moglie e al figlio, scena ricca di pathos. III. Il terzo è la guerra fra gli dèi, i quali partecipano alla guerra e sono divisi in due fazioni: • Era, Atena, Poseidone, Ermes ed Efesto parteggiano per i greci; • mentre per i troiani Apollo, Artemide, Ares e Afrodite. Dalla battaglia collettiva si distinguono duelli fra campioni scelti ed emergono ampie sezioni caratterizzate dal predominio di un singolo eroe e da episodi che introducono elementi di varietà, ad esempio l'incontro ultimo di Ettore con la moglie Andromaca e il figlio Astianatte, il pianto dei cavalli immortali di Achille dopo la morte di Patroclo, i giochi atletici memoria di Patroclo. 3. L’Odissea (VIII-VI secolo a.C., 24 libri) L'Odissea è il poema di Odisseo, è la storia di un uomo entro un complesso di eventi che hanno costituito il significato della sua personalità distinguendolo tra tutti gli altri uomini. Odisseo era uno dei principali capi achei nella guerra di Troia, era un valente guerriero, un oratore abile e molto astuto. Compie un viaggio di dieci anni che lo ricondurrà in patria. La grande differenza fra i due poemi omerici è che mentre l'Iliade ha un solo tema centrale (la guerra) e molti personaggi rilevanti, l'Odissea presenta una grande varietà di temi, ma un unico personaggio centrale, che è il fulcro del poema. Nell'Odissea la materia narrativa nasce dall'incrocio di due filoni: 1. il viaggio → l'eroe incontra pericoli ma riesce sempre a scampare grazie alle proprie abilità e ad un aiuto divino; durante le sue peripezie ha modo di conoscere popolazioni e usanze; 2. il ritorno in patria (nòstos, nòstoi) → tutti credono nella sua morte e il suo reinserimento non avviene pacificamente, poiché egli dovrà riconquistare la sua casa e sua moglie. • Telemachia (I-IV): Telemaco, dieci anni dopo che la guerra è terminata, è un uomo e condivide la casa con la madre Penelope e con un gruppo di nobili locali arroganti, i proci, che intendono convincere Penelope a scegliere tra loro un nuovo marito. La dea Atena, protettrice di Ulisse, assunte le sembianze di uno straniero, va da Telemaco e lo esorta a partire alla ricerca di notizie del padre. Così, all'insaputa della madre, fa vela verso Pilo e Sparta, rispettivamente presso Nestore e Menelao, i quali gli dicono che il padre è vivo. • Arrivo di Odisseo a Scheria e racconto del suo viaggio (V-XII): intanto Odisseo ha trascorso gli ultimi sette anni prigioniero sull’isola Ogigia dove viveva la ninfa Calipso; Ermes la convince a lasciarlo andare e Odisseo si costruisce una zattera per andare via. Ma il dio del mare Poseidone la fa naufragare e Odisseo riesce a salvarsi a nuoto toccando terra a Scheria sulla cui riva vede la giovane Nausicaa che lo esorta a chiedere l'ospitalità dei suoi genitori Arete e Alcinoo, re dei Feaci. A corte ascolta il cieco cantore Demodoco esibirsi nella narrazione di due antichi poemi. Odisseo finisce per rivelare la sua identità, ed inizia a narrare l'incredibile storia del suo ritorno da Troia. Dopo aver lasciato la terra dei Ciconi, lui e le dodici navi della sua flotta persero la rotta a causa di una tempesta. Approdarono nella terra dei lotofagi e successivamente finirono per essere catturati dal ciclope Polifemo figlio di Poseidone, riuscendo a fuggire con lo stratagemma di accecargli l'unico occhio. Sostarono per un periodo alla reggia del signore dei venti Eolo, che diede a Odisseo un otre di pelle che racchiudeva quasi tutti i venti, ma i marinai lo aprirono e i venti uscirono scatenando una tempesta. Poi finirono per approdare sulla terra dei cannibali Lestrìgoni: solo la nave di Odisseo riuscì a sfuggire al terribile destino. Nuovamente salpati, giunsero all'isola della maga Circe, che con le sue pozioni magiche trasformò in maiali molti dei marinai di Odisseo. Il dio Ermes venne in soccorso di Odisseo e gli donò un'erba magica, così costrinse la maga a liberare i suoi compagni dall'incantesimo. Odisseo diventò poi l'amante di Circe, tanto che restò con lei sull'isola per un anno. Poi raggiunsero la terra dei Cimmeri, dove interroga l’indovino Tiresia sul suo futuro. Riuscirono a fiancheggiare indenni gli scogli delle Sirene e passare in mezzo alla trappola rappresentata da Scilla e Cariddi, approdando sull'isola Trinacria. Qui i compagni di Odisseo catturarono e uccisero per cibarsene alcuni capi della sacra mandria del dio del sole Helios. Questo sacrilegio fece morire tutti i marinai, tranne Odisseo, che fu spinto sulle rive dell'isola di Calipso, che lo costrinse a restare con lei come suo amante per sette anni. • L'arrivo a Itaca e la fine dei Proci (XIII-XXIV): dopo aver ascoltato la storia, i Feaci decidono di aiutare Odisseo a tornare a casa: nottetempo lo portano ad Itaca approdando in un luogo nascosto. Al suo risveglio la dea Atena lo trasforma in un vecchio mendicante, così va verso la capanna di Eumeo, guardiano dei porci, subito dopo arriva Telemaco, si incontrano e decidono di uccidere i Proci. Odisseo incontra per primo il suo cane Argo che lo riconosce e muore felice, incontra poi anche sua moglie Penelope che non lo riconosce. La vecchia nutrice Euriclea capisce la vera identità di Odisseo quando egli si spoglia per fare un bagno, mostrando una cicatrice sopra il ginocchio. Penelope spinge i Proci a organizzare una gara per conquistare la sua mano: si tratterà di una competizione di abilità nel tiro con l'arco e i Proci dovranno servirsi dell'arco di Odisseo. Nessuno dei pretendenti riesce a superare la prova e a quel punto Odisseo riesce a tendere l'arma e a vincere la gara, rivolge quindi l'arco contro i Proci e li uccide tutti. Adesso Odisseo può finalmente rivelarsi a Penelope: la donna esita e non riesce a 7. Lingua, stile, struttura dei poemi omerici C'è però omogeneità nella maniera poetica e nelle strutture di pensiero che trovano espressione nei due poemi. Ad un primo livello questa omogeneità si manifesta nella lingua e nell'impiego della tecnica formulare e da qui si riflette nello stile. La lingua risulta dalla mescolanza di forme appartenenti a diversi strati dialettali. C'è la compresenza dei dialetti ionico e eolico, in alcuni casi in alternativa alle forme ioniche compaiono quelle eoliche, ciò è motivato da ragioni metriche. La l'esistenza di un che viene chiamato acheo a cui risalgono alcuni aspetti della lingua omerica. Dall'unione dei dialetti acheo (dialetto precedente dimostrato dalla Lineare B), ionico, eolico è sorta la lingua omerica. La formula è la cellula fondamentale della dizione omerica, essa serviva ai rapsodi come componente mnemonica dell'improvvisazione della recitazione e serviva al pubblico come sistema di riferimenti noti che favorivano l'ascolto e la comprensione del racconto. Uno dei fenomeni più caratteristici dello stile omerico è la similitudine, ossia il modulo che istituisce un rapporto di analogia tra un momento della narrazione e uno dell'esperienza. Le similitudini sono introdotte da una formula di paragone del tipo 'come' e sono concluse da 'così'; si ottiene una circolarità dell'espressione che risponde a uno schema tipico (composizione ad anello). Ci sono due gruppi di similitudini: 1) descrizione dei fenomeni della natura e degli animali; 2) rappresentazione della vita quotidiana dell'uomo. 8. Gli uomini e gli dèi nei poemi omerici I poemi omerici trovano il proprio centro focale nei personaggi: soprattutto dalle loro decisioni e dai loro sentimenti traggono origine le azioni e le situazioni. Gli dèi interferiscono nelle vicende dei mortali e si trovano in correlazione con la vita terrena, sono simbolo dei limiti e dei condizionamenti dell'uomo, ma sono anche un gruppo superiore che si distingue solo per il dono dell'immortalità. Gli dèi costituiscono una sorta di secondo piano del racconto rispetto a quello in cui agiscono gli uomini e qui essi orientano l'azione secondo la propria volontà. Gli dèi sono caratterizzati da pensieri, passioni e atteggiamenti simili a quelle del mondo degli eroi; quest'immagine esclude ogni superiorità. Fondamentale è la psiche degli uomini, che risulta ancora arcaica poiché ignora le sfumature e le contraddizioni, la psiche è rappresentata in modo analogo al corpo umano, ovvero nelle singole parti e non nel suo insieme. I personaggi vengono descritti attraverso l'aspetto saliente della loro indole (Achille intrepido, Odisseo astuto Penelope fedele etc.), nell'azione istantanea viene posto l'accento sulla manifestazione esteriore del sentimento piuttosto che sul suo intimo formarsi. Achille è il connettivo del racconto iliaco, così come Odisseo lo è per quello odissiaco: ad Achille corrisponde un sistema d'opposizione in Ettore, a Odisseo non si contrappone nessuno, ma c'è Penelope che è complementare a lui e che rappresenta il polo statico verso cui tende l'azione di Odisseo. Oltre a Penelope nell'Odissea compare un'altra donna, Nausicaa che è innamorata della straordinaria personalità di Odisseo e questo offre un indizio della ragione per cui Penelope gli serbi fedeltà nonostante i travagli. Vi è una sostanziale differenza tra il codice dei valori dell'Iliade dell'Odissea: • nell'Iliade i personaggi corrispondono all'immagine omogenea di un eroismo eccellente, gli eroi hanno un alto senso della moralità e fanno riferimento a un codice di valori e doveri rigorosamente circoscritto; essi hanno la gloria come unica aspirazione, mentre il disonore è l'unica sciagura. Questo atteggiamento è chiamato in antropologia “civiltà di vergogna”, in cui il comportamento umano viene orientato dal senso dell'onore e della considerazione di fronte al proprio gruppo sociale; • nell'Odissea si pone una più palpitante attenzione ai sentimenti della vita quotidiana, e più attenta ai tratti individuali e alla realtà dell'esistenza comune, lo stesso dissero è mosso da un sentimento personale Agli uomini omerici per decidere o agire occorre il concorso degli dèi, questa situazione ci pone due interrogativi: 1. agli uomini non appartiene alla libertà personale e sono in tutto manovrati dal volere divino? → Questo contrasterebbe l'accentuazione dei caratteri individuali degli eroi, la loro volontà e i loro sentimenti; 2. o l'intervento degli dei è un ingenuo simbolo dei moti dell'animo? → questo contrasterebbe la fede nella presenza divina. Gli dèi costituiscono un secondo piano del racconto rispetto a quello degli uomini, e a questo livello contribuiscono a orientare l'azione umana secondo la loro volontà i personaggi divini sono antropomorfi non soltanto nell'aspetto ma soprattutto nella dimensione psicologica, infatti, sono soggetti anche a pensieri e passioni del tutto sbagliate: quest’immagine esclude la loro superiore moralità. Zeus esercita una supremazia, essendo sovrano degli dèi e degli uomini, ma in realtà questo potere non appare sempre assoluto in quanto è sempre subordinato al destino; da questo si potrebbe evincere che gli dèi sono le forze che condizionano e limitano l'azione degli uomini, ma che non sono estranee all'uomo ed esistono in quanto si manifestano in rapporto all'uomo, alla sua vita e al suo agire. Così il rapporto dell'uomo epico con la divinità si risolve nel senso di un'intima contiguità fra il divino e l'umano. 9. La concezione epica come forma poetica Questa contiguità fa sì che i poemi siano espressione di una mentalità laica: i greci non pretendono dagli dèi una soluzione assoluta o delle normative per i problemi dell'esistenza umana. Un carattere tipico dell'epos omerico è quello di costituire un testo canonico su cui fondare i primi elementi dell'istruzione, inoltre, secondo una recente teoria, la finalità didattica era lo scopo delle opere fin dalle origini. Nei poemi viene esposto una sorta di sapere enciclopedico che comprende la totalità dell'esperienza contemporanea. Nelle figure di Femio e Demodoco il poeta omerico rappresenta la sua stessa attività, scopo e funzione del loro canto è il diletto degli spettatori, ma il poema epico è prima di tutto un fatto artistico: è la memoria di un passato grandioso su cui si fondano i valori e il sapere degli spettatori. In questo senso i due poemi sono simili, è omogenea la loro visione del mondo. 10. Fortuna di Omero Per i primi secoli dopo la loro composizione, la fortuna dei poemi coincide con la loro trasmissione ad opera dei rapsodi. Con la messa per iscritto del testo che si fa risalire a Pisistrato nel VI secolo si diffusero edizioni curate da singole città. I poemi omerici esercitarono una grande influenza sulla letteratura dell'epoca posteriore: Esiodo è condizionato dal modello linguistico e stilistico di Omero; i poeti lirici si allontanano dalla dimensione eroica dell'epos, poi i primi Sapienti criticheranno la rappresentazione della divinità. Nonostante queste critiche Omero offre il fondamento per l'educazione scolastica e viene considerato il poeta sommo. In Platone neanche Omero sfugge alla condanna dell'arte, ma nel filosofo è presente l'attestazione del ruolo che la poesia omerica rivestiva nel costume e nel gusto contemporanei. Per Aristotele Omero è il capostipite della da cui traggono origine il genere tragico e quello comico. Con l'Ellenismo, lo studio filologico dei poemi assume una dimensione scientifica. Con il sorgere della potenza culturale in Roma, Omero esercita anche qui la sua influenza e ad inaugurare la letteratura latina è una versione dell'Odissea in latino di Livio Andronico. La poesia latina sarà l'erede della tradizione greca e questa tendenza culmina con l'Eneide di Virgilio che riprendere Odissea e Iliade. Quando il cristianesimo raggiunse la maturità che gli consentì di assimilare anche le opere della letteratura pagana, Omero rientro fra i testi esemplari della civiltà antica, nonostante le riserve motivate dal politeismo. Con il Medioevo la fortuna di Omero subisce una biforcazione: a Bisanzio i due testi sono indispensabili per l'educazione scolastica; in Occidente i poemi omerici furono ignoti. Dante riprese spunti omerici e con l'Umanesimo i due testi divennero patrimonio della cultura europea e a questo contribuì la prima edizione a stampa del 1488. Un recupero dell'ispirazione omerica stia nel 1500 con Shakespeare. Ma la rivalutazione della civiltà greca operata da Winckelmann e le teorie del neoclassicismo fecero rinascere e perdurare l'interesse e l'ammirazione per Omero. Nell’età moderna viene ripreso da Pascoli, Borges, Joyce, Weil. OMERO “MINORE” E IL CICLO 1. Gli Inni omerici Gli Inni omerici sono 33 componimenti in esametri dattilici e in lingua epico-omerica che presentano come carattere comune la dedica a una divinità. La raccolta subì delle modifiche e il titolo di Inni fu probabilmente dedotto da riferimenti interni alle opere stesse e va inteso in senso generico. In alcuni inni si rimanda a un altro canto, si è supposto che essi fossero concepiti come una sorta di introduzioni per le recitazioni dei poemi epici. All'interno degli Inni si distinguono due gruppi: 1. estesi → andamento narrativo, paragonabili ai poemi omerici (a Demetra, ad Apollo, a Ermes, ad Afrodite); 2. brevi → elogio del dio, saluto e preghiera di aiuto (a Dioniso) Gli Inni vanno collegati con una tradizione di tipo orale, lo stile porta ad ascriverli ad un'età successiva alla stesura dei due poemi, probabilmente VII e V sec. a.C. L'impronta stilistica è omerica, ma il tono non è assimilabile a quello dell'epos. Le avventure divine sono raffigurate con tratti realistici: − Inno a Demetra → la mitologia si trasforma in religione →Persefone viene rapita da Ade, la madre Demetra la cerca e l'assenza della dea causa carestia sulla terra; interviene Zeus e ordina che Persefone torni dalla madre e che soltanto per una breve parte dell'anno si trattenga sottoterra, Demetra sale pacifica nell'Olimpo. Alla desolazione della madre sono accompagnati momenti di grazia e tenerezza. − Inno ad Apollo → due composizioni → la prima celebra il dio di Delo, dove nacque Zeus, il quale viene celebrato dagli abitanti; quando lo straniero chiederà alle fanciulle quale sia il più dolce dei cantori, esse dovranno dire rispondere che è il cieco che vive nella rocciosa Chio (passo da cui ebbe origine la leggenda sulla cecità di Omero) → la seconda narra l'istituzione dell'oracolo di Delfi. − Inno a Ermes → il piccolo Ermes suonava la cetra, una sera ruba gli armenti del fratello Apollo e litigano. Zeus li fa riconciliare, Apollo era rimasto ammaliato dal suono della cetra ed Ermes per farsi perdonare gliela dona. − Inno ad Afrodite → racconta l'amore della dea per il mortale Anchise, dalle cui nozze nascerà Enea; la figura della dea è seducente ed è consapevole della follia che l'ha spinta ad unirsi ad un mortale. − Inno a Dionisio → l'argomento è l'avventura che porta il dio su una nave di pirati che volevano ricattarlo; il dio si trasforma in un leone e salva soltanto il timoniere che aveva capito la sua natura divina. Il componimento è pervaso dallo stupore davanti ad un’epifania divina. 3. Altre opere attribuite a Omero Ad Omero erano attribuite anche altre opere di carattere leggero tra il parodistico e il burlesco, questa ipotesi, sicuramente fasulla, aveva il proposito di fargli risalire il principio di ogni genere di poesia, inclusa quella comica: − Batracomiomachia → poemetto che ha per argomento la battaglia delle rane e dei topi → il re delle rane Gonfiagote persuade il figlio del re dei topi Rubabriciole a montare sulle sue spalle per visitare il lago, appare all'improvviso un serpente e Gonfiagote si immerge facendo annegare Rubabriciole; la guerra scoppia e, proprio quando la vittoria sembra ormai dei topi, Zeus scaglia il suo fulmine, e i granchi, giunti sul campo di battaglia, annientano i topi → godette di grande fortuna e costituì l'archetipo del poema eroicomico. − Margite → perduto → aveva come protagonista uno sciocco che non sapeva come comportarsi la prima notte di nozze; singolare era la struttura metrica in cui gli esametri epici e i trimetri giambici si succedevano in serie ineguali con uno straniante effetto di alternanza tra stile solenne e volgarismi. − Epigrammi → compaiono nella Vita (pseudo erodotea) di Omero → brevi composizioni in esametri, quasi sicuramente di origine popolare. • Mito di Prometeo e Pandora → narrando la vendetta di Zeus contro l'ardimento di Prometeo, che gli aveva sottratto il fuoco per consegnarlo agli uomini, il dio dona al genere umano una creatura bellissima, Pandora, con un vaso; essa lo schiude, diffondendo così per la terra tutti i mali e lasciando nell'interno solo la speranza. • Mito delle cinque età → alle origini vi fu la "età dell'oro", e gli uomini vivevano beati, vennero poi la "età dell'argento", caratterizzata da una stolta empietà, e quella "del bronzo", dedita alla guerra e alla violenza; si ha poi con la "età degli eroi" una provvisoria inversione di tendenza. Ora il poeta e i suoi contemporanei vivono nella "età del ferro", travagliata da fatica, miseria e angoscia, ma anche ad essa Zeus porrà fine: allora ogni regola di giustizia e di solidarietà sarà sconvolta, e le due dee Aidòs (Coscienza morale) e Némesis (Giusta condanna) abbandoneranno la terra. La vita umana è sempre minacciata dalla prepotenza e l'unico rimedio è la giustizia a cui è legato il lavoro. Nell'opera si alternano parti di istruzioni pratiche sull'agricoltura e sul commercio e parti di norme di comportamento. La conclusione è infine rappresentata da un calendario dei giorni che viene considerato spurio. 4. Il mondo e il pensiero di Esiodo Esiodo è il primo uomo che manifesta un panorama personale di pensieri e di convinzioni. La sua interpretazione dell'universo e dell'esistenza umana tiene conto dei dati tradizionali, ma si confronta con la realtà. Non va ricercata una coerenza intesa nei nostri termini, infatti in questa mentalità viene ignorato il principio di non contraddizione, di conseguenza idee contrastanti possono coesistere. Nell'immagine della divinità c'è uno sdoppiamento di concezione: a volte gli dèi sono l'immagine delle forze che agiscono nel mondo, a volte servono per salvaguardare l'esigenza di una superiore moralità. Il rifiuto della mentalità aristocratica si esprime nella rinuncia alla tematica guerresca e nell'esaltazione del lavoro, costituendo i valori di un mondo subalterno alle tradizioni guerresche. Egli è in polemica con la tradizione rapsodica che non si poneva il problema della verità del proprio canto, mentre a lui le Muse danno il privilegio di esprimere il vero. 5. La poesia di Esiodo La forma del poema epico sollecita l'immaginazione di Esiodo a considerare la realtà secondo uno schema di rapporti tra le cose e le parole in cui l'emozione poetica è importante. L'opera presenta una tipologia orale e così si diffuse, ma la scrittura veniva usata per memorizzare data anche l'impronta innovativa e personale dell'argomento; i temi di Esiodo sono estranei alla tradizione, ma l'influsso della poesia epica risulta fondamentale nella lingua che è la stessa dei poemi omerici. Esiodo introduce elementi personali nella dizione come i proverbi o le denominazioni, attribuiti a un sostrato popolare. L'elaborazione artistica risulta arcaica, a causa dell'incrocio delle linee, la frequenza delle ripetizioni e la connotazione elementare dei personaggi. L'esperienza personale di Esiodo è presente anche nel gusto per la descrizione dei fenomeni della natura e della vita contadina. Viene spesso usato un umorismo ruvido e e non viene celato lo sdegno di fronte alla follia e alla corruzione. 6. La fortuna di Esiodo Delle prime risonanze si trova traccia nelle Teogonie e Cosmogonie immediatamente successive. Esiodo diventa maestro di etica, Solone riprenderà l'esortazione all'equità sociale e il rifiuto della hybis. Ma la grande epoca della fortuna è l'Ellenismo, i poeti apprezzarono l'attenzione per gli aspetti quotidiani della realtà e il gusto per la mitologia e per il catalogo. Da Alessandria la suggestione di Esiodo penetra nella letteratura latina e l'influsso si rivive soprattutto nel poema didascalico: Virgilio nelle Georgiche e nelle Bucoliche ne richiama le tematiche; Lucrezio le usa per fondare un sistema di valori; Ennio ne prende l’investitura poetica. Nell'età imperiale Esiodo è uno degli autori più amati e citati, ma con la fine dell'età antica la sua fortuna declina, a Bisanzio i poemi riemergono solo nel XI sec. Nel Settecento Esiodo viene ripreso da Gravina e Monti; nell'Ottocento Leopardi ne apprezzerà la semplicità e la naturalezza; tuttavia il pensiero di Esiodo risulta estraneo al soggettivismo degli ultimi due secoli della poesia europea. LA POESIA LIRICA 1. Premessa La poesia lirica comprende diversi generi contrassegnati da differenze sia di forma sia di occasione compositiva ed esecutiva. Il termine “lirico” significa “accompagnato dalla lira”, ma soltanto alcuni di questi generi venivano eseguiti secondo tale modalità. C'è un'omogeneità di fondo derivata da condizioni storiche e culturali che accomuna l'atteggiamento dei poeti, sia dal punti di vista della loro consapevolezza del fatto poetico, sia da quello della prospettiva in cui considerano il loro rapporto con il pubblico destinatario della loro attività. Le opere dei poeti lirici sono giunte a noi nella condizione di frammenti da due diverse linee di tradizione: i papiri e le citazioni indirette di altri autori. I componimenti sono caratterizzati dalla brevità e pregni di significati concettuali ed emozionali: questo rappresenta una svolta rispetto all'epos omerico. Il poeta lirico crea per una singola occasione e il suo pubblico è ristretto in base all'occasione. L'esecuzione è orale e richiedeva alla poesia un pronunciato carattere di concretezza e immediatezza. Tuttavia, gli autori dimostrano di lanciare un messaggio che dura nel tempo. Per tutte queste ragioni è legittimo raccogliere sotto un’unica categoria le diverse manifestazioni di questa poesia. A differenza dei rapsodi, i lirici usano criteri di individualità. 2. L'uomo lirico L'uomo lirico indica non solo l'insieme dei progetti, dei pensieri e dei sentimenti condivisi dai poeti ma anche l'ambiente umano in cui essi operano. I secoli VII e VI a.C. furono di capitale importanza per la formazione della civiltà greca e la poesia lirica è indubbiamente la testimonianza più importante dei fermenti dell'epoca. Ci fu il trapasso dalla società feudale alla polis e ciò provocò un mutamento radicale nella mentalità dell'uomo greco. La civiltà greca è pervasa da vitalità e nella lirica questo si traduce in una ricerca di nuovi motivi e nuove forme. Il poeta ammaestra il suo uditorio sulla nuova percezione e interpretazione del reale; nel nuovo rapporto tra individuo e collettività egli rappresenta l'espressione di una consapevolezza riguardo ai significati dell'esistenza. 3. Forme e occasioni Il livello di elaborazione formale con cui i vari generi della poesia lirica compaiono assicura che ebbero una lunga preistoria. Ci sono già dei riferimenti nei poemi omerici, si tratta soprattutto di inni culturali e rituali. Le strutture sociali che costituiscono la sede privilegiata di quest'attività poetica e della sua esecuzione sono due: • eterìa → maschile → associazione di cittadini che poteva avere origine militare o professionale ma anche un gruppo spontaneo di cittadini collegati dall'appartenenza a un medesimo ceto, o dagli stessi scopi politici. • tìaso → femminile → gruppo raccolto intorno al culto di una divinità, come un circolo di giovani che vengono istruite e iniziate alla vita adulta da una compagna più anziana. In questi gruppi sorge la poesia lirica che viene recitata in due occasioni: • Simposio → esclusivamente maschile → i membri dell'eteria si raccolgono in un momento di festa e di solidarietà → la poesia è espressione di bellezza e comunicazione delle idee condivise dal gruppo. • Rito → omaggio del gruppo alla divinità; può anche svolgersi in una dimensione più ampia e in questo caso il poeta agisce in seguito a una committenza pubblica. Ci sono 4 generi di poesia lirica: giambo, elegia, lirica monodica e lirica corale. I primi tre esprimono sentimenti e pensieri individuali, mentre quella corale permette alla comunità di esprimersi. I. POESIA GIAMBICA 1. Forme e occasioni Il nome giambo designa sia un metro (piede di ritmo ascendente formato da una sillaba breve e da una lunga), sia il genere letterario caratterizzato da tale schema metrico. Ricorre in diverse combinazioni, la più frequente è il trimetro giambico, metodo canonico delle parti recitate, poiché ha diverse affinità con il linguaggio quotidiano. Nella preferenza ad usare il giambo si manifesta un proposito di contrapposizione al ritmo dell'epos rispetto al quale il giambo introduce un'asimmetria e un'inversione; il giambo è l'antitesi dell'epos. Le composizioni giambiche venivano eseguite in forma di parlato sull'accompagnamento di uno strumento a corde. Il dialetto era lo ionico e nella lingua residui epici si alternavano con elementi del linguaggio quotidiano. Il carattere specifico della poesia giambica è l'attacco personale e l'irrisione, ma anche temi attinenti alla politica, alla discussione di valori, alla riflessione sulla realtà, e ha anche una dimensione autobiografica. 2. ARCHILOCO (680-645 a.C.) Archiloco veniva considerato un poeta sommo come Omero; oggi possediamo circa 300 frammenti molto brevi da citazioni indirette, ma alcuni compaiono nei testi papiracei. Archiloco usa le tre forme metriche che sono tipiche della poesia giambica, ossia trimetri, tetrametri trocaici ed epodi. La radicale novità consiste nell'attingere la materia alla propria personale esperienza anziché alla tradizione. I dati della biografia si desumono dalle sue opere, è possibile dunque collocare la maturità del poeta intorno alla metà del VII secolo, la sua patria fu Paro, una delle isole Cicladi; il padre era un nobile, ma sua madre era una schiava: il bastardo era escluso dall’eredità, forse per questo si trasferì a Taso, dove militò contro i Traci venendo ucciso in battaglia. Nelle sue poesie compaiono i nomi di suoi nemici ma anche di amici apostrofati con calore di confidenza. La sua produzione presuppone un pubblico circoscritto e un'occasione specifica, il simposio. Di recente si è avanzata l’ipotesi che una parte dei giambi di Archiloco fosse destinata a feste popolari, questo deriva dall’ipotesi che la fanciulla Neobule, di cui era innamorato, e il padre Licambe fossero figure tradizionali delle feste; la prima persona usata da Archiloco non sarebbe quindi autobiografica, ma poetica. Archiloco rivendica il valore assoluto del presente e della circostanza, poiché la precarietà della condizione umana non permette di prevedere il futuro. L'individuo deve capire come fronteggiare il destino e come affrontare gli eventi sia lieti che tristi; l'esistenza vale la pena di essere vissuta con la gioia. Questa vitalità è il connotato della sua poesia. In un famoso frammento riconduce alla divinità il momento dell'ispirazione: compone quando è folgorato dal vino, ma il vino è anche Dioniso, dio del ditirambo. Il vino è anche un conforto dalle asperità della vita militare, l’enfasi eroica dell’epos è superata e la guerra è solo una dura necessità. La guerra è affrontata con toni leggeri, riuscendo a farla dissolvere di fronte al riso, denunciando le vanità umane. In alcuni passi sembra che voglia istituire un nuovo stile di vita: l’equilibrio diviene norma etica ed estetica. Gli dèi, che non sono antropomorfici e capricciosi, sono il segno di ciò che sfugge all’uomo, al quale inviano cose buone e cose cattive. In un frammento, Archiloco esorta l’amico Pericle a non crogiolarsi nel lutto in seguito ad un naufragio: occorre sopportare. Il mare è un motivo ricorrente nelle sue poesie vista la sua abitazione. In alcuni passi Archiloco si rivolge al proprio animo dicendo che bisogna resistere e opporre fierezza ai nemici; per lui la capacità di odio è un vanto e proclama di sapere ricambiare con mali tremendi chi ha fatto a lui del male. Il motivo della vendetta è fondamentale anche in rapporto all'amore, la tematica erotica è uno degli aspetti fondamentali: un frammento narra una seduzione ed è ricco di metafore per travestire particolari scabrosi. Altri passi investigano la violenza del desiderio amoroso, e con la scoperta delle reazioni fisiche l'individuo arriva alla consapevolezza del suo esistere. L'elemento della mitologia viene escluso e le metafore prendono spunto dall'esperienza sensibile. Archiloco appare ai posteri come l'iniziatore di una nuova fase della letteratura; il suo influsso si afferma subito dopo la sua morte e tracce della sua originalità si ritrovano in gran parte dei lirici. legge dell'equilibrio è il giusto mezzo. In un frammento proclama la gioia dell'amore, del vino e della poesia e in un altro frammento risponde a Mimnermo confutando il suo desiderio di morire prima della vecchiaia con l'esortazione a godere della vita fino all'ultimo. Secondo lui ogni fatto dell'esistenza ha un valore e un significato. Il suo uditorio è la collettività e si esprime con concretezza. La lingua è lo ionico della tradizione epica ed elegiaca ma si libera dal modello omerico 6. TEOGNIDE (VI secolo a.C.) L'opera che viene tramandata sotto il nome di Teognide è molto ampia e si è incerti su quanto si debba attribuire effettivamente al poeta. Si tratta di un corpus di poesie in metro elegiaco. A mettere in crisi l'autenticità dell'attribuzione è il fatto che nel corpus compaiono passi sicuramente di Mimnermo e Solone, ciò dimostra che si tratta di una miscela di vari autori. In un passo Teognide garantisce l'autenticità dei suoi versi, qui si rivolge a un giovane di nome Cirno, amato dal poeta, e questo nome ritorna ripetutamente nelle elegie che sembrano esprimere in modo più organico un'autonoma personalità. Seguendo questa sigla si pensa che i suoi versi siano circa 306. La sua biografia si ricava dalle sue poesie ma c'è un'incertezza sulla cronologia: nasce nella Grecia dorica e tracce di dorismi sono presenti nella sua poesia ionica, era di nobile famiglia ma si ritrovò in uno stato di precarietà e povertà e ciò aumento il suo risentimento contro le genti che lo avevano strappato dalla sua condizione originaria. Il senso doloroso di questo straniamento e il rimpianto di quel mondo aristocratico sono alla radice dei motivi portanti della sua poesia che ha due direttive generali: la polemica contro gli uomini che hanno sovvertito tale ordine e l'esaltazione dei principi che ne costituirono il fondamento. Teognide afferma di insegnare a Cirno i valori tradizionali dell'aristocrazia. Nei suoi versi emergono la fiducia, la delusione, la violenza dell'imprecazione e la sofferenza della miseria. Pur muovendosi nella lingua omerica il suo stile possiede un'impronta personale che corrisponde alla tensione delle sue idee. III. LIRICA MONODICA 1. Forme e occasioni Per lirica monodica si intende la poesia che veniva cantata da un solo esecutore sull'accompagnamento di una cetra. La lirica monodica si distingue dal giambo e dall'elegia per due caratteristiche: • la dimensione musicale era più pronunciata, imprimendo all'esecuzione vocale la forma della melodia, anziché quella del semplice recitativo; • la struttura era caratterizzata dall'impiego di vari tipi di strofe che si ripetevano secondo un modulo. La più antica e importante fase della lirica monodica si esprime nell’attività di Saffo e Alceo, nativi di Lesbo, in terra eolica. La raffinatezza formale di questa poesia fa supporre che essa fosse preceduta da una fase di elaborazione che ha origine nel canto popolare. L'unico altro autore della lirica monodica è Anacreonte. La strofa monodica è generalmente di ridotte dimensioni, è probabile che in ogni strofa venisse ripetuta la stessa melodia. La metrica eolica è caratterizzata dal principio dell'isosillabismo per cui il verso ha sempre lo stesso numero di sillabe, così che ogni sillaba corrispondesse alle singole note della melodia. La lingua per Saffo e Alceo è il dialetto di Lesbo, sebbene trasformino la lingua omerica secondo le norme fonetiche e morfologiche dell'eolico; Anacreonte usa lo ionico. La poesia monodica si rivolge ad ambienti circoscritti: l'eteria per Alceo, il tiaso per Saffo e la corte dei tiranni per Anacreonte. La passione amorosa trova espressione in una forma artistica musicale. L'esperienza dell'amore si presenta come la sollecitazione a scoprire in sé una dimensione unica che indirizza il poeta alla profondità della propria individualità. 2. SAFFO (630-570 a.C.) La grande poesia di Saffo si svolge intorno a un solo tema, l'amore. Saffo sceglie un aspetto singolo della realtà come percorso per indagare dentro di sé la dimensione della psiche e del sentimento. Interpreta per prima il sentimento d'amore, è legata ai cicli della riproduzione e alle verità della natura. In Grecia la donna era esclusa dalla guerra, dalla politica, dalle attività sociali ed economiche e di conseguenza risultava intensificata la sua attenzione per i fenomeni della vita interiore. L'agonismo dello spirito greco diventa in lei rivalità d'amore, una delle tante manifestazioni dell'animo che Saffo trascrive nella poesia • Vita e personalità Saffo visse a cavallo tra il VII e il VI sec a.C. era di famiglia aristocratica. Da frammenti che sembrano rimpiangere la giovinezza ormai lontana è stato dedotto che Saffo fosse giunta ad età avanzata. Una diffusa tradizione voleva che Saffo fosse morta gettandosi dalla rupe di Leucade, perché il giovane Faone aveva respinto il suo amore, ma Faone era una figura mitica. Nei suoi frammenti compaiono diverse opere dedicate agli affetti familiari: − il propempticon è un canto di buon auspicio dedicato al fratello Carasso coinvolto in una storia d'amore con una cortigiana egiziana, dilapidando suoi averi: è rimasta parte di una preghiera in cui Saffo invocava Afrodite e le Nereidi perché proteggessero il suo ritorno; − poesie dedicate alla figlia Cleide, della quale parla in un frammento paragonandone la bellezza a fiori d'oro. Oggetto dell'amore di Saffo è una schiera di giovani donne, alle quali essa rivolge i suoi canti. Sulla natura di questo legame si è riconosciuta l'omosessualità. Il tiaso è una comunità a sfondo religioso e culturale, devota a una particolare divinità e a Lesbo gli era attribuita una funzione pedagogica in cui accanto si sviluppava la formazione artistica e sociale delle giovani. L'eros omosessuale tra Saffo, che fu a capo di un tiaso e sacerdotessa di Afrodite, e le fanciulle affidate alle sue cure, rientrava in una realtà accettata e considerata normale. • L’opera Nell'edizione curata dai grammatici alessandrini la copiosa produzione di Saffo era sistemata in nove libri, suddivisi secondo i diversi schemi metrici. La tradizione medievale ha conservato solo citazioni indirette; molto di più è ritornato alla luce grazie alle scoperte papiracce di questo secolo: si tratta di testi lacunosi, che tuttavia consentono una più esatta conoscenza di Saffo. Si individuano due gruppi: 1) quello più ridotto → gli Epitalami erano canti nuziali per un coro → prima persona “lirica” (identificata col personaggio o col gruppo parlante e non con l’autore) → l'amore è un’occasione indiretta, la principale è la cerimonia nuziale. Queste composizioni hanno spesso struttura dialogica, lo stile ha un andamento semplice e spontaneo che riecheggia la fresca immediatezza della poesia popolare, caratteristiche sono l'elementarità del lessico e delle immagini, la frequenza di ripetizioni e comparazioni e l'ingenuità dei sentimenti. Saffo descrive una sposa non più molto giovane, ma lo fa con tono delicato, paragonandola a una mela posta su un ramo alto che è stata difficile da raggiungere. 2) quello più numeroso → prima persona “autobiografica” → Saffo si rivolge a dèi e umani per esprimere le sue emozioni; la qualità della sua arte si risolve sia nel rigore formale, sia nell’intensità del sentimento. Il più famoso componimento e l’unico ad arrivare intero fino a noi è il Carme ad Afrodite: travagliata da un amore non corrisposto, Saffo si rivolge alla dea perché corra da lei e le garantisca il suo aiuto; la parte centrale è costituita dalla memoria dell'apparizione della dea, ma quest'evento va inteso non come una visione reale, bensì come espressione di un'esperienza interiore. Questa forza è una norma etica che impone a chi è amato di riamare a sua volta e a tale legge la fanciulla amata da Saffo non può sottrarsi. Quest'esperienza diventa affermazione del valore assoluto dell'eros, ciò che conta non è l'amore per una persona, ma l'atto stesso di amare che è la ragione della vita. Nel frammento intitolato La cosa più bella troviamo la figura di Elena, che per Saffo non è né colpevole né vittima, ma una donna prescelta da Afrodite. Elena è ammirevole perché obbedisce all’amore che prova, abbandona tutto e segue l’uomo che ama; allo stesso modo Saffo vorrebbe rivedere il volto radioso della donna amata. Viene affermata per la prima volta la superiorità del sentimento anche su quella scala obiettiva di valori nella tradizione epica. • L'arte Il carattere primario dello stile di Saffo è l'essenzialità e la concretezza dei dettagli, la sua parola corre alla verità delle cose, rivela i fenomeni dell'esistenza nei dati di fatto. C'è una sapiente scelta di immagini, di vocaboli, di suoni che trasferiscono i dati dell'esperienza in una sorta di incantato paradiso terreno dove domina la legge dell'armonia e della bellezza. Nello stile si manifesta la volontà di reazione e innovazione: al fluire della narrazione dei poemi omerici lei preferisce la nozione sintetica. Domina il senso di bellezza che Saffo rivendica come garanzia dell'immortalità che assicura la sua opera. • La fortuna Un vaso attico del V sec. rappresenta una donna che legge una poesia di Saffo a un gruppo di ascoltatori, questo è il primo attestato sicuro della sua fama. Nel IV sec. Platone e Aristotele dimostrano che Saffo era comunemente ascritta tra i poeti più famosi. Sono soprattutto i poeti latini a celebrare la sua lirica, Catullo introduce la strofa saffica nella poesia romana, compone sul modello di Saffo epitalami e traduce uno dei suoi carmi più famosi. All'inizio del Medioevo la tradizione saffica scomparve, ma l'immagine della poetessa frustata d'amore ispirò Leopardi e anche altri poeti come Foscolo. 3. ALCEO (630-VI sec. a.C.) L'opera di Alceo si manifesta un'attitudine maschile che riguarda soprattutto la tonalità virile della visione esistenziale. La sua poesia si rivolgeva all'ambiente delle eterie e ciò dimostrava l'alto livello della vita culturale di Lesbo. Alceo nasce a Lesbo circa nel 630 a.C. in una famiglia aristocratica. Da un frammento si capisce che lui visse fino alla vecchiaia. I suoi carmi occupavano 10 libri, tra cui uno conteneva gli Inni, un altro era dedicato ai Carmi di rivolta e un altro ancora ai Carmi conviviali. Nei suoi versi sono nominati i tre tiranni che si succedettero al potere: Melancro, Mìrsilio e Pìttaco. Ecco alcuni dei più significativi frammenti: • “il pancione” → pesanti invettive contro Pittaco, accusandolo di aver tradito la sua lealtà: in sei strofe Alceo e i suoi compagni in esilio invocano la triade divina, maledicendo “il pancione” (Pittaco) che calpestò i patti. Nei canti politici emerge che la lealtà era il principio fondamentale dell'etica aristocratica; • vita da esiliato → si lamenta della vita da esiliato a cui era costretto, ma il suo rifugio è vicino al tempio dove le donne di Lesbo celebravano i loro riti e questo rovescia l'atmosfera cupa dell'inizio; • raccolta di armi → elencazione in stile arcaico di vari tipi di armi raccolti in un locale; • città e burrasca → una nave sbattuta dalla tempesta è l'immagine della città travagliata dalle discordie. Una sua caratteristica è la partecipazione immediata e impetuosa alla materia del suo canto. Un grande settore a cui si dedica è la poesia conviviale: la gioia del bere accompagna la vita, il corpo gode del calore del vino nell'inverno, ma il vino è soprattutto rimedio alle buie riflessioni della mente. Alcune testimonianze insistono sul motivo erotico in chiave omosessuale, ma non è rimasto quasi nulla su questa tematica. contro quest’ultimo Alceo scaglierà pesanti invettive, accusandolo di aver tradito la sua lealtà: in sei strofe Alceo e i suoi compagni in esilio invocano la triade divina, maledicendo “il pancione” (Pittaco) che calpestò i patti. Nei canti politici emerge che la lealtà era il principio fondamentale dell'etica aristocratica. Meglio documentati sono i carmi d'argomento mitico-religioso dove concentra il flusso del racconto in immagini e descrizioni di sobria eleganza. La sua lingua è l'eolico, ma appaiono parole rare derivate dal parlato. Alceo, date le citazioni e le riprese, era noto nell'Atene dei secoli V e IV, ma la maniera di Alceo trova particolare fortuna a Roma dove Orazio diventa il suo continuatore e la sua fortuna anche posteriore è dovuta a Orazio. 4. ANACREONTE (570-485 a.C.) Anacreonte nasce nella Ionia e introduce nella sua opera toni raffinati che appaiono propri della sua gente. Il clima sociale è mutato rispetto a quello dei precedenti poeti: non c'è più coinvolgimento nelle lotte politiche, al contrario, Anacreonte rappresenta la figura del poeta itinerante presso le corti dei tiranni. Il suo pubblico sono il signore e i sudditi, questa situazione si riflette in una tematica leggera e disimpegnata. passi in cui egli lamenta con dolorosa intensità la sua possessione d’amore, ma questa non è sentita con la vitale e totale adesione di Saffo, né con la giocosità di Anacreonte: è una condanna inesorabile. 5. SIMONIDE (555-648 a.C.) Con lui l’artista diventa un professionista itinerante di città in città che vende la sua opera a un committente pubblico o privato. Le associazioni di stampo aristocratico non scompaiono, ma loro incidenza nella vita pubblica si riduce: tanto la tirannide quanto la democrazia trasportano l’evento poetico in una sfera comunitaria, provocando il declino della lirica individuale e la prevalenza di quella corale. Simbolo di quest’unità diventano i giochi sportivi e interviene un nuovo genere corale, l’epinicio. La personalità pubblica viene celebrata nell’encomio. Un aspetto particolare di elogio pubblico è l’epitaffio, l’iscrizione celebrativa posta sulla tomba di chi è caduto in battaglia. Il “Tu” a cui si rivolge Simonide è l’uomo, considerato come partecipe delle esperienze che chiunque può incontrare nella sua vita. Quest’atteggiamento introduce nella poesia una meditazione sull’esistenza; al tempo stesso si accentua lo spazio concesso alla riflessione sulla natura della poesia. Simonide nacque nell’isola di Ceo, una della Cicladi, intorno al 555 a.C., si trasferì alla corte di Ipparco. Successivamente fu in Tessaglia. All’epoca delle guerre persiane era di nuovo ad Atene, celebrandovi l’eroismo e i trionfi della resistenza all’invasore. In tarda età si recò alle corti dei tiranni di Sicilia, presso Ierone di Siracusa e Terone di Agrigento. Della sua opera lirica restano circa centocinquanta frammenti. Esistono invece numerosi epigrammi tramandati sotto il suo nome, ma nella maggior parte dei casi la loro autenticità è controversa. • Encomio per Scopas → critica un principio dell’etica tradizionale, che faceva coincidere l’eccellenza dell’uomo con il successo, ma questo risultato è impossibile secondo Simonide, che s’oppone all’assolutezza dell’etica aristocratica e propugna una morale dei valori relativi che per un certo aspetto anticipa la Sofistica. • Preghiera di Danae → è descritta Danae che era sul mare rinchiusa in un’arca insieme al fanciullo Perseo. Sbattuta dalla tempesta, in un discorso in prima persona, l’eroina contempla il piccolo ignaro del pericolo. La tenerezza contrasta con la furia delle onde, e rasserena anche la madre che leva una preghiera a Zeus. • Canto di Orfeo → descrive gli effetti del seducente canto del poeta sugli animali dell’acqua e dell’aria. • Encomio per i caduti alle Termopili → la parola diventa eterna come la gloria degli eroi, sfidando la ruggine e il tempo che tutto distrugge. • Elegia per Platea → collega il trionfo sui barbari con gli inizi della gloria greca. • Elegie simposiali → immagina di poter giungere alle isole felici dove abitano i morti, di poter ritrovare qui il giovane Echecratide che egli aveva amato e di poter recitare a lui i propri canti in un idillico paesaggio. Il motivo della caducità delle umane cose si presenta con accenti di un pessimismo radicale e razionalmente meditato. La dimensione tragica dell’esistenza sembra risuonare in altri frammenti: neppure ai figli degli dèi è concessa una vita senza dolore e morte. La poesia simonidea non rifiuta i toni umoristici che più volte affiorano nella lirica corale. Il suo atteggiamento lo pose di fronte al problema di una definizione della propria arte, che egli risolse nella formula “la pittura è poesia senza parole, la poesia è pittura che parla”. 6. PINDARO (518-438 a.C.) L'opera di Pindaro è caratterizzata da una maestosa monumentalità. La forma del suo discorso poetico è l’enunciato assoluto. I suoi carmi presentano ellittiche successioni di immagini e sentenze, rette da fantastiche analogie. L’indifferenza verso le tendenze del presente non impedì che Pindaro ottenesse un enorme successo. Ma, oltre chela sua grandiosa qualità poetica, giocava a suo favore una straordinaria attitudine a presentare in una luce nuova quanto incisiva i miti gloriosi dell’Ellade. • Vita e opere. I frammenti Pindaro nacque in Beozia, dove il mito collocava la grande saga di Edipo e la prima guerra dei Sette. Un’ampia informazione sulla biografia di Pindaro è offerta da una serie di Vite antiche. La sua affermazione fu precoce, e già nel 498 gli fu dato incarico di comporre un epinicio per un giovane legato alla famiglia degli Alevadi di Tessaglia. È verosimile che intrattenesse rapporti con gli ambienti aristocratici della città. Nel 470 la carriera di Pindaro era al suo culmine, ed egli aveva trascorso il quinquennio precedente in Sicilia presso le corti di Ierone e di Terone. Qui incontrò Simonide e Bacchilide, istituendo con essi un rapporto di reciproca rivalità; di questa situazione è parso di riconoscere traccia in accenni polemici dei suoi carmi, che s’indignano contro chi fa della poesia una professione venale. Pindaro si propone di risacralizzare il canto restituendo l’ispirazione poetica alla sfera di un divino totale. Fra le tappe più importanti mette conto di ricordare Egina, Rodi, Corinto, Abdera, Sparta, la Macedonia, Cirene, Argo, dove morì ottantenne. La produzione poetica di Pindaro venne pubblicata dal filologo alessandrino Aristofane di Bisanzio in 17 libri, di cui i primi 11 includevano i canti religiosi, gli altri 6 quelli profani. Si sono salvati integralmente soltanto gli Epinici. Anche la voce dell’amore non fu estranea alla tematica pindarica e la tardiva passione per Teosseno gli spirò un encomio dove sono celebrati i raggi che, sprigionando dagli occhi del giovinetto, accendono e sciolgono il cuore del poeta. L’Inno a Zeus conteneva una cosmologia cantata dalle Muse alle nozze di Cadmo e Armonia. Nel Peana 6 Pindaro iniziava con una grandiosa supplica a Zeus, alle Cariti e ad Afrodite perché accogliessero in lui il profeta delle Muse. Il Peana 9 ai Tebani si apre con un’eclissi e invocando il sole, la cui imprevista scomparsa fa supporre un cataclisma. • Gli Epinici Gli Epinici sono raccolti in quattro libri: il libro delle 14 Olimpiche si collega così alle gare in onore di Zeus. Le 12 Pitiche traggono origine dai giochi per Apollo Pizio. Le 11 Nemee si riferiscono alle gare biennali che avevano luogo a Nemea. Occasione delle 8 Istmiche era costituita dai giochi che si svolgevano a Corinto in onore di Poseidone. Nella gloria di questo evento sublime sta il senso dell’epinicio pindarico, che celebra la gioia e la pienezza vitale dell’istante, e al tempo stesso lo rende perenne con il dono della poesia. La vittoria è il segno tangibili e della presenza divina nelle cose umane, che i grandi miti eroici testimoniano e per la coscienza etica gli dèi valgono come garanzia della norma superiore alla quale la vita dell’uomo deve uniformarsi. I carmi di Pindaro costituiscano un tutto altamente omogeneo, in cui fratture e paesaggi repentini (i cosiddetti “voli pindarici”) non infrangono una sostanziale coerenza. Nell’epinicio di Pindaro si riconoscono di consueto tre linee tematiche: 1) l’elogio → riferimento al vincitore e alla sua situazione familiare ed etnica, e all’occasione della vittoria; 2) il mito → prevede la trattazione di un episodio tratto dal patrimonio leggendario della Grecia, in rapporto con le tradizioni familiari del celebrato; 3) la gnome → l’enunciazione del sentimento a carattere religioso e morale, offre lo strumento poetico sia per attrarre l’attualità dell’occasione in una sfera di valori assoluti, sia per interpretare la vicenda mitica secondo i criteri di una morale tuttora valida per gli uomini del presente. Negli epinici compare di frequente una prima persona che non è possibile identificare con certezza, ma in questi “io” si riassume quel senso di vitale e diretto coinvolgimento che rappresenta la costante della mentalità lirica: • Olimpica 1 → scritta per la vittoria di Ierone, inizia con un’immagine in cui acqua, oro, fuoco e sole vengono convocati a confronto per esaltare l’eccellenza dei giochi d’Olimpia e la regalità di Ierone. • Nemea 10 → si apre con un ampio elogio di Argo, l’atleta celebrato è argivo e ha già ottenuto molte vittorie, incrementando la fama degli avi: tra questi fu un uomo che ebbe l’onore di ospitare i Dioscuri. Ha qui inizio il ricordo mitico, che vede Castore perire in uno scontro contro i figli di Afareo, i quali caddero sotto la vendetta di Polluce; egli, ritornato poi presso il fratello morente, supplicò Zeus di poter condividere la sua sventura come ne aveva condiviso la vita. Il dio gli concesse di scegliere fra la vita immortale e la sorte di trascorrere insieme a Castore un giorno nella beatitudine dell’Olimpo, e un giorno sottoterra, alternativamente; e Polluce non esitò ad optare per la seconda alternativa. • Olimpica 7 → la storia mitica di Rodi è rievocata lungo tre momenti: i suoi abitanti attuali vantano di trarre origine da Tlepolemo, ma l’oracolo narra che alla nascita di Atena, Zeus aveva ordinato ai Rodii di celebrare un sacrificio, di cui si dimenticarono; ancora prima, quando gli dèi si divisero il mondo appena creato, avevano dimenticato di assegnare la sua parte al Sole: questi vide un’isola e chiese che fosse fatta sbocciare dagli abissi. Da allora Rodi fu il suo retaggio. • L'arte La lingua di Pindaro rientra nella convenzione della melica corale: sono inseriti elementi epici ed eolici, insieme a qualche fenomeno del dialetto beotico. Lo stile è caratterizzato da una concretezza fantastica, di conseguenza la dizione si concentra in enunciati sintetici e definitivi. Pindaro proclama l’assolutezza metastorica del divino, raffigurandola negli stessi caratteri formali della propria poesia. Funzione di questa è rivelare il divino, non investigarlo secondo gli schemi della ragione. La poesia lirica aveva affermato un’altra verità: il valore supremo del momento estetico. Il significato ultimo del suo universo si riassume nel sentimento della bellezza. • La fortuna La rinascita della fortuna di Pindaro inizia con l’Ellenismo: è Callimaco a presentare più frequenti riprese pindariche, ma queste non mancano pure in Apollonio Rodio. I poeti latini, pure riconoscendo la grandezza di Pindaro, non si lasciano allettare dalla sua imitazione. Gli Epinici sopravvivono nella cultura bizantina, poiché sono “più umani, meno ricchi di miti”. Nel Rinascimento si afferma la moda pindarica che dilagherà nell’età barocca. 7. BACCHILIDE (516-451 a.C.) Verso la fine del secolo scorso è tornato alla luce un complesso di carmi di Bacchilide, tra questi alcuni epinici. Lui e Pindaro composero questi carmi per occasioni analoghe, a volte anche per celebrare una stessa vittoria, inoltre attingono a un repertorio comune di miti e di motivi e seguono criteri strutturali abbastanza uniformi; ma danno luogo a risultati diversi, emblematici dei cambiamenti culturali che stavano avvenendo in Grecia. • Pindaro puntava ad accentuare il carattere sacrale dell'atto poetico; • Bacchilide si presenta come la componente di un'occasione festiva, la divinità è un condizionamento della tradizione che non si risolve in sgomento di fronte al soprannaturale. Il suo esordio avvenne intorno al 485, era un poeta itinerante. La sua opera è divisa in 9 libri, 6 per i carmi culturali, 3 per quelli profani. Nuove scoperte hanno aggiunto alcuni residui. Nei suoi epinici è evidente la strutturazione tripartita del carme secondo lo schema: elogio-occasione, mito e gnome, ma a differenza di Pindaro che li combina, Bacchilide li dispone lungo una successione lineare. Egli non concentra la vicenda nell'attimo, ma la distende in un'esposizione che comporta una durata. C'è una pronunciata attenzione alla psicologia dei personaggi e un'attenzione minuta per i particolari. • Epinicio 5 → Eracle e Meleagro → Eracle discende nell'oltretomba e incontra l'ombra di Meleagro al quale chiede di raccontare la sua storia, l'ombra risponderà che l'ira degli dèi aveva fatto infuriare il cinghiale che devastava Calidone e che morì a causa di una contessa per la pelle del cinghiale e per mano di sua madre; Eracle gli chiede se nella sua casa ci sia una giovane donna da prendere in sposa e Meleagro suggerisce la sorella Deinaira. Si richiama qui la sorte futura dell'eroe che morirà per mano della fanciulla. • Epinicio 3 → il miracolo di Creso → quando i persiani distrussero sardi il re creso non volle sopravvivere la schiara e fece costruire una Pira sulla quale ha scese con la moglie e le figlie mazes interviene a spegnere le fiamme e Apollo trasporta il re e la sua famiglia nel paese degli iperborei • Ditirambo 17 → l’avventura di Teseo → Teseo è su una nave con il re Minosse, il quale lo sfida a riportare dagli abissi del mare un anello, il giovane si tuffa e Minosse dà ordine che la nave riparta, ma i delfini trasportano l'eroe nella reggia del padre Poseidone, il quale lo fa ricomparire presso la nave di Minosse. Il trionfale ritorno è anticipazione della famosa storia tra Teseo e Arianna. • Ditirambo 18 → Teseo → il re ateniese Egeo e il popolo commentano la notizia che un giovane prodigioso (Teseo) si avvicina alla città sterminando i mostri: tutto si gioca sull'ignoranza dei personaggi e la consapevolezza del pubblico che riconosce immediatamente Teseo. I suoi carmi hanno un'atmosfera di fiaba con il suo vertice di terrore e il gratificante lieto fine. Nei ditirambi risulta assente il riferimento all'occasione ed erano opere prive dell'elemento dionisiaco. La lingua che usa è il dorico con venature omeriche; l'innovazione linguistica rappresenta una costante tipica del suo stile, ricco di tragedie che potevano collegarsi in un omogeneo complesso tematiche, si aveva così una trilogia; altrimenti le opere potevano essere indipendenti una dall'altra. Ad esse seguiva il dramma satiresco. Lo schema strutturale prevedeva un'introduzione ampia, in cui un prologo precedeva il pàrodo (canto d'entrata del coro). Poi c'erano gli episodi (atti), che potevano essere da 3 a 7 e in essi recitavano gli attori, ma poteva parlare anche il coro. Essi erano separati dal canto del coro accompagnato da movimenti di danza, questa parte era chiamata stasimo. La conclusione era costituita dall'esodo. La scena fissa e l'azione ininterrotta imponevano certi vincoli; c'erano due convenzioni di base che ponevano gravi limiti alla libertà dell'autore, ma per un altro verso gli conferivano altrettanta creatività sul versante dell'interpretazione: • la tragedia era costruita su vicende di cui erano universalmente noti i dati e gli sviluppi fondamentali e la conclusione → il pubblico si concentrava non su ciò che sarebbe accaduto, ma nel modo in cui vi si giungeva; • era ridotta al minimo l'azione scenica in favore dell'informazione. 5. L’idea del tragico L'idea del tragico è una categoria della consapevolezza che l'uomo ha di sé e del mondo. La conoscenza tragica nasce di pari passo con lo sviluppo della tragedia. Aristotele ha formulato nella Poetica una definizione celebre, ma sarà una sentenza di Goethe a prospettare la cornice più ampia entro cui va inquadrato il tentativo di definire la natura del tragico: “Ogni tragicità è fondata su un conflitto inconciliabile. Se interviene o diventa possibile una conciliazione, il tragico scompare”. Nell'esperienza dell'uomo, il conflitto più inconciliabile è quello tra libertà e necessità, ossia tra l'azione decisa in vista di un fine e le forze che impediscono di raggiungerlo. Viene presa coscienza di questo conflitto con due constatazioni: la prima è che all'uomo non è dato di prevalere in ogni caso; la seconda è che occorre prendere atto della possibilità che un'azione rivolta a un fine avesse poi conseguenze opposte. L'uomo greco esorcizzava il rischio e il sentimento della frustrazione scaricandone le tensioni nella tragedia: l'azione è anche una scommessa sull'ignoto che assume la figura della divinità, quella che appare come libertà è una necessità imposta dal volere divino. La libertà non è altro che illusione. La tragedia sorge come simbolo scenico del mistero senza pretendere di spiegarlo. L'eroe tragico si assume la responsabilità della propria sorte. Può accadere che la vicenda si chiuda con una conciliazione che sembra premiare l'uomo mettendo in dubbio la concezione di una tragedia conclusa dalla sua rovina; tuttavia, in questo caso il tragico rimane insieme all'impotenza di fronte all'ignoto. La tragedia consente una conoscenza più profonda, la verità con cui essa rappresenta la condizione umana adempie a un fine conoscitivo, etico ed estetico. 6. I primi tragici Secondo la tradizione, l'inventore della tragedia fu TESPI (VI sec. a.C.) che avrebbe rappresentato la prima tragedia alle grandi dionisie tra il 536 e il 532 a.C. le fonti affermano che a lui si deve l'introduzione dell'attore contrapposto al coro e della maschera. I quattro titoli e i frammenti potrebbero essere falsificazioni posteriori. Svolse un ruolo decisivo il tiranno Pisistrato (gov. 546-528 a.C.) e organizzò le feste dionisiache nel quadro di un programma politico che mirava a raccogliere la cittadinanza nel culto di un Dio estraneo alle divinità olimpiche, per sottrarla alle manovre dei suoi oppositori, amalgamandola sotto l'insegna di un Dio che fosse comune a tutte le classi. Fu il primo a intuire le potenzialità della tragedia che renderanno Atene il centro di una nuova cultura. CHÈRILO iniziò a partecipare agli Agoni della 64esima Olimpiade (523/520). Il numero dei suoi drammi è elevato. FRINICO (535 a.C. - 476 a.C.) è stato il primo tragico a presentare sulla scena personaggi femminili per superare l'originaria stilizzazione in favore di una maggiore aderenza alla realtà. Altra caratteristica è l'apertura ad eventi della storia contemporanea, come nel dramma Conquista di Mileto e nelle Fenicie. I riferimenti non celati ai personaggi storici non ebbero successo, infatti, la tragedia continuerà a fare politica indirettamente. PRÀTINA (540-476 a.C.) non era ateniese e fu probabilmente il primo a comporre drammi satireschi. ESCHILO (Eleusi, 525 a.C. – Gela, 456 a.C.) 1. Premessa Eschilo conferì al genere tragico un'impronta originale e definitiva. La vittoria sui Persiani aveva fatto di Atene l'epicentro del mondo di cultura greca: la vita politica, sociale e culturale era improntata a uno straordinario dinamismo. Urgeva l'esigenza di affrontare secondo una nuova ottica le problematiche relative alla natura e al destino dell'uomo e al suo esistere nel mondo. La tragedia costituiva la sede ideale per una meditazione sulla realtà che coinvolgesse l'intera comunità. La genialità di Eschilo consiste nel conferire all'organismo drammatico l'attitudine a investigare ed esprimere un mondo di valori; egli aumentò il numero degli attori da 1 a 2, grazie ai quali divenne possibile introdurre il confronto e l'opposizione di individui e di idee, aumentò le sezioni riservate al dialogo e ridusse le parti corali. Da questa riforma dipende la vita del genere tragico. 2. La vita e le opere Nasce intorno al 525 a Eleusi, era di nobile famiglia e cominciò in giovane età a comporre per il teatro. Prese parte alle guerre contro l'invasione persiana. La sua prima vittoria nei concorsi tragici risale al 484 con un'opera a noi ignota. Ottenne diversi successi, l'ultima vittoria è con Orestea nel 458. Sono conservate 7 tragedie su un totale di 90 opere, di cui rimangono alcuni titoli e frammenti. 3. Le tragedie rimaste: • Persiani (472 a.C.) → soggetto: disfatta di Serse a Salamina. Nel pensiero arcaico il mito è storia, quindi era possibile introdurre nella sfera dell'esempio sacro accadimenti della realtà in cui era agevole individuare l'esperienza universale. I Persiani sono la prima tragedia greca conservata in forma integrale. Le forme prevalenti sono quelle del racconto e del lamento. La rovina dell'esercito persiano è presagita dall'ansia dei consiglieri di corte che si contrappone all'orgogliosa esaltazione dell'immane armata, e dal sogno angoscioso della regina madre. La catastrofe è annunciata nella sua effettiva realtà dal racconto del messaggero che porta la notizia del disastro di Salamina. Il nucleo della tragedia è l'elogio di Atene in cui il pubblico e l'autore stesso dovettero esaltarsi al ricordo del valore degli uomini e nel vanto di una struttura politica che garantiva uguaglianza e libertà. Eschilo subordina la glorificazione della propria città al dolore dei vinti, facendo di loro i protagonisti del dramma. La sconfitta di Serse è punizione di chi si è creduto pari a un dio ma è soprattutto constatazione disperata della precarietà della condizione umana. • I Sette contro Tebe (467 a.C.) → conclusione di una trilogia → tema: destino che si abbatte sulla casa dei Labdacidi fino a condurla all'estinzione. I due figli di Edipo giungono al fatale incontro: la tragedia si apre con l'ingresso di Eteocle, re di Tebe, il quale si trova alle calcagna l'esercito guidato da suo fratello Polinice, in procinto a condurre l'assalto finale. A questo punto giungono alcune donne tebane, che manifestano il loro terrore per il pericolo incombente, al termine del quale arriva il messaggero che informa che sei delle sette porte di Tebe hanno tenuto, dunque l'attacco è stato respinto; ma nella settima porta Eteocle e Polinice si sono massacrati reciprocamente: la felicità per la vittoria passa in secondo piano, vengono portati in scena i cadaveri dei due fratelli, e il coro piange la loro triste sorte. in cui si uccideranno a vicenda. Della casa di Edipo restano due figlie. Si prova orrore e pietà davanti all'inesorabile procedere della giustizia divina e all'annientamento di una stirpe; la tragedia acquista il carattere di una meditazione sulla sorte dell'umanità. • Le supplici (463 a.C.) → la prima di una trilogia → soggetto: l'arrivo ad Argo delle 50 figlie di Danao, fuggite dall'Egitto per evitare delle nozze forzate con i figli del re d'Egitto, che però le inseguono nel corso della tragedia. Il coro è coinvolto e le sue parti sono più estese. Pelasgo si trova davanti ad una alternativa, o rifiutare la protezione richiesta dalle supplici che lo esporrebbe a una sanzione divina, o negare le fanciulle agli Egizi che significherebbe trascinare il suo popolo in una guerra. Qui s’intravedere l'embrione di un processo fondamentale per il genere tragico: il dilemma in cui un personaggio si trova costretto a scegliere tra due alternative pur sapendo che entrambe provocheranno dolore e colpa. La furia e il pathos delle fanciulle ne caratterizzavano la femminilità e la loro natura barbara. La tragedia si conclude con l'arrivo degli Egizi e la guerra inevitabile. Nelle altre due tragedie, dopo la morte di Pelasgo le Danaidi furono costrette a sposare gli Egizi ma si vendicarono; solo una salva il marito per amore, le altre vennero decretate colpevoli da Afrodite e costrette a sposarsi con vincitori di gare. • Prometeo incatenato (470-460 a.C.) → incertezze sull'attribuzione sia per il linguaggio lontano dagli altri drammi, sia per la denigratoria raffigurazione di Zeus → soggetto: Efesto, il Potere e la Forza hanno catturato il titano Prometeo e lo hanno incatenato ad una rupe, Zeus lo punisce perché ha donato il fuoco agli uomini. Prometeo conosce un segreto che potrebbe causare la disfatta del potere olimpico retto da Zeus: il frutto della relazione fra Zeus e Teti che potrebbe generare un figlio in grado di spodestarlo. Zeus invia il dio Ermes per estorcere il segreto, ma Prometeo non cede e viene scagliato. Zeus si vale del suo potere assoluto per violare ogni principio di riconoscenza. Prometeo è campione della propria libertà interiore. • Orestea (458 a.C.) → la carriera drammaturgica si conclude con la vittoria nel 458 → trilogia conservata per intero, i tre drammi narrano l'uccisione di Agamennone per mano della moglie Clitennestra, la vendetta che su entrambi prenderà Oreste figlio di Agamennone, la persecuzione di Oreste ad opera delle Erinni: 1) Agamennone → antecedenti: Agamennone, sovrano di Argo, alla partenza per la guerra di Troia non aveva venti favorevoli, così per propiziarsi gli dei aveva sacrificato la figlia Ifigenia. La moglie Clitennestra aveva deciso di vendicare il sacrificio della figlia, convincendo Egisto, suo amante, ad aiutarla → trama: all'inizio si vedono i fuochi di Troia che annunciano la caduta della città dopo la guerra, entra in scena l'araldo, che annuncia che Troia è caduta e che Agamennone sta tornando. Clitennestra afferma di aspettare con ansia e rancore il marito: esteriormente esulta per il trionfo del marito, ma nel profondo esulta perché si avvicina il momento della vendetta; così lo convince ad entrare a casa calpestando tappeti di porpora (emblema dello scorrere del suo sangue). Sulla scena rimane solo la profetessa Cassandra che dialoga con il coro, rapita da un'estasi profetica, rivede le disgrazie subite in passato dalla casa reale di Argo e prevede che tanto Agamennone quanto lei stessa saranno uccisi. Dall'interno si sente il grido di Agamennone colpito a morte e compare Clitennestra madida di sangue e esultante di ferocia. Egisto condivide il suo trionfo. 2) Coefore → Oreste il figlio di Agamennone torna ad Argo e vuole vendicare il padre. Apollo lo ha minacciato di una terribile lebbra se non ricambierà di morte gli uccisori di suo padre e lo ha affidato a Piliade. I due vanno sulla tomba di Agamennone e depongono come offerta una ciocca di capelli, ma si nascondono appena entrano in scena Elettra, sorella di Oreste, e le coefore (portatrici di libagioni per i defunti, mandate da Clitennestra). Elettra intuisce dai capelli e dalle impronte che il fratello si trova lì, i due si incontrano e si abbracciano teneramente. La scena principale è l'evocazione della potenza paterna, Oreste si presenta alla madre, che non lo riconosce, portando la notizia della propria morte, Clitennestra è straziata. Quando Egisto sopraggiunge, Oreste lo uccide, rivolgendosi subito dopo alla madre, che tenta di muovere Oreste a pietà, mostrandogli il seno per ricordargli di quando ella si prendeva cura di lui da bambino. Il figlio esita, così Pilade (gli ricorda l'ordine del dio: Oreste giustizia la madre accanto al cadavere di Egisto. La tremenda vendetta è compiuta, ma subito appaiono le Erinni, dee vendicatrici dei delitti, in specie quelli tra consanguinei. Inseguito da loro, Oreste fugge. 3) Eumenidi → Oreste si rifugia nel santuario di Apollo a Delfi per sfuggire alla persecuzione delle Erinni. Apollo lo esorta ad andare ad Atene dove troverà fine alla sua sofferenza. Lo spettro di Clitennestra risveglia le Erinni che raggiungono Oreste, lo circondano e lo minacciano, ma Oreste non si lascia turbare e con l'intervento della dea Atena convince le Erinni a sottoporre la decisione del loro diritto a un tribunale di Ateniesi. Ha luogo un dibattito e Oreste risulta assolto. Le Erinni reagiscono con rabbia alla sentenza, minacciando a più riprese morte e distruzione. Atena riesce a calmarle e, garantendo loro venerazione eterna, le convince a diventare Eumenidi, ovvero divinità della giustizia anziché della vendetta. L'Orestea è il documento di un pensiero teso a investigare le ragioni sociali e storiche del vivere umano, portando sulla scena un remoto fatto del passato, ma rivivendolo nella meditazione del presente. • Trachinie (440 a.C.) → prende nome dalle donne della città di Trachis che compongono il coro, oppure il titolo allude al ruolo principale femminile di Deianira, moglie di Eracle. L'eroe è impegnato nel compimento delle sue fatiche e manca da casa da molto tempo. Deianira, preoccupata, invia il figlio Illo a cercarlo. Poco dopo, giunge un messaggero che annuncia il ritorno di Eracle, e introduce un gruppo di prigioniere di guerra d. Tra le prigioniere c'è anche la bellissima Iole. Deianira, impietosita, decide di accoglierla a palazzo. Il messaggero però rivela a Deianira che non solo Eracle si era invaghito di Iole, ma anche che aveva espugnato Ecalia soltanto per averla. Deianira aveva ricevuto in dono un magico filtro che portava Eracle a non amare altre donne e ne riempie la veste di lui. Qui emerge l'ironia atroce per cui un'azione si converte in rovina: Eracle, indossata la tunica, si avvicina alla pira dei sacrifici e improvvisamente il sangue avvelenato si era rappreso per il calore e la tunica si era attaccata alla pelle, che si staccava a brandelli, maledice Deianira, mentre lei si ritira nella reggia per morire. Eracle vuole punire la moglie, ma si ricorda che gli era stato predetto che sarebbe morto per mano di un morto. Eracle ordina al figlio di portarlo in cima a un monte e di collocarlo sopra una pira alla quale appicca il fuoco, poi dovrà sposare Iole e far da padre al figlio concepito da Eracle → temi: Eracle è simbolo dell'uomo grande e provvidenziale e deve morire perché gli uomini sono impotenti davanti all'oscuro progetto degli dèi e sono condannati a percorrere la propria strada nell'ignoranza delle circostanze e alla fine provocano la loro rovina. • Edipo Re (anteriore al 425 a.C.) → la trama: Edipo è impegnato a debellare una pestilenza che tormenta Tebe, la sua città, egli afferma di aver già mandato Creonte, fratello della regina Giocasta, ad interrogare l'oracolo di Delfi sulle cause dell'epidemia. Al suo ritorno Creonte rivela che la città è contaminata dall'uccisione di Laio, il precedente re di Tebe, che è rimasta impunita Creonte racconta al re che, al tempo in cui la città era sotto l'incubo della Sfinge, Laio stava andando a Delfi quando, lungo la strada, fu assalito da briganti che lo uccisero. Il re convoca l'indovino Tiresia, che accusa Edipo di essere l'autore dell'omicidio. Edipo resta turbato e comincia a raccontare che da giovane era principe ereditario di Corinto, figlio del re Polibo, e un giorno l'oracolo di Delfi gli predisse che avrebbe ucciso il proprio padre e sposato la propria madre. Sconvolto da quella profezia, aveva deciso di fuggire, ma sulla strada tra Delfi e Tebe, aveva avuto un alterco con un uomo e l'aveva ucciso. Se quell'uomo fosse stato Laio? Giunge un messo da Corinto che informa che re Polibo è morto, poi aggiunge che i sovrani di Corinto non sono i suoi genitori naturali, in quanto Edipo era stato adottato. Il servo di Laio conferma che aveva ricevuto il figlio di Laio con l'ordine di ucciderlo, ma non l'aveva fatto e l'aveva consegnato al pastore, che l'aveva portato a Corinto. Giocasta si è impiccata e che Edipo si è accecato. In quel momento appare Edipo che chiede a Creonte di essere esiliato → i temi: l'ironia dell'azione che genera rovina invece del bene, la fatale ignoranza dell'uomo, l'inganno che nasce dalla pretesa umana di decifrare gli oracoli. Ci sono due tensioni: una che nell'indagine di Edipo sui misteri che lo circondano; l'altra che definisce la figura di Edipo come un mistero da decifrare. Egli rappresenta l'impotenza dell'uomo di fronte alle forze che trascendono la sua volontà. • Etettra (409 a.C.) → la trama: Oreste, figlio di Agamennone, torna dopo molti anni a Micene, in compagnia di Pilade e del Pedagogo, per vendicare la morte del padre, ucciso dalla moglie Clitennestra e dal suo amante Egisto. Da bambino Oreste, che correva il rischio di essere anch'egli ucciso in quanto erede al trono, era stato salvato dalla sorella Elettra. Oreste organizza un tranello: diffonde la falsa notizia della propria morte, che gli permette di constatare la gioia della madre Clitennestra. Elettra è disperata e decide che sarà lei a vendicare il padre, Oreste le rivela la propria identità, ed insieme i due organizzano un piano per attuare la loro vendetta. Oreste penetra nel palazzo e uccide la madre supplicante, poi incontra Egisto e lo trascina fuori scena per ucciderlo → i temi: Sofocle riprende la medesima materia delle Coefore, quest'opera rappresenta un'eccezione nel suo teatro perché rinuncia ad esporre una visione tragica del mondo e l'interesse dell'azione è concentrato sul ritratto psicologico di Elettra. • Filottete (409 a.C.) → la trama: Filottète è stato abbandonato dieci anni prima sull'isola di Lemno dai suoi compagni in viaggio verso Troia, a causa di una ferita infetta e puzzolente provocatagli da una vipera. Tuttavia, un oracolo svela ai greci che senza l'arco di Filottete la guerra non potrà mai essere vinta. Essi incaricano Odisseo e Neottolemo di andare sull'isola per recuperare l'arco. Odisseo, eroe meschino e crudele, ha un piano diabolico: Neottolemo dovrà fingere di avere litigato con i capi greci e cercare di accattivarsi la fiducia di Filottete, per farsi consegnare l'arco. L'inganno riesce, però Neottolemo si pente, riprende l'arco a Odisseo e lo riconsegna a Filottete. Odisseo si infuria e solo l'intervento di Eracle ex machina appiana i dissapori e convince Filottete a imbarcarsi per Troia → i temi: la tragedia ha un esito positivo determinato dall'irrazionalità del reale. Neottolemo raggiunge la maturità come uomo e Filottete comprende la verità umana della solidarietà. I due si abbracciano, la conquista di Troia parte dai due uomini nuovi che portano valori genuini. In loro si esprime l'autenticità dell'uomo che crea il proprio destino quando si sottomette adesso, scrutando le ragioni del suo vivere ed essendo capace di comprendere e amare la debolezza e la forza della condizione umana. • Edipo a Colono (401 a.C.) → la trama: Edipo, ormai cieco, nel suo vagabondare insieme alla figlia Antigone, arriva a Colono in obbedienza ad un'antica profezia che diceva che lì sarebbero terminati i suoi giorni. Gli abitanti del luogo vorrebbero allontanarlo, ma il re di Atene, Teseo, gli accorda ospitalità. Edipo rivela a Teseo che quando i Tebani diverranno nemici degli Ateniesi la sua tomba preserverà i confini dell'Attica. L'altra figlia, Ismene, li raggiunge portando la notizia dello scontro fra i fratelli Eteocle e Polinice. Secondo un oracolo la vittoria sarebbe arrisa a quello dei fratelli che fosse riuscito ad assicurarsi l'appoggio paterno. Arriva anche Creonte, re di Tebe, per convincere Edipo a tornare in patria, prende in ostaggio le figlie, che vengono però messe in salvo da Teseo. Giunge poi Polinice nel tentativo di ingraziarsi le simpatie del padre, ma egli maledice lui e il fratello. Edipo viene accompagnato da Teseo in un boschetto sacro alle Eumenidi e lì sparisce per volontà degli dèi. Le due sorelle si preparano a fare rientro a Tebe → i temi: argomento conduttore è l’uomo segnato dalla miseria della carne e dalla disperazione dell'animo. Sofocle torna sul personaggio della sua opera massima, consapevole che qualcosa era rimasto aperto. Edipo porta in sé il mistero della predestinazione, i suoi patimenti sono stati infiniti, ma gli dei hanno deciso che il suo corpo sia santo. La tragedia trova nel tema della vecchiaia il tono della meditazione nostalgica dell'esistenza. 4. La drammaturgia di Sofocle Il dramma di Sofocle è il risultato lucido e coerente di un'idea del teatro che si propone di rappresentare sia una realtà alternativa rispetto all'esistenza quotidiana, sia l'immagine universale della condizione umana. Sofocle esprime le leggi profonde del reale nella carne e nel sangue di un eroe che patisce sulla scena le sorti di tutta l'umanità. La successione degli avvenimenti dimostra una consapevole ricerca degli effetti della sospensione e del colpo di scena. Il teatro di Sofocle è popolato di protagonisti impotenti e inflessibili che rimangono fedeli alla propria natura e ai propri progetti fino all'esito ultimo che può vedere la loro rovina, ma non esclude la possibilità di una salvezza misteriosa. C'è un conflitto che si esplica su due piani: l'eroe e il coro, ossia l'individuo e la comunità che non riescono a soffrire insieme né a collaborare. L'eroe è escluso dalla comunità o spesso si oppone allo stato. Mentre in Eschilo l'eroe prendeva forza dalla collettività qui essa non riesce più a contenere l'individuo. I protagonisti sono esempi di emarginazione volontaria o subita. 5. Lo stile di Sofocle L'organizzazione del dramma proietta l'ombra di un presentimento che anticipava la fine di un cosmo di valori e sicurezze. C'è una bilanciata polarità che esalta ora la funzione dell'antitesi e ora quella del parallelismo. Un equilibrio regola la frase alla forma metrica creando una dimensione sonora dove sembra riecheggiare la musica dell'universo. Sofocle mirava a esorcizzare, attraverso l'armonia della forma artistica, le contraddizioni della realtà; sentiva come il mondo fosse pericoloso e dominato da forze incomprensibili. 6. Il mondo concettuale di Sofocle Prendono il sopravvento il dubbio, l'orrore, la disperazione: questa è la condanna umana. Il dio di Eschilo è il garante di una giustizia superiore, in Sofocle gli dèi sono i responsabili del male di esistere, il sentimento religioso è per lui l'accettazione di quel mistero dell'essere in cui l'uomo può trovare la miseria e il disastro. Gli stessi uomini sono puniti dal destino, ma la loro caduta è anche un'esaltazione. La diversità e l'esclusione sono il tramite per il ritorno a una condizione umana. In questa verità aspra e penosa sta il traguardo della sua religiosità, che è il senso della sua tragedia. EURIPIDE (Salamina, 485 a.C. – Pella, 406 a.C.) 1. Premessa Euripide intuisce la crisi finale della tragedia e tenta di adeguare l'evento tragico all'evoluzione dei tempi con l'apertura a nuove problematiche e con un'audace sperimentazione formale. Il suo proposito fu frainteso e si preferì individuare in lui l'evasore della tragedia, anziché colui che ne aveva presagito la fine. Ciò porta una serie di problemi concreti: la condizione della donna, dello straniero, dell'emarginato. Non c'è più spazio per i misteri del trascendente, sono i rapporti tra gli uomini nella quotidianità a monopolizzare la riflessione. Gli dèi diventano la metafora delle istituzioni e delle convenzioni che il corpo sociale ha imposto a sé stesso e non più delle forze irrazionali. Ci sono delle innovazioni drammaturgiche: • l'introduzione dei prologhi espositivi che anticipano anche la conclusione della vicenda; • l'ampio spazio concesso ai dibattiti di tipo argomentativo; • il ricorso al riconoscimento tra persone che ignoravano la reciproca identità esprime la fiducia nella possibilità di scoprire la verità dei rapporti umani; • la rappresentazione psicologica diventa l'elemento portante, in cui si oppongono il pessimismo nato dalla consapevolezza che l'uomo si costruisce da solo le miserie e l'ottimismo che deriva dalla consapevolezza che vale la pena lottare per annientare i pregiudizi; è in questo contrasto che si esprime la sua poesia. 2. La vita e le opere Nasce intorno al 485, riceve un'educazione poetica e musicale che gli serve per l'attività di drammaturgo e ciò conferma la sua buona condizione famigliare, fu il primo a possedere una biblioteca privata. Non fu amato dai suoi concittadini. L'esiguo numero di successi dimostra che gli Ateniesi sentivano la diffidenza e l'avversione per la critica verso le loro opinioni e il loro comportamento. Era un intellettuale solitario che amava ritirarsi a riflettere e comporre; non prese parte alla vita pubblica della città. Scrisse 92 opere ma oggi ne abbiamo 10. 3. Le tragedie rimaste: • Alcesti (Dionisie, 438 a.C.) → fa parte di una tetralogia tragica che si conclude con una tragedia a lieto fine, appunto Alcesti, e non con un dramma satiresco → trama: Apollo narra di essere stato condannato da Zeus a servire come schiavo nella casa di Admeto, re di Fere, per espiare la colpa di aver ucciso i Ciclopi come vendetta all'uccisione del figlio Asclepio per mano di Zeus. Apollo nutriva per Admeto un grande rispetto, tanto da esser riuscito ad ottenere dalle Moire che l'amico potesse sfuggire alla morte, a condizione che qualcuno si sacrificasse per lui. Nessuno, tuttavia, era disposto a farlo: solo l'amata sposa Alcesti lo era. Quando sulla scena arriva Thanatos, la Morte, Apollo tenta inutilmente di evitare la morte della donna. Con l'ingresso del coro dei cittadini di Fere si apre la tragedia vera e propria: mentre i coreuti piangono per la sorte della regina, che è pronta a morire, appare sulla scena per pronunciare le sue ultime parole, saluta la luce del sole, compiange sé stessa, accusa i suoceri, che non hanno voluto sacrificarsi, e consola il marito → temi: alcuni critici hanno ritenuto che l'opera fosse un dramma satiresco; altri hanno considerato il dramma come una sorta di "fiaba", in quanto Apollo nel prologo, ne annuncia il lieto fine. Arriva sulla scena Eracle per chiedere ospitalità. Admeto lo accoglie con generosità e gli racconta i fatti. Sopraggiunge Ferete, padre di Admeto, il quale lo accusa di essere il colpevole della morte della moglie, in quanto non aveva voluto sacrificarsi. Eracle si è ubriacato, poi pentito decide di andare all'Ade per riportarla in vita. Alcesti è restituita all'affetto dei suoi cari. • Medea (431 a.C.) → la trama: dopo aver aiutato il marito Giasone e gli Argonauti a conquistare il vello d’oro, Medea si è trasferita a vivere a Corinto insieme al consorte ed ai due figli, abbandonando il padre per seguire l'amore. Dopo alcuni anni, Giasone decide di ripudiare Medea per sposare Glauce, la figlia di Creonte. La donna si lamenta col coro in modo disperato e furioso, scagliando maledizioni sulla casa reale, tanto che il re Creonte, le intima di lasciare la città. Medea resta ancora un giorno e attua la sua vendetta: ottiene dal re di Egeo la promessa di ospitarla nella propria città, poi manda in dono alla futura sposa una veste avvelenata. La ragazza muore bruciata, la stessa sorte tocca a Creonte. Giasone accorre per tentare di salvare almeno la propria prole, dall'adulterio. Infine, il cadavere di Astianatte viene riconsegnato ad Ecuba per il rito funebre, Troia viene data alle fiamme e le prigioniere vengono portate via → i temi: il patriottismo è lontano, si vuole portare il dolore prodotto dagli uomini fino ad un livello di pathos insostenibile. La tragedia è priva di azione, davanti al coro disperato di troiane si succedono Ecuba, Andromaca, Elena che si avviano verso le navi dei Greci mentre la città crolla tra le fiamme. Tutta la tragedia è intessuta dalla consapevolezza che la guerra è una dannazione anche per i vincitori, ci sarà infatti una tempesta disastrosa che annienterà la flotta greca. • Eracle (422 a.C.) → la trama: Eracle, impegnato nella sua ultima fatica con Cerbero, è assente da casa e Lico ne approfitta per usurpare il trono di Tebe. A nulla valgono i lamenti del coro dei Tebani perché l'usurpatore minaccia di togliere la vita a Megara, moglie di Eracle, ai suoi figli e al padre Anfitrione: la scena si svolge intorno all'altare di Zeus dove la famiglia dell'eroe implora per la salvezza. Quando ogni speranza sembra perduta, giunge Eracle che uccide Lico. Ma Era, nemica giurata di Eracle, invia Iris, la sua messaggera, e Lissa, la personificazione della Rabbia, per fare impazzire Eracle per costringerlo ad uccidere i suoi stessi figli. L’eroe impazzisce e trucida i figli e la moglie, quando rientra in sé vorrebbe uccidersi. A salvarlo dal suo intento sarà Teseo e lo convince che la sua più grande prova sarà la sopportazione della vita con la cognizione del misfatto compiuto → i temi: l’arco della tragedia vede Eracle trasformarsi da eroe sovrumano in uomo, compare l’encomio di Atene, nella figura del re Teseo, il quale è uno dei protagonisti, anche se compare solo allafine, perché a lui si deve la salvezza dell’amico. Gli dèi esistono ma non compaiono in scena, viene negato l’antropomorfismo, così l’uomo è artefice del proprio destino. Euripide esprime la crisi della sua epoca, scissa fra le credenze tradizionali e la rivendicazione dell'autonomia dell'uomo. • Elena (422 a.C.) → la trama: Elena, la donna a causa della quale scoppiò la guerra di Troia, in realtà non è mai andata in quella città. La dea Era aveva infatti creato un fantasma dotato di respiro simile ad Elena, mentre la vera Elena era stata nascosta da Ermes in Egitto, ospite del re Proteo. Alla morte di Proteo, il figlio Teoclimeno insidia Elena, che rifiuta perché la sacerdotessa veggente Teonoe, le ha predetto che rivedrà il marito Menelao. Il messaggero greco Teucro informa Elena che le navi di Menelao sono state colpite da una tempesta, e che Menelao stesso è morto. Menelao è naufragato in Egitto, insieme ad Elena (il fantasma) e all'equipaggio, ed è andato in cerca di aiuto. Menelao arriva al palazzo di Teoclimeno e incontra Elena incredulo. Arriva un messaggero, che informa Menelao che Elena (il fantasma) è scomparsa. Allora Menelao finalmente capisce quello che è successo, mentre La vera Elena gli racconta di non essere mai stata a Troia e i due si recano da Teonoe e la supplicano di non rivelare la presenza di Menelao in Egitto. I due decidono che Elena dirà a Teoclimeno di aver saputo che Menelao è morto, e di essere quindi finalmente disposta a risposarsi, purché il re le consenta di fare un rito in memoria del marito morto su una nave in mare aperto. Elena e Menelao mettono in mare la nave e, insieme agli uomini di Menelao, salpano. Teoclimeno vorrebbe allora uccidere la sorella Teonoe, ma viene trattenuto da una schiava. Appaiono infine i Dioscuri che placano l'ira del re → i temi: il soggetto della tragedia vanifica il senso dell'impresa troiana, affrontata per un fantasma; dunque, sono vani idoli i moventi che inducono gli uomini all'orrore della guerra. Il reggitore supremo e il caos. • Ifigenia in Tauride (422 a.C.) → la trama: Ifigenia scampò per poco dall'essere immolata dal padre Agamennone come vittima sacrificale, all'ultimo momento la dea Artemide intervenne sostituendola con un cervo, e portando la principessa in Tauride. Divenuta sacerdotessa al tempio di Artemide, si trovò a dover forzatamente svolgere il compito di eseguire il sacrificio rituale di ogni straniero che sbarcasse sulla penisola. Il fratello Oreste, aiutato dalla sorella Elettra e da Pilade, ha ucciso Clitennestra ed è tormentato dalle Erinni. Incaricato da Apollo di rubare una statua sacra di Artemide per essere liberato dal tormento, si reca in Tauride e viene catturato e portato al tempio per essere ucciso. Ifigenia e Oreste si riconoscono. Occorre ingannare il re Taonte e architettare la fuga. Atena intrattiene il re e impone a Ifigenia di trasferire il culto di Artemide nell’Attica → i temi: la tragedia è la storia di due sopravvissuti marchiati da un passato di sofferenza e che attendono la quiete del futuro, questa malinconia è il tema principale, alludendo forse all'imminente fine di Atene. • Ione (422 a.C.) → la trama: Creusa, moglie del re di Atene Xuto, aveva avuto dal dio Apollo un figlio, chiamato Ione. Il marito era ignaro di tutto ciò e dopo il parto Creusa aveva lasciato il bimbo in una grotta, destinato alla morte. Tuttavia, su ordine di Apollo, il dio Ermes aveva preso Ione e l'aveva portato presso l'oracolo di Delfi, a fare da servitore. Anni dopo, Creusa e Xuto si recano proprio a Delfi per sapere come mai non riescono ad avere figli. Qui Creusa e Ione si incontrano e parlano, ma non si riconoscono. L'oracolo predice a Xuto che la prima persona che incontrerà uscendo dal tempio sarà un suo figlio. All'uscita, Xuto si imbatte in Ione e lo convince a seguirlo ad Atene per diventare erede al trono. Creusa non accetta la scelta del marito così progetta di uccidere Ione. Il piano fallisce e solo l'intervento della Pizia permette il riconoscimento fra madre e figlio. Infine, appare la dea Atena che suggerisce di tenere Ione come erede al trono, lasciando credere a Xuto che si tratti di suo figlio → i temi: l'elemento tragico risiede nel rischio che la madre uccida il figlio, ma è subito eluso. • Fenicie (422 a.C.) → la trama: un gruppo di donne fenicie, destinate al santuario di Apollo a Delfi, arrivano a Tebe e assistono alla vicenda che qui ha luogo. I fratelli Eteocle e Polinice si sono accordati per alternarsi al comando di Tebe. Scaduto il proprio anno però Eteocle non intende cedere il potere al fratello, sicché Polinice si presenta con un esercito per reclamare i suoi diritti. Giocasta, madre dei due fratelli, decide di convocarli per tentare di raggiungere un accordo, ma senza risultati. Tiresia afferma che l'unico modo di salvare Tebe è sacrificare il figlio di Creonte, Meneceo, il quale accetta il responso e si uccide. Eteocle e Polinice si affrontano a duello, dandosi vicendevolmente la morte. Sui loro cadaveri la madre Giocasta si suicida. Antigone vuole seppellire i cadaveri, ma viene esiliata → i temi: il poeta prende uno dei miti più famosi della Grecia e modifica in modo radicale alcuni sviluppi. • Oreste (422 a.C.) → la trama: ad Argo, Oreste ed Elettra, dopo aver ucciso la madre Clitennestra, attendono la risoluzione del processo contro di loro, mentre Oreste è colto da accessi di follia. I fratelli confidano nell'appoggio di Menelao, giunto con Elena. In realtà il re non osa opporsi a Tindaro, padre di Clitennestra. I due giovani vengono così condannati a morte, ma con l'aiuto dell'amico Pilade, si vendicano su Menelao uccidendo Elena e prendendo in ostaggio Ermione, figlia di Menelao. Interviene Apollo che evita che annuncia che Elena è salva, assunta in cielo assieme ai Dioscuri, e che Menelao avrà una nuova moglie. Afferma inoltre che Oreste sarà processato e assolto ad Atene, e prenderà in moglie Ermione, mentre Elettra avrà Pilade → i temi: Euripide esaspera al limite estremo l'intenzione di intervenire sul patrimonio mitico tradizionale, sovvertendolo in trame inventate. La vicenda degli Atridi è rivissuta in chiave romanesca, la tragedia è gremita di avvenimenti strani, in cui manca il fondamento dell'idea tragica: il rapporto dell'eroe con il proprio destino. Gli eroi del mito sono parodisticamente ridotti a fantocci. Apollo, che ha imposto il nefando matricidio, non riesce a risolvere secondo un principio etico la sorte del protagonista. I matrimoni pretendono di ricostituire un microcosmo familiare, dopo la dissoluzione. Qui c'è l'espressione più radicale del pessimismo euripideo, che interpreta la vita non più come un mistero, ma come un insanabile caos. • Ifigenia in Aulide (405 a.C.) → la trama: nell'accampamento greco in Aulide, le navi dirette verso Troia sono bloccate a causa di una bonaccia. L'indovino Calcante ha affermato che solo sacrificando alla dea Artemide una figlia di Agamennone, Ifigenia, i venti torneranno a spirare. Ifigenia però è rimasta a casa, così Agamennone le scrive una lettera in cui le prospetta un matrimonio con Achille, chiedendole di raggiungerli in Aulide. Pentito di questo inganno, cerca di avvertire la figlia di non mettersi in viaggio, ma la lettera viene intercettata da Menelao, che rimprovera Agamennone per il suo tentativo di tradimento. Arrivano quindi in Aulide Ifigenia e la madre Clitennestra per le nozze. Viene a galla la verità, sicché le due donne si ribellano: Clitennestra biasimando il marito, Ifigenia chiedendo pietà. Achille, nello scoprire che il suo nome era stato usato per un atto tanto infame, minaccia vendetta. Ifigenia, nel vedere l'importanza che la spedizione ricopre per tutti i greci, cambia atteggiamento e offre la propria vita. Al momento del sacrificio la ragazza scompare ed al suo posto la dea Artemide invia una cerva e la flotta può salpare verso Troia → i temi: il sacrificio volontario di un innocente per la propria patria. Ifigenia accetta di dare la vita perché la flotta greca possa salpare per Troia. Il carattere dell'eroe tragico subisce un'evoluzione prodotta dal variare delle situazioni e dal confronto delle opinioni. Il contrassegno di Ifigenia rimane l'ingenuità. • Baccanti (406 a.C.) → la trama: Dioniso era nato dall'unione tra Zeus e Semele, donna mortale. Tuttavia, le sorelle della donna e il nipote Penteo, re di Tebe, sparsero la voce che Dioniso in realtà non era nato da Zeus, ma da un uomo mortale, negando la natura divina di Dioniso. Dioniso afferma di essere sceso tra gli uomini per convincere tutta Tebe di essere un dio e non un uomo. Ha indotto un germe di follia in tutte le donne tebane, che sono dunque fuggite sul monte Citerone a celebrare riti in onore di Dioniso, diventando Baccanti. Questo fatto però non convince Penteo rifiuta di riconoscere un dio in Dioniso, e lo considera solo una sorta di demone. Invano Cadmo e Tiresia tentano di dissuaderlo, ma Penteo fa allora arrestare Dioniso, che si lascia catturare volutamente, ma il dio scatena un terremoto che gli permette di liberarsi. Sul monte Citerone le donne sono in grado di far sgorgare vino, latte e miele dalla roccia, e si sono avventate su una mandria di mucche, squartandole vive. Hanno poi invaso alcuni villaggi, devastando tutto. Dioniso riesce a convincere Penteo a mascherarsi da donna per poter spiare di nascosto le Baccanti. Il dio aizza le Baccanti contro Penteo e lo fanno a pezzi. Poco dopo arriva anche Agave, madre di Penteo, munita di un bastone sulla cui sommità è attaccata la testa di Penteo che lei crede essere una testa di leone. Quando Agave si accorge con orrore di ciò che ha fatto, riappare Dioniso che spiega di aver architettato questo piano per punire chi non credeva nella sua natura divina, e condanna Cadmo e Agave a essere esiliati → i temi: la crisi della ragione è il motivo conduttore, a fronteggiare l'intelletto umano non sono i sentimenti ma il mistero del divino. Secondo alcuni questa tragedia testimonia la conversione religiosa del laico Euripide. Altri però vedono Penteo come emblema della lotta in nome della ragione laica; l'esistenza di tali contrapposizioni dimostra l'impossibilità di interpretare in senso univoco il significato dell’opera, infatti, il suo carattere principale è l'ambiguità, Dioniso stesso è un Dio ambiguo. Il fatto che il Dio agisca da protagonista indica il proposito di annettere l'incomprensibile alla sfera dell'umano, riconoscendo la sua superiorità. • Ciclope (427 a.C.) → temi: è un dramma satiresco, l'unico che ci è giunto integralmente. Ma in questo caso la spensieratezza cede il posto alla tensione dell'indagine sui comportamenti dell'uomo → trama: la storia omerica dell'accecamento di Polifemo da parte di Odisseo. Il Ciclope che scelto come norma di vita il piacere; è violatore delle leggi della natura e la sua alienazione si sfoga nella matta bestialità. Il successo di Odisseo, è merito del vino che doma il nemico fino a renderlo indifeso così che Odisseo riesca a colpirlo. Alla vicenda fa da contorno il coro dei satiri guidati dal padre Sileno e servi del ciclope. • Reso (422 a.C.) tragedia spuria → trama: è il decimo anno della guerra di Troia, una notte le sentinelle del campo troiano avvistano fuochi greci all'orizzonte. Enea decide di mandare un esploratore, Dolone, per capire cosa stia succedendo. Subito dopo, un pastore dà l'annuncio dell'arrivo di un esercito di Traci agli ordini del loro giovane re Reso. Anche gli Achei mandano in missione due guerrieri: Odisseo e Diomede, che uccidono Dolone e penetrano nell'accampamento dei Traci, dove trucidano Reso nel sonno e rubano le sue preziose cavalle. In questo sono aiutati dalla dea Atena, che appare a Paride sotto le sembianze di Afrodite e lo convince che nessuno è entrato nel campo. Dell'omicidio viene inizialmente accusato Ettore, ma nel finale appare una la musa Tersicore, madre del re tracio, che chiarisce come si sono svolti i fatti, profetizzando poi per lui una resurrezione ad opera degli dèi inferi, i quali lo destineranno a soggiornare in un misterioso luogo sotterraneo → temi e stile: è un Euripide minore per la rigidità della sceneggiatura e per la convenzionalità della conclusione. 4. La drammaturgia di Euripide Una prima fase della sua carriera è contrassegnata da drammi ad azione unica svolta con rigorosa consequenzialità attraverso un'evoluzione delle situazioni e del comportamento dei personaggi, a questa forma torna nelle due ultime. In una seconda fase tende a privilegiare un intreccio più complesso ed elaborato con colpi di scena che deviano la trama. L'unica tendenza sempre comune è l'incessante proposito di sperimentazione. La tragedia come istituzione cittadina era entrata in crisi, il dramma Euripide non segna la dissoluzione della tragedia, ma tenta nuove strade. La struttura interna del dramma si regge sull'alterno rispondersi delle azioni degli uomini che determinano gli avvenimenti con la loro volontà e i loro sentimenti. Il segno fondamentale è - il comico assoluto: opera secondo un'intenzione autonoma e trova in sé stesso la propria finalità e il proprio oggetto, risulta creativo, inventando un mondo che ha per fine ultimo la gioia del riso spontaneo. Le commedie di Aristofane appaiono partecipi dell'uno e dell'altro carattere, esse rappresentano situazioni provviste di autonoma vitalità e la loro energia sarcastica propone un intervento critico nella realtà. La commedia ateniese nasce dalla fusione di una festa religiosa con un'occasione pubblica della polis. L'universo del comico si divide in due categorie riguardo all'oggetto della rappresentazione: - la commedia rappresenta la realtà ricavando dalla vita quotidiana e dai suoi personaggi i motivi dello scherzo umoristico e dell'irrisione polemica, questo sia nel comico significativo sia nel comico assoluto; - la commedia sceglie l'irrealtà e inventa un mondo che contravviene alla verosimiglianza naturale. Aristofane è il punto d'incontro, la sua è una commedia dell'irrealtà che attribuisce sia strutture della realtà sia una tematica che ne riflette i problemi. Nella sua commedia sono già presenti tutti gli strumenti del comico, che si raggruppano in 6 categorie: 1) la figura: quando risulta ridicolo l'aspetto di ciò che si vede sulla scena; 2) il gesto: quando a muovere il riso è l'azione che si svolge sulla scena; 3) la parola: quando l'effetto comico è affidato al puro gioco del linguaggio secondo una serie di artifici che vanno dal conio di neologismi, alle serie di termini che scadono, dal sublime al banale, dalla deformazione alla ripetizione, dall'oscenità all'ingiuria; 4) la circostanza: quando la comicità risiede in una situazione scenica 5) il personaggio: quando è il protagonista a risultare ridicolo nel comportamento 6) l'intreccio: quando la comicità nasce dallo spunto e dalla concatenazione di eventi dell'intera trama Ma perché si ride? Il riso appare essere una scarica di energia che riconduce in equilibrio il rapporto tra l'uomo e il mondo quando la pressione del controllo della realtà sembra sopraffare l'individuo e la società. Le cause che provocano la comicità sono: − l'assurdità, quando si presenta qualcosa che contravviene all'esperienza del reale; − l'equivoco, quando si rappresenta qualcosa che contravviene alla significatività del reale; − la meccanicità, quando si rappresenta qualcosa che contravviene alla dinamica del reale; − la stupidità, quando si rappresenta qualcosa che contravviene alla comprensione del reale; − la monomania, quando si rappresenta qualcosa che contravviene alla molteplicità del reale. La commedia mette in scena la speranza che l'apparentemente impossibile diventi possibile. La forma comica esige al centro un individuo che si discosti dai parametri comuni con eccessività. L'eroe comico è caratterizzato da uno schema di bipolarità. Ci sono dei personaggi che si oppongono al degrado nel segno di un progetto positivo per costruire una realtà alternativa, oppure personaggi che riassumano il gusto prodotto da un'errata interpretazione della realtà. Nell'azione della commedia costui è destinato alla sconfitta, sancita dal ridicolo che si abbatte su di lui. La vita della comunità offre una buona parte dei riferimenti indispensabili al ridere, perché il comico opera come correttivo delle distorsioni della società. La commedia denuncia l'ignoranza della realtà e interviene a richiamare alla conoscenza e al rispetto del reale, sia denunciando la dismisura, sia dimostrando i valori dell'esistenza mediante la gioia della libera creatività. L’obiettivo della tragedia è il significato dell'esistenza umana, quello della commedia è il comportamento dell'uomo. 5. EPICARMO e il teatro in Sicilia e in Magna Grecia Nell'età arcaica il mondo greco-italico è sede di fiorenti sviluppi sia nel campo della poesia lirica, sia in quello della filosofia; ma queste manifestazioni non si differenziano da quelle della madrepatria. Il teatro, invece, si sviluppa a livello locale, era uno spettacolo caricaturale e popolaresco, che sembra astenersi dai riferimenti personali e d'attualità, che furono tipici della commedia ad Atene; tende inoltre a ridurre i contenuti etici, religiosi e politici al livello dell'esperienza comune. Questa drammaturgia va considerata periferica solo se la si commisura alle vette attinte dalla scena attica e si possono rilevare affinità con quelle che avranno influsso anche su Plauto. Aristotele considerava precursore della commedia attica il siracusano EPICARMO (524-435 a.C.), le fonti lo dicono presente alla corte di Gerone, dove incontrò Pindaro, Simonide, Bacchilide ed Eschilo. La sua consuetudine con l'alta cultura della madrepatria valse a maturare in lui una consapevolezza poetica, che si rivela nell'eleganza e nella padronanza tecnica della sua opera. Di Epicarmo restano circa 300 frammenti di tradizione indiretta e altri restituiti dai papiri, una quarantina di titoli ci forniscono linee portanti della sua produzione: 1) parodia mitologica ed epica → dèi ed eroi venivano raffigurati in situazioni grottesche ed erano caratterizzati da un comportamento pavido o irresponsabile. Fra i titoli che rientrano in questa tendenza si possono citare Efesto, Àmico, Pirra, la Sfinge; 2) episodi, figure e attrezzi della vita quotidiana → i Thearoi (ossia i «Visitatori» al santuario di Delfi), il Contadino, le Pentole. In questa categoria può rientrare il passo più efficace dell'opera di Epicarmo, che si trovava nel dramma intitolato Speranza o ricchezza: il ritratto di un parassita che, dopo aver descritto le delizie della propria vita, di notte si ritrova solo e insonne sullo squallido giaciglio della sua casa. Si tratta di un mirabile approfondimento psicologico; 3) invenzione di pura fantasia → esaltava i propri meriti e vantaggi, sovente in forma d'allegoria oppure nella struttura del contrasto. Le opere di Epicarmo erano composte in dialetto dorico e in vari metri, ma tale polimetria non si realizzava nell'ambito di una medesima opera, in quanto ad ognuna di esse apparteneva un determinato metro. Forse erano interpretate da tre attori, non sappiamo se ci fosse il coro, né abbiamo informazioni sull'edificio teatrale. Un motivo caro a Epicarmo è il compiacimento gastronomico, espresso in lunghi elenchi di ghiottonerie, ma ancora più tipico è un atteggiamento filosofico ed etico, che si manifesta in sottili disquisizioni e in incisive sentenze. Il mimo è un genere minore di teatro, destinato a una lunga fortuna scenica e letteraria, che in componimenti di estensione relativamente breve «imita» situazioni, comportamenti e figure della realtà. La sua fioritura ha inizio in Sicilia con SOFRONE (seconda metà V secolo), il cui maggior merito è di avere costituito una lettura prediletta da Platone, che a lui si sarebbe ispirato nella tecnica della raffigurazione psicologica dei personaggi. Restano minuti frammenti e vari titoli. Sofrone intendeva inquadrarsi in una tradizione colta. Alla sfera popolare appartiene la farsa fliacica o ilarotragedia, una forma di teatro comico che ebbe diffusione in Magna Grecia durante il IV e il III secolo a.C. grazie a RINTONE. Il nome deriva dal greco φλύακες (fliaci), che indicava gli attori o mimi che inscenavano tali rappresentazioni, essi recitavano su un palcoscenico vestiti di maschere grottesche od oscene, spesso di forma fallica. Il palcoscenico era una piattaforma elevata su grezze colonnine, al cui centro è un podio accessibile per mezzo di una scaletta. 6. I poeti della commedia antica CHIONIDE e MAGNETE sono, secondo Aristotele, i rappresentanti della prima generazione dei poeti comici ateniesi. Di entrambi restano pochi titoli, i loro drammi non superavano i 300 versi ed erano canti corali. Il primo a costruire la commedia secondo una trama organica e continua fu CRATETE, il quale ottenne la prima vittoria verso il 450. Restano di lui 60 frammenti, tra cui una commedia intitolata Bestie, che conteneva una descrizione della vita semplice, vista come un'utopia. Egli sembra rinunciare all'attacco personale in vantaggio di una fantasiosa semplicità, che peraltro valse a meritargli solo tre vittorie. Che il pubblico ateniese preferisse i sapori polemici è attestato dallo scarso successo di FERECRATE, attivo fra il 435 e il 415, di cui restano 200 frammenti. Anch'egli sembra essersi ispirato a una comicità fondata sull'immaginazione e sull'evasione. Un frammento dai Minatori descrive ancora un paese di Cuccagna, ma situandolo nel regno dei morti e con una più accentuata intonazione gastronomica. Nei Selvaggi compariva un coro di misantropi, che rinunciavano alla civiltà cittadina per ritirarsi a vivere in diretto contatto con la natura. CRATINO condusse la commedia "antica" alla pienezza della sua natura, unendo la satira politica e l'invenzione. La sua attività si colloca dalla metà del V secolo fino al 423 a.C. Sopravvivono 500 frammenti, maa è possibile ricostruire la trama di una sua commedia del 431 a.C., il Dionisalessandro, grazie a un papiro. Travestito da Alessandro, il dio Dioniso giudicava il concorso di bellezza fra le tre dee, assegnando la palma ad Afrodite. Quindi rapiva Elena, ma sorpreso dalla spedizione degli Achei, la camuffava da oca nascondendola in una cesta, e si trasformava in un montone. L'autentico Paride lo scopriva e lo consegnava ai Greci, prendendosi Elena in moglie. La commedia si sviluppava quindi nel solco della parodia mitologica, ma con dichiarati propositi di satira sull'attualità: infatti nelle figure di Dioniso e di Elena erano adombrati Pericle e Aspasia, secondo l'accusa comunemente rivolta allo statista di avere scatenato la guerra del Peloponneso a causa dei suoi amori muliebri. La sua polemica assumeva a volte il tono di una critica appassionata contro la corruzione del presente e di una nostalgica rievocazione del passato. Nei Chironi, i saggi ateniesi del passato ritornavano dall'Ade travestiti da Centauri per cantare le lodi del buon tempo antico, confrontandolo con la degradazione attuale; nei Pluti il coro dei demoni donatori di ricchezze giungeva ad Atene per procedere a una giusta distribuzione dei beni; negli Archilochi il grande poeta Archiloco ritornava tra i vivi e aveva luogo un agone di poeti; negli Onniveggenti il bersaglio erano probabilmente i Sofisti; negli Odissei era messa in parodia l'avventura dell'eroe epico nella grotta del Ciclope. Il capolavoro di Cratino era la Bottiglia, con cui egli vinse nel 423: sua moglie si lamentava aspramente del fatto che il drammaturgo ormai l'aveva di fatto abbandonata per andare a vivere con "la bottiglia”, alludendo alla sua ubriachezza. EUPOLI era nato verso il 446 e morì nel 411, aveva esordito nel 429 e compose 14 commedie con le quali riportò sette vittorie. Di lui restano circa 500 frammenti: un papiro riporta ampi brani di una commedia intitolata Demi e un passo dei Prospaltii. Fu il principale avversario di Aristofane. Con Eupoli la commedia esalta il suo carattere di indomita battaglia contro la prevaricazione del potere politico e la degenerazione in cui la città era trascinata dai demagoghi succeduti a Pericle, il quale viene invece riabilitato e lodato per il fascino della sua oratoria. Cleone era attaccato nell'Età dell'oro; nel Maricante trovava una spietata derisione di Iperbolo e sua madre; i Battezzatori prendevano di mira Alcibiade, accusandolo di essersi fatto iniziare a un culto orgiastico; nelle Città denunciava lo sfruttamento a cui gli Ateniesi assoggettavano le città alleate; gli Adulatori irridevano alla moda dei Sofisti. L'ultima commedia di Eupoli, i Demi, rappresentata nel 411, era densa di patriottica amarezza e illuminata da speranza: è possibile trovare l'ultima salvezza per Atene solo nell'oltretomba. ARISTOFANE (Atene, 450 a.C. circa – Delfi, 385 a.C. circa) 1. Premessa Conosciamo i nomi di una cinquantina di commediografi del periodo antico e dagli scarsi frammenti si individua un quadro articolato, composto da personalità con ingenti doti artistiche. Della produzione di Aristofane sopravvivono 11 commedie. La sua originalità consisteva nell'aver inserito una trama narrativa che non sembra trovare corrispondenza nei comici precedenti. L'attività teatrale di Aristofane coincide per un periodo con la guerra del Peloponneso che vide la fine della grandezza ateniese e la corrosione degli ideali che l'avevano promossa e sorretta. La chiave culturale è rappresentata dalla confutazione delle convinzioni tradizionali, verso una razionalistica accentuazione dell'autonomia individuale e delle funzioni intrinseche al vivere e all'agire degli uomini. L'azione della commedia rappresenta lo sforzo del protagonista per superare il disagio del presente. Nel teatro comico si succedono un antefatto, una situazione presente di crisi e una riconquista della felicità. Al centro sta l'eroe comico, un personaggio paradossale che sceglie di emarginarsi dal mondo ed elabora un progetto per distruggere le cause della degradazione e i loro responsabili, finendo per ottenere una vittoria che si riverbera anche sulla collettività. Aristofane conferisce al genere comico una dimensione drammatica e un significato allegorico: l'aspirazione umana a ritrovare la gioia di una condizione che si credeva perduta e la capacità di conquistarla con i propri meriti. Con lui la commedia oltrepassa la portata di polemica cittadina ed esprime il senso di una naturale adesione all'esperienza di vita. vita Euripide, non sa più a chi sia meglio concedere questo onore. Decide che sceglierà l'autore che darà il miglior consiglio su come salvare Atene dal declino. Euripide dà una risposta generica e poco comprensibile: "Se adesso va tutto male, forse facendo tutto il contrario ce la caveremo"; mentre Eschilo dà un consiglio più pratico: "Le navi sono le vere risorse". Dioniso decide di riportare in vita Eschilo → i temi: Atene era stremata dalla guerra, Euripide e Sofocle erano morti; quindi, la commedia reagisce con l'esorcismo della risata e il lieto fine, ma per trovare una speranza bisogna scendere nell'oltretomba, sintomo di una rinuncia a confidare che per Atene fosse ancora possibile un cambiamento di rotta. Aristofane imposta i principi della critica letteraria. Su tutto domina la malinconia e il disperato riconoscimento della vanità delle cose. • Ecclesiazuse (Le donne al parlamento, 391 a.C.) → la trama: un gruppo di donne, con a capo Prassagora, è insoddisfatto del governo maschile, camuffate da uomini, si insinuano nell'assemblea e approvano una riforma di uguaglianza in cui ogni bene sarà comune, compresi famiglia e figli e anche le vecchie brutte avranno la consolazione dell'amore → i temi: nel dopoguerra viene soppressa la parabasi e viene accentuato l'elemento utopistico. Il programma rivoluzionario è il prodotto della fantasia femminile, questo era irrealizzabile ad Atene. • Pluto (388 a.C.) → la trama: Cremilo è stato invitato dall'oracolo di Apollo, avendo notato che nel mondo la ricchezza non è suddivisa equamente. L’oracolo gli dice che dovrà seguire la prima persona che incontrerà. Incontra un cieco che dichiara di essere Pluto il dio della ricchezza, accecato da Zeus perché non potesse discriminare i buoni dai cattivi. Cremilo si offre di ridargli la vista, ma arriva la Povertà per dissuaderlo, che non viene ascoltata. Pluto recupera la vista grazie all'intervento di Asclepio. Tutti diventano ricchi, ma alcuni vanno in rovina poiché non c’è più gente povera su cui arricchirsi; una vecchia non trova più giovani che vogliano soddisfarla a pagamento; Zeus si lamenta che gli uomini non hanno più bisogno di fare offerte agli dèi. I malumori si placano e nel finale tutti si avviano in corteo con Pluto → i temi: al centro dell'opera c'è il problema sociale della sperequazione delle ricchezze e l'utopia di una giusta ridistribuzione. Si vede l'evoluzione strutturale che condurrà alle successive fasi del genere, manca la parabasi e la parte del coro è ridotta. 4. La drammaturgia di Aristofane La sostanziale compattezza della commedia è da cercare nella centralità conferita alla figura del protagonista. Nell'intreccio si distinguono due aspetti essenziali: l'insoddisfazione che stimola l'idea di base e l'espediente paradossale messo in atto dal protagonista per modificare la situazione. Dall'incrocio di questi due piani nasce la singolare serietà unita alla comicità, contrassegno dell'opera di Aristofane. Il motivo critico che promuove il progetto dell'eroe dipende dal fattore politico e collettivo; lo sviluppo dell'azione in chiave burlesca rivendica i diritti della deformazione e della trasgressione. Nella sua commedia si compie una fusione di realtà e fantasia, con un risultato surreale. Il protagonista della commedia opera su un piano fantastico ma trasferendoci le circostanze della vita comune. Grazie al riso l'eroe demolisce il sistema. 5. Lo stile di Aristofane Il commediografo inventa le proprie trame, usando un linguaggio medio simile a quello usato in città, senza eccedere né in forme grossolane né in eccessi di raffinatezza, ciò spiega la varietà di toni e il realismo. Non c'è nulla di volgare perché non viene dato spazio all'ammiccamento malizioso, le cose del corpo e del sesso sono nominate con una schietta franchezza che rappresenta un'appropriazione spregiudicata della vita. 6. Il mondo concettuale di Aristofane I connotati della commedia antica sono la passione civile e la magia liberatoria della risata. L'attualità imponeva un amaro confronto fra l'immagine ideale di Atene e lo sfacelo reale. Il ridicolo è la regola suprema del genere comico, esso scaturisce dall'assurdo in cui si stravolgono le convenzioni dell'esperienza. Il riso contesta le aberrazioni prodotte dalla società umana. Esiste un antidoto ai mali della storia: il recupero della natura come dimensione della spontaneità e del contatto con le genuine forze della vita. La tragedia rappresenta il momento in cui l'uomo soccombe ma esiste anche un momento in cui l'uomo vince, ed è rappresentato dalla commedia. La missione del poeta comico e dell'uomo è riconquistare la gioia della primigenia simbiosi con la natura. LA STORIOGRAFIA DEL V SECOLO 1. Gli inizi della storiografia Il termine storiografia è usato per indicare l'esposizione e l''interpretazione degli eventi del passato. Compare per la prima volta all'inizio di un'opera di Erodoto come una sorta di definizione del suo contenuto, ma in realtà ha una valenza più ampia, intesa come ricerca e investigazione. La sua radice è la stessa del verbo ιδείν (vedere) e si riferisce all'esperienza del testimone oculare in quanto garante della verità dei fenomeni descritti; tale testimonianza può avvenire anche per via indiretta, ossia attraverso il racconto di un intermediario. L'obiettivo originario è il rilevamento di dati veritieri che attengono alla realtà. Erodoto è il fondatore della storia e riserva ampio spazio a riferimenti geografici ed etnografici ed eredita questa più impostazione da un complesso di precedenti che non costituiscono una “storia” in senso proprio, ma istituiscono un modello di sapere fondato sull'accertamento di dati della realtà. Il criterio è il metodo autoptico, ovvero fondato sull’esperienza dei fatti. Alla base di questa tendenza sta l'inesausto stimolo conoscitivo che si manifesta nella cultura greca a partire dal VII sec a.C. e che raggiunge il suo apice quello successivo. I Greci voglio fissare tutto ciò che avevano appreso per diretta esperienza e lo strumento formale adeguato era la prosa, adatta a una descrizione analitica e veritiera della realtà per la sua libera aderenza ai molteplici aspetti in cui si manifesta l'esperienza del reale. 2. Ecateo e i logografi Gli storici greci indicano i loro predecessori con i termini di λογοποιοί e λογογραφοι: qui λογος è usato in opposizione a επος, indica la prosa. I logografi erano scrittori di narrazioni mitico-storiche in prosa, che scrissero in dialetto ionico e subirono l’influenza di opere cosmologiche e teogoniche anteriori. Il personaggio più importante e a noi meglio noto di questa fase iniziale è ECATEO DI MILETO (560 circa - 490 a.C.), le sue opere erano una descrizione della Terra, chiamata Periegèsi, e una trattazione delle genealogie mitiche. Nelle Genealogie Ecateo tenta un'interpretazione razionalistica di miti e tradizioni, esercitando una critica sui dati della mitologia e della storia. Ecateo scriveva in prosa, utilizzando il dialetto ionico puro con uno stile semplice e chiaro. 3. Mitologia e genealogia Una delle tante vie che condurranno a maturazione una mentalità e una disciplina storiche è la sistemazione, alla fine del VI secolo, delle Teogonie e Cosmogonie, dalle quali sono state create delle genealogie che contribuissero a ricostruire la cronologia delle prime età della Grecia. Tra questi ricordiamo Ferecide di Siro, autore del più antico scritto in prosa; Acusilao di Argo, che volse in prosa Esiodo, aggiungendo del suo; Ferecide di Atene, che scrisse saghe eroiche locali e ricostruì gli alberi genealogici degli eroi. ERODOTO (Alicarnasso, 484 a.C. – Thurii, 425 a.C.) 1. Premessa La memoria del passato era stato il tema della poesia omerica e narrando in versi elegiaci le vicende remote delle loro patrie Semonide, Mimnermo, Senofane avevano realizzato un primo passo dal mito alla storia. I fattori fondamentali che intorno alla metà del V secolo fanno da premessa all'opera di Erodoto sono: • l'attitudine all'esame critico della tradizione; • l'esigenza di un discorso veritiero; • l'attenzione alla realtà fisica e sociale; • il senso della necessità di assicurare un eterno ricordo alle gesta. La Grecia è appena uscita dall'invasione persiana e si appresta a vivere un periodo di trasformazione in cui è necessaria la memoria dell'evento. Erodoto sceglie per argomento le azioni dell'uomo che hanno prodotto un'impronta riscontrabile nel presente e riconducibile ai comportamenti futuri. Il presente è il risultato di una serie di mutamenti che producono la dinamica del corso della storia. Gli interessi primari dello storico sono la registrazione e l'interpretazione di tali mutamenti. 2. La vita e la composizione delle Storie (440 - 429 a.C.) Le fonti collocano la nascita di Erodoto intorno al 484 a.C.; la sua patria era Alicarnasso, ma viaggiò molto percorrendo anche i paesi orientali, entrò in rapporto con Atene e con gli intellettuali di Pericle del quale condivise l'orientamento politico. Ad Atene diede letture pubbliche di sezioni della sua opera, ciò attesta l'importanza della propaganda ateniese. Erodoto si trasferì a Turii e ne divenne cittadine, abitò lì fino alla morte. L'opera non aveva un titolo e fu suddivisa in 9 libri solo in epoca alessandrina, ad ogni libro venne dato il nome di una Musa; in realtà quando Erodoto si riferisce a una parte della sua opera usa il termine logoi (racconti). La sua opera presenta i caratteri di un testo scritto di monumentali dimensioni, ma in realtà deriva dall'accostamento di minori unità narrative dotate di propria autonomia e concepite secondo la prospettiva della recitazione. Esiste un problema sulla filologia erodotea, passato alla storia col nome di “questione erodotea”: la divisione in due blocchi, l’assenza di un piano dell’opera e il fatto che allo scontro tra Greci e Persiani è dedicata la seconda metà dell'opera ed essa è preceduta da una serie di logoi relativi all'impero persiano e ai popoli con cui vennero a contatto, hanno fatto sorgere due teorie: a) teoria evoluzionistica → le Storie si sono sviluppate a partire da singoli logoi di tipo geo-etnografico, per poi diventare storiografia nazionale dei Greci; solo in un secondo momento l'esperienza sotto Pericle avrebbe prodotto un cambiamento del piano, portando in evidenza il significato che ebbe l'urto tra Grecia e Persia; b) teoria unitaria → le Storie vengono concepite con un piano coerente. La scelta tra le due ipotesi rimane difficile, in ogni caso il carattere dell'opera è aperto. Sembra che Erodoto abbia lavorato alla sua opera fino alla morte, l'opera si conclude con un episodio poco significativo, ovvero la presa di Sesto (478 a.C.) e fa sorgere il dubbio se questo era il termine prefissato da Erodoto, ma non si ha la risposta. 3. Il contenuto delle Storie L'introduzione è stata composta a posteriori ed Erodoto espone il proprio intento di tramandare la memoria dei fatti mirabili compiuti dagli uomini, iniziando dalle cause dell'ostilità tra Greci e barbari. I. libro (Clio) → contiene due λόγοι, quello lidio e quello persiano. Erodoto parla dei tre re di Lidia Candaule, Gige e Creso; quest’ultimo portò alla guerra le città dell’Asia minore. Si passa poi a raccontare la storia di Persia con digressioni di carattere geografico, etnologico e storico sui paesi conquistati da Ciro il Grande. Non mancano eventi fantastici. II. libro (Euterpe) → descrive il regno di Cambise II, figlio e successore di Ciro. La grande impresa di questo sovrano fu la conquista dell'Egitto, questo porta ad un logos con la descrizione del territorio, degli abitanti e delle loro usanze e gli eventi capitali della sua storia, sottolineando l'importanza del Nilo per gli Egizi III. libro (Talia) → continua la spedizione di Cambise; prosegue poi con la storia della guerra di Sparta contro Samo dove si aprono digressioni dedicate ai tiranni; si torna poi alla Persia con la morte di Cambise e l'avvento di Dario; vi è un dibattito in cui si discutono le tre forme di governo, monarchia, oligarchia e democrazia, tra le quali prevale la prima. Segue una sezione a carattere geografico-economico. IV. libro (Melpomene) → contiene una sezione dedicata alla Scizia e una alla Libia. Dario mosse contro gli Sciti, vengono elencate le varie popolazioni della Scizia e vengono descritte le loro usanze e le loro religioni. La sezione dedicata alla Libia inizia dalla spedizione del satrapo persiano Ariande contro Barca, contiene la storia della fondazione di Cirene e un elenco di tutte le popolazioni della Libia. V. libro (Tersicore) → tratta l'argomento delle guerre persiane, Erodoto comincia a narrare dell'occupazione della Tracia da parte di Dario e delle vicende della rivolta ionica, includendo due sezioni relative alla storia di Sparta e Atene e un excursus sulle origini dell’alfabeto greco. VI. libro (Erato) → si preparano gli sviluppi successivi alla rivolta ionica che condurranno alla spedizione di Dario contro la Grecia. Parla di Milziade, il vincitore della battaglia di Maratona. VII. libro (Polimnia) → narra la spedizione del re persiano Serse contro Atene, descrive l'apparato militare persiano, esaminando le ragioni storiche e politiche dell'espansionismo persiano. La sezione più famosa è costituita dal racconto della difesa delle Termopili e dal sacrificio del re spartano Leonida e dei suoi 300. 3. La struttura e l’argomento delle Storie Tucidide dichiara che il progetto di comporre le Storie nasce dalla convinzione che la guerra tra Atene e Sparta sarebbe stata più grave e importante delle precedenti. Il conflitto durò molto provocando sofferenze e fu accompagnato da calamità naturali. Tucidide è consapevole che l'obiettivo della scienza storica deve risiedere nella verità dei fatti narrati. Ma spesso lamenta di dover ricorrere a precari indizi, poiché la tradizione popolare e i poeti sono soliti amplificare e alterare le vicende antiche. Ben diverso è invece il livello di attendibilità che offre la narrazione di fatti contemporanei, sottoposti al controllo diretto dell'autore. Due sono le linee di fondo: azioni e discorsi, le azioni vengono prima decise e poi commentate. Quanto ai fatti, egli dichiara di descrivere gli eventi di cui è stato testimone e di aver sottoposto a un rigoroso esame tutte le testimonianze degli altri avvenimenti. Un’innovazione è anche la cronologia: il tempo è rettilineo e progressivo, la data di inizio della guerra è precisata e successivamente il racconto è diviso per anni e stagioni: I. libro (Archeologia) → si apre con una sezione denominata "Archeologia" che sintetizza la storia della Grecia a partire dai primi abitanti fino all'età di Tucidide. Sono poi esposti gli antefatti della guerra, la causa profonda fu la rivalità tra Atene e Sparta per l'egemonia della Grecia che era maturata negli anni successivi alla vittoria sui Persiani. A questo periodo è dedicata una digressione, la Pentecontetìa. II. libro (Epitafio) → descrive i primi tre anni di guerra peloponnesiaca (431-429 a.C.), in cui ci sono due episodi di ampia rilevanza, il discorso funebre di Pericle per i caduti ateniesi e la descrizione della peste. III. libro → copre il periodo 428-426 a.C. durante il quale gli spartani invasero per la terza volta l'Attica e rasero al suolo Platea, dopo aver massacrato la popolazione locale. Importanti sono anche i fatti di Corcira, segnata da lotte intestine che spinsero Tucidide a riflettere sul sovvertimento dei valori umani a causa della guerra. IV. libro → protagonista è il triennio 425-423 a.C., l'Attica viene invasa nuovamente dagli spartani, la guerra in Sicilia viene momentaneamente conclusa, e gli Ateniesi ottengono alcuni successi. V. libro → si spinge fino al 416 a.C., l'episodio cruciale è la Pace di Nicia, il cui testo è riportato. La tregua tra Sparta e Atene durò meno di sette anni a causa di violazioni da parte di entrambe. Il libro si conclude con il “dialogo dei Melii” dove gli Ateniesi e gli abitanti di Melo, colonia spartana, espongono le proprie ragioni, i primi fondano la loro pretesa sulla legge della forza, i secondi si appellano ai principi della libertà e della giustizia; ma la logica dell'imperialismo prevale e Melo viene distrutta. VI. libro → sono dedicato con una breve introduzione sulla storia dell'isola. VII. libro → continua la narrazione dell'impresa in Sicilia, ampio spazio hanno lo scandalo delle Erme e la successiva disfatta dell’armata ateniese. VIII. libro → narra del periodo 413-411 a.C., del colpo di Stato dei Quattrocento che rovesciò la democrazia Ateniese e impose l'oligarchia. 4. I principi della storiografia tucididea Nella vita letteraria e intellettuale di Atene nel V secolo c'è un motivo conduttore: l'indagine dell'uomo, di cui Tucidide si occupa nella dimensione della politica e della storia. La sua opera è dominata da due principi complementari che trovano una reciproca ragione in un'unica idea di fondo: 1) spiegare la storia mediante la natura umana; 2) comprendere l'uomo attraverso il suo agire nella storia. Risulta esclusa l'ipotesi di un fattore metafisico e di un progetto divino; le cause dei fatti della storia risultano ricondotte alla sfera umana e consentono di venire decifrate e interpretate. Tucidide si propone di raggiungere una verosimiglianza (εικός) che si accosti quanto più possibile al vero; questo procedimento empirico si definisce con il verbo εικάζειν, di stampo sofistico; tuttavia, il livello formale di ciò che narra sarebbe impensabile senza il modello della retorica. I discorsi offrono lo strumento per esporre il rapporto causale dei fatti presi in esame. Ma, per quanto lucidamente l'uomo tenti di realizzare i propri progetti, non gli è data la certezza infallibile del successo. La tragedia aveva espresso questa constatazione in una chiave metafisica. Tucidide risolve il problema dell'intervento divino in termini immanenti: alla natura umana è intrinseco il rischio dell'errore. Esiste qualcosa che si sottrae all'indagine, un imprevisto che Tucidide τύκη, ovvero quella contraddittorietà del reale intrinseco alla stessa esistenza umana. 5. Le idee politiche e le concezioni etiche di Tucidide L'obiettività documentaria ma rappresenta una categoria interpretativa del fatto storico e delle funzioni della storiografia. Tucidide reagisce con la luce della ragione per mettere la collettività e i singoli di fronte all'immane responsabilità che grava sullo smarrimento di valori. Accade raramente che lui manifesta il proprio giudizio ma la sua meditazione è sempre sottintesa. Il suo senso della realtà lo induce a comprendere la necessità espansionistica dell'egemonia ateniese, e l'altrettanto obbligata reazione da parte di Sparta; ma ciò non lo acceca al punto di nascondergli l'ingiustizia profonda che una politica volta al conseguimento del potere assoluto porta con sé. Si tratta di un aspro dilemma. Per intelligenza ed equilibrio, Pericle è il modello dell'uomo di stato e la sua morte fu la rovina per Atene perché segnò l'abbandono delle sue direttive politiche e strategiche. Tucidide evita di affrontare il problema della forma di governo ideale, ma quando si vuole instaurare l’oligarchia del Quattrocento, pare chiaro allo storiografo che sia impossibile togliere al popolo ateniese la libertà di cui aveva goduto per più di cent’anni. La sua interpretazione etica della storia è fondata sull'autonomia e sull'immanenza delle leggi che ne determinano lo svolgimento. L'ascesa e la caduta dell'impero ateniese offrono la dimostrazione di una legge di giustizia che sembra superiore all'autonomia stessa della dimensione storica. Necessità storica e legge di giustizia finiscono per coincidere in un esito che ha la dimensione di una tragedia. Le Storie esprimono un senso tragico dell'esistenza. Lo spirito tragico suscita in Tucidide il grido della sofferenza che appartiene alle vittime della guerra, ma che è anche quello dell'umanità che si misura con il reale. 6. L’arte di Tucidide La verità obiettiva e la tensione intellettuale trovano un punto d'incontro nell'impianto formale della sua opera. Il piano narrativo segue la cronologia degli avvenimenti, ma il risultato va ben oltre il livello di semplice cronaca. Nel racconto si aprono episodi di più ampio sviluppo e di accentuato impegno concettuale ed artistico; tra questi i già citati Archeologia, Pentecontetìa, Dialogo dei Melii e Epitafio di Pericle; ma ce ne sono altri: • la descrizione della peste di Atene è un esempio dell'attitudine a fondere l'impassibilità della relazione scientifica con l'osservazione morale e con una pietà profonda; • la vicenda dell'invasione ateniese in Sicilia rappresenta quasi una monografia che si estende per i due libri ed è il cuore dell'opera in quanto segnò il vertice dei propositi imperialistici di Atene e rappresentò la fine dell'impero. In questi sviluppi di primo piano rientrano sia episodi che descrivono fasi belliche o eventi della vita politica, sia discorsi, sia commenti e riflessioni. Tucidide è un grande maestro di stile, la sua forma di espressione può apparire intricata e oscura, ma questa difficoltà nasce dal proposito di rendere tutti gli aspetti della realtà e di mantenere alto il livello linguistico. La sintassi è irregolare e riflette la problematicità del reale tenendo anche alta l'attenzione del lettore. La diffusione della sua opera era affidata alla forma scritta e la suprema padronanza con cui domina l'arte della parola gli consentì di rappresentare attraverso lo stile anche la dimensione psicologica dei personaggi. Il suo stile severo e complesso è la manifestazione di un rigore intellettuale che si propone di investigare nel vero della storia i nessi della realtà umana. Tucidide sentì intimamente la tragedia del suo tempo e della sua città e per decifrarne le cause scelse l'itinerario della ragione ponendo i fondamenti per la scienza della politica che sono il significato della sua fortuna nelle epoche a venire. L’ORATORIA 1. L’oratoria del V secolo: inizi, funzioni e forme L'oratoria è un mezzo per la trasmissione del pensiero ma è pure uno strumento di persuasione. I poemi omerici conferiscono grande rilievo sia nelle assemblee popolari, sia nei consigli dei capi dell’esercito: in entrambi i casi la deliberazione è l’esito di un dibattito. La letteratura oratoria è un esito della situazione politica e giudiziaria che si produsse ad Atene nell'età successiva alle guerre persiane, divenne un'abitudine rivolgersi a un professionista dell'arte oratoria, che scriveva un discorso che poi il cittadino convocato in giudizio imparava a memoria e recitava in prima persona. La tradizione antica suddivideva l'oratoria: • oratoria giudiziaria → i discorsi d'accusa e di difesa dei processi relativi a cause pubbliche o private; le caratteristiche erano soprattutto due: il ricorso ad argomenti di carattere generale e il proposito di suscitare un'approvazione a livello emotivo; la diffusione fu favorita dal fatto che il cittadino ateniese doveva esporre il caso in persona davanti alla corte; ha una marcata schematizzazione: − introduzione: ha lo scopo di propiziare l'attenzione e il preliminare favore dei giudici; − narrazione: erano rappresentati i fatti e lo sfondo in cui questi si erano svolti; − discussione: con l'eventuale interrogatorio di testimoni; − perorazione: sulla base di quanto era stato esposto in precedenza doveva ottenere il voto favorevole del collegio giudicante. • oratoria epidittica (o dimostrativa) → i discorsi pubblici in occasione di cerimonie per commemorare defunti, o per encomiare cittadini benemeriti, o per propagandare un'idea di interesse generale; • oratoria deliberativa (o politica) → le orazioni tenute in una sede e con finalità politiche. Le ultime due erano meno condizionate da schemi e vincoli, di volta in volta si adattavano alla situazione e all'argomento e acquistava un particolare rilievo la personalità dell'autore. 2. ANTIFONTE (Ramnunte, 480 a.C. – Atene, 411 a.C.) Antifonte, nato verso il 480, fu uno dei protagonisti della restaurazione oligarchica dei "Quattrocento" (411). Ristabilita la democrazia, venne accusato di aver venduto la patria agli Spartani e fu condannato a morte per tradimento. Tucidide fa un elogio delle sue qualità umane e civili. Gli alessandrini conoscevano sessanta orazioni, delle quali venticinque vennero escluse come spurie. A noi è giunto un complesso di 15 orazioni. Tre di queste furono recitate in processi per omicidio: − una contiene l'accusa di un giovane contro la matrigna, ritenuta responsabile di aver avvelenato il marito; − una contiene la difesa di un corego che aveva provocato la morte di un coreuta, dandogli da bere una droga per provare la sua voce; − Sull'uccisione di Erode è la difesa di un giovane di Mitilene, accusato di aver ucciso durante un viaggio per mare il vecchio Erode. Le altre dodici orazioni formano le Tetralogie, in numero di tre, ciascuna delle quali si riferisce a un processo criminale ed è composta di due brevi discorsi di accusa e due di difesa. 3. ANDOCIDE (Atene, 440 a.C. – 390 a.C. circa) Andocide, nato poco prima del 440, apparteneva ad una famiglia dell'aristocrazia ateniese e venne coinvolto nell'accusa di avere partecipato con Alcibiade alla famosa mutilazione delle Erme, ma si salvò e scelse di andare in esilio volontario. Intorno al 407 pronunciò Sul proprio ritorno davanti all'Assemblea popolare per essere riammesso. Tuttavia, ciò avvenne solo con l'amnistia del 403. Ma i suoi nemici nel 399 intentarono contro di lui una nuova accusa di empietà, da cui si difende con l'orazione Sui misteri che gli valse l'assoluzione. In occasione di un'ambasceria a Sparta, egli pronuncia Sulla pace con Sparta, in cui egli tentò di difendersi davanti all'assemblea dopo il fallimento della missione. Andocide scrive per necessità di autodifesa, non è un oratore di professione.
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