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Riassunto completo per l'esame di "Storia delle istituzioni politiche italiane ed europee", Schemi e mappe concettuali di Storia Delle Istituzioni Politiche

Riassunto completo per l'esame di "Storia delle istituzioni politiche italiane ed europee" di Sandro Guerrieri. Comprende sia la parte italiana che europea, composto sia dai suoi appunti presi in aula dettagliatamente che da aggiunte dal libro. Si può studiare direttamente da questo file per l'esame :)

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

In vendita dal 06/10/2023

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Scarica Riassunto completo per l'esame di "Storia delle istituzioni politiche italiane ed europee" e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Delle Istituzioni Politiche solo su Docsity! INTRODUZIONE Una caratteristica fondamentale del corso è che la Storia italiana e la Storia europea non sono due dimensioni separate, il legame tra dimensione nazionale e sovranazionale sarà sempre molto stretto. Non possiamo capire la storia del nostro paese nel Secondo dopoguerra senza conoscere quella europea, importante anche per capire il contributo italiano. Il corso infatti si concentrerà sui momenti fondanti sia dell’Italia repubblicana, sia di quella che diventerà l’Unione europea. La prima parte del corso sarà introduttiva, analizzando i grandi modelli costituzionali, quello francese, americano, britannico poi le costituzioni octroyée, ottriate, quindi statuto albertino e il fascismo. Poi inizieremo l’analisi della vicenda costituente italiana che si apre all’indomani della Seconda guerra mondiale. Sono vari i modelli che si affermano in questo periodo perché abbiamo paesi che escono da regimi fascisti (Italia, Germania, Francia), abbiamo paesi con costituzioni socialiste (ispirati a quella sovietica), abbiamo le costituzioni dell’America latina (dove è forte la presenza dei militari), abbiamo costituzioni di paesi che escono dal colonialismo (in primo luogo l’India). Una particolare attenzione sarà prestata al caso francese per l’evidente analogia con il caso italiano, sia per la discussione, che per i protagonisti della genesi della costituzione (i tre più importanti partiti di massa, Democrazia cristiana, Partito comunista, Partito socialista). MODELLI DI COSTITUZIONALISMO Sui vari modelli di costituzionalismo si articola una possibile riflessione sulla Costituzione europea; questi ci consentiranno di mettere in luce oggetti importanti nell’ambito della discussione della nostra Costituente. In quest’ottica c’è chi sostiene che il processo costituente del 2004 per la Costituzione Europea non sia stato in realtà un vero processo costituente, mentre per qualcun altro sì. • Partiamo dal MODELLO BRITANNICO. È un modello di tipo gradualistico, storicistico, fondato sulla tradizione, che viene vista come una sorta di legame che porta a costruire un nesso tra realtà contemporanee e realtà storica precedente, attraverso un gradualismo progressivo. È tipico basarsi su esperienze passate di convenzioni costituzionali, di consuetudini, un insieme di pratiche che spiegano ancora oggi perché il modello britannico non ha una vera e propria costituzione scritta. Questo tipo di modello si adatta facilmente alle situazioni più di quanto non si adatti un sistema classico. Ma tutta la vicenda Brexit ha mostrato come la visione flessibile del modello britannico sia problematica. Processo di costituzionalizzazione graduale progressivo che non fa riferimento ad un potere costituente originario. Nel corso della storia abbiamo il passaggio da una monarchia costituzionale ad una monarchia parlamentare, all’interno della quale si afferma in maniera crescente il ruolo del Cabinet e del Primo ministro. La definizione che dà della costituzione inglese il giornalista britannico Walter Bagehot nel suo libro “The English Constitution”, distingue tra le “parti nobili” e le “parti efficienti”, le ultime sono Parlamento e cabinet, le parti nobili sono la Camera dei lord e la Corona. Il sistema britannico si caratterizza per la mancanza di un richiamo al potere costituente. Non a caso l’esperienza britannica non è sfociata in una vera e propria costituzione scritta. • La nascita di un potere costituente l’abbiamo infatti con l’ ESPERIENZA STATUNITENSE. Durante la fase della guerra d’indipendenza, gli USA si dotano di una Costituzione confederale, successivamente alla Convenzione di Philadelphia adottano la Costituzione federale che noi oggi conosciamo. Avvengono dei processi interni ai singoli Stati ed a livello generale, si passa così dalla forma Confederale a quella Federale. Qui nasce il potere costituente, l’obiettivo dei costituenti americani è quello di fondare una nuova nazione, ed è per questa ragione che si fa un salto di qualità rispetto all’esperienza britannica. Si noti che Altiero Spinelli nel Manifesto di Ventotene afferma che la parola d’ordine è “Stati Uniti d’Europa” cioè la possibilità di riprodurre quello che gli Stati americani fecero dopo la guerra d’indipendenza. Questo è un grande contributo della Costituzione americana al Costituzionalismo europeo, incluso quello italiano. Con gli Stati Uniti appunto abbiamo oltre alla Dichiarazione di indipendenza, un atto di fondazione, la Costituzione. Cos’altro lascia l’esperienza statunitense per i nostri costituenti? Come tradizione, intanto, un’attenzione al tema del potere esecutivo stabile, cioè avere un potere esecutivo forte. James Madison, quarto Presidente americano afferma nel “The Federalist”: “l’energia nel governo è indispensabile ... la stabilità del governo è indispensabile. Il “The federalist” è una raccolta di 85 articoli o saggi scritti con lo scopo di convincere i membri dell'assemblea dello Stato di NY a ratificare la Costituzione degli Stati Uniti d’America. Gli autori furono James Madison, John Jay ed Alexander Hamilton. È considerato il testo chiave del costituzionalismo americano. Il primo principio che si afferma è la necessità di un esecutivo forte , il secondo è l’idea di un controllo di costituzionalit delle leggià̀ , ed anche questo nasce con il costituzionalismo americano. Non lo troviamo espresso nella Costituzione, ma l’idea che la Corte costituzionale possa sindacare le leggi adottate è stata desunta dai principi della Costituzione, e la ritroviamo inoltre nel The Federalist. Questo perché gli indipendentisti americani criticavano al parlamento britannico di aver commesso un abuso di potere. Questo porta all’idea che il Parlamento potrebbe approvare leggi che violino i diritti costituzionali da qui il controllo di costituzionalit (o di “à̀ legittimità costituzionale”). Ne parla Hamilton nel The Federalist, e viene affidato ai giudici. L’idea è quella della separazione dei poteri, che porta i giudici a svolgere un ruolo importante per il rispetto della Costituzione. Hamilton risponde ad un’obiezione ricorrente nella storia del controllo di costituzionalità. Qualcuno infatti si è lamentato di un eccessivo interventismo dell’attività del Parlamento (anche in Italia), e si è obiettato che talvolta i giudici non tenessero conto del principio di sovranità popolare. Hamilton non è d’accordo, se i giudici dichiarano nulla una legge contraria alla Costituzione, non significa che i giudici affermano la loro superiorit rispetto al legislativo, ma affermano laà̀ superiorit della Costituzione su tutti i poteri costituitià̀ . “L’interpretazione delle leggi è compito preciso delle leggi, la Costituzione deve essere considerata una legge fondamentale per cui spetta ai giudici verificarne la correttezza, alla legge si dovrà preferire la Costituzione”. Il controllo di costituzionalità sarà affermato dalla sentenza Madison vs Marbury, un processo in cui, il 24 febbraio 1803, la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò per la prima volta incostituzionale una legge del Congresso, stabilendo così la il controllo di legittimità costituzionale.  Il concetto che emerge è la superiorit dellaà̀ Costituzione, della costituzione come legge fondamentale, e l’idea di una costituzione come garanzia. Sarà un tema al centro dei dibattiti anche della nostra Costituente, a cominciare dalla Democrazia Cristiana, che più si batterà per il controllo di costituzionalità delle leggi. • COSTITUZIONALISMO FRANCESE. Intanto non c’è da creare una nuova nazione, quello che si vuole creare è una trasformazione profonda della nazione all’insegna dei diritti di cittadinanza. Ciò che caratterizza il costituzionalismo francese è l’idea di una rottura radicale con il passato. I rivoluzionali francesi vogliono distruggere l’Ancient regime. Il testo della costituzione del 1791 dice “non ci sono più”. Questo è qualcosa di profondamente antitetico alla tradizione britannica, che nasce appunto con un riferimento costante alla propria storia. Mentre poi il costituzionalismo americano si fonda sull’idea di una garanzia della costituzione, e della separazione dei poteri, nel caso francese abbiamo l’evidente caso della superiorit del potere legislativoà̀ . È un potere sovrano a tutti gli effetti, con un dibattito tra la scelta monocamerale o bicamerale. Le prime due Costituzioni furono monocamerali, sono nel 1795 si arrivò al bicameralismo. In quest’ottica, chi non aveva contratto matrimonio a quarant’anni era considerato un egoista che privilegerà sempre il proprio interesse personale rispetto alla nazione, questa era la ragione per cui bisognava essere sposati per essere nella camera alta della Costituzione, il Consiglio degli Anziani. Questo dibattito monocameralismo/bicameralismo torna anche nel nostro dibattito costituente. Nel caso del costituzionalismo rivoluzionario francese il filosofo di riferimento è Rousseau: la legge deve essere particolare ed astratta. In Francia si guarda con diffidenza ad un potere esecutivo forte, e n on viene presa in considerazione l’idea di un controllo di costituzionalità ; la differenza rispetto al costituzionalismo americano su questo è totale. In Francia si sostiene che il giudice debba applicare la legge, non deve neanche interpretarla. Mentre nella tradizione anglosassone c’è l’interpretazione sulla verifica del precedente, nella tradizione francese c’è una norma generale ed astratta che deve essere applicata dal giudice, senza che stia a sindacare gli atti, anche perché c’erano precedentemente le corti dell’Ancient regime che lo facevano. In Francia un controllo di costituzionalità degno di questo nome sarà introdotto con la Costituzione della V Repubblica del 1958. Con la Costituzione del 1793, detta anche “Costituzione montagnarda” (i montagnardi erano gli appartenenti al gruppo più rivoluzionario formatosi durante la Rivoluzione francese 1789-99) il costituzionalismo francese assume un’altra caratteristica, ovvero quando vengono definite le categorie dei diritti, non ci si limita solo ai diritti di libertà, come avviene nel contesto americano con gli emendamenti alla Costituzione americana (i primi dieci del 1789), ma nel caso della Francia abbiamo una prima manifestazione anche dei diritti sociali. In questa costituzione si afferma che l’autorità pubblica, oltre a garantire il rispetto dei diritti di libertà deve assicurare il sostentamento dei cittadini sia assicurando loro il lavoro (embrionale forma del diritto al lavoro) sia assicurando i mezzi di sussistenza a coloro che non sono in grado di lavorare. Inoltre, viene proclamato con molta enfasi il diritto all’istruzione di tutti i cittadini, e stabilisce in maniera enfatica un diritto all’insurrezione quando il governo violi i diritti del popolo. Questa del 1793 non viene messa in vigore, per cui si arriva alla costituzione del ‘95 con il bicameralismo e il Consiglio degli anziani, abbiamo poi l’esperienza napoleonica e in ultimo la Costituzione octroyée del 1814 concessa dall’alto dal sovrano. Ad esempio, lo Statuto albertino si ispira al modello octroi, modello antitetico a quello del potere costituente. Il costituzionalismo francese si sviluppa ancora nel corso dei decenni, un libro di uno storico mostra come ci sia la tendenza a cambiare regime politico costantemente. Il modello della Terza repubblica (1870-1940) è importante perché introduce un regime parlamentare bicamerale del 1875 (sono tre leggi costituzionali che potrebbero considerarsi nel complesso una Costituzione), che sarà visto da in Francia era il Partito radicale. In Francia così come in Italia abbiamo questo passaggio, che nel caso italiano durerà vari decenni fino all’inizio degli anni Novanta. In Francia sarà molto più breve. La destra invece è notevolmente ridotta, e nel caso francese abbiamo la figura di De Gaulle che viene eletto alla Presidenza del governo provvisorio ‘44-‘46, come forma di riconoscenza della sua resistenza al regime di Vichy. Porta avanti una serie di riforme legislative poi nel ‘46 De Gaulle si dimette perché non vuole sottostare ai condizionamenti di questi partiti di massa, temendo che questi prendano troppo spazio e compromettano gli interessi nazionali. Questa è la prima frattura, De Gaulle che lascia il governo in polemica con i partiti di massa; questi infatti non riescono a trovare un accordo per la Costituzione. Una Costituzione intesa come indirizzo fondamentale che delinea una tavola di valori a cui i poteri costituiti devono attenersi per realizzare i principi costituzionali, quindi costituzione come programma da realizzare sulla base di un Parlamento forte, fulcro di un’azione riformatrice rapida e incisiva. Questa è la tradizione che ha trovato piede nella fase montagnarda della Rivoluzione, a questa impostazione si richiamano partito socialista e comunista. Per il PSF l’obiettivo è una nuova dichiarazione dei diritti, che rispetto a quella del 1789 comprenda anche un largo elenco di diritti sociali. Volevano un programma di riforme che potesse costituire una cittadinanza sociale. Quindi il primo punto lo Stato sociale, il secondo punto è mettere in piedi un sistema politico che consenta di raggiungere questi principi con un Parlamento forte monocamerale, ed un governo strettamente legato al parlamento a cui sia garantita quella stabilità necessaria a realizzare questo programma di riforme. Questa a grandi linee è l’ipotesi del PSF. Vicina a questa ipotesi è quella del PCF. I socialisti puntano alla superiorità del potere legislativo, i comunisti sono ancora più propensi a creare un sistema fondato su un primato assoluto del potere legislativo. Mentre i socialisti prestano attenzione alla collaborazione tra parlamento e governo, per il PCF l’esecutivo deve essere totalmente subordinato al parlamento monocamerale. C’è poi un’altra differenza cioè l’idea che i rappresentanti in parlamento non possano godere di una libertà d’azione, cioè di un’interpretazione troppo libera del mandato. Deve essere quindi introdotto un vincolo di mandato attribuendo agli elettori il potere di revocare gli eletti. Quindi un’idea che mette in discussione uno dei cardini della democrazia rappresentativa cioè l’assenza del vincolo di mandato. Cosa propone invece la DCF? Alcuni punti saranno quasi identici a quelli proposti dalla democrazia cristiana italiana. Troviamo un ancoraggio da parte della DCF alla tradizione della costituzione come garanzia, a differenza di PSF e PCF che vedevano la costituzione come indirizzo. Infatti, nel caso del PCF si rifiuta l’idea di un controllo di costituzionalità delle leggi. I socialisti sono meno netti su questo, c’è una disponibilità. Ma è la DCF che vuole introdurre fortemente questo aspetto proprio perché guarda alla costituzione come garanzia. Quindi la DCF vuole un equilibrio di poteri, netta separazione delle funzioni che garantisca a ciascun organo la sua autonomia; si combatte l’egemonia di un solo organo che potrebbe creare una tirannia della maggioranza parlamentare. Poi c’è un’idea più articolata che è la questione dei diritti, c’è anche in questo caso una netta differenziazione con il PCF / PSF perché anche quando parlano di diritti sociali li intendono come diritti dei singoli individui. La DCF invece fa propria la concezione del personalismo il cui esponente principale è stato Emmanuel Mounier. Non esistono solo i diritti degli individui, ma anche quelli delle cosiddette “comunità naturali”. Cioè l’idea alla base è che si deve superare il concetto tipicamente rivoluzionario di un individuo isolato, la persona è l’individuo nella sua dimensione sociale. Quindi la differenza è che bisogna attribuire dei diritti non solo agli individui in quanto tali, ma anche alle comunità naturali in cui si svolge la vita degli individui (famiglia, enti territoriali...) C’è un intreccio di varie comunità sociali che necessitano di garanzia giuridica e costituzionale. Introducono anche un elemento che fa innervosire la sinistra, col diritto alla famiglia introducono il tema della libertà di insegnamento, ma non si intende la libertà del docente di esprimere la propria visione di insegnamento, ma sarebbe il diritto del capo famiglia di scegliere il sistema scolastico più adatto per i figli. Quindi come conseguenza logica la libera scelta tra scuola pubblica e privata porta alle scuole private ad avere sussidi pubblici. Questo è un forte punto di scontro. Abbiamo poi l’idea di una forma dell’equilibrio dei poteri in forma bicamerale, dove la Prima camera è quella prevalente eletta a suffragio universale, che deve avere l’ultima parola in ambito legislativo, ed è anche la camera nei confronti della quale il governo è responsabile. Affianco a questa deve esserci una Seconda camera che rappresenti le comunità naturali, si intendono quindi i rappresentanti delle associazioni familiari, rappresentanti degli enti locali, rappresentanti delle organizzazioni lavorative, inclusi i sindacati. Tuttavia, rispetto al dibattito italiano, qui il controllo di costituzionalità prevede che qualora un organo di garanzia metta in discussione una legge del parlamento l’ultima parola spetta al popolo. Questo è quello che propongono sia i socialisti che la democrazia cristiana. Non è la quinta essenza di garanzia della costituzione, ma è quello che la Francia con la sua tradizione rousseauiana elabora nel processo costituente. Ma i comunisti proprio non ne vogliono sentir parlare. ➳ Quindi, fino ad ora abbiamo visto l’avvio del processo costituente in Francia con il Referendum e la Prima assemblea, le varie posizioni che si confrontano sono molto simili alle posizioni dei nostri partiti. Abbiamo visto diverse impostazioni, la costituzione come indirizzo e la costituzione come garanzia. Nell’opera della Costituente eletta il 21 ottobre, abbiamo la progressiva crescita della sintonia tra socialisti e comunisti, e la sconfitta di gran parte delle proposte avanzate dalla democrazia cristiana. I socialisti anche quando sono d’accordo con i democristiani decidono comunque di schierarsi con i comunisti. Altra questione sollevata su cui democristiani e socialisti sono d’accordo è l’introduzione in costituzione dei principi dello Statuto dei partiti, cioè principi che garantiscano la democraticità dei partiti, e che questi rispettino la costituzione stessa. In Italia, ad esempio, se n’é discusso con riferimento al finanziamento pubblico. Secondo il professore ciò è legittimo, ma andrebbe accompagnato ad una regolamentazione dei partiti. Nella Francia del ’46 se ne discute, ma i comunisti si oppongono perché temono che la formalizzazione della regolamentazione dei partiti possa essere utilizzata contro di loro. Questo è un altro tema che viene scartato perché i socialisti si adeguano alla posizione comunista. Alla fine, viene prodotto un testo costituzionale che il 19 aprile 1946 viene approvato con 309 voti a favore e ben 249 contrari, e viene votato solo da socialisti e comunisti. Questa costituzione approvata a colpi di maggioranza deve essere sottoposta al referendum di conferma e questo conferma la bocciatura di questo testo che viene respinto con il 52,9% di voti contrari. È stato un vero e proprio fallimento, perché la maggioranza parlamentare non corrisponde alla maggioranza nel paese. La costituzione deve essere un percorso comune, la costituzione fatta solo dalla maggioranza espone a rischi evidenti. Qual è la via d’uscita? Si deve eleggere una seconda Assemblea costituente il 2 giugno del 1946 contemporaneamente alla costituente italiana, con stessi poteri e stesse missioni. La novità è che i democristiani si affermano come primo partito con il 28,2 % dei voti. I socialisti subiscono un calo mentre i comunisti mantengono più o meno gli stessi numeri e, quindi, la sinistra perde la maggioranza assoluta e la democrazia cristiana guadagna consensi. Questo pone problemi ad un’Assemblea costituente. A questo punto tutte le forze politiche sono spinte a elaborare un testo costituzionale che consenta di uscire da questa situazione di provvisorietà. L’esigenza di far presto nasce anche dal fatto che il generale De Gaulle, presidente a suo tempo del governo provvisorio, il 16 giugno 1946 pronuncia un importantissimo discorso “Discorso di Bayeux” con la sua proposta politico-costituzionale di separazione dei poteri, ed un Presidente della Repubblica eletto da un collegio più ampio del Parlamento, che deve essere la chiave di volta del sistema. Sfida così i partiti, affermando che questi non sono in grado di portare avanti un sistema efficiente. De Gaulle, in questo modo, anticipò la costituzione che verrà, non a caso ha grande seguito nell’opinione pubblica. Come si procede? I tre partiti di massa arrivano ad un’intesa, che comporta un ridimensionamento delle grandi aspirazioni iniziali, ad esempio per la parte relativa alla dichiarazione dei diritti. La prima costituente aveva elaborato un grande progetto di dichiarazione dei diritti, di libertà e sociali, per accelerare le cose si decide di non inserire un’ampia e articolata dichiarazione dei diritti, ma un semplice Preambolo che richiama la Dichiarazione del 1789. Questa quindi non viene reinterpretata per quanto riguarda i diritti di libertà, poi si introducono i diritti economici riprendendo la prima costituente ma in forma più breve e semplificata. Addirittura, per accelerare le cose i costituenti arrivano ad affermare di non perdere troppo tempo per la Dichiarazione dei diritti perché questo preambolo non ha valore giuridico, è una dichiarazione d’intenti. Questo consente di accelerare i tempi e per quanto riguarda il sistema istituzionale si raggiunge un compromesso, si arriva ad un bicameralismo. La seconda camera prende il nome di Consiglio della Repubblica in posizione inferiore rispetto all’altra camera eletta a suffragio universale. In questa seconda camera dominano i rappresentanti degli enti territoriali ecc, ed ha un ruolo inferiore nel senso che la prima camera ha l’ultima parola nel campo della formazione delle leggi, ed è l’unica titolare della funzione di indirizzo politico, nel senso che il governo è responsabile dinanzi solo alla prima camera. Quindi non è un bicameralismo paritario come in Italia. Altra caratteristica riguarda il governo, e si stabilisce il voto di fiducia solamente al Presidente del Consiglio. Di questo se ne parlerà anche nella costituente italiana. Cioè il Presidente del Consiglio viene eletto dal Presidente della Repubblica, si presenta alle camere, espone il suo programma, riceve la fiducia e solo dopo nomina i ministri. Questa era la teoria, nella pratica non funzionò così bene. Alla fine nella prassi si impose un voto di fiducia anche sui ministri del governo. Nella prassi della Quarta repubblica abbiamo il voto di fiducia al premier, e di fatto un voto di fiducia anche alla compagine governativa. Altro elemento del compromesso che viene raggiunto nella seconda costituente. Il dato fondamentale è che si tratta di un compromesso un po’ a ribasso, che non fotografa un vero spirito unitario ma la necessità di trovare un accordo per avere una costituzione. Qui la differenza con il processo costituente italiano, non a caso i costituenti italiani terranno l’esempio della Quarta repubblica francese per evitarne le fratture. Una costituzione che nasce in questo modo non solleva l’entusiasmo della popolazione, anche perché non era nata dall’entusiasmo di chi l’aveva scritta. Doveva essere sottoposta a referendum. De Gaulle parte all’attacco di questa costituzione dicendo che era inadeguata. Il 13 ottobre 1946 con il referendum questa costituzione viene approvata con una maggioranza limitata (53,5%). È un risultato risicato, a dimostrazione di una certa insofferenza dell’opinione pubblica su questo testo che non è difeso con entusiasmo da coloro che l’avevano adottata. Nasce un sistema politico con già elementi di debolezza al proprio interno, non riuscirà a garantire un adeguata stabilità politico-governativa. Così la Quarta repubblica nasce con questa debolezza, che si accentuerà nel corso degli anni per diverse ragioni. Intanto perché si accentua la guerra fredda, per cui si avrà l’emarginazione del partito comunista, ed in Francia rispetto che in Italia questo sarà più pesante, perché viene meno il sistema dei partiti di massa. La sinistra vede un netto ridimensionamento dei voti. Questo sistema dei partiti di massa si mostra transitorio, e recuperano terreno i partiti di quadri che riescono a far cadere il governo con moltissima facilità. La durata media dei governi nel periodo 1946 – 1958 era di sei mesi. A differenza dell’Italia, quello che rappresenta una risorsa per la Francia è che quelle debolezze costituzionali sono compensate dalla tradizione politico- costituzionale, cioè un insieme di valori che si sono consolidati nel tempo, che rappresentano un elemento importante per la coesione della collettività. Viene definito “patriottismo repubblicano”, sviluppato nel corso degli anni e nato dalla Rivoluzione francese, elemento importante per la coesione nazionale in Francia. Un altro elemento importante sarà l’amministrazione efficiente delle élite amministrative, questa amministrazione garantisce una continuità tra la Quarta repubblica e la futura Quinta repubblica di De Gaulle, quindi fa da contraltare all’instabilità politica. Abbiamo anche la prima espressione di un partito gaullista: “Rassemblement du peuple français”, che sottrarrà voti soprattutto ai democristiani. Un altro aspetto importante riguarda la questione coloniale. Questa è una particolarità della costituzione francese, che si ripropone di rifondare le strutture coloniali. Una delle caratteristiche più importanti della costituzione, nonché la parte più lunga, è dedicata a rifondare il sistema coloniale. Si passa dall’impero coloniale all’Unione francese, entità politica creata dalla Quarta Repubblica francese per rimpiazzare l'antico sistema coloniale . Se ne discute molto nelle due assemblee costituenti, sono eletti anche dei rappresentanti dei popoli colonizzati, tra cui abbiamo nomi di grande rilievo, che avranno un ruolo chiave nella storia dei loro paesi. Dalla costa d’avorio abbiamo Houphouet-Boigny, leader della popolazione della Costa d’avorio, sarà Presidente negli anni Sessanta dopo l’indipendenza della Costa d’avorio per ben 33 anni. Poi abbiamo un letterato senegalese, Sedar Senghor, il quale sarà presidente del Senegal per ben vent’anni dopo l’indipendenza negli anni Sessanta. Il dibattito è intenso soprattutto nella Seconda costituente, perché alcuni dei rappresentanti dei popoli colonizzati voglio che si apra la strada ad una possibile fine del colonialismo, altri invece vogliono riconfermare l’impero coloniale della Francia, che è immenso, dall’Africa equatoriale all’Algeria, all’Indocina, al Marocco, alla Tunisia, alle Antille. Con status diversi. Si capisce che si va verso una conflittualità che porterà in alcuni paesi alla guerra. Tornando all’organizzazione dell’Unione francese, c’è una contraddizione. C’è sì una proclamazione dell’eguaglianza dei diritti tra tutti coloro che risiedono nell’Unione francese (uguaglianza dei diritti e dei doveri senza distinzione di razza né di religione), si concede la cittadinanza, ma nello stesso tempo si prevede un forte controllo della Francia sui possedimenti coloniali. Da un lato si vuole rendere il colonialismo meno aggressivo, e dall’altro non si tiene conto delle necessità dei paesi che vogliono l’indipendenza. Ad esempio, l’Algeria sarà il caso più drammatico. C’è quindi un rapporto complesso tra questi paesi e la Francia, ed anche tra questi stessi paesi; si decide sul mantenimento della sovranità della Francia. FASCISMO Questo sistema politico viene messo a dura prova durante la Prima guerra mondiale, dovendo poi far fronte alla crisi del dopoguerra con l’avvento del fascismo. A partire dalla marcia su Roma del 1922 si passa per alcune fasi che procedono alla costruzione di uno Stato autoritario. Nella genesi del fascismo sono evidenti delle responsabilità istituzionali. L’esercito sarebbe stato in grado di fermare le squadre di Mussolini, ma il sovrano si rifiutò di firmare il decreto che avrebbe introdotto uno Stato d’assedio. Perché lo fece? Temeva uno spargimento di sangue? Temeva il fatto che nell’esercito ci siano simpatie per il fascismo? Vedeva in Mussolini un uomo d’ordine? Probabilmente c’era da tenere in considerazione anche questo aspetto. Sta di fatto che Vittorio Emanuele III chiama Mussolini e gli conferisce l’incarico di governo. I parlamentari fascisti erano pochi, 35, si riesce a fare il governo grazie al concorso di liberali e popolari. Poi i popolari usciranno dal governo capendo l’errore fatto, mentre i liberali rimasero fino al 1921. Il ruolo attribuito a Mussolini dal sovrano sarà oggetto di dibattito anche per i nostri costituenti, il modello fascista agirà in modo negativo su di loro, infatti, i ruoli di Capo dello Stato e del Premier saranno più controllati. Nel 1923 fu approvata una nuova legge elettorale, Mussolini aveva bisogno di ottenere la maggioranza parlamentare fascista, e allora fu varata una legge elettorale sbilanciata in senso maggioritario, ossia la legge approvata da un Parlamento sempre più impaurito o comunque legato al fascismo, la legge Acerbo, la quale stabiliva che alle nuove elezioni chi avesse ottenuto almeno il 25% dei voti, o comunque la maggioranza relativa, avrebbe preso poi 2/3 dei seggi disponibili. Bastava avere la maggioranza relativa, purché superiore al 25%, per prendere il 65% dei seggi, cioè i 2/3. Questa fu una legge che aprì la strada alla definitiva vittoria del fascismo. Questa legge ha un precedente importante che tornerà come esempio negativo nel dibattito politico in Italia, fece sì che la lista di Mussolini ottenne (con le violenze) oltre il 60% dei voti. In seguito, abbiamo la costruzione del sistema fascista con le tipiche istituzioni che vengono create, si parte dal Gran Consiglio del Fascismo. Dopo l’omicidio Matteotti del 1924, quando Mussolini supera la fase critica del suo governo, comincia a riprendere le redini istituendo le leggi fascistissime, emanate tra il 1925 - 26, che elimineranno le opposizioni, e vennero prese una serie di misure che non comportarono una revisione della costituzione. Lo Statuato albertino non viene modificato di mezza virgola, tra l’altro per l’appunto non era prevista una revisione della Costituzione. sperando durasse poco, tuttavia la guerra va sin dall’inizio malissimo. Gli Italiani sulle alpi vengono bloccati dai francesi, vengono sconfitti in Grecia, Etiopia, Libia dove gli italiani sono costretti a chiedere aiuto alla Germania. Arriviamo poi al 10 giugno 1943 con lo sbarco degli alleati in Sicilia, il più grande sbarco passato nella storia che ha visto un enorme dispiegamento di forze da parte degli alleati. Gli alleati si trovano davanti l’esercito italiano e quello tedesco, ma gli italiani combattono poco. Manca la motivazione, gli alleati sono accolti come liberatori. Il 19 luglio avviene il bombardamento di Roma, allo scalo ferroviario di San Lorenzo ed anche vicino il quartiere popolare, ad opera di bombardieri statunitensi. Mussolini riconferma la sua alleanza con la Germania dopo l’incontro a Feltre. Nell’incontro Mussolini avrebbe dovuto persuadere Hitler a fornire all’esercito italiano armi e mezzi sufficienti a proseguire la guerra, ma Hitler non gli permise di parlare e Mussolini non riuscì a imporre le sue richieste. A quel punto alcuni dei gerarchi fascisti, a cominciare da Grandi, chiedono la convocazione del Gran consiglio. Nella notte tra il 24 - 25 luglio 1943 si tenne l’ultima riunione del Gran Consiglio del Fascismo, durante la riunione venne votato il famoso “Ordine del giorno Grandi”, che prevedeva la sfiducia a Mussolini, si tratta del documento che portò alla fine del regime fascista e che mise in moto il meccanismo che avrebbe portato all’uscita dell’Italia dalla Seconda guerra mondiale. I gerarchi in realtà speravano in una situazione di compromesso, ma il Vittorio Emanuele III fece arrestare Mussolini, e attribuì a Pietro Badoglio l’incarico di formare un nuovo governo. All’indomani della caduta di Mussolini abbiamo tante manifestazioni di piazza che esultano, e chiedono la fine del governo. Avviene così nel 1943 la crisi del fascismo. Si spera in una fine della guerra, è l’idea del nuovo governo Badoglio. Questo è quello che avviene, con la firma dell’Armistizio di Cassibile, il 3 settembre 1943, con cui l’Italia firmò la resa incondizionata agli Alleati. La firma è tenuta segreta, da ciò nasce una sorta di crisi del paese. Lo storico Ernesto Galli della Loggia si riferisce agli eventi di questo periodo con l’espressione di “morte della patria” perché lo Stato si dissolve, e secondo l’autore l’Italia non si è mai ripresa del tutto a livello di sentimento di unità nazionale. Ma il professore però non condivide quest’idea, quello che perde la nazione sono solo i suoi punti di riferimento essenziali. Quando il 3 settembre viene firmato l’armistizio gli Alleati si impegnano a fornire un aiuto all’esercito italiano nel momento in cui questo verrà dichiarato pubblico, soprattutto perché inevitabilmente sarebbe stata una reazione tedesca. Così, gli alleati iniziarono a pensare a cosa potessero fare per aiutare l’esercito italiano a liberarsi dai tedeschi. Un’ipotesi era quella di mandare una truppa di paracadutisti a Roma. Il 7 settembre arriva a Roma il generale americano Taylor e un ufficiale americano per discutere con l’esercito italiano, ma quest’ultimo non era affatto preparato e gli americani rendendosi conto di ciò annullarono l’operazione dei paracadutisti. Badoglio vorrebbe revocare l’annuncio dell’armistizio, ma gli alleati no. Arriviamo all’8 settembre la notizia inizia ad essere diffusa da una radio americana, poi abbiamo il proclama di Badoglio, che annunciò l’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile. In seguito al comunicato le truppe tedesche passarono all’attacco, prendendo d’assalto le varie postazioni italiane, che restarono senza ordini non riuscendo a reagire, questo perché chi doveva darglieli scappa per mettersi sotto la protezione delle forze alleate. Esisteva persino un corpo d’armata italiano molto efficiente vicino Roma, che non venne mandato a proteggere Roma ma fu usato sembra per proteggere il sovrano. Quando comincia l’attacco tedesco l’esercito italiana è allo sbando, nell’arco di pochi giorni ben 750 mila soldati italiani vengono catturati e spediti nei campi di concentramento in Italia. Per quanto riguarda i comportamenti di casa Savoia, di per sé non è sbagliato sottrarsi alla cattura dei tedeschi; il problema è non aver dato alcuna direttiva, non aver messo le forze armate in grado di resistere, ha prevalso infatti l’idea del “salviamoci noi poi quello che accade al paese è di secondaria importanza”. Mussolini dopo stato arrestato all’indomani del 25 luglio, venne liberato dalle truppe tedesche dalla prigionia sul Gran Sasso. In seguito, ricostituì uno Stato guidato da Mussolini stesso, che prender il nome di à̀ REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA (RSI) totalmente subordinato alla volontà dell’occupante. La RSI è conosciuta anche come Repubblica di Salò, e nello specifico fu un regime collaborazionista della Germania nazista, esistito tra il settembre 1943 e l'aprile 1945, voluto da Adolf Hitler e guidato da Benito Mussolini, al fine di governare parte dei territori italiani controllati militarmente dai tedeschi dopo l'armistizio di Cassibile. Così, il paese è diviso in due, a sud c’è l’avanzata degli alleati, che ha come Capo di Stato Vittorio Emanuele II, e al centro-nord abbiamo la RSI. Vediamo. Salò è una localit sul lago di Garda, ma non tuttaà̀ l’amministrazione si trasferì a Salò, solo alcune strutture; infatti, questo regime vede una grande dispersione dei ministeri. Il problema principale a cui deve far fronte la RSI è quello del trasferimento dell’amministrazione da Roma verso nord, ma non c’è una volontà dei funzionari a trasferirsi a nord dove sono distribuiti i ministeri. In parte perché c’è la fedeltà al Sovrano, poi c’è il timore di ottenere ritorsioni di carattere amministrativo nel momento in cui gli alleati avrebbero vinto. Quindi c’è una situazione molto difficile, e il nuovo governo guidato da Mussolini adotta la tradizionale politica del bastone e della carota: stupendi più alti, incentivi, in alcuni casi addirittura vengono organizzati al nord degli spacci, forme di distribuzione del cibo, specifiche per i ministeriali che scelgono di trasferirsi e quindi beneficiano di condizioni migliori della popolazione locale. La popolazione del luogo guarda con diffidenza questi amministrativi romani in arrivo, e li invidia considerandoli dei privilegiati. Tuttavia, spesso la carota non era sufficiente. A partire dall’età giolittiana la composizione geografica dell’amministrazione era cambiata, e si era passati da una amministrazione a base settentrionale ad una basata al sud; quindi molti di questi hanno parenti al sud sotto la protezione degli alleati, anche perché era scontato quale sarà l’esito della guerra. Allora interviene il bastone, e si reclutano diverse migliaia di ministeriali da mandare al nord. Qui comincia una sorta di resistenza passiva, e nei mesi che seguirono questa richiesta, ci fu un diffondersi di documenti riportanti una serie di malattie dei ministeriali che impedirebbero questo trasferimento al nord. L’amministrazione centrale non gradì ovviamente questa attività di boicottaggio, allora intervenne affermando che ci sarebbero state conseguenze pesanti per chi avesse fornito un certificato falso. Così sotto minaccia molti accettarono il trasferimento, anche se molti impiegati rimasero a Roma. A questa situazione difficile si aggiunse il problema del collegamento con Roma. Roma città aperta, rimase sotto l’autorità della RSI fino al 1944. Tra le finalità della RSI c’era quella di garantire la continuità dello sforzo italiano sul piano bellico in appoggio ai tedeschi. Quindi, viene costituito l’esercito di Salò. Era formato da diverse componenti, ma l’esercito “propriamente detto” era sotto la guida del Maresciallo Graziani. Furono istituiti dei bandi di reclutamento obbligatorio, quindi tutti i giovani di 19 anni dovevano presentarsi agli uffici militari per essere reclutati; ma furono pochi i giovani che si presentano per ottemperare i bandi di leva. Allora anche qui si irrigidì l’approccio, e coloro che si rifiutavano rischiavano la pena capitale. Furono inviate alcune divisioni in Germania per un addestramento rapido e poi riportate in Italia. Poi abbiamo un'altra componente, la Guardia nazionale repubblicana, formata da due elementi. Ricordiamo che nel 1923 Mussolini aveva istituito la milizia volontaria per la sicurezza nazionale, ed i militi di questa milizia sciolta con la cattura di Mussolini confluiscono in questa componente assieme all’Arma dei carabinieri, anche se quest’ultimi sono ritenuti pericolosi perché fedeli alla monarchia. Alcuni carabinieri vennero deportati, altri entrarono come alcuni giovani nelle fila della resistenza. Abbiamo ancora una milizia di partito, che prende il nome di Brigate nere. Ci furono poi forze che agivano con maggiore autonomia cioè la Decima MAS, una fanteria di marina facente parte dell’esercito regolare, ma che agiva con una certa autonomia. Infine, abbiamo altre componenti come quelle dedite ad esempio al lavoro sporco per esempio la Banda Kock guidata da Pietro Kock, formata da un’ottantina di membri in stretto rapporto con le SS, specializzandosi nella tortura dei partigiani. Inoltre, vennero sostituiti quasi tutti i prefetti con una nuova nomina di Prefetti fedeli al nuovo regime. C’erano anche delle truppe impiegate per reprimere la resistenza, con delle componenti che agivano proprio come “polizia politica” per estorcere concessioni. Tutto questo apparato è utilizzato principalmente come forma di repressione contro la resistenza. Questo è il quadro sintetico di alcuni aspetti fondamentali della Repubblica Sociale Italiana. Vediamo adesso cosa accade dall’altra parte. Siamo rimasti alla fuga del sovrano dell’8 settembre. Si costituisce il “Regno del Sud” sotto protezione degli alleati. In base alla legge del 1925, il Capo del Governo è Badoglio. Si istituiscono i movimenti antifascisti con la creazione del Comitato di liberazione nazionale il 9 settembre 1943. La resistenza è molto composita, presenta al suo interno diverse componenti. Abbiamo partiti con radici antecedenti alla guerra, come il Partito socialista, poi il Partito comunista sotto la guida di Palmiro Togliatti nato nel 1921. Un altro partito storico è il Partito liberale italiano. C’è un altro partito molto attivo nell’antifascismo, cioè il Partito d’azione che raccoglie l’eredità dei fratelli Rosselli e del Partito giustizia e libertà. C’è anche un piccolo partito, detto Partito democratico del lavoro, poi la Democrazia cristiana, che raccoglie l’eredità del movimento popolare. Insomma, ci sono queste sei forze, ma i rapporti con la monarchia sono molto difficili. Al primo congresso del CLN Comitato di liberazione nazionale creato il 9 settembre 1943 e comprendenti il Partito socialista, Partito comunista, partito liberale italiano, partito d’azione, partito democratico del lavoro e la democrazia cristiana, nel gennaio del 1944 si chiede con insistenza l’abdicazione del Re Vittorio Emanuele III considerato corresponsabile del Ventennio fascista. Vittorio Emanuele III non vuole farsi da parte, quindi intervengono dei mediatori tra cui Benedetto Croce. Poi abbiamo la “svolta di Salerno” di Palmiro Togliatti. Nei giorni 30 e 31 marzo 1944, a Salerno, nel corso del Consiglio nazionale del PCI Togliatti espose le misure necessarie a sbloccare la situazione politica, ferma sulla decisione di allearsi, anche solo momentaneamente, con la Corona pur di arrivare alla fine della guerra e riunificare il Paese. Nello specifico, Togliatti tornato dall’Unione Sovietica dove risiedeva, sbarca a Napoli. Egli non vuole assumere, contrariamente a socialisti ed azionisti, una radicale contrapposizione contro la monarchia. Il discorso che egli fa al suo partito è quello di trovare un’intesa provvisoria con la corona, in modo da concentrare le forze nella lotta al fascismo e trovare, una volta finita la guerra, un chiarimento sul ruolo della monarchia. Togliatti crede fermamente nel non creare divisioni, e c’è anche l’appoggio di Stalin che aveva iniziato ad intavolare relazioni diplomatiche col governo Badoglio e non voleva in questo momento una caduta della monarchia. QUADRO COSTITUZIONALE DOPOGUERRA Affronteremo ora una panoramica del quadro costituzionale che si apre all’indomani della guerra, soffermandoci in seguito sull’esperienza costituente in Francia, anni 1945 - 46, partendo da alcune caratteristiche del regime di Vichy che si instaura nel ‘40 e che rimarrà in piedi fino al ‘44. Nel Primo dopoguerra, i Paesi dell’ex impero-asburgico si dotano di nuove costituzioni. L’esempio più importante è la Costituzione di Weimar che rafforza i diritti di libertà e sociali, che erano emersi già nel contesto della Rivoluzione francese. Si apre in seguito un nuovo ciclo costituente. Nel secondo dopoguerra abbiamo una cinquantina di Nuove costituzioni, molto diverse tra loro. Quindi abbiamo una nuova epoca costituente che si apre. Innanzitutto, da un lato, le costituzioni liberal-democratiche e dall’altro le costituzioni dei paesi socialisti, a partire dalla costituzione della nuova Repubblica Iugoslava del 1946. Il modello per queste costituzioni è quello sovietico, in particolare quella del 1936 in epoca staliniana. All’inizio la maggior parte di questi paesi si presenta in forma di democrazia popolare, poi però l’evoluzione che si manifesta è il percorso verso la creazione di regimi autoritari all’interno dei quali non c’è spazio per una opposizione politica. Così avvenne anche nella Repubblica Iugoslava, che nonostante si staccherà presto dal blocco sovietico, manterrà questa struttura. Altre rappresentazioni di questo modello costituzionale le abbiamo con ciò che avviene in altre parti del mondo, ad esempio, in Giappone. Questo si dota nel 1947 di una nuova costituzione che in parte viene imposta dagli americani, ma in parte viene recepita dall’Assemblea eletta dal popolo giapponese, che cerca di trovare una forma di compromesso tra liberal-democrazia e alcune tradizioni precedenti. Tipica è ad esempio l’imposizione della Dichiarazione della natura umana dell’imperatore, questo è un pilastro fondamentale della nuova costituzione. Si tratta di un controverso rescritto imperiale promulgato dall'imperatore del Giappone Hirohito, che era considerato, non solo il capo assoluto del governo nazionale ma anche la guida spirituale ed etica della millenaria religione di Stato nipponica. Sulla base di una delle interpretazioni, in questa dichiarazione l'imperatore avrebbe rigettato l'idea secondo la quale egli sarebbe l'incarnazione vivente di un dio. La dichiarazione rese possibile la promulgazione della Costituzione del Giappone, voluta dagli Alleati, secondo la quale l'imperatore è «il simbolo dello Stato e dell'unità del popolo». Abbiamo un nuovo ciclo che si apre in alcuni paesi dell’America latina. Ad esempio, il Brasile con la costituzione del 1946 che rientra nei modelli della liberal-democrazia, con la caratteristica significativa di dare grande spazio ai militari. Le forze armate si vedono attribuire la funzione di tutela della costituzione, della legge e dell’ordine, caratteristica tipica dell’America Latina del Novecento, fino ad arrivare ai colpi di Stato. Questo ruolo delle forze armate sarà un ruolo spesso chiave nel determinare un’evoluzione in senso autoritario del regime politico. Poi abbiamo un’altra esperienza, quella dei paesi che si liberano dal regime coloniale. Qui il caso più importante è il caso indiano. La nuova costituzione dell’India viene redatta dopo l’indipendenza raggiunta nel 1947. All’inizio si pensa ad una costituzione che possa valere per tutto il continente indiano, ma in seguito l’ indipendenza dalla Gran Bretagna segnerà il distacco tra componente musulmana e indù, e quindi avremo il distacco dell’India dal Pakistan. La costituzione indiana entrerà in vigore nel ’50, e recepisce gli elementi di tradizione occidentale in particolare di common law, all’interno della propria realtà. Il punto principale cui deve far fronte la costituzione è il governo della differenza e diversità che caratterizza l’India, che diventa un’importantissima esperienza costituzionale. Per venire all’Europa occidentale, abbiamo nel ‘49 la Legge fondamentale di Bonn della Repubblica Federale tedesca che si caratterizza per una forma di parlamentarismo razionalizzato, utilizzata dai regimi parlamentari organizzati in modo da evitare l'instabilità cronica dei governi e consentire il funzionamento delle Istituzioni. Viene attribuito un ruolo importante al Cancelliere (cancellierato) poi viene istituita la forma federale con l’importante ruolo dei Land. Anche nella Spagna franchista si ha un processo costituente in senso autoritario. La Spagna dopo la guerra civile non si dota di una vera e propria costituzione. L’impianto costituzionale viene definito da sette provvedimenti normativi che si succedono nel tempo. L’ultimo dei quali sarà emanato nel 1967 e che prende il nome di “Ley organica del Estado” (legge organica dello Stato), questo completa il quadro normativo. Si tratta di uno Stato che ha principi antitetici rispetto a quello democratico, e che rimarrà in vigore fino alla morte di Franco nel 1975. TRANSIZIONE ISTITUZIONALE ITALIANA In questo clima, come si configura la transizione istituzionale? Prima di tutto non è accettabile avere Vittorio Emanuele III come sovrano regnante, non gli si chiede l’abdicazione ma di delegare i suoi poteri al figlio che diventa luogotenente generale del regno. Il figlio Umberto II di Savoia assume quindi le funzioni di Capo dello Stato sulla base di questa delega paterna. Il 25 giugno 1944 viene emanato il decreto-legge luogotenenziale n. 151, documento di fondamentale importanza, è una sorta di Costituzione provvisoria, considerata il fondamento istituzionale della transizione. Alcune novità riguardano il fatto che i ministri non giurano più fedeltà al Re e allo Statuto, bensì giurano fedeltà alla Nazione. Si prevede, inoltre, l’elezione alla fine della guerra di una Assemblea costituente che dovrà elaborare una nuova costituzione e compiere la scelta tra mantenimento della monarchia e il passaggio a una repubblica. Secondo LE DIVERSE PROPOSTE POLITICHE - IL PARTITO COMUNISTA Il 29 dicembre 1945 nell’aula magna del nostro ateneo si apre il congresso del Partito Comunista italiano. Il PCI già alla fine del ‘45 è un partito di massa con un 1.800.000 iscritti. È un partito uscito molto rafforzato dalla resistenza, diede infatti con le Brigate Garibaldi un grosso contributo alla resistenza. È un partito di massa profondamente legato all’Unione Sovietica, Stalin rappresenta un mito anche per il ruolo svolto dall’URSS nella Seconda guerra mondiale, i contatti sono frequenti anche con l’ambasciata sovietica a Roma. È un partito che si vuole radicare nella realtà nazionale italiana, è il partito comunista italiano, non più d’Italia a partire dal 1943, si appresta ad elaborare le proprie coordinate in materia costituzionale. L’Unione Sovietica non si interessava di questi temi, manteneva un rapporto stretto sulle scelte politiche di fondo. Dove trova il PCI la fonte d’ispirazione per la propria proposta costituzionale? Qui bisogna tornare alla tradizione rivoluzionaria francese. Questa visione è alla base anche dei socialisti. Il PCI si afferma come terzo partito con il 18,9% dei voti alla costituente. Ma già prima delle elezioni formula le proprie coordinate democratiche, cioè l’idea di una costituzione come indirizzo, come programma che deve fissare delle direttrici nell’ambito economico e sociale, che permettano di estendere la presenza pubblica in economia e di avviare politiche sociali a vantaggio dei lavoratori. Una costituzione imperniata sul legislativo. Viene quindi ripreso il filone legicentrico della tradizione rivoluzionaria francese, costituzione imperniata sul parlamento, che nell’ipotesi originaria del partito doveva essere monocamerale. Si vedono qui le affinità con il partito comunista francese. Anche il PCI portò avanti l’idea della revocabilità dell’eletto da parte degli elettori. differenze tra PCI e PCF ? La prima differenza è che il monocameralismo viene abbandonato presto dal PCI, visto che la maggioranza delle altre forze era contraria. La seconda differenza è che mentre il PCF insiste con molta forza sul tema della parte istituzionale della costituzione, e danno poco risalto alla questione dei diritti, il PCI si pone come obiettivo centrale l’introduzione in costituzione di un sistema di diritti sociali, la costituzione deve contenere una tavola di diritti sociali. C’è diffidenza nei confronti della proposta della DC dell’introduzione di una Corte costituzionale che viene vista come un freno potenzialmente pericoloso perché potrebbe ostacolare questa azione riformatrice. Altro punto che vedrà una lunga discussione con le altre forze politiche riguarda la questione del ruolo delle regioni. Una delle maggiori novità è proprio l’introduzione dell’Ente regione. Il partito comunista guarda anche a questo ente con una certa diffidenza per due ragioni. La prima è che si teme che anche un ente regione, dotato di competenze legislative possa frenare un’azione riformatrice. Ad esempio, l’Italia è ancora un paese contadino, allora si può ipotizzare che se si facesse una riforma agraria, dato che le regioni possono dar corso con competenze legislative a questa riforma, può accadere che qualcuno lo faccia e altre no, quindi ci sarebbe una differenza sul piano nazionale. Ma c’è un altro motivo per cui i comunisti sono diffidenti nei confronti dell’ente regione, e cioè temono che si aggravi la questione meridionale. Infatti, se le regioni venissero dotate di ampie risorse sarebbero quelle del nord ad accaparrarsene il maggior numero. Togliatti proprio nel congresso alla Sapienza afferma qual è la sua idea dell’ Ente regione, definendolo un ente un po’ astratto, quello che invece deve essere maggiormente importante ed avere più spazio è il comune. I comunisti alla fine accettano l’ente regione, purché sia dotato solo di competenze amministrative e non legislative salvo che per le isole e per le regioni mistilingue di confine (Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige, Friuli). Quindi le regioni a statuto speciale per il PCI vanno bene, alle altre si chiede di limitarle a competenze amministrative, ed in generale a non attribuirgli competenze troppo ampie. - IL PARTITO SOCIALISTA Il Partito socialista è il secondo partito ed ha una proposta costituzionale piuttosto simile a quella del Partito comunista, e quindi una tradizione di affermazione del primato del potere legislativo, ma c’è una maggiore apertura alla questione del bicameralismo, con la seconda camera espressione dei Consigli dei lavoratori. Questa è idea di una democrazia sociale da inscrivere in costituzione, quindi l’idea di una tavola di diritti sociali che possa essere di ispirazione ad una forte azione riformatrice. Lelio Basso, segretario del PSI ’47 – 48, ha notevolmente contribuito al comma 2 dell’ART. 3 della nostra costituzione, cioè il principio di eguaglianza sostanziale, che richiede che l'uguaglianza di fronte alla legge ceda il passo a leggi che stabiliscono trattamenti differenziati, per favorire coloro che sono più deboli, indifesi, poveri. Sulle regioni c’è maggiore disponibilità, ma anche qui con cautela perché si teme una eccessiva frammentazione dell’azione legislativa e una difficoltà di attuazione di un piano riformatore sul piano nazionale. - DEMOCRAZIA CRISTIANA La democrazia cristiana è uscita come primo partito con il 35,2 % dei consensi. La DC ricorda il Movimento Repubblicano Popolare francese. Per quanto riguarda la concezione dei diritti ce un’apertura sui diritti sociali, e su questo in costituente ci sarà una grande intesa tra DC e partiti della sinistra. Tuttavia, la DC si ispira al concetto di comunità intermedie e alla valorizzazione delle comunità naturali che vanno dalla famiglia, all’organizzazione professionale, all’ente locale ecc, parliamo di una valorizzazione di queste comunità dove l’individuo diventa persona in quanto agisce in un contesto sociale, quindi, non è più l’individuo isolato della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. La DC tra i suoi costituenti ha figure importantissime di giuristi, per esempio, Costantino Mortati docente a scienze politiche alla Sapienza, Egidio Tosato, altro giurista molto incisivo nei lavori della costituente, che punta soprattutto a cercare di dare forza al governo e in particolare al Presidente del consiglio. Poi Gaspare Ambrosini che sarà il più grande artefice del Titolo V, cioè la disciplina relativa alle regioni. La DC è per un’equilibro dei poteri rispetto all’impostazione legicentrico. È per l’idea della costituzione come garanzia, quindi un potere esecutivo dotato di efficienza e stabilità, in pratica la razionalizzazione della forma parlamentare. È per un bicameralismo con una seconda camera composta dai rappresentanti delle varie comunità. Il bicameralismo perfetto sarà poi il compromesso tra i vari attori, nessuno lo voleva. Due dei temi principali della proposta costituzionale della DC saranno la Corte costituzionale e l’Ente regione. ➳ Tra le altre proposte abbiamo l’Unione democratica Nazionale lista elettorale costituita da vari partiti politici in occasione delle elezioni per l’Assemblea costituente del 1946. Essa raggruppava il Partito liberale italiano, e la Democrazia del lavoro, a cui aderirono anche altre formazioni personali. Il PLI con il 6,7% era la componente liberale, ed anche filomonarchica. Difatti la maggior parte dei suoi membri sono monarchici come Benedetto Croce. Il Partito liberale vuole soprattutto un sistema politico il più possibile vicino allo Statuto albertino . Anche se ci sono tendenze diverse, ad esempio sul tema della regione. Ci sarà una spaccatura tra Benedetto Croce che vi era ostile, e il futuro Presidente della repubblica Luigi Einaudi, più fiducioso all’ente regione. Prestano più attenzione ai diritti di libertà che ai diritti sociali. Abbiamo poi alla Costituente una formazione politica originale, che non durerà molto come partito e che inaugurerà un modo di pensare che avrà influenza fino ai giorni nostri, cioè l’Uomo qualunque, che si pone come partito che si oppone ai partiti di massa, difende il popolo minuto contro le élite e che ottiene il 5,2%. I repubblicani ottengono il 4,3%, partito laico a favore di un equilibrio dei poteri e all’Ente regione nell’ambito di una costruzione di una Repubblica fondata su meccanismi di innovazione rispetto allo Statuto albertino, ciò è ispirato al pensiero di Mazzini. Abbiamo poi un piccolo partito esplicitamente filomonarchico ovvero il Blocco nazionale delle libertà che ottiene solo il 2,7% dei voti. Infine, il Partito d’azione con solo l’1,4%, sorprendente, perché il Partito d’azione era stato una delle forze più attive nell’antifascismo con il Movimento giustizia e libertà dei fratelli Rosselli, è molto attivo nella resistenza, avendo tra i propri giuristi Pietro Calamandrei. É un partito che ha dote di prestigio intellettuale ma scarsa forza politica, anche a causa dei partiti di massa. Il partito d’azione viene infatti visto come un partito troppo intellettuale, quindi si decise di scegliere i partiti di massa. Il partito d’azione è per un forte equilibrio dei poteri ed è l’unico che per arrivare ad una costituzione come garanzia propone il modello presidenziale americano. Anche il partito d’azione è un fortemente regionalista. Quindi nel dibattito tra i regionalisti e critici del regionalismo abbiamo: REGIONALISTI: DC, una parte dei liberali, i repubblicani e il partito d’azione. CRITICI REGIONALISMO: L’altra parte del partito liberale, i comunisti, i socialisti e i filomonarchici. Quindi ci sono linee di fratture sul tema dell’ente regione non sovrapponibili allo schema destra-sinistra. È quindi il momento dei grandi partiti di massa. Anche in Italia arrivano a un totale del 75% dei voti, analogamente alla Francia, sebbene in Italia abbiamo una più forte presenza della DC e una presenza della Chiesa e del Vaticano molto più attiva di quanto non sia in Francia. Il Vaticano segue soprattutto gli articoli relativi alla scuola, alla famiglia ed ai Patti Lateranensi, c’è un interessamento delle gerarchie vaticane nella costituzione. ASSEMBLEA COSTITUENTE I lavori dell’Assemblea costituente vengono inaugurati il 25 giugno 1946. Come Presidente dell’Assemblea costituente viene eletto Giuseppe Saragat, esponente del Partito socialista da cui uscirà nel gennaio 1947 per fondare un nuovo partito cioè il Partito socialdemocratico italiano (PSDI). Il Partito socialista che all’inizio della stagione costituente si chiamava Partito socialista italiano di Unità proletaria, cambia nome e diventa dopo la scissione Partito Socialista Italiano. Dopo la scissione del partito Saragat si dimette, e viene eletto come Presidente dell’Assemblea costituente Umberto Terracini, importante esponente del partito comunista. Come Capo provvisorio dello Stato viene eletto Enrico De Nicola, noto anche per essere stato un sostenitore della monarchia. Come mai allora viene scelto un monarchico? Viene scelto proprio per dare un segnale a tutti coloro che avevano votato monarchia al referendum che comunque la Repubblica si rivolge a tutti i cittadini. Quindi è stato scelto proprio per dare un segnale all’opinione pubblica di non voler generare fratture. Quando la costituente inizia i suoi lavori, inizia anche la collaborazione tra partiti. Questa alleanza di governo rimane in piedi fino a maggio 1947, quando il partito comunista, sia in Francia che in Italia e, nel caso italiano anche il partito socialista, vengono esclusi dal governo. I socialisti poi torneranno al governo nel ‘63, i comunisti non ci torneranno più, fino allo scioglimento. Nonostante questa rottura ed intanto l’inasprimento della guerra fredda nei mesi successivi, nel settembre 1947 viene costituito dall’URSS il COMINFORM nuova struttura di coordinamento internazionale per i partiti comunisti. Alla prima riunione in Polonia i comunisti italiani e francesi sono accusati di aver dato troppo credito alla via costituzionale e parlamentare, e c’è un inasprimento della contrapposizione tra blocchi. Nonostante questi atteggiamenti ciò che caratterizza la nascita della nostra Costituzione è che questo lavoro unitario della scrittura della costituzione prosegue fino alla fine, nel ’47, anche nel quadro di un inasprimento della guerra fredda. Tutti vogliono un prodotto che sia veramente unitario, in cui si riconoscano la maggior parte delle forze politiche presenti nel paese. Questa è la grande differenza rispetto alla Francia, i partiti italiani evitano di ripercorrere gli stessi errori di quelli francesi. In un dibattito del febbraio del ‘47 si disse proprio che “non bisogna fare come è successo in Francia”. COME SI SVOLGE L’ELABORAZIONE DELLA COSTITUZIONE? I lavori vengono inaugurati il 25 giugno 1946, la realizzazione del progetto viene conferita a una Commissione formata da 75 membri la “Commissione per la costituzione” passata alla storia come “Commissione dei 75”. La commissione dei 75 a volte si riunisce in seduta plenaria, ma al suo interno si suddivide in tre sottocommissioni. - La prima è quella che discute dei diritti e doveri dei cittadini, presieduta da Umberto Tupini. - La seconda discute dell’organizzazione costituzionale dello Stato (quindi la forma di governo), presieduta da Umberto Terracini; - La terza si occupa dei diritti e doveri economici e sociali, presieduta da Gustavo Ghidini.  Queste sono coordinate tutte nella commissione in seduta plenaria. Nelle sottocommissioni abbiamo personalità di primo piano come: Palmiro Togliatti, Nilde Lotti, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Costantino Mortati, Egidio Tosato, Gaspare Ambrosini, Renzo Laconi, Umberto Terracini, Giuseppe De Vittorio... All’interno delle sottocommissioni si evince una volontà di confrontarsi tra personalità molto diverse, in particolare tra PC e DC. Eppure, se leggiamo i dialoghi tra molti di questi componenti, ad esempio tra Togliatti del PC e Dossetti della DC, ci sono attestati di reciproca stima e rispetto. Si percepisce la volontà di creare valori e istituti comuni. Questo ovviamente non significa che nella costituente ed in commissione dei 75 non ci fossero contrasti. Siamo in periodo in cui la guerra fredda comincia a manifestarsi con intensità.. La commissione dei 75 presenta a fine gennaio ’47 il suo progetto alla Costituente, composta da 556 membri. L’assemblea comincia la discussione il 4 marzo del ‘47 e si concluderà il 22 dicembre 1947 con il voto finale sull’intero testo costituzionale. Il 27 dicembre la Costituzione viene firmata dal Capo dello Stato provvisorio Enrico De Nicola ed entra in vigore il 1° gennaio 1948. Alcuni parlano di “Costituzione del 1947” ma il professore preferisce “Costituzione del 1948”. Quindi, queste sono le tappe dell’elaborazione della costituzione, che va avanti con uno sforzo unitario tra i partiti di massa. PRINCIPALI TEMI DI DIBATTITO E DI DISCUSSIONE Quello che unisce Sinistra e Democrazia cristiana è questa volontà di creare una costituzione che valorizzi sia i diritti di libertà che sociali. Si afferma il principio di eguaglianza sostanziale, secondo comma 2 dell’art. 3 che esplicita l’idea della costituzione come indirizzo e costituzione come programma. La costituzione ha il compito di promuovere l’eguaglianza sostanziale, non solo quella di diritto. Invece la parte liberale è meno interessata alla questione dei diritti sociali. Viene anche proposto nella costituente di elencare i diritti sociali non nel testo della costituzione, ma nel Preambolo come avvenne nella costituzione della Quarta repubblica francese. Questa proposta fu respinta da Togliatti e Mortati perché si voleva valorizzare tutto il tema della maggioranza sociale, si voleva introdurre nel testo della costituzione per dare maggior forza a questi diritti. Diritti sociali, diritti dei lavoratori, possibilità di nazionalizzazione di fonti di energia, limitazioni possibili del diritto di proprietà, possibilità di una programmazione dell’economia (si rifiuta un’idea meramente liberista dell’economia) e altre forme di intesa che portano a valorizzare le entità intermedie come la famiglia, gli enti locali e anche l’ente regione, qui però il discorso è più complesso. Nella seconda sottocommissione la discussione si apre nella con una relazione di Gaspare Ambrosini, giurista della DC. Gaspare Ambrosini apre la relazione con la storia dello Stato Unitario, e le motivazioni per l’Ente regione, e risponde a chi come Togliatti aveva affermato che si poteva mettere in pericolo l’unità del paese. Intanto egli si richiama al dibattito sorto già al momento dell’unificazione, quando Cavour nel 1860 si era aperto alla possibilità di introdurre un Ente regionale, progetto poi scartato con la riconferma dell’assetto centralistico tipico del regno di Sardegna, poi esteso in tutta Italia. Afferma Ambrosini che per l’appunto la questione emerse già all’epoca, e poi è stata ripresa da Don Sturzo, nel primo dopoguerra, fondatore del Partito popolare nel 1919. Ambrosini afferma che i motivi fondamentali a favore dell’idea regionalista sono due: - In primo luogo, ovviare ai danni dell’accentramento, che rende l’andamento della vita pubblica intricatissimo e lento. Ciò si traduce in un deficit decisionale, quindi l’accentramento crea una situazione in cui abbiamo delle procedure che essendo lontane, impiegano più tempo per essere messe a fondo. - In secondo luogo, l’introduzione della regione serve ad animare le energie locali e rendere più democratica la vita sul territorio facendo sì che ci sia una maggiore partecipazione al governo del territorio. Quindi, maggiore governabilità e maggiore democraticità. Già nel 1861, al momento dell’Unità, con le funzioni dello Stato molto limitate, l’accentramento rendeva l’andamento della vita pubblica lento, ed oggi è ancora peggio perché i compiti dello Stato sono maggiori. In quest’ottica a maggior ragione si deve riprendere quindi l’idea regionalista. Risponde poi alla potenziale obiezione espressa da Palmiro Togliatti: per snellire l’attività dello Stato perché non giocare la carta dei comuni? La risposta è che non è sufficiente perché l’ordine dei problemi va al di là dell’ordine municipale. Allora può essere la provincia? Anche la provincia è insufficiente. Ci vuole quindi un organo tra provincia e Stato che è la regione. Risponde a chi sosteneva che così si rischiasse di mettere in discussione l’unità statale. Qui Ambrosini afferma che ciò potesse essere valido nel 1861 quando si trattava di fondare l’unità dello Stato, ma oggi non è così, gli italiani sono stati fatti (D’Azeglio), quindi adesso si può fare l’Italia regionale. Non si adotta il modello federale perché sarebbe troppo radicale sarebbe questa scelta, difatti non si guarda né agli Stati Uniti né, a maggior ragione all’esperienza tedesca. L’idea è di uno Stato regionale, con l’attribuzione alle regioni di ampi poteri anche in ambito legislativo. Ambrosini presenta un progetto che attribuisce diverse competenze legislative alla regione sulla base di una tripartizione: - Ci sono competenze di carattere primario, come agricoltura e foreste, l’urbanistica, l’istruzione elementare. È la regione, e non lo Stato a fare le leggi. - Poi c’erano le competenze legislative integrative (di leggi dello Stato) ed erano materie importantissime come industria e commercio, riforme economiche e sociali, rapporti di lavoro e l’ordinamento sindacale. - Infine, c’erano competenze meramente esecutive. I dati essenziali della proposta erano naturalmente le prime due, cioè competenze primarie e integrative. Nella Seconda sottocommissione della Commissione dei 75 si apre un vero e proprio scontro, un dibattitto molto acceso tra chi difende tale ipotesi, e chi come comunisti e liberali ritengono che questo porti ad un rischio di smembramento e ad una differenziazione inaccettabile tra le diverse regioni. Questo schema tripartito verrà ridefinito quando si approverà il progetto della commissione ed abbiamo ora tre competenze: primarie, concorrenti e integrative. Questa è la nuova suddivisione che troviamo nel progetto approvato dalla Commissione del 75, c’è stato quindi un ridimensionamento rispetto al progetto Ambrosini. Il catalogo delle competenze primarie si è ristretto, non ritroviamo l’istruzione elementare, né agricoltura e foreste. Nelle competenze concorrenti troviamo agricoltura e foreste, c’è stato quindi un downgrading, l’assistenza ospedaliera, l’istruzione tecnico-professionale. Ma da queste competenze concorrenti sono state tolte l’industria, il commercio, l’attuazione delle riforme economiche e sociali, e i contratti di lavoro. Poi abbiamo le competenze integrative dove figura l’istruzione elementare, l’industria ed il commercio. Mentre scompaiono del tutto dalle competenze regionali, i rapporti di lavoro, e le riforme economiche e sociali e l’ordinamento sindacale. Il progetto della Commissione viene presentato alla Costituente, che il 4 marzo 1947 inizia il dibattito che si concluderà poi il 22 dicembre 1947 sul progetto della Commissione dei 75. Le critiche continuano ad essere forti. Parla Benedetto Croce e lo definisce un “vertiginoso sconvolgimento del nostro ordinamento statale e amministrativo”. Poi interviene Togliatti: “questo progetto farebbe sorgere tanti piccoli staterelli che lotterebbero l’uno contro l’altro per accaparrarsi le scarse risorse del paese”. Il dibattito è molto acceso. COME SI ARRIVA AD UN ACCORDO? C’è una convergenza che si instaura per un complesso di ragioni. C’è un cambiamento del quadro politico, nel maggio del 1947 socialisti e comunisti vengono esclusi dal governo del paese, e nella costituente si inizia a ragionare sul fatto che l’Ente regione non sarebbe una cosa negativa se può accadere che alcuni partiti possano, come in questo caso, rimanere fuori dal governo a lungo; il governo di determinate regioni può quindi essere conveniente. C’è una apertura della sinistra che deriva dal fatto che, essendo esclusa dal governo, perde la possibilità di governo della nazione, e non sa quando potrà tornarci. Andando a consultare gli archivi però emerge qualcosa che viene trascurato dalla storiografica, ovvero un dibattito all’interno del partito comunista, dove alcuni esponenti continuano ad essere critici sulle regioni e altri a favore, quindi il PC non cambia idea dal giorno alla notte. Si raggiunge comunque un compromesso che sarà l’ART. 117 del Titolo V, quello ovviamente prima della riforma del 2001. “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.” Si rinuncia alle competenze di carattere primario, e Don Sturzo fu molto critico su questo vista la battaglia che la DC aveva portato avanti. Le competenze di carattere concorrente e integrativo vengono unite in un unico articolo della costituzione che è appunto l’ART. 117. La regione legifera in alcune materie, determinate nei limiti delle leggi dello Stato, poi ci sono due ulteriori limitazioni. In questo articolo sono presenti altre competenze, tra cui assistenza sanitaria e ospedaliera, urbanistica, agricoltura e foreste, istruzione artigiana e professionale. Scompaiono del tutto l’istruzione elementare, l’industria e il commercio, tutta la parte relativa alla disciplina sul lavoro. QUINDI COSA DOVEVA ESSERE LA REGIONE? Si sperava di poter fare della regione un ente innovativo anche sul piano amministrativo. Si sperava di poter fare della regione una buona forma di amministrazione più snella, con capacità di programmazione e interazione con gli enti locali sottostanti. La speranza era creare un circolo virtuoso di rapporti tra regioni, province e comuni. La regione doveva essere concepita in funzione prevalentemente direttiva, d’impulso, di controllo. Quello che si voleva evitare era il paradosso di una norma introdotta per realizzare un decentramento consistente, che portasse poi ad un accentramento in capo del potere alla regione, rispetto a comuni e provincie. Questa è l’idea che troviamo alla base del Titolo V nel 1947. Per regioni e comuni la costituzione si caratterizza per la valorizzazione del principio d’autonomia, che si contrappone al ruolo delle amministrazioni locali durante il fascismo, è un’idea di autonomia che va avanti rispetto all’era liberale. Più complessa è la questione per le province visto che per i comuni non ci furono grandi dibattiti. Nel progetto della Commissione dei 75 alle provincie non venne affidato un grande ruolo; la Repubblica era ripartita in regioni e comuni, mentre le province sono circoscrizioni amministrative e di decentramento statale e regionale, non erano quindi messe sullo stesso livello, non hanno consigli elettivi, perché il principio d’autonomia si manifesta solo per le regioni e i comuni. Poi però ci furono varie discussioni ed un’attività di lobbying dell’Unione delle provincie italiane. Alcuni costituenti iniziarono a pensare che dare alle province un peso importante non era una cattiva idea visto il ruolo delle regioni. Alla fine, si arriva all’ART. 114 che pone allo stesso livello regione , province e comuni . “ La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.” Sabino Cassese, giurista italiano, venne interrogato sul tema della regione: “Secondo lei non sarebbe opportuno eliminare l’ente regione?” “No, perché serve come elemento di pluralismo istituzionale. Eliminare adesso questo ente introdurrebbe un caos anche amministrativo.” Secondo il professore la ridefinizione delle competenze del rapporto stato-regioni, ed anche una seconda camera a base regionale, sono tutti temi da discutere prima o poi, evitando costituzioni a colpi di maggioranza. Inoltre, la proposta delle regioni a statuto speciale nasce da elementi che reclamano una maggiore autonomia. Ma sulle regioni a statuto speciale non c’è particolare conflittualità. In realtà sarebbe necessaria una revisione complessiva del Titolo V a detta del professore. ➳ In conclusione possiamo sicuramente affermare che la Costituzione sia nata da partiti con culture politiche diverse, una diversità che si accentua a seguito dei meccanismi della guerra fredda. La divisione in blocchi del mondo infatti comincia a strutturarsi. Questa considerazione porta a riflettere su un nodo storiografico importante. Secondo alcuni storici la costituzione proprio perché inserita in questa fase di tensione crescente non ha dato vita ad una comunità politica unitaria, ma bensì ad una democrazia fondata su culture separate dei vari partiti. Questo è il clima che si accende alla luce delle prime elezioni legislative. In quest’ottica il patto costituzionale è una sovrastruttura che nasconde il fatto che i partiti fossero pronti a spararsi l’un l’altro. Il professore la pensa così: certamente si ha un clima teso, quello della guerra fredda, che porta a far nascere rischi effettivi di guerra civile tra coloro che si ispirano al mondo comunista, e coloro che si ispirano al blocco occidentale. Ma alla luce di questi rischi la Costituzione italiana, frutto di uno sforzo collettivo, acquista un’importanza ancora maggiore, pensiamo infatti a cosa sarebbe successo se non ci fosse stato questo elemento comune. La costituzione quindi è un punto di riferimento fondamentale. Il professore rovescia la situazione, ed afferma che la costituzione ha contribuito a salvare il paese da rischi di guerra civile. FRANCIA – ITALIA (COSTITUZIONE) La comparazione col caso francese aiuta a definire questo aspetto, da uno studio fatto dal professore di recente su come i costituenti italiani guardassero ai costituenti francesi. In quest’ottica riportiamo una bella frase di un costituente socialista, Pietro Mancini, il quale compara lo sforzo costituente italiano a quello francese ed afferma che: “noi italiani sul piano costituzionale non avevamo che il vuoto a differenza della tradizione costituzionale della Francia .... Non c’era questa tradizione del potere costituente del popolo in Italia”. In Francia era presente infatti un substrato di unità, una tradizione repubblicana, ed un senso di unità nazionale. In Italia invece bisognava partire ex novo, ma ciò è stato bilanciato da una grande fede. Siamo stati in grado di dare al paese un progetto di costituzione e “trovare nella discordia la concordia”. Questo è il messaggio che l’Italia della costituente lascia al paese. La Repubblica in quanto tale, viene nominata come soggetto, molte più volte (2 vs 17) nella Costituzione italiana che in quella francese. Nel testo francese infatti abbiamo spesso il richiamo alla Nazione come soggetto . Ma perché in Italia non c’è nel testo della costituzione questo riferimento alla Nazione, ma si usa il soggetto Repubblica? Mentre la nazione in Francia era un concetto che non aveva subito variazioni (a parte la parentesi di Vichy), in Italia usare il termine “nazione” in quel contesto era difficile, perché parlare di nazione in Italia richiamava il nazionalismo mussoliniano che portò il paese alla catastrofe. Sostanzialmente, è come se in Italia la Repubblica dovesse affermarsi tramite la costituzione. Gli articoli della nostra Costituzione, risultato di questo lavoro della Costituente, realizzati sulla base dell’esperienza francese sono: L’ ART. 11 fa riferimento al ripudio della guerra e alla partecipazione, in condizioni di parità, ad una dimensione sovranazionale. È un articolo che nasce ispirandosi ad un articolo della Quarta repubblica francese. L’ ART. 139 sul divieto di revisione costituzionale della forma repubblicana, nasce sull’esempio di una articolo della Quarta repubblica francese a sua volta basata su quello della Terza repubblica francese. È una proposta fatta da Togliatti perché vuole che l’idea repubblicana sia radicata nel paese. Nel resoconto dell’assemblea quando viene approvato questo articolo buona parte dell’assemblea si alza in piedi e applaude la scelta. PRIMA LEGISLATURA REPUBBLICANA 1948 – 1953 Entriamo nel merito di questo clima di altissima tensione. Siamo nel pieno della guerra fredda. Il 5 ottobre 1947 è stato istituito il COMINFORM, nuova struttura di coordinamento internazionale per i partiti comunisti. Nel blocco sovietico c’è un irrigidimento dei sistemi politici, per cui si limitano via via le libertà degli altri partiti. In questo contesto in Italia abbiamo dei partiti che si temono reciprocamente, tanto la sinistra, quanto la DC, che i partiti di centro. La paura è che non si riconosceranno i risultati del voto. Il “Fronte democratico popolare” riunisce comunisti e socialisti. Nel partito comunista c’era una struttura paramilitare formata in parte da ex partigiani. Nella DC si cominciavano a reperire armi e creare milizie armate pronte a difendere il partito. A un certo punto nel partito comunista si apre anche il confronto sull’ipotesi insurrezionalista. Da un lato, abbiamo Togliatti che vuole evitare che la situazione degeneri; dall’altro lato abbiamo Pietro Secchia che invece era molto più propenso a prendere più concretamente in considerazione una prospettiva insurrezionale. Un momento di chiarificazione avviene in occasione di un incontro segreto tra Togliatti e l’ambasciatore sovietico in Italia Kostilev che ha luogo il 23 marzo ’48, nel quale Togliatti fa presente che ci potrebbero essere delle insurrezioni sia prima che dopo le elezioni, e chiede di domandare alle autorità sovietiche se il PCI si dovesse preparare o meno ad un’insurrezione. Da questo incontro si vede quanto è forte il legame tra partito comunista e Unione Sovietica, ma si vede anche la prudenza di Togliatti di chiedere a Stalin nel momento in cui il PCI passasse all’insurrezione, di entrare in guerra, cioè di essere coinvolti in prima persona. Il messaggio arriva a Mosca, e i leader comunista. La guerra scoppiò nel 1950 a causa dell'invasione della Corea del Sud, stretta alleata degli Stati Uniti, da parte dell'esercito della Corea del Nord comunista. L'invasione determinò una rapida risposta dell'ONU: su mandato del consiglio di sicurezza dell'ONU, gli Stati Uniti, affiancati da 17 Paesi, intervennero militarmente nella penisola per impedirne la conquista da parte delle forze comuniste nordcoreane. In Italia la guerra fredda ebbe delle ricadute ulteriori. Ci furono pressioni americane per sciogliere il partito comunista a cui anche la DC si oppose, perché sì lottavano contro i comunisti, ma rimanendo nell’ambito costituzionale. Erano anni in cui chi aveva la tessera del partito comunista in tasca non viveva momenti facili, venivano esclusi dai posti di maggiore importanza dell’amministrazione pubblica, perché si riteneva non fossero fedeli. Sono anni anche di manifestazioni di piazza con ben 109 vittime negli scontri tra i reparti celere e gli operai, e con le manifestazioni sindacali di protesta. ➳ Per quanto riguarda la DIMENSIONE EUROPEA, sono gli anni in cui l’Italia si integra nella prima fase di costruzione dell’Europa nelle sue diverse strutture. Il 16 aprile 1948 fu istituita l’OECE , l'Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea è stata un'organizzazione internazionale attiva 48-61. Fu istituita per controllare la distribuzione degli aiuti statunitensi del Piano Marshall per la ricostruzione dell'Europa dopo la 2GM e favorire la cooperazione e la collaborazione fra i Paesi membri. Fu la prima organizzazione internazionale a svilupparsi in Europa nel dopoguerra. L’Italia naturalmente partecipa a questa organizzazione. Così come partecipa al CONSIGLIO D’EUROPA, nato il 5 maggio 1949, principale organizzazione di difesa dei diritti umani in Europa, promuove infatti la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea ecc... L’anno dopo il 5 maggio 1950 viene lanciata la proposta di creare una comunità carbosiderurgica, così un anno dopo si arriva alla firma il 18 aprile 1951 del Trattato di Parigi, che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, la CECA. Nacque con lo scopo di mettere in comune le produzioni di queste due materie prime in un'Europa di sei paesi: Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. L’Italia di De Gasperi ha il senso di un profondo legame tra interesse nazionale del paese e la sua collocazione all’interno di un quadro europeo e occidentale, sviluppando così due livelli di patriottismo, quello nazionale e quello europeo. Non a caso De Gasperi che diverrà Presidente dell’Assemblea comune della CECA. ➳ Torniamo all’aspetto più politico-nazionale. Uno dei momenti di maggiore conflittualità della prima legislatura è quello relativo alla riforma della legge elettorale, che viene proposta dalle forze centriste, e in particolare dal Ministro dell’interno Mario Scelba, la presenta nel 1952 e vuole stabilirla per la Camera dei deputati (dato che il Senato era eletto con una formula basata su collegio uninominale ed un sistema proporzionale di ripartizione dei seggi). In questo modo si passa dal sistema proporzionale ad uno maggioritario. Questa legge elettorale è passata alla storia con il nome di “LEGGE TRUFFA” dall'appellativo usato durante la campagna elettorale di quell'anno. Questa legge introduce la possibilità che una lista, o una coalizione di liste, ottengano un premio di maggioranza molto consistente. Se una lista, o un’alleanza di liste, ottiene più del 50% + 1 dei voti totali, ottiene anche un premio che le consente di ricevere il 65% dei seggi della Camera dei deputati. Quindi un premio di maggioranza importante, che si pensava garantisse alla coalizione centrista una stabilità sicura alla Camera dei deputati. La ripartizione dei seggi avveniva su base proporzionale, quindi in base ai voti che ognuno aveva ricevuto. Nel caso in cui nessuna lista avesse ottenuto più del 50% dei voti, allora la ripartizione dei voti sarebbe avvenuta in modo proporzionale, e quindi, non sarebbe cambiato nulla rispetto alla legge precedente. La sinistra grida allo scandalo, grida alla violazione di un principio di rappresentanza, affermano che si richiami alla Legge acerbo, la quale ricordiamo che stabiliva che chi avesse ottenuto almeno il 25% dei voti, o comunque la maggioranza relativa, avrebbe preso poi 2/3 dei seggi disponibili. Bastava avere la maggioranza relativa, purché superiore al 25%, per prendere il 65% dei seggi, cioè i 2/3. Il dibattito in parlamento fu accesso. Scelba afferma che non si tratta di trasformare una maggioranza relativa in maggioranza assoluta , ma di rafforzare una maggioranza già assoluta. A queste argomentazioni, l’opposizione risponde con Pietro Ingrao, figura storica del Partito comunista, il quale afferma che questa legge è iniqua, la sinistra rivendica un premio di maggioranza puro, rimprovera alla maggioranza che sostiene questo progetto di creare un meccanismo che favorisca solo la maggioranza esistente, cioè quella centrista. Ingrao pensa che sia sbagliata nei confronti dei partiti che non si apparentano e che prenderebbero da soli meno seggi rispetto a quanti gli spetterebbero. Inoltre, si paventa la paura che la DC ad esempio possa, grazie a questo premio di maggioranza governare da sola (anche se presentatasi in coalizione alle elezioni). La sinistra infatti non sarebbe stata in grado, vista l’epoca, di ottenere il premio, almeno in questa fase storica. Poi il timore della sinistra è anche quello che una maggioranza così ampia possa realizzare più facilmente una riforma costituzionale. A ciò si obiettava che però al Senato le cose non erano cambiate. La sinistra ribatté che fosse lo stesso favorito l’avvio di una riforma, e che una volta modificato il sistema elettorale della camera si potesse fare anche col senato. La discussione diventa infuocata. Il governo decide di mettere la fiducia, ed il 21 gennaio ‘53 viene posta la fiducia alla Camera. Il Senato diventa un campo di battaglia. Il presidente del Senato Ruini vuole chiudere il dibattito, ma ci sono tre giorni di seduta ininterrotta in cui la sinistra pratica l’ostruzionismo per impedire che si arrivasse al voto sulla legge truffa. Si va avanti con interventi fiume giorno e notte per impedire che si discuta della legge elettorale. Alla fine, però Ruini fa chiudere il dibattito e fa votare la legge elettorale che viene approvata in un clima di scontro totale, con 174 voti a favore su 177 (gli oppositori escono dall’aula). La sinistra chiese al Presidente della repubblica Einaudi di non firmare, ma lui lo fece. Questo dibattito fu così animato che, durante la votazione al senato, Emilio Lussu (antifascista di lungo corso), che si oppone alla legge truffa, a un certo punto, al senato, schiaffeggia Ugo La Malfa (anch’esso antifascista). Quest’ultimo chiede la riparazione, cioè il duello. Lussu si rifiutò e disse che quel gesto era uno schiaffo al governo, non era uno schiaffo personale contro La Malfa. Nelle elezioni 7 giugno 1953 viene applicata la nuova legge elettorale. Fu una battaglia durissima ed campagna elettorale infuocata. Alcune personalità del partito repubblicano si opposero, con tensioni anche all’interno dei partiti a favore. L’esito del voto, con sorpresa della maggioranza, fu che la maggioranza centrista non riesce per pochi voti ad ottenere il 50% + 1, con uno scarto molto contenuto di 57mila voti. Così la coalizione centrista resta al di sotto della soglia del 50% necessaria per far scattare il premio di maggioranza. Queste sono state le elezioni che hanno visto il maggior numero di schede contestate in assoluto. De Gasperi tenuto conto del clima infuocato non volle procedere ad un riconteggio, non volle quindi verificare nuovamente tutte le schede contestate e nulle per verificare l’ipotesi di aver raggiunto la maggioranza assoluta. Quindi i seggi furono distribuiti su base proporzionale secondo il criterio delle elezioni del 1948. Successivamente fu presentata una richiesta di ritorno alla legge proporzionale del ’48. La legge truffa venne abrogata, si ritornò al sistema proporzionale classico che non fu più modificato fino al 1993, legge che porta il nome dell’attuale Presidente della Repubblica, il Mattarellum. Lo scenario creato dalle elezioni del 1953 vede quindi l’indebolimento della coalizione centrista, e l’avanzata della sinistra. Dopo le elezioni De Gasperi prova a formare un nuovo governo ma non ci riesce. Ciò segna la fine del periodo De Gasperiano. Avremo dei governi che si succederanno in poco tempo, come quello di Pella, Scelba.. Non c’è più quella figura preminente che guidava il complesso governativo; questo comporterà un ridimensionamento del ruolo del Presidente del Consiglio, sia perché avremo governi più instabili, sia perché viene a mancare De Gasperi. Fu un momento che segnò la conclusione del ciclo d’oro del centrismo, che rimase come formula di governo. De Gasperi, in questa fase, mantenne un enorme prestigio, ma porterà avanti la sua campagna a favore della costruzione europea grazie anche al grande prestigio di cui gode a livello internazionale. L’evoluzione politica del nostro Paese va inquadrata sempre nell’ambito europeo. Dopo la sconfitta nella guerra, ci sarà un Trattato di pace fortemente punitivo nei confronti dell’Italia, il 10 febbraio 1947. Nella conferenza di pace l’Italia viene considerata come il paese nemico sconfitto. Il 10 agosto, durante la conferenza di pace, De Gasperi chiede di dare credito all’Italia antifascista, ma non ottiene molto, Tuttavia otterrà un credito presso le potenze mondiali, che porterà l’Italia a rientrare negli anni successivi nel gioco politico diplomatico globale, attraverso la partecipazione a tutte le forme di integrazione europea. L’Italia De Gasperiana parteciperà a tutte le organizzazioni che verranno a crearsi: dall’OECE del 1948, che si occupa della gestione del piano Marshall, in cooperazione con gli USA, poi al Consiglio d’Europa del maggio 1949, la prima organizzazione europea che promuove la finalità politico culturale e di difesa dei diritti dell’uomo, fino ad arrivare alla CECA del 1951. Tutto ciò viene fatto per ragioni politiche, con i rapporti internazionali l’Italia riscopre il suo ruolo, e per motivazioni economiche, l’integrazione europea avrebbe infatti potuto favorire la ricostruzione economica dell’Italia. De Gasperi sarà la figura politica italiana che meglio saprà realizzare la costruzione europea, giudicando che l’interesse nazionale dell’Italia coinciderà con l’adesione all’integrazione europea. Dalla penalizzazione del trattato di pace si deve ripartire per riscoprire un ruolo da protagonista. Al patriottismo nazionale di De Gasperi si accompagnerà una forma di patriottismo europeo (che si manifesterà tra il 51- 52), non conflittuali ma che si integrano a vicenda. Nel momento in cui la leadership di De Gasperi comincia a calare, emergono nuove figure della DC, quali Aldo Moro, Amintore Fanfani, Paolo Taviani, Rumor, e Giulio Andreotti. Dal punto di vista istituzionale la sfida della seconda legislatura è dare voce a quegli organi che erano previsti, ma che non erano ancora stati istituiti. RIFORME 48 – 53 Mentre la prima legislatura si caratterizza per questi ritardi, sul piano dell’intervento economico e sociale è diverso perché la prima legislatura presenta un certo dinamismo. Vediamone qualche aspetto. Una riforma importante è quella del 1950 cioè la RIFORMA AGRARIA che stabilisce le modalità di esproprio e frazionamento di grandi proprietà terriere, e specialmente dei latifondi che vengono espropriati per consentire lo sviluppo di una classe di piccoli proprietari. È una riforma ampia approvata con tre leggi del ‘50. La sinistra la criticò perché avrebbe voluto un intervento più massiccio, ma comunque, l’ottica era quella di una redistribuzione della ricchezza. In parte quindi le rivendicazioni trovano soddisfazione con la riforma agraria del ‘50. Tra l’altro questi movimenti per la redistribuzione della terra avevano portato i manifestanti ad essere massacrati dalla banda del bandito Giuliano, il 1° maggio ’47, che voleva impedire questa azione rivendicativa da parte dei contadini. La riforma agraria non solo ha una finalità redistributiva ma serve anche a migliorare la produzione agricola. Altre riforme importanti riguardano lo sviluppo del sistema degli enti pubblici. Questi nascono in età giolittiana, proliferano durante il fascismo e nell’Italia repubblicana abbiamo un nuovo sviluppo di questo modello. Per quanto riguarda l’IRI, l’istituto per la ricostruzione industriale istituito nel 1933 durante il fascismo, alla fine della guerra ci si chiese di cosa fare di questo istituto. Si decise di confermarlo sviluppando ulteriormente il proprio ruolo con le società da esso controllate, ad esempio nel campo della siderurgia si creerà la FINSIDER nel 1937, che porterà avanti lo sviluppo dell’industria siderurgica in Italia. Abbiamo quindi un rilancio dell’IRI. Ci sono poi altri enti che vengono fondati. Nel 1949 viene fondato il Piano INA-casa, piano di intervento dello Stato italiano, vigente tra il 1949 – 1963 ed ideato dal ministro del lavoro Amintore Fanfani (detto per questo anche Piano Fanfani), per realizzare edilizia residenziale pubblica su tutto il territorio italiano. Concepito nell'immediato secondo dopoguerra, aveva a disposizione i fondi gestiti da un'apposita organizzazione presso l'INA, Istituto Nazionale delle Assicurazioni, già presente in epoca fascista. Siamo negli anni della ricostruzione, bisogna rimettere in piedi un patrimonio distrutto dalla guerra ed attuare i diritti sociali previsti in costituzione. Altro importante ente fondato con legge il 10 agosto 1950 è la CASSA PER IL MEZZOGIORNO, che avrà un ruolo rilevante fino agli anni Novanta quando finirà la sua stagione. In seguito, ha avuto una fama negativa perché è stato visto come un ente dove si sono affermate logiche clientelari e fenomeni di corruzione. Questa immagine negativa della Cassa per il Mezzogiorno ha certamente una sua validità, ma verso fine anni 60 - inizi anni 70, perché prima il ruolo che essa svolse fu positivo. L’idea di fondo era che bisognava riprendere in mano la questione meridionale. L’industrializzazione del paese che si era avuta tra fine ‘800 - inizio ‘900, durante l’età giolittiana, aveva creato un triangolo industriale al Nord lasciando il Sud arretrato. Questo fu quindi il punto di partenza per creare un ente che, a differenza dell’età giolittiana, abbia il coordinamento di tutto l’intervento per lo sviluppo del mezzogiorno. Quali furono i suoi campi di intervento? Fece molte azioni che soprattutto nella prima fase andarono incontro a un certo successo, ad esempio, si occupò del risanamento del territorio, del risanamento di stagni e acquitrini, del risanamento igienico di territori che non avevano sufficiente distribuzione di acqua, dell’ampliamento delle vie di comunicazione. Quindi si ebbe un intervento spesso capillare che portò ad una modernizzazione, quanto meno sul piano delle infrastrutture di base. I problemi nacquero quando la Cassa per il Mezzogiorno, che inizialmente doveva avere durata temporanea, si vide invece conferire anche la facoltà di intraprendere degli interventi in materia industriale. Quando la finalità si estese (perché, come detto, prima era concentrata sulle opere pubbliche) cominciarono i problemi perché si doveva scegliere dove far nascere complessi industriali, e qui entrarono in gioco interessi clientelari. Inoltre, gli interventi non sempre erano coordinati, il che portava ad una mancanza di uno sviluppo razionale del territorio. Questi problemi inerenti alla Cassa per il Mezzogiorno portarono ad un peggioramento di questo ente, fino alla decisione di abolirlo del tutto nel 1984. Comunque, non è da dimenticare il ruolo importante che ebbe nei primi anni della sua attività. Veniamo allora ad un altro importantissimo ente, creato dalla legge 10 febbraio 1953 nel corso della prima legislatura repubblicana, l’ENI, l’Ente Nazionale Idrocarburi. Ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo economico del paese, ma anche nella rete di relazioni estere con paesi, ad esempio, produttori di petrolio. Come è stato messo in luce dalla storia delle relazioni internazionali non si ha un quadro importante delle relazioni estere di questo periodo se non si guarda anche all’ENI. Il suo fondatore è Enrico Mattei, comandante partigiano che appartiene alla Democrazia cristiana. Dopo la guerra viene nominato commissario straordinario di un ente pubblico che doveva occuparsi di petrolio, ma era del tutto inefficiente e cioè l’AGIP (Azienda generale italiana petroli). Il compito di Mattei è di liberarsi dell’AGIP, di liquidarlo. In Italia c’erano due raffinerie di petrolio che erano state distrutte o danneggiate durante gli anni del conflitto. Quindi l’AGIP non contava nulla nel campo del petrolio, che era dominato dalle cosiddette “Sette sorelle” che agivano sul piano globale. Allora Mattei ripensa alla questione, non solo non lo liquida, ma lo rilancia e poi si adopera per far sì che l’Italia si doti di una struttura dinamica per fare passi avanti in ambito petrolifero per la ricerca di fonti energetiche, e per far sì diventi un interlocutore con i paesi produttori di petrolio. Fonderà in questo quadro l’ENI, a cui spetta di promuovere e attuare iniziative di interesse nazionale nel settore. Persegue una politica di ricerca di giacimenti di idrocarburi in particolare per quanto riguarda il metano soprattutto in val padana. Ma Mattei vuole che l’Italia assuma un ruolo nel mercato petrolifero mondiale, e quindi che si garantisca legami con paesi produttori per favorire lo sviluppo economico italiano, non vuole infatti che l’Italia sia alla mercé delle sette sorelle ma anzi che acquisisca autonomia. L’ENI è un ente che ha subito un forte sviluppo, assume il controllo di tutta la rete di servizio dell’AGIP e di tutti i distributori di benzina. Nascono le stazioni di servizio come noi oggi le conosciamo, tutto ciò nasce dall’iniziativa di Mattei che prende a modello l’America, non a caso è un tenace difensore che lui era stato un mero tecnico. In ogni caso questa sentenza fu molto avanzata e illuminata. Ora la Corte costituzionale si insedia nel 1956 e comincia una azione di progressivo smantellamento delle parti più autoritarie della legislazione precedente, un processo che si svolgerà nel corso degli anni e decenni successivi. In sostanza avremo ancora il Codice Rocco (Codice penale), ma le parti più discutibili di quel codice verranno dichiarate incostituzionali. La Corte non sempre manifesta la stessa lungimiranza e apertura su tutte le questioni che gli vengono sottoposte, qui entriamo nel merito della condizione della donna. La Corte avrà un ruolo nel favorire un’emancipazione del ruolo della donna, ma non si può dire che abbia manifestato sempre un atteggiamento coerente su questa questione, ci sono state infatti sentenze che suscitano un certo sdegno. Parliamo di un sistema in cui, nonostante i principi della costituzione, rimangono in vigore norme di epoca fascista che pongono le donne in una condizione di subalternit .à̀ Assistiamo ad una legge del 1956 che autorizza le donne a far parte delle giurie popolari della Corte d’Assise; continuano però ad essere escluse le donne dalla magistratura. Le donne però in questo caso non possono essere più di tre su un totale di sei giudici del tribunale popolare. Quindi la donna non può essere in maggioranza in un collegio giudiziario. Vediamo poi la sentenza n. 64 del 28 novembre 1961 relativa al reato di adulterio. In base al Codice penale (il Codice Rocco) c’è una notevole differenziazione del reato di adulterio a seconda che sia maschile o femminile. Nel caso dell’adulterio femminile è prevista la reclusione fino a un anno e fino a due anni per una relazione prolungata. Ne farà le spese l’amante del ciclista Fausto Coppi, la quale fu denunciata dal marito e si fece un mese di carcere. Mentre per quanto riguardava il marito l’adulterio non era reato a meno che il marito non tenesse l’amante come concubina nella casa familiare, ed a meno che non la mantenesse in un altro luogo. La Corte si pronuncia confermando la costituzionalità di queste norme. Questo perché la Corte afferma che bisogna difendere la famiglia, quindi il tradimento della moglie esercita maggiori rischi e conseguenze e favorisce l’azione disgregatrice sull’intera famiglia rispetto al tradimento del marito, un pensiero ed un linguaggio sicuramente arretrati. Alla fine, anche la Corte arriver ad una visione più matura del rapporto tra i sessi e nel à̀ 1968 e nel 1969 stabilirà̀ l’illegittimità costituzionale delle norme enunciate, quindi, decreter che à̀ l’adulterio non sarà più un reato. Ma per tornare all’arretratezza di molte norme che regolavano la vita coniugale, nonostante l’entrata in vigore della costituzione vanno citati anche altri aspetti come la persistenza nel Codice Rocco del delitto d’onore. Questo prevedeva la riduzione della pena in caso di omicidio, che veniva ridotta dai 3 ai 7 anni nel caso fosse stata uccisa la moglie o il marito o la figlia o la sorella se fosse stata scoperta l’illegittima relazione carnale, e questo delitto fosse avvenuto in uno stato di ira di chi avesse scoperto questo atto illecito. Questo si riferiva soprattutto alla moglie. Assurdit della norma che è rimasta fino alà̀ 1981. Anno in cui fu eliminata un'altra vergogna dal sistema giuridico, che era quella del matrimonio riparatore. Cioè nel caso di una violenza sessuale con una persona non sposata, il reato di stupro si estingueva qualora lo stupratore avesse sposato la sua vittima salvando l’onore della famiglia della stessa. Era una pratica molto diffusa. Un caso che aprì la strada a rimettere in discussione questa norma assurda fu un comportamento di una ragazza siciliana, Franca Viola, la quale era fidanzata con un giovane che apparteneva ad una famiglia mafiosa per questo ruppe il fidanzamento, ma il fidanzato non la prese bene la rapì e la violentò e poi fece richiesta del matrimonio, sicuro che avrebbe detto di sì. Franca Viola invece non solo non accettò il matrimonio riparatore ma denunciò lo stupratore, a cui vennero dati dieci anni di carcere. L’Italia di quegli anni manteneva ancora questi istituti giuridici aberranti. Napolitano fece Cavaliere della Repubblica Italiana Franca Viola, che diede modo ad altre ragazze di opporsi a questa pratica indegna. Vediamo altri aspetti del processo di attuazione della costituzione, e soffermiamoci sul Consiglio superiore della Magistratura. CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Viene introdotto con un lungo iter che terminò con la legge 24 marzo 1958 il nuovo Consiglio Superiore della Magistratura, dopo 4 anni. Ma viene introdotto con un aspetto che andava a comprimere il principio dell’autonomia della magistratura, cioè una pesante forma di controllo dell’esecutivo sulla magistratura, perché il Ministro della giustizia aveva il potere di proposta di delibere relative allo stato dei magistrati, cioè alla carriera dei magistrati ; così il CSM delibera sull’organizzazione delle carriere dei magistrati, sulla base delle proposte avanzate dal Ministro della giustizia. Questo era un modo per mantenere, come avveniva nel vecchio CSM, un controllo sull’ordine giudiziario. Ma intervenne la Corte costituzionale che sancì nel dicembre del ‘63 l’incostituzionalità del monopolio del ministro della giustizia, cioè il fatto che egli avesse il potere di proposta relativo a tutto ciò che concerneva l’organizzazione delle carriere dei magistrati, quindi non c’era la libertà del CSM di organizzare le carriere dei magistrati in modo autonomo. Nel 1967 fu varata una nuova legge che ridefinirà la struttura del CSM, maggiormente in sintonia con i principi costituzionali. Questo fu l’oggetto della pronuncia della Corte costituzionale. - Altro istituto che nasce in quegli anni è il Consiglio nazionale dell’economia e del Lavoro con legge 5 gennaio 1957. Come nacque il CNEL? L’idea di coinvolgere le forze sociali era stata adottata vedendo la proposta iniziale della DC di una Seconda camera, espressione delle comunità naturali, (bocciata con un senato fotocopia della camera) il CNEL fu il modo di riconoscere un ruolo alle rappresentanze del mondo del lavoro. Consigli di questo tipo erano costruiti anche in altri regimi costituzionali, come in Francia. Questo organo, in realtà, nasce con una legge che non gli assegna un ruolo rilevante, si concentrerà soprattutto nell’attività di studio e di ricerca, ma non sarà un organo così dinamico come si era previsto. Il CNEL quindi non è mai decollato nel nostro ordinamento, aveva il diritto di iniziativa legislativa in campo economico e sociale. Quindi già negli anni Sessanta si cominciò a discutere di una sua abolizione. Invece, le Regioni a statuto ordinario ed il Referendum devono attendere ancora diversi anni per poter entrare nel nostro ordinamento. Veniamo ora agli sviluppi successivi. - Nella seconda legislatura ci sono altre leggi importanti. Abbiamo visto il ruolo importante che assumono gli enti pubblici nel panorama italiano. In quest’ottica nel ’56 nasce il Ministero delle Partecipazioni Statali, il cui obiettivo è coordinare questi enti pubblici per trovare una politica economica unitaria. Gli enti pubblici però agiranno ognuno per conto proprio, ognuno farà la sua politica. Quindi resterà un po’ questa caratteristica del sistema italiano di una presenza ampia del settore pubblico su questi enti, ma una scarsa capacità di controllo e programmazione. - Nascono ministeri importanti in questa seconda legislatura, nel marzo 1958 viene istituito del Ministero della Sanità . Fino alla Seconda guerra mondiale le competenze relative alla sanità, secondo anche il modello ministeriale francese, erano gestite dal Ministero dell’interno, e la sanità era visto come un problema di ordine pubblico. In precedenza, ci si riferiva soprattutto ai luoghi dove scoppiavano epidemie, per cui si chiudevano le localit e si aspettava che l’epidemiaà̀ terminasse. In epoca crispina comincia una modernizzazione in materia sanitaria perché si diede attenzione anche al tema della prevenzione. Nacquero il medico comunale e il medico provinciale che dovevano garantire una più estesa rete di alfabetizzazione sanitaria. Nacque poi l’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica, che svolgeva il suo lavoro assieme al Ministero dell’Interno, e solo nel ‘58 nasce il nostro ministero ad hoc. Abbiamo poi la grande svolta del 1978 con la creazione del Servizio sanitario nazionale. - Altro ministero importante creato nel 1959 è il Ministero del turismo e dello spettacolo. Importante sia perché vede nascere un turismo non più di élite, e sia perché l’Italia vede una fioritura culturale espressa attraverso il suo cinema d’autore, imponendosi a livello mondiale per la qualità dei suoi film e dei suoi registi come Fellini. Questi film contribuirono a rafforzare l’immagine del nostro paese, quindi per favorire l’espansione dell’industria cinematografica. Questo appena descritto è il periodo che passa alla storia col termine di miracolo economico. È un processo di crescita economica iniziato quando finisce la fase della ricostruzione post-bellica, abbiamo una crescita impetuosa dell’economia. Un lasso di tempo ‘58 – ‘63 sono gli anni del miracolo economico propriamente detto. Il tasso medio di crescita del PIL è del 6,5% annuo in questo quinquennio. Poi nel ’63 – ‘64 c’è una battuta di arresto, e successivamente riprenderà una crescita economica che continuerà fino agli anni Settanta, in cui si entrerà in una nuova epoca di congiuntura economica con la crisi petrolifera e la fine del sistema di Bretton Woods. Nel periodo del boom economico crescono le esportazioni, è una crescita che però si basa su salari bassi. Abbiamo un aumento della domanda interna che si manifesta attraverso la diffusione delle automobili, nel 1970 arriviamo a 10 milioni di automobili. Abbiamo poi la rivoluzione della vita in famiglia tramite gli elettrodomestici. Nel 1958 il frigorifero era posseduto solamente dal 13% delle famiglie italiane. Nel 1965 la metà delle famiglie italiane si dota di un frigorifero in casa e così via. Abbiamo un processo di diffusine di questi beni che accompagna la trasformazione dell’Italia da paese agricolo che era ancora negli anni Cinquanta a paese industriale. L’Italia si afferma come potenza industriale. Questo però ha aspetti negativi, intanto a partire dal divario tra Nord e Sud del paese, e anche il fenomeno dell’immigrazione da Sud verso Nord, e della collocazione di questi migranti interni. Abbiamo ancora una crescita disordinata delle città. Tutti problemi cui cercherà di rispondere il centro sinistra. GOVERNO CENTRO – SINISTRA Affrontiamo la prima fase del governo di centro-sinistra, importante momento della storia politica italiana, sia per le dinamiche politiche generali, sia per una nuova fase attuativa dei principi costituzionali. Abbiamo fino ad ora messo in luce le trasformazioni economiche che investono il paese. Il nuovo contesto politico che si apre dopo la Rivoluzione ungherese antisovietica del ‘56, che favorisce un lento avvicinamento tra Partito socialista ed i Partiti di governo, in particolare la Democrazia cristiana. Questo avvicinamento però incontra malumori, in particolare in alcuni settori della democrazia cristiana. Emergono in modo esplicito con la formazione, nel 1960, del governo guidato da Fernando Tambroni, della DC, che ottiene la fiducia grazie all’appoggio del Movimento sociale italiano. Sembra che la direzione politica del governo segua un orizzonte opposto dell’avvicinamento al partito socialista, difatti questa esperienza governativa provoca fortissime polemiche perché il movimento sociale italiano era nato in un filo di continuità con il fascismo. Fu concesso al MSI di tenere il Congresso nazionale a Genova, città medaglia d’oro della resistenza. Ciò viene vista come una provocazione non tollerabile da ampi strati della popolazione, e tra il 30 giugno e il 2 luglio 1960 scendono in piazza molti giovani a protestare contro il governo Tambroni, a Genova, a Reggio Emilia ed in Sicilia, che portano a una decina di vittime. A questo punto l’ala della democrazia cristiana più dialogante verso la sinistra capisce che bisogna mettere fine al governo D’Ambroni e lo costrinse a dimettersi. Gli succede un nuovo governo monocolore democristiano che è presieduto da Amintore Fanfani, che assieme ad Aldo Moro è uno dei due protagonisti della DC che conduce il partito in una collaborazione con i socialisti. Quindi Aldo Moro e Amintore Fanfani sono le due personalità che traghetteranno i rispettivi partiti alla collaborazione tra DC e PSI. Ora per portare la DC ad aderire a questa scelta di collaborazione con i socialisti, prima a livello parlamentare e poi a livello governativo, è fondamentale il ruolo di Aldo Moro, il quale presenta una importante relazione al Congresso nazionale della DC che si svolge nel gennaio 1962 a Napoli al teatro San Carlo. Uno dei momenti più importanti della storia politico costituzionale del nostro paese perché Moro deve convincere tutti i settori della DC a aderire a quest’idea. Tra l’altro è famoso perché presenta una relazione lunga, infatti parler per ben 6 ore. Momento importanti di confronto tra, da un lato, Moro e Fanfani e,à̀ dall’altro, Andreotti e altri che si conclude con la vittoria di Fanfani e Moro. Il nuovo governo Fanfani è un governo estremamente dinamico e riformatore. Moro si preoccupa di offrire garanzie alla parte conservatrice della DC e, infatti, dato che si deve rinnovare la carica di Presidente della Repubblica, Moro fa in modo che sia eletto Antonio Segni, della destra della DC, ostile a questo nuovo corso di centro-sinistra. Moro vuole dare un segnale alle forze più conservatrici della DC per bilanciare l’apertura a sinistra. RIFORME MORO – FANFANI (‘62 – ’70) Questo centro-sinistra, che si apre ai socialisti per la definizione del programma realizzò molte riforme, di grande portata che sono legittimate dagli articoli della Costituzione. - Cominciamo con una significativa riforma costituzionale, partendo dalla Legge costituzionale n. 2 del 9 febbraio 1963. Questa legge stabilisce e prende atto che la durata diversa tra camera (5 anni) e senato (6 anni) non era stata, di fatto, realizzata, dato che quando si rinnovava la camera il senato veniva sciolto anticipatamente. Quindi con questa legge la durata delle due camere viene equiparata e viene fissato anche il numero stabile di Deputati (630) e Senatori (315), mentre fino a quel momento si guardava alla tendenza demografica. - Sono importanti altre leggi, come la Legge 31 dicembre 1962 n. 1859 che istituisce la scuola media unica, ed è un momento importante di attuazione degli ARTT. 33 - 34 della Costituzione, relativi all’istruzione scolastica. La legge sopprime gli istituti di avviamento professionale che erano previsti per i ragazzi più poveri e che impediva di proseguire l’istruzione. In questo modo si crea la scuola media unica, riforma che incide fortemente sul percorso educativo dei giovani italiani. Nel momento in cui si riforma la scuola media, volendo dare maggiore garanzia di tutela del diritto di istruzioni per tutti ci si interessa anche alle persone più anziane, cioè a quel numero elevato di analfabeti che ci sono in Italia. Tipico degli anni ‘60 è un programma televisivo “non è mai troppo tardi” che dura dal ‘60 al ’68, che insegna a leggere e scrivere agli analfabeti, condotto da un maestro elementare. Ha uno stile molto efficace e che conduce a grandi risultati permettendo l’alfabetizzazione di molte persone anche molto anziane. Sarà un programma imitato a livello internazionale, il quale riceverà un premio UNESCO nel ‘65 proprio per la sua lotta contro l’analfabetismo. Questo non vuol dire che la televisione degli anni ‘60 era avanzata su tutti i fronti. Ad esempio, “canzonissima” condotta da Dario Fo e Franca Rami, i quali facevano degli sketch di sfondo sociale, spesso critico, dopo poco furono licenziati e la conduzione fu affidata ad altri conduttori. Di quella “canzonissima” abbiamo una damnatio memoriae perché nei cimiteri RAI non sono state conservate le puntate. Da un lato, si ha una grande funzione civile della televisione, dall’altro, siamo ancora nell’Italia di forte censura. - Altra riforma importante fu la Legge 6 dicembre 1962 n. 1643 che crea l’Ente nazionale per l’energia elettrica, l’ENEL. La creazione di questo ente per la nazionalizzazione dell’energia elettrica, è stata chiesta dai socialisti per aderire al programma del governo Fanfani. Ha il supporto dei socialisti, dei repubblicani, dell’area laica riformatrice e anche del settore di sinistra della DC. Settori che convergono nell’idea di questa nazionalizzazione. Mentre abbiamo una forza opposizione composta dal partito liberale, dal movimento sociale italiano, dai monarchici, da alcuni imprenditori e da alcuni giornali come il Corriere della Sera, che lo vedono come una deriva socialista. In realtà anche in questo caso siamo nell’ambito dell’applicazione di un principio costituzionale, l’ART. 43. Ci fu un ricorso sia alla Corte costituzionale, sia alle Corti di Giustizia delle Comunità europee, ma entrambe si espressero favorevolmente e quindi la imprese pubbliche, in modo tale che si superi il fatto che ogni ente pubblico seguisse una propria logica, senza mettersi in coordinazione l’uno con l’altro. Il secondo punto prevedeva di intervenire, tenendo conto della diversità dello status proprietario, anche sulle grandi imprese private. Nel senso che questi dovevano comunicare i programmi di investimento agli organi della programmazione economica consentendo loro di analizzare questi piani e accertandosi che corrispondessero ai piani economici nazionali. Quindi l’idea era quella di mantenere la loro autonomia, ma con un dialogo che doveva attivarsi con tali organi. Contro questi obiettivi parte ovviamente una grandissima offensiva. Sul piano dei rapporti interministeriali, il Ministero del tesoro Emilio Colombo della DC, che gestisce la spesa pubblica, non condivide la linea interventista di Giolitti, e non vuole essere posto in secondo piano sulla questione della programmazione rispetto al ministero del bilancio. È quindi contrastato dallo stesso governo. Interviene anche il Governatore della Banca d’Italia Guido Carli. Si oppongono anche i partiti della destra, il mondo imprenditoriale, alcuni giornali, Sole 24 ore e Corriere della sera, ed interviene anche la Commissione europea guidata dal Presidente tedesco Walter Hallstein, che teme questo interventismo della politica italiana. Si denuncia una sovietizzazione dell’economia. Così contro il primo governo Moro comincia a nascere un vasto arco di oppositori, e si creano le premesse affinchè il primo governo Moro cada e si apra una crisi di governo. Il motivo scatenante della crisi è connesso anche alla questione del finanziamento delle scuole private. Aveva infatti proposto un modesto finanziamento alle scuole materne private. Ma al di là del tema specifico, le forze contrarie al centro sinistra vogliono si interrompa questa esperienza di governo considerata troppo orientata secondo le direttrici del partito socialista. Cade il primo governo Moro. Si apre una delle crisi più drammatiche e delicate della nostra storia costituzionale, con l’intervento di alcuni attori che vanno oltre risetto alle cariche che ricoprono. PIANO SOLO Periodo post-caduta 1° Governo Moro. Il Presidente della Repubblica, Antonio Segni, vorrebbe che la fase del centro sinistra si chiudesse, e si tornasse ad una fase diversa, ha in mente un governo presidenziale, cioè dare l’incarico ad una personalità politica che si allontani da questo indirizzo politico. Ma teme delle proteste di piazza, allora chiede al Comandante dell’Arma dei Carabinieri, Giovanni De Lorenzo, il quale fu Capo del SIFAR ovvero Servizio informazioni forze armate, e Capo di stato maggiore dell’Esercito italiano, di presentare un piano per far fronte a eventuali proteste di piazza se fosse emerso un nuovo governo con la fiducia del Presidente della Repubblica. Il generale De Lorenzo ci va giù pesante, perché prevede l’internamento (preventivo) in una base NATO in Sardegna di oltre settecento esponenti politici, ed anche il controllo delle reti di comunicazione (Rai, Sedi politiche etc.). Un piano che avrebbe ridimensionato le libertà costituzionali per un certo periodo. Questo piano era segreto, ma qualcosa emerse perché gli attori politici principali avvertirono che qualcosa era in preparazione, nei suoi diari Pietro Nenni del Partito socialista parlò di un rumore di sciabole alludendo ad un’incursione militare. Questo piano era il Piano Solo, perché doveva essere attuato solo dall’Arma dei Carabinieri. Questo piano in realtà venne alla luce solo tre anni dopo, nel 1967 a seguito di un’inchiesta del settimanale “L’espresso” di Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano “la Repubblica”. Nel 1969 ci fu un’inchiesta parlamentare con due interpretazioni diverse del Piano Solo: - La relazione di maggioranza stabilì che il Piano Solo esisteva realmente ed era illegittimo perché comportava la sospensione delle libertà costituzionali, ma si affermò anche che era un piano del tutto ipotetico, cioè senza alcuna volontà di metterlo in atto. - La relazione di minoranza presentata da Umberto Terracini affermava che si era trattato di un pericolo reale. Su questo citiamo il giudizio espresso dallo storico, Guido Formigoni, in un testo che si intitola “Storia d’Italia nella Guerra Fredda”, il quale formula un giudizio piuttosto equilibrato. Il piano era un tassello ambiguo di un gioco politico. L’arma dei carabinieri in sintonia col Quirinale prevedeva una reazione voluta dal Presidente della Repubblica, ai limiti del suo ruolo costituzionale. Insomma, sì qualcosa di ipotetico ma comunque qualcosa che usciva dalla legalità. Negli anni della strategia della tensione avremmo altre testimonianze di questi aspetti, cioè di reti oscure all’interno dello Stato. Lo storico Franco de Felice conia il concetto di “doppio stato”: stato costituzionale e stato occulto, rifiutato però di alcuni storici. Come si uscì da questa crisi? Il piano di Segni non andò in porto, cioè chiudere l’esperienza di centro sinistra. I quattro partiti di centro-sinistra (DC, PSI, PSDI, PRI) si impegnarono a chiedere la riconferma di Aldo Moro, riconfermando la loro alleanza di governo. Si ricostituì così il SECONDO GOVERNO MORO 1964 – 1966, con la stessa maggioranza. Il Piano Solo però alcuni effetti li ebbe, difatti nel nuovo governo venne messo un freno a questo indirizzo riformatore. A cominciare dal fatto che cadde la testa di Antonio Giolitti che non fu riconfermato ma venne sostituito da Giovanni Pieraccini, altro socialista considerato più moderato rispetto a Giolitti. Segni sarà molto provato da questa vicenda, tanto che verrà colpito da un ictus e sarà sostituito dal nuovo Presidente Della Repubblica Giuseppe Saragat, 64 – 71, anche con i voti dei comunisti. Anche Palmiro Togliatti morì nello stesso periodo. MORO II (1964 – 1966) Possiamo sicuramente affermare che la fase più dinamica del centro-sinistra è stata quella del governo Fanfani, prima che i socialisti entrarono al governo, perché il primo governo Moro cadde prima di portare avanti le riforme, e il secondo governo fu più moderato. In questo governo Moro II si sceglie un corso più moderato, sia sul piano della programmazione, sia sulla questione urbanistica. Non a caso Il primo programma economico nazionale viene approvato solo nel 1967, che copre il periodo 66-70, perciò retroattivo. Nello specifico, con la Legge del 27 febbraio 1967 il Ministero del bilancio fu ribattezzato Ministero del bilancio e della programmazione economica, e venne anche istituito un Comitato interministeriale per la programmazione economica, il CIPE. Da un lato si riconobbe quindi il ruolo del bilancio, e dall’altro si istituì il CIPE. Di fatto si ebbe un ridimensionamento, perché il Ministero del tesoro voleva l’ultima parola sulla spesa pubblica. Quando si arrivò al varo del programma economico nazionale fu sì approvato ma solo il 27 luglio 1967, dopo un iter lunghissimo. Era un programma quinquennale per il quinquennio 1966-1970, ulteriore testimonianza del ritardo nella sua approvazione. Il contenuto era indicativo di quelle che rimanevano le ambizioni del centro sinistra. Principali punti programmatici della legge del ’67: - Pieno impego della forza lavoro - Accelerazione produzione agricola - Concentrazione dei nuovi posti di lavoro nel Sud - Coordinamento degli sforzi produttivi nel Sud - Aumento del reddito nazionale del 5% in media all’anno - Localizzazione nel mezzogiorno del 40-45% dei nuovi occupati nei settori extra agricoli. Si metteva anche in risalto la necessità di una modernizzazione dell’apparato amministrativo, perché la programmazione economica necessitava di un sistema più efficiente. Quanto fosse valido questo obiettivo lo si constata da quanti problemi ci siano stati per l’allocazione dei fondi europei. Quindi necessità di un’amministrazione più adeguata nel gestire le risorse e fare sì che venissero ben allocate. Alla fine degli anni Sessanta si cominciò a parlare di un secondo programma economico nazionale che doveva coprire il quinquennio 71-75, ma di fatto sia per la crisi interna dei partiti, sia per la crisi degli anni Settanta dove le prospettive dell’economia diventano più oscure, non si realizzò. Questo contribuì a far si che la stagione della programmazione economica negli anni Settanta si chiude. Vediamo ora quali sono gli eventi più importanti del Governo Moro II - Viene stabilito un sistema pensionistico più generoso, basato sul sistema retributivo basato sull’ultima retribuzione. E viene varata la Legge 4 gennaio 1968 sull’autocertificazione, che doveva servire a rendere più trasparente il rapporto tra amministrazione e cittadini, ma rimase inattuata. - Altre riforme importanti arrivano anche a seguito dell’ondata di proteste e di lotte operaie che scoppiano nel Paese nel ’68 – ‘69. Gli anni ’60 erano anni di partecipazione giovanile alla politica come mai si era visto prima. Il momento culminante sarà il maggio francese del 1968 in cui Parigi diventa il teatro di disordini come non si erano mai visti a causa del movimento degli studenti, che occupano le università avanzando rivendicazioni concrete. In Italia abbiamo una ondata di protesta che si manifesta da prima del ’68 ma si concentra in questo anno. Sia in Francia che in Italia la protesta non è limitata al mondo studentesco ma si estende agli operai (in Francia nel ‘68 e in Italia nel ‘69 durante l’autunno caldo. Difatti nel 1969 iniziò la grande stagione delle rivendicazioni operaie: il cosiddetto autunno caldo. In Francia gli studenti trovano negli operai un movimento che in parte li appoggia, ed in parte segue i loro obiettivi. Nel 1969 anche in Italia abbiamo questa mobilitazione nelle fabbriche. Il boom economico era stato caratterizzato da scarsi aumenti dei salari, perché fu dovuto più che altro ad un aumento delle esportazioni, che trainò la crescita dell’economia. Quindi il movimento del ‘69 in Italia reclama salari più alti, libertà sindacale; si trattava di “portare la costituzione nelle fabbriche”, richiesta del segretario CGIL Di Vittorio. Si chiedeva una maggiore libertà nelle fabbriche, manifestare la propria libertà di opinione senza essere discriminati. Ciò porterà ad una legge molto importante, la Legge 20 maggio 1970 n.300 : la legge sullo STATUTO DEI LAVORATORI. È stata ricordata spesso per il famoso ART.18 contro i licenziamenti senza giusta causa, uno dei punti più importanti dello Statuto. Lo statuto dei lavoratori fu proposto da Giacomo Brodolini del Partito socialista, che alla sua morte fu sostituito da un democristiano, Carlo Donat-Cattin che portò a termine questo processo. I punti salienti riguardano la libertà di manifestazione del pensiero, divieto di indagine sulle opinioni dei lavoratori, e diritto dei lavoratori a dire la loro sulle questioni riguardanti la sicurezza dell’ambiente di lavoro, ampliamento del potere dei sindacati. Questa legge si fondava sugli ARTT. 35 - 41. Quindi può essere vista come una legge che si inscrive nell’attuazione di questa costituzione. Fu una legge innovativa che si inscrive in questo momento di mobilitazione collettiva che riguarda il biennio 1966-69 in Italia. Le rivendicazioni studentesche invece portarono a liberalizzazioni in ambito universitario, come l’accesso all’università per tutte le scuole secondarie, e non solo ai licei, ed il rifiuto del voto di un esame. - Siamo ora nel quadro di movimenti di tensione e nell’ambito di una realtà che non è tutta orientata all’attuazione dei principi costituzionali. Ed è proprio in questo periodo che nasce la strategia della tensione il cui atto di inizio avviene il 12 dicembre 1969 con la bomba fatta esplodere in una banca a Piazza fontana. Ci saranno 17 vittime e 88 feriti. Nell’arco di qualche minuto a Roma esplodono 3 bombe che fanno 17 feriti. Un’altra bomba sarebbe dovuta esplodere a Milano, ma fortunatamente è stata rivenuta inesplosa. La pista era neofascista, si rientra in un lato oscuro del rapporto tra organizzazioni terroristiche e certi settori deviati dello stato. La finalità era quella di bloccare il processo riformatore e far nascere un governo di emergenza. All’inizio la responsabilit fu attribuita agli anarchici, anche se poi questa stradaà̀ non fu seguita. L’assetto istituzionale resse, ci fu una reazione popolare composta che dimostrava compostezza e volontà di non farsi travolgere dalla provocazione, e volontà di reagire a questi atti terroristici. Grazie a delle indagini successive sappiamo che la minaccia del ’69 derivò da matrici neofasciste. - L’anno dopo abbiamo un tentativo di golpe condotto da Valerio Borghese, golpe dell’immacolata, che doveva portare all’occupazione di alcune sedi pubbliche, che non scattò perché dallo stesso Borghese arrivò un contrordine. Anche qui varie interpretazioni. Questa retromarcia infatti non si capì: qualcuno ritirò l’appoggio? Era solo un segnale che non si doveva dare corso ad un indirizzo riformatore? QUADRO INTERNAZIONALE ANNI ’70 Riprendiamo il quadro internazionale, perché gli anni Settanta sono caratterizzati da una situazione economica ben diversa da quella iniziata dopo la Seconda guerra mondiale. Negli anni Settanta si ferma la crescita fordista, ininterrotta fino a questo momento, e si entra in una fase di crisi che si contraddistingue per il venir meno di alcune caratteristiche internazionali che avevano permesso questa crescita quasi interrotta. Collegato a ciò è sicuramente la situazione negli Stati Uniti. La guerra in Vietnam (1964 – 1975) difatti provocò una crisi morale, ma anche degli effetti economici. li americani intervennero duramente in Vietnam il che suscitò una grande contestazione negli stessi USA. L’opposizione al governo del Vietnam fu un momento che si riverberò in molti paesi. L’uso sempre più ampio di uomini e di risorse fa lievitare la spesa pubblica in un momento in cui gli USA sperimentano anche un ampio programma di spese sociali. Quindi aumentano sia le spese per il welfare, sia le spese per la guerra, e ciò porta inevitabilmente ad un aumento del debito pubblico. La presidenza Nixon a seguito di questi squilibri decide di metter fine agli accordi di Bretton Woods, cioè decide di sospendere la convertibilità del dollaro in oro. Il miracolo economico italiano (e non solo) si era giovato di questa stabilità monetaria prevista dagli accordi di Bretton Woods; quindi la crisi del sistema di Bretton Woods comporta una difficoltà per i vari paesi, tra cui il nostro, così già nei primi anni Settanta in Europa si comincia a riflettere seriamente di arrivare ad una moneta unica europea. I primi progetti di unione monetaria europea risalgono a quel periodo. Poco dopo le economie occidentali sono state colpite anche dalla crisi petrolifera del 1973. Due colpi a ripetizione a seguito della guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur. A seguito di questa guerra i paesi dell’OPEC decidono di quadruplicare i prezzi del Petrolio greggio, da ciò abbiamo l’avvio di politiche di austerità. In Italia ad esempio, a seguito di questi eventi saranno attuate dure politiche restrittive, come ridurre il consumo di elettricità, carburante... Con questi fenomeni si produce un rallentamento della crescita economica dovuta all’instabilità monetaria, e alla crescita del costo del greggio, e tutto questo si accompagna all’aumento dei prezzi, e quindi all’inflazione. In questo periodo abbiamo la stagflazione, situazione nella quale sono contemporaneamente presenti nello stesso mercato sia un aumento generale dei prezzi, sia una mancanza di crescita dell'economia; cioè la stagnazione più l’inflazione. Abbiamo il 20% di crescita inflattiva annua in questo periodo. Aumenta il deficit pubblico, comincia ad aumentare il debito pubblico. Dal ‘71 al ‘75 il nostro debito pubblico sale dal 41% al 60%. Ci sarà una ripresa nella seconda metà degli anni Settanta in Italia, favorita dalla formula politica della solidarietà nazionale. Poi nel ‘79 ci sarà un nuovo shock petrolifero che renderà difficile immaginare un ritorno alla crescita del passato. Per quanto riguarda il nostro paese siamo nel pieno della democrazia dei partiti e della centralità del parlamento. Il centro-sinistra va avanti fino al 1972, anche se in sostituzione di Saragat venne nominato nel ‘71 un democristiano, Giovanni Leone, eletto con i voti dei centristi e del movimento sociale italiano. L’altro candidato possibile della DC era stato Fanfani, e si era paventata anche un’ipotesi della Presidenza della Repubblica ad Aldo Moro, e il partito comunista era pronto ad appoggiarlo. Ma la DC non voleva che Aldo Moro venisse eletto anche con il contributo dei comunisti. Alla fine dopo 23 scrutini si era arrivati all’elezione di Leone. Nello stesso anno, nel 1972, abbiamo lo scioglimento ➳ Rimane sullo sfondo la questione comunista. Abbiamo visto come il PC si avvicina al governo, considera che queste mozioni siano passaggi intermedi, ma abbiamo la persistenza della “conventio ad excludendum” in base alla quale i comunisti non possono entrare nell’esecutivo. Aldo Moro è la figura del dialogo tra DC e PC, il quale ha un’idea di progressiva legittimazione del PC per l’accesso al governo. Per quanto riguarda la posizione degli USA, il 12 gennaio 1978 il dipartimento di stato rilascia una dichiarazione nella quale afferma che gli USA non vedono favorevolmente un ingresso dei comunisti in Italia al governo. In questo contesto, Moro riesce ad ottenere dal suo partito di far si che non si accetti l’ingresso nel governo, ma si fa accettare che i comunisti partecipino espressamente alla maggioranza parlamentare. Cioè viene varato un nuovo governo guidato da Giulio Andreotti al quale i comunisti si apprestano a votare la fiducia. Al governo rimane solo la DC, ma abbiamo una maggioranza parlamentare con l’ingresso esplicito del PC. Il nuovo governo si deve presentare il 16 marzo 1978 alla Camera per la fiducia. MORTE ALDO MORO Aldo Moro doveva andare ad assistere alla fiducia con le guardie del corpo, e la macchina carica delle tesi di laurea, dato che insegnava in Sapienza nella nostra facoltà. Come sappiamo quel giorno Moro non arrivò mai alla Camera dei deputati, perché sarà rapito dalle brigate rosse che uccideranno le sue 5 guardie della scorta. Sul caso Moro, che venne ucciso il 9 maggio 1978, ci sono alcune incongruenze che ancora oggi persistono nelle ricostruzioni che hanno fatto i brigadisti nei processi. Era una fase in cui certamente la figura di Aldo Moro dava fastidio a molte realtà. Sulla possibile liberazione di Moro, a un certo punto i socialisti con Craxi avanzano una proposta di una trattativa con le brigate rosse per arrivare alla liberazione di Moro. Su questo punto scoppiò una polemica furiosa tra il cosiddetto Partito della fermezza (chi non voleva le trattative) e il Partito socialista che invece voleva andare incontro ad alcune richieste avanzate dai brigadisti per liberare Moro. In realtà la divisione tra partito della fermezza e partito della trattativa non è aderente alla realtà perché furono avviate due trattative segrete, e di questo la maggioranza politica ne era perfettamente consapevole. Una ebbe come interlocutori alcune personalità dell’Autonomia operaia (organizzazione che seminava violenza di piazza, e che quindi probabilmente aveva contatti con le Brigate rosse) e, l’altra, una trattativa gestita dal Vaticano che doveva portare al versamento di un ampio riscatto. Ora queste trattative non andarono in porto, ed il 9 maggio c’è il famoso comunicato delle Brigate Rosse e la famosa telefonata all’assistente di Moro in cui si comunicava l’uccisione di Moro, e che il cadavere si trovava a Via Caetani. Il 9 maggio viene ritrovato il cadavere di Moro, in via Caetani, traversa di Viale botteghe oscure ed il luogo in cui è stato ritrovato era a 200 mt dalla sede comunista, ed a 200mt dalla sede della DC; si voleva infatti lasciare il cadavere tra le due sedi nazionali dei principali partiti di governo. ➳ L’offensiva comunista prosegue. Un operaio del PC, Guido Rossa, scopre che un suo collega all’interno della sua fabbrica diffonde volantini delle brigate rosse, e lo denuncia. La risposta delle brigate rosse sarà il suo assassinio. Poi comincia il pentitismo, il primo e più noto è Patrizio Peci nel 1980 che dopo esser stato catturato comincia a parlare e fare nomi, in questo caso le brigate rosse non possono ucciderlo perché in carcere, ma uccidono il fratello. Sempre nel 1980 abbiamo l’omicidio nella nostra facoltà di Vittorio Bachelet, Vicepresidente del consiglio superiore della magistratura. Sia Moro sia Bachelet erano tutte persone animate da uno spirito riformatore, e secondo le brigate rosse erano pericolose. Così questa maggioranza, almeno fino al ’79, deve affrontare la sfida del terrorismo. Importante in questo contesto per la sintonia con l’opinione pubblica, e per l’immagine di identificazioni con i valori repubblicani e della resistenza, è l’elezione a Presidente della Repubblica nel 1978 di Sandro Pertini, che gode di una grandissima popolarità, che sostituisce Giovanni Leone, dimesso dopo alcuni scandali. Quando era in carcere durante il fascismo, la madre presentò domanda di grazia a Mussolini dicendo che il figlio era in cattive condizioni. Pertini reag ì̀ sconfessando la domanda di grazia della madre, e dissociandosi completamente. Pertini è il simbolo dello Stato repubblicano che reagisce alla minaccia terroristica. Dietro Pertini avremo una sintonia che darà più forza a questa azione di contrasto al terrorismo. La crisi che nasce dopo la morte di Moro lascia degli strascichi, entra in crisi la democrazia dei partiti nata dopo il secondo dopoguerra. Se finora siamo stati nel campo della attuazione della Costituzione, dalla fine degli anni ‘70 si comincia a parlare di riforma della Costituzione, ed emergerà la difficoltà di apportarla. L'11 giugno 1978 si tiene il referendum abrogativo per l’abolizione della Legge 2 maggio 1974 n.195, cioè il contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici. Fu indetto dai Radicali. Nonostante l'invito a votare "No" da parte dei partiti che rappresentano il 97% dell'elettorato, il "Sì" raggiunge il 43,6%, pur senza avere successo. Se pensiamo che tutti i partiti erano per il NO capiamo lo stato di insoddisfazione del popolo. RIFORME Comunque, gli anni di governo che stiamo vedendo, il 76 – 79 della formula della cosiddetta solidarietà nazionale, prima con astensione, poi con mozioni, e poi con voto di fiducia al governo Andreotti, con i comunisti in maggioranza parlamentare. In tutto questo periodo non ci sono solo gli anni di piombo ma abbiamo altre riforme importanti. Nel 1978 viene approvata la Legge Basaglia che rivoluziona la gestione della psichiatria e dei manicomi, istituì servizi di igiene mentale pubblici, ed i cui principi saranno ripresi dalla Legge 23 dicembre 1978 istitutiva del Sistema sanitario nazionale. Questa legge ha avuto come promotrice la ministra Tina Anselmi, e nasce da un dibattito parlamentare a cui hanno dato un contributo molte figure importanti quali il fratello di Berlinguer che era un medico. Si crea questo SSN che mette ordine rispetto ad una situazione in cui le coperture sanitarie erano molto diversificate, anche se poi nell’organizzazione concreta emergeranno una serie di difficoltà che saranno superate con le riforme del 1990. Il SSN è stata una delle principali riforme di attuazione della Costituzione che si sono avute nel nostro paese. Poi abbiamo la Legge n. 194 del 1978, la legge sull’aborto, approvata con il voto contrario della DC e del MSI. A sua volta nel ‘81 sarà sottoposta a referendum abrogativo, ma tuttavia ben il 67% degli elettori voterà per il mantenimento della legge n. 194. Poi nel 1970 ci sarà l’entrata in vigore delle regioni a statuo ordinario. REGIONI Il lungo iter sull’entrata in vigore delle Regioni a statuto ordinario inizia con la questione del Titolo V, cioè la disciplina relativa alle regioni, il cui suo più grande artefice è Gaspare Ambrosini. Allora fu sicuramente tutta la questione del Titolo V, in particolare l’ente regione, il punto che suscitò il dibattito più lungo della Costituente. Abbiamo partiti fortemente regionalisti a cominciare dalla DC, che fa leva sulla tradizione che rimonta a don Sturzo, e secondo la quale le regioni, rappresentano il coronamento delle comunità naturali. Diverso è per socialisti e comunisti. Il PC accetta le regioni a statuto speciale, ma è diffidente verso le idee regionaliste della DC, Togliatti si scaglia contro l’idea dello Stato federale su base regionale, che avrebbe una funzione antimeridionale perché perpetuerebbe quel divario tra nord e sud. Sui comuni sono d’accordo tutti, ma è diverso le province, è una questione che ritorna periodicamente e di attualità. Si pensa che dal momento che abbiamo l’Ente regione possiamo eliminare le province. Questa ipotesi non passerà, ci fu una forte attività di lobbying dell’Unione delle provincie italiane. Alla fine, le province vengono mantenute con poteri e funzioni significative, anche con l’equilibrio che si va a creare con il nuovo Titolo V del 2001. Le regioni diverrebbero troppo potenti è meglio che ci siano a fare da contrappeso anche le province. Quindi, per le regioni a statuto ordinario ci fu l’approvazione di una legge sull’attuazione delle regioni nel febbraio del ’53, che non ebbe però poi un’attuazione effettiva. Si dovettero attendere 17 anni prima dell’introduzione nell’ordinamento delle regioni a statuto ordinario, il 16 maggio 1970. Nello specifico, il 17 febbraio 1968 abbiamo la legge che stabilisce le modalità di elezione dei consigli regionali. Così finalmente entriamo nella fase di attuazione dell’Ente regione. Abbiamo così la configurazione delle modalità di elezione dei consigli regionali, che passerà nonostante un ostruzionismo molto forte dal movimento sociale italiano. Successivamente con un'altra legge del 1970 furono precisate le modalità di finanziamento delle regioni. Sempre nel ‘70 si ebbero le prime elezioni dei consigli regionali. la prima volta nella storia repubblicana si votò per eleggere i consigli regionali delle 15 regioni a statuto ordinario. Il popolo degli elettori affollò i seggi; votarono più di 28 milioni e mezzo di italiani, pari al 92,4 per cento degli aventi diritto. Con il picco del 96,6 per cento in Emilia Romagna. COME AVVIENE IL PASSAGGIO DI FUNZIONI DALLO STATO ALLE REGIONI? Il trasferimento avviene in due tappe con una serie di decreti legislativi del gennaio 1972, che però rivelano una difficoltà da parte dello Stato a rinunciare ad alcune competenze per conferirle realmente alle regioni. Quindi questo primo trasferimento è molto parziale, e lascia insoddisfatti. Un’azione più ampia di trasferimento di competenze, avviene con la Legge delega del 22 luglio 1975, che sarà attuata con decreti legislativi del luglio 1977. In questo caso, siamo nel pieno della solidarietà nazionale, quindi anche il PC collabora alla messa a punto di questi decreti legislativi del luglio ’77. Abbiamo un trasferimento di competenze più ampio tra Stato e Regioni viene istituita la Conferenza permanente ed il più importante processo di devoluzione delle competenze prima della riforma del 2001. Nel ‘71 intanto erano nati i Tribunali amministrativi regionali (TAR) che avevano sostituito le vecchie giunte che risalivano all’epoca di Crispi. A dimostrazione di come il processo di attuazione della Costituzione abbia conosciuto notevoli ritardi. Ci sono stati dei casi in cui l’introduzione delle regioni ha comportato scontri di ordine pubblico per la scelta del capoluogo. Il caso più grave è la Calabria. Il capoluogo viene istituito a Catanzaro, ed a Cosenza un’universit . Scoppia una à̀ rivolta a Reggio Calabria ad opera del sindaco democristiano, e fomentata dal MSI con il leader della rivolta Ciccio Franco. È una rivolta violenta che raccoglie una grande adesione a livello popolare che si protrae per mesi, abbiamo diverse vittime, vari feriti, viene fatto deragliare un treno a Gioia Tauro, dovettero intervenire i paracadutisti per presidiare strade e ferrovie per impedire nuovi attentati. La rivolta andò dal luglio del ‘70 al febbraio del ‘71 e si concluse anche perché si raggiunse un compromesso. Tale compromesso fu quello che mantere l’attribuzione a Catanzaro dello status di capoluogo, dove ci la sede del Presidente della giunta regionale, ma in cambio Reggio Calabria divenne la sede del Consiglio regionale. Ad oggi la situazione è rimasta questa. Altro caso riguarda l’Abruzzo. Qui la rivalità̀ era tra l’Aquila e Pescara per la scelta del capoluogo. Anche in questo caso ci furono violenze con devastazioni di sedi pubbliche e di sedi di partito. Alla fine, come capoluogo rimase l’Aquila ma si stabilì che anche a Pescara poteva riunirsi la giunta ed essere la sede dell’assessorato. Ad oggi è ancora è una situazione indefinita. Questa era una delle difficoltà connesse alla scelta delle regioni, in altre regioni il problema non si pose. Quando nascono le regioni nascono con grandi speranze perché intanto si ritiene che il decentramento territoriale serva a favorire una maggiore vicinanza tra istituzioni e cittadini. Siamo a ridosso dei movimenti collettivi della fine degli anni ’60, e si ritiene che per i cittadini questo livello intermedio sia fruttuoso per una maggiore partecipazione alle scelte. Non solo, ma coloro che credono maggiormente alla validit del nuovo Ente sperano di introdurre nell’organizzazioneà̀ amministrativa uno stile amministrativo nuovo e una capacità di organizzazione più efficiente rispetto allo stato. Cioè si arriva a pensare all’Ente regione come una sperimentazione più efficiente per le pratiche amministrative tanto da poter essere da esempio per lo Stato. La Presidenza del consiglio di quel periodo afferma che l’entrata in funzione delle regioni dovrebbe costituire l’occasione storica per razionalizzare le funzioni statali. Lo Stato tramite le regioni dovrebbe acquisire mezzi più rapidi di informazione delle trasformazioni sociali. Che ciò sia avvenuto è alquanto dubbio, non sembra affatto aver creato un circolo virtuoso. Però questo era lo spirito originario. La regione doveva essere un ente di programmazione, doveva sapersi coordinare anche con gli enti sottostanti quindi anche con provincia e comune. Questo si sperava accadesse, ma le cose non sono andate esattamente così. Forse è accaduto il contrario. L’amministrazione regionale ha interiorizzato i difetti dell’amministrazione statale, e la sinergia tra Ente regione, Provincia e Comuni non si è manifestata. Ci saranno anche problemi nella gestione dei fondi europei quando a partire dalla fine degli anni ‘80 la comunità europea distribuir i fondi strutturali, à̀ dando maggior funzioni alle regioni che in molti casi saranno deludenti. Tanto che oggi si parla di possibili revisioni del titolo V. L’introduzione delle regioni ha significato un momento importante di attuazione della costituzione, ma certo la differenza tra realtà effettiva e aspirazioni iniziali è ben evidente. Comunque, sta di fatto che l’introduzione delle regioni non è qualcosa che contraddistingue il nostro paese, perché c’erano dei modelli europei che avevano enti di questa natura. L’introduzione delle regioni nel nostro ordinamento si inquadra quindi in un contesto europeo, infatti negli stessi anni vengono introdotte le regioni proprio in Francia, stato con la maggiore tradizione centralistica. Si tratta comunque di un’articolazione territoriale che troviamo sempre più diffusa in ambito europeo proprio a partire dagli anni Settanta. REFERENDUM Finalmente la Legge 25 maggio 1970 n.352 introduce nel nostro ordinamento l’istituto del Referendum, previsto in costituzione. C’è un po’ di timore nei confronti di questo istituto perché la democrazia nata dopo la Seconda guerra mondiale è la democrazia dei partiti, dove sono i partiti di massa a svolgere un coinvolgimento e un dialogo con le forze sociali. C’è il timore che introdurre un elemento come il referendum possa mettere in discussione questo tipo di democrazia fondata sul ruolo dei partiti, che si tradurrebbe nella centralità del Parlamento, e anche su questo c’è il timore di sconfessare il lavoro svolto a livello parlamentare. Ma è previsto dalla costituzione, ed il referendum deve essere introdotto. Venne introdotto per via dell’istituto del divorzio. Nel nostro ordinamento non esisteva il divorzio, esisteva l’annullamento, che non dava alcuna garanzia ai coniugi. Nel corso degli anni ‘60 c’è stata una forte mobilitazione per introdurre questo istituto. La DC aveva cercato di bloccare questo processo legislativo, ma nella la costituzione l’ART. 29 non aveva più quell’aggettivo “indissolubile” legato al termine matrimonio, originariamente introdotto nel progetto della Commissione dei 75. Quindi l’introduzione del divorzio non violava alcun principio costituzionale. La DC, con segretario Amintore Fanfani, non vuole il dialogo e si consente l’introduzione del divorzio, ma prima viene inserito l’istituto del referendum, in modo che secondo la DC, si possano poi raccogliere le firme per la sua abrogazione, secondo la DC, che fa per l’appunto dell’abolizione del divorzio il suo cavallo di battaglia. Ricordiamo che, il referendum abrogativo è previsto dalla Costituzione, l’ART. 75 dispone che si procede allo svolgimento del referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente forza di legge, quando lo richiedano cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Il 12 – 13 maggio 1974 si arrivò al referendum abrogativo sul divorzio, introdotto con la Legge 1° dicembre 1970 n. 898. La legge è conosciuta come legge Fortuna-Baslini dal nome dei due deputati, Loris Fortuna (socialista) e Antonio Baslini (liberale) primi firmatari delle proposte di legge. Naturalmente in questo scontro, abbiamo una sinistra ed un fronte laico che si schierano per una battaglia vista come una grandissima occasione per modernizzare culturalmente il paese. Interessante è la comunicazione politica che viene introdotta in occasione di questo referendum. Emerge chiaramente Nell’aprile del 1983 il Parlamento vota sia alla Camera che al Senato due mozioni dello stesso tenore, che recitano: “ Il logoramento di alcune istituzioni, ed il non funzionamento di altre della comunità nazionale, anche con i suoi rapporti con la comunità europea, rappresentano un costo assai elevato per l’economia e lo sviluppo sociale e civile, ed un ostacolo alla risoluzione dei problemi politici ”. Per la prima volta si inizia a parlare di inefficienze del sistema nazionale rispetto a quello europeo, e dopo l’esperienza della legge truffa si comincia a riflettere sulle correzioni al sistema proporzionale. Altri dubbi riguardano la diversificazione tra i due rami del Parlamento, cioè se abbia ancora senso il Bicameralismo paritario, il numero dei Parlamentari ed un eventuale loro riduzione, il rapporto tra governo e parlamento e il ruolo del Presidente del consiglio. GOVERNO CRAXI Nelle elezioni del 1983 abbiamo intanto dei risultati elettorali significativi, cioè un calo della DC che passa dal 38,3% al 32,9%, già questo indica che qualcosa si sta muovendo nella società politica italiana. Abbiamo una crescita del Partito socialista che passa dal 9,8% al 11,4 %. Il Partito comunista scende sotto il 30%, a dimostrazione del fatto che non riesce a recuperare voti. Abbiamo un notevole successo del Partito repubblicano , sale al 5%, grazie anche all’esperienza del governo Spadolini. Dopo le elezioni non si costituisce un governo a guida democristiana, ma a guida del Partito socialista con il leader Bettino Craxi; e si afferma l’idea di una alternanza alla guida del governo tra laici e democristiani. Dopo Spadolini quindi abbiamo i governi guidati da Bettino Craxi che saranno in carica 1983 – 1987. Vediamo alcuni aspetti di questa stagione. Si tratta di un governo che riesce ad ottenere risultati significativi sul piano economico con la crescita del PIL dopo la crisi degli anni ‘70. Tale crescita è tra l’83 e l’87 del 2,5% all’anno, che sicuramente non rispecchia i ritmi di sviluppo del miracolo economico, ma sono comunque dei ritmi di crescita più significativi di quelli degli anni ‘70. Assistiamo al declino dell’inflazione che nell’88 scende sotto il 7% rispetto al 15% dei primi anni ‘80. Prosegue anche l’offensiva contro il terrorismo, e grazie ai pentiti abbiamo una serie di processi che portano a smantellare la rete del cosiddetto “Partito armato” (BR), anche se continueranno alcuni attentati per tutti gli anni ’80, quindi non sarà debellato del tutto. Ci saranno infatti ancora omicidi politici da parte delle Brigate rosse, ma comunque assistiamo alla vittoria dello stato sul terrorismo. Craxi ottiene nel 1984 una revisione dei Patti Lateranensi del 1929. Questo accordo ha aggiornato i rapporti tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, tenendo conto della situazione attuale della società italiana. Ci sono però alcuni problemi come l’aumento del debito pubblico che sale dal 55% del ‘81 al 92% dell’ 87, e continuerà a salire negli anni successivi. In questi anni abbiamo varie manifestazioni di uno stile di governo che è stato definito con il termine “decisionismo”, impersonato dalla figura di Craxi, che porta ad intervenire con decisione su una serie di questioni. Un esempio è il decreto-legge di San Valentino del 14 febbraio 1984 che tagliò del 3% i punti percentuali della scala mobile, allo scopo di frenare il meccanismo inflattivo. Nello specifico si tratta di un sistema di rivalutazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, attraverso il quale, alle variazioni dell’indice dei prezzi, scattavano corrispondenti aumenti delle retribuzioni. Questo decreto-legge suscitò una forte opposizione da parte del PC, che è ricorso all’ostruzionismo parlamentare, ma fu lo stesso approvato. Venne mantenuto anche a seguito di un referendum abrogativo richiesto dal PC, che invece si rivelò un insuccesso. Inoltre, Craxi diede appoggio al mondo delle televisioni private, in particolare alla rete Fininvest guidata da Silvio Berlusconi. Negli anni ‘70 la Corte costituzionale aveva liberalizzato l’accesso alle radio , e poi ci fu la liberalizzazione dell’accesso televisivo. Un imprenditore buttatosi subito in questo ambito fu proprio Silvio Berlusconi, che creò nel ’78 Tele Milano, e nell’80 Canale 5. Significativo fu lo slogan per pubblicizzare questo canale televisivo: “Corri a casa in tutta fretta, c’è un biscione che ti aspetta”, il biscione in questione era quello dello stemma dei Visconti. La parte interessante era la prima parte dello slogan “Corri a casa in tutta fretta” che indica che siamo in una fase in cui c’è una reazione dell’opinione pubblica alla grande fase di movimentazione collettiva tra la fine degli anni ‘70 ed i primi anni ‘80. Questa mobilitazione aveva portato moltissimi giovani a dedicarsi a questi momenti di socializzazione collettiva. Lo slogan fa perno su un ritorno al privato, corrisponde all’offerta per chi vuole stare a casa di una televisione di intrattenimento che risponde a questo nuovo clima culturale. Ora cosa c’entra Bettino Craxi in tutto questo? C’entra perché le televisioni private erano state legittimate dalla Corte costituzionale, ma, in attesa di una legge che regolamentasse tutta la questione, potevano operare solo in ambito locale. Berlusconi ha in mente però un raggio d’azione nazionale. Qui abbiamo uno scontro tra Tre magistrati e Craxi. Il pretore di Roma, di Torino e di Pescara, ordinarono l’oscuramento dei tre canali Fininvest che operavano su scala nazionale. Le reti Fininvest interruppero le loro trasmissioni nel Lazio, in Piemonte e in Abruzzo. Allora Craxi realizzò un decreto-legge che consentiva la proiezione su tutto il territorio nazionale, che però non fu convertito in legge, ma subito dopo se ne approvò un altro che fu convertito in legge. Il duopolio tra Rai e Fininvest fu definitivamente sancito con la legge Mammì del 1990. Il governo Craxi prese posizione a favore di queste reti private intervenendo contro la magistratura. Per citare altri momenti importanti di questa fase, nel 1985 si deve procedere all’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica in seguito alla scadenza del mandato di Sandro Pertini, e fu eletto Francesco Cossiga con l’appoggio di tutte le forze politiche. Cossiga era visto da parte della classe politica del tempo come una figura piuttosto equilibrata, che poteva garantire l’equilibrio delle forze politiche. Nei primi anni del suo mandato fu di fatto più tranquillo rispetto a Pertini, salvo gli attacchi alla magistratura. Ma a parte questo si ebbe un passo indietro del Presidente della Repubblica nella dialettica politica quotidiana, a differenza di Pertini. Interpreta quindi un ruolo di garante, senza interventi quotidiani. Tutto cambier nel ‘90 quando Cossiga interverrà nel dibattito politico per à̀ mutare il sistema, anche in modo pesante nei confronti dei leader politici dei vari partiti. RIFORMA COSTITUZIONALE Veniamo a come si struttura il primo serio dibattito sulla riforma costituzionale. Nell’ottobre 1983 viene costituita una commissione bilaterale di 41 membri presieduta da Aldo Bozzi, che passerà alla storia come “Commissione Bozzi. I lavori della commissione durano poco più di un anno, e sono interessanti per vari motivi. La prima ragione è perché sono dibattiti molto seri, c’è un livello elevato di discussione, e si prospettano vari temi, come la revisione del bicameralismo e la revisione della riforma elettorale. La seconda ragione è che questa commissione fallisce, perché non riesce a mettere in piedi una proposta che possa ottenere un ampio consenso in parlamento, e ciò è significativo perché questo insuccesso è lo specchio di una difficoltà profonda di riformare le istituzioni. LE DIVERSE PROPOSTE POLITICHE PARTITO COMUNISTA Partiamo dal PC. Esso interviene nel dibattito con una certa difficoltà, perché è sempre stato il partito dell’attuazione della Costituzione, ed interviene con una proposta che diverrà l’asse della sua visione di riforma parlamentare, cioè il passaggio dal bicameralismo al monocameralismo. Questa era l’originaria proposta del PC in Assemblea costituente, ma alla costituente il PC aveva ben presto rinunciato a quest’idea, con la successiva soluzione di compromesso che ancora oggi rimane. Ma questa volta ripresenta la propria proposta con molta più decisione. Questo grazie ad alcune personalità di spicco come Augusto Barbera, che nei lavori della commissione affermava che il bicameralismo complicasse l’attività legislativa ed aumentasse le pressioni dei gruppi di interesse, a cui si aggiunge una riduzione notevole del numero dei parlamentari. Il parlamento monocamerale che il PC auspica dovrebbe avere solo 420 deputati. Per quanto riguarda il sistema elettorale il PC vuole mantenere il sistema proporzionale, ma nello stesso tempo vuole il passaggio al sistema uninominale perché vuole eliminare il meccanismo delle preferenze, che favorisce la costruzione delle clientele e porta a forme di controllo del voto. DEMOCRAZIA CRISTIANA La DC punta molto sulla riforma elettorale e vuole una modifica del sistema elettorale vigente. Il segretario del partito Ciriaco de Mita era molto sensibile sul tema della riforma costituzionale, il quale si avvarrà della collaborazione di un importante accademico, Ruffilli, che sarà il suo principale consigliere per le riforme istituzionali. Ma Ruffilli verrà ucciso nell’88 dalle Brigate rosse. Il loro progetto è la formazione prima del voto di coalizioni, che si presentino ai cittadini per indicare quale sarà la maggioranza di governo che governerò dopo il voto, e queste coalizioni potranno beneficiare del premio di maggioranza. L’idea è che si presenti una maggioranza di governo davanti ai cittadini, facendo leva sul premio di maggioranza per la coalizione vincente; in questo modo avrebbero potuto tenere sotto controllo il Partito socialista evitando che possano assumere uno spazio autonomo, ed usare l’argomento di una futura alleanza col PC per aumentare la leva della DC stessa. Per quanto riguarda il sistema bicamerale la DC vuole il mantenimento dello stesso, perché ritiene che il monocameralismo possa portare ad uno squilibrio di poteri. Però, punta ad una differenziazione delle funzioni attraverso una revisione dei rapporti tra le due Camere, e vogliono attribuire al Senato della Repubblica soprattutto una funzione di controllo sull’esecutivo, e mantenere alla Camera dei deputati il primato dell’esercizio della funzione legislativa. PARTITO SOCIALISTA Per quanto riguarda i socialisti, essi sono del tutto contrari all’idea democristiana di un premio di maggioranza alla coalizione vincente, perché vogliono tenersi le mani libere per aumentare il potere negoziale al momento della discussione sulla formazione di una coalizione di governo. Essi vogliono un sistema elettorale modificato solo con una clausola di sbarramento, non tanto all’interno della commissione Bozzi dato che non ne fanno un cavallo di battaglia, ed in generale all’interno della commissione non avevano un ruolo così definito, ma soprattutto dopo la fine dei lavori i socialisti lanceranno come proposta essenziale il tema dell’elezione diretta del Capo dello stato. In ciò vediamo non solo il modello americano, ma anche il modello francese, perché nella V Repubblica dal ‘58 all’81 aveva sempre vinto la destra, ma nel 1981 invece le elezioni presidenziali furono vinte dal leader socialista Mitterand, che aveva formato un governo di sinistra egemonizzato dai socialisti francesi. Di fronte a questo modello i socialisti italiani vogliono ricorrere anche in Italia a questa soluzione. ➳ Queste sono le principali proposte, ma la Commissioni Bozzi è interessante come esperienza, anche perché rivela la profonda difficoltà a trovare un’intesa. I lavori si concludono il 29 gennaio 1985, con l’approvazione di una Relazione di maggioranza che fissa alcune direttrici di riforma: -  Differenziazione del sistema bicamerale; -  Legame fiduciario diretto tra Presidente del Consiglio e Parlamento. La fiducia viene data prima della creazione del governo; -  Sul sistema elettorale non ci si intende: i socialisti non ne vogliono sapere di correttivi al proporzionale, quindi qui c’è lo stallo maggiore. Quindi si registrano forti divergenze sull’idea di riforma elettorale. Sta di fatto che, quando il 29 gennaio la relazione viene votata dalla Commissione, su 41 membri della Commissione verrà votata solo dalla metà di loro, e solo 16 approvano la relazione. Ci sono varie relazioni di minoranza, e nell’insieme si ha il quadro di un meccanismo che non riesce a trovare una soluzione condivisa. Tant’è che si apre una riflessione su quello che un importante giurista, Gustavo Zagrebelsky, definirà il “Paradosso della riforma istituzionale.” Cioè si vuole una riforma perché le decisioni sono difficili e il sistema non riesce a decidere, ma la riforma è essa stessa la più difficile. Si comincerà quindi a parlare di Impasse: più il sistema vuole riformarsi, meno è in grado di farlo perché non è in grado di decidere. Questo paradosso sarà confermato dalle molteplici esperienze successive. La commissione Bozzi infatti sarà la prima delle varie commissioni bicamerali. Avremo commissione bicamerale De Mita – Lotti, la Bicamerale D’Alema, e poi per citare i giorni nostri la riforma Renzi – Boschi ecc... Quindi questa idea di una grande riforma si scontrerà una serie di difficoltà. FINE ANNI ‘80 Siamo arrivati agli anni ’80 della nostra vicenda nazionale. In questo contesto abbiamo approfondito soprattutto l’apertura della questione della riforma delle istituzioni, ed abbiamo visto come la questione della possibilità di intesa su una prospettiva di riforma si ponga in modo molto difficile. Dalla commissione Bozzi infatti si arriva alla conclusione che il sistema non sembra manifestare una capacità di autoriforma. Alle elezioni del 1987 abbiamo una crescita del Partito socialista che sale al 14,3%, un calo del Partito comunista che scende al 26,6%, e così diventa evidente che il Partito comunista ha perso quei voti che aveva conquistato negli anni ’70, tornando ai livelli degli anni ‘60. La Democrazia cristiana ottiene un risultato lusinghiero con il 34,3%. Importante da segnalare è l’ingresso in parlamento di un deputato e senatore della Lega lombarda, che sarà la base della futura Lega nord, ovvero l’ancora sconosciuto Umberto Bossi. Da questo momento infatti assistiamo all’affermazione delle leghe nelle regioni del Nord. Nel ’90 infatti la lega lombarda ottiene, a livello regionale, posizioni significative. Gli anni successivi sono caratterizzati da conflitti nella maggioranza del pentapartito, soprattutto tra Partito socialista e Democrazia cristiana. Abbiamo un importante esperienza di governo guidato da De Mita, che si scontra con Bettino Craxi. Alla fine, si forma un nuovo governo Andreotti, che reggerà fino alla fine della X legislatura. [ De Mita 1988 - 1989, Andreotti - VI 1989 - 1991, Andreotti VII 1991 - 1992 ]. Sarà questa alleanza a suggellare un’intesa più profonda tra socialisti e democristiani nel 1989, alleanza che passerà alla storia come CAF Craxi, Andreotti e Forlani, e sarà un’alleanza dove la conflittualità tra Craxi e De Mita verrà messa da parte, queste forze politiche si metteranno d’accordo per reggere il paese fino a fine X legislatura nel 1992.Craxi in realtà lanciò la possibilità di unificare i due partiti; la corrente all’interno del PC guidata da Giorgio Napolitano è sempre stata quella più vicina al PS. Tuttavia, per via delle fratture avutesi negli anni precedenti, la maggioranza del partito decise di non seguire un’ipotesi di questa natura appunto perché Craxi si scontrò duramente all’inizio degli anni ‘80 con Berlinguer. Craxi avrebbe voluto essere il Mitterrand italiano, cioè riuscire a prendere i voti dei comunisti e diventare il partito più forte della sinistra. Quindi c’era sicuramente una volontà egemonica sul partito comunista da parte di Craxi. In questo contesto approfondiamo alcune riforme, tra cui quella relativa ai regolamenti parlamentari. Nel 1971 erano stati introdotti dei regolamenti che avevano sancito la preminenza (superiorità) delle Camere nell’ordinamento. Le modifiche introdotte nel 1988 servono a rafforzare la posizione dell’Esecutivo, in particolare tramite la riduzione del campo di applicazione del voto segreto all’interno delle camere. Si vogliono così evitare le imboscate parlamentari ed i Il terzo referendum è relativo al Senato, si vuole infatti riformare il sistema di voto nel Senato, per fare in modo che il collegio uninominale funga da effettiva selezione dei candidati su base maggioritaria, e non su base proporzionale come è avvenuto fino a quel momento. Questo terzo referendum vuole eliminare la clausola del 65%, ed introdurre il collegio uninominale secco “all’inglese” per il nostro Senato. Con l’abrogazione della clausola si sarebbe esteso automaticamente l’effetto maggioritario in prevalenza sui meccanismi di elezione del Senato, lasciando così una sola quota residua di seggi da attribuire con metodo proporzionale. Di questi referendum la Corte costituzionale ne boccia due, quello sul Senato e quello sui Comuni, e lascia quello sulla preferenza unica. Quindi, l’unico che rimane è il referendum sulla preferenza unica, che diventa oggetto di una campagna elettorale molto accesa che dalla moralizzazione della politica estende poi la tematica ad una critica al sistema dei partiti. Cioè, al di là del quesito specifico il referendum si carica di una critica dura al sistema dei partiti vigenti, diviene uno strumento per portare avanti la critica alla cosiddetta partitocrazia. Il nuovo Partito democratico della sinistra appoggia il referendum, altri invece si oppongono, in particolare Craxi che con un’infelice uscita – convinto che il referendum non raggiungesse il quorum – invitò gli elettori a non votare e andare al mare. Molti raccolsero l’invito di andare al mare, ma poi tornarono per votare. Il 9 giugno 1991 si votò, partecipò il 62,5% di elettori e i sì furono il 95%. Fu la sconfitta della classe politica tradizionale, e il grande sconfitto fu anche Craxi. Alcuni studi hanno messo in luce che con questa battuta iniziò il declino di Bettino Craxi, che non comprende e non coglie l’evoluzione dell’opinione pubblica. Quindi abbiamo la vittoria del referendum del ‘91. Il 5 aprile 1992 ci saranno le elezioni considerate le ultime della Prima repubblica. La DC scende sotto il 30%, ottiene il 29,6%. Il Partito democratico della sinistra (PDS) arriva solo al 16%, a cui si aggiunge il 5% di Rifondazione comunista; che complessivamente è poco più del 21%. Abbiamo una consistente affermazione della Lega che ottiene a livello nazionale l’8,6%; ciò è considerevole perché si tratta di una forza politica concentrata al Nord, il che significa che nel Nord le concentrazioni erano elevate. Si tratta della prima grande modifica del sistema partitico italiano, dato che nasce un Partito territoriale. I socialisti ancora reggono con il 13,6%. Facendo il punto della situazione: non c’è più il PC, la Lega va avanti nel nord, e la DC è in grande sofferenza. Assistiamo così ad una prima modifica del quadro politico, ciò è il segnale che la realtà della democrazia dei partiti comincia a dissolversi. Sempre riguardo alle dinamiche che portano alla crisi del sistema dei partiti va menzionato Francesco Cossiga. Quando fu eletto si espose poco, ma poi a partire dal ‘90 intervenne ripetutamente nella politica con le sue esternazioni, anche aggressive, nei confronti di esponenti partitici di rilievo. Non a caso Cossiga chiamò Achille Occhetto “Lo zombie con i baffi” o Francesco Rutelli “Cicciobello”. Quindi per anni rimase in silenzio, limitandosi ad esercitare i suoi poteri quasi senza apparire. Poi, a due anni dallo scadere del mandato, si scatenò e iniziò a martellare la classe politica, denunciando le sue inefficienze e arretratezze. Per questa attività di pungolo Francesco Cossiga si guadagnò l’epiteto di “picconatore”, per le “picconate al sistema” che intendeva assestare. Colpo dopo colpo aveva l’obiettivo di abbattere il muro della Prima Repubblica, rinnovando la classe politica italiana ferma ai vecchi steccati della guerra fredda. Classe politica che, dopo il crollo del Muro di Berlino e l’inizio dell’inchiesta di Tangentopoli, era arrivata ormai alla fine della corsa. CORRUZIONE ANNI ‘80 Difatti l’elemento che agisce in modo più corrosivo sul sistema partitico è proprio la vicenda di Mani pulite, cioè le inchieste sulla corruzione politica. Facciamo quindi ora il punto sulla vicenda della corruzione e delle indagini partite dalla magistratura di Milano, ed anche le conseguenze sul nostro paese. Ci sono stati vari studi sulla vicenda della corruzione in Italia, uno dei più validi è quello di Donatella della Porta e Alberto Vannucci che hanno scritto “Mani impunite vecchia e nuova corruzione in Italia”. Si tratta di un libro interessante perché analizza le condizioni di una corruzione sistemica. È chiaro che siano sempre stati presenti fenomeni di corruzione, come ad esempio in passato durante il fascismo. Ma quella che si consolida negli anni ‘80 è una corruzione sistemica, che si inserisce in un quadro di illegalità diffusa nel nostro paese. Questo sistema di corruzione ha alla base un difficile rapporto tra cittadino e Stato, per cui abbiamo numerosi casi di evasione fiscale, casi di illegalità a livello edilizio, inoltre, i servizi di welfare spesso non garantiscono la dovuta efficienza; ad esempio, per effettuare un intervento o esame urgente si deve ricorrere all’amico dell’amico. Ed è in questo quadro, in un senso civico che non emerge con forza, che si insinua il meccanismo corruttivo negli anni ‘80. Dagli anni ‘90 si inizia a mettere in luce, soprattutto da parte degli organi di stampa e dei media, l’aspetto della corruzione partitica, da ciò nasce una campagna contro la corruzione dei partiti. Invece, venne esposto molto meno l’altro versante della corruzione, in base al quale gli scambi di favore coinvolgono i soggetti della società civile, che ottengono vantaggi da questa corruzione. Quindi venne messo in ombra che l’intreccio corruttivo aveva due fronti: Da un lato, i partiti e l’amministrazione che cercavano denaro, Dall’altro, settori dell’economia che cercavano favori. Dall’incontro tra queste spinte si generava così la corruzione sistemica. Si profilò così l’idea di una società politica corrotta, e di una società civile caratterizzata da tutte le virtù, con la conseguenza che sembrasse sufficiente eliminare la classe politica tradizionale e sostituirla con la società civile per risolvere tutti i problemi, fino poi a portare alla vittoria di una precisa forza politica. Le inchieste condotte in questo periodo riguardano quasi tutti i partiti, la Democrazia cristiana, il Partito socialista, il Partito Radicale e la Lega nord stessa. È coinvolto anche il Partito democratico della sinistra, a livello territoriale, in particolare in Lombardia. A causa della mediatizzazione della questione i processi e gli interrogatori venivano trasmessi in televisione, riscuotendo successo perché si poteva assistere alla vista dei politici alla sbarra interrogati e in difficoltà nel rispondere. Nello specifico l’Inchiesta mani pulite e lo scandalo di Tangentopoli iniziano il 17 febbraio 1992 con l’arresto di Mario Chiesa, politico socialista di seconda fila e Presidente della più grande struttura di cura e ricovero degli anziani di Milano, il Pio Albergo Trivulzio. Chiesa viene arrestato da Antonio Di Pietro, quello che sarebbe divenuto il più carismatico e popolare dei magistrati del “pool” di Mani Pulite, mentre riceveva una tangente da un imprenditore. Da quel momento gli arresti si susseguirono uno dopo l’altro; come in un gigantesco domino, ogni indagato conduce ad altri indagati. Da un punto di vista più ampio quindi “Tangentopoli” è il nome giornalistico dato a tutta una serie di inchieste giudiziarie, condotte in Italia nella prima metà degli anni ‘90 da parte di varie procure giudiziarie, in particolare quella di Milano, che rivelarono un sistema fraudolento ovvero corrotto che coinvolgeva in maniera collusa la politica e l'imprenditoria italiana. L’insieme di queste inchieste della magistratura scoperchiò un vasto sistema organizzato di corruzione utilizzata da tutti i partiti per finanziare le loro attività e, in molti casi, per arricchire singoli politici e dirigenti. Altre inchieste furono condotte in tutte il paese, coinvolgendo centinaia di politici e imprenditori. Tra il 1992 e 1996, ci furono una media di 2000 persone indagate per corruzione, concussione o altri reati cosiddetti “contro i doveri d’ufficio” ogni anno. Cifre mai raggiunte in precedenza e mai più raggiunte negli anni successivi. FINE DI CRAXI Craxi affermò che il Partito socialista in quanto tale non aveva nulla a che vedere con le vicende del Pio Albergo Trivulzio. Invece, le inchieste partirono, gli imprenditori iniziarono a parlare, ed emerse un giro di tangenti che coinvolgeva non solo il PS, ma anche gli altri partiti. Un episodio importante da ricordare a tal proposito avvenne la sera del 30 aprile 1993, il segretario del Partito Socialista Italiano Bettino Craxi decise che non si sarebbe fatto intimidire dai manifestanti che protestavano di fronte all’ingresso dell’Hotel Raphael, l’albergo dove abitava quando si trovava a Roma. Ignorò chi gli consigliò di uscire dal retro dell’hotel e scelse di affrontare i contestatori. Poche ore prima, la Camera aveva respinto 4 delle 6 autorizzazioni a procedere per corruzione e ricettazione che la magistratura aveva richiesto contro di lui. I manifestanti quindi erano lì per contestarlo: dopo dieci mesi a seguire le vicende dell’inchiesta Tangentopoli, consideravano Craxi il simbolo più importante del malcostume e della corruzione diffusa in tutto il paese. Così non appena Craxi uscì dalla porta partirono prima i cori e poi, quasi subito, una pioggia di oggetti: sassi, sigarette, pezzi di vetro e soprattutto monetine. Secondo i molti che raccontarono l’episodio, quella scena non mise fine solo alla carriera di Craxi come uomo politico, ma ad un’intera stagione politica. Questa è quella che nel tempo è diventata la scena simbolo della fine della Prima Repubblica. Craxi poi, sia quando si difese da questa richiesta di autorizzazione a procedere contro di lui in Parlamento, sia quando fu interrogato da Antonio Di Pietro, dopo aver affermato che il PS non aveva nulla a che vedere con questo mondo, in entrambe le sedi fece un discorso in cui ammise che c’era un sistema di finanziamento illecito, affermando che riguardava tutti i partiti; e poi sottolineò il flusso di finanziamenti da parte dell’URSS al PC. Quindi accusò anche tutti i partiti, ma sul piano processuale non fu una mossa vincente dato che la responsabilità penale è di natura personale. Per non essere arrestato Craxi si recò in Tunisia, protetto dalle autorità tunisine in nome dell’amicizia con Ben Alì, secondo Presidente della Tunisia. Il 21 luglio 1995 Craxi sarà dichiarato ufficialmente latitante. ➳ Su Mani pulite ancora oggi ci sono vari giudizi che si possono esprimere: c’è persino chi parla di complotto della magistratura nei confronti della classe politica, tesi a detta del professore infondata. Altro è il discorso di come furono condotte alcune indagini, ed il discorso tragico di alcune vicende connesse a Mani pulite come i suicidi. Alcune persone che si trovarono coinvolte in questa vicenda e dalle indagini si suicidarono, non riuscendo a reggere alla dimensione pubblica di questi eventi. Ad esempio, ci fu il suicidio di Sergio Moroni del PS che a 45 anni fu travolto in due inchieste, non resse alla vergogna della mediatizzazione e si sparò in bocca lasciando una lettera al Presidente della camera dei deputati Giorgio Napolitano, in cui non negava di aver preso tangenti, mettendo in luce però un clima che sembrava normale, nel quale aveva accettato quei soldi non per sé stesso, ma per il partito. Ci fu anche il suicidio del Presidente di ENI Gabriele Cagliari che avvenne in carcere, e di un altro imprenditore Raul Gardini, che si suicidò anch’egli temendo di essere arrestato. L'impatto mediatico e il clima di sdegno dell'opinione pubblica che ne seguirono, furono tali da decretare il crollo della cosiddetta Prima Repubblica e l'inizio della Seconda Repubblica, in quanto partiti storici della Repubblica Italiana come la DC e il PSI si sciolsero. Questi furono così sostituiti in Parlamento nelle successive elezioni da partiti di nuova formazione o che prima erano sempre stati minoritari e comunque all'opposizione; anche senza un formale cambiamento di regime, si ebbe un profondo mutamento del sistema partitico e un ricambio di parte dei suoi esponenti nazionale. Certamente quindi l’effetto più visibile di questa vicenda fu la crisi dei partiti tradizionali, avvenne così un cambiamento notevole della situazione politica. Sotto i colpi delle inchieste di Mani pulite abbiamo il diffondersi di procedimenti contro vari parlamentari. Quando un parlamentare riceveva l’avviso di garanzia subito sui giornali era già decretato colpevole, come se l’inchiesta fosse già terminata. Assistiamo così ad eccessi, esagerazioni, soprattutto da parte della stampa e dell’opinione pubblica. In questa situazione, la legislatura 1992 – 94 è ovviamente difficile, caratterizzata da un governo formato inizialmente dal quadripartito (quadri dopo l’uscita del Partito Liberale Italiano) del Partito guidato da Giuliano Amato, il quale fu l’ultimo “pentapartito”, Governo Amato I, e poi da un governo che inaugurò l’esperienza dei governi tecnici nel nostro paese, cioè quello guidato da Carlo Azeglio Ciampi ’93 - ‘94. Il nostro paese colpito da queste inchieste doveva subire una difficile situazione economica. Avanziamo però di un ulteriore tassello decisivo relativamente al processo di riforma delle istituzioni; così in seguito al referendum sulla preferenza unica del 1991, nel 1993 abbiamo una nuova serie di referendum che portano ad ulteriori cambiamenti, soprattutto alla modifica della legge elettorale, e si passa dal proporzionale al maggioritario. NUOVI REFERENDUM 1993 Nel 1993 in questo contesto di critica al regime dei partiti, di scoperte dei vari aspetti di corruzione sistemica, abbiamo la richiesta di nuovi referendum. Il 18 - 19 aprile 1993 si tengono diversi referendum abrogativi , che introducono delle novità importanti nel nostro sistema, dal punto di vista della legge elettorale, del finanziamento pubblico ai partiti, e del rapporto tra Stato ed economia. Per la precisione abbiamo 8 quesiti, alcune delle richieste referendarie furono proposte da comitati, altre dalle regioni. I quesiti sono: 1. Abrogazione delle norme sui controlli ambientali effettuati per legge dalle USL - SÌ 2. Abrogazione delle pene per la detenzione ad uso personale di droghe - SÌ 3. Abolizione del sistema di Finanziamento pubblico ai partiti - SÌ 4. Abolizione delle norme per le nomine ai vertici delle banche pubbliche - SÌ 5. Abrogazione della legge che istituisce il Ministero delle partecipazioni statali - SÌ 6. Abrogazione di parti della legge elettorale per il Senato per introdurre il sistema maggioritario - SÌ 7. Abrogazione della legge che istituisce il Ministero dell'agricoltura e delle foreste - SÌ 8. Abrogazione della legge che istituisce il Ministero del turismo e dello spettacolo - SÌ Ci sono poi altri aspetti, il finanziamento pubblico viene abolito (anche se poi ritorna nella veste di rimborsi elettorali ) ed altri referendum erano inerenti alla questione del ruolo dello Stato nell’economia, in nome di una critica all’interventismo statale, visto come un’altra delle manifestazioni del potere dei partiti nella società. Uno dei quesiti riguardò l’abolizione del ministero delle partecipazioni statali, che era stato creato nel 1956 per tentare di coordinare questo ampio mondo degli enti pubblici italiani. Abolendo il ministero delle partecipazioni statali si vuole volgere le spalle a questa stagione dell’interventismo pubblico. Un'altra richiesta era quella della eliminazione della Cassa per il mezzogiorno che era stata introdotta nel 1950, ma viene abolita prima che si svolga il referendum, ed anche in questo caso abbiamo la dimostrazione dell’idea di una nuova impostazione di rapporto tra Stato ed economia, in nome della liberalizzazione, in nome di una minore presenza dello Stato nel controllo di alcuni settori economici. Il referendum più importante è quello che verte sulla riforma della legge elettorale del Senato. La richiesta è l’abolizione della clausola del 65% del collegio uninominale, al di sotto della quale la distribuzione dei seggi avviene con criterio proporzionale su base regionale. Il referendum punta ad abolire questa clausola, e ad introdurre il sistema maggioritario. Dalla vittoria del sì di questo referendum nasce una nuova legge elettorale che introduce per la prima volta in Italia dopo la breve esperienza della legge truffa un sistema maggioritario. Questa legge è il “Mattarellum”, che nasce proprio dall’esito del referendum sull’abolizione della quota del Senato. In base al meccanismo risultante dal quesito referendario, al Senato si sarebbero eletti il 75% dei seggi con criterio maggioritario ma per un 25% rimane una suddivisione di tipo proporzionale, sempre basandosi sul collegio uninominale. A questo referendum ci fu un’affluenza di circa il 77% degli elettori, e ben l’82,7% votò per la modifica in senso maggioritario. La lettura che fu data di questa vittoria del sì, fu che sia nel sistema elettorale del Senato, sia in quello della Camera si doveva adottare un sistema elettorale basato sul collegio uninominale, che prevedesse il 75 % dei seggi attribuiti col criterio maggioritario e il restante 25% con criterio “POLO DEL BUON GOVERNO” che comprende Forza Italia e Alleanza nazionale, e che si presentava nei collegi uninominali centro-meridionali. Entrambe le coalizioni sostenevano la leadership di Silvio Berlusconi. Nello specifico, erano candidati, in entrambe le coalizioni, anche altri esponenti del: ➳ Al CENTRO poi, abbiamo la coalizione “PATTO PER L’ITALIA” che nasce per sostenere il suo fondatore Mario Segni come candidato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. La coalizione è composta dal nascente Partito popolare italiano che si allea con il Patto di rinascita nazionale, meglio noto come Patto Segni, con leader ovviamente Mario Segni. Era composta anche dal Partito Repubblicano italiano guidato da Giorgio La Malfa, e dal movimento “Unione Liberaldemocratica” nato grazie al politico Valerio Zanone. Questa coalizione però sarà schiacciata dal confronto tra il blocco di destra e quello di sinistra. In realtà Alleanza nazionale e Lega nord – facenti entrambe parte del Polo del buon governo – non sono alleate tra loro, anzi Alleanza nazionale al nord si presenta in maniera autonoma, ma convergono grazie al punto di riferimento fondamentale, Forza Italia di Berlusconi. I leghisti quindi hanno difficoltà ad avere un rapporto con Alleanza nazionale perché in quel periodo la Lega nord vuole l’autonomia, addirittura qualche anno dopo chiederà l’ indipendenza, quindi un’alleanza con un partito come Alleanza nazionale che aveva un forte radicamento nel centro – sud era qualcosa che strideva con la cultura politica del partito. Allo stesso tempo per Alleanza nazionale allearsi con la Lega nord che proponeva il federalismo, ed in seguito addirittura l’indipendenza, non era tanto in sintonia con la propria visione nazionalista, tipica di quell’area politica. Così in questa situazione, riescono ad incontrarsi grazie alla figura di Berlusconi. In questo contesto nel 1994 c’è la messa in onda di una trasmissione che diverrà la più importante della campagna elettorale “Al voto al voto”, condotta da Lilli Gruber. La giornalista conduttrice Lilli Gruber è affiancata nelle domande dal giornalista Vittorio Zucconi. In una delle puntate si scontreranno Gianfranco Fini di Alleanza nazionale, e Leoluca Orlando leader del movimento la Rete dell’Alleanza dei progressisti. I due sfidanti sono accompagnati da una cinquantina di candidati e militanti, disposti in parti opposte dello studio alle spalle dei due sfidanti. L’immagine che si vuole condividere è quella di un Italia bipolare che si affronta in un duello. Vediamo alcune immagini di questa trasmissione “al voto al voto fini e orlando 1994”. Diventa quindi necessario che ora il politico abbia delle doti di comunicatore diverse da quelle del passato. Ovviamente Berlusconi eccelle in queste tribune, essendo un gran oratore. Importante da ricordare è il confronto tra Berlusconi ed Occhetto al programma “Braccio di ferro”, in onda su Canale 5 e condotto dal direttore Enrico Mentana, il 22 marzo 1994 alle 22:30. Ovviamente Berlusconi riuscì ad imporsi su Occhetto, egli monopolizzò con sapienza il concetto di rinnovamento, facendo leva sul proprio successo imprenditoriale e sulla propria verginità politica per denigrare Occhetto come incompetente e compromesso con il regime precedente. Al tempo stesso, la competizione si rivela inequivocabilmente candidate-centered, incentrata quindi sul candidato, e caratterizzata da un uso massiccio dei media e in particolare dello strumento televisivo, come testimoniato dal famosissimo discorso tramite il quale il leader di Forza Italia annuncia la propria discesa in campo, oltre i numerosi spot utilizzati. La puntata ottenne un grande ascolto, suscitando molti commenti e analisi incentrate oltre che sui contenuti politici, anche sugli aspetti comunicativi e formali; un passo decisivo verso la politica spettacolo. Da questa data il confronto televisivo finale fra i principali leader diventa uno dei momenti della telepolitica di ogni campagna elettorale, anche se in più di una occasione non si svolgerà per il rifiuto di uno dei candidati. L’Alleanza dei progressisti è convinta di vincere le elezioni, sottovaluta Berlusconi ritendendo che Forza Italia sia troppo anomala rispetto alla realtà politica italiana per come si è costituita nel corso dei decenni, e che quindi non possa arrivare ad una vittoria elettorale. In realtà avviene esattamente il contrario, abbiamo la vittoria di Berlusconi che porterà al suo primo governo. Riscontriamo un’affluenza dell’ 86,07%, con le coalizioni di Berlusconi vincitrici. Così la vittoria di Silvio Berlusconi condurrà al governo Berlusconi I, che però avrà vita breve – 11 maggio 1994 - 17 gennaio 1995, circa 8 mesi– perché la Lega nord si ritirerà dal governo alla fine dell’anno. Interessante notare come sia stato il primo ed unico governo della storia della Repubblica italiana in cui erano presenti esponenti del Movimento sociale italiano. A questo governo farà seguito un governo tecnico con Lamberto Dini (1995 – 1996) che assumerà la guida di un nuovo governo che porterà il paese alle nuove elezioni nel 1996 , le quali denotano delle modifiche importanti negli schieramenti. POLO DEL BUON GOVERNO: Forza Italia Alleanza Nazionale Unione di Centro Centro Cristiano Democratico POLO DELLE LIBERTÀ Forza Italia Lega Nord Centro Cristiano Democratico Unione di Centro Lista Pannella - Riformatori ELEZIONI 1996 Nel Partito democratico della sinistra avviene un cambio di leadership, si passa così da Achille Occhetto alla nuova segreteria di Massimo D’Alema. Uno dei suoi principali obiettivi è quello di evitare di arrivare alle nuove elezioni con la stessa frattura con il centro com’era avvenuto nel ’94, e creare invece una grande alleanza che abbia un proprio candidato premier a cui partecipi sia il variegato mondo della sinistra, sia il Partito popolare. Questa alleanza prenderà il nome di “ULIVO” ed il candidato premier di questa alleanza sarà Romano Prodi. Dall’altra parte troviamo la colazione “POLO PER LE LIBERTÀ” tra Forza Italia, Alleanza nazionale, Centro Cristiano Democratico, e Cristiani Democratici Uniti. Non è più partecipe a questa coalizione la Lega nord, che si presenta come forza autonoma, ottenendo un buon risultato con il 10% dei voti. Le elezioni del 1996 per il rinnovo dei due rami del Parlamento, la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, si tennero domenica 21 aprile 1996. L’affluenza sarà dell’ 82,54% ed a vincere sarà l’Ulivo . C’è un dato interessante che riguarda queste elezioni, ovvero i risultati in realtà segnano una maggioranza di destra nel paese, ma a vincere è la coalizione dell’Ulivo perché la destra è divisa, il che le impedisce di vincere le elezioni. Nello specifico l’Ulivo risulta vincente nei collegi uninominali, dove si candidano persone competenti, mentre la destra ottiene le migliori performance nel proporzionale. Questa situazione spiega alcune delle difficoltà di governo dell’Ulivo a causa della divisione nel paese. La grande sfida che raccoglie l’Ulivo una volta al governo è quella di preparare il paese all’ ingresso nell’Europa nel plotone di testa, cioè tra i primi paesi, non vuole rimanere alla porta. Si apre così la stagione dei governi dell’Ulivo, che porta l’Italia a seguire la meta di entrare nell’Unione Economica e Monetaria sin dall’inizio. Ma quale era la situazione? L’Italia di quegli anni con i problemi persistenti del debito pubblico era vista da molti partener europei come un paese che se fosse entrato nell’Unione monetaria avrebbe compromesso la tenuta della moneta unica. In particolare, Germania e Olanda puntavano a lasciare fuori l’Italia per un certo periodo di tempo. L’Italia così se fosse stata esclusa, avrebbe rischiato di essere colpita da speculazioni finanziarie, e si sarebbe aggravata anche la questione del movimento federalista indipendentista della Lega nord. INDIPENDENZA PADANIA Difatti nel 1996 la Lega nord di Umberto Bossi scommette tutto sul mancato ingresso dell’Italia per il suo obiettivo indipendentista. All’epoca la sfida di Bossi era quella dell’indipendenza della Padania dall’Italia. Il 15 settembre 1996 in riva degli Schiavoni a Venezia, nel corso di una manifestazione della Lega Nord, Umberto Bossi proclamò effettivamente la Dichiarazione di indipendenza della Padania, presentandola come «una Repubblica federale indipendente e sovrana», riprendendo anche i termini della Dichiarazione di indipendenza americana, scommettendo sul fatto che l’Italia nel suo insieme non sarebbe potuta entrare nell’UEM, e che fosse la sola Padania industrializzata ad entrarvi. Nella sua Dichiarazione d’indipendenza Bossi accusa lo Stato italiano di una serie di soprusi, nello specifico l’accusa è: “ci avete depredato per dare i soldi in maniera assistenzialistica al mezzogiorno facendo crescere assistenzialismo e mafia”. Inoltre, fa riferimento anche alla colonizzazione del sistema pubblico e dell’istruzione perché molti dei docenti al nord venivano dal sud, uguale per la magistratura. Egli diceva: “Magistratura selezionata con criteri razzisti”. La proposta concreta della suddivisione dell’Italia fu messa appunto da Giancarlo Pagliarini, una delle personalità più influenti della Lega: “ Si firma il trattato di separazione consensuale, e questo paese si divide in due nazioni: la Repubblica Federale Padana e l’Italia propriamente detta o “Magna Grecia”. La Repubblica Federale Padana aderisce da subito all’UEM in Europa, usando come moneta l’Euro. Il sud rimane fuori dall’UEM finché non sarà risanato.” ULIVO - Partito democratico della sinistra, - Popolari per Prodi che comprende: Partito Popolare Italiano, Partito Repubblicano Italiano, Unione Democratica, Südtiroler Volkspartei - Rinnovamento Italiano, - Federazione dei Verdi, - Partito Sardo d'Azione, - Federazione Laburista, - Comunisti Unitari, - Cristiano Sociali, - Socialisti Italiani - Patto Segni POLO PER LE LIBERTÀ - Forza Italia, - Alleanza nazionale, - Centro Cristiano Democratico, - Cristiani Democratici Uniti L’espressione “Magna Grecia” è usata in senso dispregiativo, nonostante la Magna Grecia del tempo fosse una realtà avanzatissima sul piano culturale e tecnologico. La questione dell’indipendenza della Padania continua negli anni successivi. Il 25 maggio del 1997 viene indetto un referendum per l’indipendenza della Padania. Ovviamente non si può svolgere nelle strutture pubbliche essendo anticostituzionale, allora la Lega organizza dei gazebo sul territorio del nord, e riesce a portare 4.800.000 persone al voto, che si schierano a favore dell’indipendenza. Qualche mese dopo il 26 ottobre 1997 dello stesso anno abbiamo l’elezione di un Parlamento della Padania formato da 210 parlamentari. Alla luce di questa elezione viene creato anche un governo provvisorio della Padania. Questa è la fase più oltranzista, più estrema della Lega nord dove il federalismo viene accantonato per assumere una posizione di indipendenza dallo Stato italiano. A seguito della Dichiarazione di indipendenza erano anche state aperte inchieste giudiziarie, poi archiviate. In questa situazione c’è il governo Prodi I (1996 – 1998), e l’approccio seguito per affrontare questa situazione diplomatica è l’uso delle armi della politica, più che quelle della repressione. In questo contesto avanzava l’idea che solo partecipando all’Unione Europea, ed in particolare all’Unione monetaria, l’Italia potesse far fronte a queste spinte indipendentiste. A causa dei vari paesi scontenti di vedere l’Italia nel plotone di testa, Prodi condusse un grande sforzo. C’erano però anche paesi che guardavano con favore l’ingresso dell’Italia, tra cui Spagna e Francia. Nello specifico da sempre vigeva l’asse franco-tedesco, ma dato che la Germania è sempre stata in vantaggio rispetto alla Francia, quest’ultima ha ritenuto necessario avere un alleato. Per questo contribuì a far si che l’Italia entrasse nell’UEM sin dall’inizio. Quest’obiettivo venne raggiunto il 3 maggio 1998 quando il Consiglio dell'Unione europea, verificò all'unanimità che 11 Stati membri soddisfacevano le condizioni necessarie per l'adozione della moneta unica, prevista per il 1º gennaio 1999: Belgio, Germania, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Portogallo e Finlandia. Così l’Italia entra a far parere dell’Unione economica e monetaria. La Lega fu spiazzata da questa situazione, è ovviamente considerata una sconfitta. Da questo momento in poi avrà un ridimensionamento del consenso elettorale, e maturerà una opinione critica dell’Unione europea, mentre prima era vista dotata di tutte le virtù. Comincia questa tendenza critica che porterà ad atteggiamenti di europposizione ed euroscetticismo che ben conosciamo. Accanto a questo si ridimensiona il discorso indipendentista, non a caso alle elezioni del 2001 la Lega torna a siglare l’alleanza con Berlusconi e con Alleanza nazionale. Quindi si forma, a differenza del 1994 un fronte compatto, è un’alleanza a tutti gli effetti che si presenta all’elettorato guidato da Silvio Berlusconi. Quest’ultimo realizza così un alleanza chiamata “CASA DELLE LIBERTÀ”, una coalizione di centro-destra formata da numerosi partiti, infatti questa coalizione venne costituita sulla base dei precedenti accordi che avevano riunito, nel 1994 e nel 1996 i partiti di centro-destra sotto le insegne del Polo delle Libertà e del Polo del Buon Governo. A questa coalizione si contrappone la coalizione dell’ “ ULIVO” che già conosciamo. Il 13 maggio 2001 l’affluenza fu dell’ 81,35% ed a vincere è la Casa delle libertà, che darà vita al governo Berlusconi II, il più longevo della storia della Repubblica, difatti durò l’intera legislatura, quindi 5 anni dal 2001 – 2006. COMMISSIONI BICAMERALI 1993 e 1997 Tornando un po’ indietro nel tempo, la dinamica e volontà indipendentista della Lega sarà messa a tacere, ma resta la volontà di procedere con riforme istituzionali, perché alla luce di questi eventi nella crisi degli anni Novanta riemerse la questione di una riforma del nostro sistema costituzionale. Già con il mattarellum del 1993 era stata attuata una riforma importante della legge elettorale, ma non si era ancora modificata la costituzione, ora si discuterà di questo, cioè di riformare la costituzione. Per cercare di creare un sistema più efficiente ed in grado di intervenire sulla crisi polivalente della società e del sistema italiano, si riprende il discorso sulle riforme istituzionali, ed abbiamo nella legislatura 1992- 1994, una nuova commissione bicamerale, la seconda (la prima era la Commissione Bozzi nel ‘83 - 85) presieduta prima da Ciriaco de Mita (ex segretario democristiano, oltre che ex Presidente del Consiglio nel ‘98) e poi da Nilde Iotti, infatti, passata alla storia come commissione bicamerale De Mita-Iotti. La commissione riprende i temi affrontati nella commissione Bozzi. C’è la possibilità di mettere in piedi una riforma organica dell’impianto costituzionale, ma la situazione è quella della delegittimazione della classe parlamentare a seguito dell’inchiesta di Mani pulite. Molti parlamentari avevano ricevuto avvisi di garanzia che, nell’opinione pubblica, vengono visti già come una sentenza di condanna. Nel ‘94 come già sappiamo si andò nuovamente ad elezioni anticipate, quindi il tentativo della commissione bicamerale De Mita-Iotti non andò in porto. Il tema delle riforme istituzionali verrà ripreso dalla nuova commissione bicamerale, la terza, creata nel 1997 ed è guidata dal nuovo segretario del Partito democratico della sinistra che ha sostituito Achille Occhetto, Massimo d’Alema. La sua idea è quella di provare a riorganizzare il sistema costituzionale italiano, attraverso una nuova rilegittimazione reciproca tra le forze politiche. Nel contesto degli anni Novanta, finita la democrazia dei partiti, tra le forze rivedere l’attuale sistema bicamerale è abbastanza evidente. Così la questione delle riforme sistemiche nel nostro paese si pone ancora. ➳ Siamo arrivati così alla conclusione della parte sull’Italia. L’abbiamo analizzata prendendo in esame i modelli costituzionali di riferimento, abbiamo visto la lunga e difficile questione di attuazione della Costituzione, che delle istituzioni. Comunque, alla fine degli anni ’70, e poi con le riforme degli anni ’80, il processo di attuazione della costituzione è giunto a compimento. Si è aperta però la questione di una riforma istituzionale della costituzione che prendesse in esame anche il sistema elettorale, ed inoltre dalla crisi del sistema dei partiti degli anni ‘90 non è ancora uscito un equilibrio sistemico. Queste esigenze attuali mettono in evidenza come sia necessaria una Riforma della nostra Costituzione, come il Titolo V, ad esempio. Questa è la questione in cui oggi siamo immersi. La nostra costituzione è una delle migliori a livello mondiale per quanto riguarda la prima parte relativa ai diritti, mentre per la parte organizzativa una revisione andr sicuramente prospettata. Quella che sicuramente dovrà essere una à̀ conditio sine qua non (condizione senza la quale non si può verificare un evento) è tenere conto della dimensione storica delle nostre istituzioni politiche. È inutile ripetere gli stessi errori del passato, bisogna avere ben presente come le dinamiche si siano evolute, e realizzare delle riforme che abbiamo più successo. MOVIMENTI EUROPEISTI L’europeismo ha radici antiche. Per limitarci all’Ottocento, è doveroso menzionare alcune figure, come Giuseppe Mazzini, che immaginò “la giovine Europa”, un’organizzazione basata sul principio della fratellanza tra le nazioni. Nel 1849, ad un Congresso per la pace a Parigi, si iniziò a lanciare l’idea di Victor Hugo degli Stati Uniti d’Europa, come antidoto al dilagante nazionalismo che comincia a manifestarsi in maniera sempre più evidente, che poi porterà allo scoppio della Prima guerra mondiale. Un altro momento dell’Ottocento importante, è un altro Congresso per la pace a Ginevra nel 1867, dove si parlò nuovamente di Europa. È significativo che uno dei partecipanti sia stato Giuseppe Garibaldi, il quale condivide questa prospettiva sovranazionale. Il discorso europeista riprende vigore dopo i massacri della Prima guerra mondiale, dopo tutte le devastazioni e le distruzioni. Importante in questo contesto è anche il Conte Coudenhove Kalergi, figura particolare che porterà avanti nel periodo tra le due guerre un Movimento, che prende il nome “Paneuropa”, che puntava a creare un’Europa cooperativa che avrebbe dovuto inglobare anche l’Unione sovietica. Un’utopia di difficile realizzazione, però è significativo che si inizi a parlare di cooperazione tra Stati a livello europeo. Altra figura importante è il Ministro degli Esteri francese, Aristide Briand, che presentò nel 1930 alla Società delle Nazioni, con sede a Ginevra, un “Memorandum per una federazione europea”, incentrato sull’idea di una riconciliazione franco-tedesca, che poi sarà il cuore dei progetti di costruzione europea del secondo dopoguerra. Purtroppo, la storia prenderà un corso diverso e di federazione europea di lì a qualche anno non si parlerà più. Per quanto riguarda lo scenario italiano naturalmente, il pensiero va subito alla Corrente federalista, che trovò il suo punto di massima espressione nel celebre MANIFESTO DI VENTOTENE, elaborato nel 1941. Il titolo del Manifesto è in realtà “Per un’Europa libera e unita. Progetto di un Manifesto”. Altiero Spinelli, principale figura del Federalismo italiano, e del Federalismo su scala europea, è un giovane militante comunista che fa parte della rete clandestina del Partito. Nel 1927 all’età di 20 anni viene catturato e condannato dal Tribunale speciale a ben 16 anni di carcere, sconterà 10 anni nelle prigioni di Roma, Lucca, Viterbo e Civitavecchia. Poi, venne scarcerato, e crede che a questo punto ci sia stato uno sconto di pena ma, in realtà viene inviato al confino prima all’Isola di Ponza, e poi all’Isola di Ventotene, dove ci sono 800 confinati. In particolare, ci sono le due personalità con cui entrerà in contatto per sviluppare le proprie idee federaliste: Ernesto Rossi e Eugenio Colorni. Spinelli rimase a Ventotene fino al 1943, quando poi ci sarà la caduta di Mussolini, ed i confinati saranno autorizzati a tornare. Nel 1976 il PCI di Berlinguer offrì ad Altiero Spinelli la candidatura al Parlamento italiano per poterlo mandare al Parlamento europeo. Così andò al Parlamento europeo nel 1976; poi nel 1979 fu eletto nelle prime elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo, e rieletto nel 1984, sempre come indipendente nelle file del Partito comunista. Nei suoi diari si trovano sempre parole di grande stima nei confronti di Berlinguer, infatti di solito quando si leggono i suoi diari, generalmente è polemico con tutti. Il Manifesto di Ventotene propone un Federalismo costituzionale, caratterizzato da un forte potere federale sopra le nazioni, simile al sistema statunitense. Il documento prende avvio da un'analisi storica degli Stati nazionali, affermando che essi si sono sviluppati e consolidati nel corso della storia. Ma questo processo di consolidamento ha portato gli Stati nazionali ad adottare politiche imperialistiche ed una visione egocentrica della propria identità nazionale. In quest’ottica fascismo e nazismo sono considerate punte le estreme, totalitarie e tiranniche di questo processo di degenerazione dello Stato nazionale. Ciò che gli autori del Manifesto sostengono è che tale degenerazione non è limitata a regimi dittatoriali, ma si manifesta anche nelle democrazie. L'obiettivo centrale del Manifesto di Ventotene è quindi quello di creare una nuova forma di solidarietà tra le nazioni, evitando il ritorno alle sovranità nazionali, quindi la strada proposta è quella di costruire una Federazione europea. La creazione di questa struttura federale implica: l'elaborazione di una Costituzione europea, l'istituzione di organi comuni come un Parlamento sovranazionale, la difesa condivisa e un'integrazione economica sempre più stretta. Tuttavia, c'è una parte del Manifesto che potrebbe essere considerata meno innovativa, in cui si riflette un certo legame di Spinelli con la cultura comunista, in particolare leninista. Viene menzionata la creazione di una sorta di Partito rivoluzionario, che richiama l'idea del partito rivoluzionario proposta da Lenin, e si sostiene che potrebbe esserci una fase transitoria di dittatura guidata da questo partito rivoluzionario. Tuttavia, il Manifesto di Ventotene affronta ostacoli nella sua diffusione durante la Resistenza. Mentre si combatteva contro la Germania nazista ed i suoi alleati, promuovere l'idea di una dimensione sovranazionale significava essere criticati dalle forze della Resistenza, che si battevano principalmente per la riconquista dell'indipendenza nazionale. Un secondo ostacolo è rappresentato dalla presenza di un altro filone di pensiero di politica europeista : l’ "Unionismo" o “Visione Confederale". Questa corrente sosteneva che la cooperazione europea dovesse essere perseguita non attraverso una struttura federale, ma attraverso la cooperazione tra Stati sovrani. Una figura influente in questo contesto fu Winston Churchill, che, dopo la Seconda guerra mondiale, sostenne con forza la Cooperazione europea sulla base della visione confederale. Egli trovò sostegno nel movimento “United Europe Movement” fondato da Duncan Sandys, suo genero. Questo movimento confederale si basava proprio sul prestigio di Churchill, nonostante la sua sconfitta elettorale. Ritornando al discorso dei Movimenti europeisti, ne emersero diversi dopo la Seconda guerra mondiale. Uno di questi era il Movimento Federalista Europeo fondato da Spinelli, che fa parte di un’ONG fondata dopo la guerra nel 1946, l'Unione dei Federalisti europei. All'interno di questa organizzazione, c'era una confronto acceso tra i sostenitori del Federalismo costituzionale, come Spinelli e Rossi, e quelli del Federalismo integrale, basato sull'autogoverno delle comunità territoriali, quindi l'importanza è data alle comunità stesse, anziché ad un potere centrale. Spinelli alla fine divenne il leader dominante. Il Conte Kalergi, dopo la Seconda guerra mondiale riunì i Parlamentari europei favorevoli ad una prospettiva costituzionale europea nel movimento chiamato Unione Parlamentare Europea, che raccoglie tutti i gruppi federalisti che si formano all’interno dei rispettivi Parlamenti. L'obiettivo era creare un' ASSEMBLEA COSTITUENTE EUROPEA. I vari movimenti europeisti poi si unirono nel MOVIMENTO EUROPEO, che realizzò la prima importante occasione di confronto, il Congresso dell’Aia. CONSIGLIO D’EUROPA Prima del Congresso dell’Aia, erano già nate le Prime strutture di cooperazione a carattere intergovernativo: il 17 marzo 1948 era stato siglato il PATTO DI BRUXELLES tra Gran Bretagna, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo con finalità economiche, sociali, culturali e di difesa. Ed il 16 aprile 1948 era nata l’OECE, l’Organizzazione europea per la cooperazione economica, istituita per controllare la distribuzione degli aiuti statunitensi del Piano Marshall per la ricostruzione dell'Europa dopo la 2GM, e favorire la collaborazione fra i Paesi membri. È la prima organizzazione internazionale sorta in Europa nel dopoguerra. Il CONGRESSO DELL’AIA si tenne dal 7 – 10 maggio 1948, considerato il primo momento federale europeo. La formazione di un’ Assemblea europea fu uno dei principali temi di discussione, oltre il generale dibattito sul futuro dell’Europa. Parteciparono circa 750 personalità espressione dei Movimenti europei, i delegati provenivano da 17 paesi. Il Primo ministro del Regno Unito Winston Churchill, Presidente d’onore del Congresso, condivise l’idea di dar vita ad un’Assemblea europea, perché ciò avrebbe consentito a questa voce di essere costantemente ascoltata. Il dibattito mise in luce le differenze tra le diverse concezioni dell’europeismo, in particolare tra i Federalisti che guardavano al modello istituzionale degli Stati Uniti d’America, sostenitori di un potere federale al di sopra delle nazioni, e gli Unionisti molto cauti nell’ipotizzare limitazioni alle sovranità nazionali. Il Congresso terminò con un appello unanime in favore della nascita di un’ Assemblea Parlamentare europea. La proposta trovò il sostegno del governo francese, incontrando però resistenze fortissime da parte della Gran Bretagna. Alla fine, il 5 maggio 1949, fu firmato il TRATTATO ISTITUTIVO DEL CONSIGLIO D’EUROPA a Londra, da dieci paesi, Italia compresa. Investito dal generico compito di “realizzare un’Unione più stretta tra i suoi membri”, il CONSIGLIO D’EUROPA, che stabilì la sua sede a Strasburgo, comprendeva due livelli istituzionali: l’Assemblea, a cui furono attribuiti solo compiti propositivi e che fu denominata ASSEMBLEA CONSULTIVA, ed il COMITATO DEI MINISTRI, composto dai Ministri degli Esteri dei paesi membri, definito come il solo organo competente ad agire in nome del Consiglio d’Europa, era quindi l’organo decisionale ed esecutivo. Paul-Henri Spaak fu il primo Presidente dell’Assemblea Consultiva, dal ‘49 – ‘50. Si tratta però di un mediocre compromesso, perchè veniva sì alla luce la Prima Assemblea transnazionale europea, ma di fatto era posta sotto la tutela dei governi nazionali, alcuni dei quali avevano già dimostrato di non gradire che al fianco dei governi sorgessero enti sovranazionali dotati di qualche autorità. In queste condizioni, il Consiglio non poteva certo servire granché al processo di costruzione dell’Europa. Comunque, la Prima sessione dell’Assemblea Consultiva si aprì il 10 agosto 1949. Successivamente, nel 1951, l'Assemblea Consultiva fu ribattezzata "ASSEMBLEA PARLAMENTARE" per riflettere meglio il suo ruolo e la sua funzione di rappresentare i parlamenti nazionali. PRIMA CONVENZIONE D’EUROPA CEDU La volontà di iniziare a dare sostanza al concetto di identità europea si manifestò in una delle più importanti iniziative dell’Assemblea: la stesura di una Carta dei diritti umani che traesse ispirazione dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata nel ‘48 dalle Nazioni Unite, ma che aggiungesse un sistema di protezione giuridica. In realtà quest’idea era già stata lanciata al Congresso dell’Aia dal Movimento europeo, senza alcun riscontro. In seguito, però la CONVENZIONE EUROPEA PER LA DIFESA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI, CEDU, fu firmata a Roma il 4 novembre 1950, ed ha comportato l’istituzione della CORTE EUROPEA DI GIUSTIZIA, organismo indipendente dai governi, chiamato a giudicare le violazioni dei diritti fondamentali nei paesi membri del Consiglio d’Europa, e di una COMMISSIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO, un Tribunale speciale. Rispetto alla Dichiarazione universale dell’ONU mancavano i diritti economici e sociali, rinviati ad un secondo stadio. Al di là di questo, l’obiettivo dell’Assemblea, nello scenario della guerra fredda, era quello valorizzare nei tempi più rapidi la dimensione che più la contrapponeva al blocco sovietico: i diritti di libertà. In realtà, inizialmente quando il progetto dell’Assemblea fu inviato al Comitato dei ministri, quest’ultimo fece cadere la norma relativa alle LIBERE ELEZIONI. In seguito, inoltre l’Assemblea chiese l’aggiunta anche di due articoli: DIRITTO DI PROPRIETÀ, ed il DIRITTO ALL’ISTRUZIONE. Questi tre articoli di cui aveva chiesto l’inserimento poi furono aggiunti con il Protocollo firmato nel 1952. Nei suoi primi anni di vita l’Assemblea fu una sede di dibattito sugli aspetti principali del progetto di costruzione europea, e regolava anche l’ammissione di nuovi membri. DICHIARAZIONE SCHUMAN L’atto di nascita del processo di costruzione dell’Europa segna la data del 9 maggio 1950, il giorno della cosiddetta “DICHIARAZIONE SCHUMAN”: così viene denominata l’iniziativa del ministro degli Esteri francese Robert Schuman, che nel corso di una conferenza stampa rese pubblica la proposta di unire l’insieme della produzione franco – tedesca di carbone ed acciaio sotto la protezione di un’Alta autorità comune, nell’ottica di un’organizzazione aperta alla partecipazione anche degli altri paesi europei. La Dichiarazione Schuman fornì alla costruzione europea l’impulso dinamico che tutte le precedenti iniziative non avevano ancora saputo imprimerle. Autore della Dichiarazione fu Jean Monnet, tra i padri fondatori dell’UE, il quale vantava una ricchissima esperienza internazionale come Segretario generale aggiunto alla Società delle nazioni dal 1919 al 1923. Jean Monnet era alla ricerca nel 1950 della migliore soluzione ad un duplice problema: assicurare il proseguimento dello sviluppo economico francese, e definire il ruolo della Germania nell’Europa post-bellica. I due aspetti erano strettamente interconnessi: per garantire lo sviluppo economico della Francia era necessario poter contare sulle vastissime risorse di carbone presenti nel maggiore bacino industriale tedesco, la Ruhr, ed evitare che la potente siderurgia tedesca penalizzasse quella francese. Nella ricerca di un interlocutore politico, Monnet trovò un referente nel ministro degli Esteri Robert Schuman, il quale voleva intraprendere un percorso in cui l’interesse nazionale francese, potesse armonizzarsi con le nuove esigenze della RFT; invece di ispirare un trattamento punitivo come quello del Trattato di Versailles del 1919. Nato in Lussemburgo, Schuman era stato cittadino tedesco per i primi 32 anni della sua vita, fino a quando l’Alsazia- Lorena era tornata nel 1918 alla Francia. Quindi per eliminare l’opposizione secolare tra Francia e la Germania l’obiettivo principale era la solidarietà di produzione nell’ambito carbo – siderurgico. Da notare che il carbone e l’acciaio erano la chiave della potenza economica, e dell’arsenale dove si forgiavano le armi. Fonderli al di sopra delle frontiere avrebbe significato togliere alla RFT il prestigio malefico, mutandolo in garanzia di pace. La grande novità del progetto di Jean Monnet era l’assegnazione dei compiti di direzione ad un’istituzione sovranazionale: l’ALTA AUTORITÀ la quale sarebbe stata composta da personalità indipendenti, che non potevano ricevere istruzioni dai governi dei loro paesi di provenienza, ma perseguire il comune interesse europeo. La Dichiarazione Schuman fu subito accolta in modo favorevole, soprattutto perché la partecipazione tedesca sarebbe avvenuta sulla base di una parità di diritti, e perché ciò avrebbe comportato la fine dei controlli internazionali sulle sue attività produttive. Così l’ingresso nel Consiglio d’Europa costituiva una tappa significativa per la RFT, ecco perchè il Piano Schuman fu accettato dai tedeschi al fine di ritrovare un proprio ruolo nel panorama post bellico. Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo, che nel 1948 avevano dato vita all’Unione doganale del Benelux, accettarono di essere coinvolti in questa forma di integrazione. Per quanto riguarda l’Italia il governo De Gasperi comprese che il Piano Schuman rappresentasse un’opportunità per il nostro paese, così le Trattative si aprirono a Parigi il 20 giugno 1950. Nello specifico, il documento di lavoro presentato da Monnet prevedeva un altro organo, denominato ASSEMBLEA COMUNE, formato dai Parlamentari dei paesi partecipanti, il cui compito consisteva nel giudicare l’operato dell’Alta Autorità. Quest’ultima difatti era tenuta a presentare all’Assemblea una relazione annuale, che, se questa fosse stata respinta, i membri dell’Alta Autorità si sarebbero dovuti dimettere. Per la prima volta, un’Assemblea internazionale sarebbe stata qualcosa di più di un mero organismo consultivo. Così il TRATTATO DI PARIGI fu firmato il 18 aprile 1951, si tratta del Trattato istitutivo della COMUNITÀ EUROPEA DEL CARBONE E DELL’ACCIAIO, la CECA, la cui durata era fissata in 50 anni, ed era composto da 100 articoli e 3 allegati. Con la creazione della CECA si fondavano le prime basi per una comunità più vasta, è infatti il primo nucleo dell’Europa comunitaria. RUOLO DI DE GASPERI Per quanto riguarda il sistema di governo fu creato un PARLAMENTO BICAMERALE, composto: CAMERA DEI POPOLI di 268 membri eletti direttamente dai Cittadini, ed un SENATO formato da 87 membri eletti dai Parlamenti nazionali. Il 10 marzo 1953 il Progetto di Trattato concernente lo STATUTO DELLA COMUNITÀ EUROPEA , composto di 117 articoli fu approvato dall’Assemblea ad hoc con 50 voti a favore, l’iniziativa passava ora agli esecutivi nazionali. Difatti non verrà mai chiamata “Comunità politica Europea”, il nome ufficiale era: “Comunità europea, a carattere sovranazionale, fondata sull’unione dei popoli e degli Stati”. L’elaborazione costituzionale dell’Assemblea era avvenuta però con scarso coinvolgimento dell’opinione pubblica, così alcuni Paesi non si sentivano molto vincolati al testo loro consegnato. Quindi tutto il progetto era ora subordinato alla ratifica del Trattato CED. Questo viene ratificato dalla RFT, e dai Paesi del Benelux. L’Italia temporeggia, impegnata nella battaglia della “Legge Truffa”, De Gasperi viene sostituito da Giuseppe Pella, un europeista più pragmatico che mette in secondo piano la ratifica. Il vero anello debole della catena era la Francia, dove le resistenze nei confronti della cessione di sovranità prevista dalla CED erano cresciute sempre più, l’orientamento del paese era molto incerto, e gli avvertimenti di una possibile bocciatura aumentavano. Inoltre, sorto dall’inasprimento della guerra fredda, il Trattato CED veniva considerato meno necessario a seguito della morte di Stalin, avvenuta il 5 marzo 1953, e della conclusione della guerra di Corea nel luglio 1953. Nell’agosto del 1954 in Francia i sostenitori della CED ricorrono alla questione pregiudiziale “Question préjudicielle”, avanzando una richiesta di rinvio del dibattito, per consentire al governo francese di riprendere le trattative con i partner europei. Ma a quel punto, gli oppositori francesi passarono prontamente all’attacco ricorrendo ad un altro strumento, la questione preliminare “Question prélable”. Si tratta di uno strumento che non comporta un rinvio del dibattito, ma anzi aveva come scopo quello di respingere il progetto di legge, senza neanche aprire la discussione. La votazione sulla questione preliminare , il 30 agosto 1954, fu approvata con 319 voti favorevoli, 264 sfavorevoli e 12 astensioni. Questo sancì la morte della CED. Dopo quattro anni di appassionate discussioni, la CED usciva di scena. La bocciatura in Francia ebbe come automatica conseguenza l’abbandono del Progetto di Trattato concernente lo Statuto della Comunità europea, che alla CED era strettamente connesso. ASSEMBLEA COMUNE STRUTTURA AMMINISTRATIVA Per garantire il corretto funzionamento dell'Assemblea Comune, era essenziale istituire una struttura amministrativa efficiente. Quindi, la prima cosa che ha fatto l'Assemblea Comune è stata elaborare il proprio regolamento. L'obiettivo principale nella stesura del regolamento, approvato definitivamente il 10 gennaio 1953, era creare un'organizzazione che consentisse un esame continuo dell'operato dell'Alta Autorità. Così, per garantire un efficace controllo parlamentare, l'Assemblea ha deciso di istituire 7 Commissioni tematiche permanenti, la cui composizione ha risposto al principio di una rappresentanza equa delle diverse nazionalità. Di solito, il lavoro istruttorio di queste commissioni precedeva le discussioni generali. Le 4 commissioni principali, composte da 23 membri ciascuna, si occuparono di vari aspetti: La commissione per il mercato comune; per gli investimenti; la commissione politica; e quella per gli affari sociali. Per evitare di essere sottoposta al controllo dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, è stata respinta l'idea di consentire ai paesi osservatori del Consiglio d'Europa – non facenti parte della CECA – di partecipare alle sessioni plenarie dell'Assemblea con diritto di parola. Tuttavia, il rapporto con l'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa è stato garantito attraverso un Protocollo allegato al Trattato CECA, che richiedeva all'Assemblea Comune della CECA di presentare annualmente una relazione sul suo operato all'Assemblea Parlamentare del Consiglio. Era quindi fondamentale che l'Assemblea Comune fosse un organo istituzionale indipendente, con piena autonomia amministrativa. Animata da questo spirito di indipendenza, l'Assemblea Comune procedette all'organizzazione dei propri servizi amministrativi. L'Assemblea Comune, secondo il regolamento era diretta dall'UFFICIO DI PRESIDENZA e dal COMITATO DEI PRESIDENTI. Il primo era responsabile dell’organizzazione del Segretariato, e doveva nominare un Segretario generale, il secondo aveva il compito di coordinare il lavoro delle commissioni, e facilitare il dialogo tra i diversi gruppi. Così, fu istituito anche un Segretariato indipendente e autonomo dal Segretariato Generale del Consiglio d'Europa. Il Segretario Generale dell'Assemblea Comune, l’olandese Babberich, presentò un piano di organizzazione che prevedeva un organico di 31 persone di diverse nazionalità. Durante le sessioni, il personale dell'Assemblea doveva essere integrato da un numero maggiore di agenti temporanei, specialmente per il servizio linguistico, perché una caratteristica peculiare dell'Assemblea Comune era per l’appunto il suo regime linguistico, c’erano 4 lingue ufficiali: francese, italiano, tedesco e olandese. Gli interpreti spesso non erano in grado di gestire le difficoltà particolari create dal linguaggio altamente specializzato della CECA, di conseguenza, il Segretario dovette intervenire rapidamente per migliorare il servizio di interpretariato. Sebbene il regolamento prevedesse una rappresentanza equa anche delle correnti politiche, i gruppi politici in quanto tali non furono riconosciuti. Nonostante ciò, si sviluppò un'organizzazione informale dei gruppi politici transnazionali, come i democristiani, i socialisti e il gruppo liberale, ognuno dei quali aveva un proprio Presidente. Nel 1953, durante un incontro tra l'Ufficio di presidenza ed i Presidenti dei 3 gruppi politici, fu elaborato un progetto di regolamentazione che prevedeva requisiti minimi, come il numero minimo di 9 membri per formare un gruppo, e l'assegnazione di un contributo finanziario. Questa decisione fu approvata il 16 giugno 1953. Una volta ottenuto il riconoscimento ufficiale, i gruppi politici acquisirono un ruolo sempre più importante nel processo decisionale. In seguito, nel maggio 1954, fu stabilito formalmente che i capigruppo potevano essere invitati alle riunioni del Comitato dei Presidenti. In seguito, nel 1955 l’Assemblea Comune per migliorare la sua struttura amministrativa elaborò un regolamento amministrativo, che rafforzò il ruolo del Segretario generale, ed un regolamento finanziario, ad opera di un Comitato di riorganizzazione. L’ITALIA NELL’ASSEMBLEA COMUNE Durante i primi anni di attività dell'Assemblea Comune, i delegati italiani hanno svolto un ruolo attivo nei lavori, promuovendo un'integrazione economica che prestasse una particolare attenzione alla dimensione sociale. Tuttavia, la presenza dei rappresentanti italiani alle riunioni delle commissioni era limitata a causa delle difficoltà nel raggiungere Lussemburgo, sede dell'Assemblea. Per affrontare questa situazione, il Parlamento italiano ha apportato un cambiamento radicale nella delegazione, includendo figure politiche di grande peso come Alcide De Gasperi, Giuseppe Pella e Ugo La Malfa. Durante la sessione ordinaria del maggio 1954, la partecipazione dei delegati italiani è stata significativa, con interventi focalizzati su questioni rilevanti per l'Italia, come gli aiuti finanziari per affrontare i licenziamenti e i problemi legati all'emigrazione. Si stava così iniziando a superare l’assenteismo registrato nelle precedenti riunioni delle commissioni, anche se la lontananza dal luogo di riunione rappresentava ancora una sfida per i parlamentari italiani. Nonostante l'ipotesi di convocare alcune riunioni in luoghi più accessibili, questa soluzione si scontrò con l'Alta Autorità. Pertanto, le riunioni in luoghi diversi erano ammesse solo quando l'Alta Autorità non era coinvolta, per evitare di indebolire il rapporto con l'esecutivo comunitario. La Presidenza dell'Assemblea Comune fu affidata ad Alcide De Gasperi l’11 maggio 1954, il quale sottolineò sottolineato l'importanza della collaborazione tra l'Assemblea e l'Alta Autorità. Tuttavia, De Gasperi morì nell’agosto ‘54, il che ha rappresentato un duro colpo per il processo di integrazione europea, insieme all’affossamento del Trattato CED. L'Assemblea Comune si trovò ad agire in un contesto molto diverso, concentrandosi sulla sola Comunità esistente, la CECA. RAPPORTO ASSEMBLEA COMUNE ED OPINIONE PUBBLICA Formare un’opinione pubblica europea era divenuto un altro importante obiettivo dell’Assemblea Comune. I popoli rappresentati in Assemblea dovevano essere messi a conoscenza delle politiche perseguite a livello comunitario e dei risultati ottenuti. Il tema fu a lungo dibattuto all’interno della Commissione per gli affari politici. Da un lato, si fece pressione sull’Alta Autorità affinché rafforzasse la sua attività di informazione sulla vita della Comunità. Dall’altro, si propose un’azione autonoma dell’Assemblea. Già nella sessione straordinaria del novembre 1955 ci si iniziò a domandare come l’Assemblea avrebbe potuto pubblicizzare la propria azione ed accrescere l’interesse dell’opinione pubblica. Cosa percepiva l’opinione pubblica della sua attività? La risposta è molto semplice: quasi nulla, continuavano a ignorare quasi del tutto il suo operato. Così si propose di avviare una politica di informazione sull’attività delle istituzioni comunitarie, per favorire la nascita di un’opinione pubblica europea; e si decise di sperimentare le sessioni in trasferta dell’Assemblea. L’Alta Autorità si preoccupò di sviluppare relazioni con le Università e le scuole, e di inserire una parte relativa all’informazione nella sua Relazione generale annuale. L’Alta Autorità aveva inoltre partecipato a numerose esposizioni internazionali, e soprattutto dedicò molte energie alla preparazione di un ampio padiglione della CECA alla prima Esposizione Universale del dopoguerra, l’Expo di Bruxelles del 1958. L’Assemblea Comune, dal canto suo, costituì all’interno del proprio segretariato una sezione per l’informazione. Ma ciò non aveva incontrato il favore dell’Alta Autorità. Nel confronto all’interno della Commissione per gli affari politici, Enzo Giacchero, rappresentante italiano, aveva infatti proposto per l’Alta autorità una sorta di esclusiva nel rapporto con i media. Ma il Presidente della commissione Hans Furler replicò che si trattava di un principio inaccettabile in una democrazia parlamentare. Così, all’Alta Autorità non era rimasto che accettare la decisione dell’Assemblea. RAPPORTO ASSEMBLEA COMUNE ED ALTA AUTORITÀ Il compito dell’Assemblea Comune è quello di controllare l'operato dell'Alta Autorità, l'organo esecutivo della CECA. Nel 1952, iniziarono i primi dialoghi e nel 1953, l'Alta Autorità presentò la sua Prima relazione generale annuale, che venne valutata dall'Assemblea in giugno. Questo rappresentò la prima volta in cui un esecutivo europeo si sottopose al giudizio di un'Assemblea sovrana europea. L’Assemblea Comune esaminava attentamente le relazioni presentate dall'Alta Autorità, che coprivano una vasta gamma di questioni come l'occupazione, il tenore di vita nei paesi membri, il miglioramento delle condizioni lavoro... Nel suo impegno ad estendere il proprio ruolo politico all'interno della Comunità, l’Assemblea comune cercò di consolidare i meccanismi di controllo sull'Alta Autorità, quindi sicuramente il loro rapporto era di natura complessa. L’Assemblea mirava a controllare l'Alta Autorità per poter esercitare un'influenza più significativa sulle decisioni e sulla gestione della CECA. Voleva trasformare il sistema di governo della Comunità in una direzione più parlamentare, in contrasto con l'orientamento intergovernativo in atto, che si stava allontanando dall’impostazione sovranazionale di Monnet, soprattutto con la presidenza di Renè Mayer (’55 – ’58), eletto dopo Jean Monnet, Dalla Relazione annuale del 1953, emerse anche la necessità che il controllo dell'Alta Autorità da parte dell'Assemblea non si limitasse ad una valutazione a posteriori, ma dovesse includere una consultazione preliminare sugli indirizzi da seguire e le decisioni da prendere. Poiché all'Assemblea non erano stati conferiti compiti legislativi, le risoluzioni indirizzate all'Alta Autorità erano il principale strumento di intervento dell'Assemblea. Ma nello specifico, quale influenza ebbero le prese di posizione dell'Assemblea Comune sull'attività dell'Alta Autorità? In primo luogo, l'Alta Autorità ha recepito le critiche riguardo alla natura troppo tecnica e descrittiva della Relazione annuale, e ne modificò la struttura, inoltre sempre sotto richiesta dell’Assemblea, accettò di presentare una nota sul Bilancio della Comunità, che includesse le previsioni di entrate e spese per l'esercizio a venire Un ulteriore segnale di attenzione nei confronti dell'Assemblea è stata la decisione dell'Alta Autorità di confrontarsi con i parlamentari prima di attuare una nuova riduzione dell'imposta comunitaria. Nello specifico, il 9 aprile 1957, presentò il suo orientamento davanti a Tre commissioni riunite in seduta comune, così l'Assemblea non fu messa di fronte ad una decisione già presa come era accaduto in precedenza, consentendole di esprimere il proprio parere. Tuttavia, è importante sottolineare che l'Assemblea Comune non aveva poteri decisionali vincolanti sull'Alta Autorità. Nonostante la sua aspirazione ad esercitare una funzione di indirizzo, l'Assemblea doveva operare all'interno dei vincoli istituzionali definiti dal Trattato del ‘51. L'Alta Autorità manteneva il potere esecutivo, le spettavano le decisioni finali. Nonostante questa dinamica complessa, il rapporto tra l'Assemblea Comune e l'Alta Autorità ha contribuito ad un maggiore coinvolgimento democratico nella gestione della CECA. L'Assemblea infatti ha svolto un ruolo importante nel sollecitare l'attenzione dell'Alta Autorità su questioni sociali, economiche e finanziarie rilevanti per i paesi membri, ampliando così l'agenda politica della Comunità. Così, l'Alta Autorità ha sentito la necessità di confutare pubblicamente e con fermezza l'accusa di un insufficiente interesse nel campo d'azione sociale, dando maggiore spazio alla politica sociale nella Relazione generale annuale, dimostrando la sua volontà di essere più in sintonia con l'orientamento dei parlamentari. Ha infatti sviluppato programmi edilizi per gli operai, intensificato le ricerche sui salari e le condizioni di lavoro nella Comunità e dedicasse sempre più attenzione alla formazione professionale. SESSIONE DI ROMA Proprio al fine di accrescere l’interesse dei cittadini europei, un notevole contributo fu dato dall’Assemblea Comune con il proseguimento dell’esperienza delle sessioni in trasferta. Dal 27 – 29 giugno 1956, Enrico Carboni propose di convocare l’Assemblea a Roma. La sessione romana dell'Assemblea europea contribuì significativamente ad accrescere l'interesse dell'opinione pubblica nei riguardi dell'Assemblea stessa, i giornali italiani seguirono attentamente i lavori dell'Assemblea. L'impatto della sessione sui media fu estremamente positivo, e anche la stampa europea dedicò molto più spazio di quanto fosse solitA fare per le sessioni tenute a Strasburgo. Così l’attenzione dei media italiani ed europei verso la sessione di Roma testimoniò l'importanza attribuita al ruolo dell'Assemblea europea ed al processo di integrazione europea in generale. La presenza dell'Assemblea a Roma, con la partecipazione di parlamentari provenienti da vari Paesi europei, contribuì a suscitare interesse ed attenzione nei confronti delle istituzioni europee, e dei temi che venivano affrontati durante la sessione. Inoltre, il confronto diretto tra l'Assemblea ed il Consiglio speciale dei ministri rappresentò un momento significativo, in quanto permetteva di mettere in evidenza le divergenze di opinione e le sfide nel processo decisionale europeo. I giornali riportarono le diverse posizioni politiche espresse durante il dibattito, evidenziando le critiche mosse al Consiglio da parte del gruppo socialista, e le valutazioni più positive di democristiani e liberali. Complessivamente, la sessione romana generò un notevole interesse mediatico e contribuì a diffondere una maggiore consapevolezza sull'importanza dei temi affrontati dall'Assemblea stessa. L'attenzione dei media e l'ampio spazio dedicato alla sessione consolidarono l'immagine e la visibilità dell'Assemblea europea presso l'opinione pubblica europea, contribuendo a rafforzare il dibattito e l'interesse per l'integrazione europea. L’ULTIMA SESSIONE Dopo l’esperienza romana l'Assemblea Comune si riunì un’ultima volta a Strasburgo, dal 25 – 28 febbraio 1958. La sessione fu dedicata al bilancio dell'attività svolta ed alle prospettive per il futuro della CECA. Durante questa sessione, l'Assemblea affrontò diverse questioni di importanza, tra cui i processi di concentrazione tra imprese e la revisione del Trattato CECA. La nuova Assemblea ribadì il valore dell’autonomia dell’istituzione parlamentare, ed il 7 gennaio 1958 Robert Schuman fu eletto Presidente. Una questione di notevole importanza per l’Assemblea fu la scelta del nome da attribuirsi. L’Assemblea decise il 30 marzo 1962 di adottare il termine “Parlamento europeo” in tutte e quattro le lingue ufficiali della Comunità. EFTA L'EFTA (European Free Trade Association) l’Associazione Europea di Libero Scambio è un'organizzazione internazionale fondata nel 1960 da 7 paesi europei: Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Regno Unito, Svezia e Svizzera. L'obiettivo dell'EFTA era quello di promuovere la liberalizzazione del commercio e facilitare la cooperazione economica tra i suoi membri, per sviluppare relazioni commerciali più strette ed eliminare le barriere commerciali tra di loro. Nel corso degli anni, la composizione dell'EFTA è cambiata. Attualmente, i membri dell'EFTA sono Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. Questi paesi mantengono una cooperazione economica e commerciale tra di loro e con altri paesi, inoltre l'EFTA ha anche stabilito accordi di libero scambio con l'UE, e i suoi membri possono partecipare a vari programmi e iniziative dell'UE. PAC Il processo di integrazione europea nel settore agricolo affrontò numerosi ostacoli e contrasti di interesse tra i paesi membri della CEE. Inizialmente, l'agricoltura era stata regolata dai singoli Stati nazionali attraverso politiche di protezione e mercati altamente regolamentati, che rendevano difficile la creazione di un mercato comune agricolo basato sulla libertà di scambio. Già negli anni '50, i contrasti tra i paesi membri, come la Francia e la Repubblica Federale Tedesca (RFT), emersero chiaramente. La Francia, che esportava prodotti agricoli a prezzi non competitivi a livello mondiale, cercava di trovare un mercato di sbocco per le sue eccedenze all'interno della CEE. D'altra parte, la RFT dipendeva maggiormente dalle importazioni e cercava di ottenere approvvigionamenti più convenienti da produttori extracomunitari. Queste divergenze di interesse resero difficile raggiungere un accordo comune sulla politica agricola. Tuttavia, il Trattato di Roma del 1957 stabilì che l'armonizzazione delle politiche agricole nazionali sarebbe stata necessaria per la creazione di un mercato comune agricolo. I primi regolamenti della POLITICA AGRICOLA COMUNE (PAC) furono stabiliti nel 1962, con l'obiettivo di eliminare le restrizioni al commercio agricolo all'interno della CEE , e di allineare i prezzi praticati sui mercati nazionali. La PAC prevedeva anche il finanziamento, attraverso il Fondo europeo di orientamento e di garanzia agricola (FEOGA) per sostenere programmi di miglioramento strutturale, ed azioni di sostegno legate alla politica dei prezzi. Tuttavia, la politica di garanzia dei redditi agricoli, sebbene offrisse una maggiore protezione agli agricoltori, portò a una tendenza alla sovrapproduzione e ridusse gli incentivi per la diversificazione delle colture. Nel 1968, la Commissione europea tentò di introdurre una riforma radicale della PAC con il cosiddetto "Piano Mansholt", che prevedeva una profonda ristrutturazione dell'agricoltura comunitaria e l'apertura al mercato per aumentarne la redditività. Tuttavia, le proposte del Piano Mansholt incontrarono una forte resistenza da parte dei produttori agricoli, così il Consiglio dei ministri, mantenne invariati i caratteri fondamentali della PAC. Nonostante i suoi difetti, la PAC rimase un elemento significativo nel processo di integrazione europea e rappresentò una delle principali spese del bilancio comunitario. PIANO FOUCHET De Gaulle era inizialmente contrario all'integrazione europea, e criticò i Trattati di Roma, ma decise comunque di rispettare gli impegni assunti nei confronti della CEE per ragioni economiche e politiche. De Gaulle vedeva l'Europa come uno strumento per rafforzare l'influenza e l'autonomia della Francia nel contesto internazionale, però voleva che l'Europa rimanesse sotto il controllo dei singoli governi nazionali. Era contrario ad un'Europa federale o sovranazionale, e contestava l'organizzazione stessa della CEE, aveva una visione di un'Europa delle nazioni sovrane, in cui i paesi membri avrebbero mantenuto un alto grado di autonomia e indipendenza nazionale. Così nel 1961 presentò un suo progetto di organizzazione dell'Europa chiamato "PIANO FOUCHET", che prevedeva: - Una consultazione permanente tra i capi di Stato e di governo dei paesi membri. Si sarebbe dovuto istituire un CONSIGLIO composto dai Capi di Stato e di governo o dai Ministri degli Esteri dei paesi membri, il quale si sarebbe dovuto incontrare regolarmente. - Una Commissione politica permanente composta da DIPLOMATICI, che avrebbe preparato i lavori del Consiglio, e svolto funzioni consultive in vari settori della cooperazione europea. - Un’estensione delle competenze economiche dell'Unione, andando oltre l'esistente CEE per consentire una maggiore cooperazione economica tra i paesi membri. La proposta non ottenne grande successo, soprattutto da parte dei Paesi del Benelux contrari ad una diminuzione del potere della Commissione, considerata come la custode degli interessi dei piccoli Stati. Il vero punto di contesa non era tanto l'idea di un'Europa sovranazionale, ma le intenzioni di de Gaulle nei confronti di Stati Uniti e Gran Bretagna: La proposta del Piano Fouchet suscitò preoccupazioni all'interno della NATO perché il Piano Fouchet prevedeva anche la creazione di una politica estera e di sicurezza comune tra i paesi membri della CEE, che avrebbe potuto creare un'entità politica autonoma con una certa indipendenza rispetto agli Stati Uniti e alla NATO. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, alcuni osservatori interpretarono il Piano Fouchet come un tentativo da parte di de Gaulle di escludere la Gran Bretagna dalla cooperazione politica europea. Difatti De Gaulle vedeva la Gran Bretagna come un paese anglosassone legato in modo più stretto agli Stati Uniti, e poco interessato all'integrazione europea. Si sospettava che cercasse di creare un'Europa più indipendente che non coinvolgesse la Gran Bretagna. Tuttavia, de Gaulle mantenne le sue posizioni rigide, e nel 1962 presentò una nuova versione modificata del piano che non faceva più riferimento alla difesa europea o al sistema atlantico. Ci furono tentativi di mediazione, ma i governi del Belgio e dell'Olanda interruppero i negoziati. Altri paesi non erano entusiasti dell'idea di un'Europa guidata dalla Francia, e non volevano essere strumentalizzati per il rafforzamento del ruolo internazionale della Francia. Quindi il Piano non ottenne il sostegno unanime degli altri paesi della CEE, e i negoziati si interruppero senza un accordo finale. CRISI DELLA SEDIA VUOTA La crisi più grave del processo di integrazione europea dopo il fallimento della CED è sicuramente quella passata alla storia come “Crisi della sedia vuota”. Si verificò nel periodo tra il 30 giugno 1965 e 28 gennaio 1966, in cui il governo francese decise di boicottare le riunioni della CEE in risposta a una proposta di riforma del bilancio comunitario presentata dalla Commissione di Bruxelles. Nello specifico nel 1964 fu Walter Hallstein, Primo Presidente della Commissione europea ’58 – ‘67 a proporre un piano articolato per il finanziamento della PAC congiuntamente ad un ampliamento dei poteri del Parlamento europeo. Charles de Gaulle e Walter Hallstein si scontrarono varie volte a causa di divergenze politiche e di visioni sulla futura direzione dell'integrazione europea. De Gaulle, aveva una visione di un'EUROPA DELLE NAZIONI SOVRANE, in cui i paesi membri avrebbero mantenuto un alto grado di autonomia e indipendenza nazionale. Era critico nei confronti di una "sovranazionalità" e di un'eccessiva centralizzazione del potere decisionale nelle istituzioni comunitarie. Hallstein, invece, era un fervente sostenitore dell'integrazione europea e della creazione di un'UNIONE EUROPEA PIÙ FEDERALE E SOVRANAZIONALE. Come Presidente della Commissione Europea voleva promuovere una maggiore integrazione, ed estendere i poteri dell'istituzione che guidava, soprattutto rafforzando i poteri del Parlamento. Quindi la crisi ebbe origine quando la Commissione suggerì una riforma radicale del bilancio comunitario, che prevedeva l'assegnazione alla CEE di risorse proprie. Cioè i guadagni derivanti dalle tasse doganali agricole, e delle tariffe comuni sugli altri beni importati, sarebbero stati devoluti alla Comunità, garantendo entrate autonome per finanziare le attività dell'organizzazione. Il governo francese reagì in modo negativo alla proposta; l'autonomia finanziaria e la delega di maggiori poteri al Parlamento europeo evocavano l'immagine sgradita del federalismo e della sovranazionalità. Come protesta contro queste proposte, il governo francese iniziò a disertare le riunioni della CEE. Durante le riunioni ufficiali del Consiglio dei ministri, la sedia del Rappresentante francese rimase vuota, da cui il termine "crisi della sedia vuota". Questo atto simbolico mirava a dimostrare il disaccordo della Francia con la direzione che stava prendendo l'integrazione europea. Comunque, molti governi non erano favorevoli ad accrescere l'autorità della Commissione, e si preoccupavano della distribuzione diseguale degli oneri finanziari associati alla PAC, specialmente per paesi come l'Italia e la RFT, che erano importatori netti di prodotti agricoli. La situazione si aggravò ulteriormente quando, a partire dal 1° gennaio 1966, il Consiglio dei ministri avrebbe potuto prendere decisioni a maggioranza qualificata secondo il Trattato di Roma, anziché richiedere l'unanimità. Ciò significava che la Francia non avrebbe più potuto bloccare le decisioni. Ci furono divergenze di interpretazione per quanto riguarda il voto a maggioranza, con il governo francese che sosteneva la necessità di conclusioni unanimi, mentre gli altri cinque paesi non escludevano la possibilità di deliberare anche di fronte al dissenso di una minoranza. La crisi si concluse con il cosiddetto "COMPROMESSO DI LUSSEMBURGO", raggiunto il 29 gennaio 1966, che stabilì che la Commissione avrebbe dovuto sottoporre in futuro ogni proposta di particolare importanza all'esame preliminare dei governi nazionali, riducendo così la sua autonomia decisionale. Inoltre, si decise che il Consiglio dei ministri avrebbe dovuto fare ogni sforzo per raggiungere deliberazioni accettate da tutti i partner. La crisi della sedia vuota ebbe un impatto significativo sul processo di integrazione europea, rivelò le divisioni e le difficoltà nel bilanciare gli interessi nazionali e sovranazionali all'interno della CEE. ➳ In tutto ciò nel 1967, la CECA fu oggetto di importanti cambiamenti istituzionali. Difatti venne attuato il TRATTATO SULLA FUSIONE DEGLI ESECUTIVI, noto anche come “TRATTATO DI BRUXELLES”, il 1° luglio 1967. Mirava ad unire le istituzioni delle tre Comunità europee esistenti all'epoca: la CECA, la CEE e l’ EURATOM. Prevedeva l'abolizione delle istituzioni separate delle tre Comunità, e l'istituzione di una COMMISSIONE UNICA, responsabile delle politiche comuni di tutte e tre le comunità. La fusione mirava a migliorare l'efficienza e la coerenza delle istituzioni europee, semplificando le procedure decisionali e creando una struttura comune per la gestione delle tre Comunità. RILANCIO DELL’AIA – 1969 Dagli anni '60, il rispetto delle disposizioni del Trattato di Roma aveva dato slancio al processo di integrazione europea. Tuttavia, dopo il 1968, diventò evidente che la mera adesione al Trattato non era sufficiente per promuovere ulteriori progressi. Era necessario così superare i confini originali del Trattato di Roma e della CEE. Il percorso che la CEE avrebbe intrapreso dipendeva principalmente dalle scelte del governo francese, che fino ad allora aveva rallentato le tendenze innovative. Dopo il ritiro di De Gaulle dal potere nel 1969, la politica europea della Francia subì importanti cambiamenti. Il nuovo presidente Pompidou ritenne insostenibile la posizione assunta da de Gaulle all'interno della CEE. Così appena eletto, annunciò un programma che può essere riassunto con 3 parole chiave: COMPLETAMENTO, della costruzione comunitaria in corso, APPROFONDIMENTO dell’integrazione, attraverso l’inclusione di nuovi settori nella Comunità, ed ALLARGAMENTO della CEE ai paesi che avevano presentato domanda di adesione. Su iniziativa di Pompidou, fu convocato un incontro dei Capi di Stato e di Governo dei Sei all’AIA nel 1969, per dare nuovo slancio all'integrazione. Durante questo incontro, furono prese tre decisioni principali: - L'accordo sul finanziamento del bilancio comunitario tramite "risorse proprie"; (Completamento). - L'avvio dei negoziati con il Regno Unito e gli altri paesi candidati; (Allargamento). - L’impegno ad elaborare un piano per l'Unione economica e monetaria tra i paesi della CEE. (Approfondimento) Nello specifico, il progetto di quest’ultimo fu commissionato prima del Vertice dell’Aia, a PIERRE WERNER primo ministro del Lussemburgo. Il progetto prevedeva tre fasi: l'armonizzazione delle politiche economiche nazionali, procedure coordinate di intervento sulle valute ed, eventualmente, la creazione di una MONETA COMUNE. Ma, la crisi monetaria, innescata dalla decisione del Presidente Nixon di sospendere la convertibilità del dollaro in oro, portò ad un aumento delle fluttuazioni dei cambi a livello mondiale. I paesi della CEE cercarono di resistere creando un'area europea di stabilità chiamata "serpente", per stabilizzare i tassi di cambio delle rispettive valute, ma la crisi colpì i paesi membri in momenti economici diversi. Le fluttuazioni dei tassi di cambio e le pressioni speculative divennero sempre più intense, portando infine al suo collasso nel 1973. In questo contesto, il percorso verso l'unione monetaria si interruppe e il piano Werner fu archiviato. In conclusione, il Piano Werner fallì a causa delle differenze economiche e politiche tra i paesi membri, dei problemi monetari e finanziari dell'epoca, della mancanza di volontà politica e dei problemi istituzionali legati all'attuazione del progetto. Pompidou si rese conto che la continua opposizione all'ingresso britannico nella CEE avrebbe indebolito la posizione contrattuale della Francia nelle decisioni definitive sui meccanismi finanziari della PAC. Ricordiamo che la richiesta di adesione della Gran Bretagna alla CEE fu rifiutata più volte (1961 e 1967 - 1973) per: SCETTICISMO BRITANNICO, a causa della sua diffidenza nei confronti di un'Europa basata su cessioni di sovranità nazionale. Per il suo PROTEZIONISMO AGRICOLO: il sistema agricolo britannico era basato su politiche protezionistiche, mentre la PAC era incentrata su sovvenzioni (pagamenti diretti agli agricoltori per sostenere la loro produzione e reddito) e quote di produzione (limiti imposti sulla quantità di prodotti agricoli che potevano essere prodotti o commercializzati da un paese all'interno della CE). Queste differenze hanno creato difficoltà nel trovare un accordo sul settore agricolo tra il Regno Unito e gli Stati della CEE. Per i PROBLEMI ECONOMICI E FINANZIARI: Durante i primi tentativi di adesione negli anni '60 e '70, il Regno Unito affrontava problemi economici e finanziari, inclusa una crisi della sterlina. Così alcuni paesi membri della CEE temevano che l'adesione britannica potesse pesare sul bilancio comunitario e creare instabilità economica. OSTILITÀ POLITICA: Il presidente francese Charles de Gaulle era particolarmente ostile all'adesione britannica, riteneva che la GB non avesse un reale volontà di impegnarsi nell’integrazione europea, e temeva che la sua adesione avrebbe comportato una destabilizzazione della CEE, e che avrebbe agito come una sorta di “cavallo di Troia”, di influenza negativa degli Stati Uniti all’interno della CEE. De Gaulle ha infatti usato il veto per bloccare le richieste britanniche di adesione nel 1963 e nel 1967. Al contrario, Pompidou riteneva che l'inclusione della Gran Bretagna nella dinamica europea potesse favorire la Francia nel confronto con la crescita della RFT. Pertanto, furono superate le posizioni di de Gaulle, sebbene Pompidou rimanesse fedele ad altri aspetti dell'eredità del suo predecessore, come il rifiuto di sviluppi sovranazionali, o la rivendicazione dell'autonomia europea rispetto agli Stati Uniti. Il 1969 segnò sia la fine del governo di de Gaulle, ma anche l'arrivo di un cancelliere tedesco socialdemocratico, Willy Brandt. La sua azione internazionale, volta alla normalizzazione dei rapporti con i paesi dell'Est cambiò il significato strategico della partecipazione tedesca alla costruzione europea. Alla fine la GB entrò nella CEE il 1º gennaio 1973. Commissione Europea, presentò un discorso fondamentale in cui delineò la sua visione sull'integrazione economica e monetaria dell'Unione Europea. Il Libro Bianco di Delors presentava una visione strategica per l'integrazione economica dell'UE e ha svolto un ruolo importante nel preparare il terreno per l'Atto Unico, fornendo una serie di raccomandazioni e proposte per l'integrazione economica europea. Tra gli obiettivi principali c’era la realizzazione di un mercato unico europeo entro il 1992, per eliminare le barriere commerciali tra gli Stati membri e favorire la libera circolazione di merci, servizi, capitali e persone. Il Libro Bianco ha sottolineato l'importanza dell'armonizzazione delle normative e delle politiche economiche tra gli Stati membri per raggiungere una maggiore integrazione. Il libro bianco così, stabilisce le tappe del processo d'integrazione a partire dal 1985 in cui vengono scanditi i tempi e le procedure che sostanzialmente porteranno nel 1993 al completamento del Mercato Unico, e all'avvio della fase di preparazione dell'Unione Economica e Monetaria, alla costruzione della moneta unica (Euro) e poi all'allargamento di nuovi paesi. ATTO UNICO EUROPEO Per poter parlare dell’ATTO UNICO EUROPEO, è necessario fare un passo indietro e nominare il Consiglio europeo di Milano, avvenuto nel giugno 1985, un incontro importante che ha contribuito alla conclusione dei negoziati per l’AUE. In questa occasione, furono discussi i rapporti del Comitato Dooge, insieme a quello del Comitato Adonnino. Il rapporto Dooge elencava tutti i grandi obiettivi della futura Unione europea, dalla creazione di una "comunità tecnologica" basata sulla formazione e la ricerca, al potenziamento dello SME attraverso un coordinamento delle politiche economiche, di bilancio e monetarie. Venne proposta anche la creazione di uno spazio giuridico comune per la lotta contro il crimine e la tutela delle libertà fondamentali. Il Comitato Dooge propose inoltre la riduzione del voto ad unanimità a poche materie, con la reintroduzione del voto a maggioranza come standard, il rafforzamento dell’autorità della Commissione, la partecipazione del Parlamento stesso al processo legislativo comunitario, ed il potenziamento della cooperazione politica sotto la guida di un apposito segretario. Possiamo quindi affermare che i lavori dei due Comitati hanno fornito importanti contributi alla discussione che ha portato all’Atto Unico Europeo. Così durante il Consiglio europeo di Milano, i leader dei paesi membri dell'UE hanno discusso e negoziato le questioni chiave relative all'approfondimento dell'integrazione europea. In particolare, si è raggiunto un consenso sui principali aspetti dell'Atto Unico Europeo, tra cui l'introduzione del Mercato Unico, la cooperazione politica estera e la procedura di maggioranza qualificata. In questo contesto il Primo ministro britannico Margaret Thatcher sosteneva i progressi sulla via dell’apertura dei mercati, era infatti disposta a sottoscrivere un Trattato che sancisse la cooperazione tra i governi nel campo della politica estera. Ma, rifiutava innovazioni istituzionali che avrebbero esteso le competenze degli organi comunitari a scapito dell’autonomia dei governi nazionali. La Thatcher quindi non era contraria al mercato unico, quello che non sopportava era il contorno, le riforme istituzionali e le politiche aggiuntive. Si opponevano in realtà anche il governo greco e quello danese. Fu proposto così di convocare una Conferenza intergovernativa (CIG), con il compito di preparare il testo di un nuovo Trattato, destinato ad aggiornare quello di Roma. L’iniziativa fu presa dalla Presidenza del Consiglio europeo, che all’epoca era italiana con Craxi, e Ministro degli esteri Andreotti. Così Craxi che presiedeva la riunione, mise ai voti la proposta di indire una CIG per la preparazione di un Trattato sulla cooperazione nella politica estera e di sicurezza, e per la definizione delle modifiche ai Trattai vigenti. Per la prima volta un Consiglio europeo registrò la divisione tra maggioranza e minoranza, e la proposta passò. Craxi utilizzò il suo decisionismo contro la Thatcher aiutato da Andreotti, e aprì la strada all’Atto Unico europeo. Grazie all’iniziativa italiana così fu messa in minoranza. Ciò portò alla firma, il 17 febbraio 1986, dell’ATTO UNICO EUROPEO, così detto perché su proposta della Commissione, comprendeva vari aspetti, come quelli relativi al mercato, alle politiche comunitarie , alle istituzioni della CEE, comprese le disposizioni sulla cooperazione nella politica estera. Tutto ciò fu raccolto in un documento unico, anziché essere oggetto di trattati distinti. L’AUE confermò il termine del 1992 per l’apertura del mercato interno, definito “uno spazio senza frontiere” in cui merci, persone, servizi e capitali avrebbero circolato liberamente. Questo entrò in vigore il 1º luglio 1987. È stato il risultato di un lungo processo di negoziazione tra gli stati membri dell'UE, ed ha rappresentato un passaggio fondamentale verso la creazione del mercato unico europeo. L'obiettivo principale dell'Atto Unico era quello di eliminare le barriere commerciali tra i paesi membri, promuovendo la libera circolazione delle merci, dei servizi, delle persone e dei capitali all'interno dell'UE. Nello specifico ha abolito le restrizioni al commercio tra gli stati membri, inclusi i dazi doganali e le misure non tariffarie; ha promosso la libertà di stabilimento per le imprese, e facilitato la prestazione dei servizi all'interno dell'UE; ha introdotto il principio della libera circolazione delle persone, consentendo ai cittadini dell'UE di vivere e lavorare in qualsiasi stato membro dell'UE; ed ha abolito le restrizioni sui movimenti di capitali tra gli stati membri, agevolando gli investimenti e la cooperazione finanziaria all'interno dell'UE. Per quanto riguarda la cooperazione politica, l’AUE si limitò a dare forma giuridica alla prassi delle consultazioni periodiche tra i paesi membri, a cui da qualche tempo era stata associata anche una Commissione: fu istituito un segretario, con sede a Bruxelles, ma non si fece nessun passo avanti verso una politica estera comune, né verso iniziative congiunte nel campo della difesa. L’AUE, infine, ampliò l’estensione del raggio d’azione della CEE ad aree non previste dal Trattato di Roma , ma che in modo informale già erano entrate nell’agenda comunitaria, come ad esempio la ricerca e lo sviluppo tecnologico, l’ambiente e la politica regionale. L’andamento della CIG suscitò varie prese di posizioni polemiche del Parlamento, che rimproverò ai governi di aver agito senza considerare la sola istituzione comunitaria legittimata dal suffragio universale, prima insabbiando il progetto del Trattato che il Parlamento aveva approvato nel 1984, poi mancando di discutere con il Parlamento stesso il testo elaborato nel corso della CIG. Quanto al contenuto dell’AUE, il Parlamento lo giudicò insoddisfacente, soprattutto considerando il progetto Spinelli e le proposte del Comitato Dooge. In questo contesto l’anti-Spinelli, portatore di una strategia alternativa per portare avanti l’integrazione, fu Jacques Delors, il Presidente della Commissione europea (1985 – 1995). Dalla formulazione del Libro bianco alla CIG, fino alla preparazione delle misure legislative che scandirono il cammino verso il 1992, la Commissione fu il motore della riforma della CEE. L’instaurazione del mercato unico fece breccia nell’opinione pubblica: autorità politiche, imprese industriali e commerciali, gestori di servizi finanziari, avvertirono la sfida della concorrenza senza frontiere. “Prepararsi al mercato unico” divenne un’espressione utilizzata spesso nella comunicazione politica e pubblicitaria, e la data limite del 1992, quasi si trattasse di un anno zero, anche troppo enfatizzata, conquistò l’immaginazione collettiva. Per la prima volta si diffuse a livello di massa una vaga nozione di quanto i legami dell’integrazione condizionassero i meccanismi delle economie nazionali e quindi, indirettamente, tutta la popolazione. ACCORDO DI SCHENGEN L'Accordo di Schengen è un accordo firmato il 14 giugno 1985 nella città di Schengen, in Lussemburgo, dai Paesi dei Benelux (Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo), la RFT, e la Francia per la creazione di uno spazio senza frontiere interne. L'obiettivo principale dell'Accordo di Schengen è stato eliminare i controlli (doganali e di immigrazione) alle frontiere interne tra gli Stati membri partecipanti, consentendo la libera circolazione delle persone all'interno di questa zona. Attualmente, 27 paesi partecipano all'Accordo di Schengen, inclusi 23 Stati membri dell'UE, e 4 paesi associati non membri dell'UE: Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein. Ciò significa che le persone possono viaggiare liberamente all'interno di questa area senza bisogno di passaporti o visti. Inoltre, l'Accordo prevede anche una cooperazione in materia di sicurezza e giustizia, inclusi il coordinamento delle politiche dei visti, il rafforzamento della cooperazione tra le forze dell'ordine, e la condivisione delle informazioni sui criminali e sulle minacce alla sicurezza. Successivamente, la Convenzione di Schengen completò l’accordo, è stata firmata dagli stessi cinque paesi il 19 giugno 1990 ed è entrata in vigore nel 1995. L’accordo e la convenzione, congiuntamente agli accordi e alle norme connessi, formano insieme «L’ACQUIS DI SCHENGEN», che è stato integrato nel quadro dell’Unione nel 1999, divenendo legislazione comunitaria. COMITATO DELORS Sebbene il mercato unico fosse un obiettivo in linea con i precedenti sviluppi dell’integrazione, tuttavia all’atto pratico si rivelò ben più che un mero completamento del mercato comune, e la sua attuazione aprì nella CEE un periodo di innovazioni accelerate, la prima delle quali consistette nella ripresa del Programma di unione economica e monetaria abbandonato alla metà degli anni ‘70. In quest’ottica quindi procedere verso forme complete di unione monetaria sembrava opportuno per prevenire il rischio di un ritorno all’instabilità degli anni appena trascorsi. In quest’ottica, il 27 giugno 1988 vi fu il Consiglio europeo di Hannover, il quale costituisce il vero punto di svolta nel processo di integrazione economica e monetaria europea. Nel corso di questo vertice i Capi di Stato e di governo decidono di affidare ad un COMITATO DI ESPERTI, presieduto da Jacques Delors, Presidente della Commissione europea, il compito di studiare e proporre tappe concrete per giungere all'Unione economica e monetaria. Questo comitato di studio era caratterizzato dalla presenza dei governatori delle banche centrali dei Dodici, in totale erano 16 membri. Il rapporto finale del Comitato, comunemente conosciuto come “RAPPORTO DELORS” (I) fu consegnato ai Ministri dell’economia e delle finanze, al Consiglio europeo di Madrid del 28 giugno 1989, e prospettava il completamento dell’Unione monetaria in tre tappe, in analogia al Piano Werner del ’70: 1. FASE DI CONVERGENZA: questa fase prevedeva il rafforzamento della cooperazione economica tra i paesi membri, il coordinamento delle politiche economiche, e l'adozione di misure per garantire la stabilità dei cambi. 2. FASE DI TRANSIZIONE: in questa fase, si sarebbe passati a una maggiore integrazione monetaria, attraverso la creazione di una Banca centrale europea e l'introduzione di una moneta unica. 3. FASE FINALE: l'obiettivo finale era l'adozione completa dell'UEM, con l'eliminazione delle valute nazionali e l'introduzione dell'euro come moneta unica in tutti i paesi membri. Nello specifico, l’obiettivo finale era l’irreversibilità dei tassi di cambio tra le valute comunitarie: l’adozione di una moneta unica era auspicata, ma non era considerata indispensabile. Il passaggio ad una politica monetaria unica era invece parte essenziale della proposta. Era altresì contemplata l’introduzione di norme vincolanti per contenere entro limiti prefissati i deficit pubblici dei singoli Stati, cioè quando le uscite superano le entrate ed il bilancio è negativo. Il Rapporto Delors suggeriva infine la convocazione di una CIG per la preparazione di un Trattato che desse veste giuridica all’Unione economica e monetaria. Le resistenze maggiori a queste proposte vennero dalla Gran Bretagna, e le linee generali del Rapporto Delors sono state infine recepite dal TRATTATO DI MAASTRICHT che ha istituito l’UEM. In conclusione, il Rapporto Delors ha avuto un impatto significativo sul processo di integrazione europea, ha fornito una visione chiara e dettagliata dell'Unione economica e monetaria, ed ha gettato le basi per i successivi sviluppi verso l'adozione dell'EURO. RIUNIFICAZIONE TEDESCA Dopo la Caduta del muro di Berlino il 9 novembre 1989 il confronto nella CEE sul futuro del processo di integrazione era legato alla progettazione di un nuovo assetto dell'Europa. Un punto costante fu la permanenza della questione tedesca al centro della scena. Difatti, caduto il muro, il governo della RFT prese ad operare con determinazione in vista di una rapida riunificazione nazionale, suscitando preoccupazioni non solo nell'est europeo, ma anche in Francia e in Gran Bretagna. Allora l'Occidente tornò a preoccuparsi dell'aumento della potenza tedesca, e dell'eventualità che fosse posta al servizio di politiche unilaterali, col rischio di una destabilizzazione dell'Europa centro - orientale, di contraccolpi nell'URSS, o di un allentamento dei legami tra la Germania ed il sistema difensivo Atlantico. Gran Bretagna e Francia furono subito in disaccordo su come fronteggiare la situazione. Il primo ministro Margaret Thatcher riteneva che Francia e Gran Bretagna dovessero fare da contrappeso al dinamismo tedesco. Al contrario, il Presidente francese François Mitterrand voleva approfondire l’integrazione per ammortizzare l'urto della riunificazione tedesca, facendo in modo che la nuova Germania prendesse vita all'interno di una più compatta organizzazione comunitaria. Il cancelliere tedesco Helmut Kohl capì la situazione, ed offrì l'impegno tedesco nel raggiungimento dei traguardi da tempo prefissati dalla CEE. Così, al primo Consiglio europeo dopo la caduta del muro, nel dicembre 1989 a Strasburgo, il governo della RFT mise fine ai precedenti tentennamenti, ed aderì alla proposta francese di fissare una data limite per l'inizio della CIG che avrebbe dovuto elaborare il Trattato sull'Unione economica e monetaria. Solo la Gran Bretagna si dichiarò contraria. Dal riavvicinamento franco – tedesco scaturì la proposta di tornare ad affrontare il tema dell'Europa politica, e di indire una CIG dedicata espressamente a quello scopo, in modo da attuare finalmente la trasformazione della relazione tra i Dodici in una Unione Europea, elevando così il grado di coesione politica. Il progetto era quindi quello di una riorganizzazione dell'Europa, ispirata non solo dal proposito di avviare una cooperazione tra le due metà del continente prima contrapposte, ma anche dal timore che il recupero dell'autonomia nazionale da parte degli Stati dell'Est potesse risolversi in un ritorno all'instabilità ed alle rivalità nazionalistiche, proprie di quella parte d'Europa nel periodo tra le guerre mondiali. Il Consiglio europeo accolse l'invito della Francia e della RFT, e decise la convocazione di una CIG sui temi politici e istituzionali con l'obiettivo della COSTITUZIONE DELL'UNIONE EUROPEA. Ci fu come al solito l'opposizione della Gran Bretagna. Alla successiva riunione del consiglio la Thatcher provò di nuovo a bloccare il treno in corsa. Tuttavia, i suoi oppositori sfruttarono l'isolamento del Regno Unito in Europa per attaccare la sua posizione. Nonostante le resistenze iniziali, alla fine la Gran Bretagna accettò di partecipare alla CIG, ed il suo posto fu preso da John Major. A differenza della Thatcher, Major adottò un approccio meno ostile nei confronti della Germania, e si dimostrò più favorevole all'approfondimento dell'integrazione europea. La CIG si rivelò un momento cruciale per definire gli assetti politici e istituzionali dell'Unione Europea, aprendo la strada a una nuova fase dell'integrazione europea. TRATTATO DI MAASTRICHT Il Trattato di Maastricht, ufficialmente noto come Trattato sull'Unione Europea (TUE), è stato firmato il 7 febbraio 1992 nella città olandese di Maastricht, ed è entrato in vigore il 1º novembre 1993. Il trattato ha svolto un ruolo fondamentale nel consolidamento e nello sviluppo dell'Unione Europea, aprendo la strada alla creazione dell'Unione Economica e Monetaria. Difatti, le trattative si concentrarono principalmente attorno a tre temi: l’Unione economica e monetaria; la Politica estera e di sicurezza comune; la Natura l’assetto dell’UE. Vediamo nello specifico le diverse tappe significative: 1. UNIONE ECONOMICA E MONETARIA (UEM): Il trattato ha stabilito i fondamenti dell'UEM, sottolineando l'obiettivo di una moneta unica. Si è deciso che i tassi di cambio tra le valute comunitarie sarebbero diventati immodificabili, e che una Banca Centrale Europea (BCE) indipendente sarebbe stata responsabile della politica monetaria. 2. POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA COMUNE (PESC): Il trattato ha istituito la PESC, che mirava a sviluppare una politica estera e di sicurezza comune tra gli Stati membri. Tuttavia, rimaneva un'azione sostanzialmente intergovernativa, 2. CRITERIO ECONOMICO: I paesi candidati devono avere un'economia di mercato funzionante e la capacità di far fronte alle pressioni competitive ed alle forze del mercato all'interno dell'UE. Ciò richiede l'adozione e l'attuazione delle riforme economiche, compresa la liberalizzazione del commercio, la stabilità macroeconomica e l'allineamento alle norme e agli standard dell'UE. 3. CRITERIO DELL'ACQUIS COMUNITARIO: I paesi candidati devono dimostrare la capacità di recepire e attuare l'acquis comunitario, che comprende tutte le leggi, le norme e i regolamenti dell'UE. Devono essere in grado di adattare le proprie legislazioni nazionali per conformarsi alle disposizioni dell'UE, e devono sviluppare le istituzioni e le capacità amministrative necessarie per implementare l'acquis. Quindi, prima che un paese possa diventare membro, deve dimostrare di soddisfare questi criteri attraverso negoziati e revisioni da parte dell'UE. L'obiettivo di tali criteri è garantire che i paesi candidati abbiano stabilità politica, rispetto dei diritti umani e un'economia solida, in modo da poter contribuire in modo significativo alla costruzione di un'Europa unita e condividere i valori e gli obiettivi dell'UE. Così avvenne il 5° ALLARGAMENTO, ed il 16 aprile 2003 fu firmato il Trattato di Atene, cioè il Trattato di adesione tra i 15 membri UE ed i 10 aderenti, entrato in vigore il 1º maggio 2004. I negoziati per l’allargamento del 2004 furono l’impegno più arduo a cui la Commissione europea, di cui Romano Prodi era Presidente dovette far fronte. Così 9 anni dopo l’enunciazione dei “Criteri di Copenaghen” con cui aveva preso avvio il progetto del grande allargamento, il Consiglio europeo ammise : Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia ed Ungheria. TRATTATO DI AMSTERDAM Nel marzo 1996 si è aperta a Torino la CIG per la revisione del Trattato di Maastricht, in vista dell’allargamento dell’Unione Europea. L’obiettivo era quello di riformare le istituzioni europee, per permettere il funzionamento di un’Unione Europea con un numero di Stati più che doppio rispetto a quelli del Trattato di Maastricht. Nacque così il successivo Trattato di Amsterdam che modificò il Trattato di Maastricht, i Trattati di Roma e alcuni atti connessi. È stato firmato il 2 ottobre 1997 ed è entrato in vigore il 1º maggio 1999. Il Trattato di Amsterdam ha introdotto una serie di importanti modifiche ed aggiornamenti per migliorare il funzionamento e l'efficacia dell'UE. Alcuni degli aspetti principali del trattato includono: 1. AMPLIAMENTO DELLE COMPETENZE DELL'UE: Il Trattato ha ampliato l'ambito delle competenze dell'UE in settori come l'occupazione, la politica sociale, la lotta contro la discriminazione, l'ambiente, la sanità pubblica e la cooperazione giudiziaria e di polizia. 2. RAFFORZAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO: Il Trattato ha aumentato i poteri del Parlamento Europeo, consentendogli di partecipare attivamente al processo legislativo, e di esercitare un maggiore controllo democratico sulle decisioni dell'UE . Il Parlamento ha anche acquisito il diritto di approvare la nomina del Presidente della Commissione. 3. RIFORMA DELLE ISTITUZIONI DELL'UE: Il Trattato ha apportato modifiche alle istituzioni dell'UE per migliorarne l'efficienza e la trasparenza. Ad esempio, ha stabilito la figura di un Alto Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune, per dare una maggiore visibilità esterna all’azione diplomatica dell’UE. 4. COOPERAZIONE RAFFORZATA: Il Trattato ha introdotto il concetto di "cooperazione rafforzata", che consente ad un gruppo di Stati membri di procedere avanti con l'integrazione in settori specifici anche se tutti gli Stati membri non sono d'accordo. In quest’ottica il Trattato di Amsterdam ha quattro grandi obiettivi: • Porre l’occupazione e i diritti dei cittadini come punto focale dell’Unione. • Eliminare gli ultimi ostacoli alla libera circolazione, e rafforzare la sicurezza. • Permettere all’Europa di esercitare una maggiore influenza sulla scena mondiale. • Rendere più efficace l’architettura istituzionale dell’Unione in previsione del prossimo ampliamento. Quindi, il Trattato di Amsterdam ha rappresentato un importante passo avanti nell'evoluzione dell'UE, inaugurando un’Europa più democratica e sociale, preparandola per l'allargamento a nuovi membri, e rafforzando la sua capacità di affrontare sfide comuni. Successivamente è stato sostituito dal Trattato di Lisbona nel 2009, che ha ulteriormente modificato e consolidato il quadro istituzionale dell'UE. BCE – EURO Ovviamente, la storia della BCE è strettamente legata all'evoluzione dell'Unione Europea, ed alla creazione di una moneta unica europea. Per quanto riguarda il progetto di un’Unione economica e monetaria, si portò avanti l’attività progettata nel Trattato di Maastricht di creazione della BANCA CENTRALE EUROPEA. È stata istituita ufficialmente il 1º giugno 1998, in seguito all'entrata in vigore del Trattato di Maastricht nel novembre 1993. La BCE è diventata l'istituzione centrale responsabile della politica monetaria dell'UE e dell'introduzione dell'EURO come moneta unica. L'idea di creare una Banca centrale comune per l'Europa emerse già negli anni '70 come parte del processo di integrazione economica europea. Nel corso degli anni, furono compiuti progressi verso la creazione di una moneta unica europea, che culminarono con il Trattato di Maastricht. Secondo quest’ultimo, l'obiettivo principale della BCE è quello di garantire la stabilità dei prezzi nell'area dell'EURO, e prendere decisioni sulla politica monetaria, per mantenere un livello di inflazione basso e stabile nell'area dell'EURO. Uno dei primi compiti della BCE fu stabilire i criteri di convergenza per l'adesione all'EURO. Questi criteri comprendevano requisiti riguardanti l'inflazione, il deficit di bilancio, il debito pubblico, la stabilità dei tassi di cambio e la convergenza dei tassi di interesse a lungo termine. Nel 1999, 11 paesi dell'UE (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna) aderirono all'EURO come moneta unica, la quale divenne una moneta scritturale utilizzata per transazioni e contabilità. In seguito, nel 2002, l'EURO fu introdotto materialmente come moneta fisica, sostituendo le valute nazionali nei paesi aderenti. Da allora, altri paesi si sono uniti all'area dell'EURO, portando il numero totale di paesi aderenti a 20 (su 27). La BCE è indipendente dai governi degli Stati membri dell'UE, ed opera in modo autonomo attraverso il Consiglio direttivo, composto dai membri dell'Eurosistema, che includono i governatori delle banche centrali nazionali degli Stati membri dell'area dell'EURO. Il Consiglio direttivo prende decisioni sulla politica monetaria, compresa la fissazione dei tassi di interesse e l'attuazione di misure di politica monetaria. La BCE svolge anche un ruolo di supervisione bancaria attraverso la Vigilanza Bancaria Europea, responsabile della sorveglianza delle principali banche nell'area dell'EURO, al fine di garantire la stabilità finanziaria. Negli anni successivi, la BCE ha continuato a svolgere un ruolo chiave nella gestione dell'EURO e nella promozione della stabilità economica e finanziaria nell'UE. Ha affrontato diverse sfide, tra cui la crisi finanziaria del 2008 e la crisi del debito sovrano (o crisi della zona euro) nel 2010 – 2012. La BCE ha dovuto adottare misure straordinarie, come politiche di allentamento quantitativo (acquisti di asset finanziari), per sostenere l'economia e preservare la stabilità finanziaria durante questi periodi difficili. Difatti l’unica istituzione che nel vortice della crisi si dimostrò in grado di assumere decisioni fu proprio la BCE, che con la scelta di operare sul mercato dei titoli di Stato per arginare la speculazione, non solo riuscì a raggiungere il risultato voluto, ma si rivelò capace di fronteggiare situazioni impreviste con intraprendenza. E sempre grazie all’impulso della BCE abbiamo un importante novità, cioè il progressivo stabilimento a partire dal 2013 di un’ Unione bancaria, che prevedeva il conferimento alla BCE di compiti di supervisione, sia sull’operatività dei maggiori istituti di credito nazionali, sia su eventuali azioni di salvataggio di questi stessi istituti. ➳ I Facendo un passo indietro, nei governi vi era consapevolezza che dopo il grande passo avanti compiuto con l’avvio dell’EURO vi era un’esigenza di riequilibrio, anche per rafforzare la credibilità della stessa moneta europea: occorreva cioè potenziare il profilo politico dell’UE e renderne più efficace l’azione oltre l’ambito economico-monetario. Così in questa direzione furono realizzati due processi ambiziosi dal Consiglio europeo di Colonia del 1999. - Il primo fu la realizzazione della CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UE, nota anche come “CARTA DI NIZZA”, che raccolse in un documento unico l’insieme dei diritti riconosciuti nell’UE, in modo da dimostrare che il processo di integrazione fosse collegato alla creazione di una comune identità civile, e che traesse legittimità proprio dalla tutela dei diritti. - L’altra iniziativa aprì la via a una Politica europea di sicurezza e di difesa, basata per la prima volta su una capacità operativa autonoma dell'UE sul terreno militare. Si stabilì che entro i primi anni del nuovo secolo l’UE avrebbe dovuto essere in condizione di schierare una forza militare “di reazione rapida” dell'ordine di 60.000 unità. Fu subito però necessario rassicurare gli USA, timorosi di ripercussioni negative sull'efficienza della NATO e tradizionalmente sospettosi verso i progetti europei in materia di difesa, non a caso si sottolineò anche l'importanza della complementarità tra l'UE e la NATO. CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA La CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UE, nota anche come “CARTA DI NIZZA”, raccolse in un documento unico l’insieme dei diritti riconosciuti nell’UE, in modo da dimostrare che il processo di integrazione fosse collegato alla creazione di una comune identità civile, e che traesse legittimità proprio dalla tutela dei diritti. Questa fu proposta dal Ministro degli Esteri tedesco Joschka Fisher (1998 – 2005). Il Consiglio europeo di Colonia accolse l’idea di formare un organo incaricato di redigere una Carta dei diritti fondamentali, ma per quanto riguarda la composizione non la si voleva limitare ai Parlamenti nazionali ed europei, introducendo così anche dei rappresentanti dei governi nazionali. Si decise così di creare quest’organo, poi denominatosi “CONVENZIONE” composto dai rappresentanti di queste quattro entità: Parlamenti nazionali (30), Parlamento europeo (16), Governi nazionali (15), Commissione europea. Si trattò di una novità, perché fino ad orano non si erano mai realizzate istituzioni di questa natura. Furono inclusi anche alcuni osservatori della Corte di Giustizia e del Consiglio d'Europa. Inoltre si decise che fosse la Convenzione stessa a scegliere il proprio Presidente, e fu eletto Roman Herzog, il primo Presidente eletto nella Germania unificata. Fu scelta la denominazione “Convenzione” perché dopo le prime riunioni fu proposto di scegliere un nome più definito, che trasmettesse al meglio l’importanza di quello che doveva realizzare. L’obiettivo era quello di riunire tutte le garanzie ed i diritti che erano già stati riconosciuti all'interno della storia dell'integrazione, adattandoli alla nuova situazione, quindi inserendo nella Carta anche i diritti riconosciuti nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950. Il compito non era solo di raccogliere, ma anche di adattare e sviluppare questi diritti in modo coerente con la nuova realtà europea, introducendo anche dei principi nuovi. Un punto centrale riguardava la natura giuridica che la futura Carta avrebbe dovuto avere. Il Presidente della Convenzione, Roman Herzog, affrontò con saggezza la questione. Decise difatti di non far pronunciare la Convenzione sulla validità giuridica della Carta, lasciando che questa decisione sarebbe stata presa dai governi successivamente. Tuttavia, Herzog guidò la Convenzione nel lavorare come se la Carta avesse già un valore giuridico, il che permise di progredire in modo efficace; questa prospettiva difatti fornì il terreno fertile per un lavoro fruttuoso. La Convenzione fu in grado di creare una Carta che non solo rispecchiava il passato, ma aveva anche il potenziale per influenzare il futuro dell'integrazione europea. Ciò rilegò la Carta ad un ruolo di guida autorevole per la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, aggiungendo un elemento di stabilità e coerenza alle decisioni legali europee. In seguito, solo con l'approvazione del Trattato di Lisbona, la Carta dei diritti fondamentali ottenne un riconoscimento pieno a livello giuridico Un aspetto delicato riguardava i diritti sociali, che spesso si scontravano a causa delle diverse tradizioni costituzionali dei vari paesi membri. Questa divergenza è stata evidente con il Regno Unito, che aveva una tradizione giuridica e costituzionale unica e diversa, non a caso non ha tutt’oggi una costituzione scritta, così cercava di limitare l'inclusione dei diritti sociali nella Carta, di cui già non era granché entusiasta. In questa questione intervennero anche diverse associazioni, perché l'elaborazione della Carta dei diritti fondamentali comportò un'ampia consultazione a livello generale in Europa di associazioni sindacali, associazioni di interesse, ONG, e ci fu un deciso intervento della Confindustria britannica che cercò di fare tutto il possibile affinchè questi diritti sociali venissero limitati o non fossero inclusi. Nello specifico ci riferiamo a tutto ciò che riguardava i diritti e l'informazione dei lavoratori all'interno delle imprese, la consultazione dei lavoratori, l'azione contrattuale, il ruolo dei sindacati, il diritto allo sciopero... tutto da lasciare fuori. Durante questo processo, emersero diverse voci, come quelle dei rappresentanti italiani come Stefano Rodotà, Andrea Manzella ed Elena Paciotti. Questi rappresentanti cercarono di influenzare la Carta in una direzione che riflettesse una maggiore apertura verso i diritti dei lavoratori ed una dimensione sociale più ampia. Ci fu l'appoggio anche dei delegati francesi. In risposta a tutto ciò, il governo laburista di Tony Blair cercava di frenare sia l'inclusione dei diritti sociali, sia l'attribuzione di un carattere vincolante alla Carta. Questa mossa derivava dalla preoccupazione del Regno Unito che la Carta potesse diventare un punto di riferimento anche per i lavoratori britannici, trasmettendo ulteriormente il diritto europeo in ambito nazionale. Questa posizione del governo inglese trovò l’opposizione da parte della Confederazione Europea dei Sindacati (CES). Nonostante queste tensioni, alla fine si giunse a un testo che includeva anche questa dimensione cruciale. Per quanto riguarda il processo decisionale, si tenevano delle riunioni plenarie, ma spesso le quattro componenti coinvolte si incontravano anche separatamente per elaborare proposte collettive. La componente del Parlamento Europeo riuscì a stabilire un efficace dialogo con i Parlamenti nazionali, da ciò nacque una collaborazione intensa. Durante questo processo, il Parlamento Europeo presentò un insieme di proposte, molte delle quali furono accettate. Alcune di queste proposte contenevano un riferimento all'eredità culturale, umanistica e religiosa dell'Unione Europea. Ma l'uso dell'aggettivo "religiosa" suscitò immediatamente la reazione della Francia, un Paese laico per eccellenza. Nonostante ciò, si raggiunse un compromesso che sostituì il termine "religiosa" con "spirituale". Anche se, i membri tedeschi del Partito Popolare Europeo sollevarono un'osservazione interessante: il termine "spirituale" nella versione tedesca era considerato troppo generico e poco chiaro. Pertanto, ottennero il permesso di utilizzare il termine "spirituale - religioso" nella versione tedesca della Carta. Il metodo del consenso guidò tutto il processo deliberativo. Gli interventi svolti durante le sessioni plenarie erano esaminati dalla Presidenza e dal Segretariato per valutare se vi fosse consenso su questioni specifiche, o se vi fossero troppe obiezioni. Quindi constatavano attraverso gli interventi l’orientamento generale che emergeva dai dibattiti; questo evitava la necessità di votazioni che avrebbero potuto causare divisioni più profonde. In definitiva, il risultato è stata la CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA, proclamata il 7 dicembre 2000 durante il Consiglio europeo di Nizza. La sua stesura ebbe un esito positivo. L’obiettivo della Carta era il raggiungimento di un futuro di pace basato su valori condivisi come dignità umana, libertà, uguaglianza, solidarietà, democrazia e Stato di diritto. La Carta, ponendo l'individuo al centro dell'azione istituì la cittadinanza UE e creò uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Nello specifico la Carta elenca vari diritti fondamentali, tra cui il diritto alla vita (ART. 2) che vieta la pena di morte, l'ART. 4 che vieta la tortura e i trattamenti inumani. L'ART. 15 riguarda il diritto al lavoro, oggetto di discussione durante la Convenzione, dato che alcuni membri desideravano una formulazione più netta, mentre altri preferivano un testo più flessibile. L'ART. 23 promuove parità tra uomini e donne, l'ART. 24 riguarda il diritto dei minori, l'ART. 25 sottolinea il diritto degli anziani ad una vita dignitosa e la partecipazione sociale e culturale. La Carta affronta anche questioni di inclusione sociale: come il diritto delle persone con disabilità ART. 26, la protezione in caso di licenziamento ingiustificato ART. 30, e condizioni di lavoro sicure e dignitose ART. 31. L'ART. 37 si concentra sulla tutela dell'ambiente, mentre l'ART. 41 garantisce il diritto a una buona amministrazione. Concludendo i suoi lavori nel luglio 2003, la Convenzione passò il testimone alla Conferenza intergovernativa, che avrebbe esaminato e supervisionato il testo. Questo processo fu gestito dall'Italia, detentrice in quel periodo della Presidenza del Consiglio europeo, guidata da Berlusconi. La presidenza italiana cercò di poter presentare, nel dicembre 2003, un testo definitivo approvato da tutti i governi, ma non riuscì a portare avanti questa impresa. La responsabilità del fallimento dipese ovviamente anche dalle tensioni tra i diversi Paesi, soprattutto da parte di Spagna e Polonia. Dopo ulteriori mesi di negoziati durante la conferenza intergovernativa, il Testo venne alla fine approvato sotto la presidenza irlandese nel giugno 2004. Nonostante l'approvazione durante quella fase, la firma ufficiale del “Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa” avvenne a Roma il 29 ottobre 2004, firmato da 25 Stati membri. Le principali novità includono: - L'elevazione dell'UE a soggetto unico e unitario, - La cessazione dell'esistenza della Comunità europea, - Vengono stabiliti i valori dell’Unione, come il rispetto della dignità umana, libertà, democrazia, eguaglianza, Stato di diritto, diritti della minoranza. (ART. 2) - La modifica della maggioranza qualificata all'interno del Consiglio dei Ministri (ART. 25), che si intende raggiunta con il 55% degli Stati membri e il 65% della popolazione. - Viene introdotta la clausola di recesso dall'Unione. Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione (ART. 60) - Furono create due nuove figure istituzionali: un Presidente del Consiglio europeo, scelto al di fuori dei capi di Stato e di governo in carica al momento, un Ministro degli Esteri dell'UE, entrambi nominati a maggioranza dal Consiglio europeo. - Inoltre, è stata adottata ufficialmente la Bandiera con le dodici stelle gialle disposte a cerchio su sfondo blu come simbolo dell'UE, insieme all'inno europeo "Inno alla gioia" di Beethoven. Sono stati però molti i dubbi sorti nei confronti del Trattato. In questo periodo infatti parte dell'opinione pubblica iniziò a criticare il presunto liberalismo eccessivo dell'Unione europea, ritenendo che le norme del Trattato fossero troppo ispirate ad una logica liberista. Così, il processo costituente affrontato durante la Convenzione europea ha presentato alcune debolezze rilevanti, caratterizzate da eccessi sia in termini di forza che di debolezza, vaghezza e precisione: Eccessiva forza: L'accento posto sui simboli e l'uso del termine "Costituzione" hanno suscitato l'idea di un cambiamento radicale, spaventando coloro che erano inclini a proteggere le sovranità nazionali, timorosi di un indebolimento delle identità nazionali. Eccessiva debolezza: La proposta costituzionale ha mostrato lacune nell'identità che cercava di creare; ad esempio la parte dedicata alla dimensione sociale era ancora in secondo piano rispetto a quella legata al mercato comune. Eccessiva vaghezza: La proposta non ha definito chiaramente l'entità dell'Europa, questa ambiguità ha generato dibattiti su quale sarebbe stata la dimensione geografica e politica dell'Unione. Eccessiva precisione: Il testo costituzionale conteneva un gran numero di articoli che dettagliavano in modo estremamente specifico le diverse politiche dell'Unione. Questo approccio dettagliato è andato a discapito di una visione più ampia e strategica. Difatti il Progetto di Trattato elaborato dalla Convenzione aveva una struttura particolare rispetto ai classici modelli di Costituzione con classiche dimensioni contenute. Gli articoli del Trattato sono ben 448, un numero enorme, più alcuni protocolli, ed una normativa dettagliata sul funzionamento e le politiche dell'UE. Questo approccio ha così mancato l'obiettivo di creare un testo di facile lettura e comprensione , che suscitasse un senso di identificazione tra i cittadini, non rendendo così l’Unione più trasparente, leggibile e più vicina ai cittadini. Ovviamente, a causa di questi dubbi ci furono in seguito incertezze legate ai processi di ratifica interna nei singoli Stati, la ratifica per via parlamentare non presentò particolari problemi, tra cui l’Italia. Però il Trattato è stato bocciato in modo rovinoso in due paesi fondatori dell'UE. Difatti i referendum svoltisi in Francia e nei Paesi Bassi nel 2005 hanno visto una netta prevalenza del voto contrario, creando un'onda di sconvolgimento, compromettendo così il proseguimento del progetto costituzionale. Regno Unito, Polonia, e Repubblica Ceca hanno colto l'opportunità e sospeso immediatamente il processo di ratifica. In questa prospettiva, i voti contrari francesi ed olandesi costituirono un ostacolo enorme, che impedì al processo di ratifica di procedere. Si uscì da questa crisi con una pausa di riflessione, e poi con un'iniziativa politica che ebbe come protagonisti l'allora Presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, ed Angela Merkel, che portò all'elaborazione del Trattato di Lisbona del 2007. TRATTATO DI LISBONA Dopo i risultati negativi dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi del 2005, l'UE si trovò di fronte a un senso di sgomento ed insicurezza diffuso. Le persone percepivano la perdita delle proprie radici e delle identità culturali, accentuata anche dai flussi migratori intercontinentali; queste preoccupazioni alimentarono il ritorno di movimenti politici che difendevano le identità nazionali, la purezza etnica ed i costumi tradizionali. Inoltre, vi era una crescente protesta contro un'integrazione che sembrava essere interessata alle forze del mercato e della finanza, trascurando i valori sociali . Altre dispute si accesero poi sulla continua questione dei costi della PAC, ma anche sul meccanismo che permetteva alla Gran Bretagna di avere uno sconto sul suo contributo al bilancio in rapporto alla sua ricchezza. Il fallimento della Costituzione segnò così la fine di un ventennio, apertosi con l’AUE del 1986, durante il quale il processo di integrazione si era sviluppato in profondità con una progressione continua. Inceppatosi questo meccanismo, ebbe inizio una fase opaca e tormentata per l’UE. Si decise di sostituirlo con un Trattato ordinario, che incorporava alcune delle innovazioni introdotte dalla Convenzione europea, ma nella forma di modifiche ai Trattati esistenti, anziché come un atto costituente autonomo. Quest’idea nacque grazie ad un’iniziativa politica che ebbe come protagonisti Nicolas Sarkozy ed Angela Merkel. Così fu firmato il TRATTATO DI LISBONA nel 2007, che rappresentò questa soluzione. Nello specifico, la CIG incaricata della stesura di un Trattato di riforma dell'UE si è aperta il 23 luglio 2007 a Lisbona. Il Trattato di Lisbona poi fu firmato il 13 dicembre 2007, a seguito della proclamazione, in Aula, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea da parte dei Presidenti del Parlamento europeo, della Commissione e del Consiglio, che elenca i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini dell'UE. L'obiettivo era rafforzare l'efficienza, la democrazia e la trasparenza delle istituzioni dell'UE, e migliorare la capacità di agire su questioni come il cambiamento climatico, la sicurezza e la giustizia. Il Trattato di Lisbona ha così introdotto importanti modifiche alle istituzioni dell'UE: - Ha creato la figura del Presidente del Consiglio europeo, responsabile di fornire un impulso politico all'UE. Inoltre, ha istituito il Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE), un corpo diplomatico dell'UE. - Il Trattato ha ampliato i poteri del Parlamento europeo , consentendogli di partecipare pienamente nella procedura legislativa dell'UE, ed ha collato il Parlamento su un piano di parità con il Consiglio, in qualità di colegislatori in settori precedentemente esclusi, in particolare la stesura del bilancio dell'Unione europea, la politica agricola e la giustizia e gli affari interni. La procedura di codecisione viene così estesa a nuovi ambiti e diviene la "Procedura legislativa ordinaria". - Il Trattato di Lisbona ha esteso l'uso del voto a maggioranza qualificata nel Consiglio dell'UE, rendendo più efficiente il processo decisionale. Così alcune decisioni che prima richiedevano l'unanimità degli Stati membri possono ora essere prese a maggioranza qualificata. - Il Trattato di Lisbona ha introdotto l' iniziativa dei cittadini europei, che consente a un milione di cittadini dell'UE provenienti da diversi Stati membri di richiedere alla Commissione europea di proporre nuove leggi in determinate aree politiche. Quindi, il Trattato di Lisbona ha contribuito a superare l'impasse istituzionale, ed a fornire una base giuridica più solida per il funzionamento dell'UE. Tuttavia, anche il Trattato di Lisbona incontrò difficoltà durante il processo di ratifica, soprattutto in Irlanda, dove fu necessario un secondo referendum nel 2009 per sbloccare la situazione. Entrò in vigore il 1° dicembre 2009, dopo essere stato ratificato da tutti i 27 Stati membri. Il risultato complessivo di questo periodo fu che l'UE non riuscì a ottenere una solida struttura istituzionale ed a sviluppare una personalità distintiva rispetto agli Stati membri. L'aspirazione a un'UE più integrata e coesa, come auspicato dal Trattato costituzionale, quindi non si realizzò pienamente. CRISI DEL 2008 I primi anni del 21° secolo furono anni grigi per l’economia europea. Già attorno al 2005 fu necessario prendere atto che non c’erano le condizioni affinchè l’UE potesse affermarsi entro il 2010 come “L’economia “più dinamica e competitiva al mondo ”, che era l’obiettivo formulato nel 2000 dal Consiglio europeo di Lisbona. Originatasi negli USA nel 2007 da una crisi finanziaria e bancaria, anche in Europa la crisi economica generale si manifestò inizialmente nel settore creditizio; ci fu perciò bisogno di interventi di sostegno da parte della BCE, e di costose operazioni di salvataggio a carico dei bilanci pubblici. Ben presto però le difficoltà si estesero all’economia reale, con un generale rallentamento delle attività e un’impennata della disoccupazione. CRISI GRECA Alcuni Stati più di altri, a causa delle loro specifiche fragilità economiche e di bilancio, si trovarono in pesanti difficoltà in questo periodo, come ad esempio la Grecia, il cui deficit di bilancio all’improvviso, nel 2009, si rivelò molto più consistente di quanto i inizialmente dichiarato. La crisi greca, svolta principalmente nel periodo 2009 – 2012, è stata una delle fasi più critiche della crisi economica europea. La Grecia, a causa di una serie di fattori, tra cui una cattiva gestione delle finanze pubbliche, l'elevato debito sovrano e la mancanza di riforme strutturali, è stata così l'epicentro di questa crisi. Mentre il governo greco ha adottato misure di austerità per ridurre la spesa pubblica ed aumentare le entrate fiscali, c'era una mancanza di sostegno finanziario dell’UE. Ciò ha sollevato preoccupazioni sul rischio che la Grecia potesse abbandonare l'EURO e tornare alla sua moneta nazionale, con conseguenze potenzialmente disastrose per l'eurozona nel suo complesso. Solo nel 2010 i paesi dell'EURO hanno concordato un piano di salvataggio straordinario per la Grecia, che prevedeva prestiti a tassi ridotti da parte degli altri Stati membri dell'UE, e del Fondo Monetario Internazionale. Questo aiuto era vincolato ad ancor più rigorose misure di austerità (“trojka”): il governo greco fu messo di fatto sotto tutela, perdendo in gran parte la sua autonomia decisionale, ed il controllo sulla propria politica economica. La "TROJKA" era composta dalla Commissione europea, dalla BCE, e dal FMI, che insieme hanno svolto un ruolo di supervisione e monitoraggio delle politiche economiche della Grecia durante la crisi finanziaria. Precisamente con “POLITICHE DI AUSTERITÀ” ci riferiamo ad una serie di misure adottate da un governo per ridurre la spesa pubblica ed aumentare le entrate, al fine di ridurre il deficit di bilancio e contenere l'indebitamento pubblico. Il problema relativo a queste misure è che hanno spesso comportato tagli alla spesa pubblica, tra cui l’istruzione, sanità trasporti, pensioni, aumenti delle tasse e riforme strutturali, come, privatizzazioni, deregolamentazioni, riforme del mercato del lavoro o delle pensioni... Le politiche di austerità sono state oggetto di dibattito e critiche. Molti hanno sostenuto che tali misure abbiano avuto effetti negativi sull'economia, portando ad una contrazione della domanda interna, all'aumento della disoccupazione ed alla stagnazione economica. Alcuni hanno anche sostenuto che l'austerità abbia contribuito ad aumentare le disuguaglianze sociali e ad erodere il tessuto sociale. Tuttavia, i sostenitori delle politiche di austerità sostengono che fossero necessarie per ripristinare la sostenibilità fiscale e la fiducia dei mercati finanziari, creando basi solide per la ripresa economica a lungo termine. ➳ Quindi, in un discorso più generico, durante la crisi economica, i governi dell'Unione Europea si sono trovati costretti a implementare politiche di austerità che hanno comportato una forte riduzione dei sistemi di protezione sociale, la limitazione delle coperture previdenziali, una minore tutela del lavoro e la riduzione dei servizi pubblici. Tuttavia, la crisi dello Stato sociale non è iniziata in quel momento specifico, ma già dagli anni '80 del 900. L'elevato costo delle politiche pubbliche, i cambiamenti demografici, le trasformazioni strutturali dell'economia internazionale, e la diminuzione dei vantaggi economici in occidente, avevano già imposto misure di contenimento e razionalizzazione. Il declino dello Stato sociale in Europa occidentale, dove il welfare state era diventato un elemento distintivo dell'identità degli Stati, implicava la perdita di un aspetto fondamentale dell'identità europea. Così, dopo le politiche di austerità, si iniziarono a predisporre altri strumenti straordinari di sostegno, definiti “FONDI SALVA – STATI”, da cui i paesi alle prese con estreme difficoltà finanziarie avrebbero potuto ottenere crediti. Il salva – Stati per eccellenza fu il MECCANISMO EUROPEO DI STABILITÀ (MES), che dopo lunghi negoziati acquistò forma definitiva con un Trattato firmato il 2 febbraio 2012. Per poter accedere all'assistenza finanziaria del MES, un paese deve richiedere il supporto, ed accettare di attuare un programma di riforme e misure di austerità concordate con gli enti di Nello specifico, l’Austria aveva richiesto l’adesione all’UE nel 1989, ma i negoziati iniziarono nel 1993, si trattava di un paese ben sviluppato dal punto di vista economico e democratico, e ha dimostrato di aderire ai principi fondamentali dell'UE. La Svezia presentò la sua domanda di adesione nel 1991, la Finlandia invece nel 1991. La Finlandia ha svolto un ruolo attivo nelle istituzioni europee, ed è diventata un membro molto influente nel corso degli anni. 5° ALLARGAMENTO Il quinto allargamento dell'Unione Europea (UE), noto anche come “Allargamento del 2004", è stato uno dei più significativi nella storia dell'UE. In questa fase, 10 nuovi paesi sono entrati a far parte dell'Unione, portando il numero totale di membri da 15 a 25 paesi membri . In questo contesto un appunto necessario è che, dopo il crollo del Muro di Berlino nel 1991 l'Unione Sovietica si sciolse. I Paesi ex satelliti di Mosca iniziarono una durissima transizione verso le economie di mercato, instaurando ovunque sistemi democratici, ed inserendosi nel processo di integrazione euro – atlantica. L'adesione alla Comunità europea entrò così immediatamente a far parte dell'agenda continentale. Il 16 aprile 2003 fu firmato il Trattato di Atene, cioè il Trattato di adesione tra i 15 membri UE ed i 10 aderenti, entrato in vigore il 1º maggio 2004. I negoziati per l’allargamento del 2004 furono l’impegno più arduo a cui la Commissione europea, di cui Romano Prodi era Presidente dovette far fronte, la loro positiva conclusione fu pertanto il successo maggiore che essa e il suo presidente riuscirono a conseguire. Ben 9 anni dopo l’enunciazione dei “Criteri di Copenaghen” con cui aveva preso avvio il progetto del grande allargamento, il Consiglio europeo ammise all’adesione 10 Stati: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia ed Ungheria. 6° ALLARGAMENTO Il progetto di allargamento verso Est prosegue, con l’ingresso nell’UE della Bulgaria e della Romania, il 1º gennaio 2007. Le trattative per l'adesione dei due paesi all’UE sono iniziate nel 2000, dopo che presentarono le rispettive domande di adesione nel 1995. Durante il processo di negoziato, entrambi i paesi hanno dovuto affrontare numerose sfide e compiere importanti riforme in vari settori, per soddisfare i criteri di adesione dell'UE, che riguardavano diverse aree, tra cui il sistema giudiziario, la lotta alla corruzione, il rispetto dei diritti umani, la sicurezza alimentare e l'adozione dell'acquis comunitario, ovvero l'insieme delle leggi e dei regolamenti dell'UE. Sono state poste particolari attenzioni sulle questioni riguardanti la lotta alla corruzione e la riforma del sistema giudiziario, considerate cruciali per garantire il buon funzionamento dello Stato di diritto. Dopo diversi anni di negoziati, Bulgaria e Romania dimostrarono di aver compiuto progressi significativi nelle riforme richieste e di essere pronte per l'adesione all'UE. Così il 25 aprile 2005, il Consiglio dell'UE ha adottato la decisione di accogliere entrambi i paesi come membri a partire dal 1º gennaio 2007. L'adesione dei due paesi ha portato l'UE a raggiungere il numero di 27 Stati membri, ampliando la sua presenza nell'Europa orientale, consolidando la transizione democratica ed economica dei due paesi. ESPANSIONE NEI BALCANI La dinamica espansiva dell’UE non si arrestò al momento dell’adesione di Bulgaria e Romania nel 2007. Anzi, quando ancora l’allargamento a Est era in via di completamento, già se ne era prospettato un altro con direttrice Sud-Est, nella regione dei Balcani occidentali. I Paesi dei Balcani occidentali sono generalmente considerati Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia. Questi paesi sono situati nella regione sud-orientale dell'Europa e condividono una storia e una geografia comuni. L'Unione Europea ha riconosciuto il potenziale di integrazione europea di questi paesi, ed ha avviato processi di adesione o partenariato con ciascuno di essi. L'approccio all'allargamento dell'Unione Europea (UE) nei confronti dei paesi dei Balcani occidentali è stato leggermente diverso rispetto agli allargamenti del passato. Invece di rispondere a domande di adesione formali presentate dai nuovi Stati, l'UE ha adottato un approccio proattivo proponendo un processo di avvicinamento e di trasformazione per un gruppo di potenziali nuovi candidati. L'obiettivo di questo approccio era quello di utilizzare l'adesione all'UE come leva per spingere i paesi dei Balcani occidentali a intraprendere riforme politiche, economiche e istituzionali volte a soddisfare gli standard europei. In altre parole, l'UE ha offerto una prospettiva di adesione come incentivo per promuovere il cambiamento e la convergenza dei paesi interessati con gli standard dell'UE. Non tutti questi paesi dei Balcani occidentali stanno attualmente portando avanti negoziati per aderire all'Unione Europea, alcuni di essi sono già in fasi avanzate del processo di adesione, mentre altri sono ancora in fasi preliminari o di avvicinamento. Un esempio del primo caso sono il Montenegro, che ha aperto i negoziati di adesione nel 2012, e la Serbia, che ha iniziato nel 2014. Gli altri paesi hanno tutti ottenuto lo status di candidati all’adesione all’UE. Comunque, tutti questi paesi stanno attraversando un processo di riforme necessario per soddisfare i criteri di adesione. L'UE mantiene un impegno costante nei confronti dei Paesi dei Balcani occidentali, offrendo loro un percorso di avvicinamento all'adesione all'UE attraverso il Processo di stabilizzazione e associazione, avviato già nel 1999. Il sostegno dell'UE comprende assistenza finanziaria, supporto tecnico, scambi culturali e politici, e l'obiettivo finale è l'integrazione di questi paesi nell'UE, se soddisfano tutti i criteri richiesti. 7° ALLARGAMENTO Il primo tra i Paesi dei balcanici occidentali ad entrare nell’Unione Europea fu la Croazia fu il 1º luglio 2013. Il processo di adesione della Croazia all'UE è iniziato nel 2003, quando il paese ha presentato la sua domanda di adesione. Dopo diversi anni di negoziati ed il soddisfacimento dei criteri di adesione stabiliti dall'UE, la Croazia ha completato il processo di adesione e ha aderito all'UE come 28º Stato membro.
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