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Riassunto completo VDL POLITICA ECONOMICA 6 CFU Prof. Piergiuseppe Morone, Sintesi del corso di Politica Economica

Riassunto completo per esame di Politica Economica 6 CFU Prof. Piergiuseppe Morone Unitelma Sapienza. Voto: 28. Studiato solo su questo materiale.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 09/02/2021

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Scarica Riassunto completo VDL POLITICA ECONOMICA 6 CFU Prof. Piergiuseppe Morone e più Sintesi del corso in PDF di Politica Economica solo su Docsity! 1 ARGOMENTO 1 – INTRODUZIONE LEZIONE PRIMA – INTRODUZIONE POLITICA ECONOMICA La politica economica ha il compito di studiare il problema della scelta che deve affrontare policy maker (decisore politico). L’economia politica, invece, ha come obiettivo lo studio delle scelte dei consumatori e produttori. Il consumatore definisce cosa consumare, così da individuare la scelta ottima che gli consenta di massimizzare la propria utilità. Il produttore deve scegliere cosa produrre (tipologia di output), come produrre (tecnica di produzione), quanto produrre (quantità di output). Compiute queste scelte, consumatore e produttore si incontrano nel mercato e da questo incontro viene definito l’equilibrio di mercato. A seconda della tipologia di equilibri di mercato avremo: - Equilibri perfettamente concorrenziali - nei mercati perfettamente concorrenziali, sembra che non sia previsto alcun intervento esterno da parte delle istituzioni. - Equilibri non concorrenziali - spesso, tali condizioni di ottimalità non si verificano e questo apre degli spazi per l’intervento pubblico. La politica economica studia il comportamento delle istituzioni pubbliche (ovvero come queste compiono le proprie scelte). Tale indagine si svolge su tre livelli: • LIVELLO DELLE SCELTE CORRENTI = Definisce le strategie correnti (giorno dopo giorno) per raggiungere certi obiettivi. • LIVELLO DELLE SCELTE ISTITUZIONALI = (livello al di sopra) Definisce quali sono le istituzioni più adatte per raggiungere certi obiettivi. • LIVELLO DELLE SCELTE SOCIALI = (livello ancora superiore) Definisce quali sono gli obiettivi che una società si prefigge di ottenere. La politica economica è una forma d’intervento pubblico nell’economia, giustificata se il mercato, lasciato a se stesso, in certe situazioni tende a produrre risultati subottimali (i cosiddetti Fallimenti di mercato). Questo intervento può essere uno strumento per colmare il divario, il gap, tra ciò che la società desidera (i cosiddetti “desiderata”) e la realtà dei fatti. Per capire quali sono questi “desiderata” della politica economica, dobbiamo: • Definire gli obiettivi socialmente desiderabili (livello delle scelte sociali) • Confrontare i desiderata con la realtà per definire: - Quali sono le istituzioni più adatte a colmare tale gap (livello delle scelte istituzionali) - Quali compiti assegnare a ciascuna istituzione (livello delle scelte correnti) 2 ARGOMENTO 2 – I FALLIMENTI MICROECONOMICI LEZIONE 1 – EFFICIENZA ED EQUITA’ CONCETTO EFFICIENZA E EQUITA’ Tramite la politica economica, si vuole ricercare quel giusto equilibrio tra Stato e Mercato (due istituzioni) in modo tale che vengano perseguiti gli obiettivi ed i principi verso i quali la società dovrebbe tendere. Distinguiamo due campi d’ azione nei quali può esserci un intervento dello Stato nel mercato: - Efficienza, che attiene alla definizione della quantità di output da produrre, quindi ha a che fare con il mondo della produzione e dello scambio; - Equità, che attiene alla distribuzione di questo output. EFFICIENZA L’efficienza può essere intesa in molteplici declinazioni. Distinguiamo tra: - Efficienza statica, ha a che fare con situazioni di natura statica, in cui non vi è una dinamica evolutiva. - Efficienza dinamica, ha a che fare con situazioni di efficienza nelle quali, con il passare del tempo, l’equilibrio si modifica. - Il concetto di efficienza statica si suddivide in vari sotto-concetti di efficienza: - Efficienza allocativa: un’allocazione A è socialmente preferita ad un’altra allocazione B se l’allocazione A è per almeno un individuo preferita all’allocazione B (un individuo sta bene) e per gli altri individui è indifferente (gli altri individui non stanno peggio) - criterio paretiano. L’ottimo paretiano (concetto introdotto da Vilfredo Pareto) è quindi una situazione di allocazione efficiente delle risorse per cui non è possibile apportare miglioramenti paretiani al sistema, cioè non si può migliorare la condizione di un soggetto senza peggiorare la condizione di un altro. Il criterio paretiano implica un giudizio di valore. Se a migliorare la propria condizione è l’individuo più ricco, il passaggio da B ad A è un miglioramento? Si, se accettiamo dei giudizi di valore (opposti al giudizio di fatto). Giudizio di valore: attiene alla sfera della morale di ciascun individuo o di morale collettiva Giudizio di fatto: mira a stabilire se è giusto o sbagliato Tale giudizio di valore si rifa’ al concetto di individualismo etico, introdotto da Sen nel 1987 e cioè ciascun individuo è il miglior arbitro di se stesso, poiché in grado di valutare autonomamente il proprio stato di benessere. Si ha un miglioramento in termini di efficienza allocativa se anche un solo soggetto vede migliorare la propria posizione, a prescindere dalla ricchezza. Una determinata allocazione è un ottimo paretiano se non esiste nessun’altra allocazione dove è possibile migliorare la posizione di un individuo senza peggiorare quella di almeno un altro individuo. - Efficienza X: capacità di scegliere i programmi di produzione tecnicamente efficienti, data la tecnologia più efficiente del momento, devo saperla utilizzare al meglio per ottenere il massimo da ciascun input di produzione (quando non avremo lavoratori o macchinari che operano al di sotto del proprio potenziale). È una precondizione per l’ottimo paretiano. 5 SELEZIONE AVVERSA: se l’assicuratore fissa un premio particolarmente elevato, un guidatore molto diligente, che fa tragitti limitati e prende la macchina raramente non sarà incentivato a stipulare un contratto. Il contrario vale per un guidatore distratto, spericolato. In questo caso, l’asimmetria informativa definisce una situazione in cui vengono selezionati i soggetti più a rischio (selezione avversa). EQUILIBRIO WALRASIANO DI CONCORRENZA PERFETTA Dati n mercati, l'equilibrio walrasiano si verifica quando esiste un vettore di prezzi P (p1,..., pn) tale da eguagliare esattamente la domanda Dn e l'offerta Sn in ogni mercato. In una condizione di equilibrio walrasiano gli eccessi di domanda (di-si) sono nulli in ogni mercato. Tale equilibrio è assicurato se: • Le funzioni di utilità dei consumatori hanno le caratteristiche normalmente ipotizzate (non sazietà, completezza, transitività...) • Non vi sono rendimenti crescenti di scala (convessità degli insiemi di produzione). LIMITI DEL PRIMO TEOREMA DELL’ECONOMIA DEL BENESSERE 1)Visto che i requisiti posti alla base del mercato di concorrenza perfetta sono non solo stringenti, ma anche irrealistici, è difficile che questo equilibrio sia osservabile nella realtà quotidiana. Quindi, la portata propositiva del primo teorema dell’economia del benessere è piuttosto limitata. 2)Un ulteriore limite del primo teorema attiene alla definizione stessa di “ottimo paretiano”. Un ottimo paretiano può sussistere: - In condizioni di mercato efficienti (efficienza allocativa) ma in regime dittatoriale o di schiavitù per i lavoratori. E’ giusto parlare di ottimo quindi? - In presenza di una distribuzione profondamente iniqua della ricchezza Possiamo parlare di una situazione ottima in senso paretiano, ad esempio quando l’80% della popolazione vive in una condizione di indigenza e il 20% in una condizione di estrema ricchezza? Si. Possiamo parlare anche di una situazione VERAMENTE ottima, desiderabile? Non è detto. Questo perchè la qualifica di ottimo non implica automaticamente la desiderabilità di un equilibrio. Implica solo il rispetto delle condizioni di efficienza nello scambio, nella produzione “globale” rispetto ad una data allocazione iniziale delle risorse. SECONDO TEOREMA DELL’ECONOMIA DEL BENESSERE Il secondo teorema dell’economia del benessere offre una risposta alla domanda: “E’ possibile raggiungere un equilibrio pareto-efficiente in cui l’allocazione finale delle risorse sia più equa mediante i meccanismi di mercato?” Modificando opportunamente le dotazioni iniziali con particolari strumenti di redistribuzione, imposte o sussidi in somma fissa (c.d. lump sum tax), un mercato perfettamente concorrenziale consente di raggiungere qualsivoglia stato sociale Pareto efficiente sulla frontiera massima dell’utilità. In altre parole, il secondo teorema apre uno spazio per l’intervento pubblico nell’economia. Il policy maker (Stato) può modificare la dotazione delle risorse tra i soggetti in modo da spostare l’equilibrio così da essere caratterizzato da condizioni redistributive del reddito maggiormente desiderate. In assenza di fallimenti del mercato, si ha una suddivisione di compiti tra: Mercato -> compito di produrre situazioni efficienti in senso paretiano (efficienza); Stato -> compito di guidare la “barca” verso un equilibrio efficiente in termini di equità redistributiva e maggiormente desiderato (equità e redistribuzione). Un limite del secondo teorema riguarda l’ottenimento di tutte le informazioni necessarie per attuare la redistribuzione. 6 LEZIONE TERZA – FALLIMENTI MICROECONOMICI FALLIMENTI DEL MERCATO ALLA LUCE DEL PRIMO TEOREMA I fallimenti microeconomici del mercato derivano da violazioni delle assunzioni del 1^ teorema dell’economia del benessere, quindi i mercati completi concorrenziali possono fallire se: 1) Assenza di un regime effettivamente concorrenziale; 2) Mercati incompleti e quindi: Presenza di esternalità negative; Presenza beni pubblici; Asimmetria informativa (vedi pag. 4) 1) ASSENZA DI UN REGIME PERFETTAMENTE CONCORRENZIALE In concorrenza perfetta, si ha l’eguaglianza P=CMg e cioè prezzo uguale al costo marginale. Il prezzo è quello assunto così come dato, mentre il costo marginale è il costo dell’ultima unità di bene prodotta. In altre parole, è il costo di un’unità aggiuntiva di output. Quando questa situazione non si verifica (monopolio, oligopolio) è impossibile raggiungere l’ottimo paretiano. La politica economica, magari attraverso la legislazione antimonopolistica, può cercare di rimediare al fallimento di mercato chiedendo di abbassare il prezzo per raggiungere uguaglianza fra prezzo e costo marginale. La concorrenza perfetta non si realizza quando anche una sola delle sue caratteristiche non è soddisfatta, ovvero quando siamo di fronte a: • Scarsa numerosità degli operatori e rendimenti di scala • Mancanza di libertà d’entrata e d’uscita • Imperfetta informazione e costi di transazione • Non omogeneità dei prodotti • Accordi, intese e cartelli tra i produttori Analizziamo meglio. SCARSA NUMEROSITA’ DEGLI OPERATORI E RENDIMENTI DI SCALA 1)Il monopolio (un solo operatore che produce interamente l’output considerato). Il monopolio potrebbe essere pericoloso non solo per l'inefficienza ma anche per il pericolo di mancata innovazione tecnologica. Infatti, se c'è un mercato scarsamente competitivo, gli operatori saranno poco propensi ad innovare, a scoprire nuove tecnologie. Inoltre Il monopolista produce una quantità q di prodotto tale da eguagliare il CMg – costo marginale al RMg – ricavo marginale. Qua non viene rispettata la condizione per cui il prezzo è uguale al costo marginale, di conseguenza il prezzo praticato dal monopolista sarà maggiore del CMg. Se non viene rispettata la condizione per cui P=CMg, il sistema non è in grado di determinare equilibri pareto-efficienti (ottimi in senso paretiano). Possiamo avere tre tipi di monopolio: • MONOPOLIO NATURALE Quando le condizioni del mercato consentono la presenza di un solo operatore, oppure per l’accesso privilegiato a determinate risorse. In realtà è una situazione abbastanza rara (es. l’unico negozio di una cittadina isolata di montagna). • MONOPOLIO ARTIFICIALE E’ quello che il policy maker vuole combattere, in quanto è quello che minaccia maggiormente la stabilità economica. Attraverso tale monopolio, l'imprenditore cerca di creare un 'impresa abbastanza grande da monopolizzare il mercato. Questo si può fare attraverso: • La fusione di aziende; • Il dumping, cioè vendere sottocosto per estromettere la concorrenza dal mercato; • Fare un cartello, un’intesa o un trust. Si tratta di un accordo tra imprese per tenere alti i prezzi. 7 Tutte queste figure è difficile che durino nel lungo periodo, perché ogni imprenditore che fa parte di un trust, di un cartello o di un'intesa sarà incentivato al tradimento verso gli altri, per cercare di abbassare lievemente il prezzo, vendere di più ed aumentare i profitti. In generale, quando si crea un monopolio il mercato tende a produrre degli anticorpi. • MONOPOLIO LEGALE Non è una costruzione economica o un riflesso del mercato, ma una creazione legislativa. In questo caso il policy maker si riserva, attraverso la legge, un monopolio (es. monopolio del tabacco). Al giorno d’oggi, un monopolio legale non rappresenta una misura di politica economica ma di politica sociale: essendo ormai acclarato che un monopolio produce inefficienza, un monopolio legale viene costituito solo quando vi sono obiettivi diversi da quelli economici. In questo caso, lo stato sceglie volutamente un sistema monopolistico, così da far pagare prezzi più alti, ridurre la domanda e tutelare la salute pubblica. 2)L’oligopolio è una forma di mercato non concorrenziale più frequente del monopolio. Ciascun oligopolista fissa il prezzo o la quantità ottimi osservando il comportamento delle imprese rivali (scelte strategiche). Di conseguenza, in oligopolio non si raggiunge necessariamente un equilibrio efficiente in senso paretiano, perché q prodotta e p applicato dipenderanno dalle scelte strategiche compiute. La politica economica può cercare di rimediare a questo fallimento di mercato, ad esempio attraverso la legislazione. MANCANZA DI LIBERTA’ D’ENTRATA E DI USCITA Un mercato in cui vi è perfetta libertà di entrata/uscita si definisce contendibile. In assenza di barriere all’entrata, la presenza di extra-profitti in un certo istante di tempo può attrarre nuove imprese, invogliandole ad inserirsi in un certo mercato. Si innesca, quindi, un meccanismo di concorrenza tra nuove e vecchie imprese, che determina un progressivo abbassamento del prezzo e della quantità prodotta. Questo fenomeno si arresta nel momento in cui non ci sono più extra-profitti. Nella realtà, vi sono spesso costi di entrata e di uscita legati, ad esempio, ai costi di learning, addestramento del personale o più in generale ai costi irrecuperabili (sunk costs). IMPERFETTA INFORMAZIONE In assenza di perfetta informazione sui prezzi praticati nelle diverse contrattazioni relative allo stesso bene, si ha la cosiddetta segmentazione dei mercati e la conseguente possibilità di squilibri su alcuni segmenti. Esempio: in un mercato rionale del pesce, se ogni venditore e ogni acquirente non hanno un’informazione completa sul prezzo del pesce applicato nei vari banchi, possiamo avere una segmentazione del mercato. Si ha uno squilibrio: in alcuni segmenti ci può essere un eccesso di offerta sulla domanda, in altri un eccesso di domanda sull’offerta. In presenza di imperfetta informazione, tali squilibri non vengono ripianati. OMOGENEITA’ DEI PRODOTTI Spesso le imprese seguono strategie che mirano proprio alla differenziazione del proprio prodotto, così da pubblicizzarlo come fiore all’occhiello dell’azienda. Esempio: posso utilizzare una particolare lana per produrre un pullover, così da attrarre una determinata fetta di consumatori. 10 produrli lo stato. Pensiamo, ad esempio, alla giustizia o alla difesa: se questi non venissero prodotti, la nostra vita sarebbe molto incerta. • BENI PRIVATI: rivali ed escludibili (es. torta ad una festa). Se io mangio una fetta grossa di torta, gli altri invitati avranno meno torta – rivalità nel consumo. Ancora posso non invitare alcune persone alla festa e queste non mangeranno la torta – escludibilità nel consumo. • BENI DI CLUB: non rivali ma escludibili (es. giardino per i soci di un club). Beni utilizzati in maniera non rivale all’interno di un club di persone. Non rivale perché se io godo della vista, non privo gli altri dal guardare. Escludibile perché se non si fa parte del club si è esclusi. • BENI COMUNI: rivali ma non escludibili (es. binocolo gratuito in un punto panoramico). PROBLEMI DEI BENI PUBBLICI Il problema maggiore legato alla presenza di beni pubblici in economia è il cosiddetto “Free riding” – parassitismo. La presenza di un bene pubblico, infatti, induce i soggetti economici (razionali, quindi con l’obiettivo di massimizzare la propria utilità) a comportarsi da free riders, per cui si tende a beneficiare dei vantaggi del bene pubblico senza sostenerne i costi. Si parla di “Tragedia dei commons” proprio perché, in presenza di non rivalità e di non escludibilità, sembra impossibile per gli individui arrivare a una gestione oculata e attenta dei beni pubblici. Esempio 1: chi prende un mezzo pubblico senza pagare il biglietto. Esempio 2: chi sfrutta un lago pescando al di sopra del tasso di riproduzione. 11 ARGOMENTO 3 – I FALLIMENTI MACROECONOMICI LEZIONE PRIMA – I FALLIMENTI MACROECONOMICI DISTRIBUZIONE DEL REDDITO ED EQUITA’ Possono essere definiti fallimenti macroeconomici quegli ambiti in cui il sistema, nelle sue grandezze aggregate, fallisce, ovvero non è in grado di ottenere dei risultati compatibili con l’equilibrio economico generale, l’ottimo paretiano e così via. DISOCCUPAZIONE Secondo Keynes, si ha disoccupazione quando vi è una domanda di lavoro insufficiente rispetto all’offerta di lavoro, ad un dato livello di salario o ad un salario leggermente al di sotto del salario di equilibrio. Quando parliamo di DOMANDA DEL LAVORO: • Nel gergo comune, ci si riferisce all’individuo che cerca occupazione. • In economia, ci si riferisce alla domanda di forza lavoro delle imprese. E’ una situazione inefficiente e fallimentare perché conduce ad un output inferiore a quello potenziale (problema di efficienza). Inoltre, può accrescere la diseguaglianza nella distribuzione del reddito (problema di equità). Introduciamo ora una distinzione tra: • DISOCCUPAZIONE VOLONTARIA Attiene ad una libera scelta dell’individuo. Dato un certo salario di mercato, l’individuo lo reputa troppo basso rispetto a quanto valuta la propria produttività e sceglie di rimanere disoccupato. Tale disoccupazione non è rilevante per la nostra analisi. • DISOCCUPAZIONE FRIZIONALE E’ fisiologica del sistema economico capitalistico, caratterizzato da una segmentazione in vari mercati. Se, ad esempio, un lavoratore lascia la propria occupazione e ne trova un’altra, tra le due occupazioni intercorrerà un certo intervallo di tempo che rappresenta una frizione verso il raggiungimento di una piena occupazione. Anche tale disoccupazione non è rilevante per la nostra analisi. • DISOCCUPAZIONE INVOLONTARIA Di fronte a dei lavoratori che a un dato livello di salario sarebbero disposti a offrire forza lavoro, il sistema non è in grado di far corrispondere una adeguata domanda di lavoro. Riflette un’incapacità del sistema di riportare l’economia verso un equilibrio di piena occupazione. Essendo una situazione di fallimento, si apre uno spazio di azione sempre duale, perché volto: - Da una parte, a ripristinare l’efficienza (chiudere il gap PIL REALE-PIL POTENZIALE) - Dall’altra, a ridurre la diseguaglianza associata a situazioni di elevata disoccupazione. RIMEDI ALLA DISOCCUPAZIONE Gli interventi che lo Stato può porre in essere per rimediare a tale problema riguardano: • Indennità e sussidi (dal lato dei lavoratori) come la cassa integrazione guadagni – obiettivo di integrare da parte dello Stato il reddito del lavoratore qualora il lavoratore venisse occupato a ritmi più blandi (es. dal 100% al 50%). Questo è una forma di stabilizzatore sociale tramite il quale si introduce l’elemento della flessibilità e quindi si riducono gli attriti tra datore di lavoro e lavoratore. Per avere altri sussidi, bisogna dimostrare di essere attivamente alla ricerca di un lavoro e di porre in essere delle azioni volte alla riqualificazione del proprio capitale umano 12 (competenze, conoscenze, ecc). In caso contrario, potrebbe crearsi un problema di azzardo morale: la certezza del sussidio, infatti, potrebbe diventare un disincentivo a cercare lavoro. Molti studi empirici hanno dimostrato che la probabilità di trovare lavoro da parte del disoccupato tende a diminuire man mano che si prolunga il tempo di inattività. • Incentivi per le assunzioni (dal lato della domanda di lavoro) Ad esempio, è possibile attuare delle politiche mirate all’assunzione di certe fasce di età (U20, U30) in certe aree geografiche (es. il mezzogiorno). Tuttavia, questi rimedi non sono privi di conseguenze impreviste ed effetti indesiderati. INFLAZIONE L’inflazione ha a che fare con la dinamica dei prezzi a livello aggregato. L’IPC (Indice dei Prezzi al Consumo) viene calcolato prendendo in considerazione livello dei prezzi dei beni del paniere composito definito dall’ISTAT. - Se questo livello generale dei prezzi tende a crescere, siamo in INFLAZIONE - Se questo livello generale dei prezzi tende a diminuire, siamo in DEFLAZIONE L’inflazione può essere definita: - Guardando le cause che determinano tale fenomeno; - Guardando la dimensione che tale fenomeno assume. INFLAZIONE GUARDANDO LE CAUSE DEL FENOMENO • Eccesso di domanda/carenza dell’offerta. Se la domanda eccede l’offerta di beni, questo gap determina una pressione sul livello generale dei prezzi. • Politica monetaria espansiva. L’introduzione di liquidità da parte della BC può determinare un aumento del livello generale dei prezzi • Aumento dei costi. Il livello dei costi di produzione, per qualche motivo, tende ad aumentare. Ad esempio, se diminuisce l’offerta di forza lavoro (es. per una guerra), questo si traduce in un aumento del costo della forza lavoro e, come effetto ultimo, in un aumento del livello generale dei prezzi. • Volontà di ottenere extraprofitti – markup (per forme di mercato non concorrenziali). Aumento del potere di mercato dei produttori e quindi margini di profitto superiori, perciò crescita del livello generale dei prezzi. INFLAZIONE GUARDANDO LA DIMENSIONE DEL FENOMENO Si parla di inflazione: - Strisciante (circa 2-3% anno) – ben vista dagli economisti perché rappresenta un fenomeno fisiologico di un’economia in crescita; - Moderata (superiore del 3% ma minore del 10% annuo) - Galoppante (nel caso di incrementi a 2 o 3 cifre e quindi più del 10% ma meno del 300%) - Iperinflazione (maggiore del 300% annuo) PROBLEMI DELL’INFLAZIONE L’inflazione ha un effetto distorsivo sul sistema economico, in quanto: - Favorisce i debitori rispetto ai creditori. - Riduce il risparmio accumulato ed il potere d’acquisto. - I segnali forniti dal meccanismo dei prezzi non sono più affidabili ed efficienti. DISOCCUPAZIONE ED INFLAZIONE – LA CURVA DI PHILIPS La curva di Phillips descrive la relazione negativa (trade off) tra disoccupazione e inflazione. Se il policy maker attua politiche espansive della domanda aggregata può ridurre la disoccupazione ma così facendo genera un tasso più elevato di inflazione. Al contrario, con politiche restrittive della domanda aggregata è possibile ridurre il tasso di inflazione al costo di un più elevato tasso di disoccupazione. 15 LEZIONE SECONDA – CRESCITA, SVILUPPO E BILANCIA DEI PAGAMENTI CRESCITA E SVILUPPO In letteratura, crescita economica e sviluppo economico vengono spesso affiancati. In realtà, si tratta di due concetti profondamente differenti. • CRESCITA: E’ legato all’aumento di reddito/ricchezza prodotto da una nazione; • SVILUPPO: E’ legato non soltanto alla ricchezza economica ma ad una pluralità di ambiti, nei quali l’individuo può sentirsi più o meno soddisfatto. La distinzione tra crescita e sviluppo nasce nella seconda metà degli anni ‘80. In particolare, nel 1987 Sen propone il concetto di capabilities, che descrive la capacità di un individuo di soddisfare le proprie esigenze, di ampliare le proprie scelte. La differenza fra crescita e sviluppo rientra nella dimensionalità dei due concetti: • La crescita è un concetto unidimensionale. Ha come unica dimensione il reddito, la ricchezza monetaria prodotta da un individuo o dalla collettività • Lo sviluppo ha una natura multidimensionale, in quanto rappresenta una serie di elementi che concorrono insieme a definire il livello di sviluppo e benessere di un individuo e, nell'aggregato, di un paese. Tale principio di dimensionalità è stato accolto dalle nazioni unite le quali hanno introdotto, nel 1989, un indicatore di sviluppo umano: Human Development Index (HDI). Si iniziano così a classificare i paesi non soltanto in base al reddito prodotto, in quanto l’HDI incorpora, appunto, questi elementi di multidimensionalità. Nel HDI rientrano tre dimensioni : 1) Livello di reddito 2) Livello di scolarizzazione di un individuo. Tale indicatore è composto da due segmenti: uno che attiene al concetto di alfabetizzazione e l'altro al livello di istruzione effettivamente raggiunto in rapporto al livello potenzialmente raggiungibile. 3) Benessere fisico dell’individuo. Viene catturato dall'aspettativa di vita alla nascita, calcolata utilizzando le statistiche sulla mortalità sia adulta che infantile. Quello che si è osservato è che per molti paesi vi è una discordanza nei ranking internazionali a seconda che si utilizzi semplicemente il reddito interno lordo o un indicatore di sviluppo umano composito come l’HDI. Alcuni paesi utilizzano il reddito per ampliare le capabilities della popolazione ed altri paesi in cui il reddito cresce, in realtà di questa crescita ne beneficiano solo alcuni privilegiati soggetti. Quindi, un elemento che dissocia la crescita economica dallo sviluppo ha a che fare con la distribuzione del reddito che diventa un elemento fondamentale. Vi possono essere dei meccanismi che ostacolano le dinamiche di lungo periodo di crescita e sviluppo economico e che possono giustificare un intervento pubblico nell'economia. LEGGE DI OKUN (1962) – PROBLEMA NELLA CRESCITA/SVILUPPO La legge di Okun consente di misurare gli effetti che un determinato obiettivo di crescita economica possono produrre nel tempo sul tasso di disoccupazione. La legge di Okun del 1962 è un’evidenza empirica (osservazione diretta o indiretta dei fatti) che evidenzia, appunto, in particolare, ci dice che la riduzione del tasso di disoccupazione è legato alla crescita economica e per avere una contrazione del tasso di disoccupazione, la crescita economica deve collocarsi al di sopra del trend di lungo periodo della crescita del reddito, dato dalla crescita della produttività e della popolazione. Consideriamo la seguente eguaglianza: REDDITO = PRODUTTIVITA’ MEDIA DELLA FORZA LAVORO x QUANTITA' DI FORZA LAVORO IMPIEGATA. 16 TEORIA DELLA CRESCITA ESOGENA/ENDOGENA DELL'ECONOMIA 1) I modelli di crescita esogena sono legati alla crescita di fattori esterni, quali • Il fattore tecnologico • Il fattore risparmio. Questi modelli hanno un equilibrio di lungo periodo cosiddetto “di stato stazionario”. Questo periodo può essere positivo solo se vi è progresso tecnologico. Tali modelli determinano quindi una certa insoddisfazione: infatti, benchè siano compatibili con una dinamica di crescita di lungo periodo, non sono in grado di spiegarne le ragioni. 2) I modelli di crescita endogena superano questo “enpasse”, introducendo una dinamica di crescita positiva di lungo periodo. Per far questo, ricorrono al concetto di esternalità positiva ovvero di spill over positivi, inserendo delle economie di scala crescenti. I perni attorno a cui si sviluppa la crescita endogena sono due: - L'investimento privato in tecnologia ha degli effetti positivi per l’impresa che intraprende l’investimento ma anche per le imprese esterne che potranno beneficiare della conoscenza creata dall’investimento privato di ricerca e sviluppo. - L’investimento in capitale umano ha degli effetti positivi sulle altre imprese che potranno beneficiare, ad esempio, di una forza lavoro più qualificata quando andranno ad assumere un lavoratore formato da un’altra imprese Bisogna tener conto, però, che nella crescita di lungo periodo vi potrebbe essere una difficoltà da parte dell’investitore privato a individuare il livello di investimenti in R&S e Capitale Umano socialmente ottimi. Questa discrasia tra investimenti privati ed effetti socialmente ottimi, può giustificare l’intervento pubblico. Tuttavia, diverse scuole di pensiero economico sono assai divise sui provvedimenti che il policy maker può adottare per risolvere i fallimenti macroeconomici: • Lucas ritiene che il mercato possa garantire l’accumulazione efficiente di capitale umano, anche se lasciato libero. • Altri, come Benabou, sostengono che gli elementi di fallimenti macroeconomici del mercato creino dei fenomeni ostativi a questa dinamica di crescita virtuosa di lungo periodo e, quindi, determinano uno spazio per il possibile intervento pubblico nell'economia. BILANCIA DEI PAGAMENTI La bilancia dei pagamenti è un sistema di contabilità che registra le transazioni (rappresenta le entrate – voci attive e le uscite – voci passive) compiute tra residenti di un sistema economico ed il resto del mondo. E’ composta da: • CONTO CORRENTE: comprende le importazioni ed esportazioni di beni, nonchè i trasferimenti unilaterali aventi natura di operazioni correnti. • CONTO CAPITALE: comprende le operazioni commerciali ed i trasferimenti relativi ad attività di investimento (cessioni ed acquisizioni di attività intangibili quali brevetti, diritti d'autore, valore dell’avviamento commerciale, trasferimenti finalizzati o condizionati a transazioni su beni capitali). Questi due concetti insieme (conto corrente e conto capitale) danno la grandezza del saldo complessivo dei movimenti di beni e servizi. • CONTO FINANZIARIO: comprende i movimenti di capitale a medio, breve e lungo termine che possono essere distinti in investimenti diretti, investimenti di portafoglio, derivati, altri investimenti e variazioni delle riserve ufficiali. Sostanzialmente, la bilancia dei pagamenti descrive qual è il rapporto tra entrate e uscite, in partita doppia, per esempio, verificando le esportazioni con le importazioni. Se un paese ha un eccesso di esportazioni, vuol dire che una parte dell'output prodotto viene venduto a compratori esteri. Per fare ciò, abbiamo dei flussi finanziari in entrata e flussi di beni in uscita: questo determina uno squilibrio sul conto corrente e sul conto capitale, che dovrà essere bilanciato da una variazione di segno opposto sul conto finanziario. Questo, a sua volta, determina delle pressioni sul sistema finanziario nel nostro paese e diventa insostenibile nel lungo periodo. In effetti, gli squilibri – avanzi o disavanzi - non sono sostenibili nel lungo periodo e, se necessario, il policy maker dovrà correggere questa tendenza, ad esempio intervenendo su tassi di cambio. 17 ARGOMENTO 4 – LA TEORIA NORMATIVA DELLA POLITICA ECONOMICA LEZIONE PRIMA – TEORIA NORMATIVA DELLA POLITICA ECONOMICA TEORIA NORMATIVA DELLA POLITICA ECONOMICA La teoria positiva introduce i fallimenti del governo, del non-mercato. La teoria normativa, invece, è un modello di analisi astratto che ci consente di definire quali sono le scelte ottime del policy maker per raggiungere determinati obiettivi. La Teoria Normativa affronta il cosiddetto “sollen”, ovvero come dovrebbe essere un sistema economico con certe caratteristiche ideali, e non come esso si presenta nella realtà. PROGRAMMAZIONE Affinché gli interventi di politica economica siano efficaci è necessario effettuare un’accurata programmazione. Tale programmazione deve prevedere: - Raggiungimento degli obiettivi prefissati - Individuazione degli strumenti più efficaci La programmazione in genere è “multidimensionale” perchè si sviluppa contemporaneamente sia nello spazio che nel tempo. Questo introduce una serie di problematiche: • Natura intertemporale dei problemi di politica economica, se abbiamo obiettivi molteplici, questi potrebbero confliggere tra di loro. In altre parole, per raggiungere un determinato obiettivo ci si allontana da un altro. Il policy maker, quindi, dovrà compiere una scelta, definendo qual è l’obiettivo prioritario e creando una “scala di importanza”. • Coerenza temporale delle scelte pubbliche, si intende il modo in cui la scelta pubblica viene percepita dai destinatari dell’azione pubblica. Se l’obiettivo del policy maker è aumentare il livello dei consumi delle famiglie (es. per rilanciare la crescita economica), posso aumentare la spesa pubblica. Aumento spesa pubblica -> aumento reddito -> aumento consumi. Se questo annuncio viene percepito: - Come intervento una tantum, gli effetti saranno estremamente contenuti. - Come un aumento permanente del livello di reddito, la propensione marginale al consumo sarà più alta e quindi ci sarà un aumento molto più significativo nel livello dei consumi delle famiglie. Se, ad un certo punto, il policy maker decidesse di sospendere questo intervento dichiarato permanente, assumerebbe un atteggiamento di incoerenza temporale e di conseguenza, se ci dovessero essere altri interventi di policy nel futuro, questi perderanno credibilità agli occhi delle famiglie che non adegueranno i propri livelli di consumo. ELEMENTI COSTITUTIVI DEL PROGRAMMA • Obiettivi, che rappresentano il traguardo finale, il punto di arrivo cui l’azione di politica economica ci deve condurre; • Strumenti, che rappresentano il veicolo, ciò di cui il policy maker deve disporre per raggiungere gli obiettivi; • Modello di analisi, il ragionamento scientifico (basato su un’analisi logico-matematica) per poter investigare se e come gli strumenti possano essere adatti a raggiungere gli obiettivi prefissati. Le variabili obiettivo e le variabili strumento confluiscono nel modello di analisi. Es, supponiamo che il policy maker voglia perseguire un unico obiettivo: aumentare il livello di occupazione. Un livello di disoccupazione al di sopra della disoccupazione naturale può rappresentare un motivo di fallimento del mercato perché abbiamo un livello di produzione più basso di quello di efficienza e un livello di ricchezza prodotta più basso di quello potenziale Per ridurre la disoccupazione (obiettivo, deve essere poi quantificato in termini di variazione), il policy maker potrà agire sulla spesa pubblica che rappresenta lo strumento. Come fa il policy maker a sapere di quanto deve variare la spesa pubblica? Creando il modello di analisi. 20 Grafico. 3) Obiettivi flessibili con s.m.s. variabile Il metodo degli obiettivi flessibili con SMS (saggio marginale di sostituzione – q di bene a cui si è disposti a rinunciare per ottenere unità aggiuntive di altro bene) variabile ha: - La curva di trasformazione, rappresenta il vincolo al quale deve sottostare policy maker - Le curve di indifferenza del consumatore, definiscono la struttura delle preferenze sociali Questa mappa di curve di indifferenza sociali la chiamiamo funzione del benessere sociale (FBS). Tale funzione rappresenta il modo in cui il benessere sociale aumenta a seconda dei vari livelli di reddito nelle due circoscrizioni (vedi esempio precedente). Ipotizziamo che la FBS abbiano una concavità rivolta verso l'alto e quindi che il saggio marginale di sostituzione tra reddito del nord e reddito del sud sia variabile, in particolare decrescente da sinistra verso destra. Il problema si risolve quando il policy maker si posiziona nel punto di tangenza (tangente=retta che ha un solo punto in comune con un'altra figura geometrica) tra la curva di trasformazione e la funzione del benessere sociale (C). Se, al contrario, il policy maker si collocasse nel punto di intersezione tra la curva di indifferenza più bassa e la curva di trasformazione, avremo un equilibrio al quale corrisponde un livello di reddito più alto per il Nord e più basso per il Sud. Sicuramente, tale equilibrio sarebbe compatibile con il vincolo di bilancio ma, se ci spostassimo più a destra (fino a C), staremmo sempre sulla curva di trasformazione, avendo un livello di benessere sociale più elevato. Abbiamo dimostrato, quindi, come il problema della scelta ad obiettivi variabili si risolva con l’ottimizzazione del benessere sociale. Grafico. 4) Obiettivi flessibili con s.m.s. costante La risoluzione del problema è analoga. Il policy maker segue sempre un approccio ottimizzante, solo che in questo caso una delle curve di indifferenza non sarà convessa verso l’alto, ma lineare. Consideriamo una funzione del benessere sociale del tipo: Welfare = aYN + bYS; Dove: - YN e YS sono le due variabili obiettivo; - a e b sono i pesi assegnati al reddito delle due circoscrizioni i quali restano costanti per qualsiasi valore di YN e YS. La funzione di benessere sociale anziché essere decrescente e convessa verso l’alto sarà decrescente e lineare, poichè il SMS tra i redditi resta costante al variare del reddito delle due circoscrizioni. Dunque, il problema della scelta è un problema di ottimizzazione, che si risolve tramite la massimizzazione del social welfare data la curva di trasformazione (vincolo). Grafico. CONCLUSIONI • Quando operiamo con obiettivi flessibili (indipendentemente da SMS costante o variabile), il comportamento del policy maker sarà sempre un comportamento ottimizzante. La strategia ad obiettivi flessibili ci porterà a dei risultati ottimi in senso paretiano. • Quando operiamo con obiettivi fissi, il comportamento del policy maker sarà sempre volto ad individuare le compatibilità delle variabili obiettivo non prioritarie, con il valore prefissato per la variabile obiettivo prioritaria. Questa strategia ci porterà ad una condizione sub ottimale. Perché il policy maker può scegliere di seguire una strategia ad obiettivi fissi piuttosto che una strategia ad obiettivi flessibili? Ad es., perché in certi casi la scelta ad obiettivi fissi fa sì che non si inneschino meccanismi di instabilità sociale (collegati a fallimenti di non governo, altri a comportamenti virtuosi del policy maker). 21 LEZIONE QUARTA – MODELLO IN FORMA STRUTTURALE COMPONENTI DEL MODELLO IN FORMA STRUTTURALE Il modello in forma strutturale ha variabili endogene espresse in funzione delle variabili esogene e di altre endogene. Le componenti sono: • EQUAZIONI DI COMPORTAMENTO. è un’equazione che riguarda, ad es, il consumatore perchè spiega come si comporta il consumatore e come definisce il proprio profilo di consumo. • EQUAZIONI DI DEFINIZIONE. Per esempio, definiscono cosa si intende per PIL, come lo misuriamo, come lo calcoliamo. • EQUAZIONI DI EQUILIBRIO. Stabiliscono che, in equilibrio, vi sia uguaglianza tra domanda (quantità di beni e servizi domandati) e offerta (output prodotto). • EQUAZIONI ISTITUZIONALI. Definiscono determinate regole fissate dagli organi istituzionali. Se consideriamo gli accordi di Maastricht, sappiamo che non vi è spazio per un finanziamento della spesa pubblica attraverso l'emissione di moneta a meno che non si contravvenga agli stessi accordi. • EQUAZIONI TECNICHE. Ne è un esempio la funzione di produzione, che mi dice come varia la quantità prodotta dalla singola impresa al variare degli input. Queste variazioni sono determinate dalla tecnologia sottostante. VARIABILI DEL MODELLO IN FORMA STRUTTURALE Le tipologie di variabili presenti nel modello in forma strutturale sono le seguenti: • VARIABILI ENDOGENE. Sono quelle variabili le cui variazioni sono determinate da fattori interni al modello stesso. Esempio: Se consideriamo il modello strutturale della determinazione del reddito, il livello del reddito può variare solo endogenamente perchè varia al variare del livello dei consumi, cha a loro volta sono determinati dal livello del reddito. • VARIABILI ESOGENE. Sono quelle variabili le cui variazioni sono determinate da fattori che non sono integrati nel modello stesso. Esempio: il progresso tecnologico. Infatti, se consideriamo la funzione di produzione, essa avrà un particolare andamento che dipende dalla tecnologia. MODELLO IN FORMA RIDOTTA E IN FORMA RIDOTTA INVERSA Nel modello in forma strutturale, quando abbiamo degli obiettivi fissi, lo stesso avrà tante equazioni quanti sono gli obiettivi. Nel passaggio dalla forma strutturale a quella ridotta avremo una riduzione delle equazioni al numero stesso di obiettivi, poiché: • Le variabili irrilevanti sono eliminate per sostituzione; • Le variabili endogene residue sono espresse in termini di variabili esogene. Il modello in forma ridotta inversa ci permette di esprimere gli strumenti in funzione degli obiettivi anziché gli obiettivi in funzione degli strumenti. REGOLA AUREA DELLA POLITICA ECONOMICA REGOLA AUREA: regola di Tindbergen – condizione necessaria perché un problema di politica economica abbia una soluzione univoca è che il numero delle variabili obiettivo sia uguale al numero delle variabili strumento e questo è possibile grazie agli obiettivi fissi. - In caso di strumenti > obiettivi, si incorre nel problema di sovra-determinazione del modello - In caso di strumenti < obiettivi, si incorre nel problema di sotto-determinazione del modello - In caso di obiettivi flessibili, il problema di politica economica può essere risolto anche quando il numero degli strumenti è inferiori al numero di obiettivi. 22 CRITICA DI LUCAS Lucas evidenzia come i modelli così definiti potrebbero non tener conto delle reazioni di altri soggetti di cui il policy maker non può controllare le azioni. Il policy maker, infatti, non ha un controllo diretto, ad es. sui livelli di consumo: non può imporre ai consumatori di acquistare più o meno vestiti, più o meno cibo, ecc. Tuttavia, può cercare di agire sul livello di consumi attraverso una politica fiscale. Ad es. l'aumento della spesa pubblica può far variare il consumo (aumenta il reddito, vi è più ricchezza in circolazione, aumentano i consumi). Tuttavia, se il consumatore percepisce tale aumento come un aumento non permanente o fittizio, allora può modificare il suo parametro: questa è l'essenza dell’effetto di ritorno delle scelte pubbliche sui comportamenti dei privati. Se prendiamo in considerazione la critica di Lucas, qualsiasi politica economica discrezionale avrà meno efficacia. Diminuendo il potere discrezionale del policy maker e inserendo regole automatiche si possono prevedere in maniera più sistematica i comportamenti dei privati. 25 LEZIONE SECONDA – FALLIMENTI DI NON MERCATO FALLIMENTI DELLO STATO Vi sono delle circostanze in cui l’intervento pubblico dello Stato, anzichè migliorativo (portare il sistema verso l'auspicata efficienza), può essere peggiorativo (ai fallimenti di mercato si sommano quelli dello stato/non-mercato). In questo caso, quindi, l’intervento dello stato in economia non è giustificato neanche in presenza dei fallimenti di mercato. Si innescano dei dibattiti ideologici su questo aspetto: I fautori del liberismo saranno favorevoli ad un intervento solo che minimo dello Stato in economia e pertanto andranno ad evidenziare gli aspetti negativi. I fautori di un approccio più statalista andranno ad evidenziare gli aspetti positivi. Lo stato può fallire laddove si determinano le stesse circostanze che determinavano il fallimento del mercato, ad esempio: • Monopoli naturali; • Asimmetrie informative, che determinano azzardo morale e selezione avversa. Tutti questi meccanismi si realizzano quando il problema della scelta è un problema che prevede meccanismi di delega da un soggetto ad un altro: il principale delega all'agente il compimento di determinate azioni economiche e vi è un gap di informazioni. Nel settore pubblico, l'azzardo morale è più intenso rispetto al settore privato perchè il rischio di fallimento è percepito come molto remoto. Sappiamo tutti, infatti, che la probabilità di fallimento di un'impresa è più alta rispetto a quella di uno stato, in quanto il fallimento di uno stato si porta dietro conseguenze geo-politiche molto più rilevanti rispetto a quelle che si porterebbe dietro il fallimento di un’impresa. LO STATO MINIMALE Compiti minimi che dovrebbero essere affidati al settore pubblico sono: • LEGISLAZIONE • GIUSTIZIA • DIFESA Ad esempio è necessario che lo stato svolga funzioni di amministrazione della giustizia, ma deve anche garantire che questa venga rispettata. Quindi, lo stato dovrebbe garantire non solo l'esistenza del tribunale e di un giudice imparziale (efficienza), ma anche un difensore a chi non se lo può permettere (equità). Ad esempio, se un indigente viene accusato di un crimine e non può permettersi un difensore, avrà poche chances che venga fatta giustizia. Assicurarsi che venga fatta giustizia deve essere compito dello Stato. Il discorso vale sia per l'attore che per il convenuto: lo stato dovrebbe garantire un difensore non solo se si è convenuti in giudizio, ma anche qualora si volesse iniziare una causa contro qualcuno. Riguardo tali funzioni (giustizia, difesa, legislazione) che rientrano nel cosiddetto nocciolo duro, tutti gli economisti sono concordi sul fatto che la produzione al di fuori del settore pubblico sarebbe, se non impossibile, altamente inefficiente ed instabile. PROPOSTE PER MIGLIORARE L’EFFICIENZA Posto che lo Stato è soggetto a fallimenti tanto quanto lo è il mercato, dobbiamo definire delle possibili azioni correttive per migliorare l'efficienza dell'intervento pubblico nell'economia. • Adozione di regole e vincoli efficaci per le istituzioni ad ogni livello. Si riduce la discrezionalità dell'intervento pubblico, si lascia meno spazio di azione e quindi si riducono i possibili conflitti nel meccanismo di delega principale-agente. Ad esempio, nel momento in cui l'inflazione supera una certa soglia, verrà messa in essere una politica monetaria di tipo restrittivo. Si creano degli automatismi. Si evitano così comportamenti di azzardo morale. • Maggiore controllo e partecipazione democratica • Maggiore pressione competitiva. Si creano dei meccanismi per cui gli organi dello stato tendono a fare meglio a causa di tale pressione. 26 PROGRAMMA DI AZIONE PUBBLICA L’intervento pubblico può essere attivato su segnalazione di altri oppure con iniziativa del politico. Il settore pubblico può intervenire quando: - Vi è un fallimento di un'altra istituzione (il mercato); - Vi è una ragionevole certezza che tale intervento abbia degli effetti migliorativi. La scelta fra i tipi di intervento viene effettuata tenendo conto: • Della fattibilità dell'intervento, osservando il rapporto politico-burocrate; • Dalla natura dei risultati, sia in termini microeconomici che in termini macroeconomici. 27 LEZIONE TERZA – DECENTRAMENTO DELLE FUNZIONI STATALI DECENTRAMENTO DELLE FUNZIONI Per incrementare l’efficienza dell’intervento pubblico, alcune funzioni di politica economica possono essere affidate ad appositi organismi dello stato tramite meccanismi di delega e di decentramento. Tale decentramento può essere: • ORIZZONTALE, quando lo stato delega una funzione ad organi che sono indipendenti (separati dallo stato) e che la esercitano su tutto il territorio nazionale. Esempio: il controllo sul funzionamento dei mercati azionari (consob) ed il controllo del sistema dell'intermediazione finanziaria (bankitalia). • VERTICALE, quando lo stato delega determinate funzioni ad organismi che hanno un raggio di azione geograficamente definito. Esempio: delegare la gestione dell'istruzione di primo livello ai comuni, alle province, alle regioni. STATO FEDERALE Lo stato federale è una forma di Stato in cui i poteri sovrani sono ripartiti con un sistema di divisione che permette agli stati federati di conservare parziale sovranità. La concorrenza istituzionale può essere utile a migliorare l’efficienza complessiva del sistema. Infatti, poichè i cittadini si possono muovere liberamente all'interno del territorio nazionale, se conferisco alle regioni il potere di gestire sanità, istruzione, ecc. (attuo il decentramento verticale) è ipotizzabile che i cittadini si spostino verso quelle regioni che riescono ad offrire dei servizi migliori. Di conseguenza, le amministrazioni locali inefficienti saranno incentivate ad offrire servizi migliori per attrarre fette di popolazione e, così facendo, non perdere importanza, peso politico e gettito fiscale. In questo modo, si innesca una concorrenza tra regioni che dovrebbe portare ad un miglioramento della qualità media dei servizi offerti. In realtà, vi sono dei problemi: • La tempestività delle reazioni nella mobilità intra statale può non essere immediata. Ad esempio, spostarsi dalla Lombardia al Veneto significa dover cambiare lavoro, casa, riscrivere i figli a scuola. • Il rischio è che si crei una “race to the bottom” volta a respingere i cittadini più poveri. Le regioni possono essere indotte ad offrire servizi pubblici poco efficienti per evitare di attrarre la fetta di popolazione che si avvale di servizi pubblici e cioè quella più povera. • Duplicazione di costi. Esempio nel meccanismo di decentramento italiano delle funzioni del Sistema Sanitario Nazionale ci sono state una serie di duplicazioni di costi. Nel complesso, quindi, la somma dei costi per le singole regioni è maggiore di quello che veniva speso quando il servizio era accentrato. FEDERALISMO FISCALE Il federalismo fiscale è un tipo di condivisione e gestione a più livelli delle competenze e degli strumenti fiscali. I beni di produzione pubblica possono essere prodotti sfruttando le economie di scala (riduzione dei costi di produzione all'aumentare della scala di produzione). Questo è particolarmente vero per i beni pubblici puri, che hanno le caratteristiche già note: NON ESCLUDIBILITA’. L’aria che respiriamo è non escludibile, mentre da una torta posso escludere gli altri. NON RIVALITA’. Il consumo da parte di altri soggetti non riduce la mia possibilità di consumo. Pertanto, è bene che la loro produzione avvenga a livello statale. - Esempio di economie di scala: meglio comprare i caccia per un unico esercito nazionale. Se ciascuna regione si dovesse dotare dei propri caccia, avremmo bisogno di un numero più elevato. Tuttavia, vi sono altri beni prodotti dallo Stato che non hanno le caratteristiche tipiche dei beni pubblici, questi beni possono essere prodotti localmente al fine di migliorare l’efficienza allocativa delle risorse ed evitare potenziali problemi di congestionamento (scuola, sanità, 30 ARGOMENTO 6 – LE POLITICHE MICROECONOMICHE IN UN’ECONOMIA APERTA LEZIONE PRIMA – ASSEGNAZIONE DIRITTI DI PROPRIETA’ ASSEGNAZIONE DEI DIRITTI DI PROPRIETA’ L’assegnazione e la tutela della proprietà sono le precondizioni basilari per il funzionamento del mercato. Ad attribuire il diritto di proprietà privata deve essere il policy maker perché, altrimenti, il mercato lo farebbe in modo altamente insoddisfacente. È possibile pensare a dei modi più intelligenti di assegnare i diritti di proprietà: questo lo vediamo nella corporate governance, ossia il governo societario. Si tratta di un settore della legislazione molto importante Se il policy maker commette degli errori nell’assegnazione dei diritti di proprietà, creando una struttura distorta nell'ambito delle corporation, tali società funzioneranno male e i danni per il sistema economico potrebbero essere notevoli. EFFICIENZA DELLA STRUTTURA PROPRIETARIA Le società sono delle entità giuridiche che possono compiere azioni i cui effetti ricadranno nella sfera giuridica della società stessa e non su quella dei singoli soci. In altre parole, i patrimoni della società e dei singoli soci sono distinti, cosa che può essere intesa come un'assegnazione intelligente dei diritti di proprietà. Secondo il codice penale, la società può essere definita come un contratto o come un insieme di contratti. Tuttavia, tali contratti presentano delle lacune enormi perchè non tutto ciò che avviene nella vita societaria può essere disciplinato dall'atto costitutivo o dallo statuto, ci possono essere degli avvenimenti non previsti preventivamente. Qui entrano in gioco le azioni, il cui possesso conferisce il diritto di prendere decisioni nei casi non previsti dallo statuto, dall’atto costitutivo ecc. Secondo una visione semplicistica, i proprietari dell’azienda sono gli azionisti. Nel momento in cui si riconosce un valore solo in capo agli azionisti, si parla di Shareholder Theory, cioè una visione tesa a massimizzare il valore degli azionisti. Tuttavia, le imprese di grandi dimensioni non possono essere considerate come un'entità al servizio dei soli azionisti, per questo esistono altre visioni dell’impresa che riconoscono, accanto agli azionisti, l’esistenza di altri portatori di interessi: gli stakeholders. Si ha, quindi, un disallineamento che separa: • AZIONISTI, che vorrebbero massimizzare il loro investimento e potrebbero pretendere che l'azienda intraprenda investimenti più rischiosi ma anche con ritorni attesi maggiori. • MANAGER, che potrebbero avere interesse ad accrescere la propria retribuzione, il proprio prestigio, conservare il loro posto di lavoro, ecc. e per questo saranno più avversi al rischio. Per prevenire la mala gestione e gli abusi di potere il policy maker può intervenire attraverso: - Regolamentazione del mercato del controllo societario - Efficienti istituzioni finanziarie DIFFERENZA TRA MODELLI MARKET BASED E MODELLI BANK BASED La governance societaria nel modello anglosassone prevede una dispersione delle azioni tra i vari azionisti, nessuno dei quali può controllare la società (è necessario che si coalizzino per controllarla). I Sistemi anglosassoni vengono definiti market based (basati sul mercato). • MODELLI MARKET BASED: l’impresa che necessita di finanziamenti si rivolge al mercato (es. modello anglosassone) • MODELLI BANK BASED: l'impresa che necessita di finanziamenti si rivolge alla banca, che diventa uno stakeholder vero e proprio e potrà condizionare la vita dell’impresa (es. modello italiano). 31 Tuttavia, in questi processi di governance societaria possono annidarsi delle costose inefficienze. Si creano dei problemi di incentivi perchè alcuni stakeholders, come i lavoratori e le banche, vengono definiti fixed claimants (ricorrenti fissi), hanno diritto ad una somma fissa da parte dell'impresa (per i lavoratori sarà la retribuzione, per le banche sarà il pagamento delle somme prese a prestito). Le imprese, quindi, tenderanno ad assumere decisioni meno rischiose perchè dovranno fronteggiare una nutrita schiera di fixed claimants, che vorranno veder soddisfatte le loro pretese. MODELLO RENANO-NIPPONICO Come suggerisce il nome stesso, è un modello utilizzato prevalentemente in Germania e in Giappone ma anche in Italia, in Francia e in tutta l'Europa continentale. Prevede una struttura societaria piuttosto rigida, nel senso che c'è un blocco di azionisti di comando che condiziona in modo decisivo tutte le sorti della società. In tale modello, vi è una forte presenza delle banche nelle società. Lo svantaggio è che, trattandosi di una struttura rigida, se alcuni azionisti di riferimento controllano tutta la società, bisognerà tutelare i soci di minoranza da eventuali comportamenti predatori. Per molti anni, l’ordinamento è rimasto indifferente alle sorti degli azionisti di minoranza. GOVERNANCE SOCIETARIA TEDESCA - Abbiamo l’assemblea dei soci, nella quale sono rappresentati tutti gli azionisti. - L’assemblea dei soci elegge un consiglio di sorveglianza (organo di controllo). Il consiglio di sorveglianza elegge e vigila su quello di gestione ovvero sul management, quindi vi è un rapporto di fiducia tra l'organo di controllo eletto dall'assemblea dei soci che, a sua volta, elegge un consiglio di gestione. Quindi questo è un sistema dualistico verticale. GOVERNANCE SOCIETARIA ITALIANA Se quello tedesco è un sistema dualistico verticale (l'organo di gestione è subordinato a quello di controllo-consiglio di sorveglianza) quello italiano è un sistema dualistico orizzontale (l'organo di gestione sta sullo stesso piano del consiglio di sorveglianza). Il consiglio di sorveglianza in Italia prende il nome di collegio sindacale e ha il compito di controllare da un lato l'operato del management, dall'altro che venga rispettato l'atto costitutivo e che non vengano compiuti atti in frode soprattutto degli azionisti. La riforma Draghi (D. Lgs 58/1998) ha avvicinato il modello italiano a quello anglosassone, importando figure quali l’amministratore di minoranza. Con le ultime riforme, quindi, il modello italiano si è aperto all'esterno, nel senso che per tutte le imprese italiane è possibile adottare: • Il modello italiano tradizionale • Il modello tedesco dualistico in senso stretto (verticale) con certi accorgimenti • Il sistema monistico all'inglese In realtà, tutte le imprese hanno continuato col sistema tradizionale. MODELLO ANGLOSASSONE È il modello che ha un impatto maggiore sul sistema economico in quanto è basato sul mercato finanziario, in cui le azioni delle società sono disperse tra un numero elevatissimo di soci. Agli azionisti di minoranza di una corporation anglosassone, quindi, non interessa la gestione dell'impresa bensì che il loro investimento cresca di valore. Questo fenomeno di “democratizzazione del capitale”, attraverso il quale i risparmi della classe media vengono incanalati nelle multinazionali, ha fatto sì che i mercati finanziari fossero molto più sviluppati. Tale sviluppo deve essere governato da istituzioni pubbliche, ovvero dal policy maker, il quale detta una serie di misure per la governance societaria, molte delle quali in seguito a certi scandali come il caso Herron, quando una gran parte di imprenditori furono depredati dai loro investimenti a seguito di comportamenti fraudolenti del management. Ultimamente gli interventi del policy maker hanno un peso sempre maggiore. 32 Se nel modello renano nipponico il cda e l'organo di controllo erano distinti e separati, nel modello anglosassone vi è un solo consiglio di amministrazione all'interno del quale è costituito un comitato di controllo sull'andamento della gestione che svolge le funzioni del consiglio di sorveglianza o del collegio sindacale. Se l'impresa è mal gestita, o addirittura in perdita, il valore delle azioni scenderà perché gli azionisti preferiscono liberarsene e tentare investimenti più redditizi. Questo spiana la strada ai capitalisti per tentare un takeover sull’impresa, che consiste nel rimuovere il vecchio management per renderla profittevole. Questo, soprattutto fino a qualche anno fa, era considerato lo strumento principe di controllo nel sistema anglosassone. 35 quelle che erano imprese pubbliche quotate sul mercato possono aumentare la dimensione del mercato finanziario, cosa favorevole per un paese come l'Italia, caratterizzato da un mercato finanziario poco sviluppato. GOLDEN SHARE Una volta privatizzate le imprese a partire dagli anni ‘80, lo stato non abdicò totalmente dal suo ruolo di policy maker. Infatti, anche nelle società privatizzate, esiste la golden share. Attraverso la golden share, lo stato non ha il 50% + 1 delle azioni ma ha il potere di prendere decisioni come se fosse azionista di maggioranza. Tale golden share viene considerata come una clausola di salvaguardia per certe attività, quali ad esempio l'energia elettrica, che comportano delle decisioni che vengono prese non soltanto nell’interesse dei profitti ma anche del pubblico. PRIVATIZZAZIONE DI IMPRESE MONOPOLISTE Negli anni ‘90 vi è il passaggio dallo stato imprenditore allo stato regolatore. Ciò significa che lo stato abdica dal suo ruolo di imprenditore (non del tutto), riservandosi il diritto di regolare l’impresa con il fine ultimo della cura dell'interesse pubblico. Quando si privatizza è bene che lo stato regolatore liberalizzi anche: infatti, se si privatizza un’impresa pubblica che operava in regime di monopolio, senza liberalizzare, in realtà si regala un monopolio al privato. Oltretutto, è bene che lo stato regolatore non faccia una regolamentazione troppo restrittiva, altrimenti si rischia un disincentivo alla produzione di ricchezza. Tuttavia, attraverso la privatizzazione il governo italiano ricavò molti soldi che usò per consolidare la posizione del debito pubblico (risolvendo parzialmente il problema). Anche se durante tutti quegli anni il costo delle inefficienze pubbliche fu pagato dai cittadini, questi dall'altra parte ottennero anche dei vantaggi dalla politica di piena occupazione promossa dallo Stato, attraverso posti di lavoro che forse il mercato non avrebbe garantito a condizioni così favorevoli. Riguardo la piena occupazione, alcuni economisti hanno affermato potrebbe avere degli effetti negativi. Infatti, quando c'è la piena occupazione, il licenziamento cessa di avere una funzione deterrente e i lavoratori potrebbero essere portati a produrre di meno sapendo che, anche qualora venissero licenziati, troverebbero subito un altro lavoro. 36 ARGOMENTO 7 – POLITICHE ANTIMONOPOLISTICHE LEZIONE PRIMA – LE POLITICHE ANTIMONOPOLISTICHE POLITICHE ANTIMONOPOLISTICHE Perchè il policy maker vuole combattere il monopolio? • Tutela e ampliamento della libertà economica: Tutelare la libertà economica, in particolare quella delle piccole e medie imprese. Molti studi dimostrano che gran parte dei posti di lavoro, della produzione, del PIL è dovuta alle piccole e medie imprese che costituiscono la spina dorsale del sistema produttivo. Qualora fossero lesionate, il sistema economico ne subirebbe un grave danno. In tutti quei paesi con molta libertà economica (es. Cina, USA, Regno Unito) e con un'elevata concorrenza, dove il P.M è molto attivo a combattere i monopoli, il PIL è alto. • Limitazione delle concentrazioni: Le concentrazioni possono nuocere al mercato perché, in genere, sono indice di un cartello, di un trust e di un possibile condizionamento al policy maker… Con il trust, gli imprenditori oligopolisti si mettono d'accordo per tenere alti i prezzi o per impedire l'accesso al mercato, così da restringere la concorrenza. Quindi, si hanno extra profitti, inefficienze, produzione bassa e perciò interviene il policy maker. • Aumento dell'efficienza allocativa: L'inefficienza può essere dovuta a collusione, abusi di posizione dominante e alle concentrazioni stesse. L’abuso di posizione dominante è compiuto da quell'impresa che può imporre certi comportamenti che avvantaggiano lei e svantaggiano le altre. Per questo l’impresa può essere sanzionata. Accrescere l’efficienza allocativa vuol dire aumentare la produzione ed il benessere sociale. APERTURA INTERNAZIONALE Una delle soluzioni adottate è stata l'apertura internazionale: se tutti possono competere su scala globale, le pressioni competitive a livello planetario imporranno ai produttori nazionali di confrontarsi con i loro omologhi. Si basa, quindi, sulla libertà di circolazione dei beni. Esempio: come si può fare un'apertura internazionale per migliorare la concorrenza interna? Essenzialmente liberalizzando il commercio. L'apertura internazionale: - Funziona per i beni tradables, oggetto di commercio internazionale (es. materie agricole, manufatti). - Non funziona per la maggior parte dei servizi (es. parrucchiere) e per la produzione edilizia. LIBERALIZZAZIONE Liberalizzare significa far decadere quelle barriere all'entrata e all'uscita (ostacoli legislativi, governativi, amministrativi, burocratici, regolamentari) che impediscono a determinati soggetti di entrare/uscire dal mercato. Se il mercato è ristretto, i pochi operatori che svolgono attività nello stesso avranno ridotte pressioni competitive, perciò rischiano di crearsi monopoli, cartelli, intese. La liberalizzazione, quindi, è un valido strumento del policy maker per raggiungere l'efficienza e, in caso, contrastare i monopoli (ex ante, ex post). REGOLAMENTAZIONE La regolamentazione va intesa in senso ampio, ovvero non solo come leggi ma come tutto l'apparato amministrativo. Essa produrrà effetti diversi a seconda che sia una buona o una cattiva regolamentazione. Il legislatore, o chi per lui, fa una sorta di pianificazione per dirigere il sistema verso degli effetti precisi. In tutto ciò, il policy maker deve essere molto scrupoloso e 37 cercare di prevedere tutti gli effetti della regolamentazione, sia nel b che nel l periodo, sia verso i soggetti sui quali queste misure produrranno degli effetti. In merito alla regolamentazione distinguiamo due piani di operatività: - Interventi legislativi, che sono più astratti - Interventi amministrativi, che sono più concreti Inoltre, bisogna fare attenzione ai cosiddetti “costi di compliance” (costi di conformità), che potrebbero pregiudicare la riuscita delle politiche e, se troppo onerosi, rappresentare un vulnus (lesione di diritto) per il consumatore. Le principali forme di regolamentazione antimonopolistica sono: - Una regolamentazione dell’entrata (eliminare le barriere). Il policy maker incentiva l’ingresso di nuovi operatori in una determinata attività cercando di rimuovere tutte quelle barriere (naturali e legali) che ostacolano l’ingresso di nuovi imprenditori. In questo modo aumenta la contendibilità e le spinte competitive conducono ad una maggiore efficienza allocativa. Tuttavia è vero che la regolamentazione delle entrate può liberalizzare il mercato e renderlo più appetibile, ma vi sono costi irrecuperabili che potrebbero frenare l’ingresso degli operatori. - La regolamentazione della concorrenza effettiva. Tale categoria comprende tutti quegli interventi di policy che hanno l’obiettivo di integrare nella realtà i presupposti della concorrenza perfetta, così da migliorare l’efficienza allocativa del mercato di riferimento. Un esempio di regolamentazione della concorrenza effettiva è l'asta: se un mercato è per natura scarsamente competitivo e quindi il policy maker può fare poco per migliorare l’efficienza, si mette all'asta il diritto di accedere al mercato e il ricavato dell'asta va al policy maker. L’asta può annullare o ridurre gli extra profitti del monopolista, ma non può migliorare l'efficienza allocativa del mercato. Questo perché una volta che il monopolista si è guadagnato l'accesso al mercato tramite l'asta, nessuno gli impedirà di praticare prezzi alti. SCISSIONE DELL’IMPRESA MONOPOLISTICA Se c'è una società eccessivamente grande che ha monopolizzato il mercato, il policy maker, attraverso dei provvedimenti ad-hoc, può scinderla in società più piccole, le quali si faranno concorrenza tra loro. Nasce un problema: se una società cresce fino alla sua dimensione ottimale (cosa che gli permette di praticare prezzi più bassi) e il policy maker interviene frazionandola in più società, le società risultanti potranno fare a meno del ricorso alle economie di scala. Ne risulteranno prezzi più elevati per il consumatore. L’inefficienza complessiva aumenta e, paradossalmente, era più efficiente il monopolista che non la concorrenza che risulta dalla scissione dell’impresa monopolista. CASI PRATICI DELLA CONCORRENZA ANTIMONOPOLISTICA Si tratta di una legge statunitense del 1890. Si compone di due sezioni: • Nella prima, vieta le intese restrittive del commercio (cartelli, trust, ecc.) • Nella seconda, vieta la monopolizzazione dei mercati STANDARD OIL: Ci sono stati casi eclatanti in cui fu applicata, il più importante è quello della “Standard Oil” di Rockfeller. La Standard Oil aveva il grosso della produzione del petrolio. Nel 1911, la Standard Oil fu scissa in 34 società indipendenti tra loro per evitare la monopolizzazione, ognuna col proprio management e da quel momento in poi iniziarono a farsi concorrenza tra loro. Da questa scissione vennero create altre Standard Oil. Ottant’anni dopo questa scissione, vi furono una serie di fusioni che portarono alla nascita (dalle ceneri della standard oil) della EXON MOBIL, che oggi è il più grande produttore di petrolio. CASO ALCOA: Tale società americana era la più grande produttrice di alluminio del mondo. Anche oggi si colloca tra le società leader, ma negli anni ‘30 aveva monopolizzato il mercato dell'alluminio, 40 LEZIONE SECONDA – TASSI DI CAMBIO TASSI DI CAMBIO FISSI E FLESSIBILI Per prezzo di valuta estera si intende il tasso di cambio. Dunque, il cambio è un prezzo relativo: date due monete, si ha un solo cambio indipendente. Più in generale, date n monete, ci sono n-1 cambi indipendenti. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, le nazioni più importanti avevano stabilito tassi di cambio fissi tra le rispettive monete con gli accordi di Bretton Woods. Tale regime è stato mantenuto fino al 1973. Il tasso di cambio viene definito con la lettera “e” che sta per “exchange”. E = il prezzo della valuta estera espresso in euro Ci sono due modalità per esprimere il tasso di cambio, una il reciproco dell’altra: - INCERTO PER CERTO. Consiste nell’esprimere il prezzo di un’unità di moneta estera misurata in termini di valuta nazionale Occorrono 0,85€ per acquistare 1$. - CERTO PER INCERTO. Consiste nell’esprimere il prezzo di un’unità di moneta nazionale misurata in termini di valuta estera. Occorrono 1,18$ per acquistare 1€. Si distinguono vari modelli di cambio. • SISTEMA DI TASSI DI CAMBIO FISSI, in cui le autorità monetarie devono fornire qualsiasi ammontare di valuta estera necessario per finanziare gli squilibri della bilancia dei pagamenti. • SISTEMA DI TASSI DI CAMBIO FLESSIBILI, in cui le banche centrali si astengono dall’intervento sui mercati e lasciano che il tasso di cambio si adegui in modo da equilibrare domanda e offerta di valuta estera. DEPREZZAMENTO O APPREZZAMENTO (PER I CAMBI FLESSIBILI) Una variazione del prezzo di una valuta estera in un paese in regime di cambi flessibili è detta deprezzamento o apprezzamento. • DEPREZZAMENTO: corrisponde ad un aumento del tasso di cambio. Se l’€ si deprezza rispetto al $, avremo bisogno di più € per acquistare la stessa quantità di $. Viceversa per l’APPREZZAMENTO. SVALUTAZIONE O RIVALUTAZIONE (PER I CAMBI FISSI) Una variazione del prezzo di una valuta estera in un paese in regime di cambi fissi è detta svalutazione o rivalutazione. • SVALUTAZIONE: è una situazione in cui, per gli operatori dei paesi esteri, la moneta svalutata costa meno mentre per i residenti del paese che svaluta, acquistare la moneta estera costa di più. Viceversa per la RIVALUTAZIONE. FLUTTUAZIONI Quando parliamo di tassi di cambio flessibili, nella realtà ci sono diversi tipi di fluttuazione (oscillazioni della grandezza economica): • FLUTTUAZIONE PULITA: le banche centrali si astengono completamente dall’intervento • FLUTTUAZIONE MANOVRATA o SPORCA: le banche centrali intervengono per acquistare e vendere valute estere nel tentativo di influire sui tassi di cambio. LA BILANCIA DEI PAGAMENTI ED I FLUSSI DI CAPITALI Quando parliamo del conto finanziario, dobbiamo tener conto del fatto che, ormai, i mercati dei capitali sono globali. In tal caso, possiamo assumere come ipotesi di lavoro la (quasi) perfetta mobilità dei capitali. Attualmente, nei paesi industrializzati non esistono restrizioni alla possibilità di detenere attività finanziarie all’estero. I capitali cercano - a livello mondiale - il rendimento più 41 elevato. Tuttavia, se i tassi praticati a New York aumentassero rispetto a quelli praticati a Francoforte: • Gli investitori privilegerebbero New York; • Coloro che hanno bisogno di un prestito si rivolgerebbero al mercato tedesco. Questo processo fa sì che i rendimenti tendano rapidamente ad allinearsi e a convergere. Data la perfetta mobilità dei capitali, la retta BP è orizzontale in corrispondenza del livello dei tassi d’interesse mondiali. I punti che si trovano sopra la retta corrispondono ad un avanzo, mentre quelli collocati al di sotto corrispondono ad un disavanzo. Un incremento del reddito nazionale peggiora la bilancia commerciale. Questo perché, all’aumentare del reddito nazionale, aumentano le importazioni e quindi si riducono le esportazioni nette. Grafico. EQUILIBRIO E PAREGGIO • EQUILIBRIO DELLA BP: uguaglianza fra domanda e offerta di divise estere (le riserve ufficiali non variano). Se non si realizza un equilibrio spontaneo, si può ottenere un “equilibrio quantitativo” tramite l’acquisto o la vendita di valute estere da parte della Banca Centrale. Non a caso, le Banche Centrali dei diversi paesi detengono delle riserve che alimentano quando la bilancia dei pagamenti è in surplus (la BC acquista valuta estera) o in deficit (la BC lascia diminuire la valuta estera). • PAREGGIO DELLA BP: è l’uguaglianza tra domanda e offerta di divise estere che si ottiene tramite una variazione delle riserve ufficiali. Mentre l’equilibrio può durare all’ infinito, fin tanto che domanda e offerta di valute estere restano uguali, il pareggio no. La BC non può effettuare vendite/acquisti di valute estere all’infinito per colmare lo squilibrio e trasformare il disavanzo in pareggio, prima o poi le riserve di valute estere tendono ad esaurirsi. EFFETTO J Una svalutazione del tasso di cambio modifica certamente le quantità importate ed esportate di beni. La curva J analizza come una svalutazione determini effetti positivi e negativi nel breve e nel lungo periodo. La svalutazione induce un peggioramento della BP nella sua componente delle partite correnti nel breve periodo che soltanto nel lungo periodo tende a migliorare. Ciò è dovuto alla differenza di elasticità della domanda rispetto al prezzo nel breve e nel lungo periodo: - BREVE PERIODO, la domanda è poco elastica alle variazioni di prezzo - LUNGO PERIODO, l’elasticità della domanda al prezzo è maggiore Grafico. 42 LEZIONE TERZA – EFFICACIA DELLE POLITICHE ECONOMICHE NEL MODELLO IS-LM BP IL MODELLO MUNDELL-FLEMING Il modello IS LM esteso all’economia aperta prende il nome di modello Mundell-Fleming. Ipotesi: - Economia aperta e piccola (non può influenzare il tasso di interesse mondiale); - Libero mercato dei capitali (non esistono restrizioni e costi ai movimenti di capitali); - Queste ipotesi implicano l’uguaglianza tra tasso di interesse interno e t. di int. Estero. Quindi il tasso di interesse interno è pari a quello mondiale se l’economia è aperta, piccola e non esistono restrizioni ai movimenti di capitali. CAMBI FISSI – POLITICA FISCALE In regime di cambi fissi la politica fiscale può espandere il reddito nel breve periodo e le banche centrali si impegnano ad acquistare e vendere nel mercato dei cambi qualunque ammontare di valuta nazionale a un tasso prestabilito. CAMBI FISSI – POLITICA MONETARIA In regime di cambi fissi la politica monetaria non può espandere il reddito nel breve periodo ed è inefficace sia essa espansiva o restrittiva in quanto non genera alcun effetto sulla produzione e quindi sul reddito. Questo perché qualsiasi tentativo da parte della Banca Centrale di intraprendere politiche genera dei meccanismi di intervento a difesa del tasso di cambio per cui la LM ritorna nella posizione di partenza. CAMBI FLESSIBILI – POLITICA FISCALE In cambi flessibili la politica fiscale non può espandere il reddito nel breve periodo. E’ inefficace perché ci sarà l’apprezzamento del tasso di cambio che va a neutralizzare completamente l’effetto positivo iniziale della politica fiscale. CAMBI FLESSIBILI – POLITICA MONETARIA In cambi flessibili la politica monetaria può espandere il reddito nel breve periodo. E’ efficace perché il deprezzamento del cambio fa aumentare la domanda e si realizza l’equilibrio del mercato dei beni e di quello monetario compatibile con il tasso d’interesse mondiale. THE IMPOSSIBLE TRINITY Non si possono scegliere contemporaneamente tutti e tre questi strumenti. 1) Tasso di cambio fisso. 2) Libertà di movimento dei capitali. 3) Politica monetaria interna. Si possono scegliere due strumenti, il terzo è automaticamente determinato. • 1 e 2: la politica monetaria dipende dal tasso di cambio • 2 e 3: il tasso di cambio deve essere flessibile • 1 e 3: controllo dei capitali per evitare pressioni sul tasso di cambio
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