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Riassunto completo Psicologia generale, Appunti di Psicologia Generale

Riassunto completo degli argomenti trattati durante il corso per la preparazione dell'esame.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 05/06/2022

martadangelo18
martadangelo18 🇮🇹

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Scarica Riassunto completo Psicologia generale e più Appunti in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! LA PSICOLOGIA: La psicologia è definita come la “scienza dell’anima”. Essa studia i comportamenti osservabili, ma anche i comportamenti non direttamente osservabili ovvero i processi mentali come il pensiero, il ragionamento, la memoria, il problem solving, la presa di decisione, i processi emotivi. In che modo li studia? Dopo aver osservato il comportamento, aver fatto delle deduzioni tramite i criteri di giudizio e aver confrontato la situazione osservata con altre simili, vengono fatte delle deduzioni. Ovviamente la situazione è più complicata nel caso dei comportamenti non direttamente osservabili, perché c’è più margine di errore se non si osserva tutto attentamente. Nei nostri comportamenti ci sono tante variabili: ciascuno di noi si comporta in una determinata maniera, non necessariamente rispondendo ad una logica razionale. Quindi ci sono dei comportamenti che vanno interpretati, basando la suddetta interpretazione sulla base di svariate osservazioni simili Per esempio, noi diciamo che il comportamento di una persona è adeguato o meno a seconda del comportamento standard adoperato dalla maggior parte delle persone in un determinato contesto. Ognuno di noi interpreta i contesti e le situazioni in maniera soggettiva, tramite quella che è chiamata “lettura degli eventi”. Essa può essere razionale o irrazionale. Le letture irrazionali generano paura, ansia ed evitamento. Ad esempio, una persona claustrofobica ha paura dei luoghi ristretti non perché siano pericolosi bensì a causa della propria lettura personale. Per risolvere questi problemi non basta soltanto sostituire il pensiero irrazionale con il pensiero razionale, ma occorre intervenire sull’emotività, che a sua volta produce somatizzazione, ovvero la risposta biologica, quindi del corpo, al pericolo. “Non sono le cose in sé a preoccuparci ma le opinioni che ci facciamo di esse.” - Epicuro Esistono delle paure dette ataviche: sono paure che non sono state apprese ma appartengono da sempre alla nostra specie, e molto probabilmente sono state sviluppate a seguito di situazioni che ci hanno messo a rischio di estinzione. Alcuni esempi sono la paura del buio o di determinati animali. IL NOSTRO PATRIMONIO BIOLOGICO: I neuroni sono le cellule nervose che compongono il cervello e le uniche del corpo umano che una volta morte non si riproducono, dunque, affinché ci bastino per tutta la vita ne abbiamo 100 miliardi. Una parte di essa muore già alla nostra nascita, a sostegno del fatto che essi non ci servono tutti, e inoltre muoiono a causa dell’abuso di alcool, fumo, droghe e anche nel caso in cui non vengono utilizzati per molto. Il cervello è infatti un sistema “economico”, in cui l’ossigeno è poco e quindi viene fornito soltanto a quelle cellule che effettivamente vengono utilizzate, a discapito di quelle che vengono utilizzate poco o niente, che allora si suicidano. Nonostante siano tantissimi però, è importante conservare più neuroni possibili in quanto ognuno di essi contiene delle informazioni uniche e irripetibili come i ricordi. Mentre il neurone che non viene stimolato muore, il neurone che viene stimolato si modifica e diventa in grado di sviluppare sempre più connessioni con gli altri neuroni, generando quindi delle sinapsi. Di conseguenza, per non perdere neuroni è necessario esporsi a stimoli di tipo sia mentale che fisico come lo sport. La struttura del neurone: L’essere umano come specie ha un proprio patrimonio biologico. Abbiamo i neuroni: cellule specializzate nel raccogliere, elaborare e trasferire impulsi nervosi. La parte centrale è detta soma. Dal corpo cellulare dei neuroni si diramano vari rametti, i dendriti, e un ramo più grosso, l’assone. I primi ricevono i segnali in arrivo, il secondo conduce i messaggi in uscita. I dendriti e l’assone producono una serie di connessioni, chiamate sinapsi, il cui numero è illimitato ma se dovessimo numerarle, si stima che siano tra 1013 e 1015. I neuroni comunicano tra loro mediante un messaggio elettro-chimico. Il neurone che viene stimolato subisce una vera e propria modifica del proprio metabolismo, cambia, si sistema in un modo diverso e il successivo esporsi ad uno stimolo simile a quello, crea una sorta di ricordo di quell’evento. Questo è il motivo per cui noi, in determinate situazioni, non è necessario che sperimentiamo per una seconda o terza volta un qualcosa, perché ci ricordiamo cosa abbiamo fatto la volta precedente che ci siamo trovati nella medesima situazione. I nostri neuroni hanno la caratteristica di ricordare alcuni eventi i quali, se sono finiti in maniera positiva, si comportano nuovamente allo stesso modo. C’è una memoria metabolica, non resta solo il ricordo ma vi è anche un’impronta vera e propria nel metabolismo (si modificano le cellule in senso metabolico). Quindi, questo cambiamento crea quest’impronta che è il ricordo (questo è il motivo per cui è importante non perdere le cellule nervose). È come se dal punto di vista biologico ci fosse una scrittura di tutti i nostri comportamenti; non è un caso che ci si comporta in un determinato modo Il circuito neuronale è una rete sinapsica che collabora ad un compito, permettendoci quindi di fare delle connessioni tra le diverse informazioni contenute dai vari neuroni. I circuiti neuronali si sviluppano in base alle esperienze che facciamo, e questo accade anche nel caso in cui ci si trovi in un ambiente dove sono presenti disturbi della sfera emotiva, che porteranno allo sviluppo di circuiti psicopatologici, ovvero riguardanti le malattie mentali. 30.09 APPUNTI DI PSICOLOGIA GENERALE | Marta D'Angelo L’acquisizione delle informazioni avviene tramite il percorso caudo-craniale. Esso inizia sempre nella parte posteriore del cervello, raggiunge l’area di Wernicke, viene trasmessa nelle aree anteriori fino all’area di Broca e infine arriva nella corteccia motoria. Quest’ultima è coinvolta perché anche i movimenti del corpo, del viso e dell’apparato fonatorio, collaborano alla comunicazione. Ovviamente, se c’è un’interruzione in un punto qualsiasi di questa strada, l’informazione non viene trasmessa correttamente. Il motivo dell’interruzione di questo percorso può essere non solo una lesione ma anche il posizionamento sbagliato dei neuroni. Quando nasciamo infatti, avviene la migrazione neuronale, ovvero tutti i neuroni che inizialmente sono collocati nella zona centrale del cervello, iniziano a collocarsi ognuno nel proprio spazio a partire dalla parte posteriore (capacità di acquisire informazioni) fino a quella anteriore (capacità comunicative) fino a completare questo processo nell’età adolescenziale. In alcuni casi può accadere che questo processo non avvenga in modo corretto e che alcune zone del cervello non abbiamo i neuroni ben posizionati. Nel caso delle informazioni scritte, esse vengono percepite dall’area visiva, vengono proiettate nella parte più indietro del cervello e lo percorrono interamente per arrivare nuovamente alla parte anteriore. Nel caso delle informazioni uditive, esse ovviamente verranno acquisite in prossimità dell’orecchio e quindi accederanno al cervello direttamente dall’area di Wernicke, effettuando un percorso più breve. Se ci sono disturbi sensoriali, legati quindi all’udito o alla vista, le aree del cervello che dovevano essere adibite alla recezione di queste informazioni vengono utilizzate per sviluppare altre capacità, secondo il fenomeno della compensazione. I non vedenti ad esempio sviluppano una spiccata capacità tattile. Il cervello è quindi una realtà dinamica sollecitata da eventi esterni, interni, e dall’incontro tra ambiente esterno e interno 30.09 APPUNTI DI PSICOLOGIA GENERALE | Marta D'Angelo VI È UN CONTROLLO CONTROLATERALE DEGLI EMISFERI : GLI EMISFERI: EMISFERO DX E SX La parte sinistra controlla la mano destra (anche il piede) e viceversa. EMISFERO DX (blu): - controlla la parte sx del corpo - abilità visuo-spaziali: capacità di percepire, agire ed operare sulle rappresentazioni mentali in funzione di coordinate spaziali. ES: riusciamo a collocare i mobili immaginandoli nello spazio. - consapevolezza musicale. - forme tridimensionali. - consapevolezza artistica: coglie elementi nel loro insieme. - intuizione: capacità di arrivare alla conclusione senza ragionamenti steb by step. - stimoli fantasiosi: elabora mediante l’immaginazione. - approccio globale ai problemi: visione complessiva prima di risolvere il problema per poi passare al dettaglio. - buona attenzione interna: apprendimento in gruppo, anche in ambiti rumorosi. EMISFERO SX (rosso): - controlla la parte dx del corpo. - funzione linguistica. - abilità numeriche. - abilità scientifiche. - analitico: comprende meglio la realtà se frammentata in unità isolate. - individua facilmente i dettagli e li ricorda. - contesto razionale: studio in ambiente ordinato, silenzioso, ben organizzato, che favorisca la concentrazione; in contesti formali o da soli. - linguaggio parlato e scritto. - rigoroso: non si distacca mai dal concreto. - ordinato: ragionamento di tipo logico. 5.10 appunti UGUALI O DIVERSI? Battendo due volte consecutive le mani: risposta mediata: emisfero sx. Facendo un ragionamento dettagliato, basandosi anche sul movimento; risposta immediata: emisfero dx. Immediata senza fare troppe riflessioni. Ciò dipende dal tipo di materiale o dalla strategia di elaborazione? È probabile che dipenda da entrambi i fattori. IL CERVELLO: Il nostro cervello è suddiviso in aree: lobo frontale, temporale, parietale, occipitale (si trovano in aria posteriore del cervello). Lobo frontale: parte anteriore del cervello in corrispondenza della fronte. È la parte più importante perché è la più evoluta dal punto di vista delle funzionalità e ci differenzia dagli altri esseri viventi: infatti le altre aree sono presenti in altri esseri viventi mentre nessuno ha un’estensione così grande del lobo frontale. È una sorta di cervello del cervello perché controlla tutto il comportamento, controlla la corteccia e sotto corteccia (che hanno anche gli animali), regolando il comportamento dell’uomo. Ci dice come dobbiamo rispondere ad uno stimolo, ad una situazione. ES: guidando l’auto, avviene per colpa di altri una manovra pericolosa che poteva metterci in serie difficoltà e abbiamo una risposta come per esempio la tachicardia. Poi magari un attimo dopo c’è una risposta che ci dice che in effetti non è successo nulla. La sensazione di batticuore a volte rimane anche dopo → è partito quindi il meccanismo primitivo di difesa. È la parte del cervello che si sviluppa per ultima dal punto di vista filogenetico e ontogenetico, la sua maturazione va verso la completezza con l’adolescenza quando si comincia a vivere senza inconsapevolezza. Per questo un bambino ha bisogno di essere costantemente controllato dalla madre: il lobo frontale c’è fisicamente ma non si è ancora sviluppato. Nella corteccia pre-frontale, neocorteccia, nel lobo frontale nella sindrome di Tourette viene meno una tipica funzione del lobo frontale che è quello di regolare il nostro comportamento e inibire comportamenti anti-sociali o anormali; nel caso della sindrome di Tourette vengono meno i freni inibitori per cui il comportamento non è filtrato. Lobo occipitale: si trova nella nuca, vicino al cervelletto. È adibito alla visione: arrivano le informazioni di tipo visivo che vengono elaborate anche se è l’area più lontana da gli occhi. Le informazioni arrivano alla corteccia visiva dove vengono elaborate e restituite per esempio al lobo frontale dove c’è la corteccia motoria in viene messo in atto il movimento per pronunciare il nome dell’oggetto visto. IL CORPO CALLOSO Il corpo calloso è un fascicolo di fibre che tiene in comunicazione i due emisferi (destro e sinistro) e che li tiene uniti. Nelle donne è più esteso. Split brain: ovvero cervello diviso, avviene quando si ha un problema del corpo calloso → emisfero destro e sinistro non sono più uniti e questo determina la non-comunicazione tra i due emisferi e anche degli effetti comportamentali. Esperimento: si mettono due foglietti; in uno si scrive applaudi e nell’altro ridi, posti in campi visivi diversi. Il soggetto con lo split brain come risposta ride e applaude ma se gli chiedi quante parole ha visto ti dice di aver letto soltanto ridi. Nel campo visivo sinistro la parola ‘applaudire’ non viene percepita coscientemente ma solo a livello sensoriale cioè la si vede, l’organo visivo la vede, ma non viene elaborata coscientemente. FUNZIONI LINGUISTICHE DX: Anche l’emisfero destro ha abilità di tipo linguistico, ma non dal punto di vista del contenuto, cosa la parola significhi dal punto di vista dichiarativo ma il modo dietro cui quella parola viene pronunciata. • Aspetti emotivi: colore, brio, forza, espressioni affettive; • Prosodia, aspetti melodici, intonazione; • Linguaggio automatico: ad esempio quando diciamo l’alfabeto o i numeri. ES: battute di spirito, ironia, doppio senso, giochi di parole. Il bambino prima di imparare il linguaggio contenutistico, impara ciò che ha a che fare con gli aspetti melodici. Parole omonime: sappiamo che ciascuna parola può avere più di un significato non dal punto di vista del contenuto linguistico ma perché siamo in grado di comprendere i significati altri. casa bianca, camicia nera, giubba rossa, berretto verde, casco blu, pollice verde. RICONOSCIMENTO DI FACCE: nel riconoscere un viso vengono utilizzati entrambi gli emisferi. Emisfero dx: - riconosce lo stimolo come una faccia; - percepisce l’espressione. Emisfero sx: - Analisi fisica; - Familiarità; - Informazioni semantiche; - Denominazione; - Prosopoagnosia: deficit percettivo acquisito o congenito del sistema nervoso centrale che impedisce ai soggetti che ne vengono colpiti di riconoscere i tratti di insieme dei volti delle persone; PLASTICITÀ NEURONALE: E’ l’adattamento del sistema nervoso alle richieste ambientali. È presente in tutte le specie animali. Essa entra in funzione sia nel momento in cui dobbiamo apprendere qualcosa, sia nel caso di lesioni dove i neuroni rimasti devono riorganizzarsi dove serve. Con l’invecchiamento diminuisce. Le modifiche sono sia di tipo funzionale che anatomico: Apporta modifiche funzionali (se c’è una lesione al cervello le aree sane cercano di sostituire quelle danneggiate) e anatomiche (si spostano le sedi di alcune funzioni cognitive) del sistema nervoso centrale in risposta a: • Richieste ambientali: stimoli che dobbiamo apprendere • Cambiamenti fisiologici; Plasticità neuronale e invecchiamento: • Rallentamento dei processi di apprendimento; • Riduzione della velocità di elaborazione dell’informazione. Il rallentamento non è però un limite funzionale. Grazie alla plasticità, il cervello compensa la progressiva perdita dei neuroni; Il cervello anziano è sensibile alle esperienze; Minore effetto di invecchiamento su chi ha migliore stile di vita e su chi nella sua vita ha svolto delle attività che lo hanno impegnato cognitivamente (l’invecchiamento cerebrale sarà minore su chi ha svolto un lavoro cognitivo come il professore). Il cervello continua a modificarsi per tutta la vita perdendo o aggiungendo delle arborizzazioni, queste modificazioni nella persona anziana sono di solito perdite di neuroni o connessioni tra di essi. Più impariamo più sinapsi si creano. Ogni volta che si crea un nuovo ricordo il nostro cervello crea delle nuove connessioni. IL NEURONE: Dendriti: ramificazioni che somigliano ai rami degli alberi; più ci sono rami più gli altri neuroni entrano in connessione con altri neuroni. Soma: trasmette l’informazione lungo l’assone fino ai bottoni terminali dove un altro neurone può attaccarsi con i propri dendriti per ricevere l’informazione elettrica e chimica trasmessa attraverso il potenziale d’azione. → Sinapsi: due neuroni che si mettono in connessione. → presinaptico è il neurone che invia il messaggio → quello che riceve il messaggio si chiama postsinaptico. RIABILITAZIONE DOPO LESIONE CEREBRALE: Primo step è il recupero funzionale che avviene spontaneamente a livello cerebrale. Il recupero funzionale segue un andamento filogenetico e direzione caudo- craniale (dalla parte posteriore del cervello alla parte anteriore): 1. per prime recuperano le funzioni vitali, tutte le funzioni determinanti per la sopravvivenza: attenzione, percezione visiva, destrezza manuale; 2. Successivamente si ripristinano le funzioni integrative associative: funzioni comportamentali, caratteristiche socio-personologiche, funzioni cognitive superiori. Recupero funzionale: 1. Il recupero di una funzione risulta più veloce se vengono svolte delle stimolazioni in quell’area che sottende quella data funzione; 2. Una lesione di ridotte dimensioni ha maggiore probabilità di essere associata ad un recupero funzionale più veloce; 3. La possibilità di recupero è maggiore in pazienti giovani rispetto agli anziani. L’attenzione. Il tronco encefalico è la parte in cui il cervello è appoggiato (parte sottocorticale). Per quel che concerne l’attenzione tutta la parte sottocorticale è molto importante. La neocorteccia è invece la parte più evoluta del nostro cervello e controlla insieme ai lobi frontali tutto il resto del cervello e del corpo attraverso delle connessioni con la sotto-corteccia. Le funzioni attentive hanno un ruolo atavico, primordiale. Nell’evoluzione della specie, l’attenzione ha giocato un ruolo fondamentale per la sopravvivenza della specie; gli esseri umani, per esempio, sono sopravvissuti perché, sin dai primi tempi, hanno prestato attenzione ad alcuni stimoli potenzialmente pericolosi. Proprio per questa ragione essa viene considerata come una sorta di filtro: in un determinato ambiente colmo di stimolazioni, l’attenzione ci permette di “filtrarle” riducendo la quantità di informazioni presenti e spingendoci a focalizzarci su un qualcosa di specifico, eliminando tutto il resto. Sarebbe impossibile prestare attenzione a tutti gli stimoli che ci circondano contemporaneamente, poiché non abbiamo un cervello così attrezzato da poter osservare tutto. Chi ci dice su cosa dobbiamo focalizzarci? Chi ci dice cos’è più importante? Il lobo frontale decide che cos’è più importante in un determinato momento, elimina tutto il resto e seleziona quel qualcosa su cui ci si focalizza sulla base di una priorità. Il sistema che decide verso cosa dobbiamo dirigerci si chiama proprio sistema esecutivo centrale. Dal punto di vista clinico, nel momento alcuni pazienti presentano dei disturbi legati a lesioni cerebrali, nella maggior parte dei casi si manifestano sempre dei disturbi attentivi, perché essendo la funzione di base viene compromessa con maggiore facilità. In tutti i deficit, come il TBI trauma cranico, o l’ictus (stroke), cioè in tutti quei danni legati a emorragie cerebrali o carenze di ossigeno, se c’è una prestazione attentiva buona, c’è sempre un recupero migliore. Le persone che hanno una buona attenzione, nonostante la lesione cerebrale, ad esempio, sono anche quelle che riescono a recuperare più velocemente. Dunque, si è “fortunati” se vi è una conservazione dell’attenzione dopo un eventuale danno, perché questo corrisponde ad un recupero più rapido. Il calo attentivo. Il calo attentivo è un fattore che accomuna tutti perché, sia coinvolgente o meno l’argomento di cui si parla, ad un certo punto ci si distrae in quanto abbiamo una capacità attentiva limitata. In ambito scolastico, per esempio, il coinvolgimento attentivo aumenta dal punto di vista delle probabilità di acquisire informazioni nuove. Il problema è che se siamo circondati da informazioni, la quantità di esse che possiamo attenzionare è limitata. L’essere umano ha, di per sé, dei limiti fisiologici, per cui non potendo procedere all’infinito, bisogna capire come favorire il mantenimento massimo facendo ad esempio delle pause. Elaborazione automatica Dentro l’attenzione ci sono dei processi automatizzati: noi non attiviamo in maniera voluta un carico cognitivo in più perché è necessario. Esempio: uno dei processi che facciamo in modo automatico (non intenzionale) è la lettura, che è un processo di elaborazione cognitiva che non richiede un grosso carico attentivo (abbiamo solo bisogno di un’attenzione di base senza una grossa stimolazione cognitiva). Dentro l’attenzione ci sono anche dei processi intenzionali: compiti in cui è necessario attivare maggiormente la nostra attenzione, in modo intenzionale. Esempio: se dobbiamo fare un compito nel quale bisogna distinguere parole simili tra loro, abbiamo bisogno di maggiore attenzione. Questa attenzione è di tipo intenzionale. Un altro processo che facciamo in maniera automatica: Se noi, ad esempio, siamo in mezzo alla folla e stiamo intrattenendo una conversazione con i nostri amici e ad un certo punto sentiamo chiamare alle spalle il nostro nome allora succede che una sorta di filtro attentivo ci conduce ad ascoltare cosa stanno dicendo quelle persone. Ciò accade perché abbiamo avuto una sensazione automatica. In questo caso l’attenzione è di tipo selettivo, cioè abbiamo ascoltato uno stimolo per noi significativo che ha attirato la nostra attenzione. Se noi eravamo presi da un’altra conversazione, come abbiamo fatto a sentire questa parola? Perché abbiamo un principio di ascolto di quel che accade nell’ambiente circostante molto elevato, tant’è che la nostra attenzione lascia andare tutti gli stimoli non-significativi, che vengono eliminati. Invece, nel momento in cui qualcosa attira la nostra attenzione, perché per noi è significativa, perdiamo la concentrazione su quel che stavamo facendo e rivolgiamo attenzione a quel che è diventato maggiormente significativo per noi. Ricapitolando: ci sono due livelli: un processo che noi facciamo in maniera più intenzionale nel quale abbiamo bisogno di aggiungere maggiore carico attentivo, e processi invece che sono automatici. Automatico non vuol dire inconsapevole. Ad esempio, se abbiamo imparato a guidare la macchina lo facciamo in modo automatico, perché è un’azione che ormai sappiamo svolgere, tuttavia siamo consapevoli dell’azione che stiamo svolgendo. Meccanismo selettivo Il primo meccanismo di selezione è legato alle necessità biologiche, cioè tutto quello che riguarda la specie e la sua sopravvivenza. Ovviamente si seleziona quello che è importante per sopravvivere. La nostra attenzione non ha un meccanismo univoco: non funziona o tutto o nulla; ma ha tutta una serie di diverse distinzioni. L’Arousal e il tono di base. Uno dei meccanismi che riguardano l’attenzione si chiama Arousal che è un’attivazione di base di tipo attentivo, che ci consente di essere sufficientemente attivi rispetto ad una situazione (tono di base). Se c’è una difficoltà non sempre si riesce ad essere sufficientemente attivi. Esempio: una persona che va a svolgere un esame orale sbadigliando non ha un sufficiente Arousal. Un individuo di questo tipo, così facendo, dimostra di non essere sufficientemente attivo rispetto a quella che è la richiesta di quel momento. Quindi essere attivati nella maniera adeguata significa avere un livello suficiente di funzionamento dell’attenzione. E nel caso dell’ansia da prestazione o degli attacchi di panico? In alcune situazioni particolarmente snervanti, può avvenire un blocco non perché si è poco attivi, bensì perché si è eccessivamente attivi. Per esempio: prima di sostenere un esame, un determinato individuo può farsi cogliere dalla cosiddetta ansia da prestazione, a causa della quale si manifesta un blocco del ragionamento lucido, per cui non si riesce più a spiegare concetti anche abbastanza semplici, perché c’è un’attivazione esagerata rispetto a quella che è la situazione. Se ci si fa prendere dal panico, oltre “l’ansia” subentra anche l’attacco di panico, che nasce proprio da un’idea che si ha di una determinata situazione: c’è un Arousal eccessiva rispetto ad una situazione che non richiede queste quantità avanzate. Riassumendo: l’attivazione dell’Arousal deve essere nella media in quanto troppo fa scattare un’agitazione, troppo poco causa una scarsa attenzione. Attenzione selettiva e divisa. Un’altra importantissima distinzione dell’attenzione è quella tra selettiva e divisa. La prima riguarda il riuscire ad osservare una cosa per volta; la seconda, invece, riguarda la capacità di saper svolgere due compiti contemporaneamente, riuscendo a dividere l’attenzione in due diversi elementi. Ci possono essere delle difficoltà a seguire selettivamente un solo stimolo, chiaramente però, è più complessa l’attenzione divisa, tant’è che se viene ad esserci una difficoltà attentiva è più probabile che sia coinvolta l’attenzione divisa proprio perché la selettiva è più semplice. Esempio: noi siamo capaci di guidare la macchina e parlare contemporaneamente col nostro passeggero senza, per questo, perdere il controllo dell’auto. Alcune volte però questo può distrarci, facendoci perdere l’orientamento del luogo verso cui eravamo diretti. L’attenzione divisa è più difficile perché richiede un carico cognitivo maggiore. Non è un deficit se, nell’attenzione divisa, si perde il filo del discorso o del percorso da fare. Questo “smarrimento” è un segnale che si stanno facendo troppe cose insieme, quindi se cominciamo a dimenticare è normale perché legato al fatto che siamo sovraccarichi nell’attenzione divisa. Shifting. Lo Shifting è quella caratteristica dell’attenzione di sapersi spostare da una fonte d’informazione all’altra. Noi siamo capaci di osservare qualcosa e spostarci velocemente verso un’altra fonte d’informazione, perché abbiamo questa capacità di “shiftare”, verso qualcosaltro. Chiaramente, se c’è un deficit a questo livello, è difficile spostarsi da uno stimolo all’altro e si tende a restare ancorati allo stimolo che stiamo osservando senza riuscire a modificare l’indirizzo della nostra attenzione. Controllo interferenze. L’ultimo, che abbiamo già osservato, è lo Stroop ovvero il controllo delle interferenze. Un forte distrattore può causare grande confusione. Nel caso dello Stroop il distrattore era la lettura, perché noi siamo abituati a leggere in maniera quasi del tutto inconsapevole, quindi ci crea difficoltà limitarci, dal punto di vista del controllo dell’interferenza. Attenzione sostenuta (o concentrazione). L’ultima tipologia di attenzione di cui abbiamo parlato riguarda la quantità di tempo. Questa tipologia di attenzione è chiamata sostenuta (o mantenuta) e riguarda la quantità di tempo nel quale si riesce a restare attenti. L’attenzione sostenuta decade maggiormente nei bambini: quando c’è una difficoltà a scuola, generalmente non è legata all’attenzione in sé, bensì a quella sostenuta, cioè al fatto che si debba mantenere l’attenzione per un periodo di tempo più o meno lungo. Anche se sappiamo leggere in maniera automatica, ad esempio, dobbiamo mettere una volontarietà per leggere in una maniera finalizzata allo studio, ovvero un controllo attentivo di tipo volontario. Siamo tutti distratti: - bambino distratto a scuola: attenzione sostenuta; - automobilista sbaglia strada: attenzione divisa; - cerebrolesi poco attenti ai test: arousal. L’attenzione è diversa a seconda del contesto, non è un processo unitario, ma di diverse componenti. Entra in gioco quel processo, detto “energia di base di attivazione” (arousal), che si collega alle varie dimensioni: - ampiezza, la quantità di informazioni che possono essere ritenute; - mantenimento, cioè il mantenimento nel tempo; - shifting, la capacità di essere flessibili, di modificare la strategia, - selettività; l’attenzione selettiva: capacità di riuscire a prestare attenzione ad una sola fonte di informazione da un filtro tra informazioni più o meno pertinenti in una determinata situazione. Attenzione selettiva: L’attenzione selettiva consiste nel selezionare alcune fonti di informazioni ed eliminare tutto ciò che non è pertinente. Il compito è proprio di filtrare tutto ciò che non ci interessa e che in quel momento può essere solo di interferenza. Essa riesce ad integrare vari tipi di input, anche se ci fa concentrare su una sola fonte di informazione, ma consente di individuare quali sono gli input prioritari anche sulla base della pericolosità. Un altro compito dell’attenzione è quello di selezionare tra stimoli che sono pertinenti e non pertinenti; quindi, elimina tutto ciò che è extra e che non serve rispetto alla concentrazione. ES: se sei concentrato in una conversazione con un amico, tutto ciò che è attorno a voi non è pertinente e passa in secondo piano. Alcuni esperimenti sono stati fatti su un compito di ascolto dicotico (shadowing): si mette una cuffia con a destra e a sinistra due voci differenti che parlano di cose differenti, poi si fanno una serie di domande al soggetto per verificare effettivamente cosa ha recepito. I soggetti selettivamente si erano concentrati su una sola fonte di informazione. Chiaramente il soggetto non riusciva a seguire il complessivo significato, riusciva al massimo a capire se si trattasse di una voce maschile o femminile, ma non riusciva a seguire il senso di cosa veniva trasmesso da tutte e due le parti. Il soggetto coglie solo alcuni aspetti dell’input. ➔ Noi non siamo capaci di ascoltare contemporaneamente due stimoli che siano tra loro simili: l'attenzione divisa ci consente di osservare più fonti di informazioni, ma esse devono essere tra loro differenti perché due stimoli uguali creano grossa interferenza. Esempio: guidare l'auto è una di quelle cose che facciamo in maniera automatica, però nel frattempo non possiamo fare un altro compito in contemporanea, a meno che non sia un compito che accompagni l’automatico senza interferenza. Siamo capaci di guidare la macchina e ascoltare la radio, ma non siamo capaci di guidare la macchina e suonare il pianoforte in contemporanea, perché sono due compiti automatici. Effetto cocktail party: Esiste un fenomeno che viene chiamato effetto cocktail party: se ci troviamo, ad esempio, in un contesto rumoroso come un pub e siamo concentrati nella conversazione con i nostri amici, eliminiamo tutto ciò che non riguarda la nostra conversazione. Se però improvvisamente sentiamo nominare il nostro nome, anche a distanza, la nostra attenzione viene canalizzata verso questa fonte di informazione perché diventa per noi pertinente. Perdiamo l’attenzione verso i nostri amici e riusciamo a percepire un’informazione per noi importante, che è il nostro nome, che prevale su tutto il resto. È la capacità selettiva di dirigere la nostra attenzione verso stimoli per noi significativi. Attenzione divisa Se i compiti sono molto simili può accadere che ci siano interferenze attentive. È possibile dividere l'attenzione in più compiti, anche se non bisogna andare oltre un certo limite. La pratica può facilitare lo svolgimento di due compiti anche abbastanza complessi, ma compatibili: se due compiti sono semplici ma richiedono una risposta veloce, la loro esecuzione contemporanea può risultare rallentata. Entrambi possono essere svolti nei limiti del possibile ma con un rallentamento generale. L’attenzione divisa non è infinita: anche se abbiamo la possibilità di essere multitasking e di poter fare due cose insieme, non è detto che entrambe le cose siano fatte bene in assoluto. Teorie sull’attenzione Queste teorie sull’attenzione si sono sviluppate a partire dalla teoria del filtro di Broadbent. La teoria afferma che, quando due stimoli vengono presentati contemporaneamente, solo uno dei due può passare il filtro, mentre l'altro rimanendo immagazzinato nel buffer sensoriale, può essere elaborato successivamente; questo meccanismo di selezione è necessario per evitare un sovraccarico d'informazione. Una certa evoluzione di questa teoria fu la teoria del filtro attenuato di Treisman, nella quale le informazioni vengono trascurate se non sono quelle rilevanti e invece vengono evidenziate quelle rilevanti. È come se ci fosse un compito di pre-processamento e l'attenzione decide quali caratteristiche deve integrare di uno stimolo. *quindi la differenza è quella di fare una cernita tra informazioni rilevanti e non rilevanti. Teoria di Norman e Duncan (cognitivisti): ipotizzano invece che entrambe le informazioni, sia quella rilevante sia quella non rilevante, siano elaborate completamente e che la differenza si trovi non nell'elaborazione del materiale, ma nel tipo di risposta prodotta dal soggetto. In altre parole, il filtro si troverebbe non più a livello della ricezione delle informazioni, ma a livello della risposta Esempio: quando riconosciamo un oggetto, osserviamo che ha determinate caratteristiche che lo inseriscono dentro una determinata categoria. Se diamo una definizione di “tavolo” descrivendone la forma, la funzione o il materiale, stiamo dicendo delle caratteristiche irrilevanti secondo questa teoria, perché non sono quelle che lo caratterizzano. Anche se si tratta di oggetti a noi molto comuni, quello che ci consente di metterli dentro la categoria dei tavoli non è la descrizione di un tavolo specifico. L’unica cosa che lo caratterizza si chiama caratteristica prototipica della categoria. Dobbiamo fare uno sforzo di astrazione, cioè andare fuori dal concreto, e dobbiamo estrapolare la caratteristica generale di tutti i tavoli, ovvero la superficie di appoggio. Come filtriamo noi queste informazioni? Jonhnston e Heinz (1978): il processo attentivo va a filtrare sulla base di una flessibilità, ciò che è più valido dal punto di vista selettivamente per la sopravvivenza, ciò che è più importante per noi ma sulla base di circostanze che riguardano il tipo di compito. Ci sono delle altre piccole distinzioni che riguardano i processi passivi, ovvero quelli non coscienti (forma di attenzione involontaria o automatica), e i processi attentivi che invece selezionano quali sono le informazioni rilevanti, cioè quelle dove noi mettiamo della volontarietà. È come se ci fossero dei processi inconsci e dei processi consapevoli. I processi attentivi possiamo distinguerli in due grandi categorie: automatici e controllati. Automatici: sono inconsci, veloci, fortemente sensibili alle interferenze, consentono l’esecuzione di altri compiti e non si modificano tramite l’apprendimento (sono istintivi). Se c’è un grosso rumore dietro di noi, in maniera automatica e senza aver appreso questo comportamento, ci giriamo verso la fonte di rumore (meccanismo attentivo che si chiama riflesso di orientamento). Controllati: sono più lenti, apprendibili, modificabili e pianificati. Ci sono degli errori attenzionali molto comuni: - errori di immagazzinamento: “non ricordo se ho chiuso la porta” un individuo non ricorda se ha già fatto qualcosa, come se non avesse memorizzato quel momento, come se avesse fatto quell’azione senza una grossa consapevolezza. - errori di controllo: “voglio comprare il giornale prima di tornare a casa” l’individuo ha quest’intenzione, poi però nella strada di ritorno verso casa lo dimentica perché è un percorso che fa quotidianamente. Oppure capita che, se dobbiamo prendere una strada diversa dal solito, sbagliamo, perché per abitudine siamo abituati a seguire sempre la stessa strada. La percezione. La percezione è l’informazione acquisita dall’ambiente tramite gli organi di senso ed è trasformata nell’esperienza di oggetti, eventi, suoni, sapori, ecc. Non è determinata semplicemente dalla struttura dello stimolo, che è la sensazione, è piuttosto la ricerca dinamica della migliore interpretazione dei dati disponibili e va dunque oltre l’immediata esperienza dei sensi. È una prima codifica dello stimolo. Gli enigmi della percezione. La percezione è molto particolare ed ha una componente “enigmatica”, proprio perché ci sono tutta una serie di interpretazioni soggettive. Mediante alcuni studi si è scoperto che: 1) il mondo fisico e quello percepito non coincidono in maniera puntuale. La percezione, infatti, non è la registrazione veritiera della struttura fisica dello stimolo ma, appunto, un’interpretazione; 2) il percetto è frutto di alcuni processi di rielaborazione cognitiva nella catena psicofisica. Per cognitivo si intende tutto ciò che riguarda la parte corticale che lavora e ragiona sulla base di processi cognitivi (o cerebrali). 3) assenza fenomenica in presenza di stimoli fisici. Esempio: i raggi ultravioletti vanno oltre quello che i nostri occhi riescono a percepire, però esistono; quindi sono stimoli in assenza di percezione. 4) viceversa può esserci assenza fenomenica in assenza di stimoli. Esempio: quando ci si trova al buio non si percepisce nulla (non è una percezione reale), però si può interpretare quello stimolo come una presenza dal punto di vista percettivo. 5) le illusioni ottiche sono delle discrepanze fra l’oggetto fenomenico e il corrispondente oggetto fisico. Esempi di illusioni ottiche. Osservando l’immagine, percettivamente la figura in alto appare più lunga rispetto quella in basso, ma in realtà entrambe sono uguali, in quanto misurano entrambe 3 cm. Ciò che fa la differenza qui è l’orientamento dei bordi. È come se il nostro cervello percepisse una sorta di dissonanza. Osservando quest’immagine si percepisce un movimento che in realtà non c’è, in quanto le figure sono immobili. La spiegazione a quest’illusione ottica è che ci sono delle onde visive che transitano e che si sovrappongono e, dal momento che si trovano così vicine le une con le altre, creano, soprattutto se osserviamo la parte centrale del vortice, una sensazione di movimento. Anche se all’apparenza non sembrerebbe i due cerchi centrali sono identici (hanno la stessa dimensione). Il fattore che ci fa percepire in modo diverso gli stimoli centrali sono gli altri cerchi che li circondano: l’uno circondato da elementi molti più grandi; l’altro, circondato da elementi molto più piccoli. Le righe verdi che osserviamo in figura sembrano curve, come se ci fosse un rigonfiamento, ma in realtà sono dritte. In questo caso, però, per come è strutturato il percetto, si tende ad osservarlo diverso. Su questo influisce anche la prospettiva. Nell’immagine di fianco, osservando il primo rigo si ha la percezione di una linea retta, però, se nel frattempo con la coda dell’occhio si vanno ad osservare le parti sottostanti appaiono come storte. Interessante notare, però, che se ci si sofferma sulle altre righe, che precedentemente erano state percepite come storte, in realtà sono dritte. L’occhio percepisce sia in maniera diversa la parte centrale del campo visivo (detta focus), mentre la parte laterale del campo visivo viene percepita in diagonale, come se fosse storta, ma in realtà i singoli righi sono tutti dritti. Esempi di figure impossibili. Sono considerate figure impossibili perché hanno questa forte dissonanza tra il cognitivo (ciò che sappiamo di una determinata figura (o immagine) e il percettivo (ciò che percettivamente prevale). Esempi: Ciascuno di noi sa che l’elefante ha per certo 4 zampe. Ciò che conferisce “stranezza” a questa immagine è il fatto che è fortemente dissonante, cioè è fortemente diverso quello che noi percepiamo rispetto a quello che noi sappiamo. L’illusione ottica qui si costruisce anche dal modo in cui la proboscide è stata realizzata in modo che lo spazio vuoto assuma la forma di una zampa. Sembra che ci siano tre perni ma in realtà sono solo due. Anche qui c’è un utilizzo del vuoto che ci fa percepire tre perni. Qual è qui il problema? Il dato percettivo è talmente forte nella nostra immaginazione che non riusciamo a fare a meno di riosservare stimoli come questi che non corrispondono a ciò che ci aspettiamo. Il principio della chiusura. La Gestalt è la scuola dello studio della percezione. La maggior parte delle cose che abbiamo visto sono state studiate da questa scuola di psicologia che poi ha aggiunto anche delle caratteristiche di personalità che ognuno di noi mette nella percezione. Uno dei principi di cui parla la psicologia della Gestalt è proprio il principio della chiusura. Noi tendiamo a percepire come chiusi, stimoli di questo genere, quando in realtà chiusi non sono, in quanto gli elementi nelle figure sono staccati tra loro. Noi però tendiamo ad osservare la prima figura come un cerchio, quindi completando ciò che manca nella figura, detta lacunare. Nel caso della seconda figura tendiamo a descrivere un quadrato bianco che si sovrappone ad uno nero, piuttosto che descrivere quattro triangoli neri staccati tra loro. Si tende ad applicare proprio questo principio di chiusura in quanto andiamo a chiudere il percetto. Nell’ultima figura immaginiamo che ci sia un triangolo bianco sovrapposto ad altri elementi sottostanti, ovvero tre cerchi e un altro triangolo. Ma in realtà sono elementi staccati. Quindi, elementi che formano unità chiuse, tendono ad essere raggruppati insieme. Il principio della somiglianza. Un altro principio che è stato studiato dalla Gestalt è quello della somiglianza. In questa immagine sono presenti due quadrati formati da elementi circolari alcuni bianchi, alcuni neri. Noi tendiamo a vedere i bianchi e i neri come se fossero allineati in verticale nel primo caso, e in orizzontale nel secondo. In realtà queste figure rappresentano la stessa immagine, solo che noi abbiamo l’idea del verticale o dell’orizzontale perché tendiamo sempre a mettere insieme stimoli che sono simili tra loro (in questo caso si somigliano per forma, colore, dimensione, ecc.), i quali vengono percepiti in maniera unitaria. Quindi tendiamo a vedere queste come linee orizzontali o verticali collocate nello spazio in modo da creare un quadrato. Il principio della vicinanza. Nell’immagine di fianco sono presenti otto linee. Se dovessimo descriverle alcuni direbbero che sono accoppiate a due a due, altri, invece, direbbero che sono raggruppate in quattro corsie. Quindi noi tendiamo ad unificare il percetto nella misura in cui si trovano vicini degli stimoli; dunque tendiamo a dare continuità a degli stimoli che sono vicini tra di loro e vengono ad essere percepiti come unità degli stimoli che sono solamente vicini fisicamente. APPUNTI 19.10.2021 MARTA D’ANGELO. APPRENDIMENTO E MEMORIA: Apprendimento e memoria sono parti dello stesso processo, la memoria avviene solo se si ha appreso qualcosa. La memoria → funzione cognitiva che consente di acquisire, conservare e recuperare in un momento successivo informazioni sul mondo intorno a noi e la nostra esperienza in esso; Apprendimento →processo attraverso il quale vengono acquisite nuove informazioni; CLASSIFICAZIONI DELLA MEMORIA: Una delle prime distinzioni che vengono fatte sulla memoria è la quantità di tempo in cui le informazioni riescono ad essere conservate. Abbiamo la differenza tra la primissima traccia ovvero il registro sensoriale, la memoria a breve termine e la memoria a lungo termine. • Registro sensoriale/memoria sensoriale: durata della traccia compresa tra 600 e 2000 ms. lo stimolo può essere visto per intero anche se molto ampio ma è molto labile dal punto di vista del tempo, per esempio vediamo dei numeri susseguirsi sullo schermo, riconosciamo che sono numeri ma non abbiamo nemmeno il tempo per memorizzarli; • La memoria a breve termine: con limiti temporali e quantitativi in un magazzino a breve termine, si possono immagazzinare al massimo tra 5 e 9 elementi. Il meccanismo a breve termine funziona attraverso la ripetizione. Nella memoria a breve termine vengono conservati degli stimoli che possono essere ripetuti velocemente, con quelle parole, perché non vengono associati a nulla, come per esempio una serie di numeri. • Memoria a lungo termine: nella quale le tracce possono rimanere in tempi illimitati e in quantità illimitata. Nel magazzino a lungo termine le memorizzazione non è di singole parole ma di concetti che si possono esprimere in termini diversi. APPRENDIMENTO E MEMORIA FASI DEL PROCESSO: • Encoding: momento in cui l’informazione entra nel nostro cervello, il momento iniziale dell’informazione. È molto legato ai processi attentivi, se non c’è attenzione l’informazione non entra; • Apprendimento: processo di acquisizione di una nuova informazione. • Memoria: conservazione e persistenza dell’informazione; • Richiamo: recupero di questa informazione immagazzinata. • Riconoscimento: quando si ha una facilitazione rispetto all’informazione, entrambi fanno parte del processo, rievocazione spontanea o un riconoscimento cioè riconosci un concetto come acquisito oppure no. ES: quando durante un test a scelta multipla dobbiamo semplicemente riconoscere tra le varie opzioni l’informazione acquisita. Inoltre, abbiamo una componente ansiosa inferiore rispetto a quando abbiamo un test con risposta aperta. MODELLO LINEARE DI ATKINSON E SHIFFRIN (1968) Lineare → perché sostiene che c’è uno stimolo che arriva alla memoria sensoriale, passa alla memoria a breve termine (processo attentivo) fino a giungere alla memoria a lungo termine (processo di ripetizione o altre ricodificazioni), procedendo passo dopo passo. I pazienti che hanno alzheimer, che hanno cioè un danno all’ippocampo, (area che consente alle informazioni a breve termine di essere immagazzinate in quella a lungo termine), non hanno la possibilità di far attecchire le informazioni nella memoria a lungo termine. Quindi il malato non perde la memoria a lungo termine ma non riesce più a immagazzinarvi dentro informazioni nuove. MEMORIA DI LAVORO: Fa parte della memoria a breve termine, dove noi conserviamo una serie di informazioni che ci servono per risolvere un problema. Il nostro cervello funziona grazie alla memoria di lavoro, senza di essa non potremmo fare una serie di cose come: capire una frase, conversare, leggere un menù, riorganizzare un ambiente ecc.. La memoria di lavoro interviene tutte le volte in cui l’informazione debba essere mantenuta e manipolata. Ha una funzione di convergenza, tutte le varie informazioni che accedono vengono integrate secondo un criterio di riunificazione di uno stimolo. La memoria si attiva in tutti i processi: di pensiero e decisionali. Memoria dichiarativa (cosa ricordo) → esplicita → che può essere verbalizzata e ha una connotazione o collocazione spazio temporale. ES: racconto cosa ho fatto ieri sera. A sua volta viene suddivisa in due aree: - Episodica: tutte le informazioni particolari, elementi non condivisi e che riguardano ognuno di noi. ES: ricordo il matrimonio di mio fratello. - Semantica: tutte le informazioni generali. ES: la capitale d’Italia è Roma. Fa parte della nostra conoscenza culturale, una nozione. Memoria procedurale → implicita → ci sono tutte le informazioni non dichiarative, che non possono essere verbalizzate, che mettiamo in atto, come delle azioni che compiamo in maniera automatizzata (guidare l’auto). Non ha connotazione spazio temporale. La memoria implicita comprende: - Procedurale: azioni per mettere in atto dei comportamenti motori (guidare l’auto); - Priming: si tratta di facilitazioni dopo essere stati esposti ad un altro stimolo precedente (esempio si dice un elenco di parole albergo, reddio, lago ecc..) e si chiede al soggetto di ripeterle, il soggetto è probabile che non le ricordi, ma se poi tu gli dici alb- tra le tante parole che può dire (albero, alba) dirà albergo perché l’aveva appena sentita; - Condizionamento: apprendimento. - Risposte emotive: l’emozione in sé, avere una risposta di tipo emozionale. MEMORIE PARALLELE La memoria esplicita ed implicita è come se lavorassero in due moti paralleli che però incidono moltissimo l’una sull’altra, dunque sono fortemente correlate. Di un evento possiamo avere sia il fatto che il contesto ma anche la risonanza emozionale. ES. un matrimonio, ricordiamo quando e dove è stato ma anche le emozioni che abbiamo provato. *MEMORIA DEL FUTURO: Una specie di promemoria, memoria prospettica, ricordare qualcosa che ancora dobbiamo fare. Anche essa è legata al lobo frontale. E’ un processo utilizzato anche in terapia → In che modo? → si deve rifare un apprendimento di una nuova associazione non sgradevole, cioè un avvicinamento allo stimolo fobico attraverso una serie di stimoli piacevoli. Condizionamento operante: (B.F Skinner, 1904-1990) Il condizionamento operante (R-S) inverte le fasi del condizionamento classico (S-R): la risposta precede lo stimolo ambientale che funge da rinforzo (ricompensa, premio ad un certo comportamento). Dunque si emette un comportamento, per ricevere un rinforzo. ES: il bambino va bene a scuola e il genitore regala le figurine. RINFORZO: serve per aumentare l’emissione di un comportamento. PUNIZIONE: serve per ridurre l’emissione di quel comportamento. RINFORZO POSITIVO: si intende il meccanismo per cui tendiamo a ripetere i comportamenti che producono una qualche gratificazione per noi. Tale gratificazione “rinforza” positivamente il comportamento all’origine, rendendolo più frequente. ES: il bambino studia per ricevere il premio dai genitori (le figurine). RINFORZO NEGATIVO: un comportamento ha come conseguenza la diminuzione o eliminazione di una condizione spiacevole. ES: se non indossiamo la cintura di sicurezza, suona l’allarme → quest’ultimo è considerato uno stimolo spiacevole che ci induce a indossare la cintura → il nostro comportamento ha dunque come conseguenza l’eliminazione di una condizione spiacevole. RINFORZI CONTINUI: segue ogni risposta corretta, se fai l’azione corretta viene rinforzato in maniera immediata. RINFORZO PARZIALE: non tutte le risposte vengono rinforzate. SCHEMI DI RINFORZO PARZIALE a. A rapporto: segue il numero di risposte che vengono fornite Fisso: produce percentuali di risposte molto alte Variabile: maggiore resistenza all’estinzione b. A intervallo segue il criterio del tempo trascorso tra un rinforzo e il successivo Fisso: percentuali di risposte modeste Variabile: percentuali di risposte lente e variabili e grande resistenza. A rapporto → Io ti do rinforzo dopo tre risposte. A intervallo → Io ti do rinforzo dopo 20 secondi dalla risposta. Ciò come influisce nel soggetto? In alcuni casi in cui è variabile, la risposta viene appresa più lentamente, però resiste di più all’estinzione. TIPI DI RINFORZI: • rinforzi naturali vs arbitrari (sociali); • rinforzi materiali (cibo); • rinforzi dinamici (attività piacevoli); • rinforzi simbolici (denaro); • rinforzi informazionali (feedback) (Es: durante l’esecuzione di un compito) LEGGE DELL’EFFETTO DI THORNDIKE (1898): Le risposte che suscitano nell’organismo uno stato piacevole o di soddisfazione in una data situazione tenderanno a ripetersi in quella situazione. Di contro, le risposte che suscitano uno stato spiacevole avranno minori probabilità di ripetersi. - apprendimento per prove ed errori. APPRENDIMENTI: - Intenzionale: vi è una specifica motivazione ad apprendere. ES: devo studiare una materia → devo apprendere le nozioni. - Incidentali: non vi è una specifica motivazione ad apprendere ma le apprendo perché vivo in un mondo in cui osservo determinate cose e le apprendo → apprendimento latente → non c’è qualcuno che le abbia spiegate, ma vengono comunque apprese. SCHEMI E STRUTTURE DI APPRENDIMENTO: Grazie all’apprendimento le informazioni sono organizzate in schemi generali che possono essere adattati alla specifica situazione sociale (es: “lezione”, “ristorante” ecc..) MODELLI ARTIFICIALI DI APPRENDIMENTO: LE RETI NEURALI Ci sono dei modelli chiamati di reti neurali che simulano esattamente il funzionamento del cervello nella fase di apprendimento. OBLIO: Le nostre informazioni apprese possono essere dimenticate. L’oblio è comunque un archivio perché qualcosa rimane in maniera latente. In compiti di memoria si perde: - Il 40% dell’informazione dopo soli 19 minuti. - Il 66& dopo 8-9 ore. - Il 75% dopo 6 giorni. - 80% dopo 31 giorni. E’ più facile rievocare gli elementi iniziali (primacy effect) o quelli finali (recency effect): quando leggiamo una lista di parole tendiamo a ricordare le prime e le ultime ma perdiamo più facilmente quelle centrali per una questione di sovraccarico. In generale, l’oblio è più rapido all’inizio e tende a rallentare con il tempo quindi è bene cercare di consolidare le informazioni quanto prima. Quindi, per ricordare ed evitare l’oblio bisogna: - Esprimere in parole il ragionamento → metacognizione → ragionare su come hai ragionato. - Associare un’immagine ai concetti - Creare collegamenti - Coinvolgersi emotivamente Appunti 26.10 Marta D’Angelo IL PENSIERO Il pensiero lo definiamo un processo di rappresentazione mentale di un problema o di una situazione. Una capacità tipica dell’uomo è la metacognizione cioè la capacità di ragionare sul proprio pensiero; noi possiamo verbalizzare il nostro ragionamento. Ovviamente gli animali hanno una forma di pensiero molto più semplice e ci sono dei limiti rispetto alla quantità di cose che possono fare. Abbiamo varie sfaccettature del pensiero: ragionamento, pianificazione, problem solving, processi decisionali. Anche alcuni concetti legati al pensiero vengono utilizzati come sinonimo: - Immagini mentali → rappresentazioni mentali iconiche, ma anche relative ad una modalità sensoriale (uditive, gustative, cinestetiche ecc.) - Concetti → rappresentazioni di categorie di oggetti o di eventi, cioè inseriamo ogni concetto dentro una grande categoria, per esempio se abbiamo il concetto di “animale”, per memoria semantica, sappiamo inserirlo all’interno di una sua categoria. - Ragionamento → capacità di effettuare operazioni mentali astratte e comprende il ragionamento deduttivo, induttivo, la capacità di risolvere problemi e prendere decisioni. Dell’attività del pensiero fanno parte anche altri processi come: attenzione, riconoscimento di schemi, memoria, intuizione, conoscenza semantica e cognizione. Il nostro cervello sviluppa queste capacità in maniera progressiva; ha bisogno di una maturazione: SVILUPPO COGNITIVO, JEAN PIAGET, 1951. La maturazione cognitiva avviene attraverso il superamento di alcuni stadi nel corso dello sviluppo. Piaget ha immaginato degli stadi specifici che sono qualitativamente diversi fra loro, caratterizzati da una specifica organizzazione psicologica di interpretazione della realtà e da una particolare gamma di capacità → La crescita non è solo l’aumento della quantità di informazioni contenute ma anche il modo in cui vengono elaborate. All’interno non ci sono solo cambiamenti qualitativi (che sono quelli che consentono il passaggio da uno stadio all’altro) ma, all’interno dello stesso stadio ci sono dei cambiamenti di tipo quantitativo: quante informazioni vengono acquisite man mano che aumentano i cambiamenti in maniera lenta e graduale. Da uno stadio all’altro lui definisce un cambiamento strutturale: il passaggio da uno stadio all’altro crea una modifica sostanziale delle strutture mentali in cui le acquisizioni precedenti vengono integrate in strutture più evolute. Chiaramente: L’evoluzione dell’individuo è comprensibile solo all’interno della storia evolutiva della specie infatti l’uomo per questione di sopravvivenza si è anche dovuto adattare alle richieste esterne → noi non differenziamo lo sviluppo ontogenetico (specie) e filogenetico (individuo). L’organizzazione biologica è comune a tutti gli esseri umani ma ognuno ha una sua individuale capacità evolutiva di sviluppo e modifica, in maniera individuale, all’interno di un cambiamento dettato dalla nostra biologia. • La capacità intellettiva pienamente sviluppata dell’adulto viene raggiunta in questo periodo di sviluppo. SVILUPPO COGNITIVO, IN SINTESI: Inizialmente il bambino compie semplicemente delle azioni, a partire da queste, forma le sue prime conoscenze: gli schemi di azione, cioè strutture interne attive che consentono di assimilare la realtà esterna (periodo senso motorio). In seguito, queste strutture di conoscenza si trasformano in schemi mentali (periodo preoperatorio) e, a loro volta, si organizzano in unità ancora più complesse chiamate strutture mentali, tipiche del periodo operatorio. IL PUNTO DI VISTA EDUCATIVO: La teoria di Piaget suggerisce che la maniera ideale per guidare lo sviluppo cognitivo è quella di fornire esperienze che siano di volta in volta solo leggermente nuove, insolite o difficili. Se noi facciamo fare al bambino un salto eccessivo, non ha sufficienti strutture mature per cogliere quel salto che gli chiediamo di fare. Occorre ricordare che il pensiero di un bambino si sviluppa soprattutto attraverso una ricerca di equilibrio fra accomodamento alle nuove esperienze alle modificazioni ambientali e assimilazione, che implica la costruzione a livello mentale di sistemi sempre più coordinati e integrati. In generale, è meglio seguire una strategia “un passo alla volta”, in cui lo sforzo dell’insegnamento è calibrato appena oltre il livello di comprensione attuale del bambino. Questo significa che l’organizzazione educativa scolastica non deve essere “di massa” → bisogna considerare che ogni bambino è diverso dall’altro, ognuno ha il suo tempo e nessuno deve rimanere indietro. Il modello di Piaget viene utilizzato tuttora dal punto di vista educativo. LA TEORIA SOCIOCULTURALE DI VYGOTSKY : - Nel modello di Piaget manca la relazione che riguarda la relazione con l’adulto, è stato infatti in epoche successive criticato perché ha creato una sorta di sviluppo cognitivo con degli stadi rigidi solo biologicamente definiti senza andare ad analizzare le relazioni. - Lo studioso russo Lev Vygotsky (1896-1934) si concentra maggiormente sull’impatto dei fattori socioculturali. - L’intuizione fondamentale di Vygotsky è stata che il pensiero del bambino si sviluppa attraverso il dialogo con persone più adulte e non solo tramite una componente biologica. I bambini si trovano a imparare come funziona la vita da diverse figure di riferimento, come i genitori, gli educatori e i fratelli maggiori; Per un bambino non è sufficiente imparare a pensare in maniera logica corretta: deve anche apprendere abilità intellettuali specifiche e fondamentali nella sua cultura di appartenenza. ZONA PROSSIMALE DI SVILUPPO: Il bambino non è lontano dall’avere le capacità mentali necessarie per eseguire il compito, ma questo è un po’ troppo complesso perché lo possa compiere da solo. Pertanto, una zona di sviluppo prossimale indica una tappa evolutiva molto vicina ma non ancora raggiunta dal bambino a cui egli può giungere se adeguatamente sostenuto, i bambini possono disporre di zone di sviluppo prossimale diverse e più o meno ampie cioè la distanza tra la capacità di risolvere i problemi autonomamente e la capacità di risolvere i problemi con aiuto. Distanza tra la capacità di risolvere problemi autonomamente e la capacità di risolvere problemi con aiuto. ES: relativamente alla risoluzione di un problema, un bambino possibilmente riesce a risolverne 5 ma se noi gli spieghiamo il ragionamento necessario per risolvere il problema e conseguentemente il bambino riesce a risolverne 7. La distanza tra 5 e 7 è la zona prossimale di sviluppo → quanto in più riesce a fare con il supporto di qualcuno. Dal punto di vista riabilitativo: l’obiettivo è quello di raggiungere un certo punto limite dando un supporto. Chi aiuta: non dà la soluzione ma provoca, fa domande, dà suggerimenti, suggerisce strategie. Il bambino: trasforma i suggerimenti in linguaggio interno e li utilizza per organizzare il suo comportamento. Ogni bambino è diverso dall’altro e anche se partono entrambi da una stessa base, ognuno può avere diverse potenzialità. IMMAGINI MENTALI: Le immagini mentali sono rappresentazioni mentali iconiche che noi elaboriamo nella nostra mente per raffigurarci delle situazioni. Queste si possono trovare: A livello superficiale nella memoria a breve termine, dove appaiono quasi pittoriche, raffigurate su di uno schermo mentale o visual buffer; A livello profondo nella memoria a lungo termine, l’immagine non è più nitida, ma diviene una forma base degli oggetti in forma figurale-analogico a bassa risoluzione. CONCETTO Rappresenta una categoria di oggetti o di eventi. I concetti aiutano a riconoscere un oggetto come esemplare di una categoria e ad attribuirgli le proprietà tipiche di quella categoria. Tali processi di pensiero sono fondamentali per stabilire una continuità tra l’esperienza presente e quella passata e per sopravvivere. CATEGORIZZAZIONE Classificazione delle informazioni in categorie dotate di significato. All’interno della categorizzazione utilizziamo dei pensieri di tipo prototipico o stereotipico. Prototipi: modelli ideali, membri della categoria che i soggetti prendono come punto di riferimento per il confronto quando devono giudicare il grado di apparenza di altri membri; ES: dimmi un frutto → mela → modello più prototipico della categoria “frutto”. Stereotipi: errori di pensiero, gli stereotipi sociali sono concetti iper-semplificati di gruppi di persone. Gli stereotipi spesso inducono in errore rispetto ai singoli membri del gruppo. ES: Tutti i siciliani sono bassi e scuri. PROBLEM SOLVING: Per alcuni compiti o problemi si può arrivare alla soluzione per prove ed errori, cioè seguendo una serie più o meno lunga di passaggi ed eventualmente provando diversi percorsi solutori possibili. Si cerca così di trattare una situazione passaggio per passaggio (step by step) fino a trovare la soluzione. Molti problemi sono caratterizzati da alcuni passaggi cruciali che determinano, da soli, la possibilità di risolvere il problema; in questi casi è necessaria la comprensione approfondita del problema e la ristrutturazione degli elementi che lo definiscono → in alcuni casi dobbiamo riosservare in maniera nuova e modificare il nostro percorso risolutivo. PROBLEM SOLVING E FISSITA’ FUNZIONALE. Risoluzione improvvisa di un problema, intuizione o insight. L’intuizione è talmente rapida e chiara che ci si può chiedere come mai la soluzione non sia stata trovata. Non è dunque necessario procedere step by step. Uno degli ostacoli più difficili da superare nella risoluzione di problemi è la fissità funzionale cioè la tendenza a restare bloccati su soluzioni errate senza valutare soluzioni alternative. RAGIONAMENTO DEDUTTIVO Aristotele identificava la deduzione con il sillogismo, un tipo di ragionamento dimostrativo che parte da una legge universale per giungere a conclusioni particolari. RAGIONAMENTO INDUTTIVO Un’attività di pensiero in cui una regola o un principio generale viene ingerita da una serie di esempi specifici. Tale ragionamento non fornisce certezze: dato che le premesse si basano su casi specifici, in alcune circostanze la conclusione può rivelarsi falsa. Ci dà qualche possibilità di errore sulla base dello stereotipo. DECISION MAKING Processo che coinvolge il pensiero e il ragionamento nonché la memoria e l’attenzione →l’individuo valuta e interpreta gli eventi non solo sulla base di un ragionamento di tipo logico ma tenendo in considerazioni altri fattori, al fine di scegliere tra corsi di azione tra loro alternativi. Decidere: compiere delle inferenze, utilizzare le capacità di problem solving e di ragionamento deduttivo e induttivo al fine di pervenire a un giudizio definitivo dopo aver ponderato una serie di possibili opzioni e alternative. Misura cinque capacità o funzioni mentali che costituiscono un’intelligenza generale: • Ragionamento fluido: capacità di risolvere problemi che vengono proposti. • Conoscenza (cultura generale) • Ragionamento quantitativo: forme di risoluzione di problemi basate su una quantità di risposte possibili che possono essere fornite a quel tipo di problema. • Elaborazione visuo-spaziale • Memoria di lavoro Le funzioni esaminate sono: linguaggio, memoria, pensiero concettuale, ragionamento, ragionamento numerico, abilità visuo-motorie, intelligenza sociale. Esempio di prova: Frasi in disordine (anni 11). Si presentano delle frasi disordinate che bisogna ordinare affinché abbiano senso compiuto. Frasi assurde. Es: Nell’anno 1913, in Italia si sposarono più donne che uomini. Per la prima volta viene proposto il concetto di età mentale e il concetto di quoziente intellettivo. Quest’ultimo è appunto il rapporto tra età mentale / età cronologica x 100 → EM/EC x 100. Perché il rapporto? Per determinare l'intelligenza di un bambino è necessario conoscere sia la sua età mentale (prestazione intellettiva media) che la sua età cronologica (età in anni). L'età mentale è un valido parametro delle effettive capacità mentali, ma non rivela se l'intelligenza sia minore o maggiore delle altre persone della stessa età, per scoprirlo è necessario metterla in relazione con l'età anagrafica, ricavando così un quoziente intellettivo (EM / ECx100). Il quoziente intellettivo permette di mettere in relazione tra loro i quozienti intellettivi di bambini di età diverse. Il test proposto è multifattoriale, ha un’ampia varietà di sub test; vi è una difficoltà crescente. Ogni gruppo di test è costituito da sei subtest più una prova sostitutiva. - 2-5 anni: i test sono suddivisi in intervalli di sei mesi visti i cambiamenti repentini; - 5-14 anni: intervalli di 1 anno; - 14 > è diviso in 4 gruppi adulto medio e adulto superiore I II III. COME VENGONO DEFINITI I LIVELLI DI DIFFICOLTÀ: Adesso le scale di intelligenza sono quelle Wechsler. Intelligenza wisc per bambini, quella wais per adulti. Le scale sono anch’esse divise in prove di tipo verbale e performance. Verbale: 1. Cultura generale 2. Comprensione generale 3. Ragionamento aritmetico 4. Analogie 5. Vocabolario 6. Memoria di cifre Performance: 1. Completamento di figure → puzzle da ricomporre 2. Riordinamento storie → vignette da ordinare cronologicamente 3. Disegni con cubi 4. Ricostruzione di figure 5. Cifrario 6. Labirinti Alla fine la scala fornisce un QI totale e poi, visto che ci sono le prove divise in verbali e non verbali, fornisce anche un QI specifico per i compiti di tipo verbale e un QI per le performance. PLUS DOTAZIONE Terman selezionò 1500 bambini con QI di 140 o più. Seguì all’età adulta questo gruppo di bambini dotati e scoprì che la maggioranza di essi aveva avuto successo in età adulta. (Studi longitudinali) Nella maggioranza dei casi avevano finito la scuola superiore, preso una laurea, avevano una buona posizione professionale, e molti avevano scritto libri o articoli scientifici. Anche se sono diventati in maggioranza benestanti e di successo, alcuni: - Hanno commesso crimini; - Non sono riusciti a trovare lavoro; - Hanno avuto problemi nella sfera affettivo-emotiva. Quindi → il QI non si presta a dire quanto socialmente intelligente saremo. Il QI non si presta a predire il successo nell’arte, nella musica, nel teatro e nel cinema, nelle scienze e nella leadership: il successo in tutti questi campi è maggiormente legato alla creatività. *Esistono per esempio esistono delle patologie di autismo ad alto funzionamento. PLUS DOTAZIONE: SEGNALI • Tendenza a cercare la compagnia di bambini più grandi e di adulti; • Interesse precoce per la spiegazione e la risoluzione di problemi; • Capacità di formulare frasi complete già a 2/3 anni; • Memoria fuori dal comune; • Talento precoce nell’arte, nella musica o nelle abilità numeriche; • Interesse anticipato per libri e la capacità di leggere già in tenera età (spesso a 3 anni); • Atteggiamento gentile, comprensivo e di collaborazione nei confronti degli altri. DISABILITÀ INTELLETTIVA: Indica l’abilità intellettiva molto inferiore alla media → QI inferiore alla media cioè 70. L’abilità di una persona di agire secondo comportamenti adattativi (vestirsi, mangiare, comunicare e lavorare) è l’elemento più importante per valutare la disabilità. Si parla per esempio dei BORDERLINE che hanno un QI compreso tra 70 e 85, che hanno una disabilità molto lieve, conducono una vita regolare in autonomia anche se con qualche difficoltà di fronteggiare la quotidianità. LIVELLO DEL QI GRADO DI DISABILITA’ INTELLETTIVA SCOLARIZZAZIONE LIVELLO DI ASSISTENZA NECESSARIA DA 50-55 A 70 LIEVE PUÒ RICEVERE UN’ISTRUZIONE SALTUARIA DA 35-40 A 50-55 MODERATO PUÒ RICEVERE UN ADDESTRAMENTO LIMITATA DA 20-25 A 35-40 GRAVE MANCANZA DI AUTONOMIA PERSONALE INTENSIVA INFERIORE A 20-25 GRAVISSIMO SOSTEGNO PERMANENTE CONTINUA INTELLIGENZA EMOTIVA Capacità di percepire, utilizzare, comprendere e gestire le emozioni. Comprende la flessibilità, l’adattabilità e la maturità. Gestire le emozioni, le reazioni in base alla situazione. • Percepire le emozioni: capacità di percepire le emozioni in noi stessi e negli altri; • Utilizzare le emozioni: utilizzare le proprie emozioni per imparare a reagire meglio alle situazioni nuove; potenziare la capacità di pensare e di prendere decisioni. Le emozioni possono essere utilizzate anche per promuovere una crescita personale e migliorare le relazioni con gli altri; Comprendere le emozioni: comprendere cosa provoca le diverse emozioni, cosa esse significhino e in che modo influenzino il comportamento. Le emozioni contengono informazioni utili. Per esempio la rabbia segnala qualcosa che non va; l’ansia indica incertezza; l’imbarazzo comunica senso di vergogna; l’entusiasmo ci dice che siamo eccitati per qualcosa; LINGUAGGIO STRUMENTO DEL PENSIERO: FORMAZIONE DEI CONCETTI Utilizziamo il nostro linguaggio come strumento di pensiero, cioè ci aiuta con la formazione dei concetti. Il processo di astrazione o analogia: andare a rintracciare il linguaggio come strumento del pensiero, il nostro pensiero è supportato dall’uso del linguaggio, come nella formazione dei concetti, che vengono categorizzati in una certa categoria perché hanno delle caratteristiche. Uno dei processi è quello di analogia, andare a rintracciare le similitudini e le differenze di alcuni elementi. ES → Alto-basso -- Buono- Cattivo. Cerchiamo il 4° termine in base alla relazione che hanno i primi 2 attraverso un processo di tipo astratto. Dato che, i primi due termini sono opposti, troveremo quel termine opposto a buono → cattivo. E’ una delle prove più difficili delle prove di intelligenza. ES (2): Cos’hanno in comune una mosca e un albero? Sono entrambi esseri viventi. Il processo analogico è, come sappiamo, uno dei processi più maturi dell’uomo. FUNZIONI DEL LINGUAGGIO: Il linguaggio è uno strumento del pensiero che ci consente di: - dare un nome alle cose, la denominazione, un’etichetta verbale, il nome in sé ma anche il processo di astrazione, l’andare oltre il dato. - La denominazione ci consente anche di generalizzare il concetto, di collocarlo in contesti diversi e ci consente anche di categorizzarlo. - Un’altra componente del linguaggio è anche quella delle relazioni logiche e sintattico- grammaticali fra gli elementi. Le parole tra di loro hanno delle correlazioni dal punto di vista grammaticale ma anche sintattico, cioè la relazione che intercorre tra le parole tramite elementi detti funtori che mettono insieme degli elementi in una frase. - Il linguaggio ci dà anche la possibilità di pensare dal punto di vista del pensiero ipotetico basato su delle premesse e delle conclusioni. - Definizione di concetti: capacità di creare delle categorie dentro cui conserviamo le informazioni. Dentro una certa categoria astratta inseriamo gli elementi secondo dei principi che chiamiamo proprio di astrazione e analogia. - Sulla base precedente, siamo in grado di cercare tra elementi somiglianze e differenze. Cosa hanno in comune sedia e divano? Sono entrambi mobili. Sono diversi perché hanno caratteristiche differenti. In molti disturbi linguistici vi sono delle parafasie semantiche → non si utilizzano delle parole nella maniera corretta. Sono dei disturbi che possono capitare anche quotidianamente in maniera assolutamente normale. ES: dico passami l’acqua al posto di pane. Il linguaggio ha dei versanti importanti: - Ricezione: input → prima di utilizzare il linguaggio, siamo in gradi di comprenderlo. - Espressivo: output → produco linguaggio - Ripetizione: sono capace di comprendere ma anche di ripetere ciò che è stato detto. PROBLEMI FONOLOGICI: Avvengono quando i bambini hanno disturbi del linguaggio usando cambi di fonemi soprattutto della r o della s, mentre molto più semplici sono parole con la l, m o p (fonemi labiali). - sostituzioni: dorme-domme; - omissioni: caramella-mella; - distorsioni: scarpa-scappa. STRUTTURA DEL LINGUAGGIO: - fonologico: i fonemi compongo la parola - semantico: inserimento in una categoria più ampia; - sintattico: relazione delle parole tra loro tramite funtori. - pragmatico: aspetto culturale legato alla dimensione sociale, alla comunicazione. COMUNICAZIONE NON VERBALE Non è solo importante ciò che diciamo ma anche come lo diciamo. La comunicazione non verbale riguarda proprio questo aspetto ed è costituita da: - Espressioni mimico-facciali - Gestualità - Postura - Contatto oculare - Comunicazione visiva FASE PRE LINGUISTICA Il linguaggio arriva attorno al primo anno di vita, soprattutto intorno alla seconda metà, mentre nella prima metà il bambino apprende la comprensione del linguaggio. Quindi nel primo anno di vita abbiamo una forma prelinguistica e non un vero e proprio linguaggio, delle funzioni preparatorie del linguaggio. Il primo anno di vita volge dunque una funzione preparatoria allo sviluppo delle successive acquisizioni linguistiche. In questa fase il bambino comincia a utilizzare alcuni elementi che sono tipici della comunicazione adulta quali l’alternanza dei turni e la complementarietà dei ruoli. Canali di interazione: vocale-uditivo o cinesico- visivo e i sistemi di interazioni linguistici (verbali, intonazione) e non linguistici. Il bambino utilizza dei vocalizzi e molto l’ambito motorio; sono gli unici mezzi di cui dispone a quell’età per conoscere il mondo. In questo periodo il bambino ha come repertorio di segnali: - Pianto - Sorriso - Espressioni facciali - Azione del sollevare e protendere le braccia verso l’adulto - Comportamenti di avvicinamento Questa fare prelinguistica fino al 7 mese è caratterizzata da una comunicazione non intenzionale, esprime un’esigenza istintiva (il bambino piange perché ha fame ma non lo sa) e l’adulto interpreta tale comunicazione. Dall’8 mese comincia ad utilizzare dei segnali in maniera più specifica ed intenzionale in quanto discrimina le figure familiari. Poi c’è questa sorta di “dialogo reciproco e intenzionale” → il genitore deve sempre parlare con il bambino, completando le frasi in maniera corretta. Spesso succede che il genitore parla come il bambino e quest’ultimo nella sua comprensione linguistica riceve le stesse informazioni che produce → si tratta di una cosa scorretta, poiché bisogna restituire la pronuncia e la forma corretta della parola. Vi è un ulteriore sviluppo delle competenze comunicative e intorno a un anno si presentano delle risposte comportamentali in seguito a parole di senso compiuto come no e ciao. A partire dai 12 mesi si formano i primi collegamenti tra parole e oggetti. Il bambino si rivolge ai genitori dicendo più o meno bene mamma e papà. Si sviluppano le cosiddette olofrasi cioè un’unica parola che contiene ed esprime un significato di un intero enunciato → ES: pappa! → “Mamma ho fame, dammi da mangiare!” Intorno ai 18 mesi possiede un vocabolario di circa 50 parole; Tra i 18 mesi e i 2 anni il vocabolario può comprendere più di 100 parole; A partire dai 24 mesi il bambino è in grado di costruire brevi enunciati telegrafici costituiti da due parole → ES: voglio orsetto o mamma via. Intorno ai 3-4 anni inizia ad avere un linguaggio vero e proprio. Un’importante acquisizione linguistica avviene attorno ai 5-6 anni e riguarda la consapevolezza delle regole sintattiche e grammaticali. LE MOTIVAZIONI: Abbiamo tre categorie di motivazione: 1. Motivazioni biologiche: motivazioni che nascono con l’esigenza di sopravvivere (mangiare, bere, pulsione sessuale ecc…) Sono innate. 2. Motivazioni alla ricerca di stimolazione: motivazioni che possono sembrare innate ma che sono più legate a delle attività che sono legate più a bisogni umani (l’attività, la curiosità, l’esplorazione, la manipolazione e il contatto fisico). Sebbene anche queste motivazioni possano sembrare innate, non sono strettamente necessarie per la sopravvivenza. 3. Motivazioni apprese: basate su bisogni e obiettivi appresi (approvazione, status o ruolo sociale, sicurezza e realizzazione). Anche la motivazione all’autorealizzazione, cioè alla realizzazione del proprio potenziale. GERARCHIA DEI BISOGNI: A questo proposito, Maslow (1970) ha pensato di creare uno schema piramidale di questi bisogni, mettendo alla base quelli più innati. Più i bisogni sono bassi in questa gerarchia, più sono comuni agli animali. Per l’uomo esistono poi bisogni legati alla stima, alla capacità di appartenere ecc… PULSIONI BIOLOGICHE (bisogni fisiologici): sono essenziali per il mantenimento dell’omeostasi, cioè dell’equilibrio interno corporeo. Ogni volta che questo equilibrio viene disturbato, abbiamo l’esigenza di ripristinarlo attraverso delle reazioni automatiche finalizzate a ristabilire l’equilibrio. Per omeostasi, inoltre, intendiamo avere livelli ottimali di temperatura corporea, la quantità di elementi chimici nel sangue per la pressione sanguigna… RITMI CIRCADIANI: Il nostro corpo è regolato da “orologi biologici” interni, cioè da alcuni ritmi che riguardano il ciclo dell’intera giornata. Per questo, il nostro corpo adatta la nostra fisiologia alle diverse fasi del giorno, regolando attività come il sonno, la fame, il rilascio di ormoni, la pressione del sangue, la temperatura corporea. *Ci sono per questo motivo degli esami che vengono fatti in orari specifici della giornata. Questo orologio biologico è regolato sia da fattori interni che esterni. I FATTORI INTERNI: ipotalamo → struttura sottocorticale che permette la regolazione omeostatica (fame, sete, sonno). Le funzioni ipotalamiche sono: - Attività endocrina - Termoregolazione - Sonno - Bilancio idro-salino - Assunzione di cibo: centro della fame e centro della sazietà Un danno nell’ipotalamo crea moltissimi disturbi che riguardano la dimensione del sonno e disturbi alimentari. I FATTORI ESTERNI: Un esempio è la luce. Partendo da mezzanotte: Alle ore 2 c’è il sonno profondo in cui non c’è attivazione. Alle ore 4:30 raggiungiamo una bassa temperatura corporea. Questo perché non abbiamo bisogno di attivare tutti quei sistemi di termoregolazione poiché abbiamo un equilibrio omeostatico che ci permette di raggiungere una temperatura corporea minima. Intorno alle ore 6 comincia ad aumentare la pressione sanguigna nel nostro corpo e termina la secrezione della melatonina (ore 7:30). La melatonina è un ormone che favorisce il sonno. A poco a poco cominciano i movimenti intestinali intorno alle ore 8:30 e così via… Nella luce del mezzogiorno abbiamo, dal punto di vista corporeo, i più alti tempi di reazione, migliore condizione cardiovascolare perché riceviamo dall’esterno l’informazione che siamo nella parte centrale della giornata per cui il corpo risponde col massimo delle prestazioni. Tra le 18:30 e le 19 raggiungiamo il massimo livello di temperatura corporea e di pressione sanguigna. A partire dalle ore 21 abbiamo il rilascio della melatonina. Il nostro stile di vita dovrebbe quanto più possibile allinearsi a questa condizione naturale. La luce e il buio sono i direttori d’orchestra rispetto a tutti i nostri ormoni e per come vengono prodotti. Il sistema nervoso centrale riceve informazioni sulla durata del giorno dalla retina che interpreta e invia alla ghiandola pineale, che secerne mediatori chimici tra cui la melatonina, un ormone che funziona come un sonnifero naturale e che di sera raggiunge il picco ematico dall’una alle tre di notte. Il ritmo sonno sveglia è regolato da un ciclo di attività/inattività che dura 24 ore. Attraverso la melatonina la ghiandola pineale controlla la nostra crescita, la nostra fertilità, il nostro stato di benessere. Cosa succede quando, per motivi vari (es.lavoro), questo allineamento biologico non può avvenire? Si manifestano in molti casi delle cronopatologie legate a questo disallineamento → ES: i disturbi del sonno. Molte attività occupazionali che prevedono variazioni sistematiche dei turni di lavoro, possono comportare sfasamenti cronici dell’orologio biologico rispetto alle variazioni circadiane ambientali e produrre effetti negativi per la salute. Studi recenti hanno messo in evidenza come possano manifestarsi addirittura alterazioni anatomiche a livello del sistema nervoso centrale e deficit cognitivi. Nei paesi in cui c’è una prolungata esposizione al buio, paesi del nord Europa, vengono rilevati sia i disturbi del sonno che dell’umore (soggetti depressi). LA MOTIVAZIONE LEGATA ALL’EMOZIONE: Le emozioni modellano i rapporti interpersonali, regolano l’interazione tra individui e ambiente e danno colore alle nostre attività quotidiane. Il colore: cioè il fatto che noi abbiamo una sensazione di tristezza o di gioia che modifica la realtà delle cose che viviamo. La risposta emozionale è caratterizzata da attivazione fisiologica, cambiamenti motivazionale e comportamentali, componente cognitiva e vissuto soggettivo. Sono studiate nella parte sottocorticale delle strutture chiamate amigdala che rappresentano il centro di elaborazione delle nostre emozioni. Hanno la capacità di trasmettere immediatamente una risposta senza chiedere alla corteccia di farne elaborazione alta. L’amigdala attiva perché c’è una situazione di paura e la paura attiva una risposta, prima ancora di avere la certezza che quella sia una situazione pericolosa. Tutti questi meccanismi sottocorticali essendo così potenti dal punto di vista delle nostre risposte, hanno una immediata caratterizzazione della situazione e quindi vengono memorizzate facilmente. Mentre ci sono poi delle memorie emotive che ricordano non tanto cosa sia successo, quanto l’emozione provata → la risonanza emotiva, invece, viene elaborata dall’amigdala attraverso un processo di attivazione che è l’arousal. Questo processo di attivazione, di fatto, attiva entrambe le memorie. Infatti, di un evento possiamo ricordare il contesto ma contestualmente anche l’emozione vissuta. RICORDO DI UN’ESPERIENZA EMOTIVA: Possiamo avere vissuto delle situazioni, degli eventi senza averne consapevolezza esplicita. Ad esempio noi non possiamo raccontare della nostra infanzia, in quanto non avevamo ancora sviluppato il linguaggio. Ma l’accudimento, la sensazione di pulizia, la comunicazione, l’emozione avviene prima del linguaggio. Quindi, la fase prelinguistica è una fase in cui prevale l’aspetto emozionale dell’esperienza. In alcune esperienze traumatiche succede che noi abbiamo l’emozione pur non ricordando lucidamente l’evento → abbiamo l’emozione senza un ricordo → se ci ripensiamo, riproviamo la stessa emozione. Allora, dal racconto di un’emozione si aggiunge un ulteriore ricordo → è il ricordo del momento in cui si sta raccontando quell’evento. L’ippocampo e l’amigdala insieme fanno parte di questa conoscenza generale nei nostri processi decisionali. Una più lucidamente, un’altra dal punto di vista dell’emozione che si prova. Tutto questo parte dall’interpretazione di una realtà come realtà pericolosa e quindi quello che prevale è la sopravvivenza fisica e/o psicologica. Ad esempio, in una condizione di particolare stress quello che succede è la stessa cosa di una disattivazione di lucidità → una situazione di stress, che ci dà una pressione eccessiva e non ci consente di ragionare lucidamente, è equiparata ad una condizione traumatica. Si scombina quindi quell’omeostasi precedentemente menzionata. Non esiste una terapia che serva ad annullare un ricordo, l’unica cosa che si può insegnare è una risposta comportamentale diversa a delle situazioni in maniera più razionale. Inoltre, annullare un ricordo, non è per nulla funzionale alla nostra esistenza → deve aiutare a non ricordare nella stessa situazione. Il lobo frontale, con la funzione di controllare tutti i comportamenti dell’uomo, ha anche un’altra funzione che è quella di modulare le reazioni emotive. Non possiamo avere delle reazioni emotive sproporzionate alla situazione. Chiaramente, il sistema cognitivo e il sistema emozionale hanno delle analogie: - Entrambi sono sistemi adattivi - Filogeneticamente avanzati - Attivano delle strutture che servono per dare significato alla situazione ed elaborare delle risposte. Hanno anche delle differenze: - Il sistema emozionale è di emergenza, fa un’elaborazione grossolana, non dà una risposta precisa della situazione ma serve a dare una risposta immediata, ha una priorità assoluta. - Il sistema cognitivo fa un’analisi più precisa e dettagliata, risposta più lenta e si tratta sempre di un sistema adattivo ma di tipo più articolato dal punto di vista della complessità (per questo non è presente negli animali).
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