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Riassunto Comunicazione, dibattito pubblico, social media di Paola Pietrandrea, Appunti di Storia Dei Media

Riassunto completo di "Comunicazione, dibattito pubblico, social media" di Paola Pietrandrea

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 22/01/2024

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Scarica Riassunto Comunicazione, dibattito pubblico, social media di Paola Pietrandrea e più Appunti in PDF di Storia Dei Media solo su Docsity! COMUNICAZIONE, DIBATTITO PUBBLICO E SOCIAL MEDIA PARTE PRIMA Che cos’è il dibattito pubblico. A partire dalla Rivoluzione Francese l’opinione pubblica ha assunto un peso crescente. L’opinione pubblica si forma nel dibattito pubblico, come l’insieme di discussioni che avvengono nella sfera pubblica, ovvero lo spazio sociale nel quale vengono espresse diverse opinioni e vengono discussi problemi di interesse generale. Nella tradizione democratica elitista rappresentativa si ritiene che solo i decisori debbano avere un ruolo attivo nella sfera pubblica, i cittadini devono limitarsi a votare i decisori attraverso elezioni. Nella tradizione democratica forte partecipativa si ritiene che i cittadini debbano prendere parte attiva al dibattito pubblico, partecipando ad associazioni che hanno il compito di formare il consenso. Nella tradizione democratica discorsivo-deliberativa si insiste sull’importanza del dibattito pubblico che viene concepito come l’unico garante razionale della legittimità e dell’efficacia della decisione politica. Nella tradizione democratica costruzionista si sottolinea come il discorso pubblico sia un luogo di esercizio del potere. I processi comunicativi che avvengono nel dibattito pubblico hanno tre caratteristiche: - Sono condizionati dal tema, dalla situazione semiotica e dall’assetto sociolinguistico dello scambio; - Sono tesi alla costruzione di un’intesa, un common ground, tra i partecipanti e fanno uso della persuasione; - Sono fallibili per ragioni intrinseche, per ragioni storiche e per ragioni tecnologiche. I. Il dibattito pubblico visto da un linguista. 1.1 Cos’è e com’è strutturato un processo comunicativo. Per processo comunicativo si intende ogni trasferimento di informazione da un emittente a un ricevente attraverso almeno un segno. Definiamo segno ogni associazione di un significato con un significante. Secondo Jakobson ogni processo comunicativo è analizzabile in sei fattori: il mittente invia un messaggio al destinatario. Il messaggio deve avere un contesto (il referente); in secondo luogo esiste un codice comune al mittente e al destinatario; infine un contatto, un canale fisico tra il mittente e il destinatario, che consenta di stabilire e mantenere una comunicazione. 1.2 Come varia la struttura semiotica di un processo comunicativo. Il messaggio dipende dalla realtà in cui esso si riferisce e dal codice in cui viene formulato, ma dipende pure dall’emittente, dal destinatario e dal canale coinvolti nel processo comunicativo. Un messaggio scritto sarà diverso da uno parlato; un messaggio diretto a una folla sarà diverso da uno diretto ad un solo individuo ecc. 1.2.1 L’emittente. L’emittente può essere un individuo, un gruppo, un’istituzione, una folla, un anonimo. Individuo = conversazioni spontanee, monologhi… Gruppo = comunicazioni scritte firmate da più persone… Istituzione = il redattore produce la posizione ufficiale dell’istituzione che rappresenta… Folla = cori, messaggi sui social… 1 1.2.2 Il ricevente. Il ricevente può essere un individuo, un insieme di individui, un’istituzione o una folla. 1.2.3 Il canale. Il canale, cioè la connessione fisica e psicologica che permette di trasferire il messaggio dall’emittente al ricevente, può essere di natura fisica diversa. I messaggi possono passare sul canale visivo (gestualità, espressioni, scrittura), sul canale fono-acustico (parlato), anche attraverso il canale tattile (stretta di mano) o il canale olfattivo (feromoni). Nella maggior parte dei casi la comunicazione è multimodale. Inoltre il canale può essere continuo ai partecipanti (faccia a faccia) oppure non contiguo (libro). Dal punto di vista temporale può essere sincrono o asincrono. 1.2.4 Il codice. Il codice può essere rigoroso e definito una volta per tutte oppure modificabile. Può essere accessibile in maniera equa per tutti o in maniera diversa. 1.2.5 Il referente. Il referente può avere diverse nature: i parlanti possono discutere delle loro conoscenze, dei loro giudizi sul mondo e di come vorrebbero che fosse. 1.2.6 Il messaggio. Il messaggio può essere rappresentato come la risultante della variazione di tutti gli altri fattori della comunicazione. 1.3 Quali sono le caratteristiche dei processi comunicativi parlati, scritti e ibridi. Quando pensiamo alla conversazione spontanea, abbiamo in mente un processo comunicativo: - In presentia, in cui l’emittente e il ricevente sono presenti simultaneamente; - Sincrono, la produzione e la ricezione del messaggio coincidono; - Fono-acustico, in cui il nostro orecchio percepisce le onde sonore emesse dall’interlocutore; - Inerentemente multimodale, costituito da altri codici coverbali, come la gestualità, le espressioni facciali, la postura, la prossemica; - Bidirezionale, nel quale il ricevente ha la possibilità di prendere la parola, dare un feedback; - Spontaneo. Questo processo produce un messaggio: - Evanescente, destinato a terminare senza lasciare traccia; - Altamente dipendente dal contesto, difficilmente interpretabile in un altro momento o luogo; - Privato, destinato a essere recepito solo dai parlanti. Tendiamo a considerare lo scritto prototipico come un processo comunicativo: - In absentia; - Asincrono; - Visivo-gestuale; - Strettamente lineare e verbale, ossia costituito dal solo codice verbale e non da altri codici semiotici; - Unidirezionale; - Pianificato. Questo produce un messaggio: - Permanente; - Altamente indipendente dal contesto; - Pubblico. La letteratura linguistica ci ha mostrato come tra i due estremi di scritto e parlato ci sono delle varietà ibride che presentano caratteristiche dello scritto e del parlato insieme. L’avvento del web 2.0 ha messo in discussione la tradizionale distinzione tra scritto e parlato, creando una varietà diamesica chiamata comunicazione mediata dal computer. 2 2.3 Cos’è la persuasione. Nello sforzo di trovare un common ground i parlanti coinvolti devono far opera di persuasione. La persuasione è il processo che permette ad un parlante di ottenere che un suo giudizio trovi l’adesione del suo interlocutore e sia quindi aggiunto al common ground. Possiamo persuadere il nostro interlocutore della verità di qualcosa, della bontà di qualcosa, della giustezza di qualcosa, dell’opportunità di qualcosa. Nel discorso epistemico del dibattito scientifico si usano la dimostrazione o l’argomentazione scientifica, garantisce trasparenza. 2.4 Cos’è la dimostrazione. Si parla di dimostrazione per indicare la rappresentazione esplicita del processo di pensiero che permette di dedurre, senza errori, la verità di una popolazione a partire dalla conoscenza della verità di altre proposizioni, attraverso un procedimento che obbedisce a regole coerenti con un sistema formale definito a priori. Per esempio il sillogismo aristotelico, cioè quella rappresentazione del processo di pensiero costituita da tre enunciati assertivi connessi in modo tale che assumendo i primi due come premesse vere, il terzo ne discende come conclusione necessaria. - In una dimostrazione non ci sono domande, non ci sono ordini, non ci sono esclamazioni: nessun appello alla soggettività della persona. - La dimostrazione è composta solo da asserzioni, cioè da rappresentazioni di stati di cose usate per introdurre giudizi nel common ground. - Quelli introdotti nel common ground sono giudizi di verità basati su evidenza e necessità e quindi incontrovertibili e non negoziabili. - Le asserzioni che compongono una dimostrazione servono a tre cose: 1. Enunciare postulati; 2. Enunciare assiomi; 3. Enunciare giudizi di verità sulle entità di cui si parla. - Le entità di cui si parla sono introdotte in maniera esplicita e inequivocabile: è possibile individuare i loro referenti nella realtà. - Talvolta le entità di cui si parla possono essere introdotte attraverso una notazione fatta di simboli non verbali. - Per ogni predicazione di una dimostrazione, si esplicita cosa giustifichi la predicazione di una proprietà. - Le relazioni tra le predicazioni sono esplicite. - Le relazioni tra le predicazioni possono essere introdotte nella dimostrazione attraverso una notazione fatta di simboli non verbali. - Le conclusioni a cui si giunge sono definitive e ultimative e impongono la necessità di un’adesione totale al riconoscimento della loro verità. Quindi la dimostrazione è un processo persuasivo perché può servire a convincere della verità di quanto si dimostra e ha due caratteristiche: - può essere usata soltanto in ambito epistemico, cioè quando si parla di quel che si sa perché quello che si conclude è la verità di una proporzione; - può essere impiegata solo in casi ristretti del discorso epistemico in cui si abbiano premesse vere. 2.5 Cos’è l’argomentazione scientifica. Si può parlare di argomentazione scientifica quando si tenta, attraverso processi di inferenza, di concludere non verità ma rappresentazioni possibili della realtà. 5 L’argomentazione scientifica ha alcune caratteristiche discorsive in comune con la dimostrazione: - è composta da enunciati assertivi, cioè da rappresentazioni di stati di cose: non ci sono domande ecc.; - le entità di cui si parla sono introdotte in maniera esplicita; - le entità possono essere introdotte attraverso simboli non verbali; - per ogni predicazione si esplicita cosa giustifichi la predicazione e quest’ultima è presentata come qualcosa di universalmente noto; - due predicazioni riguardanti la stessa entità non si contraddicono nello stesso stato di costruzione del common ground; - la connessione logico-semantica tra le predicazioni è esplicitata attraverso connettori; - le relazioni tra le predicazioni possono essere introdotte da simboli non verbali. A differenza della dimostrazione: - le premesse non sono necessariamente esplicite; - le premesse non sono necessariamente vere; - l’ordine con cui si succedono premesse e conclusioni è libero; - il processo che permette di inferire una proposizione dall’altra non è necessariamente un processo deduttivo; - le conclusione a cui si giunge non sono necessariamente vere, ma sono necessariamente falsificabili. 2.6 Può l’argomentazione scientifica essere un modello esteso a tutto il dibattito pubblico? È ricorrente la tentazione di estendere queste strategie discorsive all’insieme dei processi comunicativi che si tengono nel dibattito pubblico. Molti ritengono che dal momento che l’argomentazione scientifica è garanzia di rigore e trasparenza, può essere utile poggiare sui suoi metodi l’intera discussione pubblica e politica per la quale c’è necessità di accordo. Il pensiero tecnocratico parte da una premessa: la politica si basa su norme che le sono estranee, quelle del sapere e della conoscenza; una realtà politica ideale esiste davvero. Benché il discorso sull’attività umana non potesse essere vero o falso, esso e può essere ragionevole e plausibile, deve avere due caratteristiche: - deve muovere da premesse che anche se non vere sono condivise, accettate attraverso una negoziazione; - deve procedere e partire da quelle premesse alla ricerca di adesione presso gli altri. 2.7 Cos’è la retorica. La tecnica che identifica gli strumenti che permettono al discorso pratico di persuadere è la retorica. La retorica è una tecnica nella quale oltre all’argomentazione in senso stretto si mette in gioco la capacità dell’oratore di emozionare e ottenere credibilità al fine di persuadere il suo interlocutore. L’argomentazione usata in retorica deve essere distinta dall’argomentazione usata per il discorso scientifico: - muove non da premesse necessariamente vere, ma da premesse accettate dall’uditorio; - può procedere per deduzione, oppure per induzione. Nella visione aristotelica della retorica emotività e razionalità hanno ruoli distinti, ma non sono in opposizione. 2.8 Quale tipo d’argomentazione si usa nel dibattito pubblico. Definiamo l’argomentazione come: un’attività razionale, verbale, sociale che ha lo scopo di aumentare o diminuire presso il ricevente l’accettabilità di un punto di vista controverso. Secondo Van Eemeren l’argomentazione è un’attività razionale, il che significa che è un’attività basata sul ragionamento e non sull’appello alle emozioni. 6 L’argomentazione è un’attività verbale: se una dimostrazione può essere condotta in un linguaggio formale l’argomentazione si fa sempre usando il linguaggio naturale. L’argomentazione è un’attività sociale diretta ad altre presone, che si adatta alle persone a cui è diretta. L’argomentazione ha lo scopo di aumentare o di diminuire presso il ricevente l’accettabilità di un punto di vista controverso. Non essendo valutabile in termini di vero o falso, un’argomentazione potrà essere più o meno efficace. Il fatto che l’argomentazione porti su punti di vista controversi significa due cose: che essa riguarda questioni più o meno plausibili e non che possono essere o vere o false e che essa riguarda questioni sulle quali non c’è accordo tra i partecipanti al discorso. L’argomentazione consiste nella presentazione di un certo numero di proposizioni che sono accettate dall’uditorio e che fungono da premesse di un ragionamento, argomenti a sostegno, o contro, la validità di quanto si vuole dimostrare. La presentazione di queste proposizioni ha lo scopo di giustificare l’accettabilità di un punto di vista. L’argomentazione ha il fine di giustificare l’accettabilità di un punto di vista presso un giudice razionale: l’argomentazione consiste in un ragionamento speculare. 2.9 Cos’è la manipolazione. Breton definisce la manipolazione come un atto di persuasione fatto all’insaputa della persona che viene persuasa. Van Dijk definisce la manipolazione come un atto di persuasione nel quale si esercita una forma di abuso di potere, che agisce a due livelli: sulla memoria a breve termine e sulla memoria a lungo termine. Nella prima, la manipolazione sposta l’attenzione di chi ascolta da un soggetto all’altro e porta a far capire male quel che si dice o a sviare l’attenzione da quello che si è detto. Nella memoria a lungo termine, la manipolazione produce una sedimentazione di rappresentazioni e credenze personali diverse da quelle che sarebbero state le rappresentazioni della persona o gruppo manipolato. In sintesi parliamo di manipolazione ogni qualvolta si tenti di persuadere un ricevente a sua insaputa, oltrepassando la sua vigilanza epistemica nel corso del processo comunicativo e influenzando sul lungo termine e le sue rappresentazioni e credenze personali al fine di modificare le decisioni e gli obiettivi che persegue. 7 passare l’informazione a qualcun altro; chiamiamo gates i luoghi di decisione e gatekeepers le persone che prendono le decisioni”. I gatekeepers sono coloro che controllano i flussi di informazione sulle questioni pubbliche, soprattutto i rappresentanti dei media. 3.5.2 La propaganda e la comms. La propaganda è un tipo di discorso che risulta dallo sforzo coordinato di un gruppo sociale di dare supporto a obiettivi, interessi e progetti di un gruppo particolare. Lo scopo del propagandista non è solo quello di persuadere o rieducare il pubblico a cambiare credenze, ma soprattutto quello di garantirsi l’impegno che il pubblico sarà pronto ad agire sulla base del punto di vista che accetta. La propaganda è una forma di discorso incitativo più che persuasivo. Benché la propaganda non sia disonesta, esistono numerose forma disoneste e manipolatorie di propaganda. Nell’ultimo secolo la propaganda è stata manipolatoria e questo per via dell’affermarsi della comms, o comunicazione professionale, che ha condizionato il dibattito pubblico. La comms, nata come strumento pubblicitario, si è estesa molto rapidamente alla comunicazione politica ed è diventata parte integrante del dibattito democratico. I discorsi politici sono diventati prodotti da far desiderare, piuttosto che posizioni da proporre e difendere. 3.5.3 La mercificazione dell’informazione. La mercificazione non è limitata alla comunicazione politica, anche i media ne sono fortemente condizionati. Nella prima parte del XX secolo, la stampa statunitense ed europea avevano fondato una loro credibilità sui metodi di inchiesta e sulla ricerca oggettiva. Nel corso del secolo, il tentativo di liberarsi dal controllo di proprietari politici ha portato la stampa ad autofinanziarsi attraverso la vendita di spazi pubblicitari. Al pubblico la stampa ha proposto contenuti sempre più depoliticizzati e più vicini a questioni di costume, sport cronaca. Questo processo si è accelerato durante gli anni Ottanta e Novanta, caratterizzati dalla concentrazione dei media nelle mani di pochi proprietari. È in questo contesto che i social media sono stati visti come uno strumento utile a riavvicinare i cittadini alla circolazione dell’informazione e a riportarli al centro del dibattito pubblico. 3.6 Cos’è la menzogna. La negazione deliberata della realtà, mentire, e la possibilità di modificare i fatti, agire, sono strettamente legate, scaturiscono dalla stessa fonte: l’immaginazione. Non è necessario che il discorso pratico sia menzognero. È possibile valutarne la verosimiglianza, detta anche plausibilità, ragionevolezza. Un discorso pratico ragionevole parte da premesse accettate dai più e arriva a conclusioni capaci di ottenere consenso. Il pensiero politico è rappresentazionale. Se il discorso politico e il discorso pratico si fondando, come la menzogna, sull’immaginazione, a differenza della menzogna essi trovano validità nel dialogo con l’altro. Nel XX secolo si è cominciato a pensare alla pratica politica e alle personalità politiche in termini di immagini da costruire e di conseguenza il discorso politico è stato messo al servizio della costruzione di quelle immagini. 3.7 Perché si è persa la fiducia nel dibattito democratico. La crisi della democrazia fa eco alle analisi proposte da diversi politologi che definiscono la nostra epoca come una postdemocrazia. Ora, lo sfaldamento del dibattito, che frettolosamente si attribuisce all’avvento della comunicazione digitale, ha radici nella crisi più profonda della democrazia e della nozione stessa di dibattito pubblico. La rivoluzione digitale si genera in antitesi a un modello centralizzato di scambio dell’informazione pubblica. La rivoluzione digitale contiene in sé alcune premesse che potrebbero farne la leva sulla quale appoggiare per riproporre una versione nuova di democrazia. 10 PARTE SECONDA Perché online tutto si complica. La perdita di credibilità del dibattito pubblico ha permesso l’affermazione di Internet, del world wide web, del web 2.0 e dei social media: - Internet è un protocollo di comunicazione tra computer e altri dispositivi, stabilito a partire dagli anni Sessanta, che utilizza diverse infrastrutture di rete come cavi, satelliti e linee telefoniche; - il world wide web è un ipertesto pubblico, stabilito negli anni Novanta e funzionante su Internet, che permette di collegare tra loro non computer e altri dispositivi ma pagine accessibili su siti attraverso un sistema di indirizzi, detti URL (Uniform Resource Locator); - il web 2.0 è un’evoluzione del web diffuso nel 2005-2006, che permette a chiunque di pubblicare contenuti sulle pagine senza preoccuparsi della manutenzione dei siti (forum, blog, social network, social media); - i social media sono reti che permettono agli utenti di: 1. costruire un profilo pubblico o semipubblico in un sistema limitato; 2. definire una lista di altri utenti con cui condividere una connessione; 3. vedere e percorrere le loro liste di connessione e quelle di altri utenti nel sistema. I social media sono diventati luoghi di produzione e non solo di distribuzione di conoscenze, notizie, idee da parte anche degli utenti. Per social media si intende la piattaforma che include: I. i vari attori che siano individui, aziende, media, personalità politiche che producono contenuti sui social media; II. il contenuto prodotto, mediato dagli algoritmi; III. la connessione in forma di rete tra gli utenti. Internet si proponeva in antitesi alle tradizionali reti di comunicazione centralizzate, come quelle delle compagnie telefoniche. Le reti centralizzate erano gestite a partire da un nodo centrale molto potente, connesso e capace di controllo su ognuno dei nodi periferici; Internet creava un sistema di distribuzione dell’informazione in cui ogni nodo aveva lo stesso potere e la stessa libertà di comunicazione. Le reti centralizzate potevano essere di proprietà dello Stato e monetizzabili. La rete distribuita sfruttava infrastrutture diverse e andava al di là dei confini nazionali, non a pagamento. Il web 2.0 ha fatto fare un ulteriore salto a questo approccio, dando la possibilità agli utenti di pubblicare contenuti passando per un forum o un social media. Il web 2.0 non solo dava a chiunque la possibilità di pubblicare in prima persona, ma anche l’opportunità di far circolare informazioni e punti di vista forniti da altri e dunque farsi editore. È in questo contesto che si spiega l’introduzione dell’anonimato. Il web 2.0 ha fatto collassare una gran parte della sfera pubblica tradizionale su un’unica piattaforma che ha tre caratteristiche: - è orizzontale; - è digitale; - è commerciale. L’orizzontalità della piattaforma determina una compressione della sfera pubblica; il fatto che sia digitale apre un universo sociosemiotico inedito; il fatto che sia commerciale provoca una privatizzazione del dibattito pubblico. 11 IV. Come il web 2.0 ha aperto un universo sociosemiotico inedito. 4.1 La sfera pubblica si è compressa. Con l’avvento del web 2.0 l’insieme di spazi sociali che costituisce la sfera pubblica è collassato in un solo luogo: una piattaforma orizzontale. Nella sfera pubblica 2.0 cittadini, partiti, associazioni, sindacati, esponenti politici, media e istituzioni interagiscono in un modo immediato, senza il filtro del tempo necessario alla riflessione e alla maturazione delle posizioni che davvero essi vogliono sostenere. Tra le conseguenze della compressione dei tempi vediamo: la confusione tra pratiche discorsive e l’illusione di partecipazione al dibattito determinata dall’uso dei social media. 4.1.1 La confusione tra pratiche discorsive. Nell’epoca precedente alla rivoluzione digitale, il dibattito avveniva in arene distinte: riunioni nelle sedi di partito, discussioni televisive, dibattiti istituzionali. Il dibattito si propagava per via verticale, i decisori e i cittadini erano ben separati nella sfera pubblica. Il dibattito avveniva in tempi molto lunghi. Tale processo non esiste più e in una confusione tra quanto è pubblico e quanto è istituzionale, il dibattito pubblico si fa nell’immediatezza e nella spontaneità, quindi nel caos. L’utente dei social media partecipa al dibattito pubblico con estrema disinvoltura dimenticando la propria responsabilità di cittadino, discutendo come se si trovasse in una situazione informale, dimenticandosi che ciò che scrive è rivolto ad un estraneo e che rimarrà in possesso dell’industria del web. Tutto questo vale anche per le persone che hanno una responsabilità pubblica. 4.1.2 L’illusione di partecipazione. Le possibilità di interazione tra i partecipanti al processo comunicativo sui social cambiano da una piattaforma all’altra. Può accadere che l’interazione tra gli utenti presenti su una piattaforma favorisca il crearsi di comunità di pari riuniti intorno a tematiche di interesse pubblico. È necessario distinguere l’interazione, cioè la semplice presenza di occasioni di scambio comunicativo tra umani, dalla vera e propria partecipazione al dibattito: la partecipazione implica un certo grado di potere e più precisamente implica che i messaggi che i partecipanti a un’interazione si scambiano abbiano un impatto sull’organizzazione sociale. L’interazione è una condizione necessaria perché vi sia partecipazione al dibattito pubblico, non basta interagire con gli altri perché si possa dire di aver preso parte ad un dibattito. I social media non sono stati concepiti come luoghi di dibattito, ma piuttosto come luoghi di interazione. In altre parole, le discussioni che si svolgono sui social sono destinate a rimanere lettera morta e i loro protagonisti sono destinati a rimanere senza potere. Sono vere però due cose: la prima è che se non sono luoghi di dibattito e di presa di decisione, i social si sono rivelati ottimi veicoli di organizzazione dell’azione politica (Primavera araba, Gilets Jaunes); la seconda è che esistono esperimenti di costruzione di arene pubbliche digitali che tentano di creare strumenti la cui architettura permetta di favorire prese di decisioni (Reddit, Decidim). 4.2 I processi comunicativi sono diventati più complessi. Un processo comunicativo è caratterizzabile per le sue proprietà semiotiche e sociolinguistiche. 4.2.1 L’emittente non è sempre identificabile. Il web 2.0 ha generalizzato la pratica dell’anonimato. Inoltre ha portato alla diffusione dei cosiddetti meme, messaggi, capaci di “autoreplicarsi” per imitazione all’interno di una stessa cultura. La diffusione dei meme non permette di identificare l’autore originario di un messaggio: l’emittente coincide con la cultura che ha permesso la circolazione del meme. L’effetto più lampante della non identificabilità del mittente è la diluizione della responsabilità che le è associata. 4.2.2 Il ricevente è spesso indefinito. Il sistema di abbonamenti e followers fa sì che il pubblico di un messaggio possa essere costituito da milioni di utenti. Questi utenti possono essere umani, conosciuti o sconosciuti, oppure non umani, i bots. La pratica della condivisione può allargare ulteriormente il pubblico potenziale. 12 V. Come il web 2.0 ha privatizzato il dibattito pubblico. 5.1 Perché lo sviluppo di Internet e del web è stato lasciato alle industrie. La nascita e lo sviluppo di Internet nella West Coast degli Stati Uniti sono stati influenzati dalla cultura liberal e dalla mentalità neoliberista della Silicon Valley. Secondo Dominique Cardon, la fusione di queste culture ha contribuito a plasmare un approccio caratterizzato da laissez-faire e mancanza di regolamentazione da parte delle istituzioni pubbliche. Questo approccio ha permesso alle industrie private della Silicon Valley di guidare autonomamente l'implementazione e la diffusione di Internet, portando alla formazione dei giganti del web. Il contesto politico e culturale spiega perché le autorità pubbliche hanno rinunciato a regolamentare attivamente la rivoluzione digitale, lasciando il controllo nelle mani di poche aziende private. Ne discende quella che abbiamo definito una privatizzazione del dibattito pubblico: introduce un gran numero di storture deleterie per la salute del dibattito pubblico. 5.2 Cosa sono la profilazione e il microtargeting. L’accesso ai sevizi forniti dai giganti del web sembra gratuito ma in realtà si paga in due modi: dati personali e attenzione. Google, Facebook, Yahoo e altri assicurano il loro fatturato vendendo spazi pubblicitari. Questi spazi sono personalizzati attraverso le tecniche di profilazione e microtargeting. I gusti e le preferenze degli utenti sono identificati attraverso algoritmi che analizzano le ricerche che gli utenti fanno in rete, ma anche ciò che scrivono nelle e-mail non criptate. Gli algoritmi arrivano a definire un profilo dell’utente e questa profilazione permette di compiere operazioni di microtargeting, cioè permette al sistema di selezionare le pubblicità che hanno buone probabilità di attrarre l’attenzione di ogni utente. Questo sistema ha portato ai giganti del web a costruire enormi banche dati nelle quali ognuno di noi è schedato. Nel 2018 lo scandalo di Cambridge Analytica ha dimostrato che i dati raccolti da Facebook venivano usati dalla società Cambridge Analytica durante la campagna presidenziale del 2016 per profilare elettori anti Trump che potevano essere persuasi a non partecipare al voto. 5.3 Cosa sono le bolle di filtraggio. Per comprendere bene la crisi del dibattito pubblico bisogna segnalare le conseguenze provocate dalla cosiddetta economia dell’attenzione. Le piattaforme hanno bisogno di catturare la nostra attenzione e per farlo ci mostrano contenuti adatti al nostro profilo. Questi contenuti sono determinati da algoritmi di personalizzazione, in grado di prendere decisioni automatizzate su quali contenuti privilegiare o penalizzare per ciascun utente. Il risultato è l’esposizione ad ogni utente di un ecosistema personalizzato di informazioni che vengono definite bolle di filtraggio. Queste bolle di filtraggio finiscono per segregare ogni utente in quelle che vengono definite echo chambers, cioè spazi informativi in cui l’utente è esposto unicamente a contenuti che confermeranno le sue opinioni. 5.4 Perché il web favorisce la segregazione, estremizzazione e polarizzazione. Le bolle di filtraggio finiscono per segregare ogni utente nelle cosiddette echo chambers. Esse però non sono l’unico motivo di segregazione degli utenti del web: l’azione combinata della creazione di comunità web e della pratica diffusa della condivisione web contribuiscono alla reclusione degli utenti in echo chambers. Le esigenze della comunità hanno un impatto importante sulla circolazione dei contenuti sul web: alcuni contenuti vengono condivisi perché si sente di doverlo fare in segno di appartenenza alla sua comunità. Certe posizioni tendono a estremizzarsi all’interno delle echo chambers: gli utenti non hanno modo di smussare, correggere il loro punto di vista. Il risultato di questa segregazione ed estremizzazione è la disgregazione del dibattito pubblico. Segregazione ed estremizzazione portano con sé faziosità e animosità: chiusi nelle bolle non solo approfondiamo la differenze tra noi e chi non è come noi, ma tendiamo a considerare l’altro come un pericolo e ad attribuirgli caratteristiche negative. 15 5.5 Cos’è la viralità. L’economia dell’attenzione non solo produce segregazione, estremizzazione e faziosità, ma ha anche un impatto diretto e indiretto sul tipo di contenuti che circolano in rete. L’impatto diretto sta nell’obiettivo commerciale delle piattaforme che è anche quello di farci cliccare e condividere i contenuti. Gli utenti tendono ad essere coinvolti da contenuti: - sensazionalistici; - negativi e controversi; - ad alto tasso emotivo. Esistono altre spinte che si aggiungono a quest’incentivo meccanico, ovvero l’architettura delle piattaforme digitali che ha potenziato il fenomeno creando miliardi di canali individuali. La viralità è diventata un totem, un valore virale in sé: viene ricercata a prescindere da qualunque ricaduta economica, da tutti. Questa totemizzazione della viralità è una conseguenza della confusione culturale profonda tra popolarità e legittimità. È chiaro in questo contesto che fake news, tesi complottistiche e discorsi d’odio avranno più probabilità di diventare virali e di rispondere alle esigenze imposte dal modello economico dei media e dei social media. 5.6 Cos’è il disordine dell’informazione. Il mutato assetto della sfera pubblica, il nuovo universo comunicativo ecc., costituiscono un terreno propizio per la propagazione di quello che viene definito il disordine dell’informazione. Per disordine dell’informazione si intende sia la confusione linguistica informativa involontaria che può dipendere dalle difficili condizioni semiotiche e comunicative imposte dal web 2.0 (= misinformazione), sia la manipolazione deliberata dell’informazione (= disinformazione). 5.7 Che cosa sono fake news e deep fake. La falsificazione ha fatto un ulteriore passo avanti con il discorso online: non solo la viralità, la monetizzazione del falso ecc., ma la falsificazione ha potuto toccare gli strati fisici e logici di internet oltre che i contenuti, questo vuol dire che non solo ha consentito la diffusione di notizie false, ma anche di identità false, utenti falsi, documenti, dati e immagini false, come quelle che si stanno affermando con il fenomeno della deep fake news, che consiste nella creazione di immagini e video completamente falsi che implicano immagini di personalità note. L’esistenza di questa falsificazione strutturale porta a un offuscamento totale del confine tra il vero e il falso. Il risultato è che, mentre il discorso ufficiale ha perso credibilità, la credulità si è diffusa largamente. 5.8 Cos’è la propaganda computazionale. Le piattaforme digitali beneficiano di un regime quasi monopolistico che ne fa dei centri di concentrazione del potere e sono esposte a ogni tipo di manipolazione politica e geopolitica. Possiamo distinguere due tipi di manipolazione del dibattito pubblico sui social media: - una manipolazione tradizionale che ha fini persuasivi; - una manipolazione che ha fini disruptivi. La manipolazione persuasiva trionfa sfruttando la ridotta vigilanza epistemica dell’utente. Usando un arsenale di strumenti manipolatori, in parte noti all’analisi del discorso, in parte forniti dall’architettura del web arriva a convincere il pubblico ad aderire al punto di vista del manipolatore. La manipolazione disruptiva che caratterizza la cyberguerra tra grandi potenze, ha tra gli obiettivi non quello di convincere il pubblico di qualcosa, ma di distruggere la fiducia dei cittadini nel dibattito pubblico democratico e di spezzare i legami che formano il tessuto sociale. Questo processo manipolatorio è promosso da alcuni uomini politici, media e influencer, ma si serve della cosiddetta propaganda computazionale. 16 5.8.1 Bots, haters, trollers, astroturfing, confusione e diversione. Sotto il nome di propaganda computazionale va l’insieme di tattiche usate per allontanare i cittadini dal dibattito pubblico online. Diversi paesi interferiscono con il dibattito pubblico dei loro rivali attraverso bots, haters e trolls. Bots e trolls sono usati per generare grandi quantità di messaggi con lo scopo di amplificare punti di vista controversi, di soffocare dibattiti utili con spam o per suggerire grande consenso su questioni problematiche. Una delle tecniche che consiste nell’usare bots per simulare un movimento spontaneo attorno a delle tematiche è detta astroturfing. Usato nel marketing politico per dare l’impressione che alcune personalità abbiano molti più seguaci di quanto non sia vero. Bots e trolls sono usati anche per diffondere fake news divisive o capaci di creare confusione. Questi profili falsi automatizzati sono programmati per interagire come umani e diffondere propaganda; si tratta di manipolazione, tentativi di persuasione che non si dichiarano come tali. Il fine generale della propaganda computazionale è quello di introdurre nel discorso pubblico elementi d’odio. Il risultato è che i cittadini si ritirano dai social media aperti per dibattere in spazi chiusi (come Whatsapp) dove l’effetto di echo chambers diventa più macroscopico. L’esito è una sfiducia generalizzata da parte dei cittadini di conoscere la verità che porta a un’autoemarginazione massiccia dal dibattito pubblico e di conseguenza a un impoverimento di esso. 17 VII. “Ma di cosa stiamo parlando?” Come riconoscere le manipolazioni del riferimento. 7.1 Cosa sono il riferimento e la coreferenza. L’operazione che consiste nell’introdurre un referente, cioè la cosa di cui si parla, nel discorso, è detta operazione di riferimento. Un nome pronunciato da solo avrà una denotazione ma non un riferimento, che poi evocherà nella nostra mente un concetto. Quest’ultimo avrà un’intensione, ossia un certo numero di proprietà e avrà un’estensione, potrà applicarsi a un certo numero di entità della realtà e non ad altre. Perché una parola abbia un riferimento occorre che essa sia usata in un processo intenzionale che permetta a un parlante di indicare un’entità esterna al linguaggio e introdurla nel discorso. Possiamo dire che le parole non bastano da sole per introdurre referenti nel discorso, ma che esse devono essere inserite in un processo contestuale e sociale nel quale si crei una relazione tra un’espressione linguistica, un’entità extralinguistica e almeno due parlanti. Un fenomeno legato al riferimento è la coreferenza, vale a dire il processo che permette di segnalare che due espressioni referenziali distinte usate nello stesso discorso indicano una stessa entità extralinguistica, uno stesso referente. La coreferenza si fa con i pronomi, parole generali come “coso”, “cosa”, “affare”, “roba” e sintagmi nominali definiti. Si può fare anche per ripresa associativa, cioè usando espressioni che non si riferiscono direttamente a entità introdotte nel discorso, ma per associazioni di idee a entità che appartengono al frame attivato da qualche riferimento precedente (Ero nel vagone e a un tratto ho visto passare il controllore. Si parla del treno). 7.2 Il riferimento è sempre imperfetto. Le operazioni di riferimento sono necessariamente imperfette e questo perché tra la realtà e la lingua esiste uno scarto che non è aggirabile. Questa discrepanza determina alcune caratteristiche: da una parte le rappresentazioni della realtà che si fanno con la lingua sono vaghe e parziali, dall’altra le parole e i segni sono parzialmente ambigui e plastici. 7.2.1 Cos’è la vaghezza. Quando si usa una rappresentazione linguistica, la realtà non è riprodotta in ogni minimo dettaglio: la realtà prodotta con le parole è necessariamente vaga. È il contesto che permette di determinare le parole vaghe e quindi identificare i loro referenti. 7.2.2 Cos’è la parzialità. Ogni rappresentazione linguistica è necessariamente parziale, cioè di parte; ogni rappresentazione linguistica presenta la realtà dal punto di vista del parlante. La parzialità è anche determinata dal posizionamento affettivo o ideologico del parlante che lo porterà a scegliere espressioni referenziali capaci di mettere in evidenza, pertinentizzare, alcuni aspetti e non altri. Il alcuni casi il riferimento rimare lo stesso, ma la pertinentizzazione cambia perché cambia la connotazione del riferimento, cioè l’insieme di valutazioni soggettive. 7.2.3 Cos’è l’ambiguità. La gran parte delle parole sono ambigue, hanno diversi significati possibili, dovuta a omonimia o a polisemia. Nel caso della polisemia l’estensione del significato è metaforica, consiste nell’usare termini di un dominio semantico per parlare di un altro dominio che ha alcune caratteristiche strutturali simili; l’estensione può essere anche metonimica, consiste nell’usare i termini di un dominio per parlare di un altro dominio semantico che gli è contiguo. 7.2.4 Cos’è la plasticità. I significati delle parole sono plastici, essi non sono definiti una volta per tutte, ma sono capaci di cambiare e adattarsi ai contesti. Questa plasticità permette di riadoperare le stesse parole per significare una realtà perennemente cangiante. 20 7.3 Il riferimento è un’operazione sociale. Il riferimento è un’operazione intrinsecamente sociale. I parlanti devono mettersi d’accordo sul significato che danno alle parole per aggirare le difficoltà che vengono dalla vaghezza e dalla parzialità delle rappresentazioni, dall’ambiguità e dalla plasticità delle parole. L’accordo tra i partecipanti a uno scambio è spesso implicito, in altri termini i parlanti tendono a dare per scontato che con la stessa parola tutti si riferiscano alla medesima entità extralinguistica. I parlanti non sono coscienti dell’ambiguità e della plasticità delle parole. Questo disallineamento tra i partecipanti dà luogo a malintesi non intenzionali e a manipolazioni intenzionali. 7.4 Quando la vaghezza diventa manipolatoria. Per contesto intendiamo tre cose: - il core common ground condiviso dai partecipanti; - la situazione d’enunciazione; - il cotesto linguistico. Si può considerare accettabile l’uso di un’espressione vaga solo a due condizioni: - che il tempo e lo sforzo necessari per identificare il referente siano limitati; - che il referente sia identificabile in maniera univoca. Esistono parole che sono più vaghe di altre. Dal punto di vista tecnico diremo che la vaghezza di una parola è inversamente proporzionale alla sua intensione e direttamente proporzionale alla sua estensione. Una parola come “coso” è molto più vaga rispetto alla parola “treppiede”. Ci renderemo conto che sono potenzialmente vaghe: - alcune determinazioni temporali generali quando esse rendono impossibile identificare il tempo di cui si parla; - alcune determinazioni spaziali generali quando esse rendono impossibile identificare il luogo di cui si parla; - alcune pluralizzazioni quando esse rendono impossibile identificare di chi si parli; - alcune nominalizzazioni che impediscono di situare un’azione in un contesto preciso. Si può essere vaghi per molti motivi, anche perché malintenzionati. Una rappresentazione vaga della realtà può avere due effetti potenzialmente manipolatori: - può inibire l’ispezione e l’eventuale falsificazione di quanto viene detto; - può suscitarne, allo stesso tempo, presso il ricevente un sentimento di complicità con il parlante. 7.5 Quando la parzialità diventa abusiva. Ogni rappresentazione della realtà è necessariamente parziale, cioè rappresenta inevitabilmente il punto di vista del parlante. È bene precisare che esistono espressioni referenziali che hanno un potere connotativo più forte di altre e che esprimono più nettamente il punto di vista affettivo del parlante. Abbiamo visto che fare propaganda per una posizione ideologica non è di per sé manipolazione. La parzialità della pertinentizzazione non costituisce un abuso. Essa diventa abusiva quando, in un discorso che non è esplicitamente orientato a propagandare un certo modo di vedere la realtà, la pertinentizzazione è fortemente orientata. La parzialità della pertinentizzazione diventa abusiva anche quando essa propone rappresentazioni dell’avversario, o di gruppi protetti dall’avversario, che siano denigratorie, diffamanti o capaci di istigare all’odio. Siamo nella manipolazione anche quando imponiamo nella rappresentazione della realtà una connotazione valutativa soggettiva non necessariamente condivisa o condivisibile. 21 7.6 Quando la metafora introduce creatività nel dibattito pubblico. La metafora permette di utilizzare la polisemia intrinseca ad ogni parola senza obbligare a scegliere un’interpretazione piuttosto che un’altra, ma combinando le interpretazioni possibili e creando nuovi sensi possibili. Il linguaggio metaforico ri-descrive la realtà ce la fa vedere sotto un altro punto di vista. Se è vero che poetica e politica hanno in comune un potere di creazione di nuovi assetti della realtà, è chiaro che la forza creatrice della metafora non può non trovarsi al centro del linguaggio politico e più in generale del dibattito pubblico. La metafora ha la funzione di evitare la banalità e la monotonia dell’eloquio, condizione necessaria per emozionare, ispirare e incitare all’azione. 7.7 Quando la metafora diventa abusiva. Come mostrò Aristotele la metafora può essere usata per introdurre l’oscurità nel discorso. Gli psicologi e i linguisti cognitivi hanno scoperto che la metafora s’inscrive nei nostri circuiti neuronali e guida i nostri processi cognitivi: questi tendono naturalmente a fondare la conoscenza di entità nuove sulla conoscenza di entità che ci sono familiari. Inoltre, l’introduzione di una metafora in un discorso non rimane mai un fenomeno isolato: qualsiasi metafora attiva un frame, cioè una rete di analogie che condizionano il modo di vedere l’entità a cui la metafora si riferisce. Di conseguenza, la metafora può sfuggire di mano fino a imporci un modo di vedere le cose, un filtro di cui è difficile liberarsi. Si pensi ad esempio durante la pandemia l’utilizzo massiccio di metafore della guerra. 7.8 Cosa sono categorie ad hoc e liste sintattiche. A complicare l’operazione di riferimento contribuisce anche il fatto che per alcune entità extralinguistiche non esiste una parola corrispondente nella lingua o non si riesce a trovarla. Questo vale per quelle entità che si chiamano categorie ad hoc. A differenza delle categorie stabili che includono elementi che vanno di solito insieme, una categoria ad hoc è una categoria che raggruppa elementi che per motivi accidentali condividono una qualche proprietà in un momento dato. È stato mostrato che per fare riferimento a una categoria ad hoc i parlanti tendono a ricorrere alle cosiddette liste sintattiche, cioè liste di elementi che condividono una stessa posizione sintattica. Dovendo quindi fare riferimento alla categoria di tutto quello che è sul tavolo i parlanti diranno: - Prendi il computer, la penna, la mela e tutto il resto. Questo è possibile perché quando si imbatte in una lista, il ricevente cerca spontaneamente la proprietà comune a tutti gli elementi elencati che permette di riunirli sotto la stessa categoria. 7.9 Quando la categoria ad hoc diventa un amalgama. Per quanto instabile la capacità delle liste sintattiche di costruire un riferimento a categorie che non sono già stabilmente presenti nella conoscenza enciclopedica dei parlanti è spesso sfruttata per costruire amalgami. Per amalgami intendiamo categorie che non corrispondono a nessuna realtà, che non hanno cioè un riferimento identificabile nella realtà, ma che si costruiscono solo nel discorso e attraverso il discorso con l’unico fine di amalgamare realtà molto diverse, spesso a scopo di denigrazione. Le liste sintattiche sono state usate in maniera massiccia, dalla destra, per creare l’amalgama dell’immigrato-clandestino-nero-rom-islamico-terrorista. 7.10 Cosa sono accomodamento e aggiornamento nella coreferenza. Nei processi di coreferenza si fa riferimento a una stessa entità usando espressioni referenziali diverse; ognuna delle espressioni impiegate porterà vaghezza, parzialità, connotazione e caratterizzazione più o meno abusiva. Via via che la catena di coreferenza viene presentata, per poter interpretare due espressioni diverse come coreferenti, il ricevente dovrà accomodarsi alla rappresentazione del parlante, cioè accettare di dare presupposta nel common ground la connotazione e la caratterizzazione che il parlante dà al referente. 22 VIII. “Ma cosa stiamo dicendo?” Come riconoscere le manipolazioni della predicazione. 8.1 Cos’è la predicazione. L’operazione che ci permette di dire qualcosa a proposito di qualcos’altro si chiama predicazione. Siamo abituati a considerare la predicazione come un’informazione codificata dal verbo. Secondo la linguistica moderna si definisce come predicato qualunque elemento linguistico, che sia un verbo, un aggettivo, un avverbio ecc., che designa una proprietà o una relazione. Quindi diremo che la predicazione è codificata non solo nei predicati verbali delle frasi principali, ma che si trova anche nelle subordinate di modo finito o infinito ecc. Dal punto di vista sintattico va notato che la possibilità di codificare la predicazione attraverso strumenti linguistici vari e numerosi fa sì che il parlante possa incassare le predicazioni le une dentro le altre e predicare qualcosa a proposito non solo di referenti, ma anche di altre predicazioni. La predicazione permette di rappresentare stati, eventi e caratteristiche di un referente. 8.2 Cosa vuol dire fare un uso economico delle predicazioni. In condizioni ideali un parlante propone in maniera esplicita di aggiungere al common ground una certa predicazione di cui è più o meno certo, il suo interlocutore la discute e decide se aggiungerla al common ground o no. Questa situazione è rispettata solo nella dimostrazione e nell’argomentazione scientifica. In questi contesti l’interlocutore ha a disposizione tempi lunghi per vagliare quanto viene proposto dal parlante e accettare o meno di includerlo nel common ground. Nella discussione comune non ci si può permettere di essere espliciti su tutto, quindi per ragioni di economia discorsiva, i parlanti tendono a non esplicitare alcune evidenze, il loro grado di certezza, a incassare molte informazione di una sola frase e a dare più o meno rilievo a certe predicazioni. 8.3 Perché la presupposizione è uno strumento di economia discorsiva. Per presentare una serie di predicazioni in uno stesso discorso abbiamo due opzioni: coordinare frasi assertive semplici ciascuna delle quali codifica una predicazione, in cui il parlante presenta tre predicazioni diverse come tre informazioni asserite, cioè come informazioni che egli vuole aggiungere al common ground; oppure possiamo incassare sintatticamente le predicazioni le une nelle altre, in cui il parlante distingue tra predicazioni asserite e predicazioni presupposte, vale a dire predicazioni presentate come già presenti nel common ground e che possono perciò essere date per scontate. La distinzione tra informazioni asserite e presupposte permette di gerarchizzare le informazioni stesse introdotte nel processo comunicativo. Questa gerarchizzazione risponde a un’esigenza di economia cognitiva del ricevente. Sono diverse le strutture linguistiche che permettono di codificare le predicazioni: - Le descrizioni definite, cioè i sintagmi nominali introdotti da un determinante definito o rappresentate da un nome proprio, che permettono di presupporre la predicazione dell’esistenza del referente; - I predicativi fattivi o di cambiamento di stato che introducono una subordinata il cui contenuto è presentato come presupposto; - Le domande aperte, in cui si focalizza un pronome o un avverbio interrogativo e si dà per presupposta la parte non focalizzata della frase; - Le frasi scisse, in cui si focalizza un elemento della frase racchiuso nella costruzione “è x che + verbo” e si dà per presupposta la parte non focalizzata della frase. La predicazione presupposta è presentata come meno preminente e di conseguenza indicata come un’informazione che l’interlocutore non deve decidere se accettare o meno. Questo è accettabile a due condizioni: - che la predicazione presupposta appartenga al common ground dei parlanti; - che la predicazione presupposta sia marginale o ricavabile dal contesto. 25 8.4 Quando la presupposizione diventa abusiva. A volte la presupposizione è usata per introdurre surrettiziamente determinate informazioni nel common ground oltrepassando la vigilanza epistemica dell’interlocutore. Quindi la presupposizione è usata per distrarre il parlante da alcuni aspetti dell’informazione presentata che vengono imposti senza possibilità di discussione nel common ground. Come ha mostrato Lombardi Vallauri, l’atto di resistere a una manipolazione operata attraverso la presupposizione richiede che l’interlocutore blocchi la conversazione, esponga la presupposizione e la sfidi. Questo meccanismo è cognitivamente e socialmente molto costoso per l’interlocutore, quindi in linea generale i parlanti tendono ad accettare le presupposizioni di un enunciato e ad accomodarvisi. 8.5 Quando la predicazione è implicita. Se attraverso la presupposizione il parlante può presentare una predicazione come meno preminente e dunque oltrepassare la vigilanza epistemica dell’interlocutore, la lingua offre anche strumenti per introdurre predicazioni implicite. I parlanti tendono a dire meno di quanto non vogliano comunicare sapendo che i loro interlocutori inferiranno più di quanto essi abbiano detto. Le predicazioni che sono comunicate implicitamente nel contesto sono chiamate implicature. Esistono implicature convenzionali, cioè associate all’uso di alcune forme linguistiche: - alcuni avverbi, come “quasi”, “ancora”, “addirittura”, “solo”; - alcuni verbi detti implicativi che indicano un cambiamento di stato, come “uscire”, “tornare”, “morire”; - alcune congiunzioni avversative, come “ma” e “tuttavia”, o consecutive come “quindi” e “perciò”; - alcune anafore connotative, come “lo scemo”, “la pazza”; - le strutture di lista categorizzate che sono alla base delle creazioni di categorie ad hoc; - le connotazioni e caratterizzazioni che, oltre a presentare in maniera parziale un referente, comunicano in maniera implicita l’atteggiamento del parlante nei suoi confronti. Esistono poi le implicature conversazionali che emergono nel contesto del processo linguistico. Ogni processo comunicativo è regolato da un principio di cooperazione che i parlanti non solo danno per scontato, ma ritengono che anche i loro interlocutori diano per scontato. Il principio di cooperazione si articola in quattro massime: - la massima di pertinenza; - la massima di qualità; - la massima di quantità; - la massima di maniera. Di fronte a un monologo, l’interlocutore si aspetta che le predicazioni che un parlante accosta una di seguito all’altra siano non solo vere, ma anche rilevanti sia ai fini globali del discorso, sia l’una rispetto all’altra, si aspetta che siano utili e che siano sufficientemente chiare. Le implicature sono usate molto frequentemente per ragioni di economia linguistica. 8.6 Quando l’implicatura diventa insinuazione. Le implicature sono anche uno strumento per lasciar costruire il significato al ricevente e quindi insinuare predicazioni nel common ground senza prendersene la responsabilità. Queste implicazioni sono state usate per insinuare che i cinesi mangiassero i cani e che questo fosse collegato alla propagazione del coronavirus ecc. e queste insinuazioni possono dare luogo ad amalgama che permetteranno di introdurre nel discorso sotto lo stesso significato tutti tipi di nemici. 26 8.7 Come si esprimono certezza ed evidenza. Le predicazioni che il parlante propone di aggiungere al common ground devono essere fondare, cioè basate su qualche evidenza. Quest’ultima può trovarsi nel senso comune o può trovarsi nella nostra esperienza sensoriale della realtà, nei ragionamenti che possiamo fare a partire da quanto conosciamo o da quello che gli altri ci han detto, nella nostra memoria, nelle nostre intuizioni o nelle nostre impressioni. Inoltre quando predichiamo qualcosa, possiamo essere più o meno certi della verità di quanto predichiamo. Le forme “come tutti sanno” e “secondo me” ci permettono di esprimere su quali evidenze si basi la nostra predicazione e si chiamano evidenziali; le forme “è possibile che” e “son sicura che” ci permettono di esprimere il nostro grado di certezza rispetto a quanto diciamo e si chiamano epistemiche. 8.8 I casi in cui si possono non citare le fonti. In un processo comunicativo ideale, il parlante precisa non solo su quale evidenza fonda le proprie predicazioni, ma anche in quale misura è certo di quanto dice. Ci sono tre condizioni in cui il parlante può fare a meno di precisare la sua fonte e cioè: - che quello che dice sia indiscusso, ossia appartenga al senso comune o al core common ground; - che quello che dice discenda naturalmente dall’argomentazione precedente; - che la sua autorità epistemica sia indiscussa, vale a dire che tutti siano d’accordo sul fatto che egli è nel processo comunicativo in corso e che conosce meglio degli altri ciò di cui sta parlando. Può succedere che per ragioni di economia discorsiva il parlante informi il suo interlocutore di fatti di cui non precisa la fonte. 8.9 Quando si sconfina nella diceria. Spesso chi manipola, manipola proprio l’espressione della certezza e dell’evidenza evitando di precisare il grado di certezza delle predicazioni senza che queste possano essere date per scontate. Talvolta i parlanti forniscono argomenti che dovrebbero essere a supporto di quanto dicono, ma questi argomenti si basano su premesse incerte. Una predicazione che è incerta di per sé e tuttavia presentata nel common ground senza precisazione né della fonte, né del grado di certezza, è tecnicamente una diceria. Si tratta di quanto più vicino esiste alla menzogna. 8.10 Perché i social media favoriscono la manipolazione della predicazione. Presupposizioni, insinuazioni, dicerie sono amplificate da alcune caratteristiche strutturali dei social media. I format impongono esigenze di compattezza discorsiva che spingono gli utenti a scrivere messaggi corti nei quali alcune informazioni ritenute non essenziali sono omesse e altre sono presentate come presupposte o implicate. Per questo gli utenti sono portati ad abusare di un linguaggio fatto di allusioni e insinuazioni che stimolano la curiosità del lettore. La rapidità e il rumore che caratterizzano la fruizione rende estremamente probabile che i contenuti implicati, presupposti o la cui veridicità non sia accertata oltrepassino la vigilanza epistemica dei riceventi esponendoli in maniera più vulnerabile alla ricezione di manipolazioni. La volatilità della comunicazione nei social ha due effetti: incita i suoi membri ad abusare di presupposizioni che creano un’illusione di condivisione pregressa e rende difficile e costosa l’operazione di resistenza alla presupposizione. Infine, la possibilità che ogni utente ha di tagliare e copiare porzioni di messaggi che circolano sui social porta a una proliferazione delle decontestualizzazioni. Questo fa sì che sui social circolino molti messaggi separati dalla loro fonte evidenziale. L’autorità epistemica dei messaggi circolanti in rete è raramente presa in considerazione e spesso confusa con la loro viralità. 27 9.8 Quando si fallisce l’obiettivo illocutorio di un testo o la finalità di un dialogo. Esistono processi comunicativi che hanno il solo scopo di tenere i parlanti impegnati in una comunicazione quale che sia, ma non tutti i processi comunicativi sono fatici. In molti tipi di discorso è fondamentale per la buona riuscita di un processo comunicativo che i parlanti sappiano qual è lo scopo finale della loro comunicazione e che tentino di costruire il discorso in vista di quell’obiettivo. Saper costruire un discorso complesso diretto a realizzare un fine illocutorio preciso richiede una competenza discorsiva che non tutti i parlanti hanno. Il risultato è che spesso i parlanti si lanciano in un discorso senza chiedersi quale traguardo illocutorio vogliano raggiungere, ma semplicemente mossi da una generica esigenza di esprimersi. Il risultato è una comunicazione disordinata ed emotiva. 9.9 Quando si decontestualizza. Per poter dire di aver capito un enunciato occorre comprendere non solo quanto esso dica ma anche quale sia la funzione di quell’enunciato nel discorso, a cosa serva, perché il parlante l’abbia prodotto. Si può dire che un enunciato è stato decontestualizzato in due casi: ogni qual volta che il ricevente lo abbia capito senza fare sufficiente attenzione al contesto; ogni qualvolta sia stato estrapolato senza precauzioni dal suo contesto e riprodotto altrove. 9.10 Quando si manipola la coerenza di un testo. I testi sono caratterizzati da una struttura retorica globale secondo la quale sequenze nucleari sono usate per comunicare le informazioni centrali e altre sequenze dipendenti servono a comunicare informazioni accessorie. Una gran parte della posizione ideologica di un parlante risiede nel modo in cui egli vede e presenta le relazioni tra gli eventi del mondo. La mancata esplicitazione delle relazioni retoriche tra le parti di un testo può essere fonte di confusione e manipolazione: in assenza di segnali chiari, l’interpretazione di un testo diventa cognitivamente più impegnativa, i riceventi possono essere tentati di intendere le relazioni come vogliono e il parlante può approfittare di questa vaghezza per non assumersi la responsabilità di precisare il suo modo di vedere le cose. 9.10.1 Quando l’argomentazione è fallace. Esiste un tipo di manipolazioni che riguarda il discoro e il dialogo argomentativo, quello più pertinente per il dibattito pubblico: si tratta delle fallacie argomentative. Una fallacia argomentativa è un discorso argomentativo che ha l0apparenza di un’argomentazione ben costruita con una struttura di premesse e conclusioni, ma tale che la conclusione non discende logicamente dalle premesse. Si può considerare come un tipo di manipolazione della struttura retorica di un testo pericoloso in quanto diffuso nel dibattito pubblico. Fallacie più comuni: - l’argumentum ad hominem consiste nell’attaccare una persona e non i suoi argomenti; - la fallacia ad baculum consiste nell’imporre una conclusione sulla base di un’intimidazione; - l’argumentum ad populum consiste nell’invocare un gran numero di persone che la sostiene; - l’argumentum ab auctoritate consiste nell’invocare una persona autorevole che la condivide; - l’attacco sulla forma consiste nel criticare un argomento non per il suo contenuto ma per un errore linguistico di chi lo propone; - l’argomento fantoccio consiste nel confutare la validità di una predicazione proponendone una rappresentazione errata o distorta; - il piano inclinato consiste nell’argomentare che se si accetta la validità di una predicazione ne possono derivare conseguenze nefaste; - la generalizzazione indebita consiste nel trarre conclusioni generali circa la validità di una predicazione a partire dalla sua osservazione su un campione troppo piccolo; - il post hoc ergo propter hoc consiste nel confondere un rapporto di successione temporale tra due predicazioni con rapporto di causa effetto; 30 - l’onus probandi o onere della prova consiste nel difendere un argomento chiedendo all’interlocutore di dimostrare che è falso; - il falso dilemma consiste nel ridurre senza ragione un problema a due soluzioni possibili e difenderne una sulla base che l’altra è peggiore; - la petitio principii o argomento circolare consiste nell’argomentare accettando già nelle premesse la verità delle conclusioni. 9.11 Perché il web 2.0 favorisce la manipolazione del discorso. 9.11.1 L’ipertestualità favorisce la divagazione. Sul web un testo è percepito come un ipertesto, cioè come un insieme delinearizzato di testi discontinui, frazionati in un numero variabile e potenzialmente infinito di unità informative connesse fra loro tramite collegamenti attivabili liberamente nell’ordine preferito dall’utente. Questa struttura permette di organizzare un numero molto elevato di informazioni, tuttavia è molto difficile da maneggiare. La gran parte degli utenti non ha una padronanza degli strumenti linguistici per verificare la coerenza e la coesione di un testo. 9.11.2 Il modello economico dei social media favorisce la divagazione. La struttura ipertestuale è sfruttata a fini commerciali dai social media per indurci a visitare le pagine degli inserzionisti: gli ipertesti pullulano di link che dirigono verso pagine pubblicitarie. Le occasioni di distrazione si moltiplicano, allontanando l’utente dal testo che stava leggendo, la cui comprensione rimarrà incompiuta. 9.11.3 La struttura dell’interazione sui social media favorisce la divagazione. Esistono altre condizioni d’uso dei social che inducono alla divagazione. Un social media non è una piattaforma nata per dibattere, ma per creare connessioni tra le persone. I parlanti si avvicinano ai social con atteggiamento informale e tale atteggiamento costituisce un ostacolo al raggiungimento di quella sorveglianza critica che permetterebbe di tenere sempre presente l’obiettivo illocutorio delle loro interazioni. La natura ibrida tra sincronia e asincronia fa sì che a una stessa conversazione partecipino persone diverse in momenti diversi e questo accresce le probabilità di divagazione. Inoltre vi è l’accavallamento in uno stesso thread diverse conversazioni o diverse questions under discussion senza che ci siano strumenti adeguati per permettere di identificare chi sta rispondendo a chi a proposito di cosa. 9.11.4 Perché la divagazione si presta alla manipolazione. La scrittura sui social è particolarmente vulnerabile a ogni forma di manipolazione: chiunque voglia dirottare il discorso, introdurre contraddizioni avrà gioco facile. L’abbondanza di attacchi personali e la recrudescenza del linguaggio d’odio costituiscono due strumenti ampiamente usati per mandare all’aria una conversazione. 9.11.5 Come resistere alla divagazione sui social media. Per difendersi dalla divagazione è necessaria una grande disciplina nell’uso dei social: bisogna distinguere tra la navigazione fatta per passare il tempo e quella fatta per informarsi. Serve un grande sforzo di riflessività, cioè di monitoraggio del proprio lavoro cognitivo. 9.11.6 Perché il web favorisce la decontestualizzazione. Il web ha fornito il terreno alla confusione e alla manipolazione per varie ragioni: - sul web si parlando persone che non condividono lo stesso common ground e che hanno quindi più difficoltà a ricontestualizzare su uno sfondo culturale comune i messaggi che vengono prodotti; - la lettura sul web è decontestualizzata a causa della natura ipertestuale dei discorsi che si possono reperire in rete; - il web e i social, fornendo strumenti di editing, permettono che si compiano sui testi tagli e ricuciture che possono manipolare il senso di un messaggio. 31 9.11.7 Perché i social media offrono terreno propizio per le fallacie argomentative. I social si prestano alla diffusione delle fallacie per tre ragioni. Chi partecipa ad una discussione lo fa senza una preparazione retorica adeguata e scivola più facilmente nella fallacia; chi volesse manipolare intenzionalmente il discorso farà ricorso alle fallacie; infine, l’uso non discusso delle fallacie crea un effetto di priming, che fa sì che esse possano venire usate come schema argomentativo di predilezione. 9.11.8 Come l’accelerazione linguistica dei social media sposta la narrativa dominante. L’accelerazione della circolazione linguistica promossa dal web fa sì che tutti gli stilemi manipolatori siano replicati per effetto di priming da un gran numero di utenti e che siano amplificati da troll e bots. Questa espansione artificiale della manipolazione linguistica ha un effetto molto importante: essa porta non solo a una manipolazione della memoria a breve termine, ma a una manipolazione della memoria a lungo termine, che ha per conseguenza una sedimentazione di rappresentazioni e credenze personali e sociali diverse da quelle che sarebbero state le rappresentazioni del gruppo manipolato. I social media sono diventati luoghi di scontro per l’imposizione di una narrativa dominante, che finisce per determinare l’interpretazione di quanto viene detto in ogni discussione. 32
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